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per Gianfranco e Luciano amici di una vita Studiare i frammenti di Eforo in cui viene delineata l’opera dei no- moteti arcaici significa fare qualche chiarezza anche sulle idee che gra- vitano intorno alla legislazione nella Grecia di fine V-inizio IV secolo 1 . 1 Ringrazio vivamente quanti hanno voluto discutere con me del tema che forma l’oggetto di queste pagine: mia sola è la responsabilità delle affermazioni che vi sono contenute. Con la sigla FGrHist faccio riferimento a F. JACOBY, Die Fragmente der griechischen Historiker, I-III C 2, Berlin-Leiden 1923 (Leiden 1957 2 )-1958; per evitare di appesantire il testo, citerò i frammenti di Eforo col solo numero progressivo che li individua (omettendo, dunque, di ripetere ogni volta FGrHist 70). Com’è ampiamente noto, l’opera di Jacoby è stata in anni re- centi dotata di indici e viene oggi continuata o aggiornata a cura di altri studiosi. EFORO E L INVENZIONE DELLA LEGGE
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Eforo e l'invenzione della legge

May 07, 2023

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Page 1: Eforo e l'invenzione della legge

per Gianfranco e Lucianoamici di una vita

Studiare i frammenti di Eforo in cui viene delineata l’opera dei no-moteti arcaici significa fare qualche chiarezza anche sulle idee che gra-vitano intorno alla legislazione nella Grecia di fine V-inizio IV secolo1.

1 Ringrazio vivamente quanti hanno voluto discutere con me del tema cheforma l’oggetto di queste pagine: mia sola è la responsabilità delle affermazioniche vi sono contenute. Con la sigla FGrHist faccio riferimento a F. JACOBY, DieFragmente der griechischen Historiker, I-III C 2, Berlin-Leiden 1923 (Leiden19572)-1958; per evitare di appesantire il testo, citerò i frammenti di Eforo colsolo numero progressivo che li individua (omettendo, dunque, di ripetere ognivolta FGrHist 70). Com’è ampiamente noto, l’opera di Jacoby è stata in anni re-centi dotata di indici e viene oggi continuata o aggiornata a cura di altri studiosi.

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Questa dichiarazione non sorprenderà in alcun modo. Appare sem-plicemente ovvio che, in un’opera storiografica, l’ombra del presentesi allunghi almeno in certa misura sul passato, che lo scenario ideo-logico contemporaneo all’autore gli suggerisca qualche chiave di let-tura di un tempo lontano. Più in generale è, tuttavia, la (ri)costru-zione stessa del passato in Eforo a riflettere molto da vicino i pro-blemi che attraversano l’età in cui visse e di cui si fece personalissimointerprete. Tale questione, di grande portata, ha evidenti ricadute sultema che mi propongo di affrontare ed entrerà nel discorso a pienotitolo. Un’ultima notazione preliminare: anziché sui Realien o, an-cora, sugli ipotetici rapporti di dipendenza fra le varie fonti rispettoa una determinata versione dei fatti – ciò di cui si è nutrita una sta-gione gloriosa della Quellenforschung –, l’attenzione si concentreràsullo stile di pensiero di Eforo. Poiché le sue parole per solito ci sonopervenute attraverso parafrasi o sunti altrui, a volte posteriori di se-coli, questa è in qualche misura una scommessa.

1) La nomographia di Zaleuco

Molti – e da punti di vista diversi – si sono confrontati col F 139di Eforo, che è così in assoluto fra i più studiati. Proverò anzitutto afornirne una sintesi, privilegiando i punti che mi sembrano focali. Adessa farò seguire un breve commento

Zaleuco redasse la propria raccolta di leggi scritte (nomographia) a par-tire dai nomima cretesi, spartani, areopagitici. Una delle principali inno-vazioni di Zaleuco consistette nel fatto che, mentre prima era data fa-coltà ai giudici di determinare le pene corrispondenti ai vari reati, ora lepene venivano definite all’interno (del testo) delle leggi: i pronuncia-menti dei giudici, in presenza di una stessa fattispecie ‘penale’, non po-tevano variare, ma dovevano ripetersi sempre eguali2. Fra i suoi meriti è

2 Agli stessi reati si applicano, dunque, le stesse pene, con il che viene a ces-sare l’arbitrio dei giudici.

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da annoverare quello di aver semplificato la procedura relativa ai con-tratti (τὸ ἁπλουστέρως περὶ τῶν συµβολαίων διατάξαι). La vo-lontà da parte dei Thurini di rendere le loro leggi ancora più precise diquanto fossero state, un tempo, quelle della Locri di Zaleuco (Θουρίουςδ᾽ ὓστερον ἀκριβοῦν θέλοντας πέρα τῶν Λοκρῶν) produsse in re-altà un peggioramento del ‘modello’ (le leggi locresi). Non è dedito albuon governo (εὐνοµεῖσθαι), infatti, chi offre ogni pretesto utile ai si-cofanti, ma chi continua ad attenersi a leggi stabilite con semplicità(τοὺς ἐµµένοντας τοῖς ἁπλῶς κειµένοις). Come aveva detto Pla-tone: là dove le leggi e i procedimenti giudiziari sono troppo numerosi,anche i costumi di vita sono riprovevoli, allo stesso modo in cui là dovevi sono molti medici, è probabile vi siano molte malattie3.

Anzitutto, è notevole l’uso del termine nomima per qualificare lenorme cui avrebbe attinto Zaleuco al momento di redigere la propriaraccolta di leggi scritte. La scelta di nomima infatti implica che gliistituti giuridici assunti a modello da Zaleuco, genuini o presuntitali4, sono trasposti a formare un corpus di diritto consuetudinario,vengono ipostatizzati: non abbiamo, insomma, a che fare conl’espressione di un diritto positivo, ma con una realtà trasfigurata. Lenorme si disancorano dalla loro dimensione storica, per entrare nel-l’empireo rarefatto della pura continuità: se buone (o, meglio, pro-prio perché buone), le leggi sono lì da sempre, i nomoi si ispessi-scono appunto in nomima. È lo stesso ‘movimento’ che cogliamo(per limitarci a due esempi cospicui) così nell’Antigone di Sofocle5,come nella riflessione pitagorica restituitaci attraverso la testimo-nianza di Aristosseno6.

Tuttavia, non si tratta solo di constatare che il diritto positivo èstato piegato a formare un corpus di diritto consuetudinario, gover-

3 Non è certo che quest’ultimo periodo sia da ritenere parte integrante deltesto eforeo riassunto da Strabone.

4 Vd. quanto segue nel testo per gli Ἀρεοπαγιτικά.5 Mi limito a richiamare i vv. 449-457, fra i più noti della letteratura mon-

diale.6 F 33 Wehrli2.

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nato da una continuità quasi sacrale. La raccolta di Zaleuco – ci viendetto – è stata redatta a partire da norme cretesi laconiche areopagi-tiche. Mentre il riferimento a Creta e Sparta lascia intuire comeEforo si ricolleghi già qui al nutrito (quasi infinito) dibattito etico-politico e storiografico in corso circa i reciproci rapporti fra due uni-versi sentiti profondamente affini, l’asserita esistenza di un corpus dinorme areopagitiche è pura invenzione, invenzione sintomatica pe-raltro, in quanto ci conduce recta via al clima ateniese di fine V e poidel IV secolo, in cui l’Areopago è reinvestito di funzioni rilevantinella vita politica, mentre l’ideologia ne fa il perno di una teorizza-zione che è anche rivisitazione (naturalmente ‘orientata’) del pas-sato7.

Non è agevole, invece, individuare la matrice (in un’ottica piùtradizionale: la fonte) cui fa riferimento Eforo quando afferma che,grazie all’opera legislativa di Zaleuco, la determinazione delle penefu sottratta all’arbitrio dei giudici. Niente esclude, ovviamente, che lostoriografo di Cuma avesse a disposizione elementi probanti per for-mulare tale asserzione. Tuttavia, qual era il motivo per cui gli pre-meva sottolineare questa innovazione di Zaleuco? Lasciamo per orain sospeso la questione, che può del resto avere una risposta soloipotetica.

C’è un punto, invece, su cui siamo in grado di indicare con unalto grado di probabilità la trama tutta ideologica soggiacente al di-scorso storiografico eforeo. L’opposizione Locri Epizefiri/Thuri nechiama in causa un’altra, fondamentale: quella fra semplicità e ri-cerca della precisione8. È l’opposizione, diremmo noi, fra la bontàdell’antico, che rifugge dalle inutili complicazioni, e l’ansia di perfe-zionare l’esistente – tipicamente ‘moderna’ – che, con la ricerca del-l’akribeia (di un’inutile anzi dannosa akribeia), apre la strada all’eser-cizio del cavilloso strapotere dei sicofanti. Si dice Thuri, ma si in-tende (quanto meno, si intende anche) Atene democratica, col suo

7 Il pensiero va, in primo luogo, a Isocrate.8 La consonanza rispetto a Isocrate (in primis VII 39-41) e ad altri testi è,

direi, palmare. Vd. anche la Nota bibliografica.

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paesaggio politico e giudiziario avvelenato. A costo di qualche ri-schio, possiamo provar a esplicitare la logica che governa il passo diEforo: a) la Locri di Zaleuco, figura di un tempo originario e perciòincompromesso, è il regno dell’eunomia (comprovata dalla stabilitàdegli ordinamenti voluti da Zaleuco)9; b) l’eunomia coincide con lasemplicità10; c) alle buone leggi, all’eunomia stabilita illo tempore sideve rimanere fedeli11; d) la ricerca della precisione in materia legi-slativa, con il proliferare delle specificazioni eccessive, con le compli-cazioni inutili, non solo adultera ciò che è di per sé buono – la sem-plicità delle origini – ma permette ai sicofanti di esercitarsi nell’arteche è loro propria. Come si vede, siamo davvero in un territorio incui si addensano marcati contenuti ideologici: l’elogio dell’eunomiadi Locri, in quanto caratterizzata da leggi semplici e rispettate neltempo, è l’altra faccia della critica alla democrazia, con la sua ansia diprecisare a tutti i costi e complicare il quadro normativo, ciò che dàspazio ai delatori.

Prima di procedere oltre, dobbiamo tornare su una questione cheavevamo messo da parte, una questione probabilmente destinata a ri-manere tale. Perché Eforo esalta come salutare innovazione di Za-leuco la determinazione delle pene in corrispondenza dei reati, checon ciò vengono sottratte alla discrezionalità dei giudici? Sta propo-nendoci forse un’immagine idealizzata dell’opera di Zaleuco? Nonc’è dubbio, beninteso, che rispetto al diritto consuetudinario orale leprime leggi scritte introducano innovazioni (fra cui potrebbe rien-trare la rigorosa fissazione delle pene a fronte dei delitti commessi):tuttavia, non sarà legittimo il sospetto che nella ricostruzione di unpassato lontano si intruda la volontà di delineare una sorta di etàaurea del diritto, in cui non c’è (più) posto per l’arbitrio?

9 Vd. in proposito il successivo § 5.10 Non posso qui soffermarmi sull’elogio della semplicità - un segno dei

tempi.11 Il punto mi sembra chiaro, ma è implicito: peraltro, nel testo si dice τοὺς

ἐµµένοντας κτλ.

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2) Il nomoteta in azione

Alcuni frammenti si focalizzano sulla figura del nomoteta ritraen-dolo nell’atto di stabilire le leggi12. Fra tutti spicca per interesse il F149 (che si riallaccia al F 147), anch’esso abbastanza studiato. Neconsidereremo la parte che ci interessa da vicino. Ma, prima, è indi-spensabile una premessa. Licurgo si moveva fra Creta e Delfi già inErodoto13: questi giustappone, in un modo che è parso sospetto, lanotizia secondo cui il nomoteta avrebbe varato il kosmos sotto detta-tura della Pizia di Delfi (καὶ φράσαι αὐτῷ τὴν Πυθίην τὸν νῦνκαθεστεῶτα κόσµον Σπαρτιήτῃσι) e l’altra, in base alla qualeegli avrebbe portato (ἀγαγέσθαι) da Creta le istituzioni che eranoil vanto di Sparta. In effetti, sembra singolare che la seconda versione– per cui Sparta sarebbe stata debitrice nei confronti di Creta del-l’ordinamento associato al nome di Licurgo – venga attribuita daErodoto agli stessi Lacedemoni (ὡς δ᾽αὐτοὶ Λακεδαιµόνιοιλέγουσι). Come che sia, è grazie alle leggi licurghee che essi si con-vertono all’eunomia e, stando a una versione corrente ai tempi diErodoto, ciò accade solo perché Delfi interviene a dettare il kosmos.Torniamo a Eforo. Licurgo continua a muoversi in uno spazio i cuiestremi coincidono con Creta a Delfi, ma la composizione, apparen-temente impossibile, tra le due differenti versioni di Erodoto haavuto luogo. Vediamo in che modo

Licurgo, a dire dei Cretesi, si reca nell’isola quando l’esercizio della tu-tela del nipote Carilao lo espone al sospetto che voglia usurpare il potereregale. A Creta entra in contatto con Taleta di Gortina, µελοποιὸςἀνὴρ καὶ νοµοθετικός. Da lui Licurgo apprende come prima Rada-manto e poi Minosse avessero promulgato le proprie leggi davanti agliuomini asserendo di averle ricevute da Zeus (ἱστορήσαντα δὲ παρὰαὐτοῦ τὸν τρόπον, ὃν Ῥαδάµανθύς τε πρότερον καὶ ὓστερον

12 FF 147, 149, 174. Da tener presenti inoltre, almeno, i FF 32-33 e, per certiversi, il F 118.

13 I 65.

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Μίνως ὡς παρὰ τοῦ Διὸς ἐκφέροι εἰς ἀνθρώπους). A questa inizia-zione tengono dietro un viaggio in Egitto che permette l’assimilazionedei nomima di quel paese, secondo alcuni l’incontro con Omero a Chio,infine il ritorno a Sparta: Licurgo intraprende a stabilire (διαθεῖναι) inomoi e si reca quindi in visita al santuario delfico, come per consultarel’oracolo del dio (φοιτῶντα ὡς τὸν θεὸν τὸν ἐν Δελφοῖς); di lì ri-porta le proprie leggi in forma di decreti (προστάγµατα) della divi-nità14, allo stesso modo in cui aveva fatto Minosse emergendo dalla ca-verna di Zeus – decreti in tutto simili a quelli di Minosse.

Rinviamo a un momento successivo l’elucidazione di alcune que-stioni che soggiacciono al nostro testo e concentriamoci sul punto es-senziale. L’accesso alla sapienza legislativa si dà a Creta (Eforo sotto-scrive la tesi del primato delle istituzioni locali a fronte di quellespartane). A fungere da iniziatore di Licurgo è il gortinio Taleta.Questi disvela all’iniziando gli arcana imperii: lo mette a conoscenzadegli atti mediante i quali Radamanto e Minosse si sono imposticome legislatori agli occhi del mondo. Riportando il racconto – qualeche ne sia la matrice ultima –, lo storiografo di Cuma sembra attrattodalla ‘messa in opera’ dei meccanismi simbolici che garantisconol’esercizio di un potere carismatico (fra cui il ricorso, da parte del no-moteta, alla legittimazione sacrale), soggiace in qualche misura allaseduzione che da essi emana; tuttavia, il suo punto di vista è nellostesso tempo disilluso, smagato. Il succedersi degli nel sunto diStrabone ci permette di comprendere che, secondo Eforo, il legisla-tore deve inscenare il sacro, perché gli uomini altrimenti non si rico-noscerebbero nei nomoi, non vi obbedirebbero. Il discorso sul po-tere, su un potere che ha una cifra carismatica, si rivela ambiguo.Vengono palesati con logica stringente gli strumenti (gli espedienti)cui esso deve ricorrere, ma insieme ne viene evocata la forza sugge-stiva. Memore di Radamanto e Minosse, Licurgo ritorna da Delfi – loabbiamo visto – recando seco le leggi in forma di decreti della divi-nità.

14 Come se gli fossero state dettate!

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Qual è il modello cui guarda Eforo per costruire questa pertur-bante rappresentazione? Non è affatto banale che la sacralizzazionevenga svelata come un meccanismo fondamentale per l’acquisizionedel consenso da parte della comunità umana interessata. Riesce diffi-cile credere che Eforo mutui dalle sue fonti (Carone di Lampsaco15 oaltri), insieme con il materiale necessario alla narrazione storica,un’attitudine almeno in parte demistificatrice. Bisogna guardare, al-lora, in altre direzioni.

Già nell’antichità si discuteva circa la paternità – ascrivibile a Eu-ripide o a Crizia – di un dramma satiresco conservatoci per un co-spicuo numero di versi, il Sisifo (secondo un’ipotesi che ha goduto dilarga fortuna esso suggellava la trilogia formata da Tennes, Rada-manto16, Piritoo). Vi campeggia la visione di un’umanità primitiva de-dita a un sistema di vita ferino, sino a quando non interviene a repri-mere la violenza l’istituzione di leggi punitrici (νόµους θέσθαικολαστάς), affinché giustizia fosse tiranna (ἵνα δίκη τύραννος ἦι)e avesse schiava la tracotanza (τὴν ὕβριν δούλην ἔχει); poiché, tut-tavia, le leggi non impedivano che si esercitasse la violenza di nasco-sto, un uomo dotato di straordinario acume inventò per i mortali iltimore degli dèi, allo scopo che i malvagi avessero paura anchequando agivano, complottavano o tramavano segretamente. Questiversi17, ben noti, sono stati oggetto di un nutrito dibattito. Qui im-porta rilevare come le leggi e le divinità vengano concepite in mododecisamente suggestivo: si ipotizza che le prime e (a maggior diritto)

15 FGrHist 262 T 1.16 Molto di più si vorrebbe sapere su questa tragedia. La figura di Radamanto

svolge un ruolo decisamente significativo nei FF 147 e 149 di Eforo, anche gra-zie alla sua reduplicazione: un primo Radamanto è l’archegeta dell’arte di insce-nare il sacro per imporre le leggi e solo molto tempo dopo sarebbe vissuto un se-condo Radamanto, fratello di Minosse. Non possiamo escludere che l’autore delRadamanto avesse almeno in parte anticipato Eforo su questa strada, ma la pru-denza induce ad attenersi a un non liquet.

17 Corrispondono al F 88 B 25 Diels-Kranz e a Tragicorum Graecorum Frag-menta 43 F 19 Snell2.

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le seconde siano state modellate per garantire il mantenimento del-l’ordine all’interno della comunità umana. Ciò equivale a dire che sitratta di strumenti di controllo sociale. Non siamo molto lontani, evi-dentemente, dall’idea della legislazione che traspare dal F 149 diEforo, in cui l’ascendenza divina dei nomoi proclamata da Rada-manto, Minosse e Licurgo – quest’ultimo reso edotto da Taleta sulcomportamento dei suoi due predecessori – ‘serve’ a garantire che lecomunità interessate li accetteranno e vi obbediranno. Ma, chia-mando in causa Euripide o Crizia (e, più in generale, alcune correntidel pensiero sofistico), probabilmente si riesce a cogliere solo la ner-vatura teorica dell’edificio innalzato dallo storiografo cumano: in-tendo dire che la lettura demistificatrice offerta, con riguardo all’in-troduzione delle leggi, non basta forse a spiegare l’organizzazione diun tessuto narrativo in cui Radamanto e Minosse da un lato, Licurgodall’altro impongono i loro nomoi rispettivamente a Creta e a Spartacome se fossero d’origine divina. Insomma, in che modo Eforo hapotuto dare ‘carne e sangue’ alla sua narrazione? Pur consapevole dimuovermi ancora una volta su un terreno ipotetico, poiché dispo-niamo solo di alcuni frustuli di una tradizione probabilmente strati-ficata, tenterò di dare una risposta all’interrogativo cui ho accennato.A questo scopo conviene ampliare il quadro dei riferimenti.

Le Leggi platoniche si aprono con un sintomatico scambio di bat-tute18. L’Ateniese, rivolgendosi a quelli che saranno i suoi interlocu-tori (il cretese Clinia e lo spartano Megillo), chiede se essi faccianoderivare i rispettivi ordinamenti da un dio o da uomo, al che Cliniarisponde: «Da un dio, straniero, sì da un dio, a voler essere esatti: danoi fu Zeus e a Sparta, donde viene costui, credo si dica che fuApollo». Le linee successive del testo ci restituiscono, per bocca del-l’Ateniese, l’immagine di Minosse che – in accordo con i versi diOmero – si reca ogni nove anni a incontrare il padre e istituisce le

18 624 a 1-625 b 1 (lo scambio di battute è suggellato dall’evocazione, quantomai eloquente, della grotta di Zeus sulle pendici dell’Ida [625 b 1-2], luogo degliincontri fra Zeus e Minosse).

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leggi delle poleis cretesi secondo gli oracoli da lui ricevuti19. Licurgoal cospetto di Apollo, Minosse al cospetto di Zeus20 formano ormaidue dittici compiuti, definiti, trasponibili in una tessitura narrativa diampio respiro, anche se non sembra che venga revocata in dubbio lagenuinità dell’ispirazione divina dei legislatori21 (a differenza diquanto accade in Eforo).

Non è chiaro quale rapporto si debba delineare fra le Leggi e ilMinosse, di norma ritenuto pseudo-platonico. Il discepolato del represso Zeus, che segna la pagina iniziale dell’ultimo dialogo di Pla-tone, nel Minosse si dilata sino a divenire una delle parti centrali del-l’opera22. In questo quadro, viene sottolineato il ruolo di confidentedel dio che già Omero23 riconosceva a Minosse, un ruolo che, sullascorta degli stessi versi dell’Odissea, trova adeguato rilievo nel F 147di Eforo24. Insomma, quando questi scriveva la storia (la ‘vera sto-ria’!) della genesi della legislazione cretese e spartana, aveva a dispo-sizione da un lato una vasta congerie di materiali narrativi e un re-pertorio di immagini sui primi nomoteti cui attingere a piene mani25,dall’altro un’idea-guida demistificatrice (sull’introduzione delle leggi)che risaliva a Euripide o a Crizia, ma era stata forse rinverdita o ri-presa da altri. Mi limito a un esempio emblematico e sotto un certoprofilo paradossale (per la personalità dell’autore cui attingo). NeL’ordinamento politico degli Spartani26 Senofonte ci fornisce una te-stimonianza preziosa anche sui mutamenti ideologici in atto quandoafferma che il santuario delfico avrebbe sanzionato la legislazione li-

19 E, per bocca di Clinia, l’immagine di Radamanto dotato di uno straordina-rio senso della giustizia…

20 Vd. anche 632 d 2-4, 634 a 1.21 Mi riferisco, naturalmente, solo all’incipit delle Leggi.22 318 d 1-321 c 3.23 Odissea XIX 178-179.24 Da leggere contestualmente al F 149, di cui ci stiamo occupando.25 L’anteriorità delle Leggi rispetto all’opera storiografica di Eforo è possibile,

anzi probabile, ma non scontata.26 8, 5.

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curghea. Sanzionare non è emanare: la legislazione insomma esistegià e il dio, attraverso i propri sacerdoti, si limita ad apporre un si-gillo (per quanto necessario) su una realtà predeterminata. È senz’al-tro vero che il quadro schizzato da Senofonte si risolve in una cele-brazione della sapienza di Licurgo (verrebbe da dire: ad maiorem Ly-curgi gloriam); ciò non toglie che, quanto meno sino a Erodoto, lefonti amassero rappresentare i nomoi da cui sarebbe stata rettaSparta come espressamente dettati dall’oracolo.

3) Interludio: µελοποιὸς ἀνὴρ καὶ νοµοθετικός

Come abbiamo visto, nel F 149 Taleta disvela a Licurgo gli arcanaimperii. La caratterizzazione del Gortinio, attraverso la formula cheho riportato nell’intestazione, non è affatto scontata. Il maestro ini-ziatore di Licurgo ci appare, infatti, un signore della parola poetica elegislativa. Quale significato dobbiamo annettere a questa circo-stanza? E la testimonianza di Eforo è isolata?

Già nell’800 e poi agli inizi del secolo scorso è stata richiamata l’at-tenzione sull’uso germanico, in particolare scandinavo, di tramandaremnemonicamente il diritto antico nella forma (alquanto) stabile chesolo il metro e il verso possono assicurare. Per il mondo greco, nonmancano le testimonianze dell’esistenza di un costume analogo. Anchese si volesse svalutare la notizia di Ermippo27, secondo cui ad Atene du-rante il simposio venivano cantate le leggi di Caronda, sembra diri-mente quanto riferisce Strabone28 sulla presenza a Mazaka, ove sareb-bero state introdotte le leggi di Caronda, di una figura indicata comenomodos. Colui che in età più recente funge da interprete delle leggi(tale il significato di nomodos quando scrive Strabone o la sua fonte),doveva evidentemente esserne all’inizio il cantore. Il canto è un veicoloprivilegiato della memoria, per quanto singolare possa apparire la sua

27 FGrHist 1026 F 5.28 XII 2, 9.

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utilizzazione al fine di riproporre un corpus di leggi. Un’anonimafonte di Plutarco29 sosteneva, d’altronde, che Solone avesse intra-preso a pubblicare le sue leggi mettendole in versi. Queste ed altretestimonianze si spiegano meglio ammettendo che il diritto fosse untempo amministrato oralmente.

Torniamo a Creta. Eliano30 ricorda come i fanciulli di condizione li-bera dovessero apprendere le leggi µετά τινος µελῳδίας, perché lamusica esercitasse un’azione psicagogica su di loro. Questa indicazione– si dirà – è generica. Ma disponiamo di un’altra tessera, fondamentaleper ricomporre il nostro puzzle. La coppia è formata una volta di più daTaleta e Licurgo. Durante il periodo della residenza cretese, Licurgoavrebbe indotto Taleta a recarsi nella sua Sparta, onde sedare il conflittointestino. Ecco quanto riferisce Plutarco nella Vita di Licurgo31: «Inviò aSparta […] Taleta, che aveva fama di poeta lirico e in apparenza eserci-tava questa techne, ma in effetti otteneva ciò che ottengono i più eccel-lenti legislatori. I suoi canti erano infatti discorsi che richiamavano al-l’obbedienza e alla concordia mediante melodie e ritmi pervasi da pro-fondo ordine e calma; chi li ascoltava inconsapevolmente si addolcivanel carattere […]». Nel suo suggestivo resoconto, Plutarco doveva at-tingere32 proprio a Eforo. A Creta forse più chiaramente che altrovel’arte della legislazione è inseparabile dal supremo dominio della parolaritmica, capace di forgiare l’animo grazie ai suoi poteri evocativi e psica-gogici. Questa atmosfera rarefatta e impalpabile, in cui il tempo storicosembra abolito o sospeso, ci è restituita attraverso la voce di Eforo.

4) Il ‘romanzo’ del legislatore

Sulla figura del nomoteta si è esercitata, con una raffinatezza al-meno pari alla ricchezza, la riflessione dei Greci. Il nomoteta, come

29 Vita di Solone 3, 5.30 Storia varia II 39.31 4, 2-3.32 Non sappiamo se direttamente o indirettamente.

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l’eroe – cui è per certi versi apparentato –, presenta dei tratti carat-terizzanti. (Parliamo qui di tratti caratterizzanti in un’accezione par-ticolare, come sarà subito chiaro). Essi non si lasciano ridurre a unmero repertorio di topoi, imposti sistematicamente a posteriori suuna galleria di personaggi; è molto più probabile che il legislatore ar-caico sia stato modellato secondo i dettami del sentire collettivo. Oc-corre, dunque, accostarsi a tale figura avendo come punto di riferi-mento la storia delle mentalità.

Già Solone, nel ritratto che ce ne ha lasciato Erodoto, presenta‘segni di riconoscimento’ che si ripetono costantemente per i piùprestigiosi nomoteti arcaici. Di questi ‘segni’ sarebbe impossibile for-nire qui un regesto esauriente e, comunque, altri si sono già esercitatisu questo argomento. Un’analisi morfologica, in senso proppiano,enucleerà quali momenti fondamentali dell’itinerario quasi obbligatoche il nomoteta dovrà percorrere: i viaggi di formazione e il contattocon culture ‘altre’, depositarie a volte di una millenaria sapienza, cuigli sarà dato di attingere; la predisposizione per la propria comunitàdi un corpus di leggi inalterabili; la conclusione con i concittadini diun patto teso appunto alla conservazione dei nomoi; l’apodemia fi-nale, con cui il legislatore si sottrae al processo interpretativo (l’in-terpretazione è il cavallo di Troia attraverso cui si insinua l’innova-zione paventata) e, soprattutto, obbliga i politai alla fedeltà assolutaall’ordinamento stabilito, poiché essi si sono impegnati a non modi-ficare i nomoi in assenza del legislatore; infine, la morte esemplare.

Qual è stato il contributo di Eforo alla costruzione del ‘romanzo’del nomoteta? In presenza dei soli frammenti di un’opera storiogra-fica, è assai difficile rispondere a una domanda di tale portata. Tutta-via, abbiamo forse qualche indizio su cui far leva alla ricerca della ri-sposta. In primo luogo, i viaggi di apprendistato sembrano – la cau-tela, abbiamo detto, è d’obbligo – arricchirsi di capitoli decisamentesignificativi. Il rilievo attribuito, nell’istruzione di Licurgo, a un‘maestro di verità’ e di sapienza legislativa quale Taleta di Gortina facomprendere come Eforo fosse sensibile al problema della media-zione del sapere. Occorre essere più precisi al riguardo. È senza dub-

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bio vero che i Greci hanno tradizionalmente spiegato i rapporti fraesperienze culturali chiamando in causa intermediari sin troppoumani, tanto che si potrebbe parlare, anche in questo àmbito, di unun’individualizzazione antropomorfica. Si tratta, tuttavia, di prenderin considerazione un elemento, di portata decisiva. Eforo, attraversoun racconto attribuito tout court ai Cretesi, immagina il nomotetacome impegnato in un esercizio (di potere) che richiede il necessarioconsenso. Questo consenso può essere ottenuto se viene messo inscena il sacro33. Ecco, allora, che Licurgo viene introdotto ai segretidell’arte della legislazione da Taleta di Gortina, µελοποιὸς ἀνὴρκαὶ νοµοθετικός. Colui che, nell’isola sentita come la culla della le-gislazione34, conosce la ‘vera storia’ dei primi nomoteti (Radamanto eMinosse), manipolatori del sacro, indica a Licurgo la via da percor-rere. L’accesso alla sapienza del legislatore, alla conoscenza di quelliche saremmo tentati di definire i meccanismi reconditi di legittima-zione del potere, richiede mediatori adeguati. Mediatori capaci, perle loro origini (appunto cretesi), per il loro status (signori della pa-rola poetica e legislativa), di additare all’iniziando i paradigmi del-l’azione che questi si avvia a compiere. Il cerchio si chiude: Licurgoopererà non diversamente da Minosse.

Abbiamo accennato al fatto che, nelle mani di Eforo, i viaggi diapprendistato si arricchiscono di capitoli decisamente significativi.L’iniziazione di Licurgo alla sapienza legislativa in terra cretese, adopera di Taleta, ci sembra la più valida controprova di questa asser-zione. Pur con tutti i limiti delle nostre scarse conoscenze in ordineal rapporto che poteva intercorrere fra i due personaggi nella tradi-zione preeforea. L’incontro di Licurgo con Taleta, per il rilievo chegli viene attribuito, ne fa un’esperienza centrale durante i Wanderja-hre. Ma i viaggi di Licurgo lo portano, nel racconto proposto dallostorico di Cuma, a interloquire con altre civiltà, con altre figure sen-

33 Abbiamo visto quali siano, o possano essere, i livres de chevet di Eforoquando sottoscrive questa rappresentazione della strategia del legislatore.

34 Vd., per esempio, Archiloco F 232 West2.

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tite come coessenziali al compimento della formazione del nomoteta.Il soggiorno in Egitto per acquisire dimestichezza coi nomima (ter-mine ricorrente!) di quel paese. L’incontro con Omero a Chio, siapure «secondo quanto riferiscono alcuni». Non possiamo dirci certiche qui Eforo stia introducendo anelli interamente nuovi nella bio-grafia immaginaria di Licurgo, tuttavia il proliferare di queste espe-rienze formative, il loro agglutinarsi intorno ad assi portanti comel’apertura a una millenaria sapienza straniera o il dialogo con chi im-persona «l’educatore dell’Ellade», a formare il bagaglio ritenuto in-dispensabile per l’esercizio di una legislazione pienamente consape-vole dei suoi mezzi, non saranno da imputare alla volontà eforea dispiegare così il successo dell’ordinamento imposto a Sparta?

Un altro esempio dell’interesse di Eforo per la costruzione del‘romanzo’ del legislatore potrebbe esser ravvisato nella rilevanza cheegli attribuisce al suicidio di Licurgo: questi pone fine ai suoi giorni la-sciandosi morire di fame. L’esame contestuale dei passi pertinenti diEliano35, che menziona esplicitamente lo storiografo di Cuma36, e diPlutarco37 dimostra quanto il secondo nella sua biografia sia debitorenei confronti della versione dello storiografo cumano, allorché dipingela morte esemplare del legislatore. Bisogna in ogni caso ammettere che,ai fini di un giudizio meditato sul contributo eforeo all’elaborazionedella parabola che suggella la vicenda di Licurgo, sarebbe necessario di-sporre di elementi più abbondanti di quelli a nostra disposizione.

5) Un problema aperto?

Chiunque si occupi della prime manifestazioni della legislazionescritta in Grecia deve confrontarsi con un interrogativo: perché pro-prio Locri Epizefiri veniva indicata come la comunità che per prima

35 Storia varia XIII 23.36 Il passo di Eliano corrisponde al F 175.37 Vita di Licurgo 29, 7-8.

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si dotò di nomoi scritti? Questa notizia sembra legata a doppio filo alnome di Eforo («sono reputati i primi a essersi dotati di leggiscritte»38 [F 139, da confrontare con F 138 b]). Non importa qui sta-bilire se essa trovi corrispondenza nella realtà storica: esiste in pro-posito un copioso dibattito cui rinvio senz’altro. Dobbiamo chiedercipiuttosto come e perché si potesse formulare, non sappiamo conquale grado di certezza (πεπιστευµένοι εἰσί)39, un’affermazioneevidentemente impegnativa. La prima risposta a una domanda pernoi cruciale consiste nel sottolineare gli interessi eurematologici diEforo, autore – va da sé – di un Περὶ εὑρηµάτων40. La risposta nonè però sufficiente. Perché nella ricerca del πρῶτος εὑρητής Eforoapprodava proprio a Locri Epizefiri? Occorrerà muoversi a questopunto su un terreno impervio.

Pindaro nella X Olimpica41 aveva cantato l’Atrekeia dei Locresi.Se Atrekeia designa qui la certezza inconcussa, la stretta osservanzadei nomoi di Zaleuco, il mito dell’inalterabilità delle leggi locresi42 ri-salirebbe quanto meno all’occasione in cui venne cantata l’ode pin-darica. Anche il più tenace ipercritico concederà tuttavia che (oveAtrekeia sia da interpretare come suggerito) Pindaro avrebbe potutoraccogliere una tradizione esistente, con ogni probabilità una tradi-zione consolidata. Questo mito dell’inalterabilità delle leggi di LocriEpizefiri riemerge puntualmente in una delle più impegnate orazionidi Demostene43. Che Demostene, nel rilevare la pressoché assolutafedeltà dei Locresi alle loro leggi per oltre duecento anni, fosse con-dizionato dal difforme presente44 di Atene è soltanto ovvio: prescin-

38 A mio avviso, con queste parole Strabone (VI 1, 8) si rifà a Eforo. Ma inproposito si registrano opinioni difformi.

39 Tuttavia, occorre precisare che siamo dinanzi alla parafrasi straboniana diparole altrui - verosimilmente di Eforo. Vd. comunque la nota precedente.

40 Secondo Jacoby, si riferiscono certamente a questo scritto le TT 1, 2, 33 de i FF 2-5, 104-106.

41 Al v. 13.42 Ché di questo, in ultima analisi, si tratta.43 XXIV 139-141.44 In realtà, pretesamente difforme.

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deremo senz’altro da ciò. Esisteva dunque – questo il dato su cuimetter l’accento – una tradizione verosimilmente autorevole in basealla quale i Locresi d’Occidente disponevano di un corpus di leggi ac-creditate come venerabili per antichità e prestigio45, ma ancor più ve-nerabili perché non soggette a mutamenti. Prepariamoci all’ultimopasso di un itinerario ipotetico. Ciò che è antico, dunque, è senzadubbio venerabile. Ma più venerabile è ciò che si è conservato im-mutato ab illo tempore. (Immutato e perciò fedele – possiamo ag-giungere – alla semplicità delle origini)46. Se ciò che è antico è vene-rabile, se persino più venerabile è quanto si è conservato immutatoab illo tempore, non è da escludere che la fedeltà assoluta attraversoi secoli dei Locresi ai nomoi di Zaleuco, nomoi comunque noti47 peresser stati messi per iscritto48 in età remota, si convertisse in un argo-mento a sostegno del presumibile primato dell’apoikia occidentalenella fissazione per iscritto delle leggi, magari perché la precoce fis-sazione per iscritto sembrava garantirne l’immutabilità ab origine49.Lo sviluppo argomentativo, ove corrispondente alla realtà delle cose,ci direbbe molto del clima intellettuale in cui fu concepita l’operastoriografica di Eforo. Il tenue giudizio di fatto (i nomoi locresi sonostati stabiliti da molto tempo e da allora sono rimasti invariati, ciòche rende possibile risalire la catena sino al punto di partenza, unpunto di partenza sufficientemente remoto), il giudizio di valore(quanto è antico e semplice e immutabile è comunque da preferire)si fondevano forse in un intreccio inestricabile. Nomoi insigni, i lo-cresi, per vetustà della loro redazione e semplicità, nomoi da sempreindefettibilmente rispettati: ergo, i più antichi nomoi scritti? Gli in-tellettuali greci del IV secolo, quando il culto del passato (di un pas-

45 Fondamentali, al riguardo, almeno due passi platonici: rispettivamenteTimeo 20 a 2; Leggi 638 b 2-3.

46 Rinvio, su questo punto, al § 1.47 Dato che propenderei a definire tradizionale (o anche tradizionale).48 Si ricordi il termine nomographia nel F 139.49 Sappiamo che la legge scritta è difesa da apposite clausole attraverso cui si

intende preservarne l’inalterabilità.

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sato ipostatizzato) celebra i propri fasti, potevano esser soddisfattidel miraggio che si erano costruiti.

C’è un ultimo problema da affrontare. Come si concilia il presu-mibile primato riconosciuto ai Locresi nella redazione di nomoiscritti (FF 138 b-139) con il ruolo di iniziatore alla sapienza legisla-tiva, attraverso i paradigmi di Radamanto e Minosse, che Taletasvolge in altro contesto rispetto a Licurgo (F 149)? Si sarebbe tentatidi rispondere che un’ancestrale sapienza legislativa (vanto di Creta)non si prolunga di necessità nella precoce – nella prima! – scritturadelle leggi (attribuita invece a Locri Epizefiri). Questa risposta è inparte corretta: lo dimostra la pretesa discendenza, nell’ottica eforea,dei nomoi di Zaleuco dai nomima (il vocabolo è dirimente) cretesi,laconici, areopagitici. Ma allora dobbiamo credere che, secondoEforo, alle spalle delle leggi scritte si erge il bastione del diritto con-suetudinario? La risposta – abbiamo detto – è senza dubbio corretta,ma rischia di eludere una questione sul tappeto. I «decreti» con cuiLicurgo ritorna da Delfi, infatti, sono definiti in tutto simili a quellidi Minosse, fra i primi legislatori in assoluto. E i decreti vengonousualmente messi per iscritto. Tuttavia, questa non sembra una diffi-coltà insormontabile: forse, immaginare i decreti come scritti (F 149)sarà stato il prodotto di una ‘leggerezza’, in parte favorita dall’ovvietàdella rappresentazione (un decreto si mette per iscritto), e la ‘legge-rezza’50 non avrà dato adito al riconoscimento della contraddizioneche nasceva rispetto a quanto asserito per Locri (FF 138b-139). Inaltre parole, non si poneva un vero problema in ordine alla prioritàdella legislazione scritta, mentre il primato dell’invenzione dellalegge, più esattamente del diritto consuetudinario (orale), veniva ri-conosciuto senza ombra di dubbio a Creta. L’immagine di Taletaµελοποιὸς ἀνὴρ καὶ νοµοθετικός poteva dirimere ogni dubbio.

Se non Eforo, forse qualche altro autore di cui non conosciamo ilnome avrà comunque cercato di uscire dall’impasse (ricordiamo:

50 L’inaccuratezza potrebbe derivare dal fatto che Eforo aveva recepito unpo’ acriticamente i dati contenuti nelle fonti a sua disposizione.

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come si concilia il primato attribuito ai Locresi nella redazione dileggi scritte con la «scena originaria» dell’iniziazione di Licurgo aCreta per mano di Taleta?) ammettendo un soggiorno cretese diOnomacrito di Locri, di cui null’altro sappiamo: egli sarebbe statoistruito in materia di leggi nell’isola, dove si trovava per esercitarel’arte divinatoria; Taleta, suo amico, sarebbe stato il maestro tanto diLicurgo quanto di Zaleuco51. Prima o accanto allo stesso Taleta, dun-que, avrebbe agito nell’isola un Locrese. Aggiungere un anello allacatena significava spostare più indietro nel tempo il problema deirapporti tra Locri Epizefiri e Creta in materia di legislazione (a chispettava il primato?). Comunque, il fatto che gli ἔγγραπτοι νόµοιlocresi fossero stati scrupolosamente rispettati così a lungo, insommale ragioni di una continuità indisputabile52 avranno indotto Eforo apreferire Locri come sede della prima legislazione scritta.

6) Explicit

Sarebbe davvero azzardato voler trarre conclusioni generali dauna disamina così parziale dei frammenti di Eforo. Comunque, al-cuni tratti che dovevano caratterizzare la sua arte storiografica emer-gono da questa fugace rassegna. La crisi del presente (ogni età èun’età di crisi, ma le esperienze del IV secolo dovettero essere piùdure di altre) lo induce non solo a contestare l’ineluttabilità delle po-sizioni che avevano portato alla catastrofe della guerra peloponne-siaca, ma anche ad affondare uno sguardo disilluso e smagato neimeccanismi attraverso cui il potere si assicura il necessario consenso.La sottolineatura della sacralizzazione in quanto ingrediente indi-spensabile al compimento dell’opera, al raggiungimento del fine per-seguito dal legislatore – l’obbedienza degli uomini alle leggi – ci sem-

51 Un celebre e discusso passo della Politica di Aristotele (1274 a 25-31) è ilnostro unus testis su questa materia.

52 Insieme col dato tradizionale di cui richiamato supra, p. 000 con nota 000.

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bra un dato su cui riflettere. Un’indubbia manifestazione di uno spi-rito inquieto. È altrettanto indubbio, però, che il passato lontano ap-pare capace di offrire allo storiografo qualche contravveleno rispettoal presente. Ecco allora le leggi di Zaleuco in cui si esprime un’anti-chità ammirata perché incompromessa, non avvelenata dalle compli-cazioni inutili che offrono solo pretesti ai sicofanti, eternamente fe-dele a sé stessa. Ciò che è antico e semplice e – una volta scritto – im-mutabile è comunque da preferire. (Forse era tale suggestione cheportava lo storiografo di Cuma persino a sposare la tesi del primatodella Locri di Zaleuco nella redazione di leggi scritte). Che in questacostruzione del passato, tempo sospeso, tempo senza tempo (i nomoitraggono origine dai nomima!), siano comunque presenti forti ipote-che ideologiche è palmare. La pretesa derivazione dei nomoi di Za-leuco dai nomima areopagitici è lì a rammentarcelo.

Università di... GIORGIO CAMASSA

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Nota bibliografica

Non mi risulta che il tema di cui mi occupo in queste pagine sia statofatto oggetto di trattazioni specifiche. Per i FF eforei citati, si dà per scon-tato il rinvio al commento di Felix Jacoby. Ho tenuto altresì presente quellodi V. PARKER, Ephoros(70), in I. WORTHINGTON (Ed.), Brill’s New Jacoby(Brill Online 2013). La più aggiornata, approfondita e sistematica indaginesull’opera dello storiografo cumano si deve a G. PARMEGGIANI, Eforo diCuma. Studi di storiografia greca, Bologna 2011. Quanto si legge su Eforo e ilegislatori arcaici in alcune opere recenti (per esempio F. POWNELL, Lessonsfrom the Past. The Moral Use of History in Fourth-Century Prose, Ann Arbor,Michigan, 2004, 129-130) mi sembra riduttivo, se non inficiato da distor-sioni.

§ 1. Per una valutazione del F 139, vd. in anni vicini a noi (fra gli altri)S. LINK, Die Gesetzgebung des Zaleukos im epizephyrischen Lokroi, in «Klio»LXXIV, 1992, 11-24, 14 e, di contro, K.-J. HÖLKESKAMP, Schiedsrichter, Ge-setzgeber und Gesetzgebung im archaischen Griechenland, Stuttgart 1999,partic. 193-195 (con ulteriori riferimenti [a quest’opera si farà riferimentoanche per gli argomenti trattati nei §§ successivi]); inoltre, G. PARMEGGIANI,Eforo di Cuma, partic. 250-251. Creta vs Sparta: orienta sulla questione e sul-l’ampia bibliografia che si è venuta accumulando negli anni P. PERLMAN,Imagining Crete, in M.H. HANSEN (Ed.), The Imaginary Polis. Symposium,January 7-10, 2004, Copenhagen 2005, 282-334 (agli studi elencati è da ag-giungere almeno G. CUNIBERTI, Λακεδαιµονίων πολιτεία: priorità e origi-nalità nel dibattito sulle politeiai-modello di Sparta e Creta, in «Studi Italianidi Filologia Classica», III S., XVIII, 2000, 99-111). In tema di akribeia, siterrà presente D. MUSTI, Demokratía. Origini di un’idea, Roma-Bari 1995,63-73 (a quest’opera rimando anche per l’esame di alcuni, importanti, passidi Isocrate su cui non ho potuto soffermarmi nel testo).

§ 2. Il brano di Erodoto dal quale ho preso le mosse (I 65) è stato ripe-tutamente analizzato: basti qui il rinvio a D. ASHERI, in D. ASHERI, A.LLOYD, A. CORCELLA, A Commentary on Herodotus, Books I-IV, Oxford2007, 126-128 (con la bibliografia precedente). Nel testo faccio riferimentoa D. FEHLING, Herodotus and his ‘Sources’. Citation, Invention and NarrativeArt, trad. ingl., Leeds 1989, 111-112. Anche il F 149 è stato discusso più diuna volta: gli conferisce un adeguato rilievo, nelle pagine dedicate a Eforo,E.N. TIGERSTEDT, The Legend of Sparta in Classical Antiquity, I, Stockholm-

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Göteborg-Uppsala 1965, 206-222, 490-506 (importante 497 nota 910 [oveulteriori dati fondamentali]); indispensabile ora specialmente G. PARMEG-GIANI, Eforo di Cuma, 240-248, 661-670 (con una nutrita serie di rimandi adaltri studi). Sul Sisifo e questioni connesse mi limito a ricordare D. OBBINK,in PHILODEMUS. On Piety, Part 1. Critical Text with Commentary. Ed. byD.O., Oxford 1996, partic. 353-354 (ad 526); N. PECHSTEIN, Euripides Saty-rographos. Ein Kommentar zu den euripideischen Satyrspielfragmenten, Stutt-gart-Leipzig 1998, 185-217, 289-344 (con ampia bibl. antecedente); EUN-DEM, in R. KRUMEICH, N. PUCHSTEIN, B. SEIDENSTICKER (Hrsg.), Das griechi-sche Satyrspiel, Darmstadt 1999, 442-448, 552-561 (Puchstein prende peral-tro in considerazione la possibilità che il titolo del dramma satiresco, se eu-ripideo, fosse piuttosto Autolico); W. BURKERT, La religione greca di epoca ar-caica e classica2, trad. it., Milano 2003, 555 nota 22; R. KANNICHT, in Tragi-corum Graecorum Fragmenta, V 2, Göttingen 2004, 658-659; L. CANFORA, Ilmondo di Atene, Roma-Bari 2011, 185 con nota 16. Segnalo inoltre la tratta-zione di K.F. HOFFMANN, Das Recht im Denken der Sophistik, Stuttgart-Leipzig 1997, 273-289 (ove ulteriori indicazioni). Per quanto concerne leLeggi (e il Minosse), anche in rapporto a Eforo, ho tenuto presenti soprat-tutto G.R. MORROW, Plato’s Cretan City. A Historical Interpretation of theLaws, rist. integrata Princeton, New Jersey, 1993; J.-M. BERTRAND, De l’écri-ture à l’oralité. Lectures des Lois de Platon, Paris 1999; C. BOBONICH, Plato’sUtopia Recast. His Later Ethics and Politics, Oxford 2002; M. PIÉRART, Pla-ton et la cité grecque. Théorie et réalité dans la constitution des Lois2, Paris2008. Vd. comunque, sull’incipit dell’ultimo dialogo platonico, pure le pun-tualizzazioni di L. MOUZE, Le législateur et le poète. Une interprétation desLois de Platon, Villeneuve d’Ascq 2005, 374-375. Diversi pregevoli contri-buti sono raccolti ora in A.-E. PEPONI (Ed.) Performance and Culture in Pla-to’s Laws Cambridge 2013 (degni di nota, per il tema che forma l’oggetto diquesta indagine, M. GRIFFITH, Cretan Harmonies and Universal Morals:Early Music and Migrations of Wisdom in Plato’s Laws, 15-66 e I. RUTHER-FORD Strictly Ballroom. Egyptian Mousike and Plato’s Comparative Poetics,67-83, partic. 71). Su L’ordinamento politico degli Spartani senofonteo, sonoda consultare l’introduzione e il commento di M. LIPKA a XENOPHON’S Spar-tan Constitution. Introduction, Text, Commentary by M.L., Berlin-NewYork 2002, partic. 35-36, 173-174.

§ 3. Ho analizzato la materia qui fugacemente delineata in altri contri-buti: G. CAMASSA, La codificazione delle leggi e le istituzioni politiche dellecittà greche della Calabria in età arcaica e classica, in S. SETTIS (a cura di), Sto-

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ria della Calabria. La Calabria antica, I, Roma-Reggio Calabria 1987, 613-656, 621-623; G. CAMASSA, Aux origines de la codification écrite des lois enGrèce, in M. DETIENNE (sous la dir. de), Les savoirs de l’écriture en Grèce an-cienne, Lille 1988, 130-155, 143-147; G. CAMASSA, Leggi orali e leggi scritte.I legislatori, in S. SETTIS (a cura di), I Greci, II 1, Torino 1996, 561-576, 561-563. Vd. ora, peraltro, M. GAGARIN, Writing Greek Law, Cambridge 2008,13-38 (con ulteriore bibliografia). Infine, J. HAWKE, Writing Authority. EliteCompetition and Written Law in Early Greece, DeKalb 2011, 124-126 e noterelative.

§ 4. Due points de repère per orientarsi su molte delle questioni toccatenel testo sono: A. SZEGEDY-MASZAK, Legends of the Greek Lawgivers, in«Greek, Roman, and Byzantine Studies» XIX, 1978, 199-209 e il commentodi L. PICCIRILLI a PLUTARCO. Le Vite di Licurgo e di Numa, a cura di M.Manfredini e L. Piccirilli, Milano 1980, passim. Vd. poi G. CAMASSA, Scrit-tura e mutamento delle leggi nel mondo antico. Dal Vicino Oriente alla Greciadi età arcaica e classica, Roma 2011.

§ 5. Il v. 13 della X Olimpica di Pindaro è stato oggetto di interpretazionicontrastanti, ma a mio avviso il riferimento alla legislazione di Zaleuco ri-sulta evidente: vd. in particolare E. WÜST, Pindar als geschichtschreibenderDichter. Interpretationen der 12 vorsizilischen Siegeslieder, des sechsten Paiansund der zehnten olympischen Ode, Diss. Tübingen 1967, 262-263. La lettera-tura relativa all’ode è radunata da C. ECKERMAN, Pindar’s κοινὸς λόγος andPanhellenism in Olympian 10, in «Rheinisches Museum für Philologie» N.F.CLI, 2008, 37-48, 38 nota 3; vd. poi l’ampia trattazione di L. LOMIENTO, inPINDARO. Le Olimpiche, a cura di B. Gentili, C. Catenacci, P. Giannini, L.Lomiento, Milano 2013, 247-273, 555-576 (con ulteriori dati). Sui rapportifra IX, X, XI Olimpica e lo sfondo politico-giuridico che esse presuppon-gono è importante S. HORNBLOWER, Thucydides and Pindar. Historical Nar-rative and the World of Epinikian Poetry, Oxford 2004, 166-170. Per laXXIV Orazione di Demostene (139-141), sono da tener presenti le acute pa-gine di V. WOHL, Law’s Cosmos. Juridical Discourse in Athenian ForensicOratory, Cambridge 2010, 309-316. Quanto al problematico passo della Po-litica aristotelica (1274 a 25-31) in cui campeggia la figura di Onomacrito,vd. per es. il commento di E. D’AGOSTINO, in ONOMACRITO: Testimonianze eframmenti. Introduzione, testo critico, traduzione e commento a cura diE.d’A., Pisa-Roma 2007, 107-111 (con la bibliografia precedente).

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