commenti mercoledì 25 febbraio 2015 23 C’è un pregiudizio contro i poliziotti di Riccardo Polidoro e denunce de ”il Carcere possibile”, Onlus della Camera Penale di Napoli, del Garante dei diritti dei detenuti della Regione Campa- nia e di Pietro Ioia presidente di un’associazione di ex detenuti, alla Procura di Napoli avevano avviato diverse indagini che, unificate, hanno portato al- l’iscrizione, nel registro degli indagati, di 4 agenti di Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale, per i delitti di sequestro di per- sona, maltrattamenti e abuso di autorità. Da anni i detenuti denunciavano l’esistenza della ”cella zero”, luogo dove, chi doveva essere punito, per aver infranto le regole del rispetto e della sotto- missione agli agenti, veniva denudato e picchiato, ma nessuno aveva voluto essere identificato in pas- sato, per paura di ritorsioni e vendette. L’anonima- to non aveva consentito l’inizio dell’indagine o co- munque l’approfondimento investigativo. Ora il clima sembra mutato. Il trasferimento della di- rettrice e il cambio ai vertici della Polizia Peniten- ziaria dell’istituto sono stati segnali importanti per far comprendere che alcuna violenza sarebbe stata più tollerata. Certo tollerata! Perché di maltratta- menti a Poggioreale si è sempre parlato, ben prima che venisse nominata la direttrice poi trasferita. In un carcere che era arrivato ad una presenza di circa 3000 detenuti, più del doppio di quella regolamen- tare, dove i detenuti erano letteralmente ammassati nelle celle umide, con il wc alla turca a vista, unico obiettivo era quello di mantenere l’ordine a qualun- que costo. E il costo lo pagava sempre chi subiva quell’illegale detenzione. Se non vi era tolleranza, vi doveva essere cieco controllo su quella brutale e rac- capricciante regola non scritta, che tutti i detenuti conoscevano e temevano. Ricordiamo ancora le parole del comandante degli agenti di Poggioreale, quando, durante una video- inchiesta all’interno della casa circondariale, ri- L spondendo al giornalista Antonio Crispino, che si lamentava per come si era rivolto a lui e al suo ope- ratore, fece comprendere che quello era niente ri- spetto al trattamento riservato ai detenuti. Oggi un altro video realizzato dal fotoreporter Sal- vatore Esposito, in collaborazione con il giornalista Andrea Postiglione e Pietro Ioia, racconta della ”cel- la zero”, raccogliendo la testimonianza di alcuni ex detenuti, che mostrano, senza timore, il loro volto. Parole dure, che descrivono incredibili, atroci e ri- petute violenze. Questo, dal 1981 secondo gli auto- ri del filmato, era il sistema Poggioreale, conosciuto da molti, dentro e fuori il carcere e messo in atto da chi si riteneva al di sopra della Legge, vero e proprio impunito carnefice. Come sempre, anche in questo caso, attendiamo che l’indagine faccia il suo corso, che gli indagati si di- fendano, che i Giudici si pronuncino, prima di in- dividuare colpevoli. Ma l’attività della Procura di Napoli rappresenta, comunque, una tappa impor- tante per il raggiungimento di una nuova visione del carcere sia dal suo interno, che dall’esterno . C’è ne- cessità di una totale trasparenza, che possa anche far comprendere agli stessi agenti di Polizia Penitenzia- ria l’importanza del loro lavoro e l’esigenza d’isola- re le mele marce che, con atti e parole (si pensi alle recenti espressioni in occasione dell’ennesimo sui- cidio in carcere) infangano un’intera categoria. L’at- tività dell’agente non deve essere mirata solo alla si- curezza, ma anche all’accoglienza, alla comprensio- ne del disagio, alla condivisione dei percorsi trac- ciati da personale specializzato. In questo modo, l’opinione pubblica potrà vedere nel carcere non so- lo il luogo della giusta-sofferenza, per aver perso la libertà, ma anche quello della possibile rinascita di individui che hanno sbagliato. Per il bene di tutti, anche di coloro che in carcere non ci sono mai sta- ti e pensano che mai ci andranno . * responsabile “Osservatorio Carcere” dell’Unione Camere penali La “cella zero” a Poggioreale, finalmente il racconto dell’orrore di Massimo Montebove* uello che gli operatori delle forze dell’ordine rischiano ogni giorno è ben rappresentato dalla vicenda del carabiniere di Lucca, emersa nei giorni scorsi, che ha arrestato in flagranza un tunisino che stava rubando rame all’interno di un’azienda e che è stato poi accusato dal ladro di lesioni, finendo così in giudizio. Il risultato? Una condanna per il carabiniere a 6 mesi di reclusione con pena sospesa e un risarcimento danni per 7.500 euro, oltre alle spese (1.750 euro più Iva) ed una provvisionale immediata di 3.500 euro. I fatti raccontano di un ladro sorpreso in flagranza di reato che ha tentato di fuggire e che è stato poi acciuffato, immobilizzato e ammannettato dal bravo carabiniere. Il tunisino, invece, ha accusato il mio collega di aver utilizzato modi bruschi e al momento del foto-segnalamento ha avuto un malore: da lì è stato un gioco da ragazzi farsi attribuire qualche lieve lesione al pronto soccorso. Una storia che tocca un nervo scoperto che riguarda migliaia e migliaia di poliziotti, carabinieri, finanzieri, penitenziari e forestali che ogni giorno vivono situazioni di questo tipo. Con uno stipendio medio netto di 1.300/1.400 euro al mese e senza alcuna forma di assicurazione efficace da parte dello Stato, l’operatore in divisa è a rischio ogni volta che agisce, che arresta una persona (foss’anche il peggior delinquente), che interviene per sedare una lite familiare o una rissa, che opera in un contesto di (dis)ordine pubblico. Il rischio non è solo quello di tornare a casa feriti o di tornarci purtroppo in una bara avvolta da bandiera tricolore. Il pericolo è quello di pagare un conto alto solo per aver fatto il proprio dovere e questo ”giochino” lo hanno appreso bene in tanti. Qui nessuno difende gli abusi in divisa, sui quali dovremmo aprire un capitolo a parte, soprattutto per quel che riguarda i numeri: i casi realmente accertati e giunti a sentenza definitiva di condanna si contano, negli Q ultimi anni, sul palmo di una mano. Tutto questo a fronte di decine e decine di migliaia di interventi dei servitori dello Stato che hanno impedito crimini o prevenuto nuovi reati. Senza contare un numero enorme che non viene mai citato: sono 6.000, solo nella Polizia di Stato, gli operatori che ogni anno restano feriti per motivi di servizio. Il problema che la vicenda di Lucca evidenzia è un altro: il nostro sistema processuale penale non offre garanzie al poliziotto o al carabiniere. Anzi, pare ”soffrire” di un pregiudizio nei confronti dell’operato di chi porta una divisa. E’ evidente che un arresto a seguito di inseguimento e successiva immobilizzazione avviene in maniera concitata, specialmente se l’autore del reato oppone resistenza. Si sta ormai sviluppando una pericolosa prassi che vede nell’uso legittimo della forza sempre l’anticamera dell’abuso. Nella vicina Francia il meccanismo è molto diverso, una denuncia di eventuale abuso delle divise viene vagliata e valutata in modo molto attento, non scatta automaticamente un avviso di garanzia che comporta da noi, tra l’altro, l’avvio di un procedimento disciplinare. In Italia le cose funzionano in altro modo e non a caso si è più volte dibattuto, senza successo, sulla possibilità di una modifica del codice di procedura penale che obblighi i giudici ad una valutazione preventiva di garanzia sui fatti aventi origine e causa nel servizio di polizia, con l’introduzione di una particolare forma di archiviazione, richiesta con atto motivato, qualora le condotte degli operatori delle forze dell’ordine possano attagliarsi a una qualunque causa di giustificazione (artt.50 – 54 c.p. cioè legittima difesa, uso legittimo delle armi, adempimento di un dovere, etc.). Nessuno chiede impunità, ma non è più possibile tollerare questo accanimento nei confronti delle donne e degli uomini in divisa. Come è avvenuto a Lucca. *portavoce nazionale Sap - Sindacato autonomo di polizia www.ilgarantista.it facebook.com/ilgarantista twitter.com/IlGarantista direttore responsabile Pietro Sansonetti vicedirettora Angela Azzaro Ufficio centrale Franco Insardà Davide Varì Redazione Roma via della Panetteria, 10 00187 Roma Tel. 0645664400 Fax 0645664411 [email protected] Redazione Reggio Calabria via Eremo al Santuario, 75 89124 Reggio Calabria Tel. 09651970100 [email protected] Redazione Cosenza Trav. 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