-
Edizione originale:Au cur de Vethnie. Ethnie, tribalisme et tat
en Afrique
Copyright 1985, dition La Dcouverte, Paris Copyright 1999,
dition La Dcouverte & Syros, Paris
Michela Fusaschi ha tradotto le prefazioni e i saggi di
Jean-Pierre Chrtien, Claudine Vidal e Elikia MBokolo.
Francesco Pompeo ha tradotto i saggi di Jean-Loup Amselle,
Jean-Pierre Dozon e Jean Bazin.
Copyright 2008 Meltemi editore srl, Roma
ISBN 978-88-8353-604-5
vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo
effettuata compresa la fotocopia,
anche a uso interno o didattico, non autorizzata.
Meltemi editore via Merulana, 38 - 00185 Roma "
tel. 06 4741063 - fax 06 4741407 [email protected]
www.meltemieditore. it
-
a cura diJean-Loup Amselle, Elikia MBokolo
Linvenzione delletnia
MELTEMI
-
Indice
.p. 7 IntroduzioneMichela Fusaschi, Francesco Pompeo
25 Prefazione alla seconda edizione Au cur de l'ethnie
rivisitato Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo
35 Prefazione alla prima edizioneJean-Loup Amselle, Elikia
MBokolo
39 Etnie e spazi: per unantropologia topologica Jean-Loup
Amselle
77 I bt: una creazione coloniale Jean-Pierre Dozon
119 A ciascuno il suo bambara Jean Bazin
165 Hutu e tutsi in Ruanda e in Burundi Jean-Pierre Chrtien
205 Situazioni etniche in Ruanda Claudine Vidal
227 II separatismo katangheseElikia MBokolo
269 Bibliografia
-
Ad Alfredo Saisano
-
Introduzione Michela Fusaschi, Francesco Pompeo1
Una civilizzazione non nasce da se stessa; piuttosto essa un
incontro (Mercier 1962).
Ragioni generative
Questo importante lavoro curato da Jean-Loup Amselle e Elikia
MBokolo esce in Francia nel 1985 come esito di un lungo lavoro
collettivo e, allennesima ristampa oltralpe, viene reso disponibile
in italiano solo oggi, colmando un ritardo di almeno due
decenni2.
Le questioni che riguardano lidentit culturale, letni- cit e la
tradizione trattate in questo volume sono al centro di unampia
riflessione gi dalla fine degli anni Sessanta. La letteratura
antropologica intemazionale ha, infatti, rimesso in discussione le
categorie descrittive e interpretative, spostando lattenzione sulla
comprensione delle dinamiche che sono alla base dei processi
identitari.
La traduzione di Au cceur de l'ethnie, a parte lestrema
difficolt di rendere un titolo cos evocativo3, fornisce alle
lettrici e ai lettori italiani lopportunit di confrontarsi diretta-
mente con un percorso di ricerca denso, mettendo forse fine anche
ad alcune letture interessate e riduzioniste che, come apparir pi
chiaro pagina dopo pagina, non si sono sempre confrontate con i
testi originali pretendendo di confutarli, pur non entrando nel
merito.
I sei studi che compongono il libro, realizzato insieme agli
storici4, sono legati da un filo rosso che unisce almeno due punti
essenziali, i quali delineano rispettivamente un forte
posizionamento teorico e una critica, se non una denuncia,
-
8 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO
altrettanto marcata: da un lato si afferma lidea che occorra
decostruire gli oggetti delletnologia, rifiutando il pensiero
dellesistenza di essnze culturali e rintracciandone i percorsi
generativi all'interno del modello di conoscenze di quella che,
qualche anno dopo, sar definita come la ragione etnologica*
(Amselle 1990). Dallaltro si delinea una netta presa di posizione
verso coloro che leggono i conflitti del continente africano nel
segno del tribalismo, ovvero in relazione a manifestazioni etniche
viste come la sopravvivenza di un passato sempre vivace e molla del
presente (Mo- niot 1986, p. 135).
Questa prospettiva matura in linea di continuit con il percorso
di quella che Mercier ha definito come la scuola dinamista
francese, cio quellapproccio, inaugurato a partire dagli anni
Cinquanta da Georges Balandier, che ha riarticolato e
reinterpretato in forma originale lanalisi delle trasformazioni
sociali legate alla colonizzazione, sviluppate parallelamente in
ambito anglofono dagli studi sul Social Chan- ge. In questottica,
come ricordano i due curatori nella prefazione alla seconda
edizione del testo qui tradotto, il lavoro di smontaggio della
nozione di etnia ha preso le mosse proprio dal concetto di
situazione coloniale e dal fatto indubitabile per cui limpatto del
colonialismo fu certamente pi determinante nella costituzione del
profilo etnico e sociale contemporaneo di quanto non siano le
sopravvivenze pre-coloniali (Chalifoux 1987, p. 88), Lo stesso
Balandier, in effetti, aveva lungamente insistito sul rischio della
etno- logizzazione della storia in Africa che, spesso, ha congelato
le societ africane prestando il fianco a non poche riletture
interessate di dati legittimati dallo sguardo scientifico europeo,
coprendo manipolazioni ideologico-politiche della storia (Pompeo
2002).
Da questo punto di vista, volendo ricostruire alcuni elementi di
genealogia, potrebbe sorprendere il fatto di ritrovare la
problematica della definizione di una specificit etnica gi in una
monografa etnografica tradizionale quale quella sui pescatori lebou
del Senegai, realizzata nel 1946 dai due giovani Balandier e
Mercier. Questo piccolo gruppo insediato sul
-
INTRODUZIONE 9
la linea costiera della Petite-Cte senegalese, non lontano da
Dakar, all'incrocio del Pays Wolof e del Pays Serere, proprio sulla
punta della parte pi modernizzata dellAfrica Occidentale Francese
(Balandier, Mercier 1952, p. 1), era stato scelto proprio in
ragione del fatto che "rappresenta (...) un gruppo ben determinato
e limitato, con la specializzazione nelle attivit della pesca,
ripiegato su se stesso, particolarista e coerente (p. 1). La
lettura del volume, che oggi presenta un interesse storico, a
dispetto di queste premesse, costringe a confrontarsi con la
difficolt di formulare una definizione univqca dell'identit lebou.
Cos, nel fornire una ricostruzione di prestiti, sovrapposizioni,
migrazioni e cambiamenti, si delinea una rappresentazione centrata
sull'instabilit e sulla propensione allo spostamento quali unici
tratti che ne definiscono l'identit. Emerge l'immagine di una
societ caratterizzata da un equilibrio specifico tra prossimit con
il mondo urbano e diverse influenze esterne, in cui i prestiti non
sono mai semplicemente sovrapposti, ma assimilati, incorporati
all'insieme degli elementi propriamente Lebou (p. 213).
Sulla stessa linea, solo qualche anno pi tardi, Mercier, in
apertura di Civilisatons du Bnin, proponeva una vera e propria
sintesi della prospettiva dinamista, su cui vale la pena di
dilungarsi:
Una civilizzazione non nasce da se stessa; piuttosto essa un
incontro. In forme molto diverse: dei conquistatori rapportano,o
invece la ricevono da coloro che essi assoggettano; dei rifugiati
trasportano lontano la loro preziosa eredit di idee e di tecniche,
dove dei commercianti le propagano lungo vasti itinerari. Ma
sempre, un gruppo di uomini riceve delle influenze esterne, alle
quali, visto che le circostanze del momento appaiono favorevoli, si
accorda, e quindi le assimila, le sviluppa, le mette a frutto, ne
fa qualcosa di nuovo di cui vivr. Queste influenze possono venire
da molto lontano, passare lentamente attraverso molti intermediari:
una grande civilizzazione pu irradiarsi a grandi distanze rispetto
alla regione in cui essa ha raggiunto maturazione. Spiegare,
comprendere ogni civilizzazione, significa dunque innanzitutto
cercare le sue origini, ovvero tentare di rintracciare i percorsi
lungo i quali si sono infilate le in-
-
IO MICIIELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO
. fluente fecondanti che gli hanno dato origine. Occorre spesso
ricostruire una storia lontana, di cui non si trovano che
tracce
. residuali. Ed ancora pi diffcile dal momento che non sempre ha
lasciato delle tracce scritte. Ci si riduce a formulare delle
ipotesi, molteplici e qualche volta contraddittorie. Si tratta di
un gioco appassionante, ma al quale bisogna dedicarsi con molta
prudenza (Mercier 1962, p. 1),
Come risulta evidente gi nellesempio senegalese e come verr
ribadito ampiamente nei successivi sviluppi, la prima
sollecitazione alla messa in discussione del concetto di etnia
derivata propriamente dal confronto diretto con l'esperienza della
ricerca sul terreno, nel superamento delle diverse mediazioni,
intellettuali come pratico-operative, degli apparati ereditati dall
esperienza del colonialismo.
Linadeguatezza dell'etnia era stata denunciata, in tempi non
sospetti, e come ricorda lo stesso Amselle (1987), gi da Weber
(1922) e, nellambito dell1 antropologia sociale britannica, da
studiosi come Schapera (1952), Nadel (1942), Leach, Barth (1969) e
Southall (1985), i quali si sono progressivamente orientati verso
lo studio delFetnicit rispetto a quello dell'etnia.
Un secondo aspetto che caratterizza il lavoro condotto da
Amselle e MBokolo come punto di avanzamento ulteriore nel solco
della tradizione dinamista quello che a livello teorico si pu
definire come il superamento del naturalismo sociologico, implicito
nelTutilizzo descrittivo della nozione di etnia, in favore di un
approccio costruttivista alla realt sociale.
Questo posizionamento s'inscrive nella critica a un modello di
conoscenza di cui Amselle ha rintracciato le origini in Durkheim e
Halbwachs, ma anche in De Maistre, Bonald e negli echi della
reazione romantica tedesca, fondato sullidea nostalgica e
conservatrice della contrapposizione tra societ e comunit. Questa
visuale, insieme allossessione durkheimiana per il legame sociale,
sarebbe infatti stata allorigine del naturalismo sociologico di
molti altri studiosi doltralpe "che tendono a fare di ogni gruppo
sociale in s un dato gi disponibile ed auto evidente, a cui essi
attribu-
-
INTRODUZIONE II
scono una coscienza o una memoria" (Amselle 1999a, p. 27).
Questa stessa visione sarebbe poi stata solo riattualizzata nella
lettura hegeliano-marxista che pretendeva di poter isolare e
ricostruire analiticamente modi di produzione, come nel dibattito
sulle societ di caccia e raccolta. Lo sforzo, viceversa, quello di
configurare una visione ispirata al costruttivismo: se i gruppi
definiti in s non esistono, allora "la strategia di costituzione
dei gruppi essenzialmente di natura politica, di modo che la loro
esistenza non pu essere analizzata indipendentemente dai discorsi
formulati dai loro rappresentanti* (p. 28). Questa strategia
politica di riconoscimento e di accreditamento, peraltro, utilizza
i metodi della produzione della verit che hanno corso nel campo
scientifico, ovvero l'indurimento o consolidamento dei fatti.
In questo senso l'identit non pi un presupposto naturale gi d
ispon ik^ di processi storico sociali; essa
diviene il risultato di una negoziazione tra tutti gli attori
che i sono parte in causa nella definizione del legame sociale. Il
con- . ,> tratto sociale non pi definito una volta per tutte, ma
diviene laccordo sulloggetto stesso del disaccordo^ (p. 29).)
-V ..
Echi e reazioni
Al momento della sua uscita l ! invenzione dell etnia ha
conosciuto immediatamente una certa risonanza diventando l'oggetto
di discussioni ancora pi appassionate per il fatto di essere stata
mal compresa (Ajnselle, infra, pp. 26). Nel dibattito interno alla
disciplina, il testo di Amselle e Mboko-lo in qualche modo
destabilizzava alcuni fondamenti perch corrodeva l'apparato
categoriale di un'antropologia che aveva fatto dell'etnia, gi da
Delafosse e Griaule, un referente stabile (astorico!) vitale per la
disciplina. Si determinarono cos una serie di reazioni, talvolta
tardive (De Heusch 1997; Paulme, in Bonnet 1992), che hanno voluto
ridurne la portata innovativa. Per altri l'approccio alla
complessit etnica
-
12 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO
circoscritto allidea che, in fondo, per Amselle, MBokolo e
colleghi, le etnie non esistono (Verdeaux 1987). Per un importante
studioso anglofono deiretnicit come Aidan Southall, Amselle,
MBokolo e soci meritano davvero un plauso per essere arrivati a
raggiungere il cuore della trib/etnia degli etnologi africanisti
che sulla scorta della lettura di questo lavoro si dimostra come un
grande organo artificiale, malato e deformato, ostruito da
persistenti e ben motivati pregiudizi e fraintendimenti. A ciascuno
la sua etnia! (Southall 1985, p. 570, corsivo dellautore).
Tra le altre reazioni interessante quella di Carol Dicker- man
che, pur riconoscendo che la questione etnica ha a che vedere con
categorie molto pi complesse e sfuggenti e che i regimi coloniali
incentravano gran parte delle loro politiche proprio sullidentit
etnica, ritiene che il libro, nel formato proposto, non realizzi
pienamente i suoi obiettivi poich ogni studio meriterebbe un
maggiore approfondimento monografico, come a ribadire, che
paradossalmente lunico strumento valido per smontare letnia
sarebbero proprio le monografe etnografiche. Sorprendentemente, a
questa reazione si sono aggiunte quelle di pi ampia portata emerse
nel dibattito politico-culturale francese, e questo perch il volume
apparso proprio in una fase storica caratterizzata dalla crisi
delle spinte localiste e autonomiste degli anni Settanta, venendosi
a scontrare con alcune delle evidenze del prt--penser dellepoca,
ovvero quelle che si esprimevano nellambito del movimento
ecologista e di sinistra (Amselle, MBokolo infra, p. 27). In questo
senso lidea di una decostruzione del concetto e del vocabolario
etnico si venuta a configurare come un oltraggio alla sensibilit e
allimmaginario di quegli anni, laddove anche nella cultura della
sinistra si manifestava una curiosa convergenza con lidea
dellorigine e della legittimazione etnica di movimenti
indipendentisti e regionalisti letti come rivendicazione di
minoranze in ambito pluralistico (Pompeo 2007).
Luscita a met degli anni Ottanta de LInvenzione delletnia si
veniva a inserire in un pi ampio dibattito legato al
decostruzionismo e allinfluenza della scuola degli Annales, per
mettere in risalto i significati legati alla costruzione dellap
-
INTRODUZIONE *3
partenenza etnica, il che vuol dire riconoscere che le etnie non
esistono oggettivamente come entit fsse e immutabili, bens esse
stesse vengono progressivamente introiettate in modo da esistere
soggettivamente nella coscienza degli attori sociali. Lappellativo
decostruzionista, assumendo la storicit come elemento interno dei
processi identitari e dei fatti culturali, in questo contesto viene
ad analizzare la questione nei termini delle molteplici e
successive reinvenzioni della tradizione nella contemporaneit,
evidenziando il carattere ascrittivo dell'etnia come una finzione
coloniale - si veda ad esempio il Ruanda - che viene rimessa in
gioco e strategicamente reinterpretata nella competizione politica
a partire dagli attori sociali che se ne fanno interpreti (Fusaschi
2000; 2003). Come gi preannunciavano Chrtien e Vdal nei due
contributi fondamentali di questo volume, proprio la vicenda
ruandese, pochi anni dopo, avrebbe fornito l'esempli- ficazione pi
tragica del potere di mobilitazione delFargo- mento etnico nella
costruzione di un conflitto politico, fino alla pianificazione di
un vero e proprio progetto genocidario concretizzatosi nei tragici
eventi del 1994 (Fusaschi 2000; 2007), Allo stesso modo il valore
quasi premonitore degli studi qui raccolti purtroppo facilmente
riscontrabile, estendendo lo sguardo ad altre situazioni di estrema
criticit quali la guerra del Congo (ex Zaire), di cui alcune
premesse sono presenti nel saggio di M'Bokolo, o la drammatica
implosione della Costa dAvorio, anticipata in filigrana
nell'analisi di Dozon. Teatri di diversi conflitti che hanno
comunque tutti ri-messo in gioco un vocabolario etnico.
Etnia, etnicit e culturalismi: il dibattito italiano
Se si fa eccezione della fase in cui dall'etnia in senso
descrittivo derivava la prospettiva di studi delletnologia5, un
vero dibattito critico su questa nozione emerge, nel nostro paese,
all'inizio degli anni Novanta, in relazione alle vicende legate
alla transizione post-comunista dell'est europeo e, in particolare,
del lungo conflitto nella ex Iugoslavia.
-
H MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO
Il biennio 1993-1995 si configura, infatti, come un momento
centrale nella discussione, con una serie di iniziative seminariali
e di pubblicazioni a cominciare dal dibattito sulla rivista
Ossimori per arrivare agli importanti lavori di Maher (1994),
Fabietti (1995) e Solinas (1995), usciti quasi in
contemporanea.
Un punto di partenza pu essere individuato proprio in Ossimori,
in un intervento di Bernardi, Il fattore etnico dall'etnia aW
etnocentrismo (1994), a cui rispondono Saccardi, Aime, Fomari,
Lisi, Rihtman Augustin, Resta Vereni e So- brero. La discussione
rilanciata Tanno successivo da Li Causi, a sua volta accompagnato
dagli interventi di Maher, Squillacciotti, Ronzon e Bitti. Infine
il dibattito si concluso con la replica dello stesso Bernardi
(1995).
La riflessione traeva spunto dal paradosso di una riconosciuta e
riguadagnata centralit del fattore etnico nella vicenda europea,
con la fine della favola della presunta pacificazione identitaria
del vecchio continente, nel sanguinoso risveglio della pulizia
etnica.
Il riproporsi con drammatica evidenza della violenza in nome
dellidentit di per s gi denuncia linadeguatezza delle categorie e
della discussione, ovvero quel ritardo concettuale e quel vuoto
lessicale che per Bernardi nel contesto italiano si sarebbero
tradotti in una vera a propria mortificazione del fattore etnico,
in relazione al concetto di nazione, a cui esso comunque legato.
Cos per Sobrero letnia come termine evocativo proprio un sinonimo
riduttivo di popolo-nazione, concetto che non si poteva applicare
ai territori africani perch troppo nobile, troppo carico di storia;
la nozione di etnia sembr pi adatta, pi vicina alla natura (in
Bernardi 1994, p. 34). Vereni vede nel dibattito sulletnia la
centralizzazione di un concetto marginale (p. 31) come lemma che
pronto a rivestire nelluso comune il ruolo giocato finora da
cultura (ib.) e nondimeno, a differenza di questultima, appare
maggiormente refrattario a ogni specificazione, portando con s
unirriducibile ineffabilit, quella delle comuni concezioni e norme
di vita che ne costituirebbero la sostanza: sotto la voce 'etnia le
diffe
-
INTRODUZIONE 15
renze interne (che per molto tempo abbiamo considerato
essenziali) vengono accidentalizzate (p, 32).
Linsufficienza lessicale dei dizionari italiani, con la
ripetizione di riferimenti agli aspetti biologici e il richiamo a
studiosi degli anni Trenta, spinge rafricanista Bernardi, gi
missionario, a rintracciare alcune radici del vocabolario etnico,
dal significato greco di aggregato distinto da caratteristiche
proprie (p. 14) fino alla migrazione attraverso il linguaggio
neotestamentario e della patristica: il riferimento etnico "passa
nella lingua italiana con il senso generico e .spregiativo di e poi
di pagani', fino a designare tutti i popoli ritenuti senza
religione" (ib.). Di particolare interesse la presenza del termine
nel Nuovo Testamento, laddove la voce ethnicus, al plurale ethnici,
talvolta sostituita con upokritai, ovvero ipocriti, termine di
condanna morale per chiunque non pratichi ci che predica (ib.). La
lettura e Pautorit del Vangelo ci consegnano dunque l'eredit
storica deY ethnicus nel significato dispregiativo e
discriminante:
quando il cristianesimo si identificher con la civilt
occidentale, laccezione negativa verr applicata a tutti i
non-occiden- tali, appunto perch non-cristiani - etnici e pagani -,
facendo di tale qualificazione il motivo promotore delle conquiste
coloniali, esaltate come mandati di civilt e di conversione per gli
stati cristiani occidentali (pp, 14-15).
Da questi riferimenti storici, tornando all'attualit si giunge
cosi alla conclusione che
1 etnia e letnicit non sono solo concetti astratti o mere
enclave linguistiche, ma riguardano comunit sociali fortemente
coscienti della propria identit, pronte a difenderla e a reclamarne
il riconoscimento finanche con forma di lotta e di resistenza (p.
13).
In questo modello interpretativo sono presenti livelli di
sovrapposizione tra un uso descrittivo del concetto, quasi un
identificatore geografico, e una lettura interpretativa e poli
-
16 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO
tica della densit del fattore etnico. Questa convivenza di
significati opposti, oggi diremmo delletnia nel senso classico
ottocentesco e delTetnicit in senso moderno e postmoderno, si
ritrova anche nella definizione, non priva di tauto- logismi,
secondo cui per etnicit intendo la concettualizzazione e la sintesi
astratta delle concezioni e norme di vita di una etnia e dei suoi
appartenenti (p. 16). Si rivela cos un fondamento sostanzialista
del discorso etnico, in seguito criticamente sviluppato da Li
Causi; il riferimento all etnia, negli attori sociali, implica il
richiamo di un livello ulteriore e opaco rispetto alla cultura, nel
rinvio quali fondamenti iden- titari a una comune sostanza o ad
aspetti biologici. la riproposizione di unideologia della
discendenza e dellereditariet, storicamente collegata al simbolismo
del sangue e alla razza: letnia si troverebbe ad essere definita in
termini di unicit culturale (e/o linguistica e religiosa), negando
quella che sembra essere al sua caratteristica pi specifica (Li
Causi 1995, p. 17).
Il punto di forza del fattore etnico per Bernardi sarebbe nel
suo radicamento nellidentit personale:
nessuno solo: ognuno nasce allinterno di un gruppo etnico,
fossanche solo quello duale dei genitori Fin dall'infanzia
leducazione sancisce lindividualit e avvia ognuno alla maturit di
comportamento e di giudizio, secondo le concezioni e le norme
delletnia di appartenenza (Bernardi 1994 p. 17).
Il discorso si sposta cos sulletnocentrismo, come dimensione
ineliminabile dellappartenenza, rispetto a cui possibile
distinguere tra un significato positivo, precisa e legittima
esigenza di identit culturale (p. 18) e uno patologico che
costruisce il conflitto. Secondo tale distinzione, che per So-
brero improduttiva, il punto di approdo del ragionamento la
proposta di una vera e propria educazione etnica, per prevenire il
rischio della creazione di modelli educativi etnocentrici. Fomari,
dal canto suo, denuncia i limiti di questa prospettiva declinata
tutta in chiave volontaristica e fideistica. In questa postura ,
peraltro, possibile individuare una conver
-
INTRODUZIONE 17genza con le nascenti retoriche
dellinterculturalit per la loro caratteristica impronta
pedagogistica (Pompeo 2002).
Una linea interpretativa che emerge con forza negli altri
interventi sottolinea la manipolazione politica e luso strategico
del vocabolario etnico. Cos per Aime un'antropologia degli scenari
contemporanei di regionalismi e di localismi deve aggiungere ai
consueti strumenti di indagine quello dell'analisi politica ed
economica del problema cosiddetto etnico" (in Bernardi 1994, p.
26). Sulla stessa linea Yantropo- Ioga nativa Rihtman Augustin, a
partire dalla letteratura sovietica suYethnos e attraverso la sua
esperienza diretta ricostruisce la processualit politico-sociale
del lungo e lacerante conflitto della ex Iugoslavia, nel passaggio
dalleducazione etnica negativa dell'esperienza socialista, che
annullava le differenze, all'enfasi neo-romantica dellidentit dei
nuovi nazionalismi. Ancora in relazione a queste dinamiche
dell'area balcanica la riflessione di Resta sulle comunit
alloglotte arberesh per cui con l'arrivo dell'immigrazione al-
banese non si presentano pi come una minoranza che ha basi etniche
perch sono mutate le condizioni politico-cul- turali della propria
auto rappresentazione (in Bernardi 1994, p. 31). Premonitore poi il
nesso proposto da Lisi con la tematica del fondamentalismo come
riscrittura etnica dell'identit utilizzando l'alfabeto teologico
(p. 28).
Qualche mese dopo, Li Causi converge sull'urgenza di recuperare
i ritardi nello studio del fenomeno etnico al di l della
superficialit di alcune riscoperte1. A dispetto di una certa
confusione del dibattito pubblico, occorre rivendicare
all'antropologia il merito di
aver delineato un contesto teorico, metodologico e terminologico
atto a dar conto di qualcosa (letnicit, pi che l'etnia) che ha
caratteristiche proprie e non riducibile ad altro (Li Causi 1995,
p. 13).
Il riferimento alla traiettoria che da Barth a Eriksen,
attraverso le ricerche sul Social Change e le riflessioni legate
al- Yethnic revival statunitense, ha tematizzato nell'etnicit il
su
-
i8 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO
peramento delle dimensioni oggettivanti del concetto di etnia
(Pompeo 2002). Si vuole recuperare un posizionamento teorico che
integri diversi punti di vista: lelemento soggettivo del-
rautoattribuzione viene infatti a ricoprire un ruolo fondante
nell'identificazione dell'etnia; al contempo esso diventa anche
caratteristica oggettiva della sua definizione (Li Causi 1995, p.
15). Questa prospettiva, peraltro, si confronta, a distanza di
dieci anni, proprio con il lavoro di Amselle e MBokolo, laddove
l'indagine storico-antropologica "che scavi nel passato di una
rivendicazione etnica, magari affermata 'naturale' e millenaria,
per svelarne invece la sua invenzione' pi o meno recente, e le sue
caratteristiche e funzioni spesso politiche e di potere rappresenta
un'opzione scientifica legittima e, direi, doverosa, ma che,
tuttavia, non scalfisce la percezione soggettiva della propria
identit da parte di chi si fa portatore, per ragioni politiche,
ideologiche ed anche emotive, di un'unicit etnica rispetto ad altre
unicit considerate diverse (p, 14).
In questo modo si vuole pertanto affermare il primato
metodologico della self-ascription etnica:
il concetto di etnicit, come manifestazione nel rapporto
interetnico di unicit e di differenze, sospinge e concentra
Fanalisi verso un processo di continua qualificazione delle
relazioni tra raggruppamenti sociali diversi, per separare e
delimitare ci che etnico da tutto ci che invece non lo (p. 18).
La conclusione ancora provocatoriamente un rinvio ad Amselle e
M'Bokolo, dal momento che al cuore dell'etnia dunque, [sta]
l'etnicit (p. 18).
Il primato dellautorappresentazione degli attori sociali,
richiamato da Li Causi, qualora costituisca un punto di vista
esclusivo, in accordo con Amselle e nella prospettiva qui adottata,
rischia di costituire uningiustificata limitazione della
conoscenza. Nello studio delle condizioni di produzione
dell'etnicit il richiamo alle dimensioni soggettive non , infatti,
in alcun modo alternativo alla valutazione del fattore etnico come
elemento politico da mettere in relazione anche con poteri e
dominazioni.
-
INTRODUZIONE 19
Proprio i contributi di questo volume chiariscono che questa una
contrapposizione falsa: F analisi della produzione e riproduzione
deletnicit da parte degli attori sociali, recuperando la storicit
ha guadagnato in profondit e ampiezza, evitando le distorsioni
derivanti da un approccio meramente sincronico, superando le
limitazioni del fieldwork antropologico tradizionale, ovvero la
riduzione dell'analisi delle dinamiche delletnico allo studio dei
reciproci posizionamenti identitari in un campo sociale
univocamente definito nella dimensione atemporale del presente
etnografico (Amselle, Vidal infra).
Continuando il dibattito Maher (1995, p. 21) raccoglie linvito a
"privilegiare letnicit e ridimensionare letnia; cos in unampia
riflessione che va dallex Unione Sovietica al Ruanda, sottolinea
lesigenza di tornare allesame delle forme di autorit, del potere e
dellinteresse, piuttosto che presumere una sorta di automatismo
etnico". Gi un anno prima la stessa Maher aveva raccolto e messo a
disposizione per il pubblico italiano una srie di classici
dellantropologia britannica (Barth, Mitchell, Cohen, Philip e Iona
Mayer, Hannerz) anche come contributo allallora nascente dibattito
sulle questioni del pluralismo culturale in Italia, sottolineando
che lidentit etnica va definita come la somma delle identit che una
persona assume nel corso della vita e ha sempre una valenza
relativa e situazionale (Maher 1994, p. 31).
Tornando a Ossimori, per Squillacciotti necessario recuperare un
riferimento allideologia e ai suoi linguaggi anche in relazione ai
contesti sociali e politici:
la contrapposizione degli interessi non parla pi il "linguaggio
politico del conflitto, ma quando questa pu incarnarsi in una
logica dei gruppi egemonici allinterno dei gruppi sociali come
ideologia etnica che trova spazio prevalentemente in unaffermazione
armata della propria esistenza (Squillacciotti 1995, p. 22).
Nel suo intervento, Bitti restituisce la profondit storica della
prospettiva delletnicit, facendo riferimento agli svi
-
20 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO
luppi pi attuali delPantropologia urbana e delle migrazioni,
come nei lavori di Wallman. Ricercando un punto di equilibrio tra
emico ed etico, Bini reinscrive loggetto etnico nelle domande della
complessit e della globalizzazione:
forse dietro questo interesse per l'inafferrabile etnicit che
coinvolge l'antropologia contemporanea c qualcosa di importante che
rimanda al cuore della disciplina. Come si creano le differenze
oggi? Chi laltro oggi? (Bitti 1995, p. 28).
Le conclusioni di Bernardi riprendono il primo contributo per
ricapitolare il dibattito dell'africanismo in riferimento a storici
come Lonsdale e Ranger o, per il nostro paese, Gentili.
L'incertezza semantica della novit dellirruzione dell'etnico deve
mobilitare la riflessione antropologica a partire dallassunto
perentorio secondo cui "etnia cultura, non moda" (Bernardi 1995, p.
12). L'elemento centrale del suo approccio si conferma in una
troppo semplice sovrapposizione tra i due concetti, storicamente
distinti se si vuol comprendere la natura dell'etnia e delletnicit,
e se ne vuole analizzare l'evoluzione concettuale in termini anche
di genericit e di specificit, occorre porsi in una prospettiva
culturale (p. 13). In questo senso "la piena coscienza di s e la
conoscenza delle regole di comportamento e dei modi di vita della
propria etnia (p. 14) permettono a gni individuo la comunanza e la
partecipazione attiva alla cultura nonch alla vita sociale. Quindi,
per mezzo di una sorta di "inculturazione all'etnia si determina
una sorta di automatismo etnico.
Riveste particolare interesse rilevare dunque l'affermazione di
una lettura culturalista della tematica etnica che, in una
peculiare convergenza e per propriet transitiva, peraltro ben si
coniuga con la tendenza all'etnicizzazione dei fatti culturali, che
sembra oggi caratterizzare il dibattito italiano sulla migrazione e
il multiculturalismo (Pompeo 2007).
A questo momento di effervescenza della discussione ha fatto
dunque seguito una fase di sistematizzazione attraverso i lavori di
Maher (1994), Fabietti (1995), Solinas (1995). Discorso parallelo
nel campo della storiografia africanistica
-
INTRODUZIONE 21
quello di Gentili (1995) che, in riferimento alla storicit delle
societ africane, premette il riconoscimento della natura fluida,
fluttuante dei raggruppamenti sociali e politici: insomma le trib
come entit culturali e politiche omogenee e statiche non
esistevano; n esistevano etnie ben definite e fsse nel tempo (1995,
p. 16).
II contributo monografico di Ugo Fabietti a una storia e critica
di un concetto equivoco (1995) si propone come una ricognizione
generale, sintetizzabile per mezzo della formula imbrglio della
cultura-illusione delle trib-finzione dellet- nia, in cui, passando
attraverso Amselle e MBokolo, in un percorso tra confine etnico e
politiche dellidentit, si giunge a individuare alcune definizioni a
partire dalla considerazione che
lidentit etnica e Ietnicit, cio il sentimento di appartenere ad
un gruppo etnico o etnia, sono, (...) definizioni del s e/o
dellaltro collettivi, che hanno quasi sempre le proprie radici in
rapporti di forza tra gruppi coagulati attorno ad interessi
specifici (Fabietti 1995, p. 12, corsivo dellautore).
Nello stesso anno, il volume curato da Solinas fornisce la
traduzione sul piano della ricerca etnografica di questi
orientamenti; raccogliendo una serie di saggi di terreno di autori
italiani (Astuti, Grilli, Palumbo, Viti), vuole infatti
interrogarsi sul senso delle identit collettive nelle realt
africane contemporanee. Si tratta allora di riconoscere
definitivamente che il terreno dei saperi antropologici infestato
di invenzioni, e dunque nessuna delle sue categorie appare immune
dal sospetto di inautenticit (Solinas 1995, p. 16). Da questo
assunto consegue che la ricerca, superando log- gettivismo, lungi
dallabbandonare il campo chiamata a impegnarsi nella ricostruzione
delle modalit concrete di produzione e manifestazione dellidentit
etnica, ovvero nellesame dei diversi processi di etnogenesi.
In fondo, come da pi di ventanni vengono insegnandoci Amselle,
MBokolo, Bazin, Dozon, Vidal e Chrtien e come il nostro quotidiano
ci dimostra
-
22 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO
quando la fluidit sociale indominabile, quando le genti si
assomigliano troppo, e, soprattutto, si mescolano troppo
facilmente, qualcuno" interviene a mettere ordine: stabilisce chi
deve assomigliare ad altri e chi deve differenziarsi, somministra
confini pretende che il discreto interrompa il continuo (p,
17).
1 U primo e il secondo paragrafo sono stati scritti da Michela
Fusaschi, il terzo da Francesco Pompeo,
2 In primo luogo grazie lintuizione del compianto Alfredo
Saisano e alla tenacia di Luisa Capelli che hanno sostenuto questo
sforzo,
3 Non sfuggir a nessuno il riferimento al Conrad di Cuore di
tenebra o alle retoriche dei viaggi esplorativi.
4 Quattro saggi sono scritti da antropologi (Amselle, Bazin,
Dozon e Vidal), due da storici (M'Bokolo e Chrtien).
5 II primo insegnamento a Roma, nel 1937, con Raffaele
Petazzoni, che vi vedeva una disciplina storica .
Bibliografa
Amselle, J.-L., 1987, Lethnicit comme volont et comme
reprsentation, propos des Peuls du Wasolon, Annales ESC, n. 2, pp.
465-489.
Amselle J.-L., 1990, Logiques mtisses. Anthropologie de
l'identit en Afrique et ailleurs, Paris, Payot; trad. it. 1999,
Logiche meticce. Antropologia dell*identit in Africa e altrove,
Torino, Bollati Boringhieri.
Amselle, J.-L., 1996, Anthropology and Historicity, History and
Theory, vol. 32, pp. 13 -3 .
Amselle, J.-L., 1999a, "Antropologie de la frontire et de
Videntit ethnique et culturelle: un itinrarie intellectuel*, in
AA.W., Confini e frontiera nella grecit d}Occidente, Taranto, Atti
XXVI Convegno di studi sulla Magna Grecia, pp. 17-41.
Amselle, J.-L., 1999b, Etnia e identit in Africa, in S.
Cordellier, E. Poisson, a cura, Nazioni e nazionalismiy Trieste,
Asterios Delitha- nasis, pp. 105-112.
Amselle, J.-L., 2000, Prefazione a Fusaschi 2000, pp.
7-9.Asiwaju, A. L> a cura, 1985, Partitioned Africans. Ethnic
Relations
across African's International Boundaries 1884-1984, London,
University of Lagos Press.
Balandier, G., Mercier, P., 1952, Les pcheurs Lebou du Sngaly
Saint- Louis, Centre IFAN-Sngal.
-
INTRODUZIONE 23
Barth, E, a cura, 1969, Ethnic Groups and Boundaries. The Social
Organization of Culture Difference, Bergen-Oslo-Londori, University
Forlaget-George Allen and Unwin.
Bernardi, B., 1994, Il fattore etnico: dalletnia aW
etnocentrismo, Ossimori, n. 4, pp, 13-25.
Bernardi, B., 1995, Etnia, etnicit, educazione etnica, Ossimori,
n. 7, pp. 11-18.
Bitti, V., 1995, Ancora sull*etnicit, Ossimori, n. 6, pp.
24-28.Bonnet, D,, 1992, Cinquante ans de distance. Entretien avec
Denise
Paulmet Cahiers des Sciences Humaines, numero monografico, pp.
81-85.
Chalifoux, J.-J., 1987, Recensione, Canadian Journal of African
Stu- dks/Revue Canadienne des tudes Afncaines, voi. 21, n. 1, pp.
88-89.
De Heusch, L., 1997, Uethnie: les vicissitudes d'un concept,
Archives europennes de sociologie, n, 38, pp. 185-206.
Dickerman, C., 1986, Recensione, The International Journal of
African Historical Studies, vol. 19, n. 1, pp. 162-164.
Fabietti, U., 1995, L identit etnica. Storia e critica di un
concetto equivoco, Roma, Nis.
Fusaschi, M., 2000, Hutu-Tutsi Alle radici del genocidio
rwandese, Torino, Bollati Boringhieri.
Fusaschi, M., 2003, Rwanda 1994, una storia di pregiudizi, Lo
Straniero, n. 32, pp. 122-127.
Fusaschi, M., 2005, tutu e Tutsi fra bisonti e struzzi.
Letnidzzazione del naturale o la naturalizzazione deWetnia, in M.
Zecchini, a cura, Oltre lo stereotipo nei media e nella societ,
Roma, Armando.
Fusaschi, M 2007, Nominare l*innominabile: parole per un
jenoside, Igitur, n. 2, pp. 109-123.
Fusaschi, M., Pompeo, E, 2005, La nazione immaginata, il caso
Rwanda, Communitas, n. 2, pp. 83-94.
Gallisot, Ri Kilani, M., Rivera, A., a cura, 2001, L!imbroglio
etnico, in quattordici parole chiave, Bari, Dedalo.
Gentili, A. M., 1995, Il leone e il cacciatore. Storia
dellAfrica subsahariana, Roma, Nuova Italia Scientifica.
Jamard, J.'L., 1985, Stability and change in French
Anthropology, Dialectical Anthropology, vol. 9, pp. 171-207. .
Kuper, A., a cura, 1981, Process and form in social life.
Selected essays of Fredrick Barth, London, Routledge, vol. 1.
Li Causi, 1., 1995, Ridimensionare l'etnia. Note metodologiche
sul fenomeno etnico, Ossimori, n. 6, pp. 13-19.
Maher, V., 1995, Costruzione politica dell'etnicit?, Ossimori,
n. 6, pp.20-21.
Maher, V., a cura, 1994, Questioni di etnicit, Torino, Rosemberg
e Sellier.
-
24 MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO
Mararo, B., 1987, Recensione a Au cur de t ethnie, The
International Journal of African Historical Studles, voi. 20, n. 1,
pp. 131-133.
Mercier, P., 1962, Civilisations du Bnin, Paris, Socit
continentale dditions modernes illustres.
Mercier, P., 1968, Tradition changement histoire. Les ttSomba du
Dahomey septentrional, Paris, ditions Anthropos.
Moniot, H., 1986, Recensione a Au cur de Vethnie, Vingtime
Sicle. Revue dhistoire, n. 9, p, 135.
Nadel, S. F., 1942, A Black Byzantium. The Kingdom OfNupe n
Nigeria, London, Oxford University Press.
Pompeo, F., 2002, Il mondo poco. Un tragitto antropologico
nett'in- terculturality Roma, Meltemi.
Pompeo, F., 2007, u Multiculturalismo: societ di tutti o di
ciascuno?, in id., a cura, La societ di tutti. Multiculturalismo e
politiche dell'identit, Roma, Meltemi.
Schapera, I., 1952, The Ethnie Composition o/Tswana Tribest
London School of Economies.
Solinas, P. G., a cura, 1995, Luoghi dfAfrica. Forme e pratiche
deUi- dentity Roma, La Nuova Italia Scientifica.
Southall, A., 1985, The Ethnie ofAnthropology, Cahiers dtudes
africaines , vol. 25, n. 100, pp. 567-572.
Squillacciotti, M., 1995, Cos lontano, cos vicino, Ossimori, n.
6, pp.21-23.
Verdeaux, F., 1987, Au cur de l'ethnie: anthropo ma non topo,
Politique Africaine, n. 26, pp. 115-121.
Weber, M., 1922, Economy and Society, Berkeley-Los
Angeles-Londres, University of California Press.
-
Prefazione alla seconda edizione Au cur de l}ethnie rivisitato
Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo
NelTaccingerci a un lavoro di decostruzione del concetto di
etnia, disponiamo dei lavori di due precursori, Mercier e Barth, le
cui analisi andavano contro un certo numero di preconcetti
dell'antropologia. Nello studio dedicato ai sqm- ba del nord Benin,
Mercier (1968) aveva constatato che la definizione classica di
etnia non poteva applicarsi a questo gruppo Collegandosi alla
tradizione anglosassone e, in particolare, ai lavori di Gluckman e
di Nadel, Mercier poneva Paccento sulla storicit dell'etnia
attraverso la messa in luce di una differenza radicale tra
l'etnicit del periodo precoloniale e quella dell'epoca coloniale.
Da parte sua Barth (1969), in uno studio oramai diventato classico,
accordava la priorit a una prospettiva legata al passaggio di una
pluralit di gruppi attraverso una frontiera, facendo di questultima
il vero oggetto dell antropologia.
Muniti di questo bagaglio teorico ci siamo immersi in questo
lavoro di smontaggio della nozione di etnia. Allinizio degli anni
Ottanta eravamo non pochi ad averne abbastanza della vulgata
giornalistica che consisteva, e consiste tuttoggi, nel rendere
conto di un qualsiasi avvenimento che accade sul suolo africano in
termini di conflitto tribale o di lotta etnica, rinviando a una
sorta di ferocia essenziale che si sarebbe interrotta solamente
durante un breve periodo, quello della colonizzazione europea. In
effetti, se nellimmaginario giornalistico il mondo arabo il dominio
dell'integralismo e l'india quello delle caste, il continente
afri
-
2 6 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO
cano per eccellenza la terra di elezione degli antagonismi
etnici. Si pensi ad esempio al trattamento mediatico e
all'utilizzazione politica dei conflitti che si sono prodotti o che
si producono attualmente in Liberia, in Sierra Leone, in Ruanda, in
Burundi e in Congo1.
Non si trattava per noi di dimostrare che le etnie in Africa non
esistevano - ci che ci stato rimproverato - ma che le etnie
attuali, le categorie nelle quali gli attori sociali si pensano,
erano delle categorie storiche. Per convincersi del fondamento di
questa posizione sufficiente ricordare ci che successo in Liberia
qualche anno fa. Come in tanti altri paesi africani sconvolti da
lotte fra gruppi, la situazione liberiana sembrava andare incontro
alle nostre tesi. In questo paese, in effetti, il conflitto che
contrapponeva il governo di Samuel Doe e le forze di Charles Taylor
e di Prin- ce Johnson sembrava ridursi a uno scontro fra etnie
krahn e mandingo da un lato e le altre etnie della Liberia
dallaltro. Ora, come certi giornalisti, prima di essere sommersi
dalla vague etnicista sono stati costretti a riconoscere, il
termine mandingo non rinvia a un'etnia particolare, ma designa
linsieme dei commercianti musulmani. Se ci si riferisce al campo
semantico dei termini mandingoy mandingue o malinky chiaro che
laccezione del termine mandingo in Liberia non che uno dei
significati possibili di questa categoria, la quale, per questo
fatto, possiede una propriet performativa. Per noi si tratta quindi
di mettere in primo piano il costruttivismo piuttosto che il
pensiero pri- mordialista. Dimostrando che non si poteva attribuire
un solo significato a un etnonimo determinato, noi mettevamo
laccento sulla relativit delle appartenenze etniche senza per
questo negare agli individui il diritto di rivendicare lidentit da
loro scelta. Quello che qui oggi viene rieditato il risultato di
questo lungo lavoro collettivo iniziato allinizio degli anni
Ottanta e pubblicato, per la prima volta, nel 1985.
L'invenzione deWetnia ha conosciuto immediatamente una certa
risonanza diventando loggetto di discussioni ancora pi appassionate
per il fatto di essere stata mal compresa.
-
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE 2 7
Pubblicata subito dopo il soffocamento dei movimenti
regionalistici degli anni Settanta, urtava contro qualcuna delle
evidenze del pret--penser dellepoca ovvero quelli che si
esprimevano nelFarea ecologista e di sinistra. Ma minava ugualmente
i fondamnti di un'antropologia che rischiava di essere privata del
suo riferimento di analisi privilegiato, l'etnia. Se l'etnia non
esiste, dicevano implicitamente gli antropologo che cosa ci resta
da studiare? Se non abbiamo pi dei soggetti storici , sostenevano
dalTaltra parte gli storici, come possiamo narrare i grandi
racconti della storia del continente africano? Per noi non si
trattava tanto di far sparire loggetto antropologico o storico,
quanto di vederlo sotto un'altra luce. Sembra, infatti, evidente a
coloro che hanno contribuito a questo volume che l'antropologia
francese del dopoguerra, in ragione della dominazione dello
strutturalismo, aveva accordato al nome del gruppo studiato -
all'etnonimo - lo statuto di referente stabile, proprio mentre la
sociolinguistica e la pragmatica, il cui sviluppo procedeva a
discapito dalla linguistica strutturale, mettevano in primo piano
la labilit socio-storica di questo stesso referente.
La focalizzazione sulle catene di societ, Yeconomia mondo
africana precoloniale e gli spazi coloniali, l'importanza accordata
alla distinzione fra societ inglobanti e societ inglobate cos cme
la messa in evidenza del carattere performativo degli etnonimi
tratteggiavano i contorni di un'antropologia diversa da quella che
occupava la scena in Francia. Piuttosto che concepire le etnie come
degli universi chiusi situati gli uni accanto agli altri, i sistemi
politici precoloniali come delle entit nettamente separate, le
concezioni religiose come dei mondi ben delimitati, i tipi di
economia come regimi distinti, noi facemmo la scelta di studiare le
interrelazioni, le sovrapposizioni e gli intrecci. In questo ci
ricolleghiamo alle elaborazioni di Kopytoff (1987) il quale da
parte sua ha sviluppato un'analisi che pone l'accento sulle
relazioni centro-periferia e sulla frontiera in quanto matrice
delle formazioni politiche africane.
-
Il etnia: uninvenzione coloniale?
A questa problematica costruttivista delletnia legata la
questione della riappropriazione che pu essere definita come il
fenomeno di retroazione ifeed back) degli enunciati etici sugli
stessi attori sociali. Questa questione riguarda dunque la
produzione delle identit locali a partire da ci che Mudimbe (1988)
ha definito biblioteca coloniale e che ben si applica al carattere
coloniale delle categorie etniche che, come si sa, una delle idee
portanti di questo libro. Secondo questa prospettiva, il modo in
cui gli indigeni si percepiscono sarebbe legato agli effetti di
ritorno dei racconti delle esplorazioni e della conquista ma anche
dei testi etnologici coloniali e postcoloniali sulla loro coscienza
di s. Da un punto di vista generale, questa riappropriazione si
iscrive nel campo pi vasto dei rapporti fra lo scritto e lorale.
Nelle culture orali, in effetti, la diffusione della scrittura
autentifica le pretese degli agenti e sacrifica in qualche modo
rapporti sociali. In questa argomentazione si ritrovano le analisi
di Jack Goody (1979) ma allo stesso tempo anche i suoi limiti.
Nelle societ africane che sono da molti secoli in contatto con la
scrittura, e in particolare con una letteratura araba che veicola
rappresentazioni riprese dal Vecchio Testamento, come si pu essere
certi che i materiali raccolti sul campo dall'etnologo o dallo
storico non portino le tracce di concezioni importate prima della
conquista coloniale? Lo schema che oppone la gente del potere a
quella della terra, per esempio, presentata dagli antropologi come
un tratto culturale caratteristico di numerose societ africane.
Questo schema pu essere concepito come il prodotto
dell'incorporazione deirinsieme di queste formazioni politiche in
una koin che include YAfrica del Nord; Luso ricorrente della
geomanzia obbedisce senza dubbio allo stesso principio.
Da questo tipo di riflessione si possono trarre due conseguenze:
innanzitutto limportanza accordata alla specificit etnica e al
comparativismo che essa induce ha leffetto di annullare questo
fenomeno di inglobamento. In secondo luogo possibile che i fatti di
riappropriazione o di reimpiego,
-
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE 29
sui quali gli storici attirano l'attenzione degli altri
specialisti delle scienze sociali e che fanno vacillare la
sicurezza degli antropologo siano assimilabili a un incontro tra un
gi l* incluso in un insieme che oltrepassa largamente la societ
locale studiata e una letteratura importata. Nel campo
dellantropologia politica delTAfrica, per esempio, le teorie locali
del potere non si ridurrebbero a una semplice creazione coloniale
ma risulterebbero da un accordo tra la coppia gente del
potere/gente della terra, coppia infiltrata o no dal- Tlslam e
dalla teoria coloniale della conquista. A questo proponilo non
privo di interesse domandarsi se l'importazione in Ruanda da parte
dei missionari belgi del luogo comune onnipresente della
storiografia francese - quello che oppone Franchi (gente del
potere) ai Galli (gente della terra) - non abbia contribuito a
indurire le categorie locali tutsi e hutu e ad assegnare loro un
significato etnico esclusivo (Franche 1995),
La riappropriazione non pu quindi effettuarsi su una tabula
rasa: occorre infatti ipotizzare l'esistenza di un supporto che
possieda le stesse caratteristiche degli elementi che vengono ad
aggiungersi alledificio affinch linnesto funzioni. Allo stesso
modo, se le popolazioni un tempo senza Stato hanno risposto
favorevolmente allimmagine che i colonizzatori tentavano di
attribuire loro, senza dubbio perch esse erano gi iscritte o gi si
iscrivevano in una rete di relazioni includenti lo Stato come uno
degli elementi vicini o lontani. In Africa, in effetti, e questo
molto prima della colonizzazione,lo Stato cos come le reti
mercantili che ad esso sono collegate in quanto fonti maggiori di
registrazione etnica imprimevano i loro segni non solo sullo spazio
che controllavano direttamente, ma anche sui suoi margini e al di l
di essi.
Piuttosto che a un tutto coloniale , dunque a una preoccupazione
di re-storicizzazione, di re-politicizzazione e di
re-islamicizzazione delle societ africane che rispondeva, questo
libro e, a questo titolo, a essere presa di mira non era tanto
letnologia degli amministratori coloniali, anche se que- stultima
ha contribuito non poco a trasformare le categorie sociali africane
in categorie etniche, quanto piuttosto lan
-
30 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO
tropologia universitaria del periodo coloniale tanto francese
quanto inglese. In effetti, sono proprio i rappresentanti della
scuola funzionalista inglese e della scuola di Griaule che hanno
fissato le societ africane in una mono-appartenenza etnica
disgiungendole dalle reti inglobanti airinterno delle quali queste
si inscrivevano allepoca pre-coloniale e nelle quali si
reinscrivono attualmente.
Colpisce a questo riguardo constatare che YAfrica - in
particolare lAfrica centrale - sta, in questo momento, tentando di
sfuggire definitivamente allinfluenza delle dinamiche derivate
dalla colonizzazione e dalle tutele delle potenze esterne, in
particolare degli antichi colonizzatori, per reinserirsi in un
gioco complesso di relazioni e di potenze locali. Da questo punto
di vista Y Africa ritorna alla problematica della frontiera e delle
relazioni tra centri e periferie che la caratterizzavano prima
della conquista coloniale. In un continente dove le frontiere,
bench reali, restano eminentemente porose e dove gli apparati dello
Stato sono lontani dal controllare come un tempo tutto lo spazio
che figura sulle carte geografiche, possono talvolta rientrare in
gioco degli scenari antichi. Questi sarebbero per riproposti in
modo semplicistico sotto forma di concetti nuovi, come, ad esempio,
quelli che mettono, nella Repubblica Democratica del Congo, gli
scopritori ruan- desi camiti o etiopi contro gli autoctoni bantu,
termine di cui si conosce il peso storico (Chrtien 1997). Ma daltra
parte non bisognerebbe ridurre queste evoluzioni contemporanee a un
qualunque ritorno di un passato, se cos si pu dire, messo fra
parentesi dalla colonizzazione che avrebbe giocato un ruolo di
congelatore sociale, che avrebbe soffocato, fissato e, allo stesso
tempo preservato questo stesso passato. Parallelamente alla
riaffermazione e al ritorno di identit antiche - a cominciare da
quelle degli africani o dei Negri - si vede in effetti perpetuarsi
sotto i nostri occhi la costituzione di nuove identit rapportate a
territori dalle frontiere instabili: identit etniche, come i
banyamulenge dellex Zaire; identit regionali, come i nordisti e i
sudisti in molti Stati; identit nazionali, di cui rendono conto i
dibattiti, (ri)attivate attraverso le consultazioni elettorali
democrati
-
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE 31
che e la registrazione dei cittadini in base alla nazionalit,
gli alloctoni e gli autoctoni (Dozon 1997).
La ricostruzione dell'africanismo
A una fase salutare di decostruzione o di smontaggio della
nozione di etnia deve succedere una fase di ricostruzione di una
scienza sociale africanista preoccupata di procedere a un esame
circostanziato della questione deUetnicit nelle societ africane e
in generale nellinsieme delle societ che sono di competenza
dellantropologia. Oramai non si pu pi utilizzare un qualunque
etnonimo senza definire preliminarmenteil suo contesto di impiego,
d modo che si assiste alla sostituzione dellessenzialismo
etnologico con una pragmatica delle societ. Cos facendo le societ
africane raggiungono il concerto delle altre societ e soprattutto
di quelle che ridefniscono in permanenza le condizioni del
dibattito con se stesse e con le altre. Letnologia africanista
confluisce cos in unantropologia del dibattito sociale che riguarda
linsieme dellumanit. Dopo luscita di qusto volume e
indipendentemente dai nostri lavori (Amselle 1987; 1990; 1993; 1996
e MBokolo 1993; 1995) molti altri studi hanno arricchito I4
problematica delle costruzioni identitarie in Africa. Tra questi
ultimi menzioniamo in particolare la raccolta di testi pubblicati
da de Bruijn e van Dijk (1997) che riguarda non unetnia
determinata, bens i rapporti fra due etnie, fatto che rappresenta
uno sviluppo considerevole rispetto allapproccio monoetnico
classico. Studiare le relazioni fra popoli vicini che intrattengono
da molti secoli rapporti politici, economici e culturali
costituisce il modello di quella che deve essere la ricerca nelle
scienze sociali, ossia una ricerca che pratica un comparativismo
temperato che si limita allosservazione delle variazioni delle
forme sociali, allinterno di un quadro geografico relativamente ben
delimitato. Tuttavia questo tipo di approccio plurietnico che
consiste nel considerare un insieme di gruppi nella sua
giustapposizione deve essere esso stesso sorpassato. Bench
generosa, una tale attitudine multiculturalista non risolve in
effetti nulla sul pia
-
32 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO
no dei principi metodologici poich riproduce lappiattimento che
al principio della costruzione delle carte etniche del- PAfrica o
di altre regioni del mondo, sottolineando, in questo modo, la
debolezza del modello di Barth (1969) che, situando la frontiera al
centro del suo discorso, lascia intatti i gruppi che la
attraversano.
nel postulare una vera creolit di ogni gruppo etnico o
linguistico (Amselle 1990; Nicolai 1998), ovvero nel riconoscere
che l'identit sociale e individuale si definisce tanto per
ripiegamento su di s quanto attraverso lapertura all'altro, in una
parola che l'identit insieme singolare e plurale, che possibile
arrivare a rispettare le differenze culturali e a fonderle in
unumanit comune. Gli etnonimi sono in effetti delle etichette,
degli stendardi, degli emblemi onomastici che si trovano gi l e di
cui gli attori sociali si appropriano in funzione delle congiunture
politiche che a essi si offrono. Il lato camaleontico dell'identit
non certamente estensibile all'infinito, cos come la plasticit
degli status sociali non assoluta. Ma resta il fatto - gli studi
sull'etnia e ancor di pi quelli sui gruppi statutari come le caste
lo hanno dimostrato - che le possibilit di gioco della struttura
sono molto pi grandi di quanto non vi appaiano. Gli attori sociali
africani non sono fissati nel loro statuto; nello stesso modo in
cui si potuto mostrare che le identit etniche erano flessibili, si
potuto mettere in evidenza che la tripartizione uomini
liberi/schiavi/genti di casta era una costruzione coloniale
(Conrad, Frank 1995).
Questo nuovo tipo di ricerche ci invita dunque a una
ridefinizione totale degli strumenti di investigazione delle societ
africane, restando inteso che questo sconvolgimento non pu non
avere degli effetti anche sul modo in cui noi affrontiamo anche la
nostra propria societ.
Il fantasma del meticcato
Elaborata a proposito del continente africano, la problematica
costruttivista dell'etnia cos come i concetti che le so
-
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE 33
no legati, come creolizzazione e meticciato, trova
unapplicazione in Europa e negli Stati Uniti nel quadro della lotta
contro il razzismo e dell'affermazione delle politiche che fanno
riferimento al modello del multiculturalismo. La gestione della
differenza culturale sperimentata in un primo tempo nelle colonie
fa attualmente ritorno in Francia dove serve ad amministrare i
settori sensibili della societ e allo stesso tempo a contrastare
lideologia della purezza della razza francese sviluppata dal Fronte
Nazionale.
Tutta una tematica del meticciato ha cos visto la luce nel corso
degli anni Ottanta e Novanta tanto nel dominio della commemorazione
quanto in quello della pubblicit, della moda e della musica
(Amselle 1996), Ispirati da motivi generosio semplicemente
mercantili, i sostenitori di questo concetto hanno tuttavia il
torto di dimenticare che lidea di meticcia- to, desiderata o, al
contrario, aborrita, intimamente legata a una problematica
poligenista che deve la sua origine alla raz- ziologia del XIX
secolo. In questo modo i ricercatori ben intenzionati che, per
dimostrare che Tintegrazione in seno alla societ francese sempre
allopera, ricorrono ai concetti di francese di origine e di
straniero o alle categorie coloniali come quelle di mand, in un
certo senso non fanno altro che accreditare e consolidare questi
concetti e dunque rinforzareil problema che desidererebbero
eliminare grazie alle loro ricerche. Ma, paradossalment,e anche
coloro i quali criticano questa direzione in nome dellidea che i
francesi sono tutti meticci e che di conseguenza il concetto di
francese di origine non ha alcun senso rinforzano lasse portante
poligenista e razzista di questa nozione. Il concetto di
meticciato, allo stesso modo di quello a lui prossimo di creolit,
riposa in effetti sullidea erronea, cara alla zootecnia, del
mescolamento del sangueo dellincrocio, concezioni esse stesse
inficiate dalle scoperte della genetica mendeliana.
solamente a condizione di vedere nel meticciato una metafora
libera da ogni problematica relativa alla purezza originaria e al
mescolamento del sangue, e quindi un assioma che rinvia allinfinito
lidea di una indistinzione originaria, che si pu, a rigore,
conservare questo termine.
-
34 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA M'BOKOLO
Leventuale introduzione in Francia dei criteri etnici nei
censimenti - analogamente a quanto gi accade negli Stati Uniti -
dovrebbe consentire, secondo i suoi sostenitori, di stringere le
maglie della rete destinata a definire e ad amministrare le risorse
della povert e deUhandicap. Prescindendo da ci che si possa pensare
in merito alla sua efficacia, questo nuovo dispositivo si inscrive
nel quadro dellestensione del dominio dei bio poteri instaurato nel
XIX secolo nel campo della demografia e delPepidemiologia (Foucault
1997). Se fosse messo in pratica, questo sistema farebbe della
Francia, alTimmagine degli Stati Uniti, una nazione in un senso
molto pi etnico rispetto ai paesi africani tradizionalmente
considerati il modello negativo rispetto alla buona coscienza
occidentale. Per un curioso ribaltamento della situazione,
lespansione coloniale, che stata condotta in nome della missione
civilizzatrice della Francia, ma che di fatto si basava largamente
sulla gestione della differenza culturale, farebbe oggi ritorno
nella sua terra di origine per mettere in pratica una modalit di
amministrazione delle popolazioni assai distante dal modello
teorico che pone il cittadino solo dinanzi allo Stato.
1 Questa seconda prefazione datata 1999 e i conflitti a cui gli
autori fanno riferimento sono quelli che hanno caratterizzato non
pochi anni della fine del secolo scorso; ricordiamo, ad esempio,
che quello irlandese del 1994 ha assunto la tragica caratteristica
del genocidio con pi di un milione di morti (Fusaschi 2000); mentre
nel caso del lungo conflitto del Congo (ex Zaire) si calcola che i
morti siano addirittura pi di tre milioni
-
Prefazione alla prima edizione Jean-Loup Amselle, Elikia
MBokolo
Abbiamo riunito in questo testo alcune riflessioni teoriche e
degli studi di caso sul concetto di etnia e su altre nozioni (trib;
razza, nazione, popolo) che sono a esso frequentemente associate,
ma anche sui fenomeni corrente- mente designati nel contesto
africano attraverso le espressioni di tribalismo, etnicit,
regionalismo, nazionalismo tribale,..
Questi fenomeni non sono certo solo caratteristici del- T
Africa: le ideologie di autoctonia, i movimenti separatisti, la
ricerca e laffrmazione di identit collettive diverse da quelle
legate allo Stato nazione, in breve, i particolarismi di
ispirazione culturale o politica si ritrovano, con unintensit
variabile, in un buon numero di regioni e di Stati, dall'America
anglosassone alla Cina e alTIndocina, dalla Russia sovietica
allAmerica Latina, dal Vicino Oriente allEuropa, E non raro che vi
esplodano di tanto in tanto violente rivolte.
In nessun altro luogo questi particolarismi occuparono o
sembrarono occupare il terreno politico e il campo intellettuale in
modo cos massiccio come in Africa. Molteplici fattori spiegano
questa particolarit.
Innanzitutto, nel seno stesso dellafricanismo, una lunga
tradizione scientifica, incentrata sulletnologia o
sullantropologia, si identificata con l studio delle etnie senza
affrontare, in un silenzio eloquente e compromettente, unanalisi
rigorosa del concetto di etnia.
D altronde la maggior parte delle interpretazioni dei fenomeni
politici caratteristici delTAfrica contemporanea han
-
3 6 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO
no integrato l'etnia e tutto ci che ne deriva in uno schema
semplicistico e rassicurante: qualificati come modernisti , i
movimenti che hanno condotto alle indipendenze e le egemonie che li
hanno seguiti sono presentati come altrettante aspirazioni a
costruire delle nazioni e a consolidarle. Improvvisamente, le
molteplici opposizioni a questi pretesi Stati nazionali in
costruzione sono state ridotte a delle lotte tribali, essendo lo
stesso tribalismo concepito come lespressione politica delletnia e
squalificato pi spesso come sopravvivenza e risorgenza di arcaismi
precoloniali. Se necessaria una testimonianza recente
dellincredibile resistenza di questi clich, eccone qui una, attinta
da una buona fonte, ovvero dalla seria rivista Afrique
contemporaine1. Il primo agosto del 1982 ci fu in Kenya un colpo di
Stato. Larticolo che lo riferisce pone una domanda essenziale:
Resta da comprendere perch abbia avuto luogo. La risposta
certamente evidente: ben inteso, qui come in Uganda e come in
Zimbabwe, i dati etnici servono da supporto ai combattimenti
politici, che non fanno altro che 'modernizzare comportamenti
antichi che il periodo coloniale in Africa inglese, pi che altrove,
non riuscito ad eliminare. Ed cos che si scopre che, dietro agli
insorti, si profilano i Kikuyo, trib illustre e maggioritaria in
Kenya2 . Si potrebbero moltiplica- re a piacere gli esempi delle
variazioni alle quali la vulgata et- nicista continua a dare luogo
sul modello del discorso scientifico o su quello dellevidenza
comune.
Diciamolo sin da subito, c una grande distanza fra queste
opinioni e gli studi qui riuniti che giungono a delle conclusioni
molto vicine a quelle sviluppate da Paul Mercier pi di venti anni
fa, quando, interrogandosi sul "significato del tribalismo, egli
notava che le opposizioni etniche attuali esprimono e riflettono
ben altre cose che differenze culturali e ostilit tradizionali, che
si perpetuano sotto altre forme (1961, p. 70).
Ma quali altre cose? Occorre sottolineare che il dibattito
sulletnia e il tribalismo non puramente teorico; a partire da lord
Fredrick Lugard, teorico del colonialismo britannico, se cos si pu
dire, fino al regime dell 'apartheid sudafricano, passando per i
poteri dello Stato contemporaneo, tutti i sistemi di
-
PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE 37
dominazione in Africa hanno allegramente attinto dalle teorie
delletnia e abilmente manipolato i sentimenti etnici. Nel 1923,
lord Lugard, ispirandosi allapproccio naturalista degli etnologi
dellepoca, proponeva di classificare la popolazione dellAfrica
tropicale in tre tipi, secondo le strutture sociali, ossia le trib
primitive, le comunit evolute e gli africani europeizzati. Sappiamo
cosa simili argomentazioni hanno determinato sul piano della
politica in paesi come il Ghana, il Kenya, la Nigeria o lUganda:
vessazioni e controlli minuziosi nei confronti degli africani
europeizzati e delle comunit di evoluti giudicate troppo dinamiche;
privilegi di ogni tipo per le chefferes delle trib primitive
ritenute rappresentare lAfrica tradizionale congelate nelle loro
strutture e nella loro vocazione a essere colonizzate.
Erede del pensiero e della politica coloniale britannica della
fine del secolo scorso, il regime dell 'apartheid ha perfezionato
questa manipolazione: assimilare le societ africane a trib non
comporta solamente proclamare la loro differenza irriducibile allo
sguardo della societ bianca - societ di classe e Stato nazionale -,
ma significa anche abbassarle al rango pi basso nella gerarchia
delle societ umane; allo stesso modo erigerle a societ tribali
significa anche affermare che queste sono in permanente conflitto
tra loro e legittimare una sistematica politica di divisione.
Abbassare, escludere e dividere rappresentano davvero lessenza
della politica dei bantustan. Quanto ai poteri dello Stato
dellAfrica indipendente, questi hanno fatto propri e interiorizzato
la visione, i clich e gli stereotipi delletnologia coloniale: la
diversit tribale degli Stati africani serve loro come argomento per
rifiutare il pluralismo politico, dietro il pretesto che esso non
sarebbe che unespressione di questa di- versit e di conseguenza un
ostacolo alla costruzione nazionale. Il culto dello Stato nazione
serve naturalmente a legittimare poteri personali e dittature
oligarchiche; sicch i rumorosi discorsi sullunit nazionale sono
ovunque accompagnati da una politica abilmente spettacolarizzata,
dai dosaggi etnici e regionalistici, che permettono al potere di
dissimulare la sua natura nel perpetuare gli stereotipi
etnicisti.
-
3 JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO
Abbiamo cercato in questo libro di rimettere un po le cose al
loro posto.
Per fare ci occorre innanzitutto operare le necessarie
riclassificazioni concettuali interrogandosi sistematicamente sulla
nozione di etnia. Jean Bazin a proposito dei bambara e Jean-Pierre
Dozon per i bete dimostrano che in fatto di etnie siamo in presenza
di realt in movimento: qui come altrove, nessuno esclusivamente
membro di un'etnia, e gli individui, come i gruppi sociali, sono o
cessano di essere secondo il luogo e il momento membri di una o di
talaltra etnia. In definitiva sono l'etnologia e il colonialismo
che, misconoscendo la storia o negandola, ansiosi di classificare e
di nominare, hanno cos fissato le etichette etniche. Si deve
procedere, come dimostra in effetti Jean-Loup Amselle, a
decostruire loggetto etnico": una volta riabilitate la storia e
unantropologia dinamica, appare chiaro che i gruppi etnici sono
stati integrati in insiemi pi ampi, degli spazi" strutturati
attraverso fattri economici, politici e/o culturali che hanno
determinato i gruppi etnici", fornendo loro anche un contenuto
specifico.
I tribalismi" contemporanei non possono pertanto esprimere altro
che l'etnia. Le analisi di questi fenomeni a Shaba proposte da
Elikia M'Bokolo, in Ruanda e Burundi da Jean- Pierre Chrtien e
Claudine Vdal dimostrano quanto essi siano legati a determinate
fasi storiche nel corso delle quali gli attori politici, le
categorie e le classi sociali si trovano ridotti a esprimere le
loro ambizioni, la loro collera o il loro fallimento nel linguaggio
tribale, etnico o regionalista. Cos, nella maggior parte dei casi,
la lotta per il potere dello Stato che si riflette in queste
pratiche.
Tutti questi punti rappresentano le principali tappe di un lungo
percorso tanto collettivo quanto individuale. Scommettiamo che
queste saranno ripercorse da altri e che in questo modo saranno
svelate le vere spinte delle societ africane.
1 Le tentative du coup d'tat au Kenya, Afrique contemporaine, n.
123, 1982, pp. 14-15.
2lb.
-
Etnie e spazi: per unantropologia topologica Jean-Loup
Amselle
ovvio affermare che la questione delT etnia al centro della
riflessione antropologica ed altrettanto ovvio che essa costituisca
il fondamento del suo approccio scientifico. Tuttavia facile
constatare che, fino a tempi recenti, questo tema di ricerca non ha
suscitato un grande entusiasmo da parte della maggioranza degli
antropologi. Scorrendo la letteratura, si ha in effetti la
sensazione che il trattamento del problema delletnia sia
considerato dai ricercatori sul campo come una corve di cui occorre
sbarazzarsi al pi presto per affrontare i veri campi: la parentela,
leconomia e il simbolismo, ad esempio. Bench la definizione
delletnia studiata dovrebbe costituire linterrogazione
epistemologica fondamentale di ogni studio monografico e, in un
certo senso, tutti gli altri aspetti ne dovrebbero conseguire, si
percepisce invece che, spesso, esiste uno iato tra un capitolo
preliminare che, per poco che vi ci si attardi, mostra la fluidit
relativa delloggetto, e il resto del lavoro, in cui al contrario le
considerazioni sullorganizzazione parentale e la struttura
religiosa fanno prova della pi grande sicurezza.
Questa relativa dimenticanza o questo disinteresse da parte
degli antropologi ha senza dubbio a che fare con la storia della
disciplina e anche con le differenti tenden- ze che lhanno animata.
sempre pi evidente che lantropologia si formata sulla base del
rigetto della storia e
-
40 JEAN-LOUP AMSELLE
che questo rifiuto si di fatto mantenuto da allora. Senza
pretendere di lasciarci andare a un inventario classico, che
consiste nel passare in rassegna ogni scuola antropologica e
nelTesaminare il modo in cui essa avrebbe trattato il problema
delletnia, in questa sede sufficiente ricordare che le correnti che
hanno segnato maggiormente il pensiero antropologico -
revoluzionismo, il funzionalismo, il cui- turalismo e lo
strutturalismo - sono delle dottrine essenzialmente astoriche.
Se si considera, seguendo il pensiero di Marc Aug (1979), lo
spazio dentro il quale si sviluppa il pensiero antropologico
contemporaneo, si capisce chiaramente come mai l'analisi sulletnia
non possa essere posta al centro della riflessione degli etnologi.
Secondo Aug, questo spazio antropologico diviso fra due grandi
correnti: luna che si interessa al senso e al simbolo e laltra che
tratta essenzialmente della funzione. La prima corrente comprende
la scuola di Griaule e gli strutturalisti, la seconda i funziona-
listi e i marxisti, che Aug mette, a ragione, sotto la medesima
categoria.
E ben evidente, dunque, se si considera la prima tendenza, che n
i discepoli di Griaule, che accordano la priorit a ci che le societ
stesse dicono, n tantomeno gli strutturalisti, che hanno invece
bisogno di pi societ o almeno di pi sistemi di parentela o di miti
per pensare le possibilit differenziali dello spirito umano e
stabilirne la trasformazione nel senso matematico del termine, non
potevano di fatto porre il tema delletnia al centro del loro
discorso.
Per quanto riguarda la seconda tendenza, quella che comprende i
funzionalisti e i marxisti, la questione pi complessa. Si sa che il
padre fondatore della scuola fun- zionalista, Malinowski, rifiuta
la storia, da lui assimilata allevoluzionismo. Dal momento che non
esiste la sequenza tipo selvaggio, barbaro, civilizzato si tratta
di considerare ogni societ nella sua specificit ma senza che sia
presa nello stesso tempo in considerazione la possibilit di
stabilire la sua micro-storia. cos che seguendo Lucy Mair, Ma-
-
ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA 41
linowski (1945) postula lesistenza di un grado zero del
cambiamento corrispondente allambiente rurale e proseguelo studio
del "contatto culturale a partire dallo stato originario delle
societ contadine africane. Si pu allo stesso modo notare, in senso
inverso, come Nadel, il quale si situa in continuit con Mlinowski,
come vedremo, sia tra coloro i quali hanno fornito una delle
migliori definizioni di cosa sia letnia.
Se ora ci si avvicina alla sponda marxista la situazione si
presenta ancora pi ambigua. Certamente ci si potrebbe aspettare che
gli antropologi che si richiamano a Marx abbiano focalizzato il
loro approccio in particolare sulletnia, avendo tenuto la storia
come riferimento costante. Ma non questo il caso: a eccezione dello
studio di Maurice Go- delier (1973, pp. 93-131) sulla nozione al
primo sguardo vicina, ma in realt distinta, di trib, su questo
punto i marxisti non hanno particolarmente brillato per la loro
riflessione teorica. Non difficile comprenderne il perch:
assimilando talvolta la storia alla sola evoluzione delle forze
produttive e preoccupati di individuare uno o pi modi di
produzione, per come si combinano allinterno di una formazione
sociale, essi hanno trascurato lanalisi della produzione di forme
(Amselle 1979) e si sono accontentati della comprensione empirista
delletnia tale e quale gli era stata trasmessa dai loro
predecessori - molto spesso degli amministratori coloniali o
missionari (Chretin 1981a) - e che gli forniva un quadro comodo
allinterno del quale essi potevano situare questi concetti (Copans
1982). Da questo punto di vista occorre notare lesistenza di una
distanza considerevole fra lassenza di una riflessione marxista di
ordine generale sulletnia e la qualit della speculazione della
realt dei gruppi etnici cos come essa appariva nelle monografie di
questi autori (Meillassoux 1964; Terray 1969). In tal senso ci si
pu domandare se questi antropologi non siano rimasti prigionieri di
una problematica indubbiamente assai influenzata da una lettura
neo-positivista del marxismo (Althusser) e dalla condanna che
quella implicava di ogni storicismo e se, per altri aspetti, non
abbia gravato
-
42 JEAN-LOUP AMSELLE
su di loro il peso dellistituzione antropologica che spinge ogni
ricercatore a identificare il proprio nome con unetnia particolare
(Meillassoux 1979). Questa corrente marxista non di meno soggetta
da qualche tempo a unevoluzione sensibile: alcuni dei suoi
rappresentanti stanno rimettendo in questione quello che era il
loro approccio monoetnico (1978) mentre si stanno avvicinando alla
terza corrente che sar adesso chiamata in causa, quella che Paul
Mercier (1966) ha definito dinamista. A questa prospettiva si col-
lgano i nomi di Max Gluckman, Georges Balandier, Paul Mercier,
Jacques Lombard, Guy Nicolas e Jean Copans. Questi autori sono
abbastanza vicini al marxismo nel senso che insistono sulla
necessit di procedere attraverso un approccio storico a ogni societ
pi precisamente al quadro scelto come luogo di inchiesta:
villaggio, chefferie, regno, e cos via. Questo primato accordato
alla storia interviene nella maniera seguente: conviene scegliere
l'insieme delle determinazioni che pesano su uno spazio sociale de-
terminato e mettere Taccento sull^ rete di forze, tanto esterne
quanto interne, che lo strutturano; in poche parole si tratta di
analizzare Tefficacia di un sistema su di un luogo (Amselle 1974,
p. 103). Questo approccio conduce a mettere in rilievo nel senso pi
ampio il quadro politico di questo spazio e a inserirlo in un
insieme che lo oltrepassa. Questa riflessione dovr arrivare, se non
a una definizione operativa dell'etnia (ce n bisogno?), almeno alla
decostruzione delFoggetto etnico che rappresenta sempre un freno
per il progresso della disciplina. Ma prima di vedere a che cosa
potr portare il superamento della problematica etnica opportuno
esaminare le differenti definizioni deiretnia proposte dagli
antropologo
Definizioni
Il termine etnia (dal greco ethnos: popolo, nazione) apparso
recentemente nella lingua francese (1896); nel XVI e nel XVII
secolo, come sottolinea Mercier (1961, p. 62), il ter
-
ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA 43
mine nazione equivaleva a quello di trib. Lapparizione e la
definizione tardive dei termini trib ed etnia conducono sin da
subito a porre un problema sul quale ritorneremo, quello della
congruenza tra un periodo storico (colonialismo e neocolonialismo)
e lutilizzazione di una determinata nozione.
Se questi termini hanno acquisito unutilizzazione massiccia, a
detrimento di altre parole, come il termine nazione, senza dubbio
perch si trattava di classificare a parte talune societ, negando
loro una qualit specifica. Conveniva infatti definire le societ
amerindiane, africane e asiatiche come altre e differenti dalle
nostre, togliendo loro quegli elementi attraverso cui esse potevano
partecipare di una comune umanit. Questa qualit che le rendeva
dissimili e inferiori alle nostre societ evidentemente la storicit,
e in questo senso le nozioni di etnia e di trib sono legate ad
altre distinzioni attraverso le quali si opera la grande divisione
tra antropologia e sociologia: societ senza storia/societ storiche,
societ preindustriali/societ industriali, comunit/societ1.
Gli antropologi si sono dunque trovati prigionieri di alcune
categorie allinterno delle quali si sono dovuti situare per
studiare societ di loro competenza, nel momento stesso in cui
queste venivano fissate dalla colonizzazione (Piault 1970, p. 23).
Questo forse pu spiegare come mai accanto a brillanti studi su
parentela e religione si siano avute davvero poche analisi sulla
categoria delletnia.
Etnia e trib
Innanzitutto, ci troviamo dinanzi allesistenza di due termini il
cui significato in francese simile ma di cui il secondo, nella
letteratura antropologica anglosassone, ha invece acquisito un
senso tutto particolare. Se il termine trib in francese ha pi o
meno lo stesso uso di quello di etnia, per gli antropologi
anglosassoni designa invece un tipo di organizzazione sociale
propria, ovvero quello delle
-
44 JEAN-LOUP AMSELLE
societ segmentane. Queste sono definite, nella maniera classica,
attraverso la presenza di elementi sociali di natura identica, come
ad esempio il lignaggio, e provenienti da scissioni successive di
una stessa cellula iniziale, e si distinguerebbero cos dalle societ
statiche in cui il potere centralizzato, questo senso della parola
trib, che designa allo stesso tempo un tipo di societ e uno stadio
deir evoluzione umana, che Godelier nel 1973 sottopone a
interrogazione epistemologica. Contrariamente a questo autore io
non intendo, quantomeno in un primo momento, affrontare una
riflessione sullorganizzazione di tipo segmentano, bens presentare
le molteplici definizioni delletnia o di un gruppo etnico
considerate come una societ globale. Taluni autori, come Gellner
(1965), daltra parte stimano che questa prospettiva sia senza
fondamento per gli ambiti locali che essi studiano; rifiutano
infatti di applicarvi i termini etnia e trib e ritengono che le
zone rurali dellA- frica del Nord ospitino solo organizzazioni di
tipo segmentano. Ci dovremmo dunque domandare se si tratti
verosimilmente di un'opposizione di tipo geografico o culturale,
oppure se le societ segmentarle africane non si definiscano sempre
in un certo modo, come nel caso nordafricano, in rapporto alle citt
o agli Stati precoloniali.
Le definizioni del termine etnia sono piuttosto scarse, e girano
tutte intorno ad alcune grandi caratteristiche.
Per Fortes (1945, p. 16) letnia non rappresenta che lorizzonte
pi lontano che i gruppi conoscono, al di l del quale i rapporti di
cooperazione e di opposizione non sono pi significativi o non lo
sono che eccezionalmente. Fortes insiste ugualmente sul carattere
relativo della realt etnica che varia in funzione della posizione
geografica e sociale occupata dallosservatore.
Nel suo libro dedicato ai nuba della Nigeria, Nadel caratterizza
la trib nel modo seguente: la trib esiste, non in virt di una
qualsivoglia unit o identit, bens in virt di ununit ideologica e di
una identit accettata come un dogma (1947, p. 13). Qualche anno
prima lo stesso Nadel in Black Bysantium forniva una definizione in
qualche
-
ETNIE E SPAZI; PER UN'ANTROPOLOGIA TOPOLOGICA 45
modo smile - si chiama trib o popolo un raggruppamento unitario
i cui membri rivendicano la loro appartenenza a questo stesso
raggruppamento (1942, p. 45) - ma aggiungendo una precisazione
importante a proposito dei nupe, secondo cui essi sarebbero
identificati come regno e trib.
Richard-Molard considera che presso i neri primitivi della
foresta (...) linsieme etnico unarea di pace tra collettivit dalle
parentele reali o fittizie, le relazioni sono meno tese tra di loro
che con le collettivit di etnie vicine (1952, p. 14).
Per Mercier letnia un gruppo chiuso discendente da un antenato
comune o pi generalmente avente una stessa origine, che possiede
una cultura omogenea e che parla una lingua comune, e anche ununit
di ordine politico (1961, p. 65). Nella sua monografa sui somba del
Benin, egli fornisce una definizione molto vicina a quella di
Nadel: il concetto di appartenenza etnica esprime in gran parte una
teoria elaborata da una popolazione data (Mercier 1968, p. 76), o
ancora letnia smba la coincidenza di un gruppo che, per quanto
eterogeneo, abbia almeno realizzato lunit linguistica con uno
spazio (p. 421). Allo stesso tempo lautore apporta due sfumature
che attenuano il carattere un po troppo rigido di queste due
definizioni. Per Mercier infatti: letnia, come una qualsiasi delle
sue componenti, non che un segmento sociogeografico di un insieme
pi vasto e non bisogna considerarla isolatamente bens
ricomprenderla nellinsieme di un paesaggio etnico regionale
considerato in una prospettiva storica (pp. 73-76).
Per Nicolas:
allorigine unernia prima di tutto un insieme sociale
relativamente chiuso e durevole radicato in un passato dal
carattere pi o meno mitico. Questo gruppo possiede un nome,
generalmente una lingua, dei costumi e dei valori propri, e si
afferma come differente dai suoi vicini. Luniverso etnico
costituito da un mosaico (...) di lignaggi. Esiste una profonda
parentela tra etnia, lignaggio o clan, parentela che si trova il pi
sovente rinforzata da un vocabolario familiare, oppure da un mito
di origine che sta
-
4 6 JEAN-LOUP AMSELLE
bilisce la comune discendenza dei membri del gruppo a partire da
una coppia iniziale o da un eroe mitico (1973, p. 103).
Lo stesso Nicolas aggiunge che la realt etnica possiede
un'indeterminatezza caratteristica, tanto che il quadro etnico
coincide solo raramente con la formazione politica di base: unetnia
pu cos corrispondere a una o pi trib o nazioni, come una cultura o
una civilizzazione (p. 104). Infine per lo stesso autore unetnia
non n una cultura n una societ, bens un composto specifico, in
equilibrio pi o meno instabile di culturale e di sociale (p.
107).
J. Honigmann, da parte sua, ritiene che
in generale gli antropologi sono daccordo sui criteri attraverso
i quali una trib, in quanto sistema di organizzazione sociale, pu
essere descritta: un territorio comune, una tradizione di
discendenza comune, un linguaggio comune, una cultura e un nome
comuni, tutti questi criteri costituiscono la base dell'unione di
gruppi pi piccoli come quelli dei villaggi, delle bande, dei
distretti e dei lignaggi (in Godelier 1973, p. 102).
Infine, per Barth
il termine gruppo etnico nella letteratura antropologica in
generale serve a designare una popolazione che: 1) ha una grande
autonomia di riproduzione biologica, 2) condivide dei valori
culturali fondamentali che si attualizzano nelle forme culturali
che possiedono ununit manifesta, 3) costituisce un campo di
comunicazione e di interazione, 4) ha un modo di appartenenza che
lo distingue in s e che a sua volta distinto dagli altri proprio in
quanto costituisce una categoria distinta da altre categorie dello
stesso tipo (a cura, 1969, pp. 10-11).
Secondo lo stesso Barth questultimo punto, quello
dell'attribuzione {ascription), senza dubbio il pi importante:
unattribuzione categoriale un attribuzione etnica solo se
classifica una persona nei termini della sua identit, la pi fonda-
mentale e la pi generale, identit che si pu presumere deter
-
ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA 47
minata dalla sua origine e dal suo ambiente. Nella misura in cui
gli attori utilizzano delle identit etniche per categorizzarsi essi
stessi e gli altri, per interagire, essi formano dei gruppi etnici
nel senso organizzazionale del termine (pp. 13-14).
Barth introduce ugualmente la nozione di confini etnici, confini
che sono allo stesso tempo mantenuti e oltrepassati dalle
popolazioni.
Questo rapido inventario di differenti definizioni del concetto
di etnia, tratte dalla letteratura geografica e antropologica, si
reso necessario al fine di mostrare la grande convergenza delle
posizioni su questo tema. Continuare con questa rassegna non
condurrebbe probabilmente a risultati tanto diversi, tanto vero che
se gli antropologi sono concordi in generale sulla definizione
dell'etnia, essi si trovano piuttosto a disagio nelTindicare con
precisione che cosa fanno ricadere sotto questo vocabolo.
Attraverso le differenti accezioni che abbiamo sopra considerato
appaiono un certo numero di criteri comuni come: la lingua, uno
spazio, dei costumi, dei valori, un nome, una stessa discendenza e
la coscienza che gli attori sociali hanno di appartenere allo
stesso gruppo. Il modo di esistenza dell'oggetto etnico deriverebbe
dunque dalla coincidenza di questi differenti criteri. Oltre alla
prossimit della nozione di etnia con quella di tazza, si vede
quanto la definizione di questo termine sia impregnata di
etnocentrismo e quanto sia tributaria della concezione dello
Stato-nazione, per come essa ha potuto essere elaborata in
Europa.
Senza voler forzare troppo le cose, possibile affermare che il
denominatore comune di tutte queste definizioni dell'etnia
corrisponde in definitiva a uno Stato-nazione a carattere
territoriale in difetto. Distinguere abbassando di livello
costituiva sicuramente la preoccupazione del pensiero coloniale,
accanto all'esigenza di trovare il capo e di individuare delle
entit specifiche2 in seno al magma delle popolazioni residenti nei
paesi conquistati.
Nonostante ci, pur restando prigionieri delle categorie
coloniali d'indagine, certi etnologi hanno proceduto nello
-
48 JEAN-LOUP AMSELLE
stesso tempo a una torsione della nozione che li ha fatti andare
oltre lo stereotipo con cui erano chiamati a confrontarsi. A questo
proposito opportuno chiedersi, con Dozon (1981b, p. 63), se i
migliori antropologi non siano quelli che, partendo dal quadro
etnico, hanno tentato di dimostrare in che cosa esso non fosse
adeguato al loro oggetto. In questo senso, le imprese teoriche di
Nadel, Mercier e Barth, cos come le monografie davvero innovative
come quella di Watson (1958) o nchele precauzioni metodologiche di
Meillassoux (1964) e di Terray (1969), nella misura in cui
sovvertono le categorie coloniali, mi sembrano nei loro principi
molto pi audaci rispetto ai tentativi di fare entrare con grande
sforzo le realt studiate nei concetti di modi di produzione e di
formazione sociale .
Ma questa prospettiva non consiste sovente nelTapplicare
imprudentemente delle nozioni-feticcio a una storia pressoch
sconosciuta (Amselle 1974)? Questo modo di procedere presenta
alcune analogie con quello degli etnologi coloniali che
distribuivano arbitrariamente degli etnonimi a popolazioni di cui
non conoscevano praticamente nulla. Parlare di la formazione
sociale x piuttosto che dell'etnia x a dire il vero non cambia un
gran che.
La corrente dinamista, per come labbiamo potuta identificare
nella letteratura antropologica, ha avviato un processo di
decostruzione delloggetto etnico che ora deve essere portato a
termine. certamente evidente che questa riflessione non deve essere
condotta in un senso esclusivamente critico, ma deve contribuire a
rivelare le caratteristiche specifiche delle realt etnologiche, ci
che fino a oggi n i concetti marxisti n quelli pi classici
dellantropologia (etnia, clan , lignaggio ecc.) sono riusciti a
fare. Da questo punto di vista linterrogazione su questi concetti
chiama in causa la disciplina antropologica nella sua
integralit.
Lavvio di questo movimento di decostruzione si ritrova in Nadel,
che in Black Bysantium, del 1942, mostrava come la realt etnica dei
nupe della Nigeria si imbricasse in insiemi sempre pi vasti:
-
ETNIE E SPAZI: PER UN'ANTROPOLOGIA TOPOLOGICA 49
lunit culturale d