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il CANTIERE MUSICALERivista del Conservatorio Niccolò
PaganiniAutorizzazione Tribunale di Genova n.10/2006 del 21 aprile
2006
Genova - Anno V, Numero 17 (X/48) MAGGIO 2010 Lele Luzzati
scelgono i legni già affettati sulle mensole della stagionatura,
lilavorano e ne misurano la risonanza. È bello allora, per
unavolta, che la musica sia per gli alberi, e non il contrario. A
quanti non potranno partecipare alla visita scientifico-musicale
pomeridiana, dedicheremo invece in orario seraleuno specifico
locale all’interno dell’istituto in cui saràpossibile ripercorrere
il percorso attraverso foto e schedetecniche e in cui sarà
allestito uno spazio dedicato alla costru-zione degli strumenti
musicali, alle particolarità dei legni sceltiper ognuno di essi,
alle loro stagionature, venature, essenze… Non mancheranno
naturalmente i consueti concerti all’aperto(sino alla mezzanotte),
nell’auditorium e nelle aule (sino almattino) che hanno
caratterizzato negli ultimi anni questo ap-prezzato appuntamento di
inizio estate. Un solstizio che segnal’inizio della lunga stagione
degli esami e chiude, al tempostesso, le attività pubbliche di fine
anno: i saggi di classe (3-24maggio), innanzitutto, che
rappresentano il più tradizionale edimportante momento di
esibizione di tutti gli studenti; larassegna “Antichi cortili
giovani talenti” (26-30 maggio), giuntaalla terza edizione e
specificamente dedicata alla valorizza-zione e alla reciproca
conoscenza degli studenti dei conserva-tori italiani e stranieri; i
concerti finali (1-12 giugno) cheimpegnano i migliori allievi del
Paganini sui palcoscenici diPalazzo Spinola di Pellicceria, del
Museo Edoardo Chiossone,della Sala del Munizioniere di Palazzo
Ducale, dell’Oratorio diSant’Erasmo di Sori, dello stesso
Conservatorio; l’esibizione,infine, il 14 giugno al Teatro Carlo
Felice, dell’Orchestra degliAllievi del Conservatorio affiancati
per l’esecuzionedell’Ouverture 1821 dalla Fanfara della brigata
alpinaTaurinense!
Patrizia Conti
Una “notte bianca”tra musica e biodiversità
Le Nazioni Unite hanno procla-mato il 2010 Anno
Internazionaledella Biodiversità per celebrare lavita sulla terra e
il valore che labiodiversità ha per le nostre vite.Alla diversità
biologica, dunque, ilConservatorio Paganini dedicheràquest’anno la
sua attenzione
(come già accaduto negli scorsi anni in occasione degli
anniinternazionali della filatelia o dell’astronomia) per
contribuirea questa importante celebrazione dal suo particolare
punto divista - quello musicale - in occasione della Festa Europea
dellaMusica, il 21 giugno. Musica e ambiente, dunque, comeconnubio
utile ad amplificare il messaggio del rispetto dellaBiodiversità.
Fra le possibili suggestioni, si è scelto il tema delle piante:
lavarietà di piante secolari del parco di Villa Bombrini a cuisiamo
così tanto (felicemente) abituati da poterci permetteredi degnarle
di poco più di uno sguardo; le piante e i fiori cosìcome sono state
interpretate dai musicisti nei secoli; maanche le piante nel loro
insieme e nella loro varietà che, fra itanti servigi che rendono
all’uomo, hanno la particolarità diprodurre uno dei beni più
necessari ai musicisti: il legno. La nostra Festa della musica 2010
(la notte bianca…) si snoderàdunque attraverso un percorso che avrà
inizio nel pomeriggiodi lunedì 21 giugno con una visita guidata del
parco durante laquale le osservazioni scientifiche curate dal prof.
Mauro Mariottie dalla dott.ssa Claudia Turcato dell’Orto
Botanicodell’Università di Genova saranno intervallate da piccoli
“tributi”musicali resi da studenti e docenti del Paganini alle
piantestesse. Da sempre, infatti, gli alberi si ascoltano da
“morti”; i liutai
In questo numero:≠ Antichi Cortili Giovani Talenti 2010 ≠ Chopin
e i suoicoetanei ≠ Un’orchestra di violoncelli ≠ Il Quartetto
diCremona al “Paganini” ≠ Gli spartiti in braille di MassimoDonati
regalati al “Paganini” ≠ Al Conservatorio, gli spartitiper arpa di
Maria Luigia Giannuzzi ≠ Paura di suonare≠ Omaggio a Luigi Cortese
≠ Operamania - Percorsi nelmondo dell’Opera ≠ Elisabetta Garetti ≠
CarmelaBongiovanni ≠ Un grande abbraccio attraverso l’arte≠ «Spazio
per libera espressione» ≠ A bocce ferme?≠ Diabolus in musica ≠ La
crisi dei teatri ≠ Gregg Miner,presidente dell’ Harp Guitar
Foundation, ospite nella patriadi Taraffo ≠ I Sei quartetti per
archi attribuiti a BeethovenAnhang 2 ≠ La settimana internazionale
del flauto dolce≠ EstOvest: un viaggio nella musica di oggi ≠ Il
giro delmondo in 80 mani ≠ Federica Astengo premiata a Cervo
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Al via la terza edizione della rassegna musicale
Antichi CortiliGiovani Talenti 2010Genova con i suoi splendidi
palazzi e i suoi giardini, quelliancora segreti e quelli che pian
piano stanno uscendo dai loronascondigli, angoli quasi
incontaminati e ricchi di magia, cheaspettano ogni giorno di essere
svelati, guardati e vissuti.Anche con questo spirito prende il via
la terza edizione dellarassegna musicale “Antichi Cortili
GiovaniTalenti”, dal 26 al 30 maggio, quest’annoper la prima volta
organizzata intera-mente dal Conservatorio Paganini, conil
patrocinio di MIUR e AFAM, il contri-buto della Provincia e in
collaborazionecon il Museo Diocesano, il MuseoSant’Agostino e il
Museo d’Arte OrientaleEdoardo Chiossone. Cinque giorni diconcerti,
protagonisti giovani e giovanis-simi musicisti provenienti da
conservatoriitaliani e stranieri (Nizza, Georgia USA eLugano), che
rivestiranno cortili e palazzigenovesi di musica, con i più
svariatistrumenti e con un repertorio vastissimo chetocca tutte le
epoche, dal barocco al novecento,con brani di musica da camera,
sinfonica, lirica. E natu-ralmente con le formazioni più diverse,
dall’orchestradi fagotti all’orchestra sinfonica, dal duo
“classico”con pianoforte alla coppia inusuale di arpa e clari-netto
del Conservatorio di Nizza, dal quartettod’archi tradizionale a
quello, curioso, di contrab-bassi dell’Università della Georgia.
Con in più unconcerto straordinario del “nostro” ormai
celebreQuartetto di Cremona nel Salone del Conservatorio(sabato 29,
ore 18.15), che si esibirà in parte nellasua formazione di base, in
parte sedendo alfianco di quattro studenti del Paganini, alla
finedi un percorso di formazione svoltosi nelcorso di questo anno
accademico con l’interaclasse di musica d’insieme per archi.
Insomma, Genova diventa un palcoscenico dacalcare, con l’incanto
degli scenari più affasci-nanti. “Un’idea portante della rassegna è
la sceltadel contesto – dice il Direttore del ConservatorioPatrizia
Conti - tutti luoghi d’arte che permettono aigenovesi e ai turisti
di seguire un tracciato di estremo valore;dal troppo sconosciuto
chiostro del Museo Diocesano alfascino delle sculture orientali del
Museo Chiossone, dall’at-mosfera quasi campestre del chiostro di
Sant’Agostino all’au-sterità del cortile di Palazzo Doria Spinola.
Con passaggi nellasala concerti del conservatorio, per alcuni
eventi che non siprestano troppo bene ad un’esecuzione en plein air
e in unodei cortili di Via Garibaldi, cuore artistico della città
chenon poteva essere trascurato”.
Un progetto importante, che oltre ad aprire il sipario
sullebellezze della nostra città vuole valorizzare i talenti
nostrani (enon solo), aiutarli ad emergere, a vivere l’esperienza
fonda-mentale dell’esecuzione pubblica e del confronto e
accompa-gnarli nel loro cammino verso la professione, lunga, dura,
maricca e stimolante. “L’idea di Nando Dalla Chiesa era
proprioquesta – continua Patrizia Conti – quando, insieme al
nostroconservatorio, ideò la manifestazione nel 2008: aiutare tutti
ivalidissimi ragazzi che lui aveva avuto modo di conoscere
edapprezzare durante la sua esperienza di Sottosegretario,
condelega su tutto il settore dell’alta formazione artistica e
musicale.E ora tocca a noi portare avanti questa lodevole
inizia-tiva.” Tra i protagonisti, sempre per rimanere in temadi
valorizzazione dei migliori talenti, anche alcuni deivincitori del
Premio Nazionale delle Arti che ha
coinvolto studenti di tutti i conservatori italiani:Arianna
Rossi, vincitrice del Premio arpa, del
Conservatorio di Torino, che inaugurerà larassegna mercoledì 26
al Museo diSant’Agostino (ore 17); e Anna MariaSotgiu (vincitrice
del Premio cantomoderno) in scena venerdì 28 al Museo
Chiossone alle ore 17, in duo con PietroMartinelli al
contrabbasso. Ma vediamo nel
dettaglio le “cinque giornate”, a partire dal 26:oltre ad
Arianna Rossi, suoneranno il “PaganiniChorus Clarinet” diretto da
Giuseppe Larucciaal Museo Diocesano (ore 18.15) e il duo
arpa-clarinetto Daphnè Milio e Adam Eljasnski aPalazzo Doria
Spinola (ore 21). Giovedì 27, “InTrio” del conservatorio Paganini
al MuseoChiossone (ore 17), il Quintetto di fiati del
con-servatorio di Cuneo al Diocesano (ore 18.15) eil “Florentia
Saxophone Quartet” del conserva-torio di Firenze a Palazzo Doria
Spinola (ore21). Venerdì, oltre al duo
Sotgiu-Martinelli,l’orchestra del Paganini diretta da
AntonioTappero Merlo con il violoncello solistaMartina Romano si
esibirà nel salone delconservatorio (ore 18.15).Sabato 29 in
programma il già citatoconcerto straordinario del Quartetto
diCremona, mentre al Museo Chiossone(ore 17) si esibiranno Caterina
Zattera
(violino) e You Jin Park (pianoforte) delconservatorio di La
Spezia; a Palazzo Doria
Spinola (ore 21) suoneranno invece il“Quartetto University
Georgia” di “Hugh Hodgson School ofMusic” e il “Quartetto d’Archi”
del conservatorio diAlessandria. Ultimo giorno domenica 30, con l’
“Henry PurcellRecorder Consort” del conservatorio della Svizzera
Italiana aPalazzo Rosso (ore 11) e con la “Fagottorchestra”
dell’IstitutoMusicale “Mascagni” di Livorno diretta da Paolo
Carlini alMuseo di Sant’Agostino (ore 17). Tutti i concerti sono
adingresso libero.
Barbara Catellani
Si ringrazia il Comune di Genova perla gentile concessione del
cortile diPalazzo Rosso e dell’immagine grafica.
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ilCMN°17 2010
Marco Vincenzi racconta la masterclass del collegaPietro De
Maria
Chopin e i suoi coetaneiMi fa un certo effetto entrare al
“Paganini” con Pietro De Mariaper la sua masterclass di fine
aprile: ogni volta che ci incon-triamo, infatti, mi viene in mente
la prima volta che l’ho visto(e ascoltato) al Conservatorio
Superiore di Ginevra nel 1985.Lui aveva appena superato l’esame di
ammissione per seguireil Cours de perfectionnement et virtuosité di
Maria Tipo, concui io stavo frequentando l’ultimo anno. Le lezioni
si svolge-vano con cadenza mensile: da una volta all’altra, la
nostra inse-gnante ci chiedeva di portare sempre qualcosa di nuovo.
A DeMaria chiese di preparare un Etude-Tableau a sua sceltadall’op.
39 di Rachmaninov: il mese dopo, Pietro arrivò con inove Studi (a
memoria), dicendo con assoluta semplicità che– non sapendo quale
scegliere – li aveva “letti” tutti! Questo fuil suo ingresso in una
delle classi di pianoforte più prestigiosed’Europa: in quello
scorcio di anno – per lui il primo, per mel’ultimo a Ginevra –
avemmo comunque modo di entrare inconfidenza. Da parte mia,
apprezzai – oltre alle doti musicali epianistiche non comuni del
mio amico – l’altrettanto noncomune modestia, che è una sua
caratteristica ancora oggi,nonostante un’importante carriera in
pieno svolgimento:Premio “Dino Ciani”, Premio “Géza Anda”, concerti
in tutto ilmondo, integrale di Chopin in uscita per la Decca con
recen-sioni entusiastiche dopo ogni CD…Ci sono una quindicina di
ragazze e ragazzi che attendononell’aula 8 la prima mattina: è
previsto che ognuno di lorofaccia due lezioni con Pietro De Maria.
In questo modo, chiriuscirà a studiare dopo la prima lezione
proverà a mettere inpratica i consigli ricevuti, beneficiando di
un’ulteriore verificada parte dell’insegnante. Il clima è molto
disteso: i nostrialunni si rendono conto di suonare davanti a un
concertistache si mette costantemente alla tastiera, ma che è anche
undidatta paziente e disponibile a lavorare con loro. L’autore
piùpresente è naturalmente Chopin, di cui vengono portati
adascoltare diversi Studi, Notturni, i primi tre Scherzi, le
ultimedue Ballate, la Berceuse, la Barcarola; seguono Schumann
(Pezzi fantastici,Novellette, Scene delbosco),
Mendelssohn(Fantasia) e Liszt(un paio di Studi).Unica eccezione
alrepertorio romanticoè il Quinto Concertodi Beethoven, presen-tato
da un corsistaproveniente daCatania: la master-class è infatti
apertaanche agli esterni.La prima cosa che faDe Maria dopo
averascoltato attenta-
mente ogni allievo è un rapido inquadramento stilistico
delbrano. Per quanto riguarda Chopin, viene sempre evidenziatala
chiarezza della redazione pianistica, che lascia relativamentepoco
spazio a “libertà” fuori luogo. Spesso è citato Bach comepunto di
partenza della creatività chopiniana: ad esempio, ilprimo Studio
dell’op. 10 è visto come una rivisitazione ingran-dita del primo
Preludio del Clavicembalo ben temperato.L’accostamento era già
stato fatto da Alfredo Casella, ma DeMaria insiste sulla
grandiosità che non deve diventare pesan-tezza: e qui inizia a
suggerire diversi approcci alla tecnicadegli arpeggi e delle
estensioni, senza mai perdere di vista laqualità del suono. Nel
caso del terzo Scherzo, invece, l’atten-zione è concentrata sulla
sezione intermedia, dove il solenne“corale” nel registro
medio-grave deve integrarsi con laliquidità degli arabeschi in
quello acuto: bisogna cambiare lasonorità, ma non il tempo. Si può
dire che emerga una visione“classica” di Chopin, in linea con il
rispetto della scrittura edella forma: perché non osservare le
piccole varianti nell’espo-sizione del tema della quarta Ballata o
non mantenere inalte-rato il tactus della Berceuse? La vera libertà
di Chopin stanelle minime sfumature dei suoi testi, che vanno
studiati afondo in edizioni filologicamente attendibili e mai
affrontatisuperficialmente.Più in generale, appare chiara
l’impronta della grande scuoladi Maria Tipo, della quale mi sembra
in certi momenti dirivivere le lezioni. Alla cura del suono, De
Maria riserva un’at-tenzione continua: i concetti di appoggio,
rilassamento, morbi-dezza sono ripetuti – con garbo – alla maggior
parte degliallievi. La tecnica strumentale è sempre messa al
servizio diuna particolare resa sonora, così come i movimenti
delbraccio e l’elasticità del polso, che deve servire da
“ammortiz-zatore” sulla tastiera. Il pedale è concepito in
relazione altocco, ma sovente ci rendiamo conto di come la
risonanza delpianoforte debba essere calibrata in base alla
condottaarmonica e di come si possano “allungare” certe
pedalizzazionitradizionali senza che si creino squilibri. Insomma,
si arriva al-l’ultimo pomeriggio con la sensazione di aver
trascorsoqualche giorno nella bottega di un raffinatissimo e
generosoorafo, che ha messo a disposizione degli studenti (e di
queidocenti che hanno voluto partecipare) alcuni – preziosi
–segreti della sua arte.
Marco Vincenzi
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Francesco Galligioni e Paolo Ognissanti. Mentre per il
conser-vatorio di Bolzano erano presenti i professori Lucio
LabellaDanzi e Nicola Baroni.«Il gruppo di violoncellisti di
Bolzano è già stato formato datempo: avevamo fatto anche alcuni
concerti in Alto Adige,spiega Nicola Baroni: «avendo frequentato il
“Paganini” comecommissario d’esame, ho avuto modo di verificare
l’altissimolivello dei vostri allievi. E parlandone col vostro
direttore, ènata l’idea d’una collaborazione. Il lavoro è stato
concentratoin due giorni, ma credo sia stato molto fruttuoso.
Questi“scambi” d’esperienze didattiche e interpretative sono
giàrodati, ad esempio un gruppo di clarinettisti genovesi èvenuto
mesi fa a Bolzano, ed anche i dipartimenti di musicaelettronica dei
due conservatori hanno avuto già occasione dicollaborare». Per noi
Genova non è esattamente dietrol’angolo, ma è senz’altro
un’esperienza da ripetere».
GDM
In collaborazione con il conservatorioClaudio Monteverdi di
Bolzano
Un’orchestra di violoncelliSedici violoncellisti in scena: è
accaduto lo scorso 8 maggio,nella sala concerti del “Paganini”.
Erano studenti e docenti delconservatorio di Bolzano e di Genova,
che proponevanol’esito concertistico di un laboratorio-incontro
nato nell’am-bito di una collaborazione didattico artistica avviata
con ilConservatorio Claudio Monteverdi già nell’ottobre 2009. Il
concerto, aperto con l’esecuzione della celeberrima ariainiziale
della Bachiana Brasileira n. 5 di Heictor Villa Lobos, havisto
l’esibizione degli studenti altoatesini Omar FlavioCareddu, Sara
Langes, Erwin Moroder, Federica Ragnini, CarloVettori, insieme ai
loro colleghi genovesi FedericoBragetti, Simone Cricenti, Melissa
Del Lucchese, Laura Monti,Matteo Piccardo, Martina Romano, Masis
Shahbazians e PaolaSiragna. Docenti del “Paganini” coinvolti,
Matteo Ronchini,
Il Quartetto di Cremonaal “Paganini”Prosegue fruttuosamente
ormai da alcuni anni il rapportotra il più importante quartetto
d’archi genovese, il“Quartetto di Cremona”, ed il conservatorio
Paganini.Quest’anno sono stati programmati nove incontri con
glistudenti di Quartetto, cinque dei quali aperti anche allealtre
classi e all’utenza esterna. Ultimo appuntamento,anche questo
accessibile al pubblico, sabato 29 maggio, apartire dalle ore 15.
Alle 18.15 il Quartetto si esibirà, pressola Sala Concerti del
“Paganini”, sia nella consueta forma-zione, sia al fianco di
altrettanti studenti genovesi.Riportiamo una breve testimonianza
firmata da uno deipartecipanti agli incontri.
Poco prima di entrare nell’aula di organo dove i Cremona
ciavrebbero tenuto lezione, eravamo tutti un po’ agitati: suonaredi
fronte a un quartetto di tale livello non è cosa da tutti igiorni.
Poi, dopo qualche minuto, l’atmosfera si è via via fattamolto più
rilassata: eravamo di fronte sì a dei “mostri” dellostrumento ma
soprattutto a dei giovani come noi, cresciuti
nelle stesse nostre aule, anche se con qualche anno in più
emolto più “arrivati”. Un approccio molto disteso, lontano
dallarigidità e dal timore che molti altri musicisti del loro
calibroavrebbero potuto incutere. Rotto subito il ghiaccio, le due
oredi incontro sono volate e ci hanno lasciato una grandeemozione e
un’esperienza che sicuramente molti di noi vor-rebbero ripetere.
Straordinari artisti, di loro ci ha colpito sopraogni cosa la
grande disponibilità e la capacità di trasmettercicon molta
semplicità e immediatezza l’arte di suonare inQuartetto.
Stefano Sancassan
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ilCMN°17 2010
Gli spartiti in brailledi Massimo Donati regalatial
“Paganini”
Il 16 febbraio dell’anno scorso è mancato mio padre,Massimo
Donati. Si era diplomato in Musica Corale alConservatorio “G.
Verdi” di Torino nel 1961 e in pianofortenel 1963 qui a Genova.Ha
dedicato tutta la sua vita alla musica: era pianista,organista, ha
diretto per moltissimi anni il coro di SantaSabina ed ha insegnato
musica in quelli che una volta sichiamavano Istituti Magistrali,
impartendo da semprelezioni private di pianoforte e canto.Per lui
l’insegnamento era una vera e propria vocazione.Riusciva a tirare
fuori il meglio da ogni suo allievo. Moltedelle sue allieve e dei
suoi allievi, crescendo sono diventativeri amici e alle volte, ai
concerti GOG, incontro suoi exstudenti.Certo era parecchio severo:
ha provato ad insegnare piano-
Al Conservatorio,gli spartiti per arpadi Maria Luigia
GiannuzziSette faldoni di spartiti per arpa sola, tra libri e
manoscritti:
materiale prezioso, che è stato recentemente donato al
conser-
vatorio di Genova.
Si tratta del Fondo Giannuzzi, un centinaio di spartiti che
il
figlio dell’arpista Maria Luigia Giannuzzi, Massimo Lauricella
–
anch’egli docente al Paganini – ha voluto offrire al
conserva-
torio in cui la madre ha insegnato per quarant’anni.
Maria Luigia Giannuzzi, classe 1921, pugliese di nascita ma
cresciuta a Firenze (città di cui aveva mantenuto, anche in
tarda età, l’inequivoca-bile inflessione), èmancata nel
1999.Concertista militante, ingioventù aveva suonatoper molti anni
in triocon Severino Gazzellonie Bruno Giuranna.Trasferitasi a
Genova inquanto vincitrice dicattedra al conservato-rio, qui aveva
cono-sciuto il suo collegacoetaneo, poi compagno
per la vita, Sergio Lauricella, noto compositore che per
moltianni diresse il conservatorio di Genova.
forte a mio fratello Andrea, ma lo sport era per lui troppopiù
allettante. Mia sorella Marcella, all’età di otto anni, glidisse
che la sgridava già abbastanza come papà, cimancava solo che lo
facesse anche come insegnante. Conme ha avuto più fortuna. Più o
meno.Ricordo la sua passione per i grandi pianisti del
passato:Rubinstein, Horowitz, Gilels, Backhaus... ricordo i
suoigiudizi sempre molto critici sui pianisti che andavamo
adascoltare assieme. Lo faceva, credo, per incoraggiarmi efarmi
credere che non era impossibile guadagnarsi davivere suonando. In
realtà, in me provocava la reazioneopposta: avevo troppa paura di
deluderlo. Ricordo la suapazienza quando cercava di inculcarmi
nozioni di armo-nizzazione e improvvisazione.Ricordo il mio stupore
quando mi correggeva la diteggia-tura. Il mio papà era non vedente
e, come il mio insegnante- il maestro Pasquero - aveva questa
sensibilità nell’ascoltoassolutamenteincredibile. Tra lecose che ci
halasciato, ci sono isuoi spartiti etrattati musicaliin braille.
Alcuniabbiamo decisodi tenerli perricordo, gli altrisiamo felici
didonarli alConservatorio diGenova affinchècostituiscano ilprimo
nucleo diun fondo chepossa servire amusicisti nonvedenti.
Alessia Donati
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Suono da 32 anni il corno inglese nell’orchestra del Teatro
Carlo Felice.In tutti questi anni, oltre all’attività musicale in
orchestra, musica da camera e solisticae insegnamento, sono sempre
stato attratto da esperienze che permettessero lacrescita e lo
sviluppo personale, e questo mi ha dato l’opportunità di conoscere
nuovimodelli che si sono rivelati molto utili per la mia carriera
professionale e non solo.So che alcuni o molti di voi si trovano a
disagio nel momento in cui devono eseguireun brano musicale in
pubblico sia che suonino con altri sia che suonino da soli,
mentrealtri trovano difficoltà nel concentrarsidurante la
preparazione, oppure non sisentono a proprio agio con lo strumento
indi-pendentemente dallo studio e dal tempo chevi dedicano.A volte
si parla di disagio, a volte di paura eanche di panico paralizzante
che ci impedi-scono di realizzare tutto quello che siamo ingrado di
fare.In tutti questi anni mi sono confrontato conqueste realtà
quasi quotidianamente e la per-cezione che ci potesse essere un
modo diversodi affrontare un esecuzione, mi ha sempre
ac-compagnato. La mia ricerca mi ha fatto viverenumerose e
importanti esperienze, dalTraining autogeno sino alla
meditazioneprofonda, dallo Yoga e altre tecniche energetiche
naturali, passando anche attraversola Psicanalisi, arrivando infine
alla Programmazione Neurolinguistica, sperimentandoe approfondendo
metodologie che mi permettessero di pensare e agire
efficacemente.Tutto questo è sfociato in una quasi naturale
selezione di diverse tecniche che hannodato a me ed ad altri
musicisti una nuova chiave di accesso al nostro mondo interiore,sia
in ambito musicale che in quello personale. Tutto questo mi ha
permesso disuperare quelle paure che a volte potevano essere
paralizzanti o anche quel disagioche risolto mi permetteva di
esprimere completamente quello che io desideravo.Ed è proprio
questo che voglio trasmettere a tutti gli studenti del
conservatorio che lodesiderano, in modo che possano superare il più
presto possibile quel disagio ed af-frontare la loro vita musicale
avendo a disposizione maggiori risorse che danno lorola possibilità
di essere più liberi nelle loro esecuzioni.In questi anni ho
vissuto esperienze che mi hanno fatto comprendere che le
nostrepaure, timori e anche fobie, se correttamente osservate e
utilizzate possono diventareun valido strumento che ci permette di
raggiungere risultati eccellenti durante un’ese-cuzione. Nella mia
carriera ho numerosi esempi di esecuzioni nelle quali la mia
paurasi trasformava in quella che a me piace definire “magia
dell’esecuzione” dove si pre-sentavano soluzioni sia tecniche che
espressive mai sperimentate nella fase di prepa-razione. E questo
si rendeva possibile quando appunto la paura, il panico
dapalcoscenico, si trasformavano in una profonda concentrazione e
presenza nell’esecu-zione.La nostra mente ha delle incredibili
capacità e ognuno di noi può trovare la propriachiave di accesso a
queste capacità.Un esempio che penso tutti voi abbiate vissuto è
questo: “a casa sto studiando unpasso, il passo viene, arrivo a
lezione e lo sbaglio e la frase: ”ma a casa mi
La parola a Claudio Binetti
Al termine della recente prima del “Tristan und Isolde” sotto i
riflettori del teatro Carlo Felice, il direttore Gianluigi
Gelmettilo ha invitato sul palcoscenico a raccogliere il plauso del
pubblico, unico strumentista ad avere questo privilegio. Un gesto
si-gnificativo, che dà la cifra della qualità interpretativa di
Claudio Binetti, primo corno inglese dell’orchestra di Genova.
Binettiha incontrato gli studenti del “Paganini” per raccontare la
sua esperienza e si è offerto di intraprendere un percorso che
esplorila tecnica - frutto di anni d’approfondimento - mirata a
superare il panico da palcoscenico.
Paura di suonareveniva!!!!” automaticamente esce dalle nostre
labbra.”Quello che vi voglio proporre è di cominciare a osservare
con uno sguardo diversoquesti eventi in modo da comprendere cosa
accade nel momento in cui eseguite per-fettamente un passo fra le
mura della vostra stanza, e cosa accade quando l’esecu-zione è di
fronte all’insegnante o di fronte al pubblico. Questa diversa
osservazione cida la possibilità di comprendere la condizione
interiore che avevate nella vostrastanza, e successivamente
trasportarla in classe o su un palcoscenico.
Penso che sarà capitato a tutti di essere difronte a un passo di
tecnica molto difficile, enonostante le numerose ore di
studiorimanere bloccati sempre allo stesso punto enon riuscire a
trovare la via d’uscita. Poiaccade all’improvviso che ci si
concentra suun’altra nota, o si lascia stare il passo peralcuni
giorni e improvvisamente , il problemaè superato! … cosa è
accaduto? Molto sem-plicemente è accaduto che ci eravamobloccati su
una reale difficoltà, la nostramente ha cominciato a pensarla come
insu-perabile e ci ha impedito di andare oltreperché (ricordiamolo
sempre) la nostra partenon conscia, è molto ubbidiente, per cui
senoi pensiamo di non riuscire a fare una de-
terminata cosa, la nostra vita farà di tutto per soddisfare
questa nostra convinzione.Torniamo al nostro esempio: nel momento
in cui io lascio “riposare” il passo, oppuresposto la mia
attenzione su un altro punto è come se creassi un distacco tra
quello cheio ero convinto di non riuscire a fare e il mio interno,
creando una nuova situazione,nella quella quello che prima appariva
impossibile ora lo è.Per cui il nodo centrale del nostro lavoro è
proprio un’osservazione delle nostre con-vinzioni limitanti
attraverso uno sguardo diverso da quello che abbiamo usato
sinora.Se noi abbiamo paura di suonare in pubblico, o a un esame, o
davanti all’insegnante,è proprio perché abbiamo fissato qualche
convinzione che ci dice che non ce lapossiamo fare.. e il paradosso
sta proprio qui: è proprio la paura di non farcela lachiave per
avere successo. Se io ho paura di non riuscire ad eseguire uno
studio èproprio perché sono in grado di eseguirlo, perché se non lo
fossi, non avrei paura dinon farcela.. accetterei la mia condizione
e cercherei di fare altre cose. Mentre ildesiderio di realizzare
una determinata cosa ci indica che noi la possiamo raggiun-gere,
altrimenti non avremmo questo desiderio.Se io desidero fare un bel
concerto è perché sono in grado di suonare bene e so cheho le
possibilità per farlo. Per cui una volta che ho dedicato il tempo
necessario perstudiare un brano musicale devo essere nelle
condizioni di eseguirlo.. però per alcunidi noi non è sempre così,
entrano in gioco alcune convinzioni che ci impediscono divivere
questa realtà.Questo non vuol dire eliminare le paure, anche perché
le paure sono molto utili, matrasformarle per avere a nostra
disposizione e utilizzare tutti gli strumenti cheabbiamo appreso
nel corso del nostro studio.
Claudio Binetti
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ilCMN°17 2010
Nell’ambito della rassegna “Cimiteri storici”
Omaggio a Luigi Cortese Concerto dedicato a Luigi Cortese, nel
Salone dei Concerti delConservatorio. L’appuntamento è per il 5
giugno (ore 16:30).La manifestazione è organizzata dal Comune di
Genova che,nell’ambito delle iniziative sui “Cimiteri storici” ogni
annodedica una giornata ad un artista importante sepolto
nelPantheon del Cimitero di Staglieno. Per il settore musicale
datempo è avviata la collaborazione con il Conservatorio che
giàalcuni anni fa dedicò un concerto a Camillo Sivori.Il programma
del 5 giugno, introdotto dal direttoredell’Istituto Patrizia Conti
e da Roberto Iovino, prevede i DueCanti Persiani op. 8 per voce,
flauto e pianoforte, il Capriccioop. 43 per violino e pianoforte, i
Cinque Canti Popolari op. 47per voce e pianoforte, il Salmo VIII
op. 21 per voce, flauto, vio-loncello e pianoforte. Si esibiranno
Chiara Bisso (voce), MarioTrabucco (violino), Gina Fontana
(flauto), Federica Vallebona(violoncello) e Caterina Picasso
(pianoforte).Compositore, didatta, pianista, organizzatore, Luigi
Cortese(1899 – 1976) ha costituito una presenza importante
nelpanorama musicale italiano di primo Novecento. Formatosialla
scuola di Casella, ma con proficui contatti con la Parigidegli anni
Venti, ha elaborato uno stile “mediterraneo”,raffinato ed elegante,
perseguito con coerenza morale al difuori di ogni moda o corrente
del tempo. La sua produzionespazia dal teatro alla musica sacra,
dal settore sinfonico a
quello cameristico. Sul piano organizzativo è stato il
fondatoree direttore artistico per decenni del “Premio Paganini” e
dal1951 al 1964, il direttore dell’allora Liceo Musicale
Paganini,l’odierno Conservatorio.Le pagine proposte nel programma
riflettono assai bene l’ele-ganza e la raffinatezza del discorso
musicale cortesiano. I Due canti Persiani risalgono al 1932 e si
basano su altret-tante quartine del poeta persiano Omar Khayamm
tradotte infrancese da Franz Toussaint e in italiano (dal francese)
dallostesso Cortese. Il settore vocale da camera è certamentequello
più interessante nella intera produzione del composi-tore genovese:
qui si aggiunge il flauto che svolge un ruoloconcertante cantando e
dialogando con la voce. I CantiPopolari del 1973 rappresentano
invece una rara escursionedi Cortese in atmosfere e ambiti sonori
del tutto differenti disapore appunto popolari e dialettali. Al
1964 risale il Capriccioper violino e pianoforte che appartiene ad
una serie di paginestrumentali da camera avviate nel 1955 con la
bella Sonata percorno: lavori pensati anche (è il caso del
Capriccio e diIntroduzione e allegro per flauto) in funzione di
Concorsi in-ternazionali.Infine, il Salmo VIII per voce femminile,
flauto, violoncello epiano forte op. 21 scritto nel 1943 ed
eseguito a Venezia nel1946 al IX Festival In ternazio nale di
Musica Contem poranea èfra le pagine sacre più interessanti. Opera
di scarna essen -zialità, alimen tata, come già l’oratorio David,
da una ge nuinareligiosità. La presenza di un trio strumentale
accanto allavoce consente al compositore un discorso più articolato
sulpiano della elaborazione tematica, del dialogo e del colore.
Un nuovo volume firmato da Marco Jacoviello
Operamania - Percorsi nelmondo dell’Opera
L’essenza della nostra civiltà ènella musica, e l’opera, fino
alNovecento inoltrato, ha avutola capacità di rappresentarla.Su
questa e molte altre veritàriflette Marco Jacoviello nellasua
recente pubblicazione“Operamania. Percorsi nelmondo dell’opera”
(Mimesisedizioni, 238 pagine, 18 euro). Un gesto d’amore e un
gridod’allarme, in punta di penna,sul patrimonio “a rischio”
delmelodramma, su un prodottoculturale popolare chedovrebbe
rappresentare il
vertice del genio italiano, la nostra storia ed i valori e
disvaloridi quattro secoli, e che viceversa giace in uno stato di
preca-rietà desolata grazie alla palese, aggressiva
impreparazione
degli amministratori, e grazie all’equivoco della logica
dimercato, che insegue l’utile e penalizza le valenze
culturali,estetiche e pedagogiche del teatro musicale.Forma di
civiltà, rito collettivo in cui potersi riconoscere,“l’opera è
poesia”. E scandisce i tempi del vivere, “perché è co-stituita su
una consapevolezza umana: l’insoddisfazione del lin-guaggio
verbale, che non corrisponde all’intera portata dellacomunicazione,
e che chiede alla musica di rappresentare ildinamismo degli affetti
della vita”. È quanto Jacovielloribadisce, con lo slancio del
cultore appassionato e la metodo-logia analitica dello studioso.
Nell’humus personale d’una for-mazione filosofica, l’autore innesta
i propri interessimusicologici realizzando otto percorsi
d’approfondimento, at-traverso altrettanti capitoli. Dal rapporto
tra opera e societàalla “fenomenologia della diva” dove è
analizzato il senso delsacro che storicamente permea il melodramma,
“quintessenzadelle religioni senza dio”, fino alla contaminazione
“eccellente”tra melodramma e cinema, tra palcoscenico e pellicola.
Un libro per tutti, portatore d’un messaggio alla fine ottimista.In
quanto, come sottolinea Marco Jacoviello, “in un mondoche naufraga
per crisi finanziarie globalizzate, materialismiostentati e
incancrenite presunzioni dell’apparente (…) lamusica e l’opera
attivano accanto alla seduzione della bellezzaun grande motivo di
speranza”.
Giorgio De Martino
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Chiunque ami lamusica, a Genova,già la conosce: apartire dal
2000 èstata per molti anni– e recentemente ètornata ad essere
–primo violino del-l’orchestra del teatroCarlo Felice,
imbrac-ciando lo splendido“Stradivari” del1709 Nachez diproprietà
dellafamiglia Costa. MaElisabetta Garetti èanche, da que-st’anno,
docente diviolino presso ilnostro conservatorio. Dopo esperienze
didattiche aPiacenza, Bolzano (dove era anche “spalla”
dell’orchestraHaydn) ed Alessandria, si è trasferita al “Paganini”,
ed inquella che ormai è diventata la “sua” città. «L’impatto è
stato ottimo, l’accoglienza che mi è stata riservataè notevole,
sono soddisfatta della scelta che ho fatto. Honotato che in questo
conservatorio c’è molto interesse a valo-rizzare gli allievi, c’è
una attenzione speciale, mirata, alle po-tenzialità dei singoli
studenti. L’ho potuto cogliere ancheattraverso la testimonianza
diretta di due miei giovani allievidi Alessandria che hanno voluto
seguirmi a Genova. Hanno ve-rificato la vivacità delle attività, la
presenza di occasioni con-certistiche stimolanti. Inoltre sono
particolarmente contentidel lavoro in orchestra, con il Maestro
Tappero Merlo. Infondo, gli allievi fanno vita di conservatorio
ancora di più deldocente, e mi confermano che si trovano bene!» A
quando risale il tuo primo concerto a Genova?«Intorno alla fine del
1997. Poi ho suonato saltuariamente neidue anni successivi e, dal
2000, ho collaborato stabilmente. Alprincipio, non abitando a
Genova, era molto faticoso perchévagavo tra Piacenza, Parma,
Genova, e tante altre città. Dagennaio 2010 ho ripreso il mio ruolo
di “spalla” al CarloFelice».Da questo duplice osservatorio, come
valuti lo stato di salutedella musica “non di consumo”?«In
conservatorio dovremmo creare figure professionali di altaqualità
finalizzate in buona parte al lavoro in orchestra: unascuola
giustamente selettiva, altamente specializzata, di
livellouniversitario. Ma per chi? Per quale struttura, per
qualeorchestra in Italia? La situazione è inquietante, a tal punto
chei miei allievi migliori io li indirizzo all’estero. Ad esempio
perAdele Viglietti, quattordicenne estremamente promettente(uno dei
due allievi che mi hanno seguita da Alessandria), ho
Nuovi e prestigiosi acquisti nel parco docenti del conservatorio
di Genova
Elisabetta Garettigià strutturato unpercorso a Vienna,in modo
che si per-fezioni ed abbia unapossibilità di affer-marsi e vedere
rico-nosciuti i proprimeriti.Viviamo in mezzo aforti
contraddizioni.Da un lato il conser-vatorio affronta unariforma che
progettadi dare una forma-zione anche adallievi che magarinon
faranno ilmusicista di profes-sione ma che lavore-
ranno nell’ambito della musica. Ma i teatri nel
frattempochiudono, e le scuole sembrano interessarsi sempre
menoall’arte dei suoni. Dunque la nostra riforma, così attesa, ai
finiprofessionali cosa serve? In che modo aiuterà i
musicisti?Dovremmo chiederlo al nostro Governo! Purtroppo sono
gio-coforza molto polemica, col mio Paese».E lasciare l’Italia?«Ci
ho pensato spesso. Ho anche avuto l’occasione, di recente,sia di
andarmene a Tolosa, sia in Germania. Non l’ho fattoesclusivamente
per motivi familiari, per una serie di legamiche non mi hanno
permesso di cambiar vita… Sono sceltefacili quando hai vent’anni,
dopo è tutto più complesso». Ma hai scelto Genova, una città non
semplice, soprattuttovenendo da Parma… «Però al Carlo Felice fino a
qualche anno fa ho potuto lavorarecon grandi direttori e grandi
registi, in grandi produzioni, inun teatro che è tra i più belli
d’Europa. Certo, oggi è abbando-nato a se stesso e sottoutilizzato.
A volte, tra colleghi, si riflettesul fatto che avendo toccato il
fondo, non può che attenderciuna rinascita. Ma il futuro è
preoccupante. Sono cosciente divivere una brutta epoca, ancor più
per la mia generazione,cresciuta negli anni ’70 ed ’80 con ben
altre prospettive mache oggi vede di fronte a sé il rischio di uno
svuotamentodella propria professionalità. Rischiamo di diventare
giullari dicorte». Una risposta, una reazione, può arrivare proprio
da un luogocome il conservatorio?«Certo, ma siamo una goccia nel
mare. A Roma, talvolta, pare
quasi che non abbiano le idee chiare su cosa sia davvero
unastruttura scolastica come questa. Che, paradossalmente sia
unbene? Se volessero davvero metterci il naso, potrebbero finireper
distruggerci!».
GDM
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ilCMN°17 2010
La biblioteca del conservatorio ha una nuova responsabile
Carmela Bongiovanni«La biblioteca del Paganini rappresenta un
patrimonio straordina-rio! Il conservatorio deve esserne fiero,
perché all’interno di VillaBombrini, grazie a lasciti e donazioni,
si è accumulato un patri-monio eccezionale. Tra cui minimo seimila
manoscritti musicali,oltre a due armadi colmi di musica manoscritta
ancora da riordi-nare ed inventariare. Materiale che potrebbe
riservare anchequalche sorpresa importante».Nonostante
l’entusiasmo, è una situazione difficile, tutta da rior-ganizzare,
quella che ha ereditato Carmela Bongiovanni, diven-tando
responsabile della biblioteca musicale del conservatorio. «Non
nascondo che sulle prime mi sono quasi spaventata: questaè una
biblioteca bellissima, con circa 100.000 documentimusicali, ma la
mole di lavoro che necessità è enorme.Comunque non mi sono persa
d’animo e ho cominciato tutto dacapo. C’è tantissimo da fare, a
tutti i livelli, da una ricognizionecompleta del materiale nella
sua completezza, alla necessità di ri-cartellinare le singole unità
bibliografiche». Tutto da sola? «Con l’aiuto di tre giovani
collaboratrici: una validissima esperta,la dottoressa Stefania
Peddis, davvero preziosa, e due studentesse,entrambe molto brave.
Con Stefania Peddis abbiamo riavviato lacatalogazione in SBN…
Nonostante gli ostacoli, perché la catalo-gazione deve avvenire
telematicamente, e la connessionewireless non è sempre affidabile.
A catalogo ho oltre 34.200unità, ma è solo una piccola porzione di
quanto in realtà c’è. Inpassato, ogni dieci unità veniva dato un
numero di inventario».Quali i “tesori” di questa biblioteca? A
parte il materiale paganiniano, noto a tutti, ricchissimo è sia
ilFondo Antico che quello Moderno. Uno dei miei predecessori,Mario
Pedemonte, molti anni fa aveva realizzato una cosa meravi-gliosa,
un indice per nome di compositore, coi numeri di inven-tario sui
libroni di ingresso: strumento oggi importantissimo,perché i libri
ante 1940 non hanno numero di inventario, ed èfondamentale per noi
avere questeschede… Anche per poter inventa-riare il materiale, in
quanto SBN nonaccetta una scheda che non abbianumero di
inventario!». Quale fronte la sta impegnando dipiù in questi
giorni? Sono concentrata soprattutto sulfronte del Fondo Moderno, è
quelloche ha maggior bisogno di cure,quello che viene utilizzato
tutti igiorni dai musicisti e dagli insegnanti.Lo schedario
cartaceo è attualmente in fase di totale e capillareriordino.
Parallelamente abbiamo riavviato da sei mesi la citata
ri-catalogazione in SBN. Solo che il lavoro è tantissimo, ci
vorreb-bero non tre, ma un esercito di collaboratori». Per una
informatizzazione completa è immaginabile una data?«Attualmente ho
informatizzato 3200 volumi. Dunque il tre percento. Tuttavia sto
verificando che stiamo inserendo in computerle schede più
rapidamente del previsto. Entro la fine di que-
st’anno solare ne avremo inserite più di duemila. Significa
cheentro cinque anni saremo a dodici, forse tredicimila
unità.Numeri coi quali si può iniziare a ragionare: la “base”
moderna,quella che viene richiesta quotidianamente, sarà
accessibile –tramite internet – alle case private dei singoli. E il
Fondo Antico?«Per fortuna ha goduto di una importante iniziativa
catalograficada parte di Salvatore Pintacuda, un catalogo
realizzato nel lontano1966. Rappresenta una buona base su cui
partire. Grazie al“Pintacuda” ricevo richieste da tutto il mondo!
Abbiamo pensato,insieme al direttore, di farne una scansione ed
inserirlo inInternet, in modo tale da poter effettuare ricerche via
webrealmente “sul” catalogo, nel quadro del progetto di Mediateca
delconservatorio. Mediateca che si estenderà dalla musica
contem-poranea a questa tipologia di strumenti d’indagine. Grazie
alla dif-fusione del “Pintacuda”, la biblioteca è conosciuta ad
esempioanche in Australia, da dove la settimana scorsa ho ricevuto
unarichiesta da parte di un musicista. È un inventario, nel senso
chele schede – al contrario, talvolta, di quelle del Fondo Antico
rea-lizzate dal Pedemonte – sono prive di incipit musicale. Ma
restaper noi un prezioso e quotidiano strumento di lavoro». Quali a
suo avviso le priorità di questa biblioteca? «Dopo aver portato
allo stesso livello di documentazione ilFondo Antico e quello
Moderno, bisognerà rapidamente dare lapossibilità agli esterni di
consultare e poter accedere al prestito,accedere dunque ai servizi
della biblioteca. Per quest’anno devofare una ricognizione, un
inventario topografico, ma l’intentoprimario è mettere a
disposizione di chiunque, questa che èl’unica biblioteca musicale
della Regione». Un bilancio del suo percorso professionale nei
conservatori.«Le biblioteche di cui mi sono occupata sono
profondamentediverse una dall’altra. A Sassari mi sono trovata a
gestire una bi-blioteca esclusivamente moderna, in una posizione
logistica
splendida ma assai poco frequen-tata… Una cattedrale nel
deserto,insomma. A La Spezia non c’erapressoché nulla, mentre a
Piacenzaho trovato un centro vivo, con moltarichiesta, ma una
biblioteca chesoffriva per mancanza di spazio. Quia Genova tutto è
più stimolante, mabisogna lottare con… una montagnadi libri! C’è
tanto da lavorare e tantoanche da studiare. La biblioteca è
sot-
toutilizzata rispetto alle sue potenzialità ed alla sua
importanza,in relazione alla qualità delle sue collezioni del Sei,
Sette edanche Ottocento. Qui non c’è solo la storia della
musicagenovese, ma la storia della musica tout court. Ci sono
autografidi Galuppi, copie coeve di Boccherini, e moltissimo
materialeadespoto, in attesa di essere attribuito, che potrebbe
riservaresorprese. Spero che la biblioteca possa ricevere anche in
futurotutte le attenzioni che merita».
GDM
Dopo aver studiato chitarra e composizione si è diplomata in
musica corale edirezione di coro presso il Conservatorio di Musica
di Padova. Si è inoltrediplomata in Paleografia e Filologia
Musicale presso l’omonima Scuola diCremona (Università degli Studi
di Pavia; relatrice: Prof.ssa Maria Caraci) e siè laureata in
lettere moderne, con una tesi in storia della musica,
pressol’Università degli Studi di Genova (relatore: Prof. Giorgio
Pestelli). Nel 1992ha vinto il concorso ordinario per esami e
titoli a posti di Bibliotecario Musicalepresso Conservatori di
Stato (prima classificata). Dal 1992 è Bibliotecariapresso
Conservatori di Stato: prima a Sassari, poi a La Spezia ed a
Piacenza,ed infine a Genova. Dall’anno accademico 2007/’08 è
docente a contrattopresso l’Università di Genova di Biblioteconomia
e bibliografia musicale.
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Progetti e bilanci dell’Associazione ValentinaAbrami - Musica in
Movimento
Un grande abbraccioattraverso l’arte A un anno dalla sua
istituzione, l’Associazione ValentinaAbrami – Musica in Movimento
presenta i due eventi che,nel nostro intendimento, dovranno
rappresentare - ogni annoe per chiunque lo desideri - la
possibilità di ritrovarsi uniti inun grande abbraccio, vissuto
attraverso l’arte. Un ricordo chepassi attraverso le persone, non
una puracelebrazione. Un momento di raccogli-mento, certo, ma anche
di profonda rifles-sione, che segni il punto del lavoro che èstato
fatto e di quello che si farà, nel nomedi Valentina.L’unico modo
che noi sentiamo possibileper prenderci una bella rivincita
neiconfronti di un destino francamente incom-prensibile. Il
percorso intrapreso daValentina attraverso la sua formazione
pluri-disciplinare - musica, danza e teatro - il suopersonale
approccio metodologico e le suepeculiarità umane hanno costituito
il puntodi riferimento da cui l’Associazione èpartita, di slancio,
concretizzando iniziativecome queste: A Bogliasco, dunque, lunedì 7
giugno alleore 21, la serata dedicata alla voce e ai bambini, dal
titoloConcerto 7 giugno - per Valentina (in occasione della suadata
di nascita). Si terrà alle ore 21 presso la Chiesa di S.
Chiara.Partecipano l’EnsembleVox Antiqua, diretto da MarcoBettuzzi,
con Luca Soattin al liuto e chitarra barocca, MatteoRabolini alle
percussioni; il Genova Vocal Ensemble diRoberta Paraninfo; il Coro
delle classi della Scuola Elementaredi Bogliasco, preparati e
diretti da Edoardo Valle, vincitoredella Borsa di studio Valentina
Abrami 2009.Nel salone del Conservatorio poi, alle ore 21 di
martedì 6luglio (anniversario della sua scomparsa), la seconda
edizionedi Suoni, corpi e parole in movimento, il grande
eventopensato come sintesi delle sue passioni di sempre, in cui
gliamici, i nuovi compagni di viaggio e possibilmente tantigiovani,
possano scoprire l’incanto del vivere la musica, ladanza e il
teatro, nella magia di un’unica serata, e nel nome diValentina.
Siamo convinti che, anche quest’anno, si tratterà di un
“attimosospeso nel tempo, cioè una di quelle occasioni in cui
iltempo, per rispetto alla grandezza dell’evento e dello spirito,si
ritrae e fa dimenticare, a noi che di tempo siamo fatti, lasua
legge inesorabile del prima e del poi, del sùbito e delnon-ancora,
e ci lascia liberi di essere e di volere ciò chedavvero siamo e
vogliamo”(Gianluigi Massidda).Questa serata, ospiterà due brevi ma
importanti momenti: l’as-segnazione della seconda Borsa di studio
ValentinaAbrami e la proclamazione dei brani vincitori della
prima
fase (“Comporre”) del nuovo progetto biennale dal titoloLiguria
in Coro 2010/2011.La Borsa di studio Valentina Abrami - assegnata
da unacommissione composta da rappresentanti dell’Associazione edel
Conservatorio Paganini di Genova - ha premiato, nel 2009,il più
interessante progetto di didattica musicale presentato daun
docente, Nel corrente anno scolastico questo lavoro statrovando la
sua effettiva realizzazione presso la DirezioneDidattica Statale di
Bogliasco, scelta come referentedell’Associazione. Così si intende
fare anche in futuro, concadenza annuale, offrendo ai bambini di
Bogliasco, Sori ePieve Ligure, a plessi alternati, la possibilità
di lavorare su un
nuovo progetto musicale, con un docentequalificato.Liguria in
coro 2010/2011 è invece unampio progetto, pensato e realizzato in
colla-borazione con l’Accademia vocale diGenova e si tratta di
un’operazione che,almeno in Liguria, non ha precedenti. Unprogetto
biennale pensato in diverse fasi(“Comporre”,“Dirigere”,“Cantare”)
edestinato alle Scuole Primarie e alle ScuoleSecondarie di primo e
secondo grado dellaregione, che si pone come obiettivospecifico lo
sviluppo della didattica musicaleapplicata al coro e la relativa
formazione diinsegnanti e direttori. Coinvolgerà i cori sco-lastici
già attivi e stimolerà i docenti aformarne di nuovi, dopo aver
aperto spazicreativi ai compositori.
l’Associazione ha lavorato e lavora ad altre iniziative
culturali. Fra queste meritano di essere citate: - l’inaugurazione,
il 12 giugno 2009, in collaborazione con il
Comune e la Direzione didattica statale di Bogliasco, i“Giardini
Valentina Abrami”.
Si tratta di uno spazio della città recuperato e che i
bambinitrasformeranno in un luogo di incontro, di
approfondimentodidattico e di amore per la natura- la promozione,
per l’autunno prossimo, di uno spettacolo di
teatro musicale su testi di Caproni, pensato e composto
daRiccardo Dapelo e finanziato dalla Provincia di Genova;
- una rassegna coreutica - in collaborazione con LILT - incui le
scuole di danza della regione possano proporre inpubblico il lavoro
svolto durante l’anno.
Per qualsiasi approfondimento sui Bandi e sulle
iniziativedell’Associazione, per la fruizione di materiali
audio/video sue con Valentina, nonché per informazioni sulle
modalità asso-ciative rimandiamo ai seguenti indirizzi:
web:
www.associazionevalentinaabrami.itwww.valentinamusicainmovimento.it
e-mail:
[email protected]@associazionevalentinaabrami.it
Vorremmo infine ricordare che, anche quest’anno, è
possibiledestinare il proprio 5x1000 all’Associazione indicando
sulladichiarazione dei redditi: il nome Associazione
ValentinaAbrami - Musica in Movimento e il codice
fiscale90057090103
Marco Bettuzzi
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ilCMN°17 2010
Sei nel parco del “Paganini”, guardi la villa. Sulla destra,
faccicaso, spicca un pannello metallico, una specie di
lavagnaimpalata nell’asfalto, sulla cui cima troneggia la scritta
“Spazioper libera espressione”. Partorita sotto l’effetto di
qualche de-magogica sbronza, l’iniziativa dell’Amministrazione
cittadina di“farci esprimere” posizionando questi grotteschi
pannelli neiparchi genovesi, risalente a qualche anno fa, è a dir
pocoridicola. E si merita il risultato (vedi foto) riscontrabile a
VillaBombrini, ma anche nei giardini di piazza Alimonda ed altrove.
Il “Cantiere Musicale” no. Da quasi dieci anni tenta con tutte
lesue forze di essere se-riamente uno “spazioper libera
espres-sione”. Un foglio (anzi12, a volte anche 24)dove raccontare
le ini-ziative del “Paganini”ma anche dove far cir-cuitare idee,
sollecita-zioni, riflessioni,critiche. Dove,parlando di musica,
siparla giocoforza ditutto (compresa lapolitica. Perché farecultura
significa farepolitica). Come i lettori più af-fezionati
avrannopotuto notare, loscorso numero dellarivista è uscito
conforte ritardo ecorredato d’un avvisoposticcio. A dire ilvero il
“Cantiere” harischiato di peggio.
«Spazio per libera espressione»Poi il Presidente, insieme al CdA
del conservatorio statale, haoptato per la pinzatura d’una
“pecetta” in cui prendeva ledistanze dai contenuti della vignetta
incriminata. Questi, i fatti.Spiacevoli (soprattutto per i ritardi
che hanno causato alla dis-tribuzione) ma comunque utili, in quanto
hanno stimolato unvivace dibattito interno alla redazione e poi
allargato aglistudenti e non solo, sollecitando una serie di
riflessioni su untema delicato e importante.
Giorgio De Martino
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A bocce ferme?Il Cantiere Musicale ha forse inaugurato un’epoca
nuova; c’è inquesta prospettiva qualcosa che mi mette addosso
energia esperanza. Non mi vergogno di sembrare un’idealista: amo
profonda-mente la condizione in cui diverse teste si mettono a
collaborare inmodo libero e sincero; inoltre covo sempre la
speranza, fin dallanascita del Cantiere, che la nostra rivista
possa essere, oltre a unabella vetrina, anche una palestra di
vivere civile e di elaborazioneartistica. Mi sembra che sia nata
per questo: per parlare del nostroconservatorio e di quello che c’è
intorno, della musica e del lavoroche la produce. La recente crisi
scatenata dal “caso Voicings”, risolta fortunatamentecon grande
maturità da parte di tutti, invita ora a considerazionimolto
interessanti. Anzi, l’atmosfera che fa da sfondo al nostroscambio
di opinioni potrebbe presentarsi particolarmente pulita eariosa,
proprio perché il fondamentale rispetto di cui tutti hannogoduto
permette di analizzare le cose nel vivo, senza paura. Colgo quindi
l’occasione per descrivere qualcosa che vedo apparireassai spesso e
che secondo me intossica pericolosamente la nostravita, nella
speranza di riuscire ad evitarlo nel caso del Cantiere. È
unatteggiamento che definisco “desiderio di giocare a bocce ferme”.
Losi vede ovunque, anche in quest’epoca così dinamica e
democratica:dovremmo valorizzare le differenze, che rendono attive
le idee e lerelazioni, e invece soggiaciamo quasi sempre alla
fretta di definire,risolvere, agire. Morta la curiosità, c’è
piuttosto un forte bisogno didifesa, che si risolve in attacco. Non
per nulla il battibecco sembraspesso l’unico modo per affrontare le
questioni, sia nel lavoro, sia inpolitica, sia nelle relazioni
personali. Lo strumento principale diquesta pratica perversa e
pigra è la scure bipenne della “classifica-zione” e della
“dietrologia”: la prima permette di inquadrare l’inter-locutore con
certezza, la seconda insegna a decodificare subito quelche fa o
dice secondo il suo presunto schieramento. Ecco quindi le“bocce
ferme”: tutto è già definito, come in un copione mal fatto,quindi
non vale la pena di analizzare oltre gli atti e le parole. Dicerto
si fa presto, ma si entra in una prospettiva triste e spesso
inu-tilmente violenta.Sarà che a me piace tanto quando le persone
mi stupiscono, magaridimostrandosi migliori di quanto immaginavo,
sarà forse che unavita da musicista e da insegnante abitua a
valutare le vibrazioni…ma trovo questa pratica insopportabile.
Preferisco fronteggiarel’errore che la pigrizia e la
superficialità.Vorrei un mondo in cui le persone pensassero a fondo
prima diparlare e di scrivere, ma poi lo facessero con coraggio; un
coraggiocivile, per cominciare, ma volendo anche il coraggio
artistico di cuiparla Baudelaire, quello che spinge l’artista ad
“accomplir juste cequ’il a projeté de faire”. Nella precisione con
cui si cerca la parolaper esprimersi c’è l’energia di chi legge e
interpreta il mondo, c’è laconsapevolezza della complessità e delle
ragioni che portano adiversi piani di ascolto o di lettura. C’è
anche la fiducia nel cercaregli altri, pronti ad incontrarli, a
spiegarsi e ad ascoltare: un’energiache dovrebbe innervare l’arte,
ed è anche fondamento di ogni verapassione politica. Non c’è poi
tanta distanza, a guardar bene.Vorrei anche un mondo in cui chi
legge si prendesse il tempo digodersi la lettura e i concetti che
esprime, tenesse conto delcontesto e dello stile con cui le cose
vengono scritte, avesse fiduciaa sua volta nella buona fede di chi
scrive, e poi avesse la possibilitàe la voglia di spiegare il
proprio dissenso. Vorrei bocce in movimento e gioco pulito… In
fondo, questi sono i ritmi naturali della vita degli umani, e
sarebbemolto bene seguirli: si pensa, si cambia, si sceglie, si
costruisce, sisbaglia… Si fatica, insomma.
La vera arte della comunicazione è un piacere ignoto a chi
rincorrei successi facili o il clamore televisivo, ma potrebbe
essere più fami-gliare a chi accetta la fatica di scrivere o di
leggere. Ecco perché ilCantiere Musicale potrebbe essere l’utile
palestra di chi ha qualcosada dire, soprattutto perché non è un
giornale schierato o privato, maesprime la vita di una grande
scuola pubblica. Mi auguro che sipossa raccontare questa vita in
tutti i suoi aspetti e secondo i diversipunti di vista, con energia
vera, senso di responsabilità, creatività,rigore, pazienza e
fiducia fra i collaboratori. Si cercherà tutti di nonsbagliare, ma
senza rinunciare a gestire una libertà di espressioneche è l’unico
presupposto per vivere ed agire utilmente, con atteg-giamento
attento ma anche chiaro ed energico, quando serve.Per quanto mi
riguarda, questo è il solo modo in cui mi sentirei utilee in cui
sono capace di immaginare un rapporto costruttivo con ilettori e i
collaboratori. Soprattutto è il solo modo onesto di collabo-rare
con i nostri studenti e con i giovani musicisti, che spero
semprepiù numerosi sulle pagine del Cantiere e vicini alla vita di
redazione.Li aspetto, anche perché dovrebbero dare garanzia di
vivacità: fare le“bocce ferme” a loro non giova di sicuro!
Tiziana Canfori
Diabolus in musicaNel 1902, Maurice Emmanuel ed Emile Vuillermoz
furono espulsi im-provvisamente dal Conservatorio di Parigi, dove
studiavano compo-sizione. Non avevano scritto parolacce sulle
pareti dei corridoi,sfasciato i banchi, lanciato gavettoni addosso
agli insegnanti inredingote e tuba. Non erano antenati dei bulli
d’oggidì, insomma.Erano colpevoli di aver violato un decreto del
direttore, ThéodoreDubois, che proibiva agli allievi di andare ad
ascoltare una novitàoperistica in scena quell’anno
all’Opéra-Comique: il Pelléas etMelisande di Claude Debussy.
Cacciati da scuola per essersi dimo-strati studenti
intellettualmente curiosi, interessati alla musica delproprio
tempo, oltre che a quella già archiviata sugli scaffali. Chiaveva
ragione, l’austero direttore conservatore o gli scapigliatiscolari
progressisti? Per nulla scoraggiati dalla punizione, Emmanuele
Vuillermoz diventeranno due tra i più eminenti critici e
musicologifrancesi della prima metà del Novecento. Testardi e
recidivi, pubbli-cheranno entrambi una monografia su Debussy.
Dubois, oggi, lo ri-cordiamo solo per un accademico trattato di
contrappunto ancorain un uso nelle classi di composizione; Debussy,
invece…Sarebbe istruttiva una storia della musica raccontata per
censure,divieti, condanne, anatemi. Si scoprirebbe che sono tanti i
calci deipotenti nel sedere dei musicisti. Simbolici, o reali, come
quello chel’Arcivescovo Colloredo fece dare dal barone Karl von
Arco al suoKonzertmeister diciassettenne Wolfgang Amadeus Mozart.
L’episodioè notissimo. Il giovane Mozart aveva sempre mal digerito
le soffo-canti direttive di Colloredo sull’estetica della musica
religiosa.Quando l’Arcivescovo mostrò tutto il suo disprezzo per il
musicistafacendolo sistemare al tavolo con la servitù, Mozart, da
tempo esa-sperato, si ribellò. E Karl von Arco, allora, sfoderò il
piede baronesco.Quello che, per noi, oggi, è uno dei massimi
compositori di sempre,fu trattato, dalla corte di Colloredo, come
un fastidioso moscone.Una storia della musica raccontata per
espulsioni e condanne ci ri-velerebbe, insomma, che il diavolo ha
posseduto il corpo dellamusica molto prima che se ne riconoscesse
apertamente la vocerauca e parlante al contrario nel rock. Questa
storia della musicaproibita, infatti, dovrebbe, doverosamente,
iniziare con un capitolosull’intervallo di quarta eccedente, il
famigerato tritono. Che i tratta-tisti medievali definirono,
appunto, diabolus in musica, documen-tando così, per la memoria dei
posteri, la prima apparizione
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ilCMN°17 2010
luciferina sulla terra dei suoni. Più che un principio della
teoriamusicale del Medioevo, un vero e proprio imprinting della
musicaoccidentale, se è vero che l’emancipazione della dissonanza
–colpevole, poveretta, di essere solo un armonico un po’ più
lontanodegli altri – arriverà solo con Schönberg e la seconda
Scuola diVienna (ma anche con lo Stravinskij della Sagra della
primavera).Ed emancipazione definitiva, poi? Chi scrive ha visto
con i propriocchi, negli anni ’90 del secolo scorso, buona parte di
pubblico ab-bandonare il teatro pochi minuti dopo l’inizio del
Pierrot lunaire,che è datato 1912. Abbonati e abbonate
elegantissimi accucciarsi e,a quattro zampe, sgusciare via
rapidamente, tra le gambe imbaraz-zate dei rimasti in sala, dalle
file della platea: sembrava la scena di unfilm di Buñuel. Non c’è
da stupirsi, del resto, perché è la musica co-siddetta
“contemporanea” a rappresentare, oggi, il diavolo in musica:quasi
totalmente bandita dai calendari operistici e dalle stagioni
con-certistiche, pochissimo studiata e insegnata nei
conservatori.Ampiamente incisa da coraggiose case discografiche
totalmente con-sacrate alla causa (Kairos, Naïve, Col legno…),
magari, ma noncomprata. Mauricio Kagel ha sintetizzato bene la
condizione tipicadel compositore contemporaneo – anche di quello
che, come lui, invita fu riconosciuto e affermato: «La società non
ha bisogno di noi.» La verità della cose viene sempre alla luce con
lampante chiarezzanelle situazioni limite. E sono le dittature,
alla fine, a dimostrare cheschierarsi pro o contro il Pelléas di
Debussy, scacciare da corteMozart a pedate nel didietro, tirare
ortaggi addosso a John Cage (èaccaduto a Genova negli anni ’70),
non è solo un’oziosa faccenda digusti musicali; sono le varie liste
di “musica degenerata” a dimostrareche, nelle note messe in fila
sul pentagramma, è in gioco la messa indiscussione o meno di valori
collettivi, e che chi compone prendesempre posizione, volente o
nolente, all’interno di una qualchequerelle des bouffons. Che può
oscillare tra gli estremi dellaraffinata polemica consumata solo su
giornali e riviste specializzate,e della tragedia. Mentre per le
istituzioni politiche, culturali, religiose,scolastiche, nella
musica – nell’arte in generale – si annida sempre,potenzialmente,
qualche pericoloso diabolus.
Massimo Pastorelli
La crisi dei teatriSiamo il Paese del melodramma: l’opera
dovrebbe essere il nostrofiore all’occhiello, se nel mondo si parla
l’italiano, lo si deve inbuona parte al nostro patrimonio musicale.
Eppure, probabilmente,in nessun Paese civile il teatro musicale
versa in condizioni piùdrammatiche che nel nostro con le Fondazioni
sull’orlo del falli-mento e un intero sistema al collasso. Per la
cultura l’Italia spende1,8 miliardi di euro annui a fronte degli
8,5 della Francia e deglioltre 5 di Spagna e Germania…. La Scala
riceve 44 milioni di euroannui come contributo statale contro i 120
dell’Opera di Stato diBerlino e i 166 dell’Opera di Parigi: cifra,
questa, di poco inferiore aquella ricevuta da tutte le Fondazioni
Italiane messe insieme.Una situazione difficile che il recente
decreto-legge varato dalministro Bondi (e criticato anche nella sua
area politica) non solonon aiuta a risolvere, ma rischia di
aggravare aumentando polemichee tensioni.È vero che i teatri
italiani, troppo spesso, spendono eccessivamenteed è vero che una
revisione dei contratti nazionali ed aziendali è as-solutamente
improrogabile. Il periodo delle vacche grasse è finito datempo e in
tutti i settori si è chiamati a maggior rigore e a sacrifici.Ma
vedere nelle spese per il personale fisso l’unica causa deldissesto
è fuorviante. Anche la classe politica, ad esempio, deve, inmaniera
trasversale, recitare il “mea culpa”. Manca, praticamente da
sempre, una vera politica culturale: i Teatri si barcamenano
senzacertezze economiche, i finanziamenti statali arrivano a
gestioneinoltrata, è praticamente impossibile (se non ci sono forti
sponsorprivati, vedi la Scala) riuscire a programmare a lungo
termine. Si vivee si spende alla giornata. Manca, ancora, una
consuetudine dei teatria collaborare fra loro, in termini di
programmazione, di coprodu-zioni, di controllo sui cachet. E troppo
spesso le nomine dei sovrin-tendenti e dei direttori artistici sono
soggette non a valutazionimeritocratiche, ma a opportunità
partitiche. In questo contesto la situazione del Carlo Felice è
ancor piùdelicata. Come è noto dopo quasi due anni di
commissariamento, afine maggio si dovrebbe tornare alla gestione
ordinaria. Da più partisi insiste su questa necessità: lo dicono da
mesi Comune e Regione,lo dicono da qualche settimana anche i
sindacati in rappresentanzadei dipendenti. Lo afferma lo stesso
commissario Giuseppe Ferrazza.La conclusione dell’iter
straordinario è però tutt’altro che automa-tica. Dipenderà da quel
che gli Enti locali (e l’eventuale cordata diprivati) sapranno
assicurare per la sopravvivenza del Teatro nel cuibilancio c’è un
buco di circa tre milioni di euro. Dopo due anni
dicommissariamento, infatti, la salute del Teatro non è certo
migliorata.E’ vero che è stato risolto il problema del Fondo
Pensioni: a chiuderela vertenza una volta per tutte, però, sono
stati Comune e Regionecon tre milioni di euro ciascuno. Ma al di là
del Fondo, il Teatro èrimasto nelle condizioni economiche iniziali,
non solo, ha vistoscendere sensibilmente il proprio livello
artistico. E manca unaqualsiasi programmazione per il prossimo
futuro.Il Teatro genovese (probabilmente pensato troppo in grande
per ilbacino di utenza e le casse locali) ha un numero di
dipendenti fra ipiù bassi: 329 contro 337 di Bologna, 354 di
Torino, 434 di Napoli,631 di Roma e 802 della Scala. Il costo del
personale nel 2008 èstato di 18.550.584 euro superiore al
finanziamento dello Stato(15.661.076 euro) e percentualmente
superiore a quello di Teatricon maggior numero di dipendenti
(Bologna ha speso 17.712.799,Napoli 21.722.427 euro): il che può
derivare tanto da una gestionepoco oculata delle risorse, quanto
dalla necessità di dover ricorrerea straordinari a fronte di un
organico ridotto; nello stesso anno iricavi sono stati 3.261.325
euro. Premesso che nessun teatro puòpareggiare i bilanci con i
ricavi della produzione artistica, certo èche ci sono sproporzioni
che vanno in qualche modo corrette ondeevitare il baratro. Al
progetto di rilancio lavora Salvatore Filippini La Rosa,
avvocatogenovese specializzato in diritto dello spettacolo,
collaboratore diteatri stranieri dall’Opera di Berlino all’Opera di
Città del Capo.Dovrebbe presentare a giorni un nuovo progetto
industriale. Si parladi una riduzione dei costi con un migliore
sfruttamento dellerisorse, di un incremento della produzione
guardando al modellotedesco senza avere la pretesa, come lo stesso
avvocato ha sottoli-neato, di impiantarlo in un contesto
assolutamente diverso.I Teatri sono l’espressione della società in
cui agiscono: l’equazione“più spettacoli meno costi” funziona
laddove tutte le variabilivengano armonicamente riviste e corrette.
Il che significa: revisionedelle spese (i costi fissi del personale
e i costi di produzione con lacreazione di compagnie stabili che
non si inventano dall’oggi aldomani), impostazione di un repertorio
solido che si può ottenerenell’arco di alcuni anni, creazione e
mantenimento di allestimenti dariproporre periodicamente. Tutto
possibile, ma non in tempiimmediati perché c’è bisogno di molto
lavoro e di cambiare lamentalità non solo all’interno del teatro.
Insomma la crisi va affron-tata con un progetto ad ampio respiro,
ma, anche con scelteimmediate, a partire dall’individuazione di un
sovrintendente capace.
Roberto Iovino
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Contributo a cura della pianista Ljuba Moiz
Gregg Miner, presidente dell’ Harp Guitar Foundation,ospite
nella patria di Taraffo
Mercoledì 28 Aprile al Best Western City Hotel di Genova, si
èsvolto uno straordinario incontro promosso
dall’appassionatocollezionista, studioso e musicofilo Franco
Ghisalberti che,grazie ad una attenta e costante ricerca, è
riuscito a reperire unaventina di Chitarre-Arpa costruite dalla
metà dell’800 ai nostrigiorni, dando vita ad una esposizione di
questi ormai raristrumenti mai vista prima a Genova.Il suo impegno
è stato ripagato da una viva partecipazione diappassionati e
specialisti, tra i quali il presidente dell’ HarpGuitar Foundation,
Gregg Miner, venuto appositamente da LosAngeles vincendo la sfida
del capriccioso vulcano islandese cheha imperversato durante il suo
viaggio.In questa occasione le testimonianze di un’epoca in cui
laChitarra-Arpa faceva parte delle tradizioni musicali
genovesi,oggi quasi dimenticate, e lo straordinario revival di
interesse ericerca che questo strumento sta conoscendo oltreoceano
sisono innestati, svelando un mosaico che a poco a poco siricompone
nella consapevolezza di radici culturali da riscopriree
valorizzare.Tra le Chitarre-Arpa esposte per l’occasione erano
presenti: 10chitarre del liutaio Settimio Gazzo, costruite nel
periodo 1911-1919, 3 del liutaio Priano degli anno 20, 1 chitarra
di OresteCandi, 1 di Victorin Drasseg, 1di Giorgio Bianchi del
1932, 1diFrancesco Poggi del 1924, 1 di Luigi Auciello, 1 di
AdolfoGiacinti, 2 del liutaio genovese “contemporaneo”
AntonelloSaccu. Di particolare rilevanza la presenza di una
Chitarra-Arpadi Gazzo del 1916 con piedistallo amovibile originale,
apparte-nuta alla famiglia Taraffo e suonata dal fratello Pietro,
attual-mente di proprietà della famiglia Cagetti, che gentilmente
l’hamessa a disposizione.Quasi tutte le chitarre esposte
sprigionano un lembo di storia difamiglie genovesi e di ciò che era
la musica a livello popolare,tanto che alcuni si costruivano da
soli questi strumenti, come èavvenuto per la chitarra
“autoprodotta” da Giorgio Bianchi, figliodi Benedetto, fondatore e
presidente dell’ex Banco di SanGiorgio. Due strumenti costruiti dal
liutaio contemporaneogenovese Antonello Saccu, meritano
un’attenzione particolare:una chitarra a 20 corde, costruita per un
appassionato chedivide la sua vita tra il lavoro di postino e la
devozione per
questo strumento, e una Chitarra-Arpa disegnata e ricreata peril
famoso chitarrista genovese Beppe Gambetta, che riproducequella di
Taraffo , completa di piedistallo amovibile.Gambetta, che ci ha
regalato la sua presenza, oltre a mettere adisposizione 3 chitarre
della sua collezione, ha simpaticamenteintrodotto l’amico Gregg
Miner, presidente dell’Harp GuitarFoundation di Los Angeles che,
durante il suo soggiornogenovese, ha visitato liutai e collezioni
private, e, grazie allagentile disponibilità del Conservatorio
Paganini, ha vissuto l’e-mozione di tenere per la prima volta nelle
sue mani la chitarradi Pasquale Taraffo custodita nel Conservatorio
Paganini.Durante l’incontro, Miner, esperto musicologo oltre che
colle-zionista, ha catturato il pubblico con una affascinante
lezione-conferenza sulla storia della Chitarra-Arpa e
sull’importanzainternazionale della figura di Pasquale Taraffo
nell’evoluzione diquesto strumento.Miner, dopo una accuratissima
ricerca che lo ha assorbito permolti anni, ha scritto una lunga
dissertazione storica ed etimo-logica che ha segnato l’inizio del
suo vasto sito www.harpgui-tars.net, dedicato interamente alla
Chitarra-Arpa. Oggi possiamodefinire con questo termine uno
strumento che abbia almenouna corda libera non situata sul manico
principale, e che nellevarie elaborazioni può presentare un numero
variabile di bassiaggiunti “volanti” accordabili a piacimento, da
pizzicarsi comecorde vuote. La parola “Arpa” è uno specifico
riferimento aqueste ultime e non ha alcun rapporto con il tono,
l’estensione,il volume, la forma, la struttura, o qualsiasi altra
caratteristica diquesto strumento.La Chitarra-Arpa ha una storia
lunga e affascinante: dalla metàdel 1600, anche se chiamata con
nomi diversi nel corso dellastoria del mondo, è riemersa almeno una
volta ogni secolo inluoghi diversi e per vari scopi musicali,
alcuni obsoleti, altri no.Il nome di “Chitarra-Arpa” nasce
ufficialmente nel 1891, quandoJ.Hansen brevetta a Chicago una
chitarra (presente nella colle-
Franco Ghisalberti, Patrizia Conti e Gregg Miner in
Conservatorio:Miner sta provando la chitarra di Pasquale
Taraffo
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ilCMN°17 2010
zione di Miner) con 6 corde più 4 volanti. Per la prima volta
sulbrevetto è scritto che le corde basse sono preposte ad
esserepizzicate: ciò è importante perché ancora oggi qualcuno
pensache questi bassi fossero aggiunti solo per produrre
vibrazioniper simpatia. Nel 1895 il norvegese Kris Knutsen inventa
inAmerica una chitarra con due manici di cui uno contiene i tastie
le sei corde principali mentre le corde volanti sono situate
sulsecondo manico che è cavo. È sorprendente la somiglianza tra
questo strumento con quellicostruiti da Settimio Gazzo, di cui si
ha la prima documenta-zione nei primi del ‘900: dal momento che dal
1890 al 1920 lachitarra arpa conosce una grande voga sia negli
Stati Uniti chein Europa è tuttora difficile stabilire chi abbia
inventatorealmente questo strumento o “chi ha copiato chi”.
L’aspettopiù interessante è comunque dato dalla grande diffusione
chequesti strumenti ebbero contemporaneamente in Europa eOltremare.
Per quel che ci riguarda più da vicino, è quasi certo cheSettimio
Gazzo costruì dai primi anni del 1900 chitarre arpa perTaraffo:
quella donata alla città di Genova dalla figlia del
grandechitarrista fu creata nel 1909, quando la collaborazione
fraTaraffo e Gazzo era già cominciata. Quando e in quale dei
duenacque l’ispirazione di inventare una chitarra a 14 corde? Forse
il grande talento di Taraffo e le linee cromatiche dei bassiche
“sentiva nella sua testa” richiedevano non meno di ottobassi che
egli accordava discendendo cromaticamente.Probabilmente fu lui
stesso a ideare il piedestallo amovibile persostenere questo tipo
di chitarra, oggetto unico nel suo genereche, oltre ad essere bello
esteticamente, permetteva al suono dicadere dall’alto e di
propagarsi meglio.Per suonare questo strumento così complesso,
Taraffo hadovuto elaborare ed inventarsi una tecnica unica e
raffinatis-sima. Studi fatti ascoltando al rallentatore e
osservando i video,confermano l’uso di tecniche esecutive mai usate
in altre partial mondo, come tremoli particolarissimi e movimenti
rotatoridel braccio per toccare i bassi volanti in tempi
rapidissimi senzanemmeno guardare la mano destra. Lo stesso Miner
ha riferitoche quando sono stati sentiti per la prima volta negli
Stati Unitii dischi di Taraffo, rimasterizzati da Ghisalberti, gli
ascoltatoripensarono che i chitarristi fossero due o più, ritenendo
impos-sibile che un solo esecutore potesse trarre una così
riccadinamica ed una sonorità così ampia e intensa. E
neppureavevano mai sentito un tale “virtuoso” di chitarra arpa che
ful’unico e il più grande al mondo nel suo genere: infatti altri
chi-tarristi come Mozzani e Maccaferri, potevano suonare almassimo
2 o 3 bassi aggiunti, invece degli 8 che lui utilizzava.Miner ha
fatto alcune esemplificazioni tecniche sulla chitarra diBeppe
Gambetta ed ha ricordato che Taraffo non ha lasciatopartiture
scritte della sua musica, e che purtroppo oggi nonesiste alcun
chitarrista classico in grado di suonare questostrumento con tale
maestria. Citiamo le sue parole: “Oggi si è aperto un bellissimo e
nuovocapitolo sulla Chitarra-Arpa; sarebbe bello trascrivere
fedel-mente le sue rielaborazioni e composizioni direttamente
dall’a-scolto dei suoi dischi per far rivivere e riproporre la
suamusica”. A questo proposito Miner si è dimostrato
entusiastaall’idea di collaborare con me e Ghisalberti ad un
progettocomune di riscoperta della musica di Taraffo, della sua
statura di
interprete, compositore e fedeletrascrittore di opere
liriche,ricreando la partitura dellaSinfonia della Norma diVincenzo
Bellini direttamentedall’ascolto della sua incisione,
eanalizzandola anche anche dalpunto di vista tecnico-esecutivo.
Il sito www.harpguitars.net come punto di
riferimentofondamentale per i cultori della chitarra arpa Gregg
Miner ha subito il fascino della Chitarra-Arpa sin daragazzo:
l’incredibile passione e l’impegno che ha dedicato allostudio, alla
ricerca, alla collezione ed alla valorizzazione diquesto strumento
ne ha fatto il principale esperto riconosciutoin questo campo.Nel
2004 ha ideato e creato un immenso sito interamentededicato alla
Chitarra-Arpa: un prezioso archivio in continuaevoluzione, unico
nel suo genere, nonché il fulcro centrale ditutto il mondo web
relativo a questo strumento. Comprendepagine interessantissime e
dettagliate sulla storia, gli interpreti,l’iconografia la
discografia e la liuteria antica e contemporanea,video, e un forum
dedicato alla comunità degli appassionati ditutto il mondo.
Impressionanti le pagine dedicate alle accorda-ture storiche e
moderne, (tra le quali vi è anche quella dellaChitarra Gazzo di
Taraffo) dove è possibile esaminare anche lequelle dei liuti
rinascimentali. Esiste una sezione dedicata allaparticolare
notazione usata per la Chitarra-Arpa, con la possibi-lità di
consultare antiche partiture, come gli studi per 6 o 12corde di
Joseph Farbach di Vienna, di metà Ottocento, oltre chele tablature
moderne.Miner gestisce e aggiorna costantemente questo portale con
unlavoro di continua ed incessante ricerca, ed è felice di
collabo-rare, raccogliere documentazione e materiale da tutti gli
appas-sionati e specialisti che desiderano arricchire e divulgare
lastoria della Chitarra-Arpa. Grazie a questo sito, è nata la
strettacollaborazione e l’amicizia con Franco Ghisalberti, il quale
hacontribuito in modo determinante alla creazione della
paginadedicata a Pasquale Taraffo, catalizzando l’attenzione
internazio-
Gregg Miner, Franco Ghisalberti, Ljuba Moitz, Beppe
Gambetta,Enrico De Filippi
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nale sulla figura del grandissimo chitarrista genovese. Qui
sipossono trovare accuratissime notizie biografiche,storiche,
tuttala sua discografia (di cui sono riportate tutte le etichette a
78giri), fotografie, locandine e recensioni internazionali,
nonchéun raro video. Interessanti anche i capitoli sugli strumenti
deiliutai genovesi Gazzo, Candi, etc., sui chitarristi genovesi e
sulbackground culturale della sua epoca. L’esplorazione di
questosito è affascinante e coinvolgente: un’avventura musicale
chegrazie a internet non mai avrà fine.
Harp Guitar Foundation e il suo “gathering”Nel 2009, dopo 5 anni
di crescita del sito web, è stata creataL’Harp- Guitar
Foundation,di cui Gregg Miner è presidente, resapossibile in gran
parte dal sostegno dei 200 abbonati e benefat-tori che hanno
contribuito al sito ed alla sua formazione. Èun’associazione
no-profit che nasce per preservare, sostenere, earricchire il mondo
della chitarra arpa, ampliandone la docu-mentazione storica, e per
servire la comunità mondiale di ap-passionati di questo strumento,
i suoi esecutori, ricercatori,collezionisti, liutai e restauratori,
e proiettare la Chitarra-Arpanel futuro anche attraverso esperienze
di nuova musica, nuoviinterpreti e nuove scoperte. Importantissimo
appuntamento annuale è l’Harp GuitarGathering, un Festival che
raduna i cultori della Chitarra-Arpa,cominciato nel 2003 in
Virginia grazie all’idea del famoso chitar-rista Stephen Bennet: in
questa occasione si radunò una mareadi Chitarre-Arpa mai vista in
precedenza. Sulla scia del successodi questo primo incontro
l’appuntamento è divenuto annuale,ed è stato organizzato
nell’Oregon, in Florida etc, accogliendoentusiasti partecipanti
provenienti da ogni parte del mondo,(Inghilterra, Canada, Belgio,
Giappone, etc.) che, animati daldesiderio e della gioia del
ritrovarsi e del “fare musica” insieme,danno vita a una full
immersion di incontri, conferenze, eseminari. L’8° Harp Guitar
Gathering si terrà a Indianapolispresso l’Athenaeum Theatre il
prossimo Novembre 2010.www.harpsguitars.net
Gregg Miner - “Alla ricerca del suono perduto”il museo e i
dischi Gregg Miner è un collezionista, interprete, e musicologo,
maanche un restauratore e costruttore di strumenti rari e
introva-bili. La sua formazione musicale comprende i più rari
generi: ha
studiato chitarra classica, rock, jazz, liuto, mandolino e
arpaclassica (studiando con la famosa Mildred Dilling). Il
suodesiderio di poter suonare ogni strumento che trovava lo
haportato ad rivolgere il suo interesse e a collezionarne
variecentinaia: qualche strumento storico che non è stato
possibilereperire, è stato addirittura commissionato ai più abili
liutai peressere ricostruito fedelmente. Molti strumenti della sua
colle-zione sono pezzi unici. Il suo museo “The Miner Museum
ofVintage, Exotic and Just Plain Unusual Musical Instruments”,
vi-sitabile in parte “virtualmente” sul sito www.minermusic.com
èuna sorprendente miniera strumentale che comprendecentinaia di
esemplari a corde catalogati per famiglia, anno egenere: Chitarre-
Arpa, (tra cui una di Settimio Gazzo,ed unaMozzani,oltre a quelle
di Knutsen, Dyer,e Gibson) Mandolini (dicui un Mandolino-Arpa di
Monzino), Cetre, Arpe, Liuti, Dolceole,Orpharium e Meloarpe,
strumenti etnici e esotici come Banjos,Ukuleles e Balalaike, oltre
a molti ibridi insoliti come ilPianophone, ed il Miner-Cello di sua
invenzione, e altri ancora,“ad infinitum”. Animato dal desiderio
non solo di possedere questi splendidistrumenti, ma di viverne la
rinascita sonora, Miner ha restauratopersonalmente e ricreato la
tecnica, la prassi esecutiva ed ognisfumatura stilistica di ognuno
di essi, rendendoli protagonisti diincisioni discografiche.Di
estremo interesse è la raccolta in 2CD, “A Christmas Collection”,
nella quale si possono ascoltare levoci ormai perdute e dimenticate
di Cetre, Arpe, Octophoni,Mandocelli, Chitarrone, Viola Da Gamba,
Tromba Marina, e natu-ralmente Chitarre-Arpa: un centinaio di
strumenti rari che, sottole sensibili dita di Miner, riprendono
vita in un percorsomusicale quanto mai affascinante.La sua
versatilità interpretativa è sorprendente come la raffina-tezza dei
suoi arrangiamenti dei canti popolari e tradizionalinatalizi: in
particolare il Corale “Joy of Man’s Desiring “perMandolino,
Mandocello, Mandola e Mando-Basso colpisce per lavibrante vitalità;
“The Ukrainian Bell Carol” per Balalaika sopranoe basso e Bandura,
così come un canto provenzale del 17thsecolo “Bring a torch,
Jeannette, Isabella” suonato con unaChitarra- Arpa Dyer del 1920
(in assoluto uno dei sui strumentipreferiti), evocano atmosfere
antiche di grande suggestione. Ilibretti allegati ai Cd sono curati
nei minimi particolari con bel-lissime fotografie, cenni storici e
accordatura di ogni strumento,che fanno di questa registrazione
discografica una mini enciclo-pedia sonora e visivapreziosa per
ogni ap-passionato. “…Quandotrovo uno strumentopenso alla storia
cheha alle spalle, pensoche è stato suonato eamato da qualcuno
chenon ho mai incontrato,di un’altra epoca eluogo, ed questo è
perme l’elemento di piugrande magia...”.www.minermusic.com
Ljuba Moiz
www.ljubamoiz.net
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ilCMN°17 2010
Affidata ad un quartetto genovese
La prima esecuzione pubblica dei Sei quartetti per
archiattribuiti a Beethoven Anhang 2
(Kinsky-Halm Anhang 2, Hess Anhang 7, Bruers 300, Biamonti Nota
aggiunta II-44, Köchel Anhang 291a- C. 20-05)
Sconosciuti, ineseguiti, e colpiti da una storia travagliata
ecomplessa; tanto che l’ultima informazione concernentequesti
quartetti per archi è quella che si trova sul catalogo diGiovanni
Biamonti, nel 1968 ovvero sia che “questi quartettisi trovano nella
Deutsche Staatsbibliothek di Berlino.Attribuiti una prima volta a
Mozart, poi, dal De Saint Foix, a Beethoven. Autenticità dubbia”. E
questo è tutto. Questi quartetti furono menzionati per la prima
volta nel1893 dal celebre editore italiano residente a Vienna
AugustoArtaria. Qualche mese prima della sua morte Artaria decise
dicompilare un inventario di tutti i manoscritti conservati
nellasua casa di edizioni, poiché quello eseguito da Guido Adler
treanni prima era troppo succinto e vago.Al numero 92i dei suoi
manoscritti, Artaria nota comeun’opera di Mozart “ 6 quatours pour
violon, il est douteuxqu’ ils aient été composés par Mozart.
Inédites.” alla suamorte il figlio vendette le collezioni della
Casa al maggiorofferente. In questo modo le coppie dei quartetti
furono ac-quistati dal professor Koster.Rispondendo alla domanda
dei due musicologi francesiTheodore de Wyzewa e Georges de
Saint-Foix, Koster rese ac-cessibili quattro dei sei quartetti
sotto forma di partitura nel1913. La prima guerra mondiale,
scoppiata l’anno seguente,non permise di proseguire oltre gli
studi; e nel frattempo i ma-noscritti furono acquistati dalla
Deutsche Staatsbibliothek diBerlino. Theodore de Wyzewa muore nel
1917, e il conteGeorges de Saint-Foix proseguì da solo la sua
biografia suMozart, riuscendo ad accedere a tutte le sei coppie di
Koster.Sorprendentemente pubblicherà i risultati di questi studi
su“La Rivista Musicale Italiana” nel 1923, con l’ar-ticolo
“Nouvelle contribution à l’ étude desoeuvres inconnues de la
jeunesse deBeethoven” . Così, nel 1923, risultò che questi
quartettifurono attribuiti a Beethoven e non a Mozart.Secondo lo
studioso francese furono scrittiattorno al 1790-1792, poco prima
del definitivoabbandono della città di Bonn da parte diBeethoven,
quando ancora il compositoresuonava la viola dell’orchestra della
CappellaElettorale.Nel centenario della morte di Beethoven,
Heinrich Wollheim,membro dell’Orchestra da Camera e dell’’Opera di
Berlino,realizzò nell’agosto e nel settembre 1926 una nuova
partituradi questi quartetti. Purtroppo non riuscì a realizzare
nessunaesecuzione pubblica.Ritornati nelle mani di Georges de
Saint-Foix e nuovamentedescritti su un numero de “La Revue
Musicale”, nel 1927, perla prima volta vengono studiate le
somiglianze fra questi
quartetti ed altre opere di Mozart e di Beethoven. In
partico-lare un tema che procede identicamente nel primomovimento
del quartetto Anhang 2 numero cinque, e un temadel primo dei tre
quartetti per pianoforte violino viola e vio-loncello WoO 36,
nonché un tema simile che trovasi neiquartetti attribuiti a Mozart
K. Anhang 20.07.
Dopo il 1927, più nulla. Le partiture di Koster perdute, lecopie
di Wollheim disperse.Durante la seconda guerra mondiale tutte le
collezioni dellabiblioteca di Berlino vengono disperse in piccole
città dellaGermania; nonostante le gravi perdite la partitura dei
seiquartetti ritorna nella capitale della Germania nell’
immediatodopoguerra.Richieste nel 2006 dal musicologo francese
Michel Rouch, chetanto si è impegnato per la ricerca circa le opere
spurie delMestro di Bonn, le fotocopie arrivarono nello stesso
disordinein cui si trovavano catalogate nella biblioteca di
Berlino. La ri-costruzione, l’analisi dei singoli movimenti, la
revisione nell’ottica di una prima esecuzione mondiale hanno
richiestodiversi mesi di lavoro.Non ultima anche la scoperta che
questi sei quartetti indicatinel catalogo di Mozart come Köchel
Anhang 20-06, condivide-vano falsa catalogazione sovrapponendosi ai
“sei quartetti ca-
pricciosi”, attribuiti a Mozart ed invecerivelatisi opera di
Georg Anton Mederitsch,detto Gallus, solidissimo compositore
viennesenato prima di Mozart è morto dopoBeethoven, autore di ben
il 44 quartetti.La prima esecuzione pubblica della serieAnhang 2 è
avvenuta presso la basilica di SanSiro di Struppa, presso Genova,
il giorno 8maggio 2010. In questa occasione, presenti lostesso
Michel Rouch, Graziano Denini, revisoredi queste pagine, e il
presente relatore, furono
suonati, il primo, il secondo, e il quarto quartetto della
serie. La prima esecuzione pubblica è stata affidata alla
quartettodegli Arconauti ovvero Barbara Bosio, 1° violino Igor
Biagini 2°violino Maddalena Vitali viola, Felicina Pillosu
violoncello; unquartetto di genovesi che ha dato e darà ancora
lustro all’arteed alla nostra città, impegnandosi con la
registrazione diquesti inediti per la Casa Discografica Inedita,
nonché nelle re-gistrazione integrale di t