CAPITOLO 1 – IL DIRITTO TRIBUTARIO Attività finanziaria degli enti pubblici e la sua regolamentazione giuridica Per svolgere le sue funzioni, un ente pubblico deve contare su una disponibilità finanziaria che può derivare dal proprio patrimonio o da mezzi forniti dai soggetti con cui l’ente si relaziona. Nella normalità dei casi il patrimonio dell’ente non è capiente per fronteggiare la spesa pubblica, per cui il principale strumento di finanziamento è rappresentato da un periodico flusso finanziario volontariamente (spesa finanziata mediante l’indebitamento dell’ente nei confronti di banche o di risparmiatori, che procurano i fondi necessari in base a rapporti di mutuo ovvero mediante la redditività di attività economiche gestite direttamente dall’ente pubblico o con l’affidamento in concessione a terzi) o coattivamente proveniente da terzi (finanziamento si realizza con entrate coattive che danno luogo ad un trasferimento definitivo di ricchezza a favore dell’ente: ciò è giustificato dalla appartenenza del soggetto obbligato all’ente). Ora, la parola “tributo”, “imposta”, “tassa”, “contributo” hanno come centro un obbligo, la cui fonte però non è ricollegabile a una manifestazione di volontà, bensì ad un’imposizione non volontaria. Il ricorso a forme non volontarie di finanziamento delle spese pubbliche (prevalentemente rivolte verso i soggetti partecipanti all’organizzazione sociale) rappresenta la regola degli ordinamenti civili. Una regolamentazione giuridica della partecipazione individuale ai carichi pubblici non è stata necessaria fino all’avvento dello Stato moderno. Questo perché nel cosiddetto “Stato assoluto”, patrimonio personale del re = finanza pubblica (quindi il tributo rappresentava la logica esternazione e uno degli strumenti di incremento). Successivamente si giunse ad una separazione tra patrimonio del re e tra la finanza pubblica, tuttavia la regolamentazione giuridica del tributo veniva a confondersi con le caratteristiche proprie dell’investitura feudale (che 1
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CAPITOLO 1 – IL DIRITTO TRIBUTARIO
Attività finanziaria degli enti pubblici e la sua regolamentazione giuridica
Per svolgere le sue funzioni, un ente pubblico deve contare su una
disponibilità finanziaria che può derivare dal proprio patrimonio o da
mezzi forniti dai soggetti con cui l’ente si relaziona. Nella normalità
dei casi il patrimonio dell’ente non è capiente per fronteggiare la spesa
pubblica, per cui il principale strumento di finanziamento è
rappresentato da un periodico flusso finanziario volontariamente (spesa
finanziata mediante l’indebitamento dell’ente nei confronti di banche o
di risparmiatori, che procurano i fondi necessari in base a rapporti di
mutuo ovvero mediante la redditività di attività economiche gestite
direttamente dall’ente pubblico o con l’affidamento in concessione a
terzi) o coattivamente proveniente da terzi (finanziamento si realizza
con entrate coattive che danno luogo ad un trasferimento definitivo di
ricchezza a favore dell’ente: ciò è giustificato dalla appartenenza del
soggetto obbligato all’ente).
Ora, la parola “tributo”, “imposta”, “tassa”, “contributo” hanno come
centro un obbligo, la cui fonte però non è ricollegabile a una
manifestazione di volontà, bensì ad un’imposizione non volontaria. Il
ricorso a forme non volontarie di finanziamento delle spese pubbliche
(prevalentemente rivolte verso i soggetti partecipanti all’organizzazione
sociale) rappresenta la regola degli ordinamenti civili. Una
regolamentazione giuridica della partecipazione individuale ai carichi
pubblici non è stata necessaria fino all’avvento dello Stato moderno.
Questo perché nel cosiddetto “Stato assoluto”, patrimonio personale del
re = finanza pubblica (quindi il tributo rappresentava la logica
esternazione e uno degli strumenti di incremento). Successivamente si
giunse ad una separazione tra patrimonio del re e tra la finanza
pubblica, tuttavia la regolamentazione giuridica del tributo veniva a
confondersi con le caratteristiche proprie dell’investitura feudale (che
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univa una componente liberale, che si manifestava nell’atto di
infeudamento, con l’obbligo di certi servizi militari e amministrativi in
capo al feudatario). Con l’affermarsi poi dei principi dello Stato
moderno nonché del riconoscimento della partecipazione dei singoli alle
scelte pubbliche, ci fu una diversa visione del prelievo tributario, che
non era più forma di puro esercizio di sovranità bensì il principale
strumento di raccolta finanziaria destinata al sostenimento delle spese
pubbliche. Ad oggi la teoria si propone di concorrere alla realizzazione
di un razionale sistema impositivo che contemperi con norme fondate su
capisaldi dell’esperienza giuridica, l’interesse pubblico al prelievo
tributario con la garanzia dei diritti fondamentali dell’individuo
riconosciuti dalla legge.
Diritto finanziario e diritto tributario
Dall’inizio dell’800 si cominciò ad attuare la ricerca di un equilibro
tra esigenze finanziarie pubbliche ed economia privata. L’indagine
economica degli effetti del tributo pone in essere la necessità di tener
conto dell’esatta comprensione della funzione economica dello stesso per
garantire la giustizia nell’imposizione cui deve tendere il diritto
tributario.
Il diritto finanziario si poneva come settore specialistico del diritto
amministrativo: esso studiava prevalentemente i rapporti tra Stato e
cittadino coinvolti nella dinamica del finanziamento della spesa pubblica
e della gestione dei beni demaniali: vedeva infatti i suoi primi studiosi
proporre impostazioni mutuate dal diritto amministrativo. Cresceva però
l’interesse per il diritto tributario: esso concerneva la sua indagine
sui principi disciplinanti le entrate pubbliche derivanti da atti non
ricollegabili ad una manifestazione di volontà del soggetto su cui
incombeva l’obbligo della prestazione. L’esigenza di specificazione dello
studio giuridico su certi aspetti oggetto dell’indagine del diritto
finanziario ha portato successivamente alla autonomia accademica anche
della cosiddetta “contabilità di Stato”, disciplina diretta a studiare
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regole di amministrazione del patrimonio e delle entrate statali, per
fornire strumenti giuridici più adeguati per garantire controllo della
gestione della finanza pubblica. Causa progressiva crescita
dell’interesse per il diritto tributario, c’è stato un processo di
specificazione all’interno del diritto tributario, che ha trovato
corrispondenza anche in sede universitaria.
La classificazione dei tributi
All’evoluzione del diritto tributario non ha fatto seguito una attenzione
del legislatore nel recepimento dei principi che si elaboravano in sede
teorica per fornire un sistema tributario coerente con le finalità
economiche attribuite. Di conseguenza nei manuali di diritto tributario
la distinzione è stata proposta con una sorta di rinvio alle categorie
elaborate dalla scienza delle finanze, privilegiando il collegamento del
tributo a servizi pubblici divisibili o indivisibili (nel senso
dell’esistenza di un corrispettivo o di un vantaggio del privato in
connessione al pagamento del tributo). Si è invero proposta da alcuni
studiosi, tra cui Griziotti, una classificazione fondata sulle
caratteristiche giuridiche dei singoli tributi, come specificazione della
nozione di prestazione patrimoniale imposta elaborata dalla
giurisprudenza costituzionale interpretando il 23 Costituzione:
l’elemento differenziale è stato individuato nel diverso modo di
realizzazione della coattività insita nei diversi tributi (da cui imposta
= tributo acausale soggetto al limite costituzionale della capacità
contributiva ; negli altri tributi l’elemento della coattività si
manifesta secondo modalità diverse: a seguito di procedimento
amministrativo (tassa), nel concorso alla spesa pubblica specificatamente
vantaggiosa per il privato (contributo speciale), nel divieto
generalizzato all’esercizio di attività economica riservata all’ente
monopolista (monopolio fiscale). Secondo Tinelli questa è una
differenziazione meramente descrittiva (in quanto senza effetti dal punto
di vista della sistematica giuridica). 3
In questo senso importante è stato il fatto che le cosiddette
“controversie tributarie” sono state dai d. lgs 545 e 546 del 1992
attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice speciale. L’art 2 del
546 parla di tributi “di ogni genere e specie, comunque denominati”: ciò
porta all’abbandono di una predeterminazione legale dell’ambito di
competenza giurisdizionale del giudice speciale tributario e quindi
l’opzione legislativa di attribuire all’interprete la ricerca della
nozione di tributo (ma anche di ritenere la qualificazione legale non
sufficiente ai fini della qualificazione dell’entrata come di carattere
tributario). La giurisprudenza di legittimità considera elementi
qualificanti la nozione di tributo (ma non sufficienti quando siamo
davanti a tributi molto vicini ad obblighi di fonte negoziale)
l’irrilevanza della volontà del soggetto obbligato e la destinazione del
gettito a finalità pubbliche. Per verificare se siamo davanti a un
tributo, occorre vedere se ci sia un nesso tra le attività riservate
all’ente pubblico e il prelievo. Rispetto poi alle altre forme di
estrinsecazione della pubblica autorità, il tributo si pone come
un’obbligazione pecuniaria finalizzata al concorso alle pubbliche spese.
Comunque sia, non offrendo la legge una definizione di tributo, la
qualificazione di un tributo come imposta/tassa/contributo, non
condiziona l’applicazione di norme tributarie di carattere generale che
il più delle volte si riferiscono al singolo istituto richiamato,
piuttosto che alla natura del tributo. Tinelli tuttavia tenta di fornire
una nozione di tributo: una prestazione coattiva disciplinata dalla legge
per consentire ad un ente pubblico la copertura del fabbisogno
finanziario necessario allo svolgimento della propria attività
istituzionale. Non fanno parte dei tributi: i contributi (qui il prelievo
rientra nella struttura del presupposto impositivo) e i monopoli fiscali
(elemento della coattività individuato nel divieto generalizzato di
svolgere attività economica riservata all’ente pubblico. qui manca però
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un rapporto obbligatorio tra privato ed ente pubblico avente ad oggetto
la copertura delle spese pubbliche).
Diritto tributario come diritto dell’imposta e la codificazione tributaria
L’imposta è attualmente il tributo che ha un ruolo sempre più centrale
(quasi esclusivo): questo perché in essa manca ogni forma di rilevanza
della volontà del destinatario del prelievo: qui infatti l’obbligazione
tributaria è ricollegabile solo al verificarsi del fatto contemplato
dalla legge come espressione di capacità contributiva e non alla volontà
del soggetto (che non può sottrarsi al prelievo se non evitando di porre
in essere il fatto rilevanza tributaria o violando la legge). Studiamo
quindi le norme regolanti imposte, verificando quando ci sia un esame di
tributi non qualificabili come imposte.
La regolamentazione giuridica dei singoli tributi è affidata a singole
leggi d’imposta ma addirittura anche a disposizioni tributarie contenute
in normative extratributarie destinate a fornire fonti di finanziamento
di una particolare spesa prevista dalla legge stessa. La dottrina in
questo senso ha cercato di sistemare organicamente una materia fuori
controllo legislativo, usano indicazioni di una giurisprudenza di
legittimità che ha concorso tra alti e bassi alla stabilizzazione di
alcuni principi. La funzione del diritto tributario deve proprio esser
quella di tutelare la certezza del diritto e la corretta attuazione
pratica. Il legislatore ha dimostrato scarsa attenzione all’esigenza di
una fissazione di principi generali del diritto tributario (o comunque
una raccolta ragionata di norme tributarie in 1 o più testi unici). In
direzione opposta sembrava muoversi la “legge delega per la riforma del
sistema fiscale statale” (l.80/2003), che doveva realizzarsi con
l’eliminazione della gran parte dei tributi a fronte dell’introduzione di
5 imposte (ordinate in un unico codice articolato in parte generale con
la disciplina comune dell’istituzione e parte speciale in cui si dovevano
raccogliere disposizioni concernenti singole imposte su cui veniva5
fondato il sistema tributario statale. Tuttavia la delega non è stata
attuata, specie per il rischio di una perdita di gettito connessa a una
riforma della normativa. Il diritto tributario è quindi in crisi: a ciò
non si può rimediare se non con un rinnovato interesse nella ricerca di
principi interpretativi generalmente condivisi al fine di giungere alla
realizzazione di una codificazione tributaria “accademica” che ponga le
basi di una certezza del diritto partendo dalla ricostruzione della
logica economica delle scelte legislative.
CAPITOLO 2 – LA NORMA TRIBUTARIA
La struttura della norma tributaria
Il contesto legislativo tributario ha dentro di se una serie di
definizioni, regole procedurali, strumenti di garanzia che in altri campi
del diritto formano oggetto di autonoma previsione legislativa e di
separato approccio scientifico. È poi inevitabile notare la centralità
della funzione amministrativa sin dalla stessa fase della predisposizione
dei testi normativi, che arriva anche ad invadere la fase
dell’interpretazione della stessa norma tributaria, con soluzioni
creative e dirette a massimizzare il gettito. Tuttavia attualmente non si
può dubitare della natura giuridica della norma tributaria, ma i profili
sopraelencati concorrono a far apparire il diritto tributario come
diritto di serie inferiore (integrabile dalle interpretazioni anche contra legem offerti
delle parti in causa, come ad esempio l’interpretazione della legge tributaria fornita
dall’Amministrazione finanziaria con circolari, risoluzioni, note ecc: cosiddetta “dottrina
dell’amministrazione finanziaria”, con il tacito consenso di un sistema di tutela giurisdizionale non
ancora abituato a una visione imparziale del rapporto d’imposta). L’analisi della norma
tributaria consente all’interprete di cogliere precisamente una scelta
legislativa diretta a fondare sul principio di legalità il prelievo
tributario, lasciando all’amministrazione la cura dell’attuazione
sostitutiva della norma stessa nell’ambito di una funzione di controllo
di autonoma rilevanza sistematica. Il principio di legalità (23cos)
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impone la regolamentazione giuridica, con norme primarie,
dell’imposizione tributaria nella sua dimensione sostanziale, lasciando
la disciplina attuativa del tributo ad altre e diverse disposizioni
disciplinanti l’attività della P.A.
Lo studio della norma tributaria (da farsi con metodo giuridico) deve
partire dall’analisi della struttura giuridica usata dalla legge per
consentire la produzione di effetti finalizzati al prelievo tributario e
successivamente deve esaminare le regole procedurali apprestate dalla
legge per consentire la produzione di tali effetti o attuazione
secondaria in sede di controllo. Secondo Tinelli è possibile affermare
l’esistenza di una linea comune di tecnica legislativa nella costruzione
del tributo, ruotante su due dimensioni della norma tributaria: una
struttura normativa statica (in cui si può distinguere la fattispecie
impositiva dalla obbligazione tributaria che ne rappresenta l’effetto
(qui la legge regolamenta il rapporto obbligatorio nascente per effetto
del verificarsi del fatto ipotizzato dalla fattispecie, intervenendo con
certe disposizioni per tutelare la funzione pubblica dell’obbligazione
d’imposta). In questo ambito della struttura normativa statica la legge
descrive in via teorica il fatto a rilevanza tributaria, individuando i soggetti tenuti al
pagamento del tributo e dispone la misura del tributo stesso: in pratica con la
fattispecie teorica si individuano dimensioni e modalità del prelievo
tributario relativamente a una certa espressione di capacità contributiva
ipotizzata dalla legge che recepisce la scelte di ordine politico-
economico) e su una struttura normativa dinamica (in cui trova disciplina
la fase della traduzione della fattispecie astratta in concreta
imposizione. Mediante questa struttura dinamica si attua la
concretizzazione del prelievo tributario riguardo a specifiche
espressioni economiche riconducibili alla fattispecie teorizzata dalla
legge. La fattispecie statica disciplina in termini generali ed astratti
fatti economici idonei a consentire la più equa ripartizione delle spese
pubbliche; la fattispecie dinamica assicura la corretta rappresentazione
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del fatto a rilevanza tributaria e la tendenziale corrispondenza tra
fattispecie astratta e risultato in termini finanziari.
La fattispecie tributaria
Nella struttura della fattispecie tributaria statica si possono
distinguere alcuni elementi essenziali: il 1° è il cosiddetto
“presupposto d’imposta”: costituisce il risultato della giuridicizzazione
del fatto economico alla base del tributo. In pratica nella disciplina
del presupposto il legislatore trasforma in una norma giuridica l’oggetto
economico del tributo (determinando regole individuative, modalità di
tassazione, collegamento del presupposto a un soggetto: da cui imposte
personali dove il prelievo tributario avviene considerando la complessiva
situazione personale del soggetto passivo e reali dove è colpita la
manifestazione della capacità giuridica in quanto tale senza contare
della situazione soggettiva del debitore dell’imposta). Dalla struttura
legale del presupposto dipende la classificazione delle imposte in
dirette (colpiscono il possesso di un reddito o la titolarità di un
patrimonio) e indirette (rappresentate da ogni altra imposta in cui la
capacità contributiva è desumibile indirettamente con atti negoziali o
consumi). Sempre dal presupposto abbiamo imposte periodiche (colpiscono
la forza economica espressa in un periodo temporale)e d’atto (colpiscono
la forza economica espressa in un certo atto giuridico o economico).
Sempre dal presupposto abbiamo imposte su base territoriale o mondiale.
Altro elemento essenziale della fattispecie è la disciplina della “base
imponibile”: essa ricorre in tutti i casi in cui l’oggetto economico
definito nel presupposto non si presenti in una somma di denaro e
richieda un’attività di stima. In tal caso la legge fornisce strumenti di
valutazione del peso economico del presupposto selezionando regole
tecniche rispondenti allo scopo voluto dalla legge fino a trasformarle in
norme giuridiche caratterizzate dai tratti peculiari della
generalità/astrattezza propri del metodo giuridico. Ora la distinzione
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tra disciplina del presupposto e quella della base imponibile non è
sempre netta.
Altro elemento essenziale della fattispecie è la disciplina del “soggetto
cui si imputano gli effetti della fattispecie”. Questa disciplina
riguarda le caratteristiche proprie del soggetto cui vengono a imputarsi
effetti attivi e passivi del rapporto obbligatorio nascente dal
meccanismo applicativo del tributo. Ci sono dei casi in cui la disciplina
del tributo richiede strutturalmente la regolamentazione dei soggetti cui
devono darsi gli effetti obbligatori: da qui le cosiddette “imposte
personali” (in cui la capacità contributiva contemplata come oggetto del
prelievo è collegata al soggetto, per cui il relativo prelievo deve
commisurarsi alla situazione personale o familiare)
Altro elemento essenziale della fattispecie attiene alla “misura della
ricchezza prelevata”: questa deve essere determinata dalla legge e
quest’ultima potrà prevedere il tributo in una misura fissa (es. imposta
di bollo)ovvero potrà individuare in una quota della base imponibile
l’importo del prelievo: la c.d.”aliquota” (che potrà essere proporzionale
per cui non varierà col modificarsi della base imponibile; progressiva
per cui aumenterà con l’aumentare della base imponibile. La progressività
potrà essere “a scaglioni aggiuntivi” dove la base imponibile è suddivisa
in scaglioni su ciascuno dei quali si applica un’aliquota crescente
ovvero “continua” laddove su tutta la base imponibile è applicata l’unica
aliquota corrispondente allo scaglione d’ammontare più elevato). Infine
c’è l’aliquota regressiva per cui diminuirà con l’aumentare della base
imponibile). La Costituzione al 53 esprime preferenza per un’impostazione
progressiva (ritenendola maggiormente perequativa ex 3).
Il principio della capacità contributiva
Il 53 1° Costituzione dice che: “Tutti (collegamento col principio
d’uguaglianza) sono tenuti a concorrere alle pubbliche spese in ragione
della loro capacità contributiva”. Viene introdotto quindi questo
fondamentale principio. Questa norma non è l’affermazione costituzionale9
del dovere tributario, in quanto ciò si trova nel 2 Costituzione che
condiziona questo dovere all’appartenenza allo stato. Con questa norma si
è voluto assolutamente escludere il ricorso al tributo al fine di
realizzare finalità politiche o discriminative. Ragion per cui se una
norma è fondata su una valutazione non corretta della base economica del
tributo, sarà sicuramente di dubbia costituzionalità, ma sarà tuttavia
cogente fino alla dichiarazione di incostituzionalità, fermo restando la
possibilità di attenuare gli effetti in sede di interpretazione
adeguatrice e costituzionalmente orientata. La capacità contributiva
prevede l’adeguamento della fattispecie astratta ad altri indicatori di
idoneità economica del soggetto chiamato a rendersi compartecipe delle
pubbliche spese. Il principio discende dal principio d’uguaglianza ex 3
Costituzione La norma impone al legislatore nella costruzione della
fattispecie tributaria un “principio di ragionevolezza economica del
tributo” sia in senso oggettivo (da intendersi che il fatto a rilevanza
tributaria deve rappresentare un fenomeno suscettibile di apprezzamento
economico, dovendo esprimere un’attitudine a consentire la partecipazione
ai carichi pubblici) che in senso soggettivo (nel senso che si deve
verificare dalla ricchezza espressa nel fatto, la capacità del soggetto
di rendersi compartecipe alle spese pubbliche). La giurisprudenza
Costituzione ha individuato 2 caratteristiche fondamentali della capacità
contributiva: l’effettività (connessa alle regole di formulazione della
fattispecie tributaria, specie nella possibilità per il legislatore
tributario di ricollegare l’esistenza di un fatto economico da tassare
non alla sua dimostrazione concreta, bensì alla contestazione di un
diverso fatto che sia tale però da presentare astratta relazione col
fatto economico a base dell’imposizione) e l’attualità (elaborata con
riferimento alle fattispecie d’imposizione retroattiva o anticipata
affermando la necessità di un collegamento tra momento dell’imposizione e
quello del verificarsi del fatto contemplato dalla fattispecie
impositiva. Riferendosi all’imposizione retroattiva si distingue tra
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retroattività propria che si verifica in ogni caso in cui la norma
tributaria collochi nel passato sia il presupposto economico del tributo
sia gli effetti giuridici e retroattività impropria che si realizza
quando la norma colloca nel passato solo il presupposto economico,
attribuendo gli effetti della fattispecie ad un periodo successivo a
quello dell’entrata in vigore della norma. la l. 212/2000 art 3 ha
escluso la natura retroattiva delle norme tributarie (salvo i casi di
interpretazione autentica delle disposizioni consentiti dall’art 1 1°
della stessa legge). C’è la possibilità di derogare il principio per
realizzare interessi di natura extrafiscale, ritenendosi generalmente che
ciò sia possibile per lo spessore costituzionale dell’interesse che venga
ad essere perseguito dal legislatore: in pratica l’interesse legislativo
deve essere equiparabile con quello contenuto dal 53. Infine, non sembra
possibile usare la leva fiscale per colpire comportamenti contrari alla
morale, ove tali comportamenti non siano di per se espressivi di forza
economica, per cui si devono esprimere perplessità sulle legittimità
costituzionale di alcune misure fiscali come ad esempio “porno tax” o la
“robin hood tax”.
L’obbligazione tributaria e l’attuazione della norma tributaria
Per realizzare la sua propria funzione (cioè quella di procurare mezzi
finanziari necessari a coprire le pubbliche spese), la norma tributaria
usa uno schema di carattere obbligatorio idoneo a consentire il
trasferimento giuridico di una parte della ricchezza espressa dai
consociati nella disponibilità del soggetto titolare del gettito del
tributo. L’obbligazione tributaria quindi presenta natura legale. La base
civilistica dell’obbligazione tributaria riemerge in tutti i casi in cui
la pur dettagliata regolamentazione speciale manca, ritenendosi in questo
caso applicabile le ordinarie regole del c.c.
L’applicazione della fattispecie astratta alla fattispecie concreta dà
luogo all’effetto obbligatorio in cui si concretizza il prelievo
tributario: ciò può derivare da una “spontanea attività del soggetto
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destinatario dal lato passivo dell’obbligazione tributaria (“si vedrà il
cosiddetto “adempimento spontaneo o automatico del tributo” cioè
“attuazione volontaria”). Tuttavia è possibile anche una forma di
“attuazione sostitutiva della norma tributaria” da esercitarsi senza il
concorso della volontà dell’interessato o addirittura vs la sua volontà.
Una volta verificata l’inadeguatezza per il caso concreto delle misure
previste dalla legge per consentire l’attuazione volontaria della norma
tributaria, la legge deve disciplinare la possibilità di un intervento
integrativo/sostitutivo del creditore del tributo finalizzato alla tutela
dell’obbligazione tributaria: la cosiddetta “attuazione amministrativa”
della norma tributaria, che include l’insieme dei potere e procedure
previste dalla legge per consentire l’applicazione della norma tributaria
al caso concreto. Comunque sia l’attuazione volontaria che quella
amministrativa mirano entrambe a ricondurre la fattispecie astratta a
quella concreta, fino a giungere alla liquidazione del tributo stesso ed
alla affermazione delle dimensioni dell’obbligazione
CAPITOLO 3 – LE FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO
I principi costituzionali e la riserva di legge
Il principio della riserva di legge in materia tributaria vide la luce
nelle costituzioni più importanti che nacquero nella prima metà dell’800.
Con l’evoluzione dei sistemi di governo parlamentare, la riserva di legge
non rappresentò più una forma di tutela dell’individuo nei confronti del
governante, in quanto l’individuo stesso partecipa con i suoi
rappresentanti all’autorità governativa. Per cui il 23 Costituzione:
“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non
in base alla legge” finisce per svolgere una funzione del tutto
peculiare: quella di configurare un’esigenza di tutela per le minoranze
parlamentari (non rappresentate nell’esecutivo o nel governo)a fronte di
scelte che potrebbero pregiudicare interessi di cui sono portatori. Tutto
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ciò però va rivisto dopo il consolidamento della prassi parlamentare di
approvare col voto di fiducia la cosiddetta “legge finanziaria” (l.
468/1975): ad oggi il dibattito parlamentare sulla legge tributaria è
ormai privo di significato. La finanziaria può contenere: a) modifica
delle aliquote, delle detrazioni di imposta, degli scaglioni, delle altre
misure incidenti sulla determinazione del quantum della prestazione,
Funzionamento e organizzazione disciplinati da uno statuto emanato su
proposta del Premier di concerto con Ministero Economia, rapporto con il
Ministero Economia regolato da una Convenzione annuale, da cui si
determinano servizi e obiettivi da perseguire, nonché risorse finanziarie
disponibili. Ex d. lgs 300/1999 essa ha tutti i potere diretti
all’attuazione amministrativa delle principali imposte erariali (compreso
l’accertamento, riscossione, rappresentanza nel contenzioso tributario
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inerenti tali imposte). Si articola in: uffici centrali (con sede a Roma.
Funzioni centrali una volta esercitate da Ministero Finanze, ora dal
cosiddetto “Ministero snello”: il “Dipartimento delle finanze”articolato
in 8 direzioni: legislazione tributaria, giustizia tributaria, studi-
ricerche economico fiscali (con compiti di controllare andamento del
gettito e di sostenere il ministro all’atto di adozione di scelte di
politica tributaria svolgendo consulenza giuridica sia a livello interno
nel Dipartimento, sia a livello esterno per le Agenzie fiscali), Agenzie
ed enti della fiscalità, relazioni internazionali, federalismo fiscale,
comunicazione istituzionale della fiscalità, sistema informativo della
fiscalità, gestione risorse finanziarie e personale), uffici regionali
(con sede in capoluoghi di regione con compiti di programmazione,
indirizzo, coordinamento, controllo), uffici locali (con funzioni
operative territoriali).
Hanno (d.lgs. 300): personalità giuridica di diritto pubblico, ex 61 3°
d. lgs 300 osservano i principi di legalità, imparzialità, trasparenza,
loro operato sottoposto alla vigilanza di autorità politica ovvero del
Ministero economia. Lo statuto (deliberato dagli organi direttivi delle
Agenzie, sottoposto ad approvazione Ministro Economia) deve:
a) definire potere ministeriali di vigilanza, secondo modalità idonee a garantire l’autonomia dell’agenzia;
b) determinare attribuzioni degli organi di cui si compone l’Agenzia;
c) istituire apposite strutture preposte al controllo interno di gestione;
d) individuare principi generali in ordine all’organizzazione ed al funzionamento dell’agenzia;
e) attribuire a regolamenti interni di ciascuna agenzia (adottati dalle direzioni e approvati dal Ministero) la possibilità di adeguare l’org alledinamiche esigenze funzionali;
f) devolvere ad atti di organizzazione di livello inferiore ogni altro potere di organizzazione;
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g) applicare criteri di mobilità professionale e territoriale ex d.lgs. 29/1993;
h) prevedere attribuzione all’agenzia di autonomia di bilancio;
i) attribuire ad organi direttivi facoltà di deliberare e proporre all’approvazione del Ministero regolamenti interni di contabilità ispiratia principi civilisti.
Struttura organizzativa: Direttore d’Agenzia, Comitato di Gestione (membrinon possono svolgere attività professionali, non possono esseramministratori/dipendenti di società/imprese operanti nei settorid’intervento dell’Agenzia, Collegio dei revisori dei conti ( tuttiincarichi di durata massimo 3 anni ex 67 d. lgs 300). Commissariostraordinario (in casi del tutto eccezionali viene nominato: assume ipotere del Direttore del comitato di gestione). 2 ambiti di organizzazioneterritoriale dell’Agenzia delle Entrate: regionale (affidato a DirezioniRegionali delle entrate, che svolge coordinamento degli uffici perifericisituati nel territorio regionale, nonché funzioni operative riguardo certetipologie di “grandi” contribuenti. per questi ultimi le Direzioniregionali fanno anche attività di liquidazione automatica e controlloformale delle dichiarazioni, controllo sostanziale, recupero creditiinesistenti usati in compensazione, gestione contenzioso, rimborso inmateria di imposte dirette ed IVA) e provinciale (affidato a DirezioniProvinciali delle Entrate, istituite con Delibera del Comitato digestione; provvedono all’attuazione dei tributi attribuiti alla competenzadell’AE, curando attività d’informazione e assistenza ai contribuenti,gestione tributi, accertamento, riscossione, trattazione contenzioso.Strutturate in 1 o più uffici territoriali e in un ufficio controlli chepuò articolarsi in più aree, individuate per la numerosità e per lecaratteristiche delle diverse tipologie di contribuenti e per i differentitipi di attività da svolgere).
La guardia di Finanza
La legge le attribuisce competenze in materia di collaborazione (pur non
avendo poteri di accertamento) con l’attività degli uffici finanziari,
prevedendo una cooperazione nell’acquisizione e nel reperimento di
elementi utili ai fini dell’accertamento dei redditi, dell’IVA, e per la
repressione delle relative violazioni. Per quanto riguarda l’attività
ispettiva finalizzata alla tutela della pretesa erariale, è prevista una
collaborazione con Equitalia Spa. La Guardia di Finanza ha il compito di
reperimento ed analisi della documentazione volta alla ricostruzione
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delle consistenze patrimoniali dei debitori anche al fine di
prevenire/reprimere atti di sottrazione fraudolenta di beni alla
riscossione dei tributi. La Guardia di Finanza nasce come “polizia di
frontiera”, deputata al controllo dei confini e alla repressione dei
fenomeni di contrabbando: nel tempo però ha assunto il ruolo di “polizia
economica finanziaria” (con un’attività volta al monitoraggio di tutto il
settore economico-finanziario ed alla difesa del connesso interesse
pubblico). Normativamente, la struttura organizzativa è disciplinata
dalla l.189/1959. C’è stato però un processo di riforma organica, con il
DPR 34/1999 e completato con l.78/2000. Da questa riforma l’attività
della Guardia di Finanza si è estesa anche all’attività di contrasto alla
criminalità organizzata, commercio di droghe, concorso a mantenere
ordine/sicurezza, collaborazione con magistratura contabile e Autorità
istituzionali centrali e con tutela del patrimonio artistico-ambientale.
Organizzazione interna. 3 livelli: centrale competenze di direzione
generale, collegamento e controllo dei comandi dipendenti), regionale
(c.d.”Comandi regionali”: ha responsabilità unitaria del coordinamento e
del controllo sull’area di competenza, di norma coincidente con la
circoscrizione amministrativa di una regione. Sono retti da un generale
di brigata o di un colonnello ); tra i 2 livelli ci sono i “Comandi
interregionali”: comandati da un generale di corpo d’armata, svolgono
attività ispettiva verso 2 o più comandi regionali garantendo buon
andamento dell’organizzazione esecutiva del servizio) provinciale (è
riconosciuta la direzione, coordinamento, controllo dell’attività
operativa dei reparti incaricati dell’esecuzione del servizio. I “Comandi
provinciali” sono retti da un colonnello o un ufficiale superiore).
Comando Generale: è l’organo di direzione, pianificazione, controllo,
responsabile del perseguimento dei fini istituzionali della l.189:
collega e raccorda la Guardia di Finanza con gli organi centrali della
P.A., dell’UE, con organismi internazionali. La Guardia di Finanza è
37
retta da un Comandante Generale (che si avvale del Consiglio Superiore
della Guardia di Finanza che svolge funzione consultiva).
1) L’agente della riscossione
L’attuale assetto della riscossione, introdotto dal DL 3 1° l.248/2005
convertito con la l.248/2005, ha eliminato l’affidamento a soggetti
privati. Le funzioni sono esercitate dall’AE mediante Equitalia spa
(società pubblica: 51% AE, 49% INPS). Per la riscossione si avvale di
personale dell’AE e dell’INPS nonche di spa partecipate dalla stessa,
cioè le ex società concessionarie del servizio di riscossione, ora
“Agenti della riscossione”, per cui Equitalia abbia scelto di acquisire
il controllo della società ovvero il ramo d’azienda della banca che,
prima della riforma, operava gestione diretta dell’attività di
riscossione. Questi soggetti cedenti però devono acquistare parte del
capitale sociale di Equitalia (fermo restando la partecipazione pubblica
di AE e INPS di almeno il 51%, nelle proporzioni dell’atto istitutivo).
La norma impone quindi che max 49% possa esser nella titolarità degli ex
concessionari privati. In quanto spa, Equitalia ha suo statuto e suoi
organi sociali , ma il Pres del Consiglio Sindacale deve esser scelto tra
Magistrati Cor Conti. L’AE è chiamata a fornire al Ministero Economia gli
elementi acquisiti nell’attività di coordinamento che quest’ultima deve
svolgere nell’ambito dell’attività di riscossione: il Ministero informa
annualmente il Parl di ciò. Equitalia infine, oltre a attività di
riscossione spontanea, svolge anche attività di liquidazione,
accertamento delle entrate tributarie o patrimoniali degli enti pubblici
(anche territoriali) e delle loro società partecipate, nonché ulteriori
attività funzionali alla riscossione coattiva del debito.
I soggetti passivi
Nello schema normale dei tributi, sono i soggetti che la fattispecie
individua come titolari del fatto economico assunto a presupposto
38
dell’imposta, determinando i migliori moduli di collegamento. Alla
titolarità passiva dell’obbligazione corrisponde la soggezione ai poteri
connessi all’attuazione della norma tributaria, nonché anche la
responsabilità patrimoniale (2740 cc)nell’adempimento del debito
d’imposta, per cui il soggetto passivo è chiamato a rispondere al
pagamento del tributo con ogni bene presente/futuro. Gli istituti
soggettivi usati dalla norma tributaria sono quelli propri del diritto
comune, salvo poi la deroga possibile ad un sistema di integrale rinvio
alla normativa presupposta, mediante regole specifiche destinate a
realizzare certe finalità fiscali. La norma tributaria propone alcune
figure soggettive non previste dall’ordinamento comune, con ciò
prevedendo istituti propri di diritto tributario. In alcuni casi si
attribuisce soggettività ad istituti che non hanno tale soggettività nel
diritto comune, derogandosi in modo espresso rispetto alla base
civilista. Il soggetto passivo è indicato come “contribuente”, per
sottolineare la differenza rispetto ad altri soggetti coinvolti
nell’attuazione della norma tributaria, ma non titolari del fatto
economico assunto dalla legge a presupposto dell’imposta.
Il sostituto d’imposta (non definito dalla norma. Parla solo del dirittodi rivalsa)
Esso è un esempio si coinvolgimento nella dinamica attuativa del tributo
di un soggetto diverso dal contribuente. Egli è un soggetto passivo:
questi col proprio patrimonio risponde di un obbligo di versamento
collegato a un’espressione di capacità contributiva riferibile a un
soggetto diverso, con cui è legato da un rapporto di carattere negoziale.
Questo meccanismo realizza una situazione di disinteresse del sostituto
all’inadempimento (in considerazione della sanzionabilità della mancata
rivalsa verso il sostituto). Secondo la tradizionale ricostruzione, è un
istituto volto alla semplificazione dei rapporti col fisco, che incide
sia nella fase dell’accertamento sia in quella della riscossione
39
(tutelando l’interesse fiscale alla corretta rappresentazione del fatto a
rilevanza tributaria e l’interesse alla riscossione cioè all’adempimento
dell’obbligazione tributaria). Proprio il ricondurre il sostituto
d’imposta a questi due interessi consente di prevenire i dubbi di
costituzionalità (che finirebbe per imporre una prestazione tributaria su
un soggetto senza capacità contributiva). Il sostituto viene così a
collocarsi nella fase successiva alla fase impositiva, diventando
destinatario di un obbligo di pagamento facente capo al titolare della
capacità contributiva (disponendo strumenti giuridici per non risultare
inciso dal tributo). Ora il sostituto esercita la rivalsa: con questo
mezzo si assicura il ribaltamento sul contribuente del pagamento del
tributo a questi riferibile. Questa può realizzarsi con l’istituto della
ritenuta alla fonte (nei casi in cui il sostituto risulti debitore della
somma costituente reddito imponibile per il contribuente. L’istituto
viene dai 23 e 30 DPR 600/1973) ma anche con strumenti propri del diritto
civile (quando c’è un rapporto di debito/credito o se il debito è
estinto). Abbiamo 2 ip di ritenuta: la ritenuta d’acconto (qui la somma
prelevata costituisce un acconto dell’imposta sul reddito presumibilmente
dovuta dal percettore, il quale dovrà provvedere agli adempimenti fiscali
connessi alla produzione del reddito e potrà detrarre dall’imposta
definitivamente dovuta la ritenuta alla fonte subita. Questo schema non
trova applicazione quando non si effettua la ritenuta: in questo caso il
contribuente dovrà dichiarare il reddito non assoggettato al prelievo
alla fonte e determinare l’imposta dovuta secondo l’ordinario sistema.
Quando il sostituto effettui la ritenuta, ma non provveda al versamento
della stessa, il contribuente potrà comunque detrarre tale ritenuta e il
fisco procederà al recupero della ritenuta non versata nei confronti del
sostituto) e la ritenuta d’imposta (qui la ritenuta prelevata alla fonte
è l’adempimento integrale del tributo dovuto sulla specifica
manifestazione di capacità contributiva, per cui al contribuente non si
danno obblighi di collaborazione all’attività d’attuazione della norma
40
tributaria. In questo caso la legge prescinde dalla collaborazione del
titolare della capacità contributiva e attribuisce al sostituto d’imposta
la gestione del prelievo, dandogli anche la possibilità di rinunciare
alla rivalsa, se l’assetto negoziale giustifichi tale traslazione
d’imposta che comunque graverà sul sostituto). Si ha poi l’istituto della
ritenuta diretta (se ne parla dopo). Comunque in tutti questi casi si
assiste a una divaricazione della normale uguaglianza tra soggetto
passivo e conseguenti sue posizioni doverose a seguito dell’attuazione
della norma tributaria e adempimento dell’obbligazione. Questa figura è
fondamentale perchè garantisce corretta attuazione della norma
sostanziale per effetto della prossimità del sostituto al fatto a
rilevanza tributaria.
Il responsabile d’imposta (non definito dalla norma. Parla solo deldiritto di rivalsa)
Rispetto al sostituto d’imposta, il responsabile non è chiamato a
rispondere del tributo “in luogo d’altri”, bensì “insieme con altri”. Da
ciò quindi questa figura si ricollega alla disciplina della
“coobbligazione passiva”. La norma di riferimento è la stessa del
sostituto: il 64 del DPR 600. La norma non definisce l’istituto,
limitandosi a affermare il diritto di rivalsa del soggetto che estraneo
al fatto imponibile, sia stato dalla legge chiamato all’adempimento del
tributo insieme ad altri soggetti. Ora, il diritto di rivalsa già spetta
al soggetto chiamato al pagamento del debito altrui in base alla
disciplina civilistica (verso sostituto): la motivazione della norma
allora può far pensare solo all’idea di sistemare una parte generale del
diritto tributario, tra cui il responsabile, idea che cominciò con il TU
1958 su questa materia. L’essenza del responsabile si riconduce a una
forma di rafforzamento della tutela del credito fiscale, realizzata con
l’ampliamento del novero dei patrimoni esecutibili ai fini della
realizzazione della garanzia patrimoniale dell’adempimento del tributo.
41
La particolare natura del credito ( e la funzione pubblicistica) creano
il ricorso a forme differenti di tutela rispetto a quelle proprie del
credito non tributario. Ci sono diverse giustificazioni sul perché si
coinvolgono terzi nell’adempimento del tributo: ad esempio il soggetto lo
usa per detrarre da un proprio debito l’importo del tributo nascente da
contratto a prestazioni corrispettive inerente la circolazione di beni
immobili o aziende ovvero la responsabilità può collegarsi in altri casi
alla possibilità di prevenire (con atti volontari) una situazione
d’insolvenza del contribuente. In generale è allora una forma di
concorso al dovere contributivo (si inserisce nel dovere ex 2 2°
Costituzione) ma l’obbligo del 3° è comunque bilanciato dal diritto di
rivalsa.
La solidarietà tributaria
L’esame interessa le problematiche legate al coinvolgimento nella
riscossione di un tributo di più soggetti legati da un vincolo
obbligatorio idoneo a consentire l’escussione di un solo condebitore per
l’intera prestazione (salva rivalsa interna). L’istituto trova la sua
base normativa nel 1292 C.C. per collocare l’istituto nel diritto
tributario, occorre distinguere la solidarietà paritetica (che deriva
dalla compartecipazione di singoli condebitori solidali ai fatti a
rilevanza tributaria, quindi da uno stesso titolo. Qui la tutela del
condebitore è diretta all’accertamento del titolo dell’obbligazione)
dalla solidarietà dipendente (deriva da un titolo differente. Qui
l’accertamento del titolo dell’obbligazione è meramente incidentale per
verificare la responsabilità dipendente da un titolo diverso da quello
tributario). Bisogna verificare se il 1294cc (che stabilisce che
l’obbligazione è solidale se la legge o il titolo non dispongano
diversamente, si applichi o meno nell’ambito del diritto tributario) è
applicabile al diritto tributario: la regola vuole che solo nei casi
previsti da legge si applica la regola della solidarietà (questo in42
applicazione del 23 Costituzione: quindi non si applica il 1294). Altre
problematiche si hanno quando c’è la presenza di un’obbligazione solidale
nella fase di attuazione della norma tributaria: qui le problematiche
vertono nelle questioni connesse alla garanzia del diritto di difesa del
contribuente. Il tema concerne le forme di tutela che l’ordinamento
accorda al condebitore solidale nella fase precedente l’escussione del
credito tributario nei suoi confronti, dovendosi escludere che tale
tutela sia accordabile in via indiretta (attribuendo potere
rappresentativi a uno dei condebitori sociali). A ciò si contrappone
però l’interesse all’accertamento unitario del fatto a rilevanza
tributaria che sia che avvenga in sede amministrativa che giudiziale, non
può dar luogo a differenti valutazioni. Ora la Corte Costituzionale, nel
bilanciamento d’interessi, ha ritenuto prevalente quello di maggior
spessore costituzionale, sacrificando alla tutela del diritto di difesa
(24 Costituzione) l’interesse all’uniformità dei giudicati sulla stessa
situazione di fatto. SI afferma quindi la necessità della notifica a
ciascuno dei condebitori solidali degli atti amministrativi di gestione
della fase attuativa del tributo: ciò ha portato la possibilità di
precludere la possibilità di escutere il condebitore sociale che non ha
potuto esprimere le sue ragioni di contrasto della pretesa fiscale, ma
d’altra parte ha aperto la strada a una proliferazione di giudicati
contrastanti in relazione ai diversi coobbligati solidali. La soluzione
passa affermando l’inscindibilità delle posizioni giuridiche dei
condebitori sociali (ma deve svilupparsi con la ricerca di quelle vie
offerte dall’ordinamento per prevenire il contrasto di giudicati:
soluzioni che devono ricondurre agli istituti processuali a ciò deputati,
nel senso di decidere unitariamente le controversie concernenti la stessa
situazione di fatto generante un’obbligazione solidale oppure la
sospensione del processo in presenza di una causa pregiudiziale. Infine,
il problema della solidarietà è sopravvalutato in quanto si può ridurre
nella ricerca di bilanciamento tra esigenze di tutela dell’obbligazione
43
tributaria e di garanzia giurisdizionale dei diritto del contribuente
(esigenze non mortificabili per effetto del vincolo solidale)
La successione nel debito d’imposta
Si parla in questo senso delle forme di coinvolgimento a titolo
successorio di un soggetto nell’adempimento dell’obbligazione tributaria
riferibile alla capacità contributiva manifestata da un altro soggetto.
Il 1° problema da esaminare riguarda la dimensione sostanziale della
successione d’imposta: innanzitutto va verificato se il debito tributario
(ormai liquido ed esigibile) cada o no in successione secondo le
ordinarie regole civilistiche oppure se dai principi regolanti il diritto
tributario si possa ricavare un ostacolo alla trasmissione successoria
del debito connesso ad un’espressione di capacità contributiva
attribuibile al de cuius. La fattispecie tributaria non è influenzata
dalla successione (che attiene invece all’obbligazione tributaria). La
normativa tributaria non da molte regole per la successione del debito
d’imposta, salvo precisare la natura solidale dell’obbligazione degli
eredi nel pagamento delle imposte del defunto (65 1° DPR 600).
Quest’ultima regola deroga alla disciplina civilistica (che prevede la
responsabilità dell’erede in proporzione alla quota ereditaria, trovando
conferma anche nella disciplina dell’imposta sulle successioni).
Tuttavia, mancando un’espressa previsione della natura solidale
dell’obbligazione come ad esempio l’IVA, il coerede deve ritenersi
responsabile dell’adempimento del tributo in proporzione alla sua quota
ereditaria. Il 2° problema riguarda l’efficacia dell’accettazione con
beneficio d’inventario in relazione ai debiti d’imposta caduti in
successione e in particolare se da tale accettazione beneficiata possa
derivare una limitazione della responsabilità patrimoniale dell’erede ai
beni caduti in successione. per la dottrina il beneficio d’inventario
rappresenta l’unico strumento per distinguere il patrimonio dell’erede
dal patrimonio del de cuius (in presenza di debiti d’imposta superiori
44
all’attivo successorio). L’adempimento da parte dell’erede dei debiti
tributari del de cuius è un atto di carattere obbligatorio, mentre
costituisce accettazione tacita il ricorso alla Commissione Tributaria
verso l’avvio di accertamento del maggior valore notificato
dall’amministrazione finanziaria e la successiva definizione per adesione
dell’accertamento (in quanto questi atti non sono meramente
conservativi). Rinuncia dell’eredità = preclude ogni adempimento (519cc).
per quanto riguarda gli obblighi fiscali, il 65 DPR 600 prevede che tutti
i termini pendenti alla data della morte del contribuente o scadenti
entro 4 mesi da essa sono prorogati di 6 mesi in favore degli eredi.
Sussiste poi un controllo amministrativo in questo ambito:
l’amministrazione finanziaria infatti conosce gli eredi del contribuente,
per arrivare verso loro le iniziative inerenti la fase dell’attuazione
amministrativa. Sempre il 65 dpr 600 prevede per gli eredi del
contribuente un obbligo di comunicazione delle rispettive generalità al
fisco. La legge però, se non si conoscono domicilio/residenza dell’erede,
stabilisce che gli atti possano esser depositati presso l’ultimo
domicilio del de cuius. Infine, per opinione comune il titolo esecutivo
formato nei confronti del defunto è usabile per aggredire il patrimonio
dell’erede.
Residenza e domicilio fiscale
Residenza: per la norma tributaria sono residenti i soggetti che si
trovano per un ragionevole lasso di tempo in un collegamento stabile col
territorio statale (determinato o da una scelta di carattere formale come
es. iscrizione all’anagrafe ovvero dalla constatazione in fatto della
sussistenza dei presupposti per attribuire secondo le regole civilistiche
un domicilio cioè la sede principale degli affari/interessi o una
residenza cioè una dimora abituale in un certo luogo, connessa alla
permanenza in tal luogo e all’intenzione di abitarvi stabilmente. Quindi
45
le risultanze anagrafiche non sono superabili dalla prova contraria del
contribuente (che dimostri la natura solo formale dell’iscrizione)
tuttavia la non residenza/domicilio può esser anche verificata secondo le
norme civilistiche. Oggi però, per i cittadini italiani cancellati dalle
anagrafi delle popolazioni residenti ed emigrati in Stati non rientranti
nella “white list” (curata da Ministero finanze, è prevista una sorta di
inversione dell’onere della prova per l’effettività del domicilio o della
residenza all’estero.
Società ed enti (73 TUIR). La residenza si verifica: sulla sede legale,
sulla sede dell’amministrazione, sull’oggetto principale dell’attività
svolta. Questi sono integrati dal requisito temporale della relativa
sussistenza nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo
d’imposta. Per i trus è rilevabile: sede di residenza del trustee, la
sede dell’amministrazione, l’oggetto principale dell’attività. Ad oggi,
per il bis e ter del 73, risiedono nello Stato le società con sede
all’estero che detengano partecipazioni di controllo/collegamento in
società di capitali ed enti commerciali residenti, se sono controllate o
amministrate da soggetti residenti in Italia (estero vestizione).
Domicilio fiscale. Esso disciplina la competenza territoriale
dell’ufficio amministrativo nell’attività di attuazione della norma
tributaria. Quindi anche il soggetto non residente deve possedere
domicilio fiscale in Italia. Ex 58 DPR 600 la persona fisica residente
nello Stato, si intende domiciliata ai fini fiscali nel Comune alla cui
anagrafe è iscritto. Il soggetto non residente ha il domicilio fiscale
nel comune in cui produce il reddito. Se ci sono 2 comuni in cui è
prodotto il reddito, il domicilio fiscale è il comune in cui si produce
il reddito più alto. Per le persone non fisiche, il domicilio fiscale è
la sede legale, se manca la sede amministrativa, se non esiste si va
nella stabile organizzazione del soggetto non residente, se manca, il
luogo dove si esercita l’attività.
46
CAPITOLO 7 – IL CONTENUTO DELL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
Diritto civile e diritto tributario nella disciplina del rapportoobbligatorio d’imposta
La normativa del C.C. si presenta come normativa generale e trova
applicazione ogni volta che la normativa tributaria non prevede
specifiche deroghe. Anzi le deroghe, per effetto della loro natura
speciale, devono trovare disciplina espressa e non possono derivare da
principi comuni o da consuetudini (fermo restando comunque un giudizio di
preventiva compatibilità di istituti pensati per una disciplina negoziale
con la struttura legale dell’obbligazione tributaria). Tutto ciò risulta
evidente nel collegamento normativa civilista-sistema della contabilità
pubblica: tuttavia il connotato della natura pubblicistica
dell’obbligazione tributaria ha perso sempre più di centralità, in quanto
sono previsti istituti di certo poco compatibili con uno dei principi
interpretativi su cui con maggior sicurezza si fondava il regime
particolare dell’obbligazione tributaria, ossia quello
dell’indisponibilità. In pratica la fase di autoritatività del tributo si
limiterebbe all’introduzione del tributo, potendosi rimettere ad istituti
di fonte negoziale le regole per garantirne in concreto l’attuazione
(valutandosi per questo fine non principi teorici, ma aspetti
organizzativi più idonei rispetto al fine perseguito).
Differenze tra obbligazione tributaria e obbligazione di diritto comune.
1)imposte periodiche. In base a ciò, a ciascun periodo d’imposta
corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma. La legge tributaria
prevede separazione tra obbligazione tributaria (riferibile ad un periodo
temporale rispetto all’obbligazione riferibile al periodo antecedente) e
o successivo, escludendo le possibilità di un reciproco condizionamento
se non previsto da legge.
47
2) pagamento sempre con somma di denaro. Questo perché l’obbligazione
tributaria è funzionale a garantire il concorso individuale alle
pubbliche spese. Tuttavia la legge prevede si possa pagare cedendo beni
di interesse artistico/storico/culturale, ma non sembra possibile
un’ipotesi di una prestazione in luogo dell’adempimento (dovendosi invero
ritenersi possibile in casi elencati da legge una fattispecie di datio in
solum). Si applica però all’obbligazione tributaria il principio del
comportamento secondo correttezza (1175 cc): violarlo può esser causa di
responsabilità aquiliana per p.a. (quando quest’ultima violando abbia
provocato lesione alla sfera soggettiva del destinatario).
48
L’ADEMPIMENTO
Luogo e tempo sono disciplinati da legge. Deroga al cc sugli
“interessi” : in tema di IVA si fanno decorrere dal 60esimo giorno
successivo dalla scadenza del termine del 5 marzo dell’anno solare cui si
riferisce l’accertamento o la rettifica. Mancato o tardivo pagamento del
tributo comporta anche sanzioni di carattere amministrativo (rafforzando
tutela interesse pubblico alla realizzazione dell’entrata tributaria).
Deroga al 1181 cc: stabilita dal 31 DPR 602/1973 : il concessionario
della riscossione non può rifiutare pagamenti parziali di rate scadute e
pagamenti in acconto per rate di imposte non ancora scadute. Anche sulla
quietanza ci sono deroghe rispetto al 1199 cc col riferimento contenuto
quietanza e soggetti legittimati ad emetterla. Se si paga un’imposta a un
ufficio incompetente a riceverla, ma che lo accetta lo stesso, la regola
vuole che il versamento è invalido (salvo le ipotesi in cui la legge dice
che il versamento è valido.)con conseguenze di natura sanzonatoria. In
questi casi si deve chiedere risarcimento e poi procedere a nuovo
versamento. Infine la compensazione: rappresenta questa una forma di
adempimento dell’obbligazione tributaria di tipo satisfattorio. La
giurisprudenza ritiene che esista: lo Statuto dei diritti del
contribuente chiede però un regolamento ministeriale per fissare regole
interpretative.
La traslazione dell’imposta e l’ estinzione dell’obbligazione tributaria
La traslazione dell’imposta rappresenta la possibilità di considerare il
debito (o il credito) d’imposta quale oggetto di un accordo negoziale,
che consenta il trasferimento su un soggetto diverso da quello previsto
come tale nella fattispecie d’imposta. A livello giuridico si può
realizzare nell’ambito di un modulo contrattuale a prestazioni reciproche
ovvero nell’ambito di uno schema unilaterale: in ambo i casi tali negozi
appaiono ammissibili. Tuttavia, considerando la natura pubblicistica
della p.a., la legge tributaria assoggetta a certi adempimenti49
l’opponibilità dell’accordo della p.a., confermando la validità del patto
inter partes: l’8 dello Statuto prevede la generale ammissibilità
dell’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del
contribuente originario .
L’obbligazione si estingue:
a) per effetto dell’estinzione del relativo credito (ciò deriva
dalla decadenza dell’azione amministrativa di recupero del credito con
esercizio delle procedure di accertamento o liquidazione);
b) dalla prescrizione del credito ormai liquido e esigibile (ma non
azionato esecutivamente nei termini di legge. La disciplina tributaria
regola però molto poco ciò). La legge in materia di imposte sui redditi
e in materia IVA disciplina i termini di decadenza dell’azione di
accertamento e della riscossione tramite ruolo, non dettando regole
particolari riguardo la prescrizione del credito. La natura generale
della disciplina civilistica impone la prescrizione di 10 anni (2394
cc)quando la normativa tributaria non ponga termini diversi (l’8 dello
Statuto dice che i termini non possono esser superiori a quelli del cc,
tranne nel caso in cui sia accertato il mancato o irregolare
funzionamento degli Uffici finanziari: l’accertamento si fa con decreto
del direttore dell’ufficio di vertice dell’Agenzia fiscale interessata,
sentito il Garante del contribuente, da pubblicare in GU entro 45giorni
dalla scadenza del periodo di malfunzionamento).
c) Per forme di definizione legale inserite all’interno di norme
dirette a chiusura agevolata di pendenze tributarie: la legge crea forme
di estinzione del debito, ad esempio con il pagamento di una somma
rapportata al debito stesso entro un certo termine e con modalità
determinate. Il condono è una negazione del diritto tributario: produce
infatti un effetto premiale per l’evasore fiscale consolidando
50
situazioni di ingiustizia nell’imposizione. Dopo la sentenza 17 luglio
2008 della Corte di Lussemburgo perchè ha condannato l’Italia ad aver
rinunciato all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel
corso di una serie di periodi d’imposta (violando 10 TCE, direttiva
1997,77/388/CEE), Tinelli si augura di regolamentare l’inammissibilità
di sanatorie generalizzate in materia tributaria.
CAPITOLO 8- L’ATTUAZIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA
L’attuazione spontanea della norma tributaria. La dichiarazione
L’esigenza di una regolamentazione giuridica dell’attuazione della norma
tributaria si è inserita in un più ampio programma di politica economica
diretto a fondare la gran parte del prelievo tributario sulla spontanea
collaborazione del contribuente (x comprimere i costi connessi ad
un’attuazione amministrata e da ottenere un effetto d’anticipazione
finanziaria del gettito). Ora, l’attuazione spontanea si realizza
normalmente mediante la dichiarazione del contribuente, con cui sono
forniti gli elementi fattuali su cui fonda la ricognizione del
presupposto d’imposta, la determinazione della base imponibile e la
successiva liquidazione del tributo. In base alle caratteristiche del
fatto a rilevanza tributaria, la legge può prevedere una cadenza
periodica della dichiarazione ovvero la presentazione di una
dichiarazione e la conferma tacita della stessa negli anni seguenti. Il
contenuto informativo della dichiarazione può trovare garanzia: in
supporti documentali, contabili, informatici che la legge ricollega
all’esercizio di attività economiche oppure alle caratteristiche
soggettive del contribuente. La disciplina della dichiarazione è
contenuta nell’ambito delle singole leggi d’imposta, venendo ad essere
condizionata dalle caratteristiche del presupposto alla cui
rappresentazione è funzionale. In alcuni casi la dichiarazione sarà
particolarmente semplice e senza profili formali mentre in altri casi
richiederà complesse procedure compilative e requisiti di forma51
condizionanti la validità. In ogni caso il contenuto sarà rappresentato
da una ricognizione fattuale/giuridica del presupposto del tributo
(idoneo a consentire la determinazione della base imponibile e la
successiva liquidazione dell’imposta); si potranno poi aggiungere altre
indicazioni richieste dalle singole leggi d’imposta, per agevolare il
controllo amministrativo, mediante informazioni sul soggetto passivo o
sull’attività tassata. La dichiarazione potrà prevedere manifestazioni di
volontà del contribuente per destinare parte del tributo a scopi
benefici. Caratteristica comune a ogni dichiarazione tributaria è la
previsione di alcuni requisiti inerenti la funzione informativa a cui
deve assolvere: il 1° si riferisce alla riferibilità della dichiarazione
a un soggetto passivo (che si esprime con il requisito della
sottoscrizione della dichiarazione, che ne condiziona la validità); il 2°
è un requisito temporale (che prevede il rispetto di precisi termini in
cui la dichiarazione deve esser presentata). Alla controllabilità
amministrativa risponde il requisito della forma legale (nei tributi
rilevanti dal punto di vista economico, si esprime nell’approvazione in
sede amministrativa di un modulo di dichiarazione necessario perchè
questa sia valida). Riguardo la natura giuridica della dichiarazione,
essa è una dichiarazione di scienza (in cui il profilo volitivo presenta
rilevanza solo al momento della presentazione e non si estende al
contenuto, che è invece obbligatorio). Per quanto riguarda la
dichiarazione dell’imposta sui redditi, dell’IRAP, dell’IVA, deve esser
redatta su modelli conformi a quelli approvati con apposito provvedimento
amministrativo da pubblicare in GU, deve essere sottoscritta dal
contribuente o da chi ne ha rappresentanza legale/negoziale e deve esser
presentata entro un certo termine (la violazione di tutto ciò è causa di
nullità). Riguardo le modalità di presentazione: banche, uffici postali,
in via telematica all’AE (pag 227).
La rettifica della dichiarazione
52
Ci si chiede se ci sia la possibilità per il contribuente di correggere,
in un momento successivo a quello di presentazione, eventuali errori
commessi nella redazione o nel contenuto della dichiarazione. Secondo
Tinelli ormai si deve ammettere la funzione meramente ricognitiva della
dichiarazione (come tale suscettibile di esser emendata in presenza di
errori di rappresentazione del fatto o della sua qualificazione
giuridica. Una serie di norme prevede la possibilità di presentare una
dichiarazione integrativa diretta a correggere errori/omissioni a
svantaggio del fisco (salva l’applicazione delle sanzioni) come anche la
possibilità di presentare una dichiarazione integrativa diretta a
correggere errori/omissioni che hanno determinato l’indicazione di
maggior reddito o comunque di un maggior debito d’imposta o di un minor
credito. Tuttavia, mentre la dichiarazione rettificativa a favore del
fisco può esser presentata entro i termini stabiliti per l’accertamento
tributario, la dichiarazione rettificativa a favore del contribuente può
esser presentata al massimo entro il termine prescritto per la
presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta
successivo. Di sostituzione della dichiarazione si potrà parlare quando
il contribuente presenti una seconda dichiarazione da ritenersi
integralmente sostitutiva della 1°.
Gli obblighi documentali, contabili e dei terzi
Essi si esplicano sia nell’obbligo di fornire documenti idonei a provare
esistenza/dimensioni di un certo fatto economico come anche obblighi di
conservazione di documenti probatori dell’avvenuto pagamento del tributo
e dell’adempimento di obblighi del contribuente. Nel sistema dell’IVA, la
legge prevede l’obbligo dell’emissione (in forma cartacea/elettronica)
della fattura come adempimento essenziale ai fini dell’attuazione del
meccanismo impositivo. In alcuni casi, dell’obbligo documentale è un 3°
(come avveniva nei casi di scontrino fiscale) che subisce una sanzione
53
nel caso in cui non esibisce il documento o lo esibisce con corrispettivo
inferiore a quello reale, agli organi accertatori.
Dopo la riforma degli anni ’70, il sistema dell’accertamento dei redditi
d’impresa e di lavoro autonomo, come pure il sistema accertativo proprio
dell’iva, ha visto la nascita di obblighi contabili. In particolare,
nella sistematica dell’accertamento delle imposte sui redditi, gli
obblighi contabili sono imposti, dal 13 DPR 600/1973, a questi soggetti:
a)società soggette all’IRES;
b) enti pubblici/privati diversi dalle società,
soggetti all’IRES, nonché i Trust;
c) snc,sas;
d)persone fisiche che esercitano imprese
commerciali.Questi soggetti devono tenere (14 del DPR):
a)libro giornale e libro inventari;
b) registri prescritti ai fini dell’IVA;
c)scritture ausiliarie in cui si devono registrare gli
elementi patrimoniali/reddituali;
d) scritture ausiliarie di magazzino.
Gli obblighi dei terzi sono specifichi obblighi
(garantiti da sanzioni tributarie) a carico di
soggetti che per effetto di funzioni professionali o
di semplice contiguità col fatto fiscalmente
rilevante, si pongono in una posizione di garanti
degli interessi informativi del fisco. La maggior
parte sono stati cancellati: ne rimangono alcuni, 54
specie in materia di accertamento delle imposte sui
redditi ed IVA, ove vengono previsti specifichi
obblighi di collaborazione all’attività istruttoria
della P.A. (l’inadempienza trova sanzione nell’11 d.
lgs 471/1997). Tra gli obblighi di collaborazione,
abbiamo quello per cui alcuni soggetti pubblici che
svolgono attività ispettive e di vigilanza, devono
comunicare fatti che possono configurarsi come
violazioni tributarie.
CAPITOLO 9
Il controllo amministrativo
La struttura giuridica del sistema tributario, adottando il cosiddetto
“modello della fiscalità di massa”, ha consentito l’introduzione di
tributi ad elevato gettito e destinati ad un’ampia diffusione soggettiva
(anche in presenza di una organizzazione amministrativa che non ha visto
una corrispondente crescita dimensionale proporzionata al maggiore
impegno richiesto). Ciò è stato realizzato con la valorizzazione della
collaborazione del privato all’attuazione del tributo, attribuendo al
contribuente responsabilità applicative tali da ridurre l’intervento
amministrativo. Oltre a ciò, in questo sistema vengono riconosciuti ruoli
di controllo preventivo del rispetto della normativa tributaria a
soggetti estranei alla p.a. (specie professionisti legati al contribuente
da rapporti fiduciari). Oltre ciò, il sistema di fiscalità di massa
impone che l’attuazione amministrativa del tributo abbia ruolo rilevante
sia in chiave preventiva (es. dissuasione di comportamenti fiscalmente
devianti)ma anche in chiave repressiva (cm concreto strumento di recupero
del gettito sottratto all’imposizione). Da questa presenza delle
situazioni soggettive nell’attuazione del diritto tributaria, è sorta la
reazione legislativa che è espressa nell’introduzione di norme dello
55
Statuto dei diritto del contribuente disciplinanti l’attività di
accertamento: quindi siamo davanti a un principio di legalità dell’azione
amministrativa (per cui le regole disciplinanti le modalità di intervento
amministrativo nell’attuazione del tributo condiziona la legittimità
dell’azione amministrativa stessa e quindi la validità giuridica degli
atti con cui si esprime). In generale però non esiste una disciplina
comune ai diversi tributi, mentre si riscontra una disciplina
dell’attuazione amministrativa o accertamento propria per ogni tributo.
Il controllo liquidatorio
L’impossibilità materiale di un controllo generalizzato e capillare su
ogni imposizione a rilevanza tributaria ha imposto la divaricazione tra
un controllo liquidatorio (generalizzato) ed un controllo di merito
selettivo (x contemperare esigenze di governo del gettito con quelle di
dissuasione di comportamenti fiscalmente rilevanti). Il controllo
liquidatorio si svolge nel settore delle imposte sui redditi, con la
procedura prevista dal 36bis DPR 600/1973. Per questa disposizione,
l’amministrazione finanziaria, che si avvale di procedure automatizzate,
procede alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi
dovuti nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni
presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta, entro l’inizio
del periodo di presentazione delle dichiarazioni che si riferiscono
all’anno successivo. Il riscontro su fonda su dati ed elementi desumibili
dalle dichiarazioni ed è diretto a:
a) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai
contribuenti nella determinazione degli imponibili, imposte, contenuti,
premi;b) correggere errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto
delle eccedenze delle imposte, dei contributi, dei premi risultanti
dalle precedenti dichiarazioni;
56
c) ridurre detrazioni d’imposta indicate in misura superiore a quella
prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti
dalle dichiarazioni;d) ridurre deduzioni del reddito esposte in misura superiore rispetto
alla previsione legislativa;
e) ridurre i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella
prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti
dalle dichiarazioni;
f) controllare rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei
versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti a titolo di
acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di
sostituto d’imposta.Nel caso di esito positivo del controllo, la liquidazione amministrativa
è comunicata al contribuente o al sostituto d’imposta per evitare la
reiterazione degli errori, consentendo la regolarizzazione degli aspetti
formali e per evitare reiterazione degli errori, nonché dare gli
opportuni chiarimenti. In mancanza di versamento o chiarimenti nel
termine di 30 giorni successivi al ricevimento della comunicazione, i
maggiori importi sono iscritti a ruolo a titolo definitivo. Ex 6
“Statuto” prima di iscrivere a ruolo si deve garantire al contribuente
la possibilità di fornire chiarimenti necessari e produrre documenti
mancanti (entro termine congruo comunque non inferiore a 30 giorni dalla
ricezione della richiesta). Tale regola riproduce il 36bis DPR 600, ma
trova una significativa garanzia nella sanzione di nullità degli atti
emessi in violazione di tali disposizioni contenuta nell’ultima parte
del 5° 6.Un’altra forma di controllo liquidatorio è quella del 36ter del DPR 600,
che si svolge secondo modalità differenti rispetto all’istituto
precedentemente esaminato e si dirige ad un sindacato amministrativo
della liquidazione dell’imposta con riscontro dei supporti probatori
usati dal contribuente. Il controllo tende a
57
a)escludere (in tutto o in parte) lo scomputo delle ritenute d’acconto
non risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti d’imposta, delle
comunicazioni, delle certificazioni richieste da contribuenti;
b)escludere le detrazioni d’imposta non spettanti in base ai documenti
richiesti ai contribuenti o agli elenchi ex 78 l.413/1991;
c)escludere le deduzioni del reddito non spettanti in base ai documenti
richiesti ai contribuenti o agli elenchi menzionati in b);
d) determinare i crediti d’imposta spettanti in base ai dati risultanti
dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti;
e) liquidare la maggior imposta sul reddito delle persone fisiche;
f) correggere errori materiali e di calcolo commessi dai sostituti
d’imposta. (pag 249-250).
La programmazione selettiva dei controlli
controllo liquidatorio di cui al 36ter è di particolare importanza in
quanto introduce il tema della selezione dei contribuenti nei confronti
di cui avviare l’attività di controllo. Dopo alcuni tentativi diretti ad
assegnare alla sorte oppure ad indici esterni, la normativa in materia di
accertamento delle imposte sui redditi ha fondato la scelta dei
contribuenti da controllare sulla centralizzazione amministrativa dei
criteri da adottare da parte degli uffici periferici (affidando a una
produzione normativa interna la determinazione annuale di criteri
selettivi per programmare azione di controllo, tali da tener conto anche
della capacità operativa dei singoli uffici). Il decreto ministeriale
provvede annualmente a programmare l’azione amministrativa di controllo e
ad individuare le attività nei confronti di cui deve indirizzarsi
l’accertamento tributario (tenendo conto non solo di indici di
pericolosità fiscale delle diverse attività produttive, ma anche dei
risultati delle verifiche condotte negli anni precedenti, come pure delle
dimensioni economiche e della localizzazione territoriale delle
attività).58
I poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria
Questi potere istruttori nascono al fine di controllare la corretta
applicazione della normativa tributaria (in particolare per il rispetto
degli obblighi strumentali tributari). Ora, l’elencazione dei potere
istruttori deve ritenersi tassativa (sia per effetto della necessaria
legalità dell’azione amministrativa, ma anche conseguentemente al
riconoscimento a livello costituzionale di una serie di posizioni
soggettive che vengono ad essere limitate dall’intervento
amministrativo). I poteri istruttori sono regolati dal 31 e ss. DPR 600.
Il 31 individua le attribuzioni degli uffici, il 32 elenca i poteri di
cui l’ufficio dispone per realizzare tali compiti istituzionali (in
questo senso è rilevante l’individuazione della competenza territoriale
dell’ufficio). Il DPR si occupa poi anche di regolamentare una
collaborazione tra Autorità competenti di Stati UE (per garantire
l’accertamento corretto delle imposte sul reddito e sul patrimonio). La
Guardia di Finanza coopera con gli uffici amministrativi per acquisire e
reperire elementi utili ai fini di accertare/reprimere violazioni alle
leggi tributarie (con propria iniziativa o su richiesta degli uffici. La
Guardia di Finanza utilizza e trasmette agli uffici i documenti, previa
autorizzazione giudiziale relativa al “segreto”).
I potere istruttori usabili dagli uffici si distinguono tra: potere
esercitabili verso i contribuenti (la situazione è la stessa del
sostituto d’imposta) e potere esercitabili verso i terzi (essi sono i
soggetti non direttamente influenzati dall’azione amministrativa, perchè
estranei alla manifestazione di capacità contributiva); questa
distinzione serve per diversificare le conseguenze ricollegabili al
mancato adempimento degli obblighi previsti dalla legge (in quanto il 32
prevede una certa forma di preclusione di utilizzo a favore del
contribuente dei documenti, libri, registri, non esibiti o non trasmessi
in risposta agli inviti degli uffici).
59
Tra i potere esercitabili verso i contribuenti.
1)potere che danno luogo ad una compressione dei diritti del
contribuente (il 33 disciplina l’esecuzione di accessi, ispezioni,
verifiche che si pongono quindi verso diritti di privacy. Ex “Statuto”
questi devono esser svolti, nei locali destinati all’esercizio di
attività commerciali, industriali, agricole, artistiche, professionali,
sulla base di specifiche esigenze di indagine/controllo, durante
l’orario di esercizio, recando la minor turbativa possibile. Non serve
in questi casi autorizzazione giudiziale (vs 14 3° cos):
l’autorizzazione però serve quando l’accesso riguardi locali adibiti ad
abitazioni, ovvero per perquisizioni personali ovvero per l’apertura di
casseforti, borse, mobili ecc ovvero quando c’è segreto professionale.
L’ispezione può durare massimo 30 giorni; di ogni accesso si fa processo
verbale e il verbale deve esser sottoposto al contribuente o al suo
rappresentante; questi può entro 60 giorni comunicare
osservazioni/richieste valutabili dagli uffici impositori (introduzione
del contradditorio per verificare l’emanazione di atti dotati di
rilevante attitudine lesiva di posizioni soggettive del contribuente), a
tutela di ciò l’avviso di accertamento non può esser comunicato prima di
questo termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.
Particolare forma di accesso presso aziende e istituti di credito e
Amministrazione postale per rilevare i dati/notizie che si riferiscono
ai rapporti coi clienti: autorizzazione del Diritto Regionale delle
Entrate ovvero Del Comandante regionale della GDF, accesso effettuato da
ufficiali di Guardia di Finanza dal Capitano in su)
2)potere non suscettibili di dar luogo a compressione di diritti
soggettivi del contribuente (essi generano solo obblighi di
collaborazione con l’amministrazione finanziaria: sono gli “inviti a
comparire” personalmente o con rappresentante per fornire dati/notizie
rilevanti per l’accertamento, gli “inviti ad esibire” o a trasmettere
atti/documenti; l’invio di “questionari” ai contribuenti relativi a 60
dati/notizie di carattere specifico, col dovere di ridarli firmati).Potere esercitabili verso i terzi (organi/amministrazioni Stato, enti
pubblici non economici, società che fanno riscossioni/pagamenti in conto
di terzi ecc. Molto delicate sono le richieste di informazioni
riguardanti rapporti di contribuenti e aziende/istituti di credito con
Amministrazione postale, società fiduciarie, ogni altro intermediario
finanziario: qui la richiesta deve esser autorizzata con modalità
analoghe a quelle previste per l’accesso presso le banche.
L’amministrazione finanziaria può richiedere poi ai soggetti obbligati
alla tenuta delle scritture contabili, dati, documenti relativi ad
attività svolte in un certo periodo d’imposta verso clienti, fornitori,
prestatori di lavoro autonomo.)Tutela del contribuente verso illegittimo esplicarsi dell’attività
istruttoria amministrativa. Riguardo agli atti che danno luogo alla
compressione di un diritto fondamentale del contribuente, la
giurisprudenza di Corte Costituzionale ha fatto una lettura sistematica,
ponendo il rispetto delle regole istruttorie come presupposto della
legittimità di ogni successivo atto che si fondi sull’acquisizione
probatoria illegittima.Esiti del controllo:
A)si riscontra la regolarità del comportamento del contribuente o la
mancata individuazione d’elementi utili a supportare una ricostruzione
dell’imponibile o dell’imposta in misura diversa/superiore a quella
dichiarata (in questo caso il controllo si conclude con lo stesso atto
col quale si giunge alla constatazione di fatti a rilevanza tributaria.
Tuttavia successivamente la Guardia di Finanza o l’amministrazione
finanziaria potranno fare ulteriori controlli e verifiche nei termini
entro cui può essere notificato l’accertamento tributario.
B) si individuano elementi idonei a fondare una pretesa tributaria
diretta al recupero d’imposta o alla rideterminazione dell’imponibile
fiscalmente rilevante (in questo caso le risultanze istruttorie 61
acquisite sono poste a base dell’accertamento tributari, quando da
queste derivi un recupero d’imposta o una rettifica dell’imponibile
oppure un provvedimento d’irrogazione di sanzione amministrativa)
L’accertamento tributario
L’esito positivo del controllo introduce l’accertamento tributario “in
senso stretto” (esso rappresenta l’attività di affermazione
amministrativa della pretesa tributaria conseguente alla rideterminazione
dell’imposta o dell’imponibile in maniera diversa da quella rappresentata
dal contribuente oppure alla determinazione dell’imponibile e
dell’imposta nelle ipotesi di omessa dichiarazione). Il DPR 600 contiene
la disciplina meglio articolata. Un primo problema è la rilevanza in sede
di accertamento della cosiddetta interposizione fittizia” (37 DPR 600):
per questo art, oggi in sede di rettifica/accertamento d’ufficio sono
imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri
soggetti (quando dimostrato che questi ne è l’effettivo possessore per
interposta persona: con questa norma si consente al fisco di superare
l’assetto formale dei rapporti, dirigendo l’accertamento anche verso un
soggetto interposto, disconoscendo l’effetto dell’interposizione). Ci si
è poi chiesti se l’accertamento si debba necessariamente rivolgere verso
la tutela dell’interesse del fisco (precludendo così un intervento
favorevole al contribuente) ovvero possa esperirsi anche quando porti uno
svantaggio per il fisco: ad oggi il 38 1° stabilisce che l’Ufficio delle
Imposte procede alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle
persone fisiche quando il reddito complessivo dichiarato risulta
inferiore a quello effettivo o non sussistono o non spettano in tutto o
in parte le deduzioni dal reddito o le detrazioni d’imposta indicate
nella dichiarazione.
La disciplina giuridica dell’accertamento. Metodi e presupposti divalidità
62
La particolare forza giuridica che la legge attribuisce all’accertamento
tributario, porta con sé anche l’esigenza di determinare normativamente i
presupposti di legittimità e il contenuto dell’atto nonché di
condizionare la validità al rispetto di tali regole da parte
dell’autorità amministrativa, per assicurare la tendenziale conformità
dell’azione amministrativa alla funzione attuativa della volontà della
legge. I presupposti sono costituti da regole dirette ad adattare
l’istruttoria amministrativa alla situazione base oggetto di accertamento
nonché regole capaci di garantire contradditorio tra amministrazione e
contribuente nella fase genetica dell’atto; le prescrizioni che si
riferiscono al contenuto sono invece dirette a garantire la regolarità
formale dell’atto e quindi la sua riferibilità ad un organo
amministrativo dotato di attribuzioni effettive sul rapporto d’imposta
(ma anche un’adeguata rappresentazione delle ragioni poste a fondamento
della ricostruzione amministrativa della base fattuale e giuridica del
tributo). I presupposti dell’accertamento si esprimono nella tematica dei
cosiddetti “metodi di accertamento”: esse sono una serie di regole
dirette a collegare alla particolare situazione di fatto da osservare i
livelli di attendibilità dimostrativa minimi ai fini dell’affermazione
della pretesa accertativa. La legge quindi disciplina la prova del fatto
ignoto sulla base delle caratteristiche del fatto da dimostrare ma anche
del grado di collaborazione offerto dal destinatario dell’attività di
accertamento alla concreta ricostruzione del fatto ignoto (condizionando
validità dell’atto amministrativo al rispetto di tale articolazione e
lasciando poi alla successiva dialettica conoscitiva la concreta
ricostruzione probatoria del fatto). Il sistema accertativo delle imposte
sui redditi propone la fondamentale distinzione tra accertamento in
rettifica e accertamento d’ufficio: il 1° si dirige alla rettifica della
dichiarazione dei redditi, il 2° prescinde dalla dichiarazione, in quanto
omessa o non valida. Nell’IRPEF l’accertamento in rettifica si distingue
tra analitico e sintetico: la differenza dipende dal diverso angolo di
63
osservazione della base imponibile del tributo che deve avvenire con
analisi delle singole fonti reddituali ex schema 6 TUIR n.917/1986.
Riguardo l’accertamento analitico, la norma distingue l’accertamento dei
redditi diversi da quelli derivanti dall’esercizio di attività
commerciali/lavoro autonomo (per questi l’incompletezza, falsità,
inesattezza dei dati si possono desumere dalla dichiarazione stessa)
dall’accertamento di questi ultimi.
L’accertamento dei redditi determinanti in base a scritture contabili
Articolata è la previsione riguardante le prove utilizzabili
nell’accertamento dei redditi determinati in base alle scritture
contabili (in connessione all’equilibrio che la legge pone tra
adempimento degli obblighi formali e rispetto in sede di accertamento
delle risultanze contabili anche a favore del contribuente). La struttura
della norma è fondata sulla contrapposizione tra metodo contabile (che
propone la ricostruzione del reddito nel rispetto della base dimostrativa
delle scritture contabili) e un metodo extracontabile “presuntivo” (che
presuppone la violazione aprendo la porta ad una ricostruzione del
reddito stesso secondo schemi dimostrativi alternativi a quello
contabile). Il 39 1° DPR 600 stabilisce che l’ufficio procede alla
rettifica dei redditi d’impresa e di quelli derivanti dall’esercizio di
arti/professioni:
a) se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a
quelli del bilancio, del conto dei profitti/perdite e dell’eventuale
prospetto;b) se non sono state applicate esattamente le disposizioni del capo VI
TUIR N.917/1986;c) se l’incompletezza/falsità/inesattezza dei dati della dichiarazione
risulta da verbali e questionari ex 32, dalle altre dichiarazioni ecc;
d) se l’incompletezza/falsità/inesattezza degli elementi indicati nella
dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle
scritture contabili e dalle altre verifiche ex 33.
64
Accertamento contabile. Esso prevede un controllo di diritto (per
verificare la corretta applicazione di norme del TUIR in materia di
reddito d’impresa) e un controllo di fatto (con oggetto la dimensione
effettiva degli elementi su cui si è fondata la dichiarazione). Da ciò
la corretta tenuta delle scritture contabili non preclude un sindacato
di merito riguardo la base fattuale del singolo fatto di gestione, ma
condiziona il tipo di prova valorizzabile a tal fine che deve
presentarsi come caratterizzata da un livello di attendibilità
accentuato, per tutelare l’interesse del destinatario dell’attività di
accertamento, ma anche prevenire la formazione di atti destinati a non
superare il vaglio giurisdizionale.Accertamento extra-contabile. Questa visione è però capovolta dal 39 che
prevede un metodo presuntivo: in esso vengono meno le prescrizioni sulla
raccolta e sul contenuto della prova usabile per rettificare il reddito
d’impresa, svincolandosi l’azione accertativa dal rispetto di regole
formali, come anche dalla valutazione delle risultanze contabili
dell’impresa (conseguentemente a una violazione da parte del
contribuente delle cosiddette “regole del gioco”). In pratica è
possibile rilevare d’ufficio il reddito d’impresa (sulla base di
dati/notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza, con facoltà di
prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle
scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di
presunzioni prive di requisiti di gravità, precisione, concordanza). Per
la legge questo metodo è adottabile in gravi situazioni che impediscono
alla p.a. di fare affidamento sulle basi contabili dell’impresa (specie
per un comportamento sospetto o superficiale del contribuente, ma anche
per situazioni di forza maggiore). Per Tinelli questo metodo è però
un’extrema ratio, proprio per queste ragioni. I presupposti sono
comportamenti omissivi: ad esempio mancata indicazione del reddito
d’impresa in dichiarazione, irregolarità formale delle scritture tale da
condizionare l’attendibilità per mancanza delle garanzie proprie di una 65
contabilità sistematica ecc.Accertamento in base a studi di settore
Questo è possibile per le cosiddette “imprese minori”: essi sono dei soggetti per cui la legge prescrive obblighi contabili meno stringenti in virtù delle dimensioni . Il 62 bis d.l.331/1993 ha introdotto questo sistema. In particolare gli uffici amministrativi (con associazioni professionali e di categoria) elaborano appositi studi di settore idoneiad individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata, rendendo così più efficace l’azione accertativa verso i contribuenti appartenentiallo stesso settore economico. Gli effetti degli studi di settore sono previsti dal 3° 62 sexies che prevede la possibilità di una rettifica analitica fondata sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi, corrispettivi dichiarati. Così dicendo, ai risultati degli studi di settore è data un’efficacia dimostrativa privilegiata (idonea adimostrare una base attendibile della rettifica, salva la possibilità per il contribuente di dimostrare positivamente la differente composizione dei fattori economici nella specifica attività realizzata).Attualmente però il 37 2° d.l.223/2006 ha modificato il 10 l.146/2008, concernente le modalità d’utilizzazione degli studi di settore in sede d’accertamento. Ad oggi la nuova disciplina permette di rettificare la dichiarazione riguardanti ogni periodo d’imposta, in relazione a cui il contribuente non è risultato congruo, con le risultanze degli studi di settore, superando quindi la regola dell’incongruenza dei 2 periodi d’imposta su 3 precedentemente prevista dal citato 10 2°. La problematica è però sulle caratteristiche di formazione degli studi di settore: questi si fondano su un’analisi di tipo statistico delle diverse realtà economiche e ciò non si raccorda bene con la funzione dimostrativa di tipo storico che dovrebbe caratterizzare la prova del fatto a rilevanza tributaria. Da ciò si apre la discussione riguardo la natura giuridica da attribuire agli studi di settore: ciò secondo alcuniporterebbe ad inquadrarli tra le presunzioni semplici (inidonee ad invertire l’onere della prova del fatto ignoto, ma destinate ad operare insieme ad altri elementi indiziari); altri autori riconoscono la naturapresuntiva dello strumento (ma vi attribuiscono natura legale ritenendo sussistenti negli studi di settore i requisiti di gravità, precisione, concordanza, con possibilità comunque di prova contraria a carico del contribuente). In altri studi si è cercato di ricostruire la portata dimostrativa degli studi di settore, facendo leva sul concetto di “massime di comune esperienza” per le quali il giudice potrebbe prescindere dall’accertamento del fatto ignoto (derivando da ciò la limitazione dell’inversione dell’onere della prova da essi derivante alla massima stessa). C’è poi un’altra tesi, per cui gli studi di settore, fondandosi su dati statistici e descrittivi, non potrebbero assurgere a elementi dimostrativi del fatto ignoto, mentre rappresenterebbero “fatti di mera conoscenza” destinati a costituire
66
parti tecniche estimative di un discorso retorico di tipo deliberativo. Se si riconoscesse natura presuntiva agli studi di settore, gli stessi dovrebbero valere anche a favore del contribuente. Queste perplessità però non devono far abbandonare la visione legislativa, che ha ritenuto di affidare la ricostruzione del fatto ignoto nell’accertamento dei soggetti di ridotte dimensioni economiche a strumenti di correttezza sistematica. A livello Costituzione poi tutto regge: infatti il contribuente ha diritto alla prova contraria. Nella pratica si sono rilevati come un efficace strumento di gettito.
Esso è un accertamento svincolato dall’analisi delle singole fonti di reddito ed è diretto a ricostruire il reddito complessivo IRPEF sulla base di una logica presuntiva differente rispetto a quella posta a base della ricostruzione analitica. E’ quindi questo un accertamento di 2°, diretto a prevenire un vuoto d’imposta, conseguente ai limiti dell’accertamento analitico, quando c’è una situazione di contrasto tra reddito derivante da ricostruzione analitica e reddito complessivo nettoche risulta accertabile sulla base del contenuto induttivo attribuibile alle spese sostenute dal contribuente. Questo tipo di accertamento ha come parametro l’uomo medio (che destina al consumo personale o familiare somme non superiori a quelle di cui dispone o a titolo reddituale o a titolo patrimoniale). Questo metodo è piuttosto delicato:urge quindi delineare una serie di garanzie dirette ad imporre una ponderazione quantitativa al ricorso a questo strumento (il 38 DPR modificato dalla l.78/2010 introduce una soglia minima di accesso alla rettifica sintetica: il reddito complessivo accertabile deve eccedere almeno di 1/5 quello dichiarato) nonché una selezione e valutazione degli elementi indicativi di capacità contributiva (la 2° parte del 4°, dopo la l.78, prevede che l’accertamento sintetico possa fondarsi sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato con l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, con decreto Ministero Economia da pubblicare in GU ogni 2 anni. In tal caso si fa salva la prova contrariaper il contribuente: questi può dimostrare che il maggior reddito determinato/determinabile sinteticamente è fatto in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Il procedimento prevede che gli uffici amministrativi invitino il contribuente a comparire di persona o con rappresentanti legali per consentire la produzione di dati/notizie rilevanti per l’accertamento. Si avvia quindi il contradditorio.)Infine, la legge prevede che la ricostruzione sintetica del reddito è limitata al solo anno d’imposta oggetto di accertamento (non sugli anni precedenti).
L’accertamento d’ufficio (art 41 DPR)67
In caso di invalida (quando la dichiarazione è scritta su moduli non conformi a quello ministeriale) o mancata presentazione della dichiarazione da parte del contribuente (dichiarazione non sottoscritta o presentata oltre i termini di legge) l’attività di accertamento è diretta a sostituire integralmente la dichiarazione. Lo schema è molto simile all’accertamento extracontabile, in quanto l’amministrazione devepoter usare, mancando la collaborazione del contribuente, le fonti dimostrative di cui dispone per ricostruire nel modo più attendibile il reddito. E’ un accertamento tendenzialmente analitico in quanto l’ufficio deve determinare i singoli redditi (se non è possibile, il reddito complessivo del contribuente)sulla base dei dati e delle notiziecomunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con la facoltà di potersi avvalere di presunzioni prive dei requisiti di gravità/precisione/concordanza. Si potrà anche usare il metodo sinteticod’accertamento. L’argomentazione contraria del contribuente eventuale, deve fondarsi su una prova altrettanto attenuata.
Il principio in questione non trova espressione normativa, desumendosi acontrario dalla disciplina degli accertamenti integrativi e modificativicontenuta nel 4° del 43. In base a questo art l’atto di accertamento (notificato al contribuente) può essere integrato/modificato in aumento (fino alla scadenza del termine di decadenza previsto da legge) ma solo in base a sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi (da indicare specificamente a pena di nullità nell’avviso di accertamento). Così la legge impone un’adeguata ponderazione di elementi probatori a disposizione dell’ufficio, per evitare che atti o fatti siano in seguitovalorizzati (in presenza es. di una fondata contestazione da parte del contribuente di quelli usati dall’ufficio). Si han però dei casi in cui la prova di singoli rilievi può presentarsi già attendibile, ma ciò non si può dire dell’intera posizione fiscale del contribuente relativa a uncerto periodo d’imposta: in questo caso la notificazione di un avviso diaccertamento che valorizzi solo gli elementi probatori già acquisiti finirebbe per imporre una limitazione ad un successivo approfondimento della posizione reddituale del contribuente. per questo motivo gli uffici dell’AE possono limitarsi ad accertare il reddito o il maggior reddito imponibile qualora dagli accessi/ispezioni/verifiche o da dati in possesso dell’anagrafe tributaria risultino elementi che consentano di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato ovvero il maggior ammontare di un reddito parzialmente dichiarato (che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile). Questa attività di accertamento deroga a quella ordinaria (quest’ultima si fonda sull’attendibilità delle fonti informative da cui promana la base probatoria del recupero a tassazione).
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Avviso di accertamento
L’attività d’accertamento si formalizza con la notifica al contribuente dell’avviso di accertamento (nell’ambito di cui sono valorizzati ai finidella contestazione al destinatario elementi di fatto e di diritto a base della rettifica della dichiarazione o dell’accertamento d’ufficio).L’avviso d’accertamento è atto recettizio (il 42 prevede l’obbligo di portare a conoscenza gli accertamenti in rettifica e d’ufficio con la notificazione di appositi avvisi condizionando quindi la legittimità dell’azione accertatrice alla legale conoscenza dell’atto da parte del destinatario. L’omessa/irregolare notifica dell’atto ne pregiudica la legittimità, salva la sanabilità di certi vizi con la nuova correzione nei termini ex 43). Forma e contenuto individuati da legge.
1)Presupposti di legittimità dell’atto d’accertamento. 1°)competenza funzionale/territoriale dell’ufficio che lo emette: questa è attestata dalla sottoscrizione dell’atto stesso dal capo dell’ufficio o da altro impiegato. La violazione delle regole su competenza/sottoscrizione dell’atto ne pregiudicano la validità.
2) Presupposti di forma: importante il 42 che vuole che l’avviso rechi indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquoteapplicate e delle imposte liquidate, per consentire al destinatario di poter agevolmente ricostruire l’azione accertatrice nell’analisi delle singole operazioni compiute dall’ufficio.
3) Accertamento motivato relativamente ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Con la motivazione il destinatario può quindi valutare la fondatezza dell’atto ai fini delle successive determinazioni (è quindi uno dei presupposti di legittimità più importanti). La legge disciplina con dettaglio l’obbligo di motivazione di questo atto, anche considerando la sua idoneità a stabilizzare la pretesa tributaria in esso contenuta nel caso di mancataimpugnazione in sede giurisdizionale (sancendo una sanzione di nullità conseguentemente alla mancanza di motivazione dell’atto d’accertamento).Giurisprudenza e dottrina si sono contrapposte spesso sul contenuto dell’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento: la giurisprudenza, come la dottrina, ha in seguito abbracciato la visione garantista per il contribuente dell’obbligo di motivazione , Già l’originario testo del 42 prevedeva una sanzione di nullità collegata alla violazione dell’obbligo di motivazione (differenziando così l’illegittimità dell’atto di accertamento per difetto di motivazione in quanto in questo caso il fatto ipoteticamente provato non è rappresentato idoneamente in motivazione e provoca una non conformità dell’atto di accertamento al modulo legale descritto dal 42,
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dall’illegittimità dello stesso atto per difetto di prova del fatto fiscalmente rilevante e in questo caso la motivazione è incensurabile nel suo contenuto esternativo, ma la portata dimostrativa su cui si fonda l’atto è contestata dal contribuente con apporti conoscitivi o logici che ne incrinano le basi fattuali o giuridiche su cui l’accertamento si poggia e in questo caso l’accertamento è infondato sulmerito quindi illegittimo).
4) termine decadenziale entro cui si deve perfezionare la notifica dell’avviso: gli avvisi di accertamento ex 43 devono essere notificati entro il 31/12 del 4° anno successivo a quello in cui è stata presentatala dichiarazione. Nei casi di omessa dichiarazione o di presentazione didichiarazione nulla, l’avviso di accertamento può esser notificato fino al 31/12 del 5° anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbedovuto esser presentata. Ex 4° 34 (aggiunto con il dl 223/2006) i suddetti termini decadenziali sono raddoppiati per il periodo d’imposta in cui sono state commesse violazioni comportanti l’obbligo di denuncia penale per i reati ex d. lgs 74/2000.
5) rispetto del termine dilatorio ex 12 7° “Statuto”: si dispone che l’accertamento non possa esser emanato prima della scadenza del termine di 60gg previsto per la presentazione di osservazioni/richieste del contribuente a seguito di rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo fiscale.
Con la finanziaria 2010 si richiede che gli avvisi di accertamento rechino “l’intimazione ad adempiere” l’obbligo del pagamento degli importi ivi indicati. In questo modo l’avviso di accertamento assume natura esecutiva : infatti l’avviso di accertamento deve indicare che, decorsi i 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme ivi indicate è affidata in carico agli Agenti della Riscossione competenti anche per l’esecuzione forzata. Se sussiste un fondato pericolo per l’adempimento dell’obbligazione tributaria, decorsi60gg dalla notifica dell’avviso di accertamento, la riscossione integrale delle somme è affidata agli Agenti per la Riscossione che procederanno all’espropriazione forzata. L’unico limite per gli Agenti èche, se decorre un anno dalla notifica dell’avviso di accertamento, l’azione esecutiva dovrà essere preceduta dalla notifica dell’avviso ex 50 DPR 602/1973. Una volta notificato, per effetto della natura recettizia, l’atto di accertamento è idoneo a produrre i suoi effetti, che continuano a prodursi anche nella pendenza della verifica giurisdizionale, fin quando un provvedimento incida sulla sua legittimità, imponendone l’annullamento (parziale o totale) da parte dell’ufficio che lo ha formato. Infine, l’esercizio del potere di autotutela può esser attivato dal contribuente ovvero dall’interesse dell’Amministrazione a prevenire situazioni tali da generare vasto contenzioso ovvero dal Garante del contribuente ex 13 “Statuto” (in caso
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di irregolarità, disfunzioni, prassi amministrative anomale, irragionevoli, altri comportamenti incrinanti rapporto di fiducia cittadini/amministrazione finanziaria).
La definizione consensuale dell’accertamento
Con il d. lgs 218/1997 “Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale” cadono tutti i limiti legali alla definibilità in sede amministrativa dell’accertamento tributario, stabilendosi alcune regole dirette a garantire stabilità della definizione (in questo senso il 2 3° d.lgs. 218/1997 prevede che l’accertamento con adesione non è soggetto a impugnazione, non è integrabile/modificabile da parte dell’ufficio e preclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, salve le ipotesi di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi in base a cui si può accertare maggior reddito superiore al 50% del reddito definito. L’impulso per la definizione può esser dato d’ufficio ovvero di parte e l’atto di accertamento con adesione è redatto con atto scritto in 2 copie e deve indicare, separatamente per ogni tributo, elementi e motivazione su cui la definizione si fonda, liquidazione delle maggiori imposte, sanzioni ealtre somme dovute eventualmente. A tale atto segue entro brevi terminiil versamento diretto delle somme dovute o la rateizzazione degli importi idoneamente garantita dal contribuente e da ciò deriva il perfezionamento della definizione) e attuazione delle sanzioni derivantidall’accertamento.
Natura giuridica dell’accertamento con adesione (2 impostazioni). Una impostazione tende ad attribuire all’accertamento con adesione una funzione di concorso del privato alla produzione degli effetti obbligatori nascenti dall’atto di accertamento: questa impostazione peròsi scontra con la natura dell’attività di accertamento che non può ritenersi idonea a generare effetti obbligatori, ma solo ad individuare dimensioni fattuali e giuridiche del rapporto tributario originario dal verificarsi del presupposto d’imposta. Bisogna allora attribuire effettidispositivi di diritti già esistenti da parte di soggetti che ne sono titolari, ricorrendo all’assimilazione con istituti civilistici ad esempio transazione. In questo modo però si deve rinunciare al dogma dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria ( di solito attribuitoalla base giuridica del rapporto d’imposta considerando la sua base pubblicistica e la sua specifica finalizzazione).
Secondo Tinelli, i problemi di queste impostazioni avrebbero termine se si pensasse all’accertamento con adesione come un accordo sulla rappresentazione dei fatti alla base dell’obbligazione tributaria (in questo senso diventa solo uno dei metodi di accertamento, caratterizzatoperò dal fondamentale rapporto consensuale). In definitiva allora,
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l’accertamento con adesione sarebbe il risultato di un accordo sulla prova (per cui l’ufficio non è tenuto a dimostrare secondo regole ordinarie il maggior reddito e il contribuente rinuncia ad una verifica giurisdizionale sulla fondatezza della pretesa fiscale).
L’accertamento in materia di IVA (dpr 633/1972)
Questo istituto vede nella propria struttura documentale tratti comuni alle regole sulla dimostrazione del fatto nella disciplina del reddito d’impresa: ciò si esprime in alcuni istituti derogatori rispetto alle regole tipiche delle imposte sui redditi, che in alcuni casi vedono veraidentità di disciplina ottenuta con rinvii interni ovvero con estensioniall’IVA della disciplina prevista ai fini delle imposte sui redditi e viceversa. In materia di IVA anche troviamo la distinzione tra accertamento in rettifica (consiste nella rettifica della dichiarazione annuale IVA. Esso è disciplinato dal DPR 633/1972 e consiste nella rettifica della dichiarazione annuale da cui risulti un’imposta inferiore rispetto a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile/rimborsabile, superiore a quella spettante. La rettifica peròpuò basarsi anche su presunzioni semplici (devono però essere gravi, precise, concordanti) e accertamento d’ufficio (presuppone omissione/nullità della dichiarazione). La legge consente anche un accertamento induttivo ex 55 DPR 633/1972 : esso è diretto alla ricostruzione extracontabile della base imponibile del tributo e può esser attivato in 2 casi, cioè quando il soggetto non ha presentato la dichiarazione o quando non ha tenuto le scritture contabili ovvero quando quest’ultime non sono state esibite a richiesta dell’ufficio. L’attività di accertamento anche qui si estrinseca con notifica degli avvisi di accertamento: questi ex 56 devono contenere:
a) nell’accertamento in rettifica, l’indicazione degli errori/omissioni/false indicazioni a pena di nullità;
b) nell’accertamento induttivo, l’indicazione dell’imponibile complessivo e dell’aliquota e delle detrazioni applicate, nonché il perché si è ricorso a questo metodo d’accertamento.
Gli avvisi devono esser notificati a pena di decadenza entro il 31/12 del 4° anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Rettifiche e accertamenti possono essere integrati/modificati con la notifica di nuovi avvisi a seguito della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi: ciò è da indicare nell’avvisoa pena di nullità Anche qui è possibile per gli uffici procedere a accertamenti parziali: ex 57 i competenti uffici dell’AE possono limitarsi ad accertare l’imposta o la maggiore imposta dovuta o il minorcredito spettante emersi nel corso di accessi/ispezioni/verifiche.
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Infine, ex 54bis, l’ufficio può liquidare l’imposta dovuta in base alla dichiarazione, avvalendosi a tal fine di procedure automatizzate, nonchépuò controllare rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versamenti dell’imposta.
L’accertamento in materia di imposte indirette sui trasferimenti e
l’accertamento in materia di accise e di imposte doganali
Di particolare rilevanza qui è rilevare la natura giuridica del negozio
da assoggettare a tributo nonché le dimensioni economiche del presupposto
impositivo sui cui applicare l’imposta. Infatti per quando riguarda
l’imposta di registro, l’attività di accertamento è diretta a verificare
la congruità dei valori su cui si applica l’imposta (nei casi in cui non
è applicata in misura fissa) individuandosi la natura giuridica nell’atto
in sede d’applicazione dell’imposta in sede di registrazione. Ex 52 DPR
131/1986 , se l’ufficio ritenga che i beni trasferiti abbiano un valore
venale superiore a quello dichiarato, provvede con lo stesso atto alla
rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta dovuta. Di
conseguenza l’avviso di accertamento in materia di imposta di registro ha
un contenuto sia di rettifica della base imponibile che di liquidazione
dell’imposta. La motivazione dell’atto deve essere tale da consentire al
contribuente di ripercorrere l’iter logico-giuridico che l’ufficio ha
seguito nell’effettuare la rettifica: per la giurisprudenza,
quest’obbligo di motivazione trae origine dalla tutela del diritto di
difesa del contribuente (che dall’esame delle indicazioni contenute
nell’atto deve essere in grado di valutare adeguatamente fondatezza e
legittimità della pretesa fiscale, ai fini delle successive
determinazioni). La legge ha portato riforme recentemente per quanto
riguarda l’accertamento in materia d’imposta di registro con riferimento
al settore delle operazioni immobiliari: ex 5°bis del 52 d.l. 223/2006 la
preclusione all’accertamento ( di cui al 4°) non troverà più applicazione
per le cessioni immobiliari diverse da quelle con oggetto immobili ad uso
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abitativo e relative pertinenze effettuate da persone fisiche che non
professionali. Termini: 3 anni dal pagamento dell’imposta principale. Se
però è stato l’Ufficio e non il contribuente a provvedere alla
registrazione, l’Ufficio può notificare l’avviso di liquidazione entro 5
anni dalla data in cui la registrazione doveva farsi.
La legge, anche nel caso dell’accertamento in materia di accise e di
imposte doganali, prevede una disciplina d’accertamento che presenta
caratteri di complessità, in quanto tende a combinare attività di
controllo con quella di rettifica, anche ad iniziativa del contribuente,
prevedendo una serie di rimedi di tipo amministrativo variamente
articolati. Fra l’altro gran parte delle violazioni ha natura penale:
l’esercizio dell’azione penale sospende l’attività d’accertamento e
interrompe la prescrizione, quindi il giudice penale avrà la
determinazione definitiva dell’imposta nella sentenza di condanna, che
costituisce titolo per riscuotere il tributo.
Avvisi di liquidazione
Normalmente l’attività di liquidazione non è formalizzata in un vero e proprio atto amministrativo, in quanto costituisce una base d’una più ampia attività d’accertamento, che si conclude con la determinazione dell’imposta dovuta a seguito della liquidazione dell’imposta stessa, mediante l’applicazione dell’aliquota sulla base imponibile accertata. L’autonomia della liquidazione si presenta invece nel settore delle imposte indirette sui trasferimenti di ricchezza: il 41 DPR 131/1986 prevede che l’imposta di registro è liquidata dall’ufficio con la notificazione d’un apposito avviso di liquidazione, contenente l’indicazione della base imponibile e dell’aliquota applicata. In materia poi di imposta sulle successioni, il 33 d.lgs. 346/1990 prevede che l’ufficio liquidi l’imposta, in base alla dichiarazione di successione, notificando avviso agli eredi. Ora, in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni, la disciplina degli avvisi di liquidazione è lacunosa; riguardo invece agli avvisi d’accertamento, la disciplina è puntuale sia con riferimento a forma/contenuto, sia con riferimento ai termini di decadenza, mentre per gli avvisi di liquidazione non c’è disciplina dettagliata: si è ovviato al problema regolamentando che l’ufficio competente a notificare l’avviso di liquidazione è lo stesso competente a notificare l’avviso di accertamento, così anche i termini sono coincidenti. Per quanto riguarda
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la motivazione: se l’avviso di liquidazione contenga solo il calcolo matematico dell’imposta, in questo caso per Tinelli non serve motivazione in quanto non si è davanti a una funzione di controllo dellap.a.; invero, se nell’avviso di liquidazione l’ufficio contesti al contribuente una visione del rapporto d’imposta diversa rispetto a quella rappresentata in atti attribuibili al contribuente, allora serve motivazione.
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Capitolo X – L’adempimento dell’obbligazione TributariaAdempimento e riscossione
L’adempimento dell’obbligazione tributaria è completamente disciplinato dalle legge, questo specialmente per tutelare in maniera intensa il credito tributario rispetto alle ordinarie garanzie derivanti dal sistema civilistico. Proprio per ciò la normativa che disciplina l’adempimento è connotata da un accento posto sulla funzione pubblica incui si esprime l’attività di riscossione. Tuttavia secondo Tinelli parlare oggi di attività pubblica di riscossione vuol dire perdere di vista il fatto che l’intervento amministrativo nella realizzazione del tributo è marginale, in quanto la collaborazione del contribuente è centrale.
Situazione precedente.
1) Sistema della riscossione tramite ruolo. Il sistema di riscossione delle imposte dirette, su cui si concentrava la parte più rilevante del finanziamento della spesa corrente statale, ruotava attorno alla figura dell’esattore delle imposte: questi era un imprenditore che acquisiva ilservizio della riscossione delle imposte in un certo territorio, cui faceva fronte l’onere di anticipare il versamento delle imposte risultanti dal ruolo d’imposta, indipendentemente dall’effettiva riscossione nei confronti del debitore. Tuttavia, quando l’esattore dimostrava di aver compiuto ogni attività per il recupero del credito, ma queste si erano dimostrate infruttuose, questi aveva diritto al rimborso delle quote inesigibili da parte dell’erario. Tuttavia questo sistema aveva delle criticità: innanzitutto la riscossione tramite ruolorisultava onerosa, in quanto il costo del servizio (che variava in relazione agli ambiti territoriali) rappresentava una posta riduttiva del gettito (quando posto a carico dell’erario) e un aumento della pressione fiscale (quando posto a carico del contribuente).
2) Sistema della riscossione tramite ingiunzione fiscale Il sistema di riscossione invece previsto per le imposte indirette, si fondava sulla gestione amministrativa del servizio di Cassazione (cui si univa l’attribuzione agli uffici stessi dell’azione esecutiva) e ciò si realizzava con l’istituto dell’ingiunzione fiscale. Questo sistema risultava poco efficiente per quanto riguarda la gestione della riscossione coattiva: mancando infatti un diretto interesse alla realizzazione del credito tributario, il funzionario amministrativo aveva più comprensione verso oggettive difficoltà economiche dei contribuenti.
Comunque sia 1) che 2) non potevano adattarsi a una fiscalità di massa.
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Riforma. Essa ha portato alla tendenziale unificazione dei sistemi di riscossione delle imposte dirette e delle imposte indirette, alla generalizzazione dell’adempimento spontaneo del tributo, nonché al riconoscimento al sistema di riscossione tramite ruolo di una funzione di riscossione “patologica” (quindi eccezionale)sia per le imposte indirette che per quelle dirette (figura dell’esattore diventa allora quella del concessionario del servizio pubblico della riscossione dei tributi).
Ritorno alla mano pubblica. Sempre la riforma poi in seguito ha ricondotto la riscossione a una gestione pubblicistica: è stata creata “Riscossione spa”, oggi Equitalia spa (società di diritto pubblico: 51% AE, 49%INPS. Collabora per le sue funzioni con Guardia di Finanza) che dal 1/10/06 ha il compito di svolgere attività di riscossione dei tributi mediante ruolo. Il ritorno al pubblico è stato giustificato per il mancato conseguimento, col sistema precedente, degli obiettivi di recupero del gettito. Rapporti AE-Equitalia: la 1° esercita le funzioni riguardanti la riscossione nazionale e a funzioni di controllo e coordinamento su Equitalia; approva poi l’ordine del giorno di quest’ultima, le sedute del Consiglio d’Amministrazione, le deliberazioni.
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L’adempimento spontaneo (su esso ruota il sistema di realizzazione del credito tributario)
Si realizza col versamento diretto da parte del contribuente della sommadovuta secondo le modalità previste dalle singole leggi d’imposta. Per le imposte sui redditi la legge prevede il versamento diretto al concessionario della riscossione o alla tesoreria provinciale dello Stato: il versamento può farsi:
1)con delega irrevocabile a una banca convenzionata, la quale rilascia apposita attestazione conforme al modello ministeriale;
2)con conti correnti postali intestati al concessionario (la l. 413/1991 ha introdotto il “conto fiscale”: esso è aperto presso il concessionario competente per territorio in relazione al domicilio fiscale del contribuente e registra ogni versamento e rimborso relativo alle imposte sui redditi, alle imposte sostitutive, all’IVA, può anche estendersi ad altri tributi. Le somme riscosse dal concessionario sul conto fiscale sono versate entro il 3° giorno lavorativo alla sezione ditesoreria provinciale dello Stato o alle casse degli enti destinatari);
3) pagamenti telematici per soggetti titolari di partita IVA.
La compensazione
Nei rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria, il contribuente (debitore a titolo d’imposta) può vantare un credito verso l’erario. In tale circostanza si pone il pone il problema dell’applicabilità della compensazione (metodo satisfattorio delle obbligazioni) disciplinato dal 1241 e ss del C.C. La dottrina che si è occupata di ciò, ha escluso la compensazione civilistica come causa di estinzione delle obbligazioni tributarie. Questo perché:
1) lo stato ha necessità di riscuotere senza intralci e rapidamente i tributi;
2) c’è diversa natura tra il credito vantato dall’ente impositore di natura pubblicistica rispetto a quello del contribuente di natura privatistica;
3) il fatto che le entrate dello Stato di regola si riscuotono in contanti. Secondo la dottrina, mentre è sempre possibile all’Amministrazione finanziaria compensare un suo credito con un debito del contribuente, quest’ultimo non può opporre in compensazione un suo debito all’erario.
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Ritenuta diretta. Essa è una forma di compensazione prevista dalla leggetributaria, che si applica agli emolumenti corrisposti dalle amministrazioni statali. Secondo gran parte della dottrina, attraverso questa si opererebbe una compensazione legale tra debito dell’amministrazione statale avente ad oggetto le somme che costituiscono reddito e il correlato credito d’imposta a favore dell’erario relativo al reddito predetto. Tuttavia Tinelli ci dice che oramai non si parla più di essa come nello schema della compensazione legale: questo perché lo schema della compensazione potrebbe esser usatosolo se la ritenuta è a titolo d’imposta (in quanto solo in tale ipotesisi verifica l’estinzione dell’obbligazione tributaria) e anche perché lacompensazione richiederebbe identità tra amministrazione titolare del tributo e quella titolare del debito (ciò di fatto si verificherebbe solo per i dipendenti dell’amministrazione finanziaria). Per questi motivi l’istituto della ritenuta diretta è una semplice modalità pubblicistica di riscossione dei tributi.
Ipotesi di compensazione: 11 4° e 80 DPR 917/1986: secondo esse se l’ammontare dei crediti d’imposta è superiore a quello dell’imposta dovuta, il contribuente ha diritto ( a sua scelta) a computare l’eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo d’imposta successivo o di chiederne il rimborso (sempre in sede di dichiarazione dei redditi). Abbiamo poi ipotesi di compensazione di discendenza civilistica, implicanti identità di posizioni di creditore e debitore, ma anche ipotesi atipiche di compensazione, in cui manca l’identità: ad esempio 17 d.lgs.241/1997 che ha consentito al contribuente di compensare crediti e debiti dello stesso periodo anche relativi a tributi diversi (estendendo la compensazione anche quando i rapporti obbligatori contrapposti riguardano prestazioni non tributarie, ma previdenziali). Ed è proprio la mancanza di identità ad aver sollevato dubbi sulla equiparazione tra compensazione civilistica e finanziaria: infatti essendo consentita ex 17 la compensazione anche fra crediti verso l’amministrazione finanziaria e debiti verso istituti previdenziali, non c’è perfetta identità tra soggetti titolari delle diverse posizioni creditorie e debitorie. Alcuni per questo ravvisano nel 17 l’operatività di diversi istituti (riconducibili in parte alla compensazione vera e propria) mentre in gran parte sarebbero da inquadrare nella delegazione di debito tra contribuente (delegante) ed ente (delegato) avente ad oggetto l’assunzione di un’obbligazione verso un altro ente delegatario. Usando l’attuale normativa possono esser compensati (usando modulo di pagamento F24) le imposte sui redditi e le ritenute alla fonte, l’IVA, le imposte sostitutive delle imposte sui redditi, L’IRAP, i contributi assistenziali, previdenziali e premi (INPS, INAIL, ENPALS, INPDAI), i diritti camerali, interessi in caso di pagamento a rate, imposta sugli intrattenimenti, le accise. Tra i recenti interventi legislativi c’è anche poi l’ 8 1° “Statuto” che prevede la possibilità dell’adempimento del tributo mediante
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compensazione con un credito del contribuente. Al riguardo tale disposizione prevede che “l’obbligazione tributaria può esser estinta anche per compensazione” anche se c’è il rimando ad un apposito decreto attuativo per regolamentare le modalità di adempimento. In pratica da ciò però si evince che la compensazione è applicabile solo quando previsto da legge: con l’art 8 sembra esserci un richiamo alla disciplina civilistica della compensazione, ciò quindi potrebbe invero aprire la strada all’applicazione di tale istituto. Infine, sempre in tema, si è introdotto il contributo unificato di versamento, grazie a cui la possibilità d’un’estinzione per compensazione dell’obbligazione tributaria è stata estesa a ogni contribuente, mentre prima era solo perquelli che avevano il conto fiscale. Infine il 2 d. lgs n.262/2006 ha introdotto una nuova ipotesi di compensazione in fase di riscossione, per il quale l’AE, quando procede all’effettuazione di un rimborso, verifica l’esistenza di debiti iscritti a ruolo in capo allo stesso contribuente, per cui l’agente della riscossione procede alla notifica di apposita proposta di compensazione volontaria (con contestuale sospensione delle procedure di recupero del credito) che il contribuenteè ammesso ad accettare nel termine di 60gg dalla ricezione.
Il ruolo d’imposta (ha funzione residuale)
Il ricorso a questo strumento come metodo di riscossione fisiologica è limitato alle ipotesi in cui un’autoliquidazione del tributo da parte del privato si presenta complessa o non proponibile o richiede la disponibilità di dati in possesso dell’ente impositore. Tuttavia questo istituto sopravvive proprio per il ricorso all’interesse privato nella realizzazione coattiva del tributo: ciò ha fatto si che questo strumentorimanesse, anche se si è delineato come uno strumento diretto ad intervenire in mancanza di un adempimento spontaneo del contribuente, che impone un intervento amministrativo di recupero del credito. La struttura (praticamente immutata dopo le riforme tra cui il dl 203/2005)si fonda sulla distinzione tra soggetto che forma il ruolo (alla formazione provvede, per i tributi erariali, l’Amministrazione finanziaria; per gli altri tributi, il soggetto titolare delle attribuzioni attuative) e soggetto che provvede alla riscossione del credito in esso iscritto (il cosiddetto “agente della riscossione”: eglideve concretamente individuare il contribuente, portare a sua legale conoscenza il titolo e procedere alla riscossione del credito portato dal titolo. L’”Agente” è remunerato per tale attività con una somma rapportata alle caratteristiche di oggettiva difficoltà dell’esazione, determinate su base territoriale in relazione ad elementi statistici) . Il DPR 602/1973 considera il “concessionario” come colui a cui è affidato in concessione il servizio di riscossione ovvero il commissariogovernativo che gestisce il servizio stesso e “ruolo” l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della
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riscossione a mezzo del concessionario. Il ruolo diventa titolo esecutivo per la riscossione anche coattiva delle somme iscritte a ruolocon la “sottoscrizione” o la “validazione”. Abbiamo ruoli ordinari e ruoli straordinari (questi sono formati quando vi è fondato pericolo perla riscossione, considerando le caratteristiche del credito e le condizioni del debitore). Il ruolo deve contenere: generalità del contribuente, codice fiscale, descrizione del tributo, eventuale motivazione della pretesa (se previsto). L’iscrizione a ruolo può avvenire a titolo definitivo o a titolo provvisorio (in pendenza cioè diaccertamento non definitivo per effetto dell’impugnazione avanti il giudice tributario). Il DPR 602/1973 in materia di dilazione del pagamento, dispone che l’agente della riscossione può, su richiesta del contribuente, concedere nelle ipotesi di obiettiva difficoltà del contribuente, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolofino a massimo 72 rate mensili. La sospensione della riscossione può esser disposta dall’autorità amministrativa che ha iscritto a ruolo ex 39 DPR 602/1973, fino alla data di pubblicazione della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale. L’agente della riscossione riceve ilruolo e notifica lo stesso con la cartella di pagamento (redatta conformemente allo schema ministeriale, deve contenere :1)l’intimazione ad adempiere entro 60gg dalla notificazione, con l’avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata, 2) responsabile del procedimento di iscrizione al ruolo e di quello di emissione e notificazione della stessa (a pena di nullità). Il pagamento può esser fatto presso gli sportelli dell’agente della riscossione, banche, ufficipostali. Si può fare anche con mezzi diversi dal contante, ma il pagamento si considera omesso in caso di assegno scoperto o non pagabilee in caso di utilizzo di carta di credito se il gestore della carta non fornisce la provvista finanziaria. Il pagamento delle imposte dirette può esser fatto con la cessione di beni culturali o con compensazione (specie quando, in sede di erogazione d’un rimborso d’imposta, l’AE rileva che il beneficiario è iscritto a ruolo).
La riscossione coattiva
Con la notifica della cartella esattoriale, il contribuente è messo in mora nel pagamento della somma iscritta a ruolo, per cui se questi non provveda nel termine di 60gg al pagamento, il concessionario provvede alla riscossione coattiva del credito. Secondo Tinelli, la procedura di riscossione coattiva tributaria è una espropriazione forzata speciale. La disciplina si fonda sul DPR 602/1973 che però fa sovente rinvio alle regole del CPC (ritenendo applicabili le regole sull’espropriazione forzata del CPC ove non derogate). Ora, rispetto al CPC mancano però il giudice dell’esecuzione e l’ufficiale giudiziario: infatti la figura delgiudice interviene solo in presenza di opposizioni dell’esecutato (l’opposizione all’esecuzione è ammessa solo se diretta a contestare la
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pignorabilità dei beni; l’opposizione agli atti esecutivi non è ammessa se relativa alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo) o del 3° (deve esser promossa prima della data fissata per il1° incanto e non può esser promossa quando i mobili pignorati hanno formato oggetto di una precedente vendita nell’ambito di procedura di espropriazione forzata promossa dall’agente della riscossione verso lo stesso debitore), mentre le funzioni dell’U.G. sono esercitate dagli ufficiali della riscossione (i collaboratori dell’agente della riscossione).
Procedura (ricalca CPC). 1) Pignoramento, 2)vendita al pubblico incanto dei beni del debitore.
L’agente della riscossione può, per assicurare la proficuità dell’azioneesattiva, accedere ai dati dell’anagrafe tributaria relativi a rapporti finanziari e bancari e anche richiedere detti dati a soggetti pubblici/privati
L’agente della riscossione può per conto del creditore del tributo presentare istanza di fallimento del debitore o può chiedere l’ammissione del credito tributario al passivo di un fallimento promossoda altri creditori. Ex 59 DPR 602 chiunque si ritenga leso dall’esecuzione può proporre azione verso l’agente della riscossione. Infine, abbiamo le disposizioni che regolano i rapporti tra riscossione coattiva e pagamenti delle P.A. a favore di debitori iscritti a ruolo: il 48bis del DPR 602 dispone che le P.A. e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di fare pagamento di un importo superiorea 10000euro, devono verificare se il beneficiario è inadempiente dall’obbligo di versamento di somme risultanti dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari a detto importo. Se ciò ricorre, le PA non fanno il pagamento, segnalando ciò all’agente della riscossione che farà l’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo avvalendosi del credito vantato dal debitore.
Le garanzie del credito d’imposta
Ex 2740cc il contribuente risponde dell’adempimento dell’obbligazione tributaria con tutti i suoi beni presenti e futuri. La garanzia della conservazione del patrimonio del debitore è rimessa agli ordinari istituti di diritto comune. Ora però, il Codice Civile prevede una seriedi privilegi per il credito tributario, ispirati a una tutela di tale credito nel concorso con altri crediti: questi sono sia privilegi generali (che si riferiscono a ogni bene mobile o immobile del debitore)sia privilegi speciali (che si riferiscono a specifici beni mobili o immobili, consentendo l’aggressione del bene vincolato al privilegio anche nei confronti del 3° acquirente del bene stesso). Dopo la riforma
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del 1975 i privilegi trovano specifico riferimento all’imposta a tutela di cui sono posti. Singole fattispecie di privilegio:il 2752 prevede privilegio generale sui mobili del debitore a tutela della riscossione dell’IRPEF e dell’IRPEG (ora si intende per l’IRES), sui redditi non rilevanti da immobili, relativamente ai crediti iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario procede o interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente. (vedi pag 360-361).
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Capitoli XI – L’indebito TributarioIndebito tributario e rimborso
L’indebito tributario identifica una situazione creditoria opposta a quella tributaria, che trova la propria causa nel pagamento di un tributo in misura superiore a quella dovuta. Ora, nelle altre varie ipotesi di credito d’imposta, la legge prevede il riconoscimento al contribuente di una posizione creditoria nei confronti del fisco, ma tale posizione non presenta una sua autonomia giuridica ed una causa di pagamento indebito in quanto rientra nel normale meccanismo di liquidazione dell’imposta. L’indebito tributario invero deriva dal pagamento d’un’imposta e segue logicamente alla fase di liquidazione dell’imposta stessa. Il credito d’imposta derivante da un indebito tributario presuppone applicazione non corretta della normativa tributaria (che quindi da luogo al versamento d’un’imposta superiore a quella dovuta). I casi in cui ciò può avvenire possono semplicisticamente essere distinti in:
a) “Errore sul fatto a rilevanza tributaria”: in questo caso il versamento spontaneo ovvero imposto dall’ufficio in sede di controllo amministrativo deriva una rappresentazione non corretta del fatto stesso(che quindi genera pagamento spontaneo/coattivo di un’imposta superiore a quella che risulta a seguito della corretta rappresentazione del fatto);
b) “Errore di diritto”: ciò deriva dalla non corretta riconduzione alla fattispecie legale di un fatto oggettivamente non controverso (sia in sede di dichiarazione che di accertamento);
c)”Modifica con effetti retroattivi della norma impositiva”: il pagamento dovuto originariamente può divenire indebito a seguito di dichiarazione di incostituzionalità della norma impositiva ovvero dalla mancata conversione in legge di un d.l. ovvero dall’abrogazione con effetti retroattivi della norma impositiva;
d) “Modifica con effetti retroattivi del fatto tassabile”: in tal caso si modifica la base fattuale su cui poggiava l’applicazione del tributo a seguito del verificarsi di situazioni di patologia negoziale (come la nullità) capaci di eliminare retroattivamente il presupposto del tributo(esempio: dichiarazione di nullità di un contratto su cui è stata applicata l’imposta di registro, che impone la restituzione dell’impostaquando derivi da causa non imputabile alle parti, venga accertata con sentenza passata in giudicato o non sia suscettibile di ratifica, convalida, conferma).
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Le procedure di rimborso
La legge le disciplina, sottraendo quindi all’autonomia privata le modalità di attuazione/realizzazione del diritto al rimborso. La disciplina legale delle procedure di rimborso deriva dall’esigenza di coordinare l’iniziativa privata di rimborso con la gestione pubblica delrapporto d’imposta, specie nella fase della modifica in senso negativo d’un’entrata già perfezionata. Oltre ciò il tema dell’indebito si interseca spesso con quello della rettifica della dichiarazione in quanto la rideterminazione della base imponibile rappresenta il più delle volte presupposto essenziale per riconoscere l’indebito tributario: in questo senso la spettanza del rimborso è subordinata all’affermazione di un assetto della fattispecie diverso rispetto a quello considerato ai fini del versamento dell’imposta. Tuttavia i 2 aspetti, anche se legati da vincolo di pregiudizialità/dipendenza, si presentano autonomi nella loro dinamica applicativa. Infatti un diritto al rimborso può derivare a seguito della stessa dichiarazione che ha dato luogo ad un erroneo versamento per errore di calcolo: ciò si manifesta nelle fattispecie di “rimborso d’ufficio” in cui la realizzazione del diritto di credito del privato è rimessa ad un’iniziativa ufficiosa della P.A., inserendosi in una situazione di gestione amministrativa. della riscossione del tributo. La legge prevedeil rimborso d’ufficio quando l’indebito deriva da un’iscrizione a ruolo e l’errore alla base dell’obbligazione di restituzione è riferibile ad un’attività dell’ufficio nonché quando l’applicazione del tributo genera un credito del contribuente in conseguenza dell’inderogabilità diadempimenti inerenti il versamento dell’imposta. In questi casi l’Amministrazione cura la realizzazione del credito del contribuente, adempiendo un dovere imposto dalla legge. Il termine di prescrizione delcredito è 10 anni (modello civilistico). A livello procedurale la legge non disciplina il rimborso d’ufficio: si limita a prevede obbligo di comunicazione al contribuente del rimborso e la consegna dell’ordinativoal concessionario che provvede alla restituzione.
Rimborso su istanza di parte (è la regola generale, le ipotesi di prima sono ipotesi speciali)
Il 21 d.lgs. 546/1992 prevede la possibilità di azionare l’indebito tributario con istanza da presentarsi entro il termine di 2 anni dal pagamento ovvero se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Ora, questa disciplina non si sovrappone a quella del rimborso d’ufficio, quindi le 2 procedure non sono concorrenziali (questa disciplina si applica se la legge non prevede il rimborso d’ufficio). Questa disciplina prevede la necessità dell’istanza del contribuente (o del sostituto d’imposta) che vanti un
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diritto alla ripetizione dell’indebito. Questa istanza è valida quando indirizzata all’ufficio competente a disporre il rimborso (competenza funzionale = si determina sulla base delle attribuzioni previste dalla legge; competenza territoriale = in base a regole proprie del rapporto d’imposta in discussione, ad esempio domicilio fiscale contribuente o sede dell’ufficio del percettore delle imposte. Il 38 DPR 602 prevede per i versamenti diretti da questo art, una competenza territoriale dell’ufficio sulla base della sede di quella del concessionario ricevente il versamento indebito, stabilendo anche termine decadenziale di 48 mesi dalla data del versamento stesso). in materia di imposta di registro, il 77 DPR 131/1986 stabilisce che il rimborso può esser richiesto (a pena di decadenza) entro 3 anni dal giorno del pagamento ovvero (se posteriore) da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione. Il 77 2°, in caso di imposta di registro su contratti a prezzo indeterminato, stabilisce che se la restituzione dell’imposta dipende dalla misura dell’imponibile, il termine decorre dal giorno in cui è stato accertato il minore ammontare.
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Capitolo XII – Le sanzioni TributarieEvoluzione storica del sistema delle sanzioni tributarie
L’attuale sistema delle sanzioni tributarie è il risultato d’un’evoluzione storica, che si può cogliere bene se si esamina distintamente il settore delle imposte dirette (settore dove l’accertamento/riscossione affidate ad Amministrazione finanziaria, quindi fino al 1956 la tutela della fattispecie tributaria consisteva incontravvenzioni punite con ammenda. Tuttavia con la l.1/1956 fu introdotta una pena detentiva per sanzionare l’omessa denuncia dei redditi oltre una certa soglie nonché il delitto di frode fiscale punitocon reclusione fino a 6 mesi) e quello delle imposte indirette (per questo settore è stato elevato fin dall’Unità d’Italia a regola la tutela penale della fattispecie tributaria, in connessione alla problematica individuazione della fattispecie impositiva e in certi casidei soggetti passivi).
Comunque, la disciplina sanzonatoria ebbe una disciplina generale con lal.4/1929 “Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggifinanziarie” con cui fu organicamente disciplinata la materia delle sanzioni tributarie relative a tributi erariali: la legge si limitava a prevedere la disciplina generale applicabile agli illeciti tributari, lasciando poi a singole disposizioni specifiche la regolamentazione di dettaglio delle relative sanzioni. Questa legge creò la “summa divisio” tra sanzioni penali (derivate da illecito penale) e amministrative (queste nei casi in cui la sanzione consisteva in un’obbligazione civiledi provvedere al pagamento di somma di denaro che si esprimeva nelle figure tipiche della l.4: pena pecuniaria e sopratassa). L’art 1 2° conteneva il “principio di fissità” (le disposizioni della stessa leggenon potevano essere abrogate/modificate da leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore o con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate/modificate); l’art 20 derogava al 2 del Codice Penale introducendo il “principio diultrattività della norma penale finanziaria” (con cui si affermava l’applicazione della norma sanzionatoria vigente al momento della commessa violazione, anche quando questa fosse ormai abrogata ovvero modificata da altra più favorevole al trasgressore).
Critiche alla l.4/1929. Le sanzioni amministrative (pena pecuniaria e sovrattassa) avevano una natura giuridica eterogenea: la pena pecuniariaera posta in regime di alter natività rispetto alle sanzioni penali e inquanto commisurata alla personalità del trasgressore, denotava una connotazione di tipo afflittivo tipica delle sanzioni penali; la sopratassa si poteva invero cumulare con sanzioni penali e pena pecuniaria, ciò determinava una natura tendenzialmente risarcitoria,
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caratteristica delle sanzioni civili.
La l.4 contemplava poi, sotto il profilo del rapporto tra accertamento della violazione e irrogazione della sanzione, una procedura differenziata in funzione del tipo di violazione. Riferendosi alle violazioni costituenti reato e riferite a tributi diretti era previsto l’istituto della pregiudiziale tributaria (x cui l’azione penale non poteva esser iniziata se non dopo l’intervenuta definitività dell’accertamento del tributo in sede amministrativa). Riguardo alle violazioni relative agli altri tributi, se l’esistenza del reato dipendeva dalla risoluzione d’una controversia riguardante il tributo, il Tribunale penale investito della cognizione del reato decideva della controversia relativa al tributo stesso, osservando però le regole di C.p., quindi si decideva il profilo penale e non tanto quello amministrativo sottostante al 1°, secondo il “principio dell’assorbimento”. Questa bipartizione si giustificava in ragione del più elevato tasso di tecnicismo che ineriva i tributi diretti e per cui l’irrogazione della sanzione penale era subordinata al giudizio dell’autorità amministrativa ovvero del giudice speciale tributario in ordine alla fattispecie base sottostante. Nel caso invece di reati connessi a tributi diversi da quelli diretti (es. quelli doganali), si poteva giustificare l’attribuzione al giudice penale della cognizione sia del profilo penale che di quello tributario.
Modifiche alla legge 4 (per il resto inalterata fino a Riforma Visco 1996-1997). La Consulta ha dichiarato incostituzionale la pregiudiziale tributaria, escludendone l’applicazione nei casi di violazioni formali ove non era necessario quantificare l’imposta evasa; la legge stessa spesso ha ignorato il principio di fissità consentendo quindi cumulo materiale tra sanzioni amministrative e penali. A seguito della riforma tributaria degli anni ’70, l’accertamento ha perso la funzione di ordinario strumento di recupero del gettito, per divenire ruolo di monito al corretto adempimento dell’obbligo tributario. In questo modo il sistema ha cominciato a perdere le caratteristiche che si richiedono a un sistema punitivo: prevenzione e esser afflittivo. La legge a quel punto ha: 1) aperto la depenalizzazione riconducendo nell’area dell’illecito amministrativo violazioni che prima erano di rilevanza penale (es. l.689/1981 ha sostituto all’ammenda l’obbligo di pagamento di somma di denaro); 2) è ricorsa al penale per prevenire/reprimere fenomeni evasivi e fattispecie prodromiche dell’evasione (capaci di mettere in pericolo potenzialmente gli interessi erariali); 3) inaspritole sanzioni in tema di violazioni relative a imposte sui redditi a all’IVA (L.516/1982, che ha anche eliminato il principio di fissità e haanche eliminato la pregiudiziale tributaria, collegando la sanzione penale a fattispecie cosiddette “semplici” (prescindenti dalla concreta determinazione dell’imposta evasa) fondate sull’accertamento di fatti materiali ritenuti sufficientemente espressivi di comportamento
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evasivo/potenzialmente evasivo.
Le sanzioni amministrative (art 3 133° legge delega 662/1996 (parte della “riforma Visco”)
La legge non modifica fondamentalmente la differenziazione tra sanzioni penali e amministrative, proponendo però un sistema sanzionatorio amministrativo. più orientato verso la personalizzazione anche della sanzione amministrativa. La legge delega si fondava su questi principi direttivi:
1)adozione di un’unica sanzione amministrativa (in luogo di pena pecuniaria e sopratassa) assoggettata a principi di legalità, imputabilità, colpevolezza;
2)riferibilità della sanzione alla persona fisica autrice/coautrice secondo il regime del concorso (in luogo del regime della solidarietà exl.4) e in trasmissibilità della sanzione per causa di morte;
3)previsione dell’obbligazione solidale a carico della persona fisica o dell’ente che si giova della violazione;
4)fissazione delle cause di esclusione da responsabilità secondo principi propri del diritto penale;
5) affermazione principio di specialità;
6)adozione di criteri di determinazione della sanzione in relazione allagravità della violazione e dell’opera prestata per l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, oltre che in relazione a condizioni economiche/sociali/personali del trasgressore;
7)introduzione della disciplina dell’autore mediato;
8)fissazione della disciplina della continuazione e del concorso formaledi violazioni;
9) previsione di sanzioni amministrativa accessorie non pecuniarie e introduzione d’un sistema di misure cautelari;
10)previsioni di aggravanti/attenuanti/esimenti per incentivare gli adempimenti tardivi;
11)introduzione di procedimento unitario di irrogazione della sanzione tale da garantire il diritto di difesa e tale da assicurare sollecita
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esecuzione del provvedimento sanzionatorio;
12)riduzione dell’entità della sanzione in caso di accettazione del provvedimento e di pagamento nel termine previsto per la sua impugnazione;
13) revisione dell’entità delle sanzioni e loro migliore commisurazione all’effettiva entità oggettiva/soggettiva delle violazioni in modo tale da assicurare uniformità alla disciplina per identiche violazioni anche se riferite a tributi diversi, contando anche delle previsioni punitive adottate dall’UE. La delega è stata attuata con: d. lgs. 472/1997 (“disposizioni generali sulle sanzioni amministrative tributarie), 471/1997 (“disciplina in materia di imposte dirette e sul valore aggiunto), 473/1997 (“disciplina delle sanzioni amministrative in materia di tributi su affari, produzione, consumi, altri tributi indiretti”).
Disciplina generale in materia di sanzioni amministrative tributarie. Ild.lgs. 472 ha previsto un’unica sanzione amministrativa (in sostituzionedelle 2 precedenti), omogeneizzando la normativa rispetto ai principi generali e di base governanti le sanzioni penali, in quando sono stati introdotti i principi di legalità. Irretroattività, favor rei (art 3 ), abrogazione di ultrattività (art 29), principi di imputabilità (esclude la sanzionabilità dell’autore che al momento della violazione non era capace di intendere/volere) e colpevolezza (l’autore è punibile solo in funzione della riferibilità allo stesso dell’azione od omissione cosciente/volontaria, sempreché dolosa o colposa: è colposa quando l’evento ancorchè non voluto si verifica per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi. Una precisazione: le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo per dolo o colpa grave. Colpa grave (non codificata nel c.p.): sussiste quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non si può dubitare ragionevolmente del significatoo della portata della norma violata e quindi è evidente ogni macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari. Dolo: si haquando la violazione è attuata con l’intento di pregiudicare la determinazione dell’imponibile o dell’imposta ovvero è diretta a ostacolare l’attività amministrativa di accertamento ) (art 4 e 5 1°). Le definizioni di dolo e colpa grave non sembrano idonee a dare una puntuale enucleazione dell’elemento soggettivo, mentre sembrano fatte per restringere le nozioni stesse di dolo e colpa grave in relazione a cui non opera il limite di responsabilità ex 2° 5: infatti nei casi in cui la violazione sia stata commessa da un dipendente o da un rappresentate legale o negoziale di un ente o persona fisica nell’esercizio delle sue funzioni/incombenze, saranno obbligati in solido l’autore e il soggetto rappresentato al pagamento di una somma
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pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso. Se però la violazione non è stata commessa con dolo/colpa grave, la sanzione non può esser eseguita verso l’autore che non ne abbia tratto vantaggio più di 51645 euro.
Riguardo alle società ed enti con personalità giuridica, il 7 d.l.269/2003 ha introdotto però un principio di esclusiva riferibilità alle società e ad egli con personalità giuridica delle sanzioni amministrative commesse in relazione al rapporto fiscale proprio di talisoggetti giuridici. Tuttavia per la categoria degli illeciti in esame, il 3° del 7 dice che continuano ad applicarsi le disposizioni già recatedal d.lgs.472. Tinelli interpreta ciò dicendo che vi sarebbe in capo alla persona giuridica il solo obbligo di pagamento di una sanzione amministrativa pur sempre determinata in via generale dal d.lgs.472 con particolare riferimento all’imputabilità e agli stati soggettivi di doloo colpa grave dell’autore materiale della violazione. Tinelli infine auspica che nel futuro codice tributario (delega già conferita al governo: l. 80/2003) si preveda che la sanzione amministrativa si concentri sul solo soggetto traente beneficio dalla violazione delle norme tributarie, senza distinzione tra enti rappresentati dotati o menodi personalità giuridica.
Cause di non punibilità (6 d. lgs.472). Si verificano quando difetti la rimproverabilità dell’autore, come nel caso di:
1)errore sul fatto se non determinato da colpa; rilevazioni contabili fatte nel rispetto dei principi di continuità dei valori di bilancio secondo corretti criteri contabili e valutazioni fatte con corretti criteri di stima;
2)esistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della norma ovvero indeterminatezza delle richieste degli uffici o dei modelli di dichiarazione e di pagamento deitributi;
3)mancato pagamento per fatto denunciato all’autorità giudiziaria ed imputabile solo a terzi;
4) inevitabilità dell’ignoranza della legge tributaria (da intendersi inmaniera oggettiva, dopo la lettura della Consulta);
5)forza maggiore;
6) violazioni non arrecanti pregiudizio nell’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile dell’imposta
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Il concorso di violazioni e il concorso di persone
Ex 12 del d. lgs 472 chi con una sola azione/omissione viola diverse disposizioni anche relativi a tributi diversi ovvero commette (anche conpiù azioni/omissioni) diverse violazioni formali della stessa disposizione, è punito con la sanzione più grave aumentata da ¼ fino al doppio. Si ha quindi l’applicazione del cumulo giuridico in luogo della regola che vorrebbe il cumulo materiale. Se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, la sanzione base è aumentata di 1/5. Oltre ciò, quando violazioni della stessa indole si riferiscono a più periodi d’imposta, la sanzione base è aumentata dalla metà fino al triplo. Oltreciò, se in tempi diversi sono state commesse più violazioni che pregiudichino la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo (quindi nel caso di continuazione) si applica la sanzione più grave, aumentata da ¼ al doppio. Con il 9 d.lgs.472 si è fissata la disciplina del concorso di persone: questa si ha quando più persone concorrono in una violazione, in questo caso ogni persona soggiace alla pena disposta per la violazione. Se però la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito a uno dei responsabili libera gli altri salvo il diritto di regresso. Sembra ex 11 applicabile il concorso in ordine a violazione colpose: infatti prevede l’11 che ci siano violazioni diversea fronte di cui siano applicate sanzioni diverse.
3) contributo causale di ogni concorrente al verificarsi dell’evento;
4) volontà di cooperare o contribuire alla realizzazione dell’evento.
Ex 10 è punibile l’autore mediato (colui che con violenza, minaccia, inducendo altri in errore, usando persona incapace di intendere volere, determina la commissione di una violazione. Ne risponde in luogo dell’autore materiale).
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Il ravvedimento operoso (art 13 d.lgs 472) e il procedimento di
irrogazione della sanzione amministrativa (16 e 17 d.lgs 472)
è un trattamento premiale a favore del contribuente, il quale pur avendo
commesso una violazione, operi spontaneamente per rimediarvi attraverso
la regolarizzazione degli adempimenti omessi ovvero irregolarmente
effettuati. Il ravvedimento deve essere fatto prima che siano iniziati
accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento. Il
ravvedimento dà luogo a riduzione della sanzione da un dodicesimo a un
decimo del minimo edittale.
Le sanzioni sono irrogate dallo stesso ufficio o ente competente in
ordine all’accertamento del tributo le cui violazioni si riferiscono.
L’ufficio notifica al trasgressore un atto di contestazione (che indica a
pena di nullità fatti contestati, elementi probatori, norme applicate,
criteri che vuole seguire per determinare la misura delle sanzioni,
minimi edittali previsti da legge per le singole violazioni). Se la
motivazione si riferisce ad altro fatto non conosciuto né ricevuto dal
trasgressore, ex “Statuto” questo fatto deve essere allegato all’atto che
lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto
essenziale. Notificato l’atto, il trasgressore e i soggetti coobbligati
in solido possono entro 60gg definire la controversia pagando un importo
pari a un quarto della sanzione indicata e comunque non inferiore a un
quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative
a ogni tributo. Se non fanno ciò, possono produrre deduzioni difensive
entro 60 giorni dalla notifica: in questo caso è sospesa l’efficacia
dell’atto e l’ufficio nel termine di decadenza della presentazione delle
deduzioni, se lo ritiene irroga le sanzioni con atto motivato a pena di
nullità anche in ordine alle deduzioni stesse. Se mancano deduzioni
difensive e di estinzione della violazione con pagamento, l’atto di
contestazione è considerato provvedimento di irrogazione (quindi
impugnabile davanti Commissione tributaria competente entro 60 giorni
dalla notificazione). Nel caso invece di sanzioni “collegate al recupero
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del tributo”, gli uffici procedono all’irrogazione delle sanzioni senza
previa contestazione, unitamente all’atto d’accertamento o rettifica
avente ad oggetto i tributi a cui le violazioni si riferiscono. Decadenza
dell’azione amministrativa di irrogazione della sanzione: 5° anno
successivo a quello in cui è avvenuta la violazione (art 20) o nel
diverso termine previsto dai tributi singoli.
Il principio di specialità
Il legislatore intendeva necessario prevedere un meccanismo volto ad evitare la contemporanea applicazione della sanzione penale e di quella amministrativa a fronte della stessa violazione: tuttavia il legislatore delegato non ha disposto nulla nella disciplina delle sanzioni amministrative. I rapporti tra i 2 tipi di sanzioni sono però regolati dald.lgs. 74/2000 che ha codificato il principio di specialità: all’art 19 silegge che quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni che contemplano i reati in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (come anche una disposizione che prevede una sanzione amministrativa)allora si applica la disposizione speciale rispetto all’altra più generale che disciplina l’illecito. In pratica si afferma laprevalenza della disciplina penale su quella amministrativa.
Le fattispecie sanzionatorie (d. lgs 471)
Sanzioni in tema di imposte sui redditi e IVA. 3 patologie:
a) violazioni formali o documentali che comunque non influenzano la determinazione dell’imponibile o del’imposta, punite con sanzione amministrativa tra 258 e 2065euro;
b)violazioni prodromiche all’evasione ma non necessariamente rilevanti aifini della quantificazione dell’imponibile o dell’imposta, punite con sanzione amministrativa tra 100 e 200% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato/registrato nel corso dell’esercizio;
c) violazioni sostanziali concernenti l’omessa/infedele dichiarazione di elementi rilevanti per la quantificazione dell’imponibile o dell’imposta, punite con sanzione amministrativa tra 120 e 240 % delle somme risultanti come dovute (nel caso di dichiarazione omessa) e con sanzione tra 100 e 200% in caso di dichiarazione infedele.
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Sanzioni in tema di riscossione. Si menzionano le ipotesi di omesso, ritardato, insufficiente versamento al di fuori dei casi di iscrizione a ruolo: sono soggetti ad una sanzione pari al 30% del tributo. Riguardo all’IVA, la sanzione (nelle ipotesi di mancati versamenti periodici o in acconto) deve esser commisurata al netto degli eventuali versamenti periodici o di conguaglio già autonomamente sanzionati.
Sanzioni accessorie (21 d. lgs 472). Consistono:
a) nell’interdizione per massimo 6 mesi delle cariche di amministratore, sindaco, revisore di società o enti;
b) interdizione per massimo 6 mesi dalla partecipazione a gare per l’affidamento di pubblici appalti/forniture;
c) nell’interdizione dal conseguimento di licenze, concessioni, autorizzazioni amministrative per l’esercizio di imprese o attività di lavoro autonomo e la loro sospensione, per la durata massima di 6 mesi;
d) nella sospensione per massimo 6 mesi dall’esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa diverse da quelle indicate alla lettera c).
Queste sanzioni sono eseguibili quando il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo.
Le sanzioni penali (stesso ruolo di quella amministrativa, ma colpisce gliilleciti più gravi)
Esse hanno il valore di extrema ratio: sono state previste per scoraggiarela commissione di violazioni (funzione afflittiva) e contemporaneamente rafforzare la conoscenza giuridico-sociale dei consociati nella direzione del corretto adempimento degli obblighi tributari (funzione deterrente). Il bene giuridico tutelato dalla sanzione penale tributaria è individuabile nell’interesse generale a che tutti concorrano all’esatto e puntuale adempimento rispetto agli obblighi tributari su di ciascuno di loro gravanti. Nel nostro ordinamento sono allora punite anche con sanzione penali le violazioni riferite a: imposte sui redditi, sul valore aggiunto, sui tributi doganali, sugli oli minerali, in materia di monopolifiscali. Bisogna cercare il criterio più appropriato per circoscrivere gliilleciti più gravi ed enuclerare quindi il campo di operatività della sanzione penale. I criteri impiegabili sono: il tipo di obbligo fiscale violato; il tipo di condotta tenuto dal trasgressore; il quantum dell’imposta evasa: oggi sono sanzionate penalmente sia le ipotesi connotate da una certa insidiosità della condotta tenuta sia anche quelle che si risolvono in un’evasione particolarmente significativa.
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Tecnica normativa di costruzione del precetto penale. Si può procedere attraverso il mero rinvio alla corrispondente figura tributaria (esempio: abrogato 56 del DPR 600 che prevedeva che oltre alla pena pecuniaria dello stesso art, si applicava la pena dell’arresto da 3 mesi aun anno) ovvero con l’autonoma costruzione del precetto. Comunque sia, c’èuna dipendenza di disciplina penaltributaria da quella tributaria: partendo da ciò ci si è chiesti quanto possano valere in ambito penale i termini e gli istituti propri del diritto tributario e viceversa. Ora, perTinelli, il riferimento in ambito penale a concetti/istituti tipici del diritto tributario non soffre di particolari limitazioni. Riferendosi al tema delle presunzioni legali, si può distinguere il caso delle presunzioni relative (ai fini penali gli si può attribuire solo una valenza di meri schemi argomentativi, bisognevoli in ogni caso del vaglio critico del giudice penale) e delle presunzioni assolute (ai fini penali gli si può dare una valenza relativa, confinata cioè al profilo processuale e probatorio). Riguardo invero alle fonti di diritto penale tributario, sono piuttosto numerose. Le principali si trovano: nel 1° libro C.p.; nel d. lgs 74/2000 relativo ai reati in materia di imposte suiredditi e sul valore aggiunto; nel DPR 43/1973 relativo al contrabbando doganale; nel dl 334/1939 relativo ai reati in materia di oli minerali.
Tra le poche differenze del d.lgs. 74/2000 rispetto al sistema penale occorre ricordare:
a) la speciale causa di non punibilità ex 15 in dipendenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata/applicazione della norma;
b)la speciale causa di non punibilità ex 16 in presenza di comportamento conforme al parere espresso dal Ministero;
c)2 speciali cause di interruzione della prescrizione ex 17 dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. (altre cose pag 422-425).
Singole fattispecie di reato tributario (d.lgs. 74/2000)
Delitti in materia di dichiarazione.
1)Si distinguono a seconda della connotazione fraudolenta (art 2: reclusione da un anno e mezzo a 6 per chi, al fine di evadere le imposte, indica in una delle dichiarazioni annuali elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) o nonfraudolenta (art 3: stessa pena per chi realizza la dichiarazione annuale infedele con strumenti diversi da fatture o altri documenti: l’evasione però deve esser superiore a 77468, 53 euro per ciascuna imposta e il tot
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dell’evasione sia superiore al 5% dell’ammontare totale degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque superiore a 3mld di lire) del comportamento tenuto dall’agente.
2) dichiarazione infedele: reclusione da 1 a 3 anni quando il contribuenteper evadere le imposte, indichi in una delle dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ovvero elementi passivi fittizi (se però l’imposta evasa sia superiore a 103291,38 euro per ciascuna imposta e quindi ammontare complessivo dell’evasione sia superiore al 10% dell’ammontare totale degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque sopra 4mld di lire).
3)omissione di dichiarazione: ex art 5 punito con reclusione da1 a 3 anni chi, per evadere le imposte, non presenti, essendovi obbligato, 1 o più dichiarazioni tributarie annuali, quando l’imposta evasa sia superiore riferendosi a ciascuna imposta a 77468,53 euro.
Delitti in materia di documenti. Essi sono caratterizzati dall’autonoma rilevanza della condotta tipica finalizzata all’evasione (senza che cioè derivi necessariamente il mancato pagamento dell’imposta). Costituisce eccezione rispetto all’impostazione generale, che tende a qualificare il delitto in base al danno effettivamente cagionato all’Erario.
1) Ex art 8 è allora punito con reclusione da 1 anno e mezzo a 6 chi, per consentire a terzi l’evasione, emette/rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture è però inferiore a 300mln di lire, si applica reclusione da 6 mesi a 2 anni.
2)ex 10 chi occulta o distrugge scritture o documenti contabili obbligatori è punito con reclusione da 6 mesi a 5 anni (se lo ha fatto perevadere lui o per far evadere altri).
Altre fattispecie incriminatrici. Sanzionato penalmente l’omesso versamento di ritenute certificate: reclusione da 6 mesi a 2 anni per chi non versi, entro termine stabilito per presentare la dichiarazione annualedei sostituti d’imposta, le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti per un importo superiore a 50000euro per ciascun periodo d’imposta. Delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: chi per sottrarsi al pagamento delle imposte, sanzioni, interessidi ammontare complessivo superiore a 100mln di lire, aliena simultaneamente o compie atti fraudolenti su propri beni o su beni altrui idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, è punitocon reclusione da 6 mesi a 4 anni.
CAPITOLO XIII – LA TUTELA GIURISDIZIONALE IN MATERIA TRIBUTARIA
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L’evoluzione storica del sistema della giustizia tributaria
Excursus storico. Nel periodo preunitario esisteva una netta demarcazione tra sistema di tutela previsto per le imposte dirette e quello previsto per le imposte indirette: questa distinzione trovava la sua probabile ragione per la peculiarità dell’oggetto della lite fiscale: nei tributi indiretti la facilità di distinzione delle questioni di diritto (an) dallequestioni tecniche di stima (quantum) consentiva di devolvere al giudice ordinario la piena cognizione delle controversie (pur posticipandola ad una prima fase di natura tecnico-amministrativa), mentre nei tributi diretti la connessione tra presupposto e base imponibile unita all’enorme prevalenza delle contestazioni in ordine a valutazioni del fatto pertinenti la funzione amministrativa di accertamento, rendeva impossibiledevolvere queste questione “di semplice estimazione” al giudice ordinario.
Dopo l’Unità d’Italia, la l.1830/1864 introdusse l’imposta sui redditi di ricchezza mobile, attribuendo alle istituite “Commissioni tributarie” evidenti connotazioni di amministrazione attiva nella ripartizione del carico tributario localmente stabilito. La 1° regolamentazione di tale tributo diretto prevedeva un sistema cosiddetto ”a contingente” in cui le Commissioni di prima istanza (comunali o consorziali) dopo aver pubblicatogli elenchi forniti dall’agente e dopo aver esaminato eventuali osservazioni dei contribuenti, “accertavano i redditi” con deliberazioni soggette a reclamo dinnanzi a Commissione provinciale. La legge però rimaneva silente circa l’attività giudiziaria. Intervenne in questo senso la l.2248/1865 (quella che abrogava contenzioso amministrativo) che stabilì implicitamente che tutte le controversie in materia di imposte dirette (quindi anche di imposta di ricchezza mobile) fossero conosciute dal giudice ordinario. Ora questa legge però manteneva il sistema delle Commissioni, tuttavia prevedeva che l’azione giudiziaria in materia d’imposte dirette potesse esser proposta solo a seguito della formazione del ruolo d0imposta e del pagamento delle imposte in esso iscritte (la regola del cosiddetto “solve et repete”), restando escluse comunque dalla giurisdizione ordinaria le controversie di semplice estimazione. Successivamente, con la l.3021/1866 ci fu la sostituzione del metodo del “contingente” con quello della “quotità” (con cui si trasferisce all’agente la fase di accertamento del tributo e la formazione del ruolo, nonché l’introduzione di un 3° grado di giudizio, limitato però alle sole questioni concernenti l’applicazione della legge). Tuttavia solo con la l.3719/1867 si introdusse la possibilità del successivo ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria, anche qui escludendo le controversie attinenti la semplice estimazione del reddito. In pratica fino alla riforma tributaria del 1972 il sistema che sorse con la 1° legge sull’imposta di ricchezza mobile, posponeva la tutela civile (strutturata in 3 gradi) a quella speciale (articolata con Commissioni, comunali o
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mandamentali, provinciali e Centrale. Ma solo le Commissioni di 1° e 2° istanza potevano addentrarsi nelle questioni relative all’estimazione del reddito). Ora il complesso dei mutamenti intervenuti, come ad esempio l’indicato limite oggettivo al giudizio ordinario, condusse dottrina e giurisprudenza a rifiutare il precedente inquadramento amministrativo delle Commissioni e a classificarle tra le “giurisdizioni speciali amministrative”: tuttavia la composizione dei collegi e l’incisività dei “potere di accertamento” loro conferiti, indussero a ritenere invece che queste conclusioni non fossero per nulla pacifiche. Le Commissioni in seguito apliarono la loro area di influenza: all’imposta sui fabbricati (1889), all’imposta complementare sui redditi (1925),all’imposta indirettasui trasferimenti della ricchezza (1936).
Negli anni 1936-1937 vennero introdotte norme recanti il riordino delle Commissioni tributarie e la riforma del relativo procedimento. Queste modificazioni hanno dato maggior compiutezza al diritto processuale tributario. Da un lato vennero recepite dal processo civile fondamentali regole attinenti la formazione della pronuncia, il contraddittorio, l’uso delle prove, il giudizio d’appello, la revocazione; d’altro lato per la nomina dei componenti fu abbandonato il principio elettivo e fu mantenuta la facoltà della Commissione di 1° istanza di elevare gli accertamenti eseguiti dagli uffici ( o concordati col contribuente) di complesso inquadramento sistematico. Quindi le Commissioni divenivano sempre più organi giurisdizionali, ma d’altra parte continuavano ad essere organi burocratico-corporativi vicini all’amministrazione.
Con l’avvento della Costituzione, la previgente normativa mal si conciliava sia con la statuita necessità dell’indipendenza dei giudici appartenenti alle giurisdizioni speciali (108 cos)sia con la prevista tutela in sede giurisdizionale verso gli atti della P.A. (113cos). In taleottica, mentre il 102cos pose il divieto di istituire nuovi giudici speciali, la VI disposizione transitoria decretò che entro 5 anni dall’entrata in vigore della Cos, la legge avrebbe dovuto provvedere a revisionare gli organi di giurisdizione speciale esistenti alla data di entrata in vigore della Costituzione , diversi da Consiglio di Stato, Corte dei Conti, tribunali militari. Si erano studiati tanti progetti, ma la legge si occupò solo della legge delega di riforma tributaria: la l.825/1971 conferì al Governo il compito di procedere alla revisione delleCommissioni tributarie con criteri che esaltassero autonomia dei componenti, garantendo autonomia del giudizio, escludendo le questioni di estimazione dalla cognizione del giudice ordinario. Quindi natura giurisdizionale delle Commissioni.
Le commissioni tributarie
Sono stati pubblicati i d. lgs 545 (dedicato all’ordinamento degli organi
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della giurisdizione tributaria) e 546 (dedicato al processo tributario) aseguito dell’art 30 legge delega 413/1991, con cui il Parlamento ha dettato principi e criteri direttivi per la revisione del contenzioso tributario. La riforma del 1992 ha sancito il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie, conferendo al sistema struttura più omogenea, migliorando il profilo dell’indipendenza dei giudici, in generale conferendo maggiore pariteticità tra le parti in lite tramite il più ampio rinvio alle forme ed agli schemi del processo civile.
Struttura (d.lgs. 545). Primi 2 gradi: Commissioni tributarie provinciali e regionali: hanno sede nei rispettivi capoluoghi. Ultimo grado: Cassazione.
Composizione. Ogni Commissione ha un Pres. ; è formata da una o più sezioni (ognuna ha 1 Presidente, un vicepresidente, almeno 4 giudici). All’interno di ogni sezione i collegi giudicanti, presieduti dal Presidente o vice Presidente di sezione, decidono con un numero invariabile di 3 votanti. I membri delle Commissioni sono individuati dal “Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria” (organo di “autogoverno” posto a garanzia dell’autonomia della stessa: ha funzioni direclutamento, vigilanza, consultive, ispettive). La magistratura tributaria appare come una sorta di magistratura onoraria, in quanto i componenti non sono reclutati per concorso, bensì sulla base di criteri automatici quasi del tutto svincolati dall’effettivo riscontro del livellodi preparazione (la legge in realtà pone dei requisiti per i giudici ex 3,4,5 d.lgs. 545, ma la legge delega chiedeva molto di più). I componenti delle Commissioni sono nominati con Decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro Finanze, previa deliberazione del Consiglio di Presidenza. I magistrati giurano fedeltà alla Repubblica. Nonsorge un rapporto di pubblico impiego. Il compenso è un emolumento (non hai caratteri della retribuzione).
Incompatibilità (art 8 d.lgs. 545). Nei casi di incompatibilità, la cessazione dell’incarico viene disposta con Decreto del Ministero Finanze,con deliberazione del Consiglio di Presidenza.
Astensione. I casi di astensione ineriscono all’accertamento di situazionisoggettive anomale dell’organo giudicante, ma in relazione al singolo casotrattato. Infatti l’astensione opera come istituto preposto ad assicurare la terzietà del giudice, sorge quando per certe circostanze stabilite da legge, il giudice ha l’onere di non partecipare alla decisione; se ciò nonavviene, la parte può proporre istanza di ricusazione.
Durata. La nomina a giudice della Commissione ha durata massima nella stessa sezione della stessa Commissione di 5 anni; cessa comunque al compimento dei 75 anni.
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Uffici di segreteria delle Commissioni e del “Consiglio di Presidenza”. Svolgono attività ausiliaria. Il personale dipende dal Ministero delle Finanze. Svolgono funzioni amministrativo burocratiche, giurisdizionali, ausiliarie.
PROCESSO TRIBUTARIO. Con il d.lgs. 546, ai fini dell’individuazione dell’oggetto della cognizione del giudice, il termine “competenza” è statosostituito da “giurisdizione”. La Commissione tributaria competente deve esser individuata in base alla sede dell’Ufficio, dell’ente locale, del concessionario per la riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto.Alla “giurisdizione” si è invece attribuita la nozione del thema decidendum (ossia l’ambito oggettivo del potere giurisdizionale). Ora, la ricognizione dell’ambito della giurisdizione tributaria implica l’esame di2 piani d’indagine:
1)quello delle norme che delimitano esternamente rispetto alle altre giurisdizioni ordinaria e amministrativa. Il d.lgs. 546 aveva ricompreso nella giurisdizione delle Commissioni tributarie le controversie concernenti “ogni altro tributo” loro attribuito dalla legge, così ampliando l’operatività. Successivamente la l.488/2001 ha esteso la sfera di cognizione delle Commissioni a tutte le controversie aventi ad oggetto tributi d’ogni genere/specie, nonché le sovraimposte, le addizionali, le sanzioni amministrative irrogate da uffici finanziari. Oltre ciò, anche lecontroversie concernenti alcune tipologie di prestazioni patrimoniali imposte, come le controversie con oggetto la debenza del canone per l’occupazione di aree/servizi pubblici, canone per scarico/depurazione acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani. La Corte Costituzionale ha rilevato in molte pronuncie che la giurisdizione dei giudici tributari “deve essere imprescindentemente legata alla natura tributaria del rapporto”: quindi è la “materia tributaria” ad esser di competenza del giudice tributario: il giudice ordinario avrà allora le sole controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria.Giudice amministrativo: quest’ultimo potrà giudicare sui singoli decreti ministeriali che: individuano gli indici rilevatori di capacità contributiva ai fini dell’accertamento sintetico dei redditi, determinano i coefficienti d’ammortamento dei cespiti strumentali, approvano gli studidi settore (compresi anche i regolamenti degli enti locali istitutivi di tributi o disciplinanti elementi secondari alla prestazione impositiva). Davanti al giudice amministrativo il contribuente potrà poi tutelare la lesione degli interessi legittimi che non si concretizzano in atti impugnabili innanzi a commissioni tributarie e che risultano frutto dell’esercizio di potere discrezionale della P.A. (sono interessi legittimi residuali: es provvedimenti in materia di domicilio fiscale). Fermo restando ciò, il giudice tributario ha cognizione sulle controversierelative all’impugnazione del provvedimento di rigetto (espresso o tacito)dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente per l’annullamento diun atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria (ogni volta si discuta
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di uno specifico rapporto tributario): la valutazione rimane però circoscritta alla verifica della legittimità del comportamento tenuto dall’ente impositore in ordine all’istanza di autotutela.
2) quello delle disposizioni che, dall’interno, disciplinano le parti necessarie del processo e gli atti impugnabili. Il processo si instaura per iniziativa del contribuente che abbia interesse ad agire: quindi le sue controparti sono esclusivamente quelle disciplinate dal 10 d.lgs. 546,ossia Ufficio Ministero Finanze, l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione (che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto). Ex 19 d.lgs. 546 gli atti impugnabili sono (elencazionetassativa): l’avviso d’accertamento, l’avviso di liquidazione, il provvedimento irrogante sanzioni, il ruolo e la cartella di pagamento, l’avviso di mora, l’iscrizione di ipoteca sugli immobili ex 77 DPR 602, atti relativi alle operazioni catastali, il rifiuto al rimborso (espresso o tacito), il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata, ogni altro atto per cui la legge prevede autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni. Ora tutti questi atti sono “autonomamente impugnabili”: quindi la “mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”: ossia gli atti della riscossione, se preceduti dalla notifica di atti di accertamento/liquidazione/irrogazione della sanzione non impugnati dal contribuente, possono esser contestati solo per vizi propri e non per vizirelativi a tali atti che ne rappresentano il presupposto (quindi si possono considerare prodromici).
Difetto di giurisdizione. Ex riforma 1992 è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato/grado del processo (col solo limite della formazione del giudicato sulla questione di giurisdizione); è ammesso il regolamento preventivo ex cpc. La giurisdizione è presupposto processuale: il giudice adito dovrà allora giudicare in via preliminare, affermandola (con decisione anche sul merito) ovvero negandola (dando allora spazio a successive impugnazioni) ovvero disponendo l’improponibilità assoluta della domanda di fronte a qualsiasi giudice.
Possono infine sorgere problemi anche nello stabilire a quale giudice spetti la cognizione effettiva della controversia: la premessa è la competenza è presupposto di validità del processo (non della domanda). Dato che non si possono applicare le disposizioni del processo civile che attengono ai regolamenti di competenza, può accadere che la Commissione provinciale/regionale si reputi implicitamente/esplicitamente competente quando giudica sul merito: in tal caso il vizio potrà esser sollevato in sede d’appello o ricorso per Cassazione . (nel qual caso il giudizio continuerà di fronte al giudice dichiarato competente). Se invecela Commissione dichiari la propria incompetenza e indichila Commissione competente, ci sarà la traslatio iudicii.
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Il giudizio avanti alla Commissione tributaria provinciale (prima parte)
INTRODUZIONE DEL GIUDIZIO. L’avvio del procedimento viene rimesso ad un atto, il “ricorso” che è posto in essere ad iniziativa del contribuente edè rivolto alla Commissione tributaria provinciale. Tale atto implica la presenza del difensore del ricorrente (tranne per le liti di importo unitario inferiore a 2582,28 euro: li si può stare personalmente). Ex 12 d. lgs 546 sono abilitati all’assistenza tecnica: avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro, anche geometri e periti agrari (x controversie di natura catastale). Il conferimento dell’incarico avviene per atto pubblico ovvero per scrittura privata autenticata (se la procura è posta in calce ad un atto del processo, lo stesso professionista autentica la firma del delegante). È applicabile al processo tributario l’84 cpc (il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della partestessa, tutti gli atti del processo non riservati espressamente ad essa, ma non può compiere atti che comportino la disposizione della pretesa in contesa (es. conciliazione)tranne che se espressamente autorizzati).
Requisiti essenziali del ricorso (18 d.lgs. 546): l’atto deve indicare:
a)Commissione tributaria cui è diretto;
b) ricorrente e suo legale rappresentante, residenza, sede legale o domicilio eventualmente eletto nel territorio statale, il codice fiscale;
c)l’Ufficio del Ministero finanze o dell’ente locale o del concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto;
d)l’atto impugnato e l’oggetto della domanda (il petitum);
e)i motivi (la “causa petendi” cioè le ragioni di fatto/diritto poste a fondamento della domanda). Ex 4° la mancanza/assoluta incertezza di questimotivi determina l’inammissibilità del ricorso. Si può però ritenere (in quanto nulla dice la legge al riguardo) che, se non spirati i termini per la proposizione, è consentita la riproponibilità del ricorso dichiarato inammissibile.
Riguardo al petitum, esso è connesso all’antica disputa sulla qualificazione del processo tributario e dell’obbligazione che ne è alla base. Abbiamo infatti 2 teorie:
a) identifica il processo tributario come giudizio di impugnazione-annullamento degli atti emanati dall’Amministrazione finanziaria (involgendo esclusivamente i vizi di legittimità degli stessi)
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b) teoria dell’impugnazione-merito per cui il giudizio investe altresì il modo di essere, la disciplina del rapporto d’imposta, essendo preordinato all’accertamento del relativo regime giuridico (quest’ultima teoria è per Tinelli maggiormente condivisibile ed è anche quella più diffusa: da ciò si desume che il connotato dell’impugnazione attiene solo al profilo formale del processo, caratterizzandone la fase introduttiva, mentre l’attività del giudice investe il processo sostanziale, attinente al merito del rapporto obbligatorio d’imposta, fino all’emanazione della sentenza della Commissione tributaria in cui la volontà ordinamentale è attuata dall’organo giudicante in sostituzione della ricognizione operata dall’Amministrazione finanziaria nell’atto impugnato.). In pratica in virtù di questa 2° teoria il contribuente chiede al giudice non tanto l’ annullamento dell’atto, bensì l’accertamento della situazione giuridica soggettiva (nei limiti della domanda). Una volta specificato il petitum nell’atto introduttivo, esso non può più esser modificato.
Riguardo ai motivi del ricorso, essi variano in relazione al contenuto della domanda. L’eventuale integrazione dei motivi trova applicazione eccezionale (essendo legata al presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi argomenti della linea difensiva della controparte). E’ quindi unastrategia processuale quella di presentare una domanda con oggetto più ampio possibile (considerando l’eventualità di poter comunque rinunciare aparte di esso).
Attività processuale che porta al perfezionamento della fase introduttiva.Il giudizio è introdotto quando la controversia, nelle forme previste, è portata alla conoscenza dell’altra parte “resistente” e quindi nella cognizione del giudice. Il 1° momento si manifesta nella “proposizione delricorso” (20 d. lgs 546): con questa fase si instaura il contraddittorio con la controparte, ponendola a legale conoscenza dell’azione. Il 2° momento si concretizza con la “costituzione in giudizio” del ricorrente (21 d. lgs 546) e consente di presentare la controversia all’esame dell’organo giudicante.
Il ricorso è proposto con notifica alla controparte ex 16 2° e 3° d.lgs 546 e si prevedono 2 fattispecie di notificazione:
a) in modo diretto (notificazione “propria” o “tipica”) tramite ufficiale giudiziario ex 137 e s.s. cpc
b)in modo indiretto (notificazione “impropria” o “atipica”) attuabile secondo 2 diverse modalità:
1) a mezzo del servizio postale con spedizione in busta chiusacon raccomandata con ricevuta di ritorno. (per il ricorrente la notificazione è effettuata alla data della spedizione; per il resistente si prevede che i termini che hanno inizio dalla notificazione decorrono
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dalla data in cui l’atto è ricevuto);
2) all’ufficio del Ministero finanze o all’ente locale con consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia. Il ricorso può esser proposto entro 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato (art 21).
Costituzione del ricorrente. Con la costituzione in giudizio la Commissione tributaria è investita della controversia: in questo momento nasce il processo tributario (indipendentemente dalla costituzione del resistente) .Il ricorrente ex 22 deve depositare entro 30 giorni (termine per la costituzione) dalla proposizione del ricorso (a pena dell’inammissibilità) nella segreteria della Commissione tributaria, l’originale del ricorso notificato tramite ufficiale giudiziario ovvero copia del ricorso consegnato/spedito per posta. La Corte Costituzionale con una sentenza del 2002 ha dichiarato l’illegittimità Costituzione del 22 1° e 2° del d.lgs.546 per contrasto con gli art 3 e 24 Costituzione, “nella parte in cui non consente, per il deposito degli atti afi fini della costituzione in giudizio, l’utilizzo del servizio postale”. A seguito di ciò il legislatore ha modificato il 22 1° prevedendo la possibilità di costituzione in giudizio anche con trasmissione a mezzo posta (in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento)del ricorso notificato ex 137 e s.s. cpc.
La fase in esame si esplica con il deposito da parte del ricorrente, presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, di un fascicolo di parte costituito da:
a) ricorso in originale (nel caso di notificazione tramite ufficiale giudiziario) ovvero in copia (in tal caso insieme alla fotocopia della ricevuta di deposito o di spedizione, se è stato proposto con consegna diretta o tramite spedizione a mezzo posta);
b) originale dell’atto impugnato o sua fotocopia (se notificato);
c) ulteriori documenti (in originale o in fotocopia)che si reputino utilial procedimento dinanzi al giudice.
Si ricordi che, in caso di proposizione a mezzo posta, mentre ai fini della regolare costituzione è sufficiente il deposito della sola ricevuta della spedizione, la prova del perfezionamento dell’intera procedura di notificazione è costituita invece dall’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente. Infine, riferendosi alle ipotesi di vizi procedurali che pendono sul ricorrente in tale fase del giudizio, queste sono collegate dalla legge alla mancata costituzione nel termine dei 30 giorni ed alla difformità dell’atto depositato da quello consegnato/spedito alla controparte. Inammissibilità rilevata in ogni stato/grado del giudizio
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(indipendentemente dalla costituzione in giudizio della parte resistente).
Costituzione del resistente (23 d.lgs.) l’ufficio del Ministero finanze, l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione, se ritengono di partecipare attivamente al processo, hanno l’obbligo di costituirsi entro 60gg dalla notificazione (o dalla consegna o dal ricevimento tramite posta) del ricorso. La costituzione avviene con un atto analogo al ricorrente (quindi con fascicolo di parte contenente controdeduzioni in cui il resistente espone le sue difese prendendo posizione su motivi addotti dal ricorrente, indica le prove di cui intendaavvalersi, propone le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, presenta istanze per la chiamata di terzi in causa e altri documenti, utili per il processo, offerti in comunicazione). Il resistentepartecipa ad un processo con oggetto già determinato e delineato sia dai motivi del ricorso sia dalla motivazione contenuta nell’atto impugnato ; oltre ciò il termine per costituirsi ha solo funzione ordinatoria (in quanto la mancata/tardiva costituzione non pregiudica la prosecuzione dell’attività processuale o l’attività difensiva del resistente. L’unica conseguenza della non tempestiva costituzione è la preclusione della chiamata di un 3° in causa). Nell’ipotesi di mancata costituzione, non essendo prevista la dichiarazione di contumacia, i riflessi dell’inadempimento si riverberano solo in tema di notificazione degli attiprocessuali (udienza, istanze, sentenze) e di comunicazione dell’avviso ditrattazione, che possono esser fatte solo dalle parti costituite.
Litisconsorzio necessario (14 d.lgs). Questo istituto era stato in precedenza solo prospettato da non unanime dottrina e da incerta giurisprudenza. Lo stesso intervento normativo però non consente di superare le difficoltà insite nel cercare situazioni in cui può ricorrere l’inscindibilità di rapporti: in questo senso la giurisprudenza ne ha ravvisato un’ipotesi nelle controversie concernenti il rimborso di ritenute alla fonte (i litisconsorti sono: sostituto, sostituito, Amministrazione finanziaria). Parte della dottrina ravvisa altri casi nelle ipotesi di morte del ricorrente la cui legittimazione processuale sitrasmetta mortis causa a una pluralità di eredi.
Dottrina e giurisprudenza escludono il litisconsorzio necessario però nell’eventualità di obbligazioni solidali (in quanto queste non ostano allo svolgimento di processi distinti nei riguardi di ciascun coobbligato). In questo caso si può ravvisare il litisconsorzio facoltativo: ex d.lgs. 546 art 29, è riconosciuta al Presidente di sezionela facoltà di disporre la riunione dei ricorsi aventi lo stesso oggetto ( o tra loro connessi). La richiesta può esser fatta: da altri soggetti che vogliano intervenire volontariamente (a processo già iniziato. Ex art 14 è legittimato solo chi è destinatario dell’atto impugnato ovvero parte del rapporto tributario controverso . Non è quindi ammesso né l’interventoprincipale (105 1° cpc) né quello adesivo dipendente (105 2°). Il soggetto
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interveniente volontario deve notificare l’atto d’intervento a tutte le altre parti e si costituisce in giudizio secondo le regole previste per ilresistente), su istanza di parte, per ordine del giudice. Ex 14 6° , il legislatore preclude l’impugnazione dell’atto alla parte chiamata in causao intervenuta volontariamente, se per essa sia già trascorso il termine ex21.
Il giudizio avanti alla Commissione tributaria provinciale (seconda parte)
Possibilità di ampliare l’ambito cognitivo già offerto al giudice. Ex 24 èpossibile integrare questa sfera con i “motivi aggiunti”: questa è però un’ipotesi del tutto eccezionale (ammissibile solo a seguito del deposito di documenti non conosciuti, ad opera delle altre parti o per ordine dellaCommissione tributaria, anche se in realtà è stato abrogato il 7, dove si contemplava la facoltà del giudice tributario di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per decidere la controversia). Questa attività può esser fatta entro 60gg dalla data in cui l’interessatoha notizia del deposito dei documenti sconosciuti (se però è già stata fissata la trattazione della controversia, l’interessato a pena di inammissibilità deve dichiarare non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza, che intende proporre motivi aggiuntivi).
Chiesto e pronunciato. Riguardo al chiesto, la materia del contendere è delimitata dalla motivazione contenuta nell’atto oggetto di impugnazione edai motivi presenti nel ricorso e da quelli successivamente aggiunti. Quindi il giudice deve pronunciarsi sui fatti come giuridicamente configurati dalle parti. Riguardo al momento del pronunciato (cioè il convincimento del giudice in merito alla ricostruzione dei fatti), non c’èalcun riferimento normativo che possa disciplinare/circoscrivere l’attività giudiziale di acquisizione delle prove. Ora, secondo dottrina/giurisprudenza, la fase istruttoria è governata riguardo alle parti dal principio dell’onere della prova ex 2697 cc, mentre la ricostruzione dei fatti necessaria alla decisione di merito è fondata sul cosiddetto “principio dispositivo” (a mente di cui il giudice baserà la sua decisione sulla base dei fatti così come provati dalle parti): quindi i “potere istruttori” del giudice non possono avere ad oggetto il riscontro di fatti ulteriori rispetto a quelli allegati dalle parti (ed oggi non possono le Commissioni neppure chiedere alle parti il deposito didocumenti ritenuti necessari per la decisione della controversia, dopo l’abrogazione del 7 3°). Le Commissioni possono comunque richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’Amministrazione statale o altri enti pubblici (anche GDF) ovvero disporre consulenza tecnica.
Mezzi di prova adducibili. Non sono adducibili giuramento e prova testimoniale.
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Riprendiamo lo studio della procedura del processo. Ex 25, la “Segreteriadella Commissione” iscrive il ricorso nel registro generale e forma il fascicolo d’ufficio del processo (inserendovi anche quello del ricorrente e delle altre parti, con atti e documenti prodotti, successivamente gli originali dei verbali di udienza e dei decreti e copia delle sentenze. Le parti possono avere copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti).A questo punto poi il fascicolo viene dato alla “Segreteria del Presidentedella Commissione”, che assegna il ricorso ad una delle sezioni (se si hanno ricorsi concernenti identiche questioni di diritto a carattere ripetitivo, questi posson esser assegnati alla stessa sezione per esser trattati congiuntamente).
Esame del ricorso da parte della Commissione. 2 momenti.
A) l’esame preliminare. Il Presidente della Sezione cui è assegnato il ricorso effettua un controllo preventivo per evitare che vado in trattazione ricorsi viziati palesemente (dichiarandone eventualmente la inammissibilità ex 27). Il Presidente Sezione nella stessa sede può dichiarare sospensione, interruzione, estinzione del processo (con decreto, se ne esistono i presupposti). Il Presidente Sezione può poi disporre in ogni momento la riunione dei ricorsi (con decreto) assegnati alla sezione da lui presieduta (che abbiano stesso oggetto o siano tra loro connessi). Se i processi pendono davanti a sezioni diverse della stessa Commissione, Il Presidente della Commissione (su ufficio o istanza di parte o su segnalazione dei Presidente Sezione) determina con decreto la sezione presso cui i processi devono proseguire. Successivamente però il collegio giudicante, se rileva che la riunione dei processi connessi ritarda o rende più gravosa la loro trattazione, può disporre con ordinanza motivata la separazione.
B) Se questo esame preliminare passa indenne, il Presidente Sezione fissa la trattazione della controversia e nomina il relatore. In questo modo si entra nella discussione sul merito del ricorso e l’esame di esso passa dalPresidente Sezione al giudice della Commissione Tributaria. Fissata quindila trattazione, la segreteria comunica alle parti la data dell’udienza almeno 30 giorni liberi prima dell’udienza stessa. Le parti ex 32 posson depositare documenti fino a 20 giorni liberi prima della data della trattazione (con la stessa forma vista trattando l’integrazione dei motivi) al fine di arricchire l’impianto probatorio già allegato in sede di presentazione del ricorso. Fino a 10 giorni liberi prima, ciascuna parte può depositare “memorie illustrative” con relative copie per le altre parti. Infine nell’ipotesi di trattazione in camera di consiglio, sono consentite brevi repliche scritte fino a 55 giorni prima della data di trattazione.
Trattazione “vera e propria”. Essa ex 33 avviene normalmente senza la 108
partecipazione delle parti costituite (tecnicamente “in camera di consiglio” , cioè con l’esposizione del relatore al collegio giudicante dei fatti e delle questioni della controversia).
La discussione “in pubblica udienza” è invece subordinata alla previa ed espressa richiesta di una delle parti da avanzarsi con apposita istanza dadepositare in segreteria e da notificare alle altre parti costituite entroil termine ex 32 2° (10 giorni liberi prima della data di trattazione). Oltre ciò la richiesta “in pubblica udienza” può esser contenuta nel ricorso introduttivo del processo, nel ricorso in appello o in altri atti processuali (in quest’ultimo caso però questi atti devono esser notificatialle parti costituite e devono esser depositati presso la Segreteria dellaCommissione entro 10gg liberi prima della data di trattazione). In questa forma di discussione, il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia , successivamente Il Pres Sezione ammette le parti presenti alla discussione. Dell’udienza il Segretario trae processo verbale. La Commissione può disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza della parte interessata, quando la sua difesa (scritta o orale) è resa molto difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parti.
Sospensione del processo (39). Essa è prevista per le ipotesi per cui è espressamente esclusa la giurisdizione del giudice tributario dal 2 3° (querela di falso ovvero la questione attinente allo stato/capacità delle persone salvo che si tratti di capacità di stare in giudizio). Non esiste quindi la sospensione necessaria o volontaria del processo civile. Il processo rimane comunque in stato di quiescenza. Venuta meno la causa che ha generato la sospensione, il processo riprende se una delle parti propone istanza di trattazione al presidente Sezione entro i successivi 6 mesi dalla venuta meno della causa di sospensione.
Interruzione del processo. Essa opera quando si verificano fatti pregiudicanti la partecipazione della parte (morte, perdita di capacità distare in giudizio ecc)ovvero del suo difensore (oltre ai primi 2, radiazione, sospensione dall’albo professionale). Per il resto, disciplinaidentica alla sospensione. Il processo riprende quando una delle parti presenti istanza di trattazione al Presidente Sezione entro 6 mesi dalla data in cui fu dichiarata l’interruzione.
Sia la sospensione che l’interruzione sono dichiarate dal Presidente Sezione con decreto reclamabile ovvero dalla Commissione con ordinanza. Inqueste fasi non si posson compiere atti e non decorrono termini.
Se le parti sono chiamate a integrare, proseguire, riassumere il giudizio e non ottemperano entro il termine stabilito da legge o dal giudice, il processo si estingue per inattività con modalità fissate dal 45. Altre cause di estinzione: 44 (rinuncia al ricorso); 46 (cessata materia del
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contendere).
Fase di decisione. Il collegio giudicante, alla fine della trattazione, delibera in camera consiglio e formalizza la decisione con sentenza. Alle deliberazioni del collegio si applicano norme del cpc (276 e ss) : non sono però ammesse sentenze non definitive o limitate ad alcune domande.
La sentenza contiene:
1)indicazione della composizione del collegio, delle parti, dei difensori se ci sono;
2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo;
3) le richieste delle parti;
4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto;
5) il dispositivo.
La sentenza è corredata dalla data della deliberazione e è sottoscritta dal Presidente Sezione e dall’estensore (questi ultimi 2 requisiti consentono di definire un certo atto, una sentenza).
Le decisioni di rito sono quelle su cuila Commissione pronuncia:
a)sulla sua giurisdizione, rilevando l’eventuale difetto;
b)sulla propria competenza territoriale;
c)sull’inammissibilità del ricorso introduttivo ex 18;
d)sull’estinzione del giudizio per rinuncia delle parti, per loro inattività processuale, per cessata materia del contendere).
Verificata l’insussistenza di tali preclusioni processuali, la Commissionesi pronuncia sul merito: le decisioni posson avere ad oggetto l’accoglimento (totale o parziale) ovvero il rigetto. Dopo la deliberazione della sentenza, ci sarà la sua pubblicazione (con deposito nella segreteria della Commissione entro 30 giorni dalla data di deliberazione) e comunicazione (alle parti costituite entro 10 giorni dal deposito-pubblicazione). Così si conclude il 1° grado di giudizio.
I procedimenti speciali (47 e 48)
Procedimento cautelare (47). Fu introdotto, dopo che per molto tempo ne fu
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avvertita la necessità, solo con la legge delega 431/1991. Il 47 nasce proprio dall’attuazione della delega: si è creato un procedimento interno al processo tributario che, in presenza dei presupposti di legge, consentedi sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato fino alla pubblicazione della sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale. (ricordiamo però che ci sono analoghi rimedi di natura amministrativa comunque esperibili). La funzione di cautela insita nella sospensione è evitare che, nelle more di definizione del giudizio, in virtù del principio per cui l’impugnazione dell’atto non ne sospende l’esecuzione, si possano cristallizzare nei confronti della parte ricorrente gravi dannie irreparabili (mancando un provvedimento giurisdizionale, ancora in la davenire). I presupposti della tutela cautelare sn: periculum in mora e fumus boni iuris. Il procedimento si attiva con istanza motiva proposta dal contribuente nel ricorso ovvero in atto separato, notificato alle altre parti e depositato in segreteria (sempre osservando le disposizioni sulla costituzione in giudizio del ricorrente, cosìcchè la decisione sull’istanza cautelare epiloghi un vero e proprio procedimento incidentale).Il Presidente fissa con decreto la trattazione dell’istanza di sospensione per la 1° camera di consiglio utile; in caso di eccezionaleurgenza potrà disporre la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio. Ci può anche essere sospensione parziale (relativa a una parte dell’atto impugnato) , subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione/fideiussione bancaria. La trattazionedella controversia deve esser fissata non oltre 90gg dalla pronuncia e glieffetti della sospensione cesseranno dalla data di sospensione della sentenza di 1°. Infine, è possibile revocare/modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza, se mutano le circostanze sulla base di cuila sospensione era stata concessa.
Procedimento conciliativo (48). Questo istituto ha dei forti collegamenti con l’accertamento con adesione: entrambi hanno comune matrice nell’antico“concordato tributario”. Tuttavia con il 48, il procedimento conciliativo ha una sua disciplina autonoma. Dopo il d.lgs 218/1997, posson esser conciliate, in tutto o in parte, controversie riguardanti ogni tipo di questione o materia e concernenti qualsiasi categoria di contribuenti. Il procedimento può realizzarsi solo davanti alla Commissione provinciale e si snoda secondo 2 diversi schemi: uno “in udienza” (si innesca quando o una delle parti l’abbia proposto con istanza per la trattazione in pubblica udienza ovvero quando la Commissione l’abbia sollecitato ovvero quando l’ufficio abbia depositato la proposta di conciliazione con l’adesione della controparte. Se si raggiunge l’accordo, si fa apposito processo verbale in cui sono indicate imposte/sanzioni/interessi e il verbale è titolo esecutivo per riscuotere le somme dovute.) e l’altro “fuori udienza” (si realizza quando l’ufficio depositi la proposta accettata dalla controparte, prima che si fissi la data di trattazione. A questo punto il Presidente Commissione, verificata l’esistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara l’estinzione del
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giudizio con decreto). Entro 20 giorni successivi al processo verbale o aldecreto, il contribuente dovrà pagare quanto deve o pagare la 1° rata e dare fideiussione per le successive: così si perfeziona l’accordo. Applicazione di eventuali sanzioni: avviene nella misura di 1/3 delle somme irrogabili sull’entità del tributo definito.
Le impugnazioni
Nel caso in cui una delle parti abbia motivi di doglianza, può impugnare la sentenza di 1° tramite l’appello presso la Commissione tributaria regionale; la decisione di quest’ultima è impugnabile con ricorso per Cassazione (questi 2 mezzi sono i “mezzi ordinari d’impugnazione” assiemealla revocazione ordinaria. Questi posson esser esperiti solo se la sentenza non è passata in giudicato)Sia per le sentenze di 1° che di 2° è ammessa la revocazione (395cpc). (revocazione straordinaria = “mezzo straordinario”. Possono intervenire in sentenze passate in giudicato, per ottenere l’annullamento del vizio, sia perché sentenze viziate da anomalienel giudizio di fatto sia perché affette da patologie apprese in un momento successivo dagli interessati). Ex 49 c’è un generale rinvio alla disciplina processuale civilistica.
Appello (52). Al 1° la “Commissione regionale” è individuata come il giudice funzionalmente competente a conoscere dell’appello proposto avverso le sentenze emesse dalle Commissioni provinciali. Non è applicabile il ricorso immediato per Cassazione per le sentenze di prime cure (nel cpc si: 360 2°). L’appello a pena di inammissibilità deve contenere: l’indicazione del giudice adito, dell’appellante, delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, esposizione sommaria dei fatti, petitum, causa petendi, sottoscrizione. I termini: “termine breve”: 60 giorni dalla notificazione integrale della sentenza di 1° a cura della parte; “termine lungo”: 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza. Se non si fa in questi tempi, la sentenza passa in giudicato. L’appello si presenta con ricorso (che si presenta di persona ovvero spedito per posta alla controparte). A differenza del ricorso (atto esclusivo del contribuente) l’appello può anche esser proposto dalla controparte. Se il ricorso non è notificato con Ufficio giudiziario, l’appellante deve a pena di inammissibilità depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della Commissione pronunciantela sentenza impugnata. L’Ufficio che voglia notificare l’appello al contribuente si può avvalere anche di messi comunali. Se siamo davanti ad ipotesi di litisconsorzio necessario e l’appello sia stato notificato soload alcuni di essi, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio entro un termine da lui fissato, pena l’inammissibilità dell’impugnazione.In litisconsorzio facoltativo la mancata notificazione ordinata dal giudice non rende inammissibile l’impugnazione, ma sospende il processo fin quando non siano decorsi i termini a carico della parte pretermessa
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per l’impugnazione che è legittimata a proporre. Dopo la notifica, l’appellante deve costituirsi (a pena di inammissibilità) entro 30 giorni presso la Segreteria della Commissione regionale (depositando appello più documenti). Questa segreteria chiederà a quella della Commissione provinciale il fascicolo contenente anche copia autentica della sentenza di 1°. La parte vittoriosa, ricevuta la notifica dell’appello, può attivamente partecipare al giudizio di 2° depositando atto di controdeduzioni. Sono legittimati ad agire = chi era parte nel giudizio di1°. Ha interesse ad impugnare chi è risultato soccombente: la parte ricorrente (se la Commissione non abbia accolto in tutto o in parte le richieste avanzate al giudice di prime cure) e la resistente (nel caso in cui non sia stata condivisa dallo stesso giudice la domanda di rigetto delricorso). La soccombenza è allora il vero presupposto. Se c’è soccombenzaripartita, tutte le parti sono legittimate e quindi han interesse ad impugnare. La legge ha stabilito che tutti i gravami verso la stessa sentenza siano esaminati in un solo processo: in questo senso si colloca l’appello incidentale che altro non è che quello presentato dopo l’appelloprincipale. Quindi la parte che si vede notificare l’appello principale, se vuole impugnare la sentenza (sempre che sia soccombente) può farlo entro 60 giorni dalla notificazione suddetta, depositando l’atto presso laSegreteria. L’appello incidentale è tempestivo quando proposto entro i termini previsti per l’appello principale: è autonomo rispetto a quest’ultimo, quindi l’invalidità di uno non travolge l’altro. Appello incidentale tardivo: può esser fatto dalla parte per cui siano scaduti i termini per impugnare o abbia inteso prestare acquiescenza, quando ad essasia notificato appello principale. In questo caso l’appellato beneficia diuna rimessione in termini ad opera dell’appellante, che gli consente di far valere le sue ragioni in un processo iniziato da altri. Il soggetto avrà quindi altri 60 giorni per presentare appello incidentale “tardivo”. Questo segue le sorti di quello principale. Il giudice d’appello è vincolato al principio della domanda (quindi può pronunciare sugli aspettidella controversia ce non siano stati sottoposti al suo esame) e oltre ciònon può riformare la sentenza a danno dell’appellante, in mancanza d’appello incidentale dell’appellato (divieto di “reformatio in pejus”). Il giudizio d’appello è sicuramente devolutivo (il giudice di 2° potrà esercitare gli stessi potere di cognizione e di decisione spettanti al 1° giudice), tuttavia il legislatore ha posto dei limiti all’automatismo dell’effetto devolutivo: ex 56 le questioni/eccezioni non accolte in 1°, se non sono specificatamente riproposte in appello, si intendono rinunciate. L’appellato e l’appellante hanno l’onere di riproporre ogni ragione di difesa o contestazione (proposte in 1°), non accolte o non esaminate, pena la decadenza ex 346. No nuove domande ed eccezioni che siano rilevabili anche d’ufficio (divieto di ius novarum). Contenuto dellasentenza: di rito e di merito (in quest’ultimo caso la sentenza emessa da Commissione regionale sostituisce quella impugnata, sia che sia di riformache di conferma della stessa). Nei casi stabiliti dal 59, la legge disponela rimessione al giudice di primo grado per assicurare il doppio grado di
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giudizio (es. in caso di irregolare costituzione del contraddittorio o mancata sottoscrizione della sentenza).
Ricorso per Cassazione (62). I motivi sono quelli del 360 n.1-5 cpc. Dopol.69/2009, introdotto altre 2 cause di inammissibilità ex 360bis. L’impugnazione per Cassazione . costituisce tipico rimedio impugnatorio, tendente ad individuare vizi in senso tecnico della sentenza impugnata (non chiedere un nuovo giudizio, genericamente). Il ricorso si propone entro gli stessi termini previsti per l’Appello, con notifica alla controparte e depositato nella cancelleria della Corte entro i successivi 20 giorni. Anche il ricorso in Cassazione . va sottoscritto a pena di inammissibilità ma solo da avvocato patrocinante in Cassazione . o da un rappresentante dell’Avvocatura generale dello Stato. La controparte può presentare controricorso e, se legittimata (cioè in caso di soccombenza parziale reciproca), anche ricorso incidentale. Se il ricorso è fondato, la Cassazione . Cassazione la sentenza (con rinvio alla Commissione regionale). In caso violazione/falsa applicazione di norme di dir (dopo ilnovellato 384cpc), la Corte enuncia il principio di diritto cui il giudicedovrà attenersi, in sede di rinvio. Il principio di diritto può esser poi ora reso dalla Corte addirittura “nell’interesse della legge” ed anche quando la sentenza del giudice di merito non è impugnabile ovvero non è stata impugnata nei termini di legge ovvero quando le parti hanno rinunziato al ricorso. Il principio di diritto potrà poi essere enunciato d’ufficio, se il riscorso proposto dalle parti sia stato dichiarato inammissibile, in tutti i casi in cui si ritenga che la questione decisa rivesta particolare importanza (questo considerando la funzione nomifiliaca della corte): in questo caso la pronuncia della Corte non avràeffetto sul provvedimento del giudice di merito, ossia la sentenza non gioverà alle parti in quanto, altrimenti, finirebbero per essere vanificate le regole sulla inammissibilità dei ricorsi per Cassazione .
Revocazione (64-67). Può fondarsi solo sui motivi tassativamente indicati dalla legge al 395cpc (vedi).L’impugnazione è diretta allo stesso organo pronunciante tale decisione. La revocazione ordinaria è quella per i motivi ex n.4 e 5 395cpc (ossia vizi palesi, immediatamente conoscibili dalla parte interessata dalla semplice lettura della sentenza. Termine di proposizione: 60 giorni dalla notifica della sentenza, se manca la notifica, 1 anno dalla pubblicazione). La revocazione straordinaria (64 2°) è proponibile per i motivi n.1,2,3,6 395cpc (ossia vizi occulti non immediatamente rilevabili dalla sentenza stessa. Termine di proposizione: 60 giorni dalla scoperta del vizio). Sentenze revocabili: per opinione comune le sentenze di 1° sono revocabili se è scaduto il termine d’appelloe solo per i motivi di revocazione straordinaria; le sentenze di 2° sono soggette a revocazione ordinaria e straordinaria (in quanto per i vizi relativi non può porre rimedio il giudizio di Cassazione). Procedimento: stesso di commissione regionale. Sentenza: impugnabile con i mezzi medesimi esperibili verso sentenza revocata.
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Esecuzione delle sentenze
L’impugnazione dell’atto emanato dall’Amministrazione finanziaria non sospende la riscossione dei tributi pretesi (salva l’ipotesi in cui tale effetto consegua al positivo esperimento del procedimento cautelare). Per questo il 68 determina entità e tempi del pagamento del tributo in pendenza del processo modulando gradualmente l’esazione in funzione della oggettivata probabilità di fondamento della pretesa tributaria confluita nell’atto impugnato. Nel caso poi di accoglimento del ricorso, lo stesso art prevede l’obbligo di procedere al rimborso di quanto versato in eccesso entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza. Il 69 invece prevede le modalità per dare esecuzione alla sentenza con cui il giudice tributario abbia condannato l’ufficio o il concessionario al pagamento di somme in favore del contribuente (in questo caso l’esecuzione coattiva, subordinata al passaggio in giudicato della sentenza, potrà avvenire seguendo il rito ordinario basato sul titolo esecutivo rappresentato dallacopia della sentenza di condanna rilasciata in forma esecutiva dalla segreteria della Commissione).
E’ comunque ex 70 possibile esperire il “giudizio di ottemperanza” (istituto del diritto amministrativo) per dotare il contribuente di uno strumento volto a garantire l’effettività nell’esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie. L’applicazione di questo istituto in sede tributaria non è indirizzata in modo unanime: da un lato si afferma la distinzione con l’istituto amministrativo ravvisandosi nella figura fiscale solo un’attività esecutiva volta a consentire la restituzione al contribuente di somme indebitamente percepite dall’erario, mentre d’altra parte si osserva che l’oggetto di tale giudizio sarebbero solo obblighi difare diversi da quello insito nel pagamento di somme, in quanto già disciplinato dal 69. Comunque vada, il giudizio d’ottemperanza può esser avviato proponendo ricorso al Presidente Commissione provinciale o regionale se esistano 2 presupposti: da un lato la sentenza di cui si chiede l’adempimento deve essere passata in giudicato e d’altra parte deveessere scaduto il termine (fissato da legge) per l’adempimento dell’obbligo risultante dalla sentenza a carico dell’Ufficio finanziario odell’ente locale (in mancanza di questo termine si richiede la decorrenza di 30 giorni dalla loro messa in mora a mezzo di Ufficiale giudiziario). Il ricorso viene poi comunicato dalla segreteria della Commissione, all’Ufficio finanziario o all’ente locale obbligato a provvedere (quest’ultimo entro 20 giorni dalla comunicazione, può far pervenire alla Commissione le sue osservazioni) e quindi assegnato alla sezione emanante la sentenza rimasta inadempiuta. Il collegio (sentite le parti in contradditorio e acquisita la documentazione necessaria) pronuncia sentenza (impugnabile solo in Cassazione . per violazione delle norme sul procedimento) con cui, se accerta l’inadempimento denunciato dal
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contribuente, adotta provvedimenti necessari l’ottemperanza (potendo delegare un suo componente o nominare commissario a cui fissa un termine per i necessari provvedimenti attuativi). A quel punto il collegio chiude il procedimento con ordinanza.
Giustizia tributaria e “giusto processo”
La giustizia tributaria presenta un oggetto particolare, intimamente connesso all’esistenza stessa dello Stato in quanto in grado di controllare le attività amministrative di reperimento delle risorse finanziarie essenziali per il funzionamento dello stato. Applicare quindi i principi del “giusto processo” alla giustizia tributaria è un compito delicato per il teorico della materia, in quanto vuol dire esprimere una preliminare opzione per un approccio di pura critica verso un sistema che non può e non vuole garantire una rigorosa ricerca della giustizia tributaria. Per poter conciliare quegli aspetti nella disciplina del processo tributario, ci sarebbe bisogno d’un intervento riformatore per garantire la tutela effettiva delle posizioni soggettive coinvolte nella dinamica applicativa del tributo e quindi bilanciamento tra interesse pubblico al prelievo tributario e interesse individuale all’integrità patrimoniale, rispettando principio di legalità e altri principi dello “Statuto”