Mensile universitario gratuito di politica, cultura e società ANNO III, NUMERO 23 - MAGGIO / GIUGNO 2008
Mensile universitario gratuito di politica, cultura e società
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Mai più bombe a grappolo di Matteo Manara
Società
MENSILE UNIVERSITARIO GRATUITO
DI POLITICA, CULTURA E SOCIETÀ
DIRETTO DA
FLAVIO BINI LEONARD BERBERI
IN REDAZIONE
ANA VICTORIA ARRUABARRENA DANIELA BALIN
LUCA SILVIO BATTELLO ANTONIO BISIGNANO MICHELE CAPACCIOLI
LUCA CERIANI BENEDETTA DE MARTE
ARMANDO DITO LUCA FONTANA
MARCO FONTANA MATTEO FORCINITI STEFANO GASPARRI
MARZIA LAZZARI DARIO LUCIANO MERLO
GIULIA OLDANI FRANCESCO RUSSO LAURA TAVECCHIO
COLLABORATORI ILARIA ALESSIO
MARCO ANDRIOLA DANILO APRIGLIANO
YASSIN BARADAI PIETRO BESOZZI GUIDO BETTONI GIULIA BRASCA
ALESSANDRO CAPELLI STEFANIA CARUSI
ROSA ANNA CASALINO ALESSANDRO CASOLI
ALESSANDRO CHIATTO ALESSIA CREMASCHI ANDREA FUMAGALLI
JACOPO GANDIN GABRIELE GIOVANNINI
DANIELE KESHK MATTEO MANARA JENNIFER MARFIA
STEFANIA RIVA CLAUDIA ROBUSTELLI
IMPAGINAZIONE & GRAFICA
LEONARD BERBERI
CONTATTI [email protected]
SITO WEB
www.acidopolitico.com
WEBMASTER ALESSANDRO LEOZAPPA
STAMPA
“Zetagraf Snc” Via Pomezia, 12 - Milano
Stampato con il contributo
derivante dai fondi previsti dalla Legge n. 429 del 3 Agosto 1985
Registrato al Tribunale di Milano,
n. 713 del 21 novembre 2006
DIRETTORE RESPONSABILE ROBERTO ESCOBAR
Numero chiuso il 3 giugno 2008
Un comitato costituito da docenti della Facoltà di Scienze Politiche si è assunto ‐ su richiesta della Direzione e della Redazione di “Acido Politico” ‐ il compito di garantire la libertà e la correttezza sul piano legale del contenuto del periodico, senza peraltro interferire sui suoi orientamenti e contenuti e senza pertanto garantirne in alcun modo la bontà. Il comitato è composto dai prof. Antonella Besussi, Francesco Camilletti, Ada Gigli Marchetti, Marco Leonardi, Lucia Musselli, Michele Salvati e Roberto Escobar, il quale assume, ai fini della legge sulla stampa, la funzione di direttore responsabile.
Comitato di Garanzia
17
Focus 18 Legittimità perduta a cura di Debora Pignotti e Matteo Forciniti
Altromercato 21 GAS, un’altra spesa è possibile di Stefano Gasparri
Copertina Adesso i voti li diamo noi di Leonard Berberi e Flavio Bini
Università 8 “Women at work” a Scienze Politiche di Valeria Chiesa e Veronica Nisco
Attualità 10 S.O.S. Cibo di Benedetta De Marte e Marzia Lazzari
Esteri 16 Il conflitto (quasi) dimenticato di Mirko Annunziata
LE RUBRICHE 1 Editoriale 15 Altrainformazione 15 La vignetta 22 Pensieri & Parole 25 Parole in libertà 26 Musica 28 Cinema Cartoline dall’Inferno Controcopertina
Una saga famigliare sanguinaria di Stefania Carusi
Cultura 24
di Leonard Berberi e Flavio Bini
Il sondaggio proibito
EDITORIALE
N ella candidatura da presentare per accedere alla prestigiosa Science Po di Parigi, una voce merita un’attenzione particolare: “Che cosa pensi di poter dare tu, studente, alla tua uni‐
versità?”. Tale voce concorre tanto quanto il curriculum vitae et studiorum ai fini della selezione. Perché raccontarvi questa storia? Perché quello che è accaduto nelle ultime settimane in questa università, oltre ad assumere i toni della più grottesca delle circostanze, ha il merito se non altro di palesare una volta per tutte che cosa renda la nostra facoltà tanto inade‐guata rispetto alle sue concorrenti euro‐pee. Troverete nelle pagine seguenti l’esito del sondaggio che abbiamo sottoposto agli studenti, cui abbiamo chiesto di valutare i corsi seguiti ed i docenti loro responsabili. Una consultazione inno‐cente, che ha peraltro incontrato il favo‐re e l’entusiasmo degli stessi studenti. Il preside però, oltre a segnalarci gli estre‐mi di una denuncia per interruzione di pubblico servizio ci ha comunicato che tale iniziativa sarebbe stata portata dinnanzi ad una com‐missione disciplinare. Insomma, non si può fare. Mentre questo numero va in stampa, non conosciamo ancora quali saranno le reali intenzioni del Preside. Co‐munque vada delle due l’una: se tale minaccia non doves‐se portare ad alcunché, si tratterebbe del peggiore degli atteggiamenti intimidatori, perché esercitato da una figura istituzionale incaricata di far eseguire le regole non di mi‐nacciare gli studenti. Ci avrebbe dissuaso dall’esercitare non soltanto un sacrosanto diritto di cronaca (non abbia‐
mo espresso nostre valutazioni, abbiamo raccolto e orga‐nizzato le voci degli studenti), ma anche dal rivendicare un legittimo principio di trasparenza. Se minaccia non fosse, rimaniamo in attesa di fornire le nostre spiegazioni nelle sedi competenti, anche per poter conoscere di perso‐na quale illecito, civile e disciplinare, avremmo commesso. Il reato di aver dato agli studenti la possibilità di avere finalmente voce in capitolo? Ma andare fino in fondo si‐
gnificherebbe sovrastimare un’iniziativa che nasce, lo ripetiamo, con l’intento soltanto di mandare un segnale, non di offrire indicazioni statisticamente rile‐vanti. Questo compito è, e deve rimane‐re, prerogativa esclusiva delle valutazio‐ni ufficiali. Il dubbio a volte sfiora anche noi, di sbagliare e di aver sbagliato. Ma non stavolta, non vedendo ragazzi e ragazze estranei alla redazione chiedere di aiu‐tarci nella somministrazione e nell’ela‐borazione del sondaggio. Per non parla‐re degli studenti cui è stato sottoposto il questionario che, come mai è accaduto in questi anni, sono stati entusiasti di
partecipare a questa consultazione popolare. E proprio far partecipare gli studenti è quello che “Acido Politico” ha fatto negli ultimi due anni e mezzo: ha lottato per trasformare questa facoltà da luogo di «transito», a luogo di incontro ed eventualmente anche di scontro. Chi amministra questa facoltà si interroghi non soltanto su quello che noi non possiamo fare, ma anche su quello che facciamo per rendere questa facoltà un luogo migliore. Insomma, su quello che quello che vogliamo dare.
«Chi amministra questa Facoltà si interroghi non soltanto su quello che noi non possiamo fare, ma anche su quello che facciamo per rendere questa facoltà un
luogo migliore»
C O P E RT I N A
“Acido Politico” ha effettuato un sondaggio su vasta scala. Per la prima volta pubblichiamo le valutazioni che gli studenti danno dei corsi e dei professori della Facoltà di Scienze Politiche. Con qualche polemica...
di Leonard Berberi e Flavio Bini
tanti. Anche essi hanno posto all’at‐tenzione della presidenza e di tutto il Consiglio di Facoltà l’opportunità di rendere pubblici tali risultati. Ufficialmente è stata creata una Commissione ad hoc che dovrà avan‐zare proposte da votare in CdF. Inol‐tre, il Preside ha inviato un questio‐nario interno a tutti i docenti per chiedere loro di esprimere una opi‐nione in merito. Una gruppo di do‐centi si è dichiarato nettamente con‐trario, adducendo motivazioni con‐
nesse alle privacy. Una presa di posi‐zione assai discutibile se si pensa che, nel nostro stesso Ateneo, presso la Facoltà di Medicina tali risultati sono pubblici e alla portata degli studenti. Possibile che la privacy sia tutelata soltanto a Scienze politiche? In attesa di questa ed altre risposte, questo giornale ha pensato di agire per conto proprio, sottoponendo agli studenti un suo sondaggio. E’ stato chiesto loro di valutare in trentesimi i corsi seguiti e i docenti loro responsa‐
M ILANO ‐ Sono passati ormai cinque mesi da quando questo periodi‐co si è interrogato per
la prima volta sulla possibilità di ve‐dere pubblicate le valutazioni dei do‐centi sottoposte agli studenti durante le lezioni. Dapprima la questione è passata sotto silenzio, poi qualche professore ha provveduto in maniera autonoma, in attesa di disposizioni, di pubblicare in autonomia gli esiti delle valutazioni. Infine i rappresen‐
CORSO DI LAUREA: SPO
C O P E RT I N A
bili. Nessuna volontà di interferire con le valutazioni ufficiali, di ostaco‐lare lo svolgimento delle lezioni, di infangare l’onorabilità di alcuni do‐centi o di metterne in pericolo la privacy come in molti hanno sostenu‐to, per scoraggiarci circa la possibilità di effettuare questo sondaggio. Pur trattandosi di un campione molto rappresentativo (quasi 700 stu‐denti, il 60% circa di chi frequenta quotidianamente la Facoltà), l’esito che ne è derivato può fornire indica‐zioni generali sui corsi ed i docenti più apprezzati dagli studenti, non certo dare informazioni statisticamen‐te rilevanti. Compito, questo, riserva‐to alle valutazioni ufficiali. Mancano all’appello dei corsi di laurea SAM e GAT perché i fogli rac‐colti non hanno raggiunto il valore minimo imposto perché le valutazio‐ni potessero essere ritenute minima‐mente attendibili. UNO SGUARDO AI DATI
I l quadro che emerge dai dati rac‐colti conferma senza dubbio ciò
che era già noto a molti, soprattutto a chi vive e frequenta quotidianamente l’Università e conosce i corsi e i do‐centi più apprezzati dagli studenti. Ma non mancano le sorprese. Più an‐cora, le rivincite. Il professor Sioli, il cui corso era stato oggetto di critiche lo scorso anno da parte di questo mensile, e che informalmente non aveva fatto mancare l’occasione di esprimere il suo disappunto verso il nostro operato, ha raccolto invece consensi molto alti. Un 28 dagli stu‐denti di SPO, 29 dagli studenti di SIE, una delle valutazioni in assoluto più alte di tutto il corso di laurea. Meglio di lui riesce soltanto la professoressa
«In attesa che la Facoltà decida di rendere pubbliche le proprie valutazioni, Acido
Politico ha pensato di agire in proprio»
C O P E RT I N A
bienti di via Conservatorio.
Il “FLOP” DELLE SOCIOLOGIE
D ai vincitori agli sconfitti. Una vera debacle per i corsi di socio‐logia ed i loro docenti, che escono con le “ossa rotte” dalle valutazioni degli studenti di molti corsi di laurea (eccezion fatta, ovviamente per il cor‐so di laurea in Scienze Sociali). Gli studenti triennalisti danno i giudizi più impietosi: tanto a SPO quanto a SIE difficilmente si raggiunge il 24. C’è spazio però per le eccellenze,
CORSO DI LAUREA: SIE CORSO DI LAUREA: ECE
CORSO DI LAUREA: APP
Merlati che ottiene un 29 tanto nella valutazione come docente quanto in quella al suo corso di Storia delle re‐lazioni internazionali, trionfatore as‐soluto del corso di laurea in Scienze Internazionali. Anche il prof. Luca Solari, docente di “Organizzazione delle Risorse Umane” riceve voti alti, con una media di 27,6 (prende un 24 nel corso di laurea APP; dal 28 al 30 negli altri cdl). Sorprendono i voti bassi attribuiti al corso di “Matematica di base” (19 in ORU e 20 a SPO), confermando l’“allergia” per i numeri da parte de‐gli studenti che frequentano gli am‐
«Il professor Sioli, il cui corso era stato oggetto di critiche lo scorso anno da parte di questo
mensile, ha raccolto consensi alti»
CORSO DI LAUREA: SOC
CORSO DI LAUREA: STO
C O P E RT I N A
preparazione di una lingua così fon‐damentale. L’esame di lingua inglese, presente in quasi tutti i quindici corsi di laurea, difficilmente supera la so‐glia del 23.
VINCITORI (E VINTI)
I n mezzo a questa cascata di dati, non si può fare a meno di notare
come alcuni nomi spicchino su altri, nel bene o nel male. E’ il caso del professor Alessandro Colombo, docente di Relazioni Inter‐nazionali, che raccoglie tra i corsi di SPO e SIE (quasi 400 questionari), una media che si attesta tra il 28 e il 29, con valutazioni più alte al docente rispetto al corso. Nessuna sorpresa per chi ha avuto la possibilità di fre‐quentare le sue lezioni. Exploit anche per il professor Bel‐locchio che raccoglie, unico tra tutti, una media di trenta e lode nella ma‐gistrale di “Politica ed Istituzioni comparate”. Spazio alle insufficienze. Pochissi‐me, contrariamente a quanto si po‐trebbe pensare. Si trovano soltanto nel corso di laurea specialistica in Relazioni Internazionali (RIN). A non passare l’”esame” degli studenti sono i prof. Grandi e Araldi (che però ot‐tiene un 20 dagli studenti di SPO, nda), docenti rispettivamente di Di‐ritto Consolare ed Economia e tecnica degli scambi internazionali. Non rag‐giungono la sufficienza nemmeno il prof. Paolo Martelli, docente di “Analisi delle Istituzioni Politiche” ed i l professor Paolo Borsato , “Sociologia dell’organizzazione” (il quale, va detto, riesce a raggiungere il 22 a SPO).
LA “SFIDA PARALLELA”
S e cons ide r i amo i co r s i “sdoppiati”, ovvero divisi in base
all’alfabeto nei blocchi A‐L ed M‐Z, il prof. Fasano, docente di “Scienza Po‐litica” raggiunge il 25, ma il collega, il prof. Martinelli, non và oltre il 23. Voti differenti anche per quanto riguarda “Statistica” dove la profes‐soressa Nicolini supera di poco la sufficienza (19) contro il 26 attribuito alla professoressa De Battisti (con
anche per smentire in partenza chi fosse portato a pensare ad un’ostilità generalizzata nei confronti della ma‐teria . E’ il caso dei prof. Colombo (Enzo) e Procacci, che registrano consensi nettamente più alti dei loro colleghi di dipartimento e riescono nell’im‐presa di far apprezzare anche la tanto disprezzata Sociologia. Nella “sfida” tra i corsi di sociologia in SPO, la professoressa Procacci rice‐ve una media di 26 contro il 23 della professoressa Graziosi.
LINGUE: SE HABLA (SOLO) ESPANOL
G iudizi contrastanti, ma in preva‐lenza non soddisfacenti per gli
esami di lingua. Se la professoressa Mapelli, responsabile dell’accerta‐mento di spagnolo, può ritenersi più che soddisfatta dalle valutazioni fatte degli studenti (una media di 27, con‐siderati i corsi di laurea più seguiti), nella lista dei rimandati a settembre figurano invece i corsi di francese e inglese. Dati, soprattutto quest’ulti‐mo, che dovrebbero fare riflettere perché rilevano l’inadeguatezza della
CORSO DI LAUREA: COM CORSO DI LAUREA: LAV
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l’aggiunta ‐ da parte di qualcuno ‐ anche qualche complimento esteti‐co!). Testa a testa in “Filosofia Politi‐ca” dove entrambi i professori, Esco‐bar e Besussi, collezionano un 26 di media (27, invece, quella del corso). Non diversamente accade a SIE, dove il corso di Scienza Politica del Professor Carbone (M‐Z) raccoglie consensi decisamente maggiori di quelli del Professor Zucchini (A‐L)
GLI STUDENTI
U n ultimo cenno va riservato in‐vece alla partecipazione studen‐
tesca. Le 700 schede raccolte sono figlie, oltre del contributo volontario
di chi si è recato in cortile, in bibliote‐ca e nelle pause delle lezioni a distri‐buire ed elaborare le schede, anche della sorprendente volontà degli stu‐denti di potersi ritagliare un loro spa‐zio di feedback più diretto nei confron‐ti degli docenti. Più ancora dei numeri presenti in queste tabelle, che a quanto pare fan‐no tanta paura ad alcuni docenti, il dato davvero rilevante è forse que‐st’ultimo.
Leonard Berberi Flavio Bini
con la collaborazione di Giulia Oldani, Giu-lia Brasca, Alessia Cremaschi, Antonio Bisignano, Armando Dito, Matteo Forci-niti, Guido Bettoni, Ana Victoria Arrua-barrena, Dario Luciano Merlo
CORSO DI LAUREA: RIN
CORSO DI LAUREA: ORU
«Le valutazioni sono basse per i
professori dell’area sociologica, mentre risultano contrastanti, ma in prevalenza non soddisfacenti, per gli esami di
lingua»
CORSO DI LAUREA: CES
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NOTA METODOLOGICA: Sondaggio ef-fettuato su un campione randomizzato di 697 ragazzi, studenti della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano nei giorni 26-27-28 maggio 200-8. Range di valutazione: min. 15 (insufficiente), max. 33 (30 e lode). I corsi ed i docenti con meno di 10 valutazioni individuali sono stati esclusi dagli elenchi. I voti espressi sono solo una media mate-matica e non costituiscono pertanto valu-tazione statisticamente attendibile.
CORSO DI LAUREA: PIC
CORSO DI LAUREA: EFI
Nota del CdG Per quanto il questionario sia statisti‐camente inattendibile, e la randomiz‐zazione del campione renda di fatto impossibile stabilire se vi sia un nes‐so tra la valutazione espressa e l’ef‐fettiva conoscenza del corso e del docente valutato, il “Comitato di garanzia” di Acido Politico, all’unani‐mità, non ravvisa motivi per espri‐mere riserve di sostanza in merito alla pubblicazione dei risultati, limi‐tandosi a avanzare una riserva di metodo.
Il Comitato dei Garanti
Info
Le tabelle, con i nomi dei corsi e dei professori, sono sca‐ricabili dal sito internet della nostra rivista: www.acidopolitico.com
Per commentare le valutazio‐ni e dire la tua, iscriviti al no‐stro forum e partecipa al dibat‐tito, oppure scrivi all’indirizzo: [email protected]
U N I V E R S I TA ’
MILANO ‐ All’ interno della “Students’ Union di Scienze Politi‐che” (SUSP) nasce un nuovo gruppo di lavoro, “Women at work”. Il pro‐getto trae origine dall’omonimo arti‐colo pubblicato sullo scorso numero di Acido Politico, nonché dalla collabora‐zione con il professore Maurizio Ferre‐ra, autore del libro “Il fattore D, per‐ché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia”. Le tematiche affrontate ri‐guardano questioni come il divario occupazionale tra uomini e donne, la womeconomics, le possibilità di tutela contro le discriminazioni di genere. Quest’iniziativa si propone di dar vita ad un vero e proprio laboratorio di idee: studentesse e studenti della fa‐coltà possono partecipare agli incontri dando il loro apporto con racconti di esperienze, scambiandosi opinioni e passandosi materiale informativo su questi temi. L’intento è quello di sti‐molare una coscienza diffusa su pro‐blematiche che spesso vengono sentite nel mondo studentesco ancora lonta‐ne. E’ solo dopo, con l’entrata nel mer‐cato del lavoro, che si diventa consa‐
Con la collaborazione del Prof. Ferrera nasce il primo gruppo di lavoro interno all’università dedicato all’occupazione femminile
E a Scienze Politiche arriva il gruppo “Women at work”
pevoli di quali possano essere gli svantaggi reali riservati al gentil sesso. Una sensibilizzazione che passa me‐diante la creazione di una vasta rete di conoscenze e di persone è un buon punto di partenza per un’ inversione di rotta nel modo comune di pensare e di agire. Il gruppo ha presenziato alla conferen‐za tenutasi alla fonda‐zione del Corriere della Sera il 19 Maggio dove erano invitate a discu‐tere sul libro sopracita‐to di Maurizio Ferrera, Linda Lanzillotta, Ma‐riastella Gelmini e An‐na Maria Artoni. In questa occasione sono emersi spunti e stimoli per una maggiore attenzione all’ occupazione femminile e non sono mancate alcune critiche verso le recen‐tissime intenzioni del nuovo governo (relative a ici e detassazione degli stra‐ordinari). Tutti coloro che sono inte‐ressati sono invitati ad aggiungersi contattando il seguente indirizzo e‐mail [email protected].
di Valeria Chiesa e Veronica Nisco
A Scienze Politiche...
fondiranno sia le caratteristiche strutturali della discriminazione che le sue origini e implicazioni, ma chia‐ramente unʹattenzione particolare sarà rivolta alla definizione delle possibili soluzioni. Insomma, trova spazio anche da noi non solo la cul‐tura delle pari opportunità, ma an‐che il suo corrispondente scientifico, lo studio multidisciplinare di genere e delle diversità.
Stefano Gasparri
MILANO ‐ Oltre a stimolare lo svi‐luppo e la diffusione di una cultura più sensibile verso il tema delle pari opportunità, la nostra Università mette a disposizione un vero e pro‐prio curriculum per formarne degli esperti. Si tratta della laurea speciali‐stica in Scienze del Lavoro, che per il prossimo anno accademico ha attiva‐to il curriculum ʺPari opportunità, diritti e politiche socialiʺ. Allʹinterno di questo corso, si appro‐
MILANO ‐ Uno dei primi passi del go‐verno Berlusconi è stato quello di varare un provvedimento in merito alla detassa‐zione degli straordinari; obiettivo di que‐sta disposizione è favorire una ripresa economica attraverso l’ alleggerimento della pressione fiscale dando maggiore respiro alle imprese e ai lavoratori. Andando a vedere quali possono essere realmente le conseguenze si può osserva‐re che la detassazione degli straordinari non va ad avvantaggiare le categorie di lavoratori che ne avrebbero più bisogno: donne, precari ed anziani, vittime dei bassi tassi di occupazione. Gli straordinari sono infatti prerogativa quasi esclusiva dei lavoratori più “forti”: maschi, giovani o comunque non anzia‐ni, che hanno maggiore disponibilità di tempo.
Inoltre questa misura introduce una distorsione nel funzionamento del mercato in quanto potreb‐be favorire l’utilizzo del lavoro straordinario a s c ap i t o d i que l l o “normale”, creando un trade‐off tra ore di lavoro
per dipendente e numero di dipendenti. L’impresa potrebbe, per esempio, sceglie‐re una politica di produzione basata sul maggiore sfruttamento, in termini di ore lavorative, dei lavoratori già presenti, sfavorendo così nuove assunzioni. Perché le donne risulterebbero penalizza‐te da questo provvedimento? Straordina‐rio è sinonimo di flessibilità sul lavoro ed elasticità nella gestione del tempo, ma non di conciliazione tra lavoro e fami‐glia: molte donne oltre al lavoro formal‐mente riconosciuto devono far fronte ad un secondo lavoro, quello di cura (faccende domestiche, cura dei bambini, ecc). Una madre lavoratrice con figli e genitori anziani da accudire non può di certo trattenersi sul posto di lavoro oltre all’orario prefissato. In conclusione la detassazione degli stra‐ordinari, oltre ad acuire il divario tra occupazione femminile e occupazione maschile, non permette lo sviluppo di una politica famigliare orientata verso le donne.
(v.c. / v.n.)
Detassazione degli straordinari
A P P U N T I
a cura di Laura Tavecchio
to SVE, Servizio Volontario Europeo, con destinazione Vilnius, Lituania. Ambito di lavoro: Arte, cultura e promo‐zione della dimensione europea Periodo: 2 mesi, con partenza settembre 2008 Età richiesta: dai 18 ai 30 anni Scadenza: 30 Giugno I N F O p r o g e t t o : h t t p : / /www.linkyouth.org/it/sve/progetti; [email protected] Indirizzo e‐mail pro‐tetto dal bots spam , deve abilitare Java‐script per vederlo INFO programma SVE : http://ec.europa.eu/youth/evs/aod/hei_en.cfm
GAP YEAR …chiamato anche Gap Period o
“maccheronicamente” anno sabbatico, è un esperienza di lavoro, di volontariato o di studio fuori dal paese di origine. Eʹ una pratica ormai molto diffusa e sviluppata. Di seguito vi riportiamo alcune delle più famose agenzie che si occupano di ciò. PROJECTS ABROAD, specializzato nella ricerca di stage e periodi formativi. (www.projects‐abroad.it) ELS, la più famosa agenzia internazionale nel settore delle scuole linguistiche (www.els.com) CESVI, si occupa di volontariato interna‐zionale di medio e lungo periodo (www.cesvi.org) INFO: www.gapyear.com
VOLONTARIATO S.C.I. Servizio Civile Internazionale: Mondo Il servizio civile internazionale di Roma ha reso noto le destinazioni dei campi di lavoro per l’estate 2008. Un’esperienza di volontariato breve, al massimo 3 settimane, con il fine di sup‐portare progetti di sviluppo sostenibile in tutto il mondo. Periodo: estate 2008 Requisiti: nessuno in particolare http://www.campidivolontariato.it/news.php; www.sci‐italia.it Associazione Link Onlus: Altamura, Bari L’associazione Link ricerca due volontari da inserire all’interno del proprio proget‐
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FRAMMENTI
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COMMESTIBILE O COMBUSTIBILE? L’exploit dei paesi in via di sviluppo ha provocato un incremento radicale del fabbisogno non solo alimentare, ma anche energetico. Questa circostanza, unita alla continua diminuzione delle risorse non rinnovabili, ha portato i grandi paesi in‐dustrializzati ad investire nella ricerca di fonti alternative. Molti hanno visto nella produzione di biocarbu‐ranti la panacea di tutti i mali. Questi combustibili, ottenuti da mais, grano, bietola e canna da zucche‐ro, sembravano, infatti, l’alternativa pulita a ben‐zina e diesel. La loro origi‐ne naturale, infatti, è facil‐mente riassorbibile dalla natura e consente di ridur‐re del 70% le emissioni di gas serra dal trasporto privato e diminuire lʹim‐portazione di petrolio dallʹestero. A lungo am‐bientalisti in buona fede, businessmen dell’energia e capi di Stato hanno creduto di aver trovato la cura miracolosa al riscaldamento globale, all’e‐saurirsi delle risorse petrolifere e alla di‐pendenza economica dai paesi produttori di greggio. Gli Stati Uniti che, con i loro 7895 Kilo‐grammi annui procapite, si situano al primo posto nella scala dei consumatori mondiali di energia, hanno ricoperto il ruolo di capofila nell’investimento in car‐
buranti ottenuti da cereali. Lo stanziamento di denaro per la produ‐zione di bioetanolo, un alcol ottenuto tramite un processo di fermentazione dei prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri quali cereali (mais, sorgo, fru‐mento, orzo), colture zuccherine (canna da zucchero, bietola), frutta, vinacce e patate, è schizzato dai cinque miliardi di
dollari del 1995 ai trenta‐cinque registrati lo scorso anno. Questa corsa all’“energia pulita” è stata attuata non solo attraverso la creazio‐ne di nuove aree coltivabi‐li, ma soprattutto grazie ad una politica di sussidi sfrenati alle coltivazioni utili per la produzione di queste energie a discapito di quelle destinate al mer‐cato alimentare (senza contare il programma di agevolazioni fiscali e in‐centivi per miliardi di
dollari effettuata dalla Camera dei Rap‐presentanti statunitense a favore delle energie rinnovabili).
CAMBIAMENTI CLIMATICI Da molti anni, ormai, siamo a conoscenza dei devastanti effetti che i cambiamenti del clima, indotti dalle attività umane, stanno avendo sul nostro pianeta. Da marzo una nuova siccità si è abbattuta
“U no tsunami silenzioso”, sono queste le parole che Josette Sheeran, direttore esecutivo del
World Food Programme, ha usato per definire la tragica crisi alimentare, dovuta all’aumento dei prezzi dei beni primari, che sta colpendo da alcuni mesi tutte le regioni del nostro pianeta. Si tratta di una catastrofe annunciata che ha radici profonde, ma le cui conseguenze si sono manifestate in maniera dirompen‐te solo nell’ultimo anno. BOOM PAESI IN VIA DI SVILUPPO
Una delle ragioni più evidenti della crisi alimentare mondiale è senza dubbio il boom demografico ed economico dei pae‐si in via di sviluppo ed, in particolare, del subcontinente cinese e di quello indiano. La crescita esplosiva e relativamente velo‐ce di queste regioni ha comportato la na‐scita di una nuova ed estesissima classe media, composta da centinaia di milioni di persone, che ha potuto in pochi anni migliorare le proprie abitudini alimentari avvicinandole sempre di più a quelle dei cittadini dei paesi industrializzati. La crescente domanda di beni primari di questi paesi unita agli innegabili sprechi ed ai consumi eccessivi del nord del mon‐do (e a questo proposito consigliamo la visione del documentario del 2006 “We feed the world”) ha senz’altro contribuito in maniera importante alla recente impen‐nata dei prezzi del cibo.
Domanda di cibo in aumento, crisi alimentare, prezzi delle materie prime alle stelle, più terreni per il biodiesel e speculazione finanziaria. È lo “tsunami silenzioso”.
di Benedetta De Marte e Marzia Lazzari
«L’exploit dei paesi in via di sviluppo ha provocato un incremento radicale del
fabbisogno non solo alimentare, ma anche energetico»
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nale per le materie prime agricole, il prez‐zo del riso è aumentato del 27% questo mese, archiviando il nono mese consecuti‐vo di rialzi, sulla spinta dei timori per il ridimensionamento delle esportazioni da parte dei paesi produttori. Il Chicago Board of Trade, punto di riferimento del commercio internazionale delle materie prime agricole, fissa i prezzi dei prodotti agricoli mondiali (leggi box a fianco, ndr). Mentre parte del mondo paga gli effetti del’aumento dei prezzi, infatti, ai big del‐lʹagricoltura tocca una sorte completa‐mente opposta: il pieno di utili. Forti del boom dei profitti, i colossi dellʹagricoltu‐ra, investono ingenti somme di denaro
sulle materie prime agricole, fattore che contribuisce all’incremento dei prezzi dei beni agricoli. La pioggia di miliardi di dollari su questi beni è determina in parte anche dal fatto che se questi investimenti non ci sono le ripercussione dell’inflazio‐ne. Gli strumenti diretti per investire su mais, soia e zucchero son i contratti future quo‐tati al Chicago Board of Trade o al New York Board of Trade, i cui maggiori rischi sono dati dal cambio sfavorevole, essendo quotati in dollari. Non per tutte le grandi aziende del setto‐re agricolo è, però, lo stesso: quelle attive nella catena alimentare, infatti, perdono terreno in quanto scontano la minore pro‐pensione alla spesa dei consumatori, che ne fa calare le vendite e quindi gli utili.
I PREZZI Le cifre diffuse dalla FAO e dal WFP par‐lano chiaro: un’impennata nei prezzi del cibo del 55% fra il giugno 2007 e il marzo 2008 con picchi dell’87% per il riso in que‐st’ultimo mese. Chiaramente le zone più colpite dagli aumenti sono quelle già afflitte dalla fame e dalla povertà, quelle dove le persone spendono già il 50‐70% dei propri introiti mensili in prodotti alimentari, quelli dove non esistono ammortizzatori sociali in
sull’Australia, già colpita nei sei anni pre‐cedenti dal più lungo calo di piogge della sua storia. L’aridità causata da questo fenomeno ha avuto tanto conseguenze tragiche sull’economia di quello che è stato a lungo il terzo produttore mondiale di frumento, che per mesi il governo è stato addirittura costretto a bloccare l’irri‐gazione dei campi per evitare che i suoi cittadini rimanessero senz’acqua. Episodi di questo genere si verificano sempre più spesso e su scala sempre più larga: in India si teme l’irregolarità della stagione dei monsoni che negli ultimi anni ha portato a notevoli riduzioni dei raccolti. L’Argentina, il Brasile e moltissimi paesi europei, fra cui l’Italia, sono stati vittime del riscaldamento globale e, in molti casi, hanno dovuto fare ricorso alle proprie riserve e ridurre le esportazioni per evita‐re crisi interne. Se nel breve periodo prov‐vedimenti di questo genere hanno contri‐buito a calmierare i prezzi a livello locale, oggi queste misure protezionistiche non possono che essere viste come parzial‐mente responsabili dell’incremento del costo del cibo a livello globale.
LA SPECULAZIONE
Sulla piazza del Chicago Board of Trade, quella di riferimento a livello internazio‐
«Mentre parte del mondo paga gli effetti del’aumento dei prezzi,
infatti, ai big dellʹagricoltura tocca
una sorte completamente opposta:
il pieno di utili»
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grado di attutire il colpo di una crisi così violenta. Se in Senegal un anno fa si poteva acqui‐stare un chilogrammo di riso con una spesa pari a ventidue centesimi di euro, ora questo “lusso” costa cinque volte tan‐to. Il prezzo di questo bene, tradizional‐mente considerato cibo dei poveri, ha subito vertiginosi incrementi anche in Sri Lanka, Bangladesh e Filippine. La spesa per la farina di grano in Somalia è tripli‐cata negli ultimi dodici mesi, mentre U‐ganda, Etiopia e Mozambico hanno visto aumentare il costo del mais di almeno il 50%. Sono trecento i milioni di persone che, a causa di questa crisi alimentare, andranno ad aggiungersi al miliardo che già vive al di sotto o appena al di sopra della soglia di povertà assoluta in tutto il mondo (un dollaro al giorno). La riduzione o addirittura il blocco delle esportazioni di alcuni beni primari che, in seguito alla crisi, molti importanti paesi (fra cui India, Ucraina, Russia, Brasile) hanno deciso di attuare per soddisfare il fabbisogno interno ed accrescere le riser‐ve nazionali non fa altro che aggravare la situazione e rischia di provocare una peri‐colosa spirale al rialzo dei prezzi.
RISCHIO GUERRA CIVILE La fame, e a ricordarcelo ci sono secoli e secoli di lotte e rivolte che hanno destabi‐lizzato imperi e ghigliottinato sovrani, istiga naturalmente alla violenza; una violenza cieca e disperata volta a difende‐re quell’accesso al cibo che, come ha giu‐stamente ricordato l’Europarlamentare Luisa Morgantini, “dovrebbe essere un diritto e non una variabile affidata alle regole del mercato e alle speculazioni”. Sono 36 i paesi a rischio guerra civile se‐condo la FAO. All’inizio di aprile Haiti, Stato più povero dell’emisfero occidentale già protagonista di sanguinose rivolte, crisi politiche, cata‐strofi naturali e di una lacerante emigra‐zione che porta da decenni i suoi abitanti a riversarsi sulle coste statunitensi, si è trasformata in teatro di violentissime pro‐teste anti‐governative che hanno provoca‐to diverse vittime fra cui anche uno dei caschi blu impegnati nella missione ONU sull’isola. In Egitto l’esasperazione per le lunghe ore passate in fila davanti ai forni che vendo‐no pane prodotto grazie ai sussidi gover‐nativi ha causato scontri e svariati morti, portando migliaia di persone a manifesta‐re in piazza Tumulti e saccheggi hanno incendiato anche molte città dell’Afghanistan, del Senegal, della Mauritania, del Perù, dello Yemen e di molti altri Stati del Sud del
FOCUS
E le multinazionali? Alzano i prezzi per non compromettere i propri margi‐ni. E se quando dici “crisi” intendi “speculazione finanziaria” ecco allora che si fanno avanti i big del settore: he‐dge funds, fondi pensione, fondi sovra‐ni, ecc. Dopo le brucianti perdite causate dai mutui americani, stanno realizzando profitti da capogiro investendo con i contratti future sulle materie prime. Questi ultimi rappresentano una parti‐colare tipologia di contratti che fissa un prezzo per una futura compravendita di un bene; vengono stipulati per proteg‐gersi dalle fluttuazioni dei prezzi (infatti vi fanno ricorso i produttori ed i distri‐butori di merci). Basta leggere le affermazioni di David Lehman, della Borsa di Chicago, per capire bene cosa si sta muovendo dietro le quinte della crisi alimentare: «Chi scommette sui prezzi delle materie pri‐me agricole attraverso gli indici control‐la circa il 20‐25% dei contratti future nella nostra Borsa. I future sul grano, la soia ed il granoturco sono al 30‐40% nelle mani degli operatori commerciali, altrettanto in quelle degli speculatori ed il resto finisce negli indici. Il peso delle tre categorie non è cambiato negli ultimi due anni ma il volume dei contratti è più che raddoppiato, come anche i prez‐zi, ecco perché il valore totale degli in‐vestimenti è così cresciuto. Il parere della CFTC (Commodity futures trading commission, ndr), che regola il mercato, è che gli speculatori giocano un ruolo positivo fornendo liquidità e che i prez‐zi non sono stati spinti all’insù da loro, ma dai fattori fondamentali, come la scarsità di raccolti a fronte del boom di domanda». Il parere della commissione è condiviso da Jim Rogers, uno dei più noti speculatori a livello mondiale. Risultato? Nell’ultimo anno il frumen‐to è rincarato del 130%, il riso del 74% (oltre il 100% in alcune regioni asiati‐che), la soia dell’87% ed il mais del 31%. Fino a quando reggerà questo sistema? Nessuno sa (o vuole) dirlo. Più che la sorte dei civili, la tranquillità del merca‐to borsistico pare l’unica, vera preoccu‐pazione.
Leonard Berberi www.acidopolitico.com
MILANO ‐ «La pressione sui prezzi si fa sentire, ma siamo comunque in grado di gestirla. Non intendiamo sacrificare i margini di redditività né perdere quote di mercato». Le parole di Francois Xa‐vier Cescau, amministratore delegato del gigante alimentare “Unilever” la dicono lunga sull’atteggiamento che le multinazionali hanno deciso di assume‐re di fronte alla crisi alimentare mondia‐le. Mentre stime più o meno ufficiali prevedono che altri cento milioni di individui si aggiungeranno – quest’anno – al miliardo e duecento che già vive con meno di un dollaro al giorno, negli ultimi tre trimestri il gigante americano del commercio di prodotti agricoli “Cargill” ha segnato un balzo in avanti dei propri profitti del 72% (arrivando a 1,71 miliardi di dollari) rispetto all’anno precedente, mentre la “Potash Corpora‐tion” (leader mondiali di fertilizzanti a base di potassio) ha raddoppiato gli utili negli ultimi dodici mesi. Nemmeno la svizzera “Nestlè” si sottrae all’ondata di guadagni nonostante la sua collocazione nella filiera economica la ponga a con‐tatto diretto coi consumatori: +15,8% degli utili nel 2007 e +6% in questi primi mesi del 2008. L’informazione è stata carente nelle ultime settimane, ma le immagini delle manifestazioni per le strade del Cairo, del Bangladesh, del Burkina Faso e di Haiti hanno fatto il giro del mondo ed hanno destato la preoccupazione di molti politici. Di fronte alla crisi la FAO, l’organizza‐zione delle Nazioni Unite per l’alimen‐tazione e l’agricoltura, appare incapace di porre rimedio perché nel frattempo i più grandi produttori di cereali come Russia, India, Cina, Egitto e Vietnam hanno deciso di ridurre l’export dei pro‐dotti agricoli. In tutto questo, come se nulla fosse, le autorità americane ed europee continuano ad esortare ed in‐centivare i propri contadini a destinare le loro coltivazioni alla produzione di carburanti. «Non si può coltivare mais per fare la benzina, avere i serbatoi pieni e la pancia vuota» ha affermato stizzito al “Corriere della Sera” Mario Preve, presidente del gruppo alimentare “Riso Gallo”.
Chi sta guadagnando dalla fame nel mondo
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In compenso ha dichiarato che gli USA “sborseranno” al più presto 200 milioni di dollari in aiuti alimentari.
IL SISTEMA ECONOMICO Ma siamo sicuri che questi, seppur sacro‐santi, provvedimenti siano una risposta sufficiente ad una crisi di queste propor‐zioni e così radicata nel nostro sistema economico globale? Ziegler ha usato negli ultimi mesi termini molto duri contro i paesi e gli organismi sovra‐statali che hanno permesso alle grande multinazionali di impossessarsi del mercato alimentare, lottizzandolo e piegandolo ai propri interessi economici invece che alle esigenze delle popolazioni mondiali. Il grande sociologo svizzero si è scagliato diverse volte contro il FMI, colpevole di aver incoraggiato i paesi poveri, al fine di ridurne il debito, ad abbandonare l’agri‐coltura di sussistenza per dedicarsi a col‐ture intensive destinate all’esportazione. Questo, accompagnato dalle generosissi‐me politiche di sussidi ai propri agricolto‐ri perpetrate da Stati Uniti ed Unione Europea, non avrebbe prodotto nient’al‐tro che una maggiore dipendenza alimen‐tare (e quindi economica) dei paesi “poveri” dai paesi “ricchi” e dalle loro grandi multinazionali del cibo e delle sementi. “Sapevamo che quello che sta succedendo sarebbe successo; avevamo avvisato la comunità internazionale in tempo. Ma sfortunatamente, non abbiamo preso nes‐
suna decisione in tempo e di conseguen‐za, alcune persone sono morte, alcuni governi – almeno uno – sono caduti e altra gente rischia di morire”. Ci sembra che in queste pesanti parole del Direttore Generale della FAO Jacques Diouf, risiedano le responsabilità di un sistema che per anni, pur conoscendolo, ha deciso di ignorare un problema di di‐mensioni enormi nascondendosi dietro a risposte sommarie date sull’onda della compassione umanitaria. Partendo da questa prospettiva appare evidente come, di fronte questa crisi, che, oltretutto, si manifesta in concomitanza con il riscaldamento globale, la recessione statunitense, l’esplosione dei prezzi del petrolio, la crisi dei mutui e i già citati problemi legati al crescente fabbisogno energetico, sia necessario ripensare le priorità della comunità mondiale e dare un nuovo senso agli equilibri di potere al suo interno. Ai nostri occhi appare urgente un’analisi complessiva e convergente delle difficoltà che abbiamo davanti; un’analisi in grado di mettere in discussione molte scelte prese dai paesi industrializzati a livello nazionale e internazionale. Non si tratta più di portare aiuti caritate‐voli ai cosiddetti “paesi del terzo mondo” o di lavare la nostra coscienza attraverso finanziamenti volti ad aumentare la loro dipendenza dai nostri portafogli.
Benedetta De Marte Marzia Lazzari
mondo. Le previsioni diffuse dalle Nazio‐ni Unite per l’anno prossimo stimano che il numero delle persone sofferenti di sot‐toalimentazione crescerà di 16 milioni per ogni aumento di punto percentuale del prezzo reale degli alimenti di base. Un dato ancora più inquietante se si conside‐ra che, nell’ultimo decennio, le morti per fame hanno riscontrato un’ininterrotta, seppur lenta, diminuzione. LA RISPOSTA DI BAN KI MOON
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, ha auspicato una “reazione internazionale rapida ed efficace” da rea‐lizzarsi attraverso un “piano d’azione a corto, medio e lungo termine”. I provvedimenti di natura urgente invo‐cati dal diplomatico coreano sono una serie di finanziamenti al WFP (755 milio‐ni di dollari) per arginare i rischi sociali e quelli legati alla salute pubblica, e alla FAO (1,7 miliardi di dollari) per una pro‐mozione immediata della produzione agricola locale. Per quanto riguarda gli interventi struttu‐rali, l’intenzione dell’ONU e delle sue Istituzioni è quella di aiutare i paesi in difficoltà a sviluppare politiche nazionali specifiche: miglioramento dei sistemi di stoccaggio dei generi alimentari, perfezio‐namento dei metodi d’irrigazione ed im‐plementazione dei sistemi stradali e ferro‐viari che rendano più agevole ed econo‐mico lo smistamento delle merci.
I BIO‐CARBURANTI
Molti scienziati hanno chiesto insieme a Jean Ziegler, relatore speciale alle NU per il diritto all’alimentazione fino al 1° mag‐gio 2008, una moratoria quinquennale sulla produzione di bio‐combustibili che permetta anche di favorire gli investimen‐ti nelle tecnologie di seconda generazione destinate a produrre bio‐carburanti a par‐tire da piante non alimentari, rifiuti agri‐coli e avanzi vegetali, invece che da coltu‐re commestibili. Malgrado quest’appello il Presidente Ge‐orge W. Bush, indicando la sicurezza e‐nergetica come priorità del paese di cui è alla guida, ha già fatto sapere che non interverrà per fermare la produzione di etanolo (la più alta del mondo: un terzo del raccolto di statunitense viene ormai impiegato dall’industria energetica).
Per saperne di più
• www.grain.org; • Bilanci delle società “Mosaic”,
“Sinochem”, “Potash Corp”, “Yara”, “Icl”, “K+S”, “Noble Group”, “Adm”, “Bunge”, “Maribeni”, “Cargill”;
• Chicago Board of Trade; • Fao (www.fao.org);
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Papa Benedetto XVI saluta la folla di fedeli americani che attende il suo arrivo all’aeroporto militare di Andrews, Maryland. Le parole che il Pon-tefice ha pronunciato all’ONU sono state apprezzate da molti politici.
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Il numero della più gran‐de comunità straniera residente nella regione: quella dei marocchini
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Il numero degli alunni stranieri che studiano nelle scuole di ogni ordi‐ne grado nella regione
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NUMERI
940.000 Il numero complessivo degli immigrati (regolari e non) presenti in Lom‐bardia
212.000 Il numero degli immigra‐ti (regolari e non) presen‐ti nella sola città di Mila‐no
10 La percentuale di immi‐grati presenti nella regio‐ne rispetto alla popola‐zione (6% la media UE)
37.000 Il numero di immigrati clandestini a Milano (a fronte di 108.000 totali nella provincia)
8,8 Il contributo percentuale che gli immigrati resi‐denti in Italia danno all’‐economia del paese
Belpaese
www.acidopolitico.com / [email protected] a cura di Leonard Berberi
Il consulente ai funerali? Può sembrare assurdo, ma cʹè anche questo incarico. E forse, alla luce della situazione politica in Campania descritta nellʹinchiesta di copertina de Lʹespresso, tra le tante consulenze assegnate dal Consiglio regionale questa è la più azzeccata. Lʹelenco comprende ben 152 nomine con la spesa di un milione di euro. Lʹavvocato che darà consigli sulla deontologia delle pompe funebri riceverà 3.000 euro. Per il sostegno e la valorizzazione delle piccole librerie interverrà un ingegnere, pagato con 7.000 euro. Altri 5.000 invece
voleranno via per dare consigli sulla vigilanza delle spiagge libere. Notevole anche lʹistituzione di una consulta delle confessioni religiose con consulenza da 4500 euro o i mille euro per unʹanalisi delle pro‐poste normative sui biodisel. Sor‐
prende poi che lʹassessore allʹAmbiente del Comune di Salerno si faccia versare 5 mila euro per pareri sulla legislazione ambientale: è un esponente dei Verdi, forse avrebbe potuto rinunciare al compenso. Solo tredici incarichi non prevedono soldi. Ed è difficile pensare che una struttura sterminata come la Regione Campania non disponga di tecnici e professionisti interni a cui affidare le stesse mansioni. Ma al Corriere del Mezzo‐giorno, il presidente del Consiglio regionale ha difeso le scelte: «Abbiamo tagliato le spese del 30 per cento». Di chi si tratta? Di Sandra Lonardo Mastella, tornata al suo posto dopo la scarcerazione. (www.spreconi.it)
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Freddure «Secondo indiscrezioni per salvare Gascoigne dal tentato annegamento la vasca da bagno è stata
riempita di birra»
(www.gago.splinder.com)
LA VIGNETTA
Info SPO Come ci aveva anticipato il responsabile scientifico della Facoltà di Scienze Politiche, il prof. Stefano Iacus in un prece‐dente articolo, sono cambiati gli orari di apertura e chiusura del “Polo di Calcolo”. Dal lunedì al venerdì gli studenti potranno utilizzare la struttura a partire dalle ore 9 del mattino sino alle 19. Rimangono ‐ invece ‐ invariati gli orari per il caricamento delle risme di carta a disposizione del proprio account.
E S T E R I
da parte di Americani e Russi rispet‐tivamente verso Azeri e Armeni, po‐tenziali alleati alla loro corsa verso l’influenza sul Caucaso, e con il gruppo di Minsk a sostenere in ma‐niera sempre più imbarazzante verso gli abitanti del Nagorno il diritto al‐l’integrità territoriale Azera, imba‐razzo che dopo il caso del Kosovo ha subito un’impennata. Attualmente stando alle parole degli analisti, sembra introvabile una solu‐zione al problema del Nagorno‐Karabakh, tuttavia cresce sempre più l’insofferenza reciproca tra Armeni e Azeri, quest’ultimi, forti di una sem‐pre maggiore ricchezza dovuta al petrolio, ultimamente minacciano di riprendere le ostilità e di riprendersi la rivincita. L’Europa tramite il gruppo di Minsk, la Russia e gli Usa, dovrebbero final‐mente agire al più presto per scon‐giurare quest’eventualità, ma gli abi‐tanti del Nagorno possono davvero riporre fiducia verso chi, partendo dalle comprensibili richieste di e‐mancipazione della popolazione al‐banese del Kosovo, li ha consegnati ad una classe politica di criminali e mafiosi?
Dopo più di un anno di combatti‐menti, la sorte arrise inaspettatamen‐te alle truppe armene e del Nagorno, sfavorite sulla carta rispetto all’Azer‐baijan più grande, ricco e popoloso, con gran parte del merito attribuibile ai milioni Armeni risiedenti all’estero a seguito soprattutto della diaspora seguita all’olocausto del 1918, i quali continuarono a finanziare la madre‐patria e la piccola repubblica del Na‐gorno per tutto il periodo della guer‐ra. Nel 1993 la comunità internazionale cominciò a muoversi per risolvere una guerra che aveva portato alla creazione di un nuovo stato, seppur non riconosciuto, e all’occupazione da parte dell’esercito armeno di un quinto dell’intero paese nemico. L’O‐CSE creò un organismo ad hoc, il “gruppo di Minsk”, e anche USA e federazione Russa si mossero per risolvere una delicata questione in bilico tra il diritto all’integrità territo‐riale di ogni nazione sovrana e il di‐ritto all’autodeterminazione di ogni popolo. Col brillante risultato di un bel nulla di fatto nonostante quindici anni di trattative e con la presa di posizione
MILANO ‐ Armenia e Azerbaijan, divise culturalmente e religiosamen‐te, hanno in comune la triste sorte di essere diventate subito nazioni “mutilate”: non appena si resero in‐dipendenti subito dopo la prima guerra mondiale, dopo secoli di do‐minazioni da parte di Turchi, Persia‐ni e Russi, sono state immediatamen‐te invase dagli stessi ex dominatori. Essi non hanno esitato a mantenere e occupare quanto più territorio possi‐bile, in barba al riconoscimento inter‐nazionale dei due paesi, fino a quan‐do, all’inizio degli anni venti le trup‐pe dell’Armata Rossa, occuparono ciò che restava creando le repubbli‐che socialiste di Armenia e Azerbai‐jan. Fu proprio la dominazione sovietica a creare inconsapevolmente il moti‐vo che porterà in futuro le due nazio‐ni alla guerra: nello stabilire i confini definitivi all’Azerbaijan venne asse‐gnato un pugno di terra grande quanto il Molise, il Nagorno‐Karabakh, causa scatenante dell’at‐tuale guerra. Il Nagorno, infatti, è una cosiddetta enclave, un territorio immerso nell’Azerbaijan e dagli Aze‐ri, ma abitato in prevalenza da Ar‐meni. Quando nel 1991 l’Urss crollò defini‐tivamente, anche il Nagorno dichiarò la propria indipendenza tramite un referendum non riconosciuto però dall’Azerbaijan, che riteneva quel gesto un intollerabile attentato alla sua integrità territoriale, di contro l’Armenia a sua volta riteneva le in‐tenzioni del governo azero, un’intol‐lerabile attentato all’integrità degli Armeni che abitavano il Nagorno, memori dei precedenti scontri tra le due etnie avvenuti nel 1988 e alla reazione violenta dell’allora governo sovietico Azero. Il risultato di queste reciproche intollerabilità fu la guerra aperta, proprio mentre l’esercito del‐l’ormai ex Unione Sovietica si stava placidamente ritirando.
Il conflitto (quasi) dimenticato
di Mirko Annunziata
Armenia e Azerbaijan si fronteggiano da più di vent’anni: con la Comunità Internazionale che dorme e lo spettro della guerra aperta dietro l’angolo
E S T E R I
MILANO ‐ Un contenitore di metallo, lanciato via terra o via aria, si apre, rila‐sciando dall’alto, su aree di centinaia di metri, fino a 650 ordigni più piccoli (bomblets), programmati per esplodere a contatto con il terreno. I più potenti possono uccidere nel raggio di 150 me‐tri. Tale è, in pillole, una bomba a grap‐polo (cluster bomb). Il problema è che fra il 10 e il 40 % delle sub‐munizioni restano inesplose e attive. Di conseguen‐za non c’è da stupirsi se il 98% delle vittime di questi ordigni sono civili; in Kosovo nel 1999 e in Iraq nel 2003 essi hanno provocato tra i civili più morti che qualsiasi altra arma. La Conferenza di Dublino (19‐30 mag‐gio) ha realizzato il testo di un trattato che porterà alla proibizione dell’uso, della produzione, del trasferimento e
Mai più bombe a grappolo
di Matteo Manara
La conferenza di Dublino ha bandito l’uso di una delle armi più devastanti. Ma i paesi assenti sono stati i grandi produttori
introdotta la possibilità di partecipare a missioni congiunte con stati non firma‐tari, e dunque utilizzatori di cluster bombs); d’altro canto era chiaro, già nei giorni precedenti la conferenza, che un buon numero di paesi, tra cui Francia, Germania e Gran Bretagna, avrebbero cercato di indebolire il testo; in realtà, è stato proprio il primo ministro britanni‐co Gordon Brown a rilanciare i lavori con incoraggianti aperture, proprio nei giorni della conferenza. A Dublino erano presenti 109 stati e circa 250 ONG, riunite nella Cluster Munition Coalition. I principali produt‐tori mondiali (Usa, Israele, Cina, Russia, India e Pakistan) sono stati invece i grandi assenti. La speranza è di indurli, grazie alla firma del trattato da parte di un gran numero di paesi, se non proprio ad escludere l’uso delle cluster bombs, per lo meno a farne un uso più control‐lato e limitato. Si deve registrare però il negativo com‐portamento degli Stati Uniti (tra i princi‐pali detentori e utilizzatori di questi ordigni): essi si sono infatti prodigati nel tentativo, in parte riuscito, di influenza‐re dall’esterno i lavori per smussare le proibizioni del trattato. Si è dunque realizzato il penultimo pas‐so del Processo di Oslo (del quale l’Italia è stata protagonista fin dall’inizio), nato nel febbraio 2007 sotto la spinta del mi‐nistro degli esteri norvegese Jonas Gare Støre. Passando per la conferenza di Lima del maggio 2007 e per quella di Vienna di dicembre, si era giunti nello scorso febbraio alla Dichiarazione di Wellington che delineava la bozza del trattato, alla cui redazione definitiva la Conferenza di Dublino è stata dedicata. Ora manca solo l’ultimo step: il 2‐3 di‐cembre il testo sarà sottoposto alla firma di tutti gli stati che vorranno farlo. Si tornò a parlare di bombe a grappolo nel luglio 2006. Durante la seconda guerra del Libano, Israele lanciò quattro milioni di bomblets, di cui si calcola un milione siano rimasti inesplosi. Quel milione, ancora due anni dopo la fine del conflitto, continua a mietere vittime. Nella stessa occasione, anche Israele fu vittima del lancio di bombe a grappolo da parte di Hezbollah. Recentemente, altri paesi colpiti sono stati l’Iraq, l’Af‐ghanistan, il Kosovo, la Bosnia Erzego‐vina, la Cecenia e l’Albania. Finalmente (forse), si volta pagina.
dello stoccaggio delle bombe a grappo‐lo. Sarà il più importante trattato sul disarmo dai tempi della Conferenza di Ottawa del 1997, che bandì le mine an‐tiuomo. Non sarà previsto alcun periodo di tran‐sizione: ci sono 8 anni di tempo per az‐zerare gli arsenali, eliminando tutti i tipi di cluster bombs attualmente esistenti; nessun modello rispetta infatti al mo‐mento i criteri estremamente restrittivi da rispettare perché sia ancora possibile costruirne. Il trattato vincola gli stati anche riguar‐do all’assistenza dei superstiti e alla bonifica dei territori contaminati. In sintesi, il bilancio di 12 giorni di nego‐ziati è più che positivo, nonostante qual‐che importante passo indietro rispetto alla bozza iniziale (è stata per esempio
F O C U S
non ha annullato lʹespulsione da lui e‐messa nei confronti di Ben Fitouri, rim‐patriato in Tunisia nel gennaio 2007 sulla base delle suddette norme. Ben Fitouri è stato trattenuto in detenzio‐ne segreta in Tunisia per oltre 12 giorni ed in seguito sottoposto a processo sulla base della legge antiterrorismo tunisina, torturato e maltrattato.
Rom e migranti, discriminazione, xenofobia e provvedimenti
sulla “sicurezza” Da parte dei politici vi è stato un massic‐cio uso di un linguaggio discriminatorio alludente alle responsabilità collettive delle minoranze e l’attuazione di provve‐dimenti per la “sicurezza”, in realtà o‐rientati a facilitare lʹespulsione dei citta‐dini dellʹUE e dei migranti irregolari. Sono seguiti appelli all’uso di metodi da
ragioni di economia processuale (ma la questione centrale non dovrebbe essere il reato di tortura piuttosto che il conflitto di attribuzioni? O forse la questione cen‐trale è preservare l’alleanza con gli U‐SA?). Il processo è stato riaperto nel mar‐zo 2008. Nonostante le richieste del Co‐mitato delle Nazioni Unite contro la tor‐tura, lʹItalia ha mantenuto pressoché im‐mutate le norme contenute nel decreto Pisanu, riguardante misure urgenti per la lotta al terrorismo consistenti nell’espul‐sione di migranti regolari e irregolari sulla base di una vaga definizione del rischio da essi posto (“fondati motivi di ritenere” che la loro permanenza nel ter‐ritorio dello Stato possa in qualsiasi mo‐do agevolare organizzazioni o attività terroristiche) e senza tutela efficace con‐tro il rimpatrio forzato in paesi in cui rischiano la tortura e altre violazioni gra‐vi. Lʹallora ministro dellʹInterno Amato
Tortura, maltrattamenti e responsabilità delle forze di polizia
Amnesty International ravvisa “lacune relative allʹattuazione della Convenzione delle NU contro la Tortura” in quanto la nostra legislazione è “priva di uno speci‐fico reato di tortura” e non permette che “le forze di polizia rispondano effettiva‐mente del proprio operato”. LʹItalia non si è ancora dotata di unʹistituzione nazio‐nale di monitoraggio sui diritti umani e di un organismo indipendente di control‐lo sullʹoperato della polizia e non ha an‐cora ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione, il quale imporrebbe lʹado‐zione di meccanismi di prevenzione. Esempi portati alla luce da AI sono l’irre‐golarità nella conservazione di prove chiave per lʹaccertamento di responsabili‐tà delle forze di polizia nel processo Car‐lo Giuliani. Sempre in merito ai fatti ac‐caduti a Genova, nel processo per le vio‐lenze nel carcere di Bolzaneto, il rapporto segnala come sia stato violato il divieto di tortura e maltrattamenti previsto dalla Convenzione europea dei diritti umani (leggi box di approfondimento, ndr).
Erosione dei diritti umani nella “guerra al terrore”
La politica del sospetto applicata alle espulsioni e la riluttanza a fare chiarezza sugli abusi commessi in nome della “guerra al terrore” hanno caratterizzato lʹapproccio del governo, il quale non ha collaborato pienamente alle indagini degli organismi internazionali che hanno accertato precise responsabilità dellʹItalia nelle rendition operate dalla Cia (trasferimenti illegali di persone da un paese allʹaltro, culminanti in arresti arbi‐trari, sparizioni, detenzioni senza proces‐so e tortura). Le autorità di governo re‐sponsabili dei servizi segreti al momento dellʹindagine (Governo Prodi: on. Miche‐li e on. Bianco) e quelle del precedente Governo Berlusconi (Gianni Letta) hanno rifiutato di incontrare la Commissione temporanea del Parlamento europeo. Il 16 febbraio 2007 il giudice Interlandi, accogliendo la richiesta dei PM responsa‐bili, ha rinviato a giudizio 26 presunti agenti della Cia (per i quali non è stata fatta richiesta di estradizione) e 7 funzio‐nari del Sismi per il rapimento dell’imam egiziano Abu Omar, prelevato a Milano il 17 febbraio 2003 e trasferito in Egitto, ove è stato detenuto arbitrariamente e, secondo quanto da lui dichiarato, sotto‐posto a torture. Lʹallora presidente del Consiglio Prodi ha promosso un ricorso per conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzio‐nale (la Procura milanese avrebbe visio‐nato documenti coperti dal segreto di Stato) e il processo è stato sospeso per
Alla ricerca della legittimità perduta
di Debora Pignotti
Il rapporto di “Amnesty International” traccia un bilancio pesantissimo sul rispetto dei diritti umani. E il nostro paese non è da meno.
F O C U S
La tortura che soffia sull’Italia MILANO ‐ Per descrivere questa triste storia potrebbe bastare una sola frase, semplice ed eloquente: “La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” (Amnesty International). Tra il 20 ed il 22 luglio 2001, a Genova, furo‐no commesse enormi brutalità da parte delle forze dell’ordine nei confronti di molti manifestanti. Tra tutte, preme sot‐tolinearne una in particolare: le violenze subite ai danni di fermati ed arrestati presso la caserma di Bolzaneto. Tortura: non è una formula impropria o esagerata. Due anni di processo a Geno‐va hanno documentato, contro i 45 impu‐tati, che cosa è accaduto in quella caser‐ma maledetta contro i 55 “fermati” e 252 arrestati (i numeri sono approssimativi). I Pubblici Ministeri, nella loro requisito‐ria, hanno descritto dettagliatamente violenze e soprusi e “soltanto un criterio prudenziale” impedisce di parlare di tortura. Ma il reato di tortura in Italia non c’è, non esiste (grazie ad un emenda‐mento della Lega Nord). In venti anni non è stato adeguato il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell’ONU contro la tortura ratificata dal nostro paese nel 1988. I reati contestati agli imputati sono
solo: l’abuso d’ufficio, l’abuso d’autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell’indulto. Responsabilità che andranno in prescrizione dal gennaio 2009: tutti impuniti e contenti. Nonostan‐te sia stato un inferno. Molti in “posizione del cigno”: in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro. Ore ed ore nel caldo di quei giorni. Altri in posizioni peggiori: in ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati o nella “posizione della ballerina”, in punta di piedi. Tutti furono picchiati con manga‐nellate o schiaffi. Tutti furono insultati; alle donne “entro stasera vi scoperemo tutte”, agli uomini ”sei un gay o un co‐munista?”. Altri furono costretti a grida‐re “viva il duce”. Anche in infermeria ci furono atrocità, con doppie perquisizioni della polizia di Stato e della polizia penitenziaria; dete‐nuti spogliati con donne costrette a rima‐nere a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti. Umiliarono malcapitati e malca‐pitate, le donne indisposte non ricevette‐ro cure, solo insulti: “puttana”,“troia”. Ignorarono i diritti degli imputati, co‐stretti a firmare per attestare di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato.
Ci sarà una sentenza che definirà le re‐sponsabilità personali e le pene per chi sarà condannato, ma i fatti ricostruiti nel processo non sono più controversi, sono accertati, documentati. Per 72 ore una caserma diventò un lager: non era il Cile di Pinochet, ma il nostro Belpaese che sforna moratorie sui diritti civili all’ONU, che ricorda (giustamente e doverosamente) le tragedie che afflig‐gono popoli come quelli del Tibet, Dar‐fur, Birmania. Ma i diritti umani sono stati violati a casa nostra tra lacrime, san‐gue, crani fracassati, costole rotte. C’è rabbia, tanta rabbia tra chi non si è sentito tutelato dallo Stato: per quei tre giorni la nostra democrazia ha fallito perché non ha protetto la dignità della persona e i suoi diritti sanciti dalla nostra Costituzione del 1947 (e presenti anche nella prima Magna Carta del 1225). Cosa resterà di Bolzaneto e delle sue tor‐ture? Davvero si accetterà il fatto che finisca tutto a “tarallucci e vino” all’ita‐liana tra prescrizioni, silenzi e dimenti‐canze? E quante volte occorrerà torturare prima di parlare di tortura? Bob Dylan diceva che la risposta è nel vento. Ma il vento italiano ha smesso di soffiare.
di Matteo Forciniti
ITALIA
getti privati o statali delle Filippine, in Afghanistan e in Colombia, nonché verso la Repubblica Democratica del Congo, il Nepal, l’Uganda, il Burundi e il Ciad. Inoltre, nonostante gli elevati standard sui diritti umani contemplati dalla Legge 185/1990, non sempre le autorizzazioni allʹesportazione di armi hanno effettiva‐mente evitato che queste finissero a go‐verni di paesi in cui i bambini vengono utilizzati come soldati. LʹItalia, tra il 2002 e il 2006, ha infatti venduto armi alle forze armate delle Fi‐lippine e della Colombia. Tutto ciò avvie‐ne in aperto e palese contrasto con gli impegni assunti a livello internazionale, in particolare in occasione della candida‐tura italiana a componente del nuovo Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani per il triennio 2007‐2010.
violazione del principio di non‐refoulement enunciato dalla Convenzio‐ne di Ginevra sullo status dei rifugiati (art. 33). Commercio di armi e bambini soldato
Il commercio delle armi leggere e di pic‐colo calibro non rientra nellʹambito della disciplina della Legge 185/1990, che con‐tiene severe disposizioni procedurali per lʹesportazione, lʹimportazione ed il transi‐to di armi ad uso bellico verso paesi terzi, ma è regolamentato dalla Legge 110/1975 la quale, al contrario, non prevede limiti alle esportazioni sulla base dello stan‐dard dei diritti umani del paese importa‐tore e del coinvolgimento del paese stes‐so in una guerra interna o internazionale. È quindi possibile che lʹItalia venda armi leggere a soggetti privati o a governi di paesi in cui minori partecipano alle ostili‐tà come parte di eserciti o di gruppi ar‐mati. Tra il 2002 e il 2007, lʹItalia ha autorizzato lʹesportazione di queste armi verso sog‐
SS (Consigliere comunale di Treviso) e dell’esercito per la difesa dall’invasione (Lega Nord). Il razzismo ‐ concretizzatosi in attacchi ai campi nomadi e agli esercizi commerciali gestiti da stranieri ‐ è stato alimentato proprio dalla retorica anti‐rom. Il pacchetto sicurezza che il governo in carica ha approvato, giustificandolo con la diligente anticipazione di una direttiva europea, introduce il “reato di immigra‐zione clandestina, con una procedura rapida di giudizio e di espulsione e il trattenimento nei CPT fino a 18 mesi”. Sarà una circostanza aggravante di qual‐siasi reato il fatto di essere stato commes‐so da un immigrato irregolare e, cosa preoccupante, verrà cancellato lʹeffetto sospensivo dellʹespulsione attribuito al ricorso contro lo status di rifugiato: i ri‐chiedenti asilo, spesso costretti dalla mancanza di alternative a fare ingresso irregolarmente nei paesi dove cercano protezione, potrebbero venire accusati di aver commesso un reato e rimpatriati in
Per saperne di più
• www.amnesty.org • www.amnesty.it
I TA L I A
grafica con la Puglia e il Salento in particolare, ma anche per i rapporti economici e sociali che da anniormai ha avviato con il nostro paese”. L ’ A l b a n i a è u n o s t a t o “strategicamente importante, punto di contatto con i paesi dell’Oriente europeo finanche con quelli asiatici” e che ha cominciato “a ricevere la giusta attenzione negli scambi inter‐nazionali. E ora che anche lʹUnione europea è orientata a favorire lo svi‐luppo del basso Adriatico, nellʹottica di un ingresso in Europa da parte dei paesi balcanici, cʹè da pensare che lʹAlbania costituirà un tramite impor‐tante. Anche dal punto di vista cultu‐rale”. Grazie all’associazione Promoalba, finanziata da fondi interregionali, verrà avviato un progetto di avvici‐namento tra la cultura italiana e quel‐la albanese “in ambito linguistico e letterario”.
MILANO ‐ L’Albania è stata molto sottovalutata in passato. Il Paese ha visto durante il periodo comunista un regime fortemente isolazionista, stalinista e anti‐revisionista che ha causato una deficienza nella coopera‐zione politica con gli altri Paesi, bloc‐cando anche quel processo di rifor‐me socio‐culturali‐economiche del quale il Paese aveva bisogno. In se‐guito alla caduta del Muro di Berlino e grazie alla rivolta di studenti e pro‐fessori universitari di Tirana, l’Alba‐nia, seppur lentamente, si avviò ver‐so una democratizzazione, con l’ade‐guamento agli acquis communitaire europei, soprattutto a quelli inerenti alla stabilità e alla crescita. Come è recepita l’Albania dal resto della comunità internazionale? Sicu‐ramente riceve delle attenzioni dalla Puglia, soprattutto dall’Università del Salento che ha attuato un proget‐to denominato “Il Salento e l’Albania per la promozione culturale”. Secondo il Centro di Interconnessio‐ne Istituzionale Transadriatico l’Al‐bania viene considerata “la 21esima regione dʹItalia. Per vicinanza geo‐
Cooperazione universitaria tra Italia e Albania
di Michele Capaccioli Gli Atenei del Sud del Paese e quello di Tirana insieme. Per lo studio.
La facciata centrale dell’Università di Tirana (Albania)
In questo progetto sono impegnate le Università del Salento, della Cala‐bria, di Tirana e di Valona, l’Accade‐mia delle Scienze di Tirana, la casa editrice Acustica di Lecce: “Otto testi italiani saranno tradotti in lingua albanese e otto testi albanesi saranno tradotti in italiano, grazie al lavoro di uno staff costituito da 16 giovani lau‐reati nelle università che partecipano al progetto”. Si prevedono anche seminari e workshop con l’obbiettivo di pro‐muovere i rapporti Italo‐Albanesi grazie a testi di narrativa inerenti a temi di migrazione, della cultura tra‐dizionale, delle problematiche fem‐minili e molti altri al livello sociologi‐co e storico‐giuridico. L’Albania, a sua volta, promuoverà testi di Piran‐dello, Daledda, Tozzi e di autori con‐temporanei del Salento. Sono previsti anche scambi culturali, economici, istituzionali e sociali. L’iniziativa è molto importante per‐ché considerando l’Albania una “nuova regione italiana” si potrà maggiormente promuovere la sua immagine soprattutto a livello euro‐peo. Un proverbio albanese recita: “Sasso dopo sasso si costruisce un muro, muro dopo muro si costruisce il ca‐stello”. Chissà se questo “castello” di oppor‐tunità, di cultura e di tradizione po‐trà ricevere gli aiuti necessari e le attenzioni che merita.
A LT R A E C O N O M I A
MILANO ‐ Pochi mesi fa sui muri della nostra città è apparsa una scritta: “non ci sono più i bei tempi di una volta”. Il mes‐saggio rivela la perdita di speranze in un futuro diverso e migliore. A prima vista, come dargli torto? Il pre‐sente è pieno di contraddizioni, le cui risposte sembrano però dirigersi verso un solo e fallimentare pensiero politico e modello economico. Detto questo, dare il via libera al coro di lamentele è la rispo‐sta migliore? I membri del GAS, il Gruppo d’Acquisto Solidale, hanno già dato il loro secco “no” di risposta, rimboccandosi le mani‐che per far vedere che, nel proprio picco‐lo, qualcosa si può ancora fare. Per l’ap‐punto, a partire dalla creazione di un Gruppo di Acquisto Solidale. Ma di cosa si tratta? In breve, secondo la definizione fornita nel loro sito ufficiale, www.retegas.org, il GAS è “un insieme di persone che deci‐dono di incontrarsi per acquistare all’in‐grosso prodotti alimentari o di uso co‐mune, da ridistribuire tra loro”. Niente di più semplice che un altro modo di fare la spesa: i partecipanti si uniscono per comprare insieme determinati prodotti dal grossista e poi ridistribuirli. Quello che lo rende così particolare e alternativo è il come. “Acquisto”. I componenti di un Gas si rivolgono a piccoli produttori locali, più facili da conoscere direttamente e senza grossi sprechi d’energia derivanti dal trasporto, ai quali si rivolgono per acqui‐stare prodotti biologici o ecologici che siano stati realizzati rispettando le condi‐zioni di lavoro. La logica del “gruppo” è chiara: unire le forze per evitare intermediari e puntare al prodotto di migliore qualità. Una volta reperita la materia prima, non ci resta che compilare la lista delle ordinazioni e darsi all’acquisto. Qui entra in gioco il lato organizzativo del Gas: ci si ritrova (intorno a un tavolo come al telefono o via email), si stabiliscono le scadenze per le ordinazioni (di solito settimanali o bisettimanali), si decide chi andrà a riti‐rare la merce e infine i criteri per la di‐stribuzione (a casa tua o mia? Oppure al negozio equo‐solidale?). Ecco fatto, un micro‐circuito economico è stato creato. E se vale il motto “compra che l’econo‐mia gira con te”, tanto meglio farlo se‐guendo le logiche del Gas. Arriviamo così al lato “solidale”. Il concetto di soli‐darietà è il collante di questo processo, dato che sia i membri del gruppo che i piccoli produttori sono uniti dal rispetto dell’ambiente e del lavoro ad ogni sua latitudine, due elementi che solitamente
G.A.S.: un’altra spesa è possibile
di Stefano Gasparri
Quando consumare è bene. Una ricetta alla portata di tutti: i Gruppi di Acquisto Solidale.
periferia che di certo non brilla per sensi‐bilità verso gli immigrati. Insomma, qualcosa dovevo pur fare, e allora ho preso esempio dall’esperienza del Gas di una città vicina alla mia, Legnano, e ho deciso di importarla. Sarà una cosa da poco, ma è già qualcosa, e sto imparando tanto. Ho conosciuto un sacco di persone favolose e sto apprezzando con più con‐sapevolezza i prodotti offertici da madre natura. Anche solo sapere quando arriva la stagione delle zucchine, piuttosto che dei cardi o della zucca, mi aiuta a radica‐re la mia esistenza nel mondo reale, a darmi sostanza in una società che ci por‐ta sempre più verso la frivolezza e l’insi‐gnificanza”. D’altra parte, gli stimoli provenienti dal‐la rete dei Gas sono tantissimi. Ricordia‐mo che spesso chi vi fa parte prepara incontri sull’origine del prodotto, così come organizza fiere, banchetti biologici e corsi vari. Sul sito sono presenti i vari appuntamenti, fra i quali segnaliamo il convegno nazionale dei Gas il 17/18 mag‐gio a Riccione, e il corso sull’auto‐produzione di saponi e cosmetici il 24/25 maggio a Milano. La partecipazione è sempre libera e gratuita. Osserviamo perciò che i Gas si diffondo‐no suscitando tanta passione. Infatti tale fenomeno sta prendendo sempre più piede, grazie proprio alla sua semplicità e trasparenza. Non per caso, recentemen‐te hanno raggiunto la cassa di risonanza dei mass media: la puntata di Report del 13 aprile, il programma Vasco de Gama di Radio 2 il 5 aprile, la prima pagina de ilSole24ore del 25 gennaio. Addirittura, ai Gas sono stati dedicati tre commi della scorsa Legge Finanziaria (commi 266‐268), nei quali si prevede una disciplina fiscale di favore, in quanto si stabilisce che le loro attività rivolte agli aderenti non sono commerciali ai fini Iva e Impo‐ste dirette. In queste poche righe ho descritto i Gruppi di Acquisto Solidale, un’espe‐rienza che nasce dal basso e che contiene in sé tanti nobili principi. Non intende cambiare il mondo con proclami altiso‐nanti, ma tocca un tasto nevralgico nelle società contemporanee, il consumo. Qualche anno fa si diceva che “il perso‐nale è politico”, sarà ancora vero?
subiscono le peggiori conseguenze dell’‐attuale modello di sviluppo. Fin qui, abbiamo descritto gli elementi basilari del Gruppo d’Acquisto Solidale. Ora è il momento di considerare la so‐stanza pratica di questo fenomeno. Intan‐to, chiariamo che non si tratta di una recente invenzione, poiché il primo Gas è stato costituito nel 1994 a Fidenza. Da allora, si è diffuso in tantissime città e altrettanti paesi, da Treviso a Lecce, toc‐cando quota 399 gruppi e 10 reti, ossia “federazioni” di gruppi. Per creare un Gas, inoltre, non occorre perdere del tempo con scartoffie e buro‐crazie varie, basta raccogliere 6‐10 perso‐ne interessate e sancirne la nascita uffi‐cialmente. Il passo è davvero breve, dato che sul sito è presente un modello di Statuto e un modulo precompilato dove inserire i dati dei partecipanti e della sede. Chiaramente, il costo di tutto ciò è pari a zero. Per dare un’idea delle motivazioni che possono spingere una persona ad interes‐sarsi del Gas, riporto le parole di Elena, che dal nulla ne ha costituito uno nel suo paese dell’hinterland, Rescaldina. “Dopo un viaggio in Ghana, non sono più riu‐scita a contenere la rabbia provocata dal‐la consapevolezza di così tante ingiusti‐zie e disparità. Ho iniziato a sentirmi a disagio con me stessa, come se fossi com‐plice di un sistema del quale non condi‐videvo pressoché nulla, tanto più in una
Giro di vite di Luca Fontana
PENSIERI & PAROLE I fatti d’attualità commentati dai ragazzi
buona volontà. Nel caso in questione esiste, o dovrebbe esistere, la certez‐za della pena per ogni genere di rea‐to. Ci si poteva quindi limitare ad ina‐sprire le pene, garantendo rigore e certezze contro qualsivoglia forma d’illegalità e delinquenza. Semplice, efficace e sostanzialmente corretto. Talmente semplice e corretto da po‐ter quasi passare inosservato in un paese normale. Si è voluto andare oltre, cercando una terapia d’urto e introducendo il reato d’immigrazio‐ne clandestina. Essere clandestino è di per se un’a‐nomalia da sanare in quanto contra‐ria al principio di integrazione. Tra‐sformare in reato la clandestinità è però un’operazione demagogica e sbagliata che rischia di ottenere effet‐ti minimi, se non opposti, da quelli sperati. Volendo accreditare la teoria della tolleranza zero ad ogni costo si finge di non conoscere quella che è la real‐tà Italiana. Una realtà in cui si è venuto a creare un welfare parallelo per servizi che lo Stato non può garantire, come l’as‐sistenza a domicilio per gli anziani. Una realtà in cui molti immigrati sono utilizzati da nostrani imprendi‐
C i siamo convinti che la destra ha vinto le elezioni grazie alla capacità di for‐nire risposte semplici ed
immediate alle molteplici istanze della società italiana dominata dalle insicurezze. Probabilmente la realtà è sovrapponibile alla convinzione ed il nuovo governo ha tenuto immedia‐tamente una linea operativa chiara e decisa. Passare dalle promesse ai fatti, affrontando di petto, o di pan‐cia, i problemi sul tavolo. Nulla di meglio di un’infornata di decreti in pochi giorni per far dimenticare il pantano decisionale dell’esecutivo precedente. Il popolo vuole vedere l’auto correre lungo la strada, quindi qualche colpo dʹacceleratore e via, lanciati a capofitto. Verso dove? Quante domande. Accontentatevi di correre, agevolati dal mutato e idil‐liaco clima politico e da una stampa rigorosamente con il sorriso stampa‐to sulle labbra. Questo decisionismo governativo sembra trovare il favore degli Italiani nell’attesa che alla poli‐tica dell’annuncio si sostituiscano in brevissimo tempo soluzioni concrete, efficaci e soprattutto eque. Il tema sicurezza, spesso confuso unicamente con il problema immi‐grazione, ha assunto una posizione centrale nella campagna elettorale, ed è stato uno dei primi ad essere affrontato attraverso un decreto im‐mediatamente efficace, sommato ad un disegno di legge da discutere in Parlamento. Misure che dovrebbero rispondere con precisione e fermezza alle pressanti richieste dei cittadini esasperati. Sappiamo tutti che non esiste pezzo di carta che possa risolvere un pro‐blema. Esistono invece l’applicazione ed il rispetto delle leggi. Esiste la
tori in svariati generi di lavori, nei cantieri o nei campi, sottopagati, in nero e in condizioni di sicurezza pre‐carie. Questo esercito di badanti, im‐bianchini, cuochi, muratori dovrebbe essere considerato passibile di carce‐re da un giorno con l’altro? Invece il datore di lavoro, che contribuisce a questa clandestinità non regolariz‐zando l’immigrato e aggravando tra lʹaltro la piaga dell’italica evasione fiscale, di cosa dovrebbe essere passi‐bile? La tolleranza zero contro l’illegalità è una risposta condivisibile ad un pro‐blema percepito e reale ma non può fare da sponda ad atteggiamenti ese‐crabili di giustizia sommaria non degni di un paese civile, in un clima di crescente tensione. Inoltre dell’im‐migrazione il sistema Italia ha tre‐mendamente bisogno. I facili slogan da campagna elettorale devono la‐sciare il posto alla sobrietà, in modo da agevolare l’integrazione di tutti gli immigrati miti ed onesti in cerca di un presente sereno, permettendo loro di regolarizzarsi con rapidità. Una vita dignitosa è la miglior ga‐ranzia per fondere l’accoglienza e la sicurezza. Senza leggi che mettano i bastoni tra le ruote a chi vuole solo sopravvivere lavorando onestamen‐te, leggi che si ritorcono tra l’altro contro le stesse famiglie Italiane presso le quali questi immigrati lavo‐rano. Senza voler mostrare frettolo‐samente i muscoli a tutti i costi, evi‐tando cambi di rotta e ripensamenti dettati dall’opportunismo politico con eccezioni e ravvedimenti tipica‐mente italiani. Si risparmino le ener‐gie da utilizzare unicamente contro i veri delinquenti verso cui i muscoli meritano si essere mostrati sul serio.
«La tolleranza zero contro l’illegalità è una risposta condivisibile ma non può fare da
sponda ad atteggiamenti esecrabili di giustizia
sommaria»
P E N S I E R I & PA R O L E
La doppia sfida del PD di Armando Dito
propria base elettorale, deve essere riempito di contenuti e rinnovato nella sua classe diri‐gente. Invece l’establishment del partito è rimasta abbarbicata alle “poltroncine” e non si vede nessuna novità o volto nuovo all’oriz‐zonte. In secondo luogo Il PD avrebbe il com‐pito di costruire un progetto futuro di gover‐no con le altre forze politiche disponibili che sia in grado di presentare un’alternativa vincente al progetto delle destre, al contrario stiamo dolorosamente vedendo come su que‐sto aspetto ci sia un’inquietante calma piatta. Avere una progettualità consentirebbe di poter dettare l’agenda politica del governo e di metterlo in difficoltà, la strategia di aspet‐tare le scelte e opporsi debolmente mi sembra
M a dove vai? Ma cosa fai? È con le parole di Vasco Rossi che vorrei rivolgermi a Wal‐ter Veltroni per questi primi
passi da leader dell’opposizione. Sono passati quasi due mesi dalle elezioni e vorrei fare una riflessione sul nostro scenario politico inter‐no. Cominciamo dal governo. Devo ammette‐re che Berlusconi mi ha stupito nella compo‐sizione del nuovo esecutivo; generalmente in politica è il perdente a promuovere volti nuo‐vi e a cercare di rigenerare la classe dirigente, invece inaspettatamente è stato il Cavaliere a costruirsi un team di fedelissimi composto da un cospicuo numero di giovani under 40 o addirittura under 35. Questo però non vuol dire che le intenzioni del Premier siano cam‐biate, lo ha mostrato la presenza del decreto Salva Rete 4 secondo la logica del meglio fare subito le “sporche” perché 5 anni sono lunghi così che i cittadini si dimentichino. Inoltre non sono state individuate le priorità del paese, per esempio la necessità di riforme strutturali come quella delle pensioni o del mercato del lavoro o dei mercati bloccati in genere (si legga liberalizzazioni); ma si sta tentando di rispondere frettolosamente ai grandi temi mediatici: ne è conseguita una brutta legge sull’immigrazione, che di sicuro costituirà un deterrente per i clandestini, ma da un lato porterà a un inasprimento dei rapporti coi paesi nordafricani e dell’est euro‐peo, dall’altro, sul fronte interno, metterà in gravi condizioni di illegalità lavoratori immi‐grati onesti che non hanno un regolare per‐messo di soggiorno solo a causa delle restri‐zioni della Bossi‐Fini. Unʹaltra scelta fretto‐losa riguarda l’energia, un problema atavico della nostra economia. Rispondere che si risolve tutto tornando al nucleare, con un colpo di bacchetta magica, suona un po’ come un insulto alla nostra intelligenza, infatti i problemi energetici si risolvono con progetti di lungo periodo e orientati al futuro; per questo la scelta univoca verso il nucleare sembra riduttiva, specie quando paesi come la Germania investono notevoli risorse nelle fonti rinnovabili. A questo punto mi chiedo dove sia l’opposizione, infatti scegliere la costituzione di un governo Ombra ha senso solo se si viene legittimati dagli avversari, ma chiaramente questa legittimazione può avve‐nire solo se l’opposizione è debole; se il clima politico diventasse più teso non credo che Berlusconi possa avere ancora interesse a legittimare un governo “fuffa”. Veltroni dopo una sconfitta così pesante dovrebbe lavorare verso due direzioni: la prima riguarda la struttura del PD, si è riusciti infatti a creare un grande contenitore che, per accrescere la
figlia di una dirigenza priva di idee e in forte difficoltà. Insomma nel PD ci vorrebbe una piccola rivoluzione dal basso. L’unico leader che ha colto questi aspetti pare essere Massimo D’Alema, anzi alla Summer‐School di Italiani‐Europei, l’ex Premier si è esposto su un nodo di Gordio da sciogliere all’interno dei democratici, circa quale rap‐porto avere con gli enti ecclesiastici, prenden‐do atto che cercare il voto dei cattolici mode‐rati è perdente. Credo che il PD possa avere un grande futuro, ma ora caro Walter biso‐gna invertire la rotta e suonare la carica, altrimenti si rischia di lasciare l’Italia a Sil‐vio & Co. per molti e molti anni.
Ieri, oggi e domani di Dario Luciano Merlo
L ʹidea che questo potesse essere lʹultimo numero di Acido Politico mi ha preoc‐cupato, e non soltanto perché scrivo su questo giornale da quasi due anni, insieme ad un gruppo di persone valide e con grande spirito dʹiniziativa. Una rivista letta da studenti e professori, che dopo tre anni è conosciuta in quasi tutta la facoltà ed è il focolaio di dibatti‐ti sul sistema universitario non merita di sparire né ora, né tra qualche mese. Purtrop‐po, così come per qualsiasi altro progetto studentesco, questa sarà la sorte più probabile senza il supporto dellʹUniversità. Non credo esista la speranza che da un giorno allʹaltro la Facoltà decida di premiare in qualche modo gli studenti che volontariamente scrivono, impaginano, pubblicano e distribuiscono questo e altri giornali, nonostante il tempo ad esso dedicato sia andato crescendo con il nu‐mero delle pagine e della qualità complessiva. Lʹinteresse dellʹUniversità termina con lʹero‐gazione dei fondi “Mille lire”, ossia con i contributi alle attività studentesche, peraltro previsti per legge. Nel corso dei tre anni di esistenza del giornale è stato necessario pre‐notare unʹaula ogni volta che fosse necessaria una riunione della redazione. La procedura, per essere completata regolarmente, richiede‐va di controllare, con sette giorni di anticipo, la disponibilità di unʹaula. Compilare, quin‐di, la richiesta con le firme di tre studenti o di un rappresentante degli studenti e conse‐gnarla alla segreteria della presidenza, atten‐dendo dopo qualche giorno lʹapprovazione del preside. La medesima autorizzazione è neces‐saria anche per distribuire il giornale nel
cortile della Facoltà, motivo per il quale è diventata prassi non richiederne alcuna ed agire in (presunta) illegalità. Nel tempo lʹu‐nico progresso ha visto i tempi accorciarsi a quattro giorni, senza nulla togliere alla com‐plessità della procedura o alla necessità di una piccola redazione. Anche la richiesta di posizionare distributori per il giornale in luoghi di passaggio, a spese del giornale, è stata respinta più volte, sia in via informale, sia a fronte di una richiesta dei rappresentan‐ti in Consiglio di Facoltà, ed ecco gli unici distributori confinati di fronte alle librerie, il più nascosti possibile dagli occhi di studenti e visitatori. La sezione virtuale è a sua volta ospitata, a pagamento, su server esterni, mentre il sito della Facoltà propone nella propria homepage il link a Via Conservato‐rio, la rivista ufficiale, ovvero un periodico quadrimestrale scritto per la maggior parte da professori. Immagino le perplessità per i nuovi potenziali studenti che, sperando di avere lʹopportunità di scrivere sul giornale di Scienze Politiche si trovano di fronte a un progetto scostante e senza alcuna linea edito‐riale. Il futuro di questo giornale è affidato allʹentusiasmo dei suoi direttori, alla possibi‐lità di trovare nuove persone, con lʹinizio del prossimo anno, che prendano in carico parte delle responsabilità legate allʹesistenza del giornale, oppure alla speranza che per la pri‐ma volta la facoltà o qualche suo docente, voglia essere innovatrice e valorizzare questo prodotto prima che rimanga solo nella memo‐ria dei fortunati studenti di questi ultimi tre anni.
C U LT U R A
schiacciata dagli orrori del “trujilliato”. Dal fuku che si agita intorno alla bel‐la Belicia cerca di proteggerla la vec‐chia abuela che la crescerà cercando inutilmente di salvarla ai dolori che la segneranno e alla fuga. Così lungo una linea del tempo che lega vite tanto lontane e luoghi tanto diversi riaffiorano i legami con un passato che veicola misteri d’orrore e amore che aleggiano nel presente legando i protagonisti a origini a lungo ignora‐te ma mai del tutto sopite. Alla fuga della madre seguirà il ritorno del figlio nell’isola in cui si agitano le passioni più brucianti, dove si scon‐tra la lotta per la vita contro i carnefi‐ci dei sogni. Junot Diaz (foto in alto) vince con questo romanzo il “Pulitzer 2008”, premiato per la ca‐pacità di costruire quella che è stata definita una saga famigliare sangui‐naria e sensuale in cui la prosa si mescola in un amalgama di linguag‐gi quello fantasy, lo slang del ghetto spagnolo, gli insulti più triviali e ri‐correnti riferimenti letterari. Al letto‐re rimane l’indefinibile sensazione che si prova sognando, come di u‐n’immagine onirica in cui presente, passato e personaggi si sciolgono in un’atmosfera di superstizione, leg‐genda e mistero. La realtà storica si mescola con il soprannaturale la‐sciando il gusto di qualcosa di favo‐leggiante che ricorda il riflesso di un immagine in un vetro.
L’esatto contrario si può dire invece per Lola sua sorella, una vera guapa latina, con un carattere ardito, com‐battivo e un incessante bisogno di fuga da se stessa, dall’asfissiante vita del ghetto americano e soprattutto dalla madre rabbiosa e soverchiante
quanto affettivamente assen‐te, la terribile Belicia. Prima dell’America, della fuga da Santo Domingo, prima di O‐scar e Lola c’era una ragazza di nome Belicia Cabral scura come il caffè tanto alta quanto incredibilmente bella e irri‐mediabilmente irrequieta;
sempre alla ricerca di qualcosa che riempisse la sua fame di vita, d’amo‐re e chetasse il tormento interiore che la legava alle sue origini macchiate di sangue. Un’ombra di mistero e crudeltà che su di lei avevano im‐presso il marchio della sventura che aveva toccato la famiglia Cabral,
MILANO ‐ Questa è una storia di fuku (maledizione o sventura), la sventura del Nuovo Mondo di cui Santo Domingo è il suo porto d’in‐gresso e la dimora del suo sacerdote, Raffae‐leonidas Trujillo Molina, uno dei dittatori più infami del XX sec. che esercitò un potere fatto di violenza, intimidazioni, mas‐sacri, stupri, cooptazione e terrore. Forse però il protago‐nista di questa storia, Oscar Wao, preferirebbe una defini‐zione un po’ più fantascienti‐fica. Oscar è un chico domeni‐cano che dello stereotipo del play boy ispanico non ha neppure l’ombra, è un nerd (sfigato) grasso, chiazzato di foruncoli, impacciato e con una passione sfrenata per il fan‐tasy e un’ossessione ovviamente non ricambiata per le ragazze, convinto che anche la vita sia come una di quelle storie.
Una saga famigliare sanguinaria
di Stefania Carusi
Con il romanzo “La breve favolosa vita di Oscar Wao” Junot Diaz ha vinto il premio “Pulitzer”. Una storia, americana, ai limiti della vita
Promemoria
centri ospedalieri specializzati per donare il loro sangue. Non solo perché è un bene prezioso, ma anche perché ogni anno che passa le sale operatorie regi-strano sempre meno sacche a disposizione dei chirurghi. www.donareilsangue.it è il sito web dove potete trovare i centri ospedalieri dove si eseguono le trasfusioni e dove si può donare il sangue. Altre informazioni po-tete trovarle sul sito dell’AVIS, www.avis.it, l’associazione vo-lontari italiani sangue. Donare il sangue non è solo un atto di umanità verso gli altri, ma anche un segno di civiltà.
S pesso ce ne dimentichia-mo. Anzi, a dirla tutta, non ci pensiamo proprio. Perché è un problema che
tocca sempre gli altri e mai noi. Almeno così, nell’inconscio, sia-mo indotti a credere. Però fermiamoci un attimo a pensare: cosa potrebbe succe-dere se, un giorno, gli ospedali non avessero più la disponibilità di sangue per le trasfusioni? Quante persone morirebbero? E se, disgraziatamente, dovessimo essere noi ad avere bisogno di sangue? Meglio non pensarci, no? Per questo invitiamo tutti i no-stri lettori a rivolgersi presso i
C U LT U R A
ans chiari, camicia giallina e capelli ricci raccolti in una piccola coda. Ride e scher‐za tutto il tempo con il moderatore della serata, il prof. Carlone della Banda Osiris (il gruppo che accompagna la Dandini nel suo programma “Parla con me”, in onda su rai 3). Il jazzista risponde alle domande del pubblico e racconta aned‐doti della sua vita esemplificandoli al piano: ci fa sentire come era la “Per Eli‐sa” che ascoltava dal giradischi vecchio e rotto del nonno, e come si presentava alle sue orecchie di bambino “la Stangata” su un 33 giri che però per errore aveva fatto girare a 45. Nessuno spazio alla noia durante lo spet‐tacolo, neppure quando dalla platea gre‐mita piovevano domande piuttosto “di settore”: “che cosa ne pensa di Monk?” “Qual è il suo rapporto con Frank Zap‐pa?” Grandi jazzisti, il primo forse però molto lontano dal suo stile e Bollani ce ne ha dato un esempio (effettivamente si tratta di un jazz non proprio rilassante né di facile ascolto). Pillole di storia del jazz italiano (proibito durante il fascismo, ma ascoltato in casa Mussolini), imitazioni perfette (Jovanotti, Allevi ed Einaudi – il pianista) e tanto divertimento musicale, forse all’incontro è mancato qualche pezzo in più che pote‐va essere suonato. Certo, però, non si può rimproverare nulla a questo mattato‐re che, dopo la fine dello spettacolo, quando ormai qualcuno del pubblico aveva già cominciato ad andarsene, è corso fuori dalle quinte e si è precipitato al piano per salutare a ritmo di jazz la calorosa platea di studenti che lo aveva a lungo applaudito. Questa lezione‐concerto è stata organiz‐zata da Sinistra Universitaria, grazie al (modesto) fondo messo a disposizione dall’università per le attività culturali che si sviluppano per iniziativa degli studen‐ti. Non è il primo incontro del genere porta‐to da questo gruppo (ha fatto venire in Statale, fra gli altri, la banda Osiris e Mo‐ni Ovadia), né SU è l’unica organizzazio‐ne a proporre questo tipo di eventi cultu‐rali (c’è , ad esempio, l’Associazione Mu‐sica e Teatro). Quindi, chiunque di noi studenti sentisse l’importanza e l’esigen‐za di “far crescere il senso si comunità all’interno dell’Università”‐ per usare le parole che hanno introdotto l’incontro di venerdì‐ con questo tipo di attività, non esiti a fare come hanno fatto gli organiz‐zatori di queste giornate: inseguire perso‐naggi importanti del mondo dello spetta‐colo dopo le loro esibizioni nei vari teatri cittadini e tampinarli con la proposta di venire a calcare le scene nella nostra Uni‐versità. Con un cachet molto modesto, ovviamente.
MILANO ‐ Il jazz come modello di socie‐tà civile ideale: ci si ascolta e ci si accetta reciprocamente, anche se magari non ci si piace. Questo è il messaggio che è ri‐suonato nell’Aula Magna della nostra Università venerdì 8 maggio. A portarlo agli studenti, Stefano Bollani, uno dei più eclettici jazzisti del variegato panorama italiano. Ha cominciato a stu‐diare pianoforte a 6 anni, a 15 era già una promessa e a 21 si è diplomato al Conser‐vatorio di Firenze. Dopo una breve pa‐rentesi pop (che comunque non rinnega) si è dedicato al suo grande amore, il jazz, senza rinunciare alla musica classica e a collaborazioni televisive, teatrali e radio‐foniche. Ha scritto anche dei libri, tra cui merita attenzione “la Sindrome di Bron‐tolo”. Tratta di come si ricordino più facilmente i difetti delle persone, che le loro qualità. Non è assolutamente un trattato di filosofia, lo stesso Bollani ha precisato che sono solo sue osservazioni, ma … provate a elencare i nomi dei sette nani: di sicuro ve ne mancherà sempre uno, Gongolo. Questo accade perché lui è il nano più felice di tutti. (Ah, se il vostro capo vi sta antipatico, probabilmente non vi ricorderete neppure di Dotto). Alla lezione‐concerto di venerdì 9 maggio, Lella Costa, presente in sala, ha detto di lui che “è uno che ama il pubblico”. Ed è vero: Bollani si presenta sul palco in je‐
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Bollani, one man show in Statale La musica jazz ha animato per un giorno gli ambienti di via Festa del Perdono. Grazie all’iniziativa degli studenti
di Lina Sirianni
La poesia
Diventa ritratto e musica della mia anima, la poesia. Con cautela e amore m’avvicino a ʺleiʺ, ho parole da plasmare a mio piacimento come pennellate di colore sulla tela di un pittore, note musicali su spartiti di pianista! Non m’intendo di metrica, di terzine né di quartine, la chiusa la scopro quando la poesia
di Stefania Riva
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M U S I C A a cura di Luca Ceriani
L’EVENTO
Il Sonar 2008 a Barcellona
Come ogni inizio estate, Barcellona ospita uno dei festival alternativi di maggior successo mondiale: il Sonar(www.sonar.es). Non è un festival comune agli altri, al suo interno ospita un cosi variegato numero di artisti che non è possibile concepire una linea guida riguardo a una certa corrente musicale o a un certo genere. Anzi è proprio l’assenza di genere che si vuole enfatizzare. Quello che si può dire è che per tre giorni la crema musicale indipenden‐te e non patinata sarà a Barcellona, come sempre ci sarà un riguardo par‐ticolare per la scuola inglese e france‐se, presenti con una serie innumere‐vole di showcases o di artisti singoli ma quest’ anno non mancheranno ospiti di labels extraeuropee.. Ideato per chi vuole comprendere cosa ci aspetta nell’immediato futuro nel campo musicale, il Sonar è un progetto di largo respiro che vanta una storia lunga 15 anni e centomila visite annue. Incredibili le locations selezionate per gli eventi musicali e non, vi innamo‐rerete della città e degli artisti selezio‐nati dallo staff dell’evento, non riu‐scirete più a perdervene uno.
Luca Ceriani
Nu Yorica!
CULTURE CLASH IN NEW YORK Nella “Grande mela” , in quella grande zuppa di culture pro‐venienti da tutto il globo, può succedere anche d’ imbattersi in particolarissime produzioni musicali che rispecchiano l’ani‐mo multiforme della città più famosa al mondo. La Soul jazz records, con sede in UK, propone una raccolta di dischi pro‐dotti dalla corrente latina presente nella “Big city” americana. Il clash tra le diverse matrici sonore, latin da una parte jazz/ funk dall’altra, creato dagli artisti in voga del periodo preso in considerazione dalla label, trasforma l’album in qualcosa di unico e curioso. Ascoltarlo è po’ come vivere una giornata tra le vie notturne di New York o in qualche cantina trasformata in club, dove tra alcool, fumo e sudore bands si susseguono miscelando generi e accrescendo il mito della città; Nu yorika!
The Roots
RISING DOWN The Roots are back! E sono davvero arrabbiati, scorda‐tevi le tracce al limite dell’ hip hop patinato d’inizio millennio. Suoni acerbi, duri e nervosi fanno da con‐torno alle 14 tracce prodotte da questo collettivo di Philadelphia attivo dal 1989. A detta di loro questo ultima fatica è quella più intrisa di politica e rabbia in cui, oltre a invettive alla vita nella loro città, polemiz‐zano per la situazione generale americana. Adden‐trandosi nell’album si ha proprio la percezione, svi‐luppata magnificamente dai vari appartenenti della band, di essere in un film alla “Blade Runner”, in un
mondo post tutto, dove è il nichilismo e la distruzione a comandare l’animo umano. Tra beats breakbeat e featuirings di spessore, “Rising down” è il top disco dell’ ultima sta‐gione. Non dimenticatevi che dietro a quest’album c’è forse la più grande etichetta del rap: la Def Jam.
Booka Shade
THE SUN & THE NEON LIGHT Poverini gli arroganti che diminuiscono il lavoro di producers come i tedeschi Booka shade. Senza il duo tedesco non si potrebbe capire l’ultima decade della musica underground europea, non solo sono i fondatori di un suono e una percezione dell’elet‐tronica diversa(getphisical.com) ma sono anche stati tra i primi a coniugare la musica house con il concetto di live: batteria elettronica, due laptops e una serie di pianole che li ha portati ad aprire i concerti dei Depeche Mode in tutto il mondo e ad una serie di live nei miglior clubs. Rieccoli quindi a distanza di due anni dal loro ultimo, pregiatissimo e premiatissimo, album “Movements”. Il disco assemblato è proprio il concentrato della visione musicale tedesca indie: techno, dark, minimale. Non ci vorrà molto prima che i singoli dell’album verranno sbalzati qua e la nelle classifiche o semplicemente nei dancefloors del mondo, la prima è stata “Charlotte” remixata da Dubfire, ma di jump up nel disco ce né molte, basterà attende‐re.
Freddure «Moratti ha sciolto i suoi dubbi e ha preso finalmen‐te una decisione chiara: il nuovo allenatore dell’Inter
sarà Mancinho »
(www.gago.splinder.com)
N E X T G E N E R AT I O N
ma che a Como e provincia ha un seguito non trascurabile. «Croppy boy significa “ragazzo dai capelli tagliati” – ci spiega Ottaviano (Otto, per tutti), il cantante della band ‐. Durante la dominazione della mo‐narchia britannica a Tralee, in Irlan‐da, ci furono due sommosse represse nel sangue. Protagonisti di queste sommosse furono i croppy boys i quali portavano i capelli rasati, men‐tre in quei tempi avevano tutti i ca‐
COMO – Lo sfondo della loro pagina MySpace è la foto di un lago. Scelta per niente casuale perché è proprio attorno al lago – quello di Como, per la precisione – che ruotano le storie narrate e cantate dai “Croppy Boys”. La band comasca produce uno stile musicale che è una via di mezzo tra il folk ed il rock con nette influenze di Davide Van de Sfroos e dei Modena City Ramblers. Una musica non al centro delle preferenze della massa,
Il folk italiano nelle mani dei “Croppy Boys” Il più piccolo ha 14 anni e suona la fisarmonica, il più grande 34. Attorno al lago di Como la band realizza musica tradizionale. Nonostante le majors
CARTOLINE DALL’INDIA dall’inviata Daniela Balin
Info
http://www.myspace.com/croppyboys
pelli lunghi. La prima canzone che ho scritto parla di uno di loro e si chiama appunto “Croppy boy”. Da qui deri‐va anche il nome della band». Il gruppo è composto da sette perso‐ne; alla batteria Eros (24 anni), alla chitarra elettrica Alessandro (24), al basso Fabio (30), alla chitarra acustica Filippo (34), la voce è di Ottaviano (21), quindi i due gioielli: Damiano, 16 anni, al violino e soprattutto Silva‐no, di soli 14 anni, alla fisarmonica. La band si è formata a settembre del‐l’anno passato e deve ringraziare an‐che un incrocio semaforico: nell’attesa che scatti il verde Filippo conosce Damiano mentre sta suonando col suo violino una canzone di Van de Sfroos. Non si fa sfuggire l’occasione e gli chiede di entrare nel gruppo. Ma perché la musica folk? «Perché ci piace molto Davide Van de Sfroos – risponde sempre Ottaviano ‐, per il suo modo di raccontare il lago, ele‐mento importante dell’esistenza di noi comaschi; poi perché il folk è in‐centrato molto sulla melodia e sui testi, perché è una musica profonda. Proprio per questo, ogni volta che suoniamo, si crea sempre un clima intimo tra noi e chi sta ascoltando. Ed è quello che ci piace di più». Sarà per questo che i luoghi preferiti dai “Croppy Boys” sono i baretti «un po’ così, con gente talvolta strana» oppure sagre di paese, dove «tra una salamella e l’altra si suona e si ascolta musica che coinvolge emotivamente». Hanno i piedi per terra questi ragaz‐zi, non si fanno troppe illusioni e, anzi, pensano che il mercato musicale sia sfavorevole al loro tipo di musica. Ma il cantante precisa che «se la mu‐sica folk è in crisi dal punto di vista del mercato discografico, sono tanti i gruppi che producono costantemente musica folk. Alla fine, però, decidono le majors ed è quello che ascoltano i ragazzi di oggi». Dopo la nostra chiacchierata, Ottavia‐no và a coronare il suo sogno: suona‐re e cantare con Van de Sfroos a Mez‐zegra. Nei pressi del lago di Como, ovviamente.
L.B.
Red Fort Agra, India (© Daniela Balin / Acido Politico)
C I N E M A
Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo visto da Marco Fontana e Luca Silvio Battello
MILANO ‐ Una mano si accinge a raccogliere un cappello, per poi portarlo sul capo; questa è l’imma‐gine che con tanta emo‐
zione ci introduce il mitico Indiana Jones. Ebbene si, è nuovamente Harri‐son Ford a indossare il copricapo del più famoso archeologo del secolo pas‐sato, in Indiana Jones e il regno del te‐schio di cristallo (USA, 2008, 125 minu‐ti). Dopo 19 anni dalla sua ultima avven‐tura: “Indiana Jones e l’ultima crocia‐ta”, ci troviamo nel bel mezzo della guerra fredda, nel 1957, questa volta sono i sovietici, a cercare i poteri oc‐culti, provenienti da oggetti del passa‐to della nostra civiltà o di una…Extraterrestre. Le aspettative della pellicola, però, si esauriscono nel rive‐dere lui, l’eroe che tutti portiamo nel cuore da 27 anni, dai tempi di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta. Le scene del nostro avventuriero sono c a r i c a t u r a l i , ripensando a ciò che era, e le sue nuove av‐venture sfiora‐no l’assurdo. Se nei tre prece‐denti film, l’a‐zione era com‐penetrata da delle affascinanti teorie archeologiche; ora l’azione sovrasta tutto, a discapito del fine ultimo del Dottor Jones: la conoscenza. I colpi di scena, nelle avventure del protagonista, non mancano. Rivederlo è stato come incontrare di nuovo, do‐po molti anni, un vecchio amico, e le cose che ci si deve raccontare sono parecchie. Il pubblico in sala vuole solo lui: Indiana Jones, con il suo stile inconfondibile. Purtroppo è ciò che è stato costruito attorno al nostro perso‐naggio che non funziona… Come nei bei tempi che furono. (l.s.b.)
volte rinviato. Lʹavanzare dellʹetà del protagonista Harrison Ford non favo‐riva lieti auspici anche perché lʹironia sugli anni che aumentano si era già spesa con il personaggio del padre di Indy interpretato da Sean Connery nel film del 1989. I dubbi si possono considerare fugati. La formula in fon‐do non cambia: là dove era l’Arca oggi c’è un teschio, dove erano nazisti ora sono russi, oltre alla paura degli alieni tipica di quegli anni. Senza Ste‐ven Spielberg, George Lucas e Harri‐son Ford non si poteva immaginare Indiana Jones e infatti il team non è cambiato e il risultato non è stato un fallimento. Per gli amanti della saga, come il sottoscritto, un film da non perdere, mentre per gli altri sarà un normale film d’avventura, interpreta‐to però da un bravo attore e diretto da un mago della cinepresa. Voto 6.5
(m.f.)
«Per gli amanti della saga di Spielberg un film da
non perdere»
MILANO ‐ 1957, in mez‐zo al deserto e nel pieno della guerra fredda, il professor Jones (Harrison Ford) ed il suo compare
Mac, riescono a sfuggire alla cattura da parte dell’agente sovietico Irina Spalko (Cate Blanchett). Una volta ritornato al Marshall College, il deca‐no dellʹistituto, informa Jones del fat‐to che il governo, per via delle sue ultime attività, ha fatto delle pressioni per sollevarlo dal suo incarico. Poco male, perché, a stimolare il professore a buttarsi in una nuova impresa, arri‐va Mutt (Shia LaBeouf), un giovane ribelle, che gli propone di aiutarlo nella ricerca di un preziosissimo re‐perto archeologico, il Teschio di Cri‐stallo di Akator. Purtroppo, una vol‐ta arrivati in Perù, si accorgeranno che non sono gli unici interessati al ritrovamento dellʹoggetto, sulle tracce del cimelio ci sono anche i russi. A 19 anni dall’Ultima crociata torna sul grande schermo l’archeologo più famoso di tutti i tempi. Si nutrivano molte attese e al contempo molti ti‐mori per questo quarto episodio della saga troppe volte annunciato e troppe
LA MEGLIO GIOVENTU’? Ragazzi pachistani giocano a biliardo nel quartiere cristiano Kashi Kalun di Islamabad
(EMILIO MORENATTI / AP PHOTO)
NO MORE TEARS L’ennesimo funerale di un civile ira-cheno ucciso durante gli scontri con i soldati american che hanno provo-
cato 37 morti (AHMAD AL-RUBAYE / AFP / GETTY)
FURIA CIECA Un bambino iracheno viene cu-rato dai medici militari statuni-tensi dopo l’ennesima auto-bomba scoppiata a Mosul, in Iraq
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