Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti Convegno di studio in occasione della riapertura del Gran Teatro la Fenice COPIARE IN ARCHITETTURA RIFLESSIONI SU "COM'ERA E DOV'ERA" Emanuele Arielli, Paolo Legrenzi, Sasa Dobricic Università IUAV e Scuola di Studi Avanzati in Venezia . Q!pie e cormie: la cognizione di modelli, falsi e duplicati
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Copie e coppie:la cognizione di modelli, duplicati, falsi
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Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti
Convegno di studio in occasione della riapertura del Gran Teatro la Fenice
COPIARE IN ARCHITETTURA
RIFLESSIONI SU "COM'ERA E DOV'ERA"
Emanuele Arielli, Paolo Legrenzi, Sasa Dobricic
Università IUAV e Scuola di Studi Avanzati in Venezia
. Q!pie e cormie: la cognizione di modelli, falsi e duplicati
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Introduzione
Scrive Carla Moreni sul Domenicale del Sole-240re del 1Oagosto:
"La Fenice c'è. E' risorta. La hanno ricostruita. Sembra un miracolo. Esattamente dove era e come era prima. L'abbiamo visitata per la prima volta ... La nuova Fenice per adesso ricorda un po' quelle copie conformi che si fanno fare i ricchi giapponesi: per sfizio una villa, esattamente come quella del Palladio. E' sin troppo pulita, così nuova ..."
Già in questo resoconto di Carla Moreni della sua prima visita troviamo le tracce concettuali per
un'analisi della nozione di "copia".
In primo luogo una "copia" si pone in rapporto con un pezzo UnICO e non con una
molteplicità. Se un prototipo viene progettato per essere prodotto in più esemplari, non possiamo
parlare di copia: in prima approssimazione la copia è tale rispetto ad un originale che è unico.
Un punto iniziale di discrimine è l'intenzione o meno di ingannare: una copia di un'opera
d'arte può non dissimulare la sua dipendenza da un originale. El il caso della Fenice e della villa del
ricco giapponese, che imita alla perfezione una villa del Palladio. Ovviamente la prima "sostituisce"
il passato mentre la seconda "convive" con il presente: cruciale è qui la distinzione, su cui
ritorneremo, tra sequenza temporale e serie sincronica. Altro è il caso in cui la copia cerca di
contrabbandarsi per l'originale o si ispira ad originali dello stesso autore. In questi due ultimi tipi di
scenari abbiamo a che fare con un "falso".
Le condizioni cognitive che governano il rapporto tra copia e falso sono analoghe a quelle
che regolano l'opposizione tra verità e menzogna (Anolli 2003).
2
Nella contrapposizione tra copia e falso ci aiuta un'analisi della menzogna di cui il falso si fa
portatore. Il percorso dell'opposizione coppia / falso viene schematizzato nella fig.1.
/ ~
Ricerca dell'inganno (falso)
~
(gioco)
~
l (opera d'arte)
QuandoQuando il valore del prototipo non lo èè importante
l l un'opera contratÌàzione di un marchio
plagio di un libro, film
Venezia a Las Vegas
più copie di un quadro 0Di~f)
Fig. 1. Percorso concettuale per arrivare alla nozione di "copia della Fenice".
,
3
Il trasferimento del valore
La prima distinzione rilevante nella fig. 1 riguarda gli scopi per cui un prototipo originale
viene riprodotto. Se sulla copia si trasferisce il valore o parte del valore dell'opera originale, come
nel caso dell'opera d'arte, la finalità della riproduzione è l'interesse (economico o para-economico)
dell'artefice. Se invece la riproduzione non ha valenze economiche, allora può essere costruita per
gioco, o per scherzo. Tali condizioni per la "finzione", ad esempio, si realizzano sulla spiaggia,
quando si cerca di imitare qualcosa con una costruzione di sabbia o, in un museo delle cere, dove si
riproducono copie delle celebrità del presente o del passato. Un altro esempio recente è il
padiglione di Serbia e Montenegro alla Biennale di Venezia del 2003: ogni artista ha esposto una
copia pressoché identica delle opere degli autori più celebri del novecento (gli impressionisti,
Picasso, i surrealisti, Warhol e altri esponenti della pop-art e così via).
La finzione, a differenza del falso, non presuppone la verità in un mondo possibile. La copia
ed il falso non sono il prodotto della finzione. Quando si dice:
"E' una finzione che p"
non si dice:
"E' vero in un mondo possibile che p"
ma "Qualcuno fa finta di credere che p" (Walton, 1990,35 e sgg.).
I mondi di invenzione non sono mondi possibili perché non sono composti da proposizioni
vere in un altro mondo, ma da "proposizioni letteralmente false", la cui falsità non cambia nulla in
relazione al fatto che ci insegnano qualcosa sulla nostra realtà (Cornetti, Morizot, Pouivet, 2002,
p.lll).
Ha osservato Walton (1990, p.5l): "... il David di Michelangiolo, I viaggi di Gulliver,
Macbeth e le opere d'arte rappresentazionali sono incitamenti dentro giochi di simulazione."
Rispetto alla fantasticheria e ai giochi dei bambini, una delle caratteristiche importanti della
finzione è il suo essere maggiormente governata da regole condivise di simulazione. Quando Man
Ray reinterpreta l'Odalisca di Ingres come Violon d'Ingres non costruisce ovviamente un falso ma
neppure una copia perché allude ad un originale per costruire qualcosa di nuovo all'interno di un
gioco di simulazione (cfr. Massironi, 2000, p.1 09). In quest'ultimo la quasi-copia deve esser
riconosciuta come tale (cfr. fig. 2). Lo stesso avviene con la versione baffuta della Gioconda di
Leonardo realizzata da Marcel Duchamp di cui c'era una copia nel suddetto padiglione di Serbia e
4
Montenegro alla Biennale di Venezia (quindi una copia pedissequa di una copia dotata di
originalità).
Una distinzione analoga a quella tra falso e finzione la troviamo nella conversazione
tra due persone, dove la bugia può essere funzionale agli interessi di un interlocutore oppure può
presentarsi come uno scherzo (cfr. Bateson, 1996, Castelfranchi e Poggi, 1998).
5
Fig. 2. Man Ray, Violon d'Ingres (1924), Milano, collezione privata, in Manfredo Massironi,
L'Osteria dei Dadi Truccati, Arte, psicologia e dintorni, Bologna, il Mulino Incontri, 2000, Fig.
3.9.
..
6
Falso e finzione, arte e scienza
Uno snodo teorico rilevante nella fig.! è costituito dall'intenzionalità nella ricerca
dell'inganno. Questo si realizza nell'arte tramite la creazione di una "copia" che diventa "falso"
quando si cerca di spacciarla come originale. Diventa così possibile distinguere il senso della
duplicazione nell'arte e nella scienza. Osserva al riguardo Massironi (2000, pp.182-3):
Un risultato scientifico o filosofico sarà tanto più vero, "verificato", quanto più sarà ripetuto, rifatto, smontato e rimontato, mentre un'invenzione dada o concettuale sarà tanto più falsa quanto più sarà ripetuta. Ricostruire gli strumenti utilizzati da Galileo è una "realizzazione" e non certo la costruzione di un falso. Se invece il museo d'arte di Padova esponesse un orinatoio chiamandolo "fontana" e attribuendolo correttamente a Duchamp, tutti direbbero che si tratta di un falso. Dal momento che neanche l'orinatoio originale era opera di Duchamp, la sua opera è la sequenza di eventi che va dall'incontro di Duchamp con l'oggetto alla sua dislocazione in una galleria e al suo attribuirgli un altro nome ... Nessuno nelle arti visive, nemmeno Kosuth, può fare un'opera senza ancorarla ad un oggetto ..."
Maurizio Ferraris ha ripreso questo concetto come discrimine tra opera d'arte e di scienza: "l'opera
è un individuo, ossia è quello e non altro". E' cioè il prodotto di un progetto riconducibile ad un
singolo autore che lo "firma". Con le parole di Ferraris (200la, p. 28):
Due San Giorgio sono due individui diversi, esattamente come possono esserlo due persone, mentre due attualizzazioni del teorema di Pitagora sono lo stesso individuo, valendo qui (poiché siamo in una sfera puramente intelligibile) il principio della identità degli indiscemibili.
Come è stato già rilevato altrove (Legrenzi e Vianello, 2002), il mondo contemporaneo è
ricco di tecnologie che danno luogo ad oggetti assai complicati, privi di "firme" e riproducibili
grazie a sistemi complessi e a progettazioni che non sono il risultato di un singolo tecnico o
scienziato. Abbiamo poi prodotti industriali che, pur essendo l'esito di tecnologie complesse, si
arricchiscono di una "firma", che non corrisponde all'autore ma ad una etichetta appiccicata dalla
pubblicità. Contro questo mondo di "riproducibilità", gli artisti del secolo scorso hanno esaltato
l'irriproducibilità garantita dalla firma dell'autore. In questo senso la copia (ed il falso) possono
diventare riproduzioni non di un oggetto materiale ma di una "idea", secondo la distinzione di
Ferraris. Nel mondo dell'arte, infatti, abbiamo iniziato un percorso che va in senso opposto alla
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esternalizzazione della mente in protesi tecnologiche (macchine, telefoni, computer), volte ad
annullare i limiti cognitivi della mente naturale. Gli oggetti d'arte hanno fatto un cammino inverso:
dal mondo esterno alla mente dell'artista o dello spettatore. Cambia così anche il senso della
dicotomia copia/falso. Dalla "copiatura" come reinterpretazione di un'opera precedente (Violon
d'Ingres di Man Ray) al "falso" come riproduzione di un'idea, come nel caso di cui ci parla
Massironi con l'esempio della fontana di Duchamp. L'idea di copia come risultato di una macchina
che è reduplicabile, dove copiare sconfina nel reduplicare, ha influenzato l'arte contemporanea,
come ha osservato Domenico Parisi (2000, p. 422-423):
Una macchina ... può essere reduplicata in copie identiche. A proposito delle macchine come reduplicabili in copie identiche è interessante questo brano di un'intervista del 1963 a Andy Warhol, uno dei protagonisti della Pop Art americana: "Warhol: lo credo che tutti dovrebbero essere come delle macchine. Ognuno dovrebbe essere uguale agli altri. Intervistatore: Questo è quello che fa la Pop Art? Warhol: Sì, rende tutto uguale. Intervistatore: E rendere tutto uguale significa essere una macchina? Warhol: Sì, perché tu fai la stessa cosa sempre. Sempre la stessa cosa, continuamente.
Quanto più un'opera d'arte si avvicina alla comunicazione di un'idea tanto più si approssima
ad una forma immateriale di innovazione. Queste ultime vengono garantite dai falsi, cioè
dall'esecuzione di copie illecite, dal deposito di "brevetti", che registrano un'idea o una procedura. A
differenza di un quadro o di un edificio, dove la copia si avvicina alla nozione di duplicato, qui
siamo all'estremo opposto. Quello che viene riprodotto, più o meno illecitamente, è un'idea, uno
stile, persino un "copione", come avviene nei film. In questi casi può essere molto difficile
individuare le invarianti che vanno a definire l'unicità di un'opera. Ad esempio, nel corso del 2003,
si stanno realizzando due film che si rifanno a La porta del cielo, girato da Vittorio De Sica nel
1943 e commissionato dal Vaticano (cfr. Porro, 2003). Ora il figlio di Vittorio, Christian, sta
valutando se uno dei due film sia o non sia la "copia" del suo ed ha affidato ad avvocati l'analisi dei
due copioni. Come è ovvio, non si tratta di una decisione facile. Abbiamo così un continuum che va
dall'identicità di un duplicato fino alle copie in cui l'analogia tra le due opere si basa su invarianti
molto astratte, come la trama di una storia. Nella fig. 3 si è cercato di rappresentare questo
continuum che va dal duplicato, alla copia, fino alla "somiglianza di famiglia".
8
duplicato invenzione fasulla Icopia l reinterpretazione
l copione di un film, trama ibridi in architettura: falso gotico
9
Fig. 3. Le varie che può prendere una copia: dall'identicità di un duplicato alla vaga rassomiglianza di famiglia di un copione di un film o una trama di un libro
Nella Folker Shakespeare Library di Washington, dall'estate fino all'inverno del 2003, si può
visitare la mostra "Fakes, Forgeries, and Facsimile". La nozione di facsimile è intermedia tra il
duplicato e la copia. Infatti si tratta delle opere di un falsario che si ispira, poniamo, alle opere di
Shakespeare e ne inventa di nuove sulla falsariga di quelle originali. Ma la storia è più complessa:
alcuni falsi delle opere di Shakespeare sono stati creati con l'intenzione di spacciarsi per originali,
altre volte invece venivano dichiarati come tali e servivano per integrare pezzi mancanti di opere
originali, incrementandone il valore. Altre volte opere complete venivano composte con porzioni di
più frammenti, originali ma incompleti. Col tempo queste distinzioni sono in qualche caso andate
perse e solo l'opera degli studiosi ha potuto riclassificarle con le distinzioni di cui nella fig. 2 (cfr.
Niederkorn,2003).
Copia e tempo
Quando scompare l'originale, come è successo con la Fenice, perché si possa avere una
copia deve essere recuperabile una qualche forma di memoria dell'originale. Anche se la "nuova"
Fenice si colloca nell'ambito della fenomenologia del "rifatto", trattandosi di un manufatto che non
mostra i segni del tempo, potremmo immaginare un futuro in cui una persona disinformata ritorni,
dopo decenni, alla Fenice e pensi di trovarsi di fronte all'originale. Qui bisogna distinguere, come
abbiamo accennato in apertura, i casi in cui la "copia" sostituisce l'originale da quelli in cui convive
con l'originale. Abbiamo infine situazioni in cui sono presenti più copie in presenza o assenza di un
originale. Se distinguiamo tra proprietà estetiche ed artistiche (Cornetti, Morizot, Pouivet, 2002, p.
78), possiamo prendere in considerazione dimensioni classificatorie come "lirico", "comico",
"sinfonico" o quelle storico-estetiche: "barocco", "romantico", "impressionista". Queste proprietà
presuppongono che si tenga conto di un genere, di uno stile o di una periodizzazione artistica. Dire
di un'opera che è "tipicamente gotica" significa che ha un certo "stile", non necessariamente
proprietà estetiche. Persino un'entità naturale, in questo senso, può essere gotica. Se andiamo nella
più grande grotta del Carso, ci troviamo in un ambiente fantastico, tra immense stalattiti, simili a
guglie di cattedrali rovesciate, e possiamo provare la strana sensazione che anche la natura può
essere "gotica".
lO
L'adozione di uno stile diventa sorgente di un diverso tipo di falsi, degli ibridi tra falso e
copia. Ad esempio, sul Canal Grande, l'architetto Mainella costruì, all'inizio del secolo scorso, dei
palazzi finto-gotici che, oggi, la maggioranza dei turisti scambia per originali. Qui non abbiamo una
coppia originale + copia ma una sorta di "rassomiglianza di famiglia". Diventa molto più facile
compiere degli errori di "riconoscimento", dato che ce ne sono di due tipi (cfr. figA).
riconoscim(mto
6 ~
sbagliato
~~~ I i I
originale originale copiacopia come originale come copia come copia come originale
, 13 ~ I , 14 J r1 P.FP .1
Fig. 4. Due tipi di riconoscimenti corretti e due errati.
I riconoscimenti errati sono di due tipi opposti: per solito è più frequente l'errore di tipo 4
che l'errore del tipo 3. Nel campo dell'expertise, ad esempio dei quadri, un esperto "generoso"
correrà il rischio di fare errori del tipo 4 pur di evitare di incappare in errori del tipo 3. Un esperto
"rigoroso" cercherà di evitare il rischio opposto. La tendenza a compiere errori del tipo 4 può anche
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essere inconsapevole. Infatti non dobbiamo dimenticare che, ad esempio, il "gotico" è una categoria
classificatoria e quindi comprende sia l'originale che le copie successive che si ispirano alle
precedenti. In questo senso le false Venezia che si trovano a Las Vegas costituiscono copie fatte
senza l'intenzione di ingannare, anzi con lo scopo di richiamare l'originale. Nel momento in cui le
riconosciamo come tali, vanno a formare una "coppia" (originale + copia), di cui l'originale
costituisce la condizione per il riconoscimento.
Copia, coppia e duplicato
Quando una copia è successiva nel tempo all'originale e lo sostituisce, come nel caso della
Fenice, non siamo di fronte allo stesso oggetto che cambia nel tempo e riprende forme antiche,
quasi avessimo a che fare con un restauro molto poco rispettoso che finisce per "ricostruire" i pezzi
mancanti dell'opera originale. La copia della Fenice presuppone una coppia (il presente + il
ricordato) in cui non c'è una trasformazione progressiva tra l'elemento originale e quello ricostruito.
Nello stesso tempo una copia, per essere tale, deve essere distinguibile, altrimenti si tratta di un
duplicato.
I duplicati possono essere fatti in serie perché si dispone di una tecnica di replicazione che
permette la riproduzione dell'originale in una quantità innumerevole di esemplari. Il duplicato, per
essere tale, deve essere indistinguibile: un duplicato è identico all'originale. La distinzione è chiara,
ad esempio, nel caso delle chiavi: di una chiave metallica noi facciamo copie. Alcune vengono
meglio di altre, alcune devono venire ritoccate per funzionare, come avviene con le chiavi Yale. Il
duplicato di una chiave elettronica, ad esempio in un albergo, è indiscemibile dall'originale. Se è
fatta male, e non funziona, non può venire ritoccata. Va rifatta. Quelle di metallo sono copie, quelle
elettroniche sono duplicati.
Si può interpretare il problema della nuova Fenice come quello di una copia in assenza
dell'originale. Già Eco ha riflettuto sulla questione, sia nei suoi lavori teorici che narrativi, come nel
brano seguente, tratto da Il pendolo di Foucault:
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"Ora mostro a lor signori quel testo. Mi consentiranno di esibire una fotocopia. Non per
diffidenza. Per non sottoporre a usura l'originale."
"Ma quello di Ingolf non era l'originale," dissi. "Era la sua copia di un presunto
originale. "
"Signor Casaubon, quando gli originali non ci sono più, l'ultima copia è l'originale. "
U. Eco, Il pendolo di Foucault.
Il rapporto tra copia ed originale è stato analizzato da Nelson Goodman (1968, ultima ed. it.
2003). Alla base c'è la per sua celebre distinzione tra arti allografiche e arti autografiche. Le prime
sono arti in cui non c'è un originale che viene copiato: ad esempio un'esecuzione recente di una
sinfonia non è meno autentica della prima. Ogni volta, anche se possiamo avere variazioni
nell'interpretazione, abbiamo un esemplare ugualmente autentico della sinfonia, non una copia. Al
contrario le arti autografiche sono quelle, come la pittura o la scultura, dove una riproduzione
dell'originale, per quanto fedele, è sempre una imitazione dell'opera autentica, non un nuovo
esemplare della stessa opera.
La riproduzione di un'opera allografica non può essere una imitazione, ma solo l'esecuzione a
partire da una notazione in cui l'opera è codificata, come uno spartito musicale che viene suonato.
In altri termini, tutte le esecuzioni di un'opera allografica sono occorrenze (token) di uno stesso tipo
(type) o classe di entità. Quando nel linguaggio scritto e parlato si usa la parola "casa" (con caratteri
tipografici, supporti materiali o accenti e toni di voce diversi), queste sono occorrenze della parola
tipo "casa" nel linguaggio. Un'opera autografica invece non è un'occorrenza di un tipo, ma è
un'entità unica, la cui riproduzione - per quanto fedele - può essere solo una copia, un'imitazione.
L'architettura costituisce un caso particolare, come già Goodman aveva notato:
L'architettura possiede un sistema notazionale ragionevolmente appropriato, e in
quanto alcune delle sue opere sono indiscutibilmente allografiche, si tratta di un ' arte
allografica. Ma nella misura in cui il suo linguaggio notazionale non ha ancora
acquisito la piena autorità per poter creare in ogni caso un divorzio fra l'identità
dell 'opera e la sua produzione particolare l'architettura è un caso misto e di
transizione.
13
Nel caso ... del Taj Mahal, potremmo rifiutarci di considerare un altro edificio,
costruito sulla base delle stesse piante e persino nella stessa posizione, come un
esemplare della stessa opera anziché come una copia.
(N. Goodman, Idem, pp. 189-191)
Per eseguire un'opera come la Turandot è sufficiente lo spartito in quanto il suo linguaggio
notazionale ha acquisito piena autorità. Il linguaggio complessivo dell'architetto necessita invece di
un ulteriore supporto. Oltre ai disegni delle piante servono anche le istruzioni, per avvicinarsi così
al modello: "Cosi la questione se due edifici siano esemplari della stessa opera, in relazione al
linguaggio complessivo dell'architetto, è una questione indeterminata." (Goodman, Idem, pago
190)
L'architettura costituisce un caso intermedio e indeterminato anche per motivi diversi da
quelli suggeriti da Goodman. Ci possono essere infatti opere considerate uniche per ragioni
culturali, perché l'autore è famoso o perché l'opera ha un particolare significato storico. In questo
caso, il progetto di un'opera famosa descrive un unico oggetto, che può essere dunque considerato
un'opera autografica, come un quadro o una scultura. Il progetto della chiesa di San Pietro del
Vaticano descrive un'unica chiesa esistente. Produrre un altro esemplare a partire dallo stesso
progetto significa farne una copia, come il San Pietro presente a Yamoussoukro, in Costa d'Avorio.
Una costruzione architettonica standardizzata e anonima, realizzata in più luoghi, è invece
più simile agli oggetti del design industriale: si pensi a certi ponti autostradali che incontriamo
frequentemente viaggiando. Come una Fiat Uno non è una copia di un esemplare originale, ma è
una realizzazione tra tante, così ciascun ponte autostradale è un esemplare di una classe di oggetti e
costituisce dunque un artefatto allografico. Nulla esclude, d'altro canto, che in un futuro ipotetico
resti un solo esemplare di ponte autostradale che verrà ammirato come reperto archeologico unico
dell'epoca delle quattro ruote, quindi di tipo autografico (come gli edifici del Foro Romano): ogni
riproduzione sarà una copia di quella testimonianza del passato. La prima chitarra di Elvis Presley,
esposta in un museo, è un oggetto unico, autografico, derivante da una produzione in serie di
chitarre simili (allografiche). Il carattere autografico di quell'oggetto deriva in questo caso da una
particolarità che si è aggiunta ad esso, ovvero il fatto di esser appartenuta a Elvis.
Più improbabile è il processo inverso, quello in cui un'opera già autografica (come San
Pietro) diventi allografica. Anche ipotizzando l'avvento di un'epoca in cui le chiese verranno
14
costruite secondo il modello della chiesa di San Pietro, questo non toglierà il carattere di primum
storico alla sede pontificale.
Da non dimenticare, infine, sono le intenzioni all'origine di un manufatto: il progetto per il
ponte autostradale venne fatto con l'intenzione di produrre più oggetti in diversi luoghi. Il progetto
rappresenta dunque un oggetto "generale", serialmente riproducibile. Ma non si può pensare che,
nel progettare San Pietro, si fosse pensato ad un modello volto ad essere riprodotto più volte e in
più luoghi. Quello era il progetto per la chiesa di San Pietro in Vaticano e null'altro (cfr. Arielli
2003).
Se consideriamo l'opera della Fenice come realizzazione di un progetto originale, una sua
riproduzione sarà un esemplare e non una copia, come sostiene Goodman. Tuttavia la Fenice andata
distrutta non era solo la realizzazione di un progetto, ma aveva acquisito un valore storico in sé.
Ci sono argomenti a favore e contro le due interpretazioni. Tra autografico e allografico, ovvero tra
copia e nuova realizzazione autonoma, c'è dunque un continuum di possibilità, non due categorie
nettamente separate.
Il caso della Fenice è interessante perché rientra nelle categorie delle copie costruite sullo
stesso luogo dove sorgeva l'originale. La coincidenza spaziaie rende la copia un buon candidato per
diventare il "nuovo originale", magari con l'aiuto del tempo e dell'oblio. Per esempio il campanile
di San Marco, crollato all 'inizio del '900 e ricostruito subito dopo, fu considerato inizialmente
come copia. Con il passare del tempo il suo essere copia si è sbiadito. Oggi è considerato il
campanile di San Marco.
A Firenze abbiamo due David di Michelangelo: quello esterno è una copia dell'originale che
si trova all 'interno del museo. Una martellata sul piede della copia non è grave come una martellata
sul piede dell'originale (come è successo qualche anno fa per opera di un folle: la follia ha un
metodo ed è consapevole della distinzione goodmaniana). Ora però un danno al campanile di San
Marco sarebbe considerato un attentato alle Belle Arti, ad un oggetto dotato di valore storico e
architettonico. Non si pensa: "E' solo una copia". E' dunque avvenuta una sostituzione.
Invarianza e identità
Da un punto di vista molto astratto noi abbiamo sempre a che fare con copie. Nulla è
identico a qualcosa d'altro, se non altro perché si colloca in un altro punto dello spazio-tempo. Il
problema è sempre quello del rapporto tra ciò che varia e ciò che è invariante. Talvolta cogliamo le
15
invarianti sullo sfondo di ciò che è variato. Altre volte questo sfondo è impercettibile perché si situa
su una scala di grandezza diversa da quella umana: troppo grande o troppo piccolo. Per noi è
cruciale ciò che è invariante "a occhio": solo un fisico, con le sue apparecchiature, saprebbe
distinguere due chiavi elettroniche (cfr. Legrenzi, 2002). Dal punto di vista delle copie di opere
d'arte, dai quadri agli edifici, è rilevante la scala di grandezza "umana", non l'estremamente grande
né l'estremamente piccolo (cfr. Ferraris, 2001). Se la nuova Fenice fosse identica alla precedente
condizione che è parzialmente vera solo all'esterno - non avremmo un duplicato se non altro perché
è passato del tempo. La successione temporale scandita da una interruzione ha effetti cognitivi
diversi dalla trasformazione nel tempo. In questi ultimi casi non abbiamo "coppie" ma un oggetto
identico a se stesso che si trasforma nel tempo mantenendo ferme alcune invarianti. Ad esempio,
nella fig. 6 vediamo:
- un rettangolo che cade
- un angolo che si espande
- un quadrato che si allarga
- la trasformazione di un quadrato in un rombo
- la progressiva erosione di un quadrato
Basta un'invariante, non occorre l'identicità perché lo stesso oggetto si trasformi nel tempo.
16
Sequenza che raffigura la caduta di un rettangolo
Sequenza che raffigura un angolo che si apre A/\/\/\A L'ingrandirsi graduale di un quadrnto DDOOO Trasformazione di un quadrato in un rombo DDODu// Erosione progressiva [J7 di un quadrato
DDCJ~Fig.6. Il ruolo delle invarianti. (Manfredo Massironi, The Psychology oJ Graphic Images, Seeing,
Drawing, Communicating, ed. Lawrence Erlbaum Associates, Publishers Mahwah, New Jersey,
London, 2002, p.202).
Si badi che in tutti questi esempi di Massironi (2002, p.202) abbiamo un solo caso, il primo,
in cui l'oggetto cambia di posizione nello spazio ma è sempre identico a sé stesso. Negli altri casi la
trasformazione implica anche il cambiamento. Qualcosa del genere è avvenuto anche con la Fenice:
non si tratta di un duplicato ma di una copia.
Una copia, a differenza di un falso o di un duplicato, non deve godere della proprietà
dell'identicità (le statue in distrutte dai Talebani e in ricostruzione godono di questa proprietà, come
i cavalli di bronzo esposti sulla Basilica di San Marco). Quello di cui deve godere è di un elevato
grado di invarianza. Un caso classico, discusso da Hofstadter (1979, pp.146-148), è quello costituito
dai quadri di Escher, dove abbiamo lo stesso animale che cambia di scala. Hofstadter giustamente
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sottolinea che per avere una "copia" non occorre avere lo stesso oggetto ma basta che sussista un
qualche criterio di invarianza. Egli tende a sciogliere il concetto di copia in quello di invarianza:
Escher si è ispirato all'idea che le parti di un oggetto fossero copie dell'oggetto stesso e ne fece una rappresentazione (cfr. fig.?). Ovviamente questi pesci, grandi e piccoli, sono gli stessi solo su un livello sufficientemente astratto ... il DNA del pesce, all'interno di ogni cellula del pesce, è una "copia" dell'intero pesce, e così c'è più che un grano di verità nel quadro di Escher.
Perché una entità è una copia di un'altra? si domanda Hofstadter. Il mapping (corrispondenza
biunivoca) tra una farfalla e l'altra, nella fig.8, non è una corrispondenza tra cellula e cellula. C'è
solo una corrispondenza funzionale tra le parti, questa è l'invarianza che viene mantenuta. Se invece
l'invarianza è dovuta al meccanismo replicatore, come nel caso del DNA, allora Hofstadter ci dice
che quello che c'è in comune tra le copie è un certo "stile".
18
Fig. 7. M.C. Escher, Pesci e squame (1959), in D. R. Hofstadter, GodeI, Escher, Bach: un 'Eterna
Se una copia viene generata da un originale secondo una certa procedura, come' nell'esempio
delle chiavi metalliche, allora le regole di costruzione definiscono ciò che è invariante e ciò che non
lo è. Ad esempio, tutti i numeri primi sono copie l'uno dell'altro nel senso che sono divisibili solo
per se stessi: sono diversi ma sono caratterizzati da un'invariante. Si può prendere un numero
qualsiasi N e dividerlo per 2, per 3, per 4, fino a N-l. Se N sopravvive a tutte queste divisioni allora "
è un numero primo. Tutte le sue "copie" sono caratterizzate dalla sopravvivenza allo stesso test. In
altre parole abbiamo una grammatica che ci permette di generare entità invarianti per un qualche
aspetto.
Nel caso degli edifici è classica l'analisi di Mitchell (1990) della Malcontenta di Palladio.
Mitchell individua una cinquantina di regole che permettono, con un processo dall'alto al basso
(top-down) di generare le forme principali di quella villa. Ad esempio, con le regole 13, 12 e 18,
viene generata la distribuzione delle stanze (cfr. fig. 9), con le regole 26n 35, 46, 47 e 48 SI ~,
generano il muro posteriore della villa e l'entrata (cfr. fig. lO).
21
8.39 Derivation of the room layout of the Villa Malcontenta
.JJ, Ru]e 13
B
P f---------->~.-) <-------><----> '--··--l p rE E E E E
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Fig. 9. La grammatica della Villa Ma1contenta di
Arehiteeture, Design, Computation, and Cognition,
England, The MIT Press, 1990, p.160, Fig. 8.39).
Palladio. (W. J.
ed. Cambridge,
Mitchell, The
Massachusetts,
Logie 01
London,
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22
8.42 Addition of tbe front cntrance and inflection of tbe back wal1 of tbe Villa Malcontenta
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Fig. lO. La grammatica della Villa Malcontenta di Palladio. (W. J. Mitchell, The Logie oJ
Arehiteeture, Design, Computation, and Cognition, ed. Cambridge, Massachusetts, London,
England, The MIT Press, 1990, p.166, Fig. 8.42).
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Senza dilungarci in altri esempi, per cui rimandiamo all'analisi dettagliata di Mitchell, basti
qui osservare che, adottando le stesse regole, si possono costruire quasi-copie della Malcontenta,
introducendo varianti ammesse ed escludendo varianti non possibili, secondo le procedure di una
qualsiasi grammatica chomskiana. Questo è stato fatto anche nel caso della Fenice, che introduce
alcune varianti, rispetto all'originale, pur mantenendo lo stile (nel senso di Hofstadter) complessivo.
Quando il Dipartimento di Design e Arti dell'Università IDAV di Venezia ha avuto l'incarico di
costruire un modello tridimensionale virtuale della nuova Fenice, si è proceduto ad alimentare un
programma con le mappe dei costruttori (non sempre identiche a quelle dei progettisti, cfr. il
problema delle istruzioni sopra trattato). Questo programma funziona come una grammatica
chomskiana, mantenendo alcune invarianti ed eliminando dettagli inessenziali. Ovviamente opera
con scale diverse, producendo modelli che sono invarianti a livelli sempre più astratti.
Il valore della copia
Il concetto di copia viene, nella nostra cultura, per solito svalutato perché implica imitazione
ed assenza di creatività. La rappresentazione ingenua della creatività tende a separare radicalmente
la copia, disprezzata come imitazione, dall'invenzione di un'opera originale, valorizzata per la sua
creatività. Lo studio effettivo dei processi di innovazione, individuali e collettivi, mostra però che
questi agiscono sempre all'interno di vincoli preesistenti (per l'approfondimento di tale problema,
cfr. Legrenzi 2001). Sono tali vincoli che ci fanno scartare alcune invenzioni a favore di altre.
Questo può avvenire nella mente del singolo progettista, o anche nella società o nella natura. E'
Darwin lo studioso che per primo ha analizzato questo meccanismo in natura. Con le parole di
Steven Pinker (1997, p.22):
Charles Darwin ha mostrato come "organismi di estrema perfezione e complicazione, che suscitano giustamente la nostra ammirazione" sono il prodotto non della provvidenza divina ma della evoluzione di replicatori [costruttori di copie, N.d.T.] lungo periodi immensi di tempo. Via via che i replicatori replicano, possono emergere errori nelle operazioni di copiatura e, per puro caso, può capitare che alcuni di questi errori finiscano per migliorare la sopravvivenza ed il tasso di replicazione: sono questi errori che così si accumulano per più generazioni. Le piante e gli animali sono replicatori e i loro complicati meccanismi sono stati "engineered" per permettere loro di sopravvivere e di riprodursi...
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Possiamo immaginarci una fotocopiatrice che non fa copie perfette ma produce casualmente
alcune variazioni rispetto all'originale. Il più delle volte queste variazioni peggiorano l'originale ma,
talvolta, per puro caso, lo migliorano. In questa prospettiva l'operazione di copiatura non viene più
concepita come qualcosa di ripetitivo, privo di originalità. E' nella copiatura, che è sempre
imperfetta altrimenti sconfinerebbe nella duplicazione, che si annida l'originalità stessa. L'altro
ingrediente essenziale è il caso: non sappiamo quale sia la copia che permette di migliorare
l'originale. Produciamo numerose varianti: è il caso a generarle. Quasi tutte finiscono per
scomparire, in quanto non adattive. Poi, quasi per miracolo, una copia si rivela migliore
dell'originale nel senso che, a sua volta, si riprodurrà più velocemente dell'originale che la ha
generata.
Da questo punto di vista le ville del Palladio, che hanno prodotto molteplici "copie" del
mondo, si sono rivelate "adattive". Le regole che le generano hanno funzionato meglio di altre ed
hanno così permesso la replica in innumerevoli varianti. In questa prospettiva la copia, anzi il
numero delle copie, viene rivalutato come indice dell'efficacia delle regole che hanno generato il
prototipo originale. Abbiamo una grammatica che produce esemplari: tutti sono ammissibili ma
taluni sono più graditi di altri e si diffondono. Nell'ottica darwiniana anche l'originale stesso è una
copia, in quanto prodotto dalle stesse regole. L'unica differenza è l'essere stato generato per primo,
da chi ha introdotto tali regole, modificando regole precedenti.
In conclusione, in una prospettiva evoluzionista, è proprio la generazione di copie che è
testimonianza di originalità, della genesi di varianti che invece di essere peggiori dell'originale si
sono rivelate migliori. Questa è l'origine del "dov'era e come era" della Fenice. Un variante di
successo si replica, non si cambia.
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