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Mensile universitario gratuito di politica, cultura e società ANNO III, NUMERO 23 - MAGGIO / GIUGNO 2008
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Acido Politico

Mar 18, 2016

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Acido Politico

2008_maggio_giugno
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Page 1: Acido Politico

Mensile universitario gratuito di politica, cultura e società

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Mai più bombe a grappolo di Matteo Manara 

Società

MENSILE UNIVERSITARIO GRATUITO

DI POLITICA, CULTURA E SOCIETÀ

DIRETTO DA

FLAVIO BINI LEONARD BERBERI

IN REDAZIONE

ANA VICTORIA ARRUABARRENA DANIELA BALIN

LUCA SILVIO BATTELLO ANTONIO BISIGNANO MICHELE CAPACCIOLI

LUCA CERIANI BENEDETTA DE MARTE

ARMANDO DITO LUCA FONTANA

MARCO FONTANA MATTEO FORCINITI STEFANO GASPARRI

MARZIA LAZZARI DARIO LUCIANO MERLO

GIULIA OLDANI FRANCESCO RUSSO LAURA TAVECCHIO

COLLABORATORI ILARIA ALESSIO

MARCO ANDRIOLA DANILO APRIGLIANO

YASSIN BARADAI PIETRO BESOZZI GUIDO BETTONI GIULIA BRASCA

ALESSANDRO CAPELLI STEFANIA CARUSI

ROSA ANNA CASALINO ALESSANDRO CASOLI

ALESSANDRO CHIATTO ALESSIA CREMASCHI ANDREA FUMAGALLI

JACOPO GANDIN GABRIELE GIOVANNINI

DANIELE KESHK MATTEO MANARA JENNIFER MARFIA

STEFANIA RIVA CLAUDIA ROBUSTELLI

IMPAGINAZIONE & GRAFICA

LEONARD BERBERI

CONTATTI [email protected]

SITO WEB

www.acidopolitico.com

WEBMASTER ALESSANDRO LEOZAPPA

STAMPA

“Zetagraf Snc” Via Pomezia, 12 - Milano

Stampato con il contributo

derivante dai fondi previsti dalla Legge n. 429 del 3 Agosto 1985

Registrato al Tribunale di Milano,

n. 713 del 21 novembre 2006

DIRETTORE RESPONSABILE ROBERTO ESCOBAR

Numero chiuso il 3 giugno 2008

Un comitato costituito da docenti della Facoltà di  Scienze  Politiche  si  è  assunto  ‐  su  richiesta della  Direzione  e  della  Redazione  di  “Acido Politico”  ‐  il compito di garantire  la  libertà e la correttezza  sul  piano  legale  del  contenuto  del periodico,  senza  peraltro  interferire  sui  suoi orientamenti  e  contenuti  e  senza  pertanto garantirne in alcun modo la bontà. Il comitato è composto  dai  prof.  Antonella  Besussi, Francesco  Camilletti,  Ada  Gigli  Marchetti, Marco  Leonardi,  Lucia  Musselli,  Michele Salvati  e  Roberto  Escobar,  il  quale  assume,  ai fini  della  legge  sulla  stampa,  la  funzione  di direttore responsabile.  

Comitato di Garanzia

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Focus 18 Legittimità perduta a cura di Debora Pignotti e Matteo Forciniti 

Altromercato 21 GAS, un’altra spesa è possibile di Stefano Gasparri 

Copertina Adesso i voti li diamo noi di Leonard Berberi e Flavio Bini 

Università 8 “Women at work” a Scienze Politiche di Valeria Chiesa e Veronica Nisco 

Attualità 10 S.O.S. Cibo di Benedetta De Marte e Marzia Lazzari 

Esteri 16 Il conflitto (quasi) dimenticato di Mirko Annunziata 

LE RUBRICHE 1 Editoriale 15 Altrainformazione 15 La vignetta 22 Pensieri & Parole 25 Parole in libertà 26 Musica 28 Cinema Cartoline dall’Inferno Controcopertina

Una saga famigliare sanguinaria di Stefania Carusi  

Cultura 24

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di Leonard Berberi e Flavio Bini 

Il sondaggio proibito

EDITORIALE

N ella  candidatura  da  presentare  per  accedere alla prestigiosa Science Po di Parigi, una voce merita  un’attenzione  particolare:  “Che  cosa pensi di poter dare  tu, studente, alla  tua uni‐

versità?”.  Tale  voce  concorre  tanto  quanto  il  curriculum vitae et studiorum ai fini della selezione.     Perché  raccontarvi  questa  storia?  Perché  quello  che  è accaduto nelle ultime settimane in questa università, oltre ad  assumere  i  toni  della  più  grottesca delle  circostanze,  ha  il  merito  se  non altro di palesare una volta per tutte che cosa renda la nostra facoltà tanto inade‐guata rispetto alle sue concorrenti euro‐pee.    Troverete nelle pagine seguenti l’esito del  sondaggio  che  abbiamo  sottoposto agli  studenti,  cui  abbiamo  chiesto  di valutare  i corsi seguiti ed  i docenti  loro responsabili.  Una  consultazione  inno‐cente, che ha peraltro incontrato il favo‐re e l’entusiasmo degli stessi studenti. Il preside però, oltre a segnalarci gli estre‐mi di una denuncia per  interruzione di pubblico  servizio  ci ha  comunicato  che tale  iniziativa sarebbe stata portata dinnanzi ad una com‐missione disciplinare. Insomma, non si può fare.    Mentre  questo  numero  va  in  stampa,  non  conosciamo ancora  quali  saranno  le  reali  intenzioni  del  Preside. Co‐munque vada delle due l’una: se tale minaccia non doves‐se  portare  ad  alcunché,  si  tratterebbe  del  peggiore  degli atteggiamenti intimidatori, perché esercitato da una figura istituzionale incaricata di far eseguire le regole non di mi‐nacciare  gli  studenti.  Ci  avrebbe  dissuaso  dall’esercitare non soltanto un sacrosanto diritto di cronaca  (non abbia‐

mo espresso nostre valutazioni, abbiamo  raccolto e orga‐nizzato  le voci degli  studenti), ma  anche dal  rivendicare un  legittimo  principio  di  trasparenza.  Se  minaccia  non fosse, rimaniamo  in attesa di fornire  le nostre spiegazioni nelle sedi competenti, anche per poter conoscere di perso‐na quale illecito, civile e disciplinare, avremmo commesso. Il  reato  di  aver  dato  agli  studenti  la  possibilità  di  avere finalmente voce  in  capitolo? Ma  andare  fino  in  fondo  si‐

gnificherebbe sovrastimare un’iniziativa che  nasce,  lo  ripetiamo,  con  l’intento soltanto di mandare un segnale, non di offrire  indicazioni  statisticamente  rile‐vanti. Questo compito è, e deve rimane‐re, prerogativa esclusiva delle valutazio‐ni ufficiali.    Il  dubbio  a  volte  sfiora  anche  noi,  di sbagliare  e  di  aver  sbagliato.  Ma  non stavolta, non vedendo ragazzi e ragazze estranei  alla  redazione  chiedere di  aiu‐tarci  nella  somministrazione  e  nell’ela‐borazione del sondaggio. Per non parla‐re degli studenti cui è stato sottoposto il questionario  che,  come mai  è  accaduto in  questi  anni,  sono  stati  entusiasti  di 

partecipare a questa consultazione popolare.    E proprio far partecipare gli studenti è quello che “Acido Politico” ha fatto negli ultimi due anni e mezzo: ha lottato per  trasformare  questa  facoltà  da  luogo  di  «transito»,  a luogo di incontro ed eventualmente anche di scontro.     Chi amministra questa facoltà si  interroghi non soltanto su quello che noi non possiamo  fare, ma anche su quello che facciamo per rendere questa facoltà un luogo migliore. Insomma, su quello che quello che vogliamo dare. 

[email protected]

«Chi amministra questa Facoltà si interroghi non soltanto su quello che noi non possiamo fare, ma anche su quello che facciamo per rendere questa facoltà un 

luogo migliore» 

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C O P E RT I N A

“Acido Politico” ha effettuato un sondaggio su vasta scala. Per la prima volta pubblichiamo le valutazioni che gli studenti danno dei corsi e dei professori della Facoltà di Scienze Politiche. Con qualche polemica...

di Leonard Berberi e Flavio Bini

tanti. Anche  essi  hanno  posto  all’at‐tenzione della presidenza e di tutto il Consiglio di  Facoltà  l’opportunità di rendere pubblici tali risultati.     Ufficialmente  è  stata  creata  una Commissione ad hoc che dovrà avan‐zare proposte da votare in CdF. Inol‐tre,  il Preside  ha  inviato un  questio‐nario  interno  a  tutti  i  docenti  per chiedere  loro  di  esprimere  una  opi‐nione  in merito. Una  gruppo  di  do‐centi  si  è dichiarato  nettamente  con‐trario,  adducendo  motivazioni  con‐

nesse alle privacy. Una presa di posi‐zione assai discutibile se si pensa che, nel  nostro  stesso  Ateneo,  presso  la Facoltà di Medicina tali risultati sono pubblici e alla portata degli studenti. Possibile  che  la  privacy  sia  tutelata soltanto a Scienze politiche?    In attesa di questa ed altre risposte, questo  giornale  ha  pensato  di  agire per conto proprio, sottoponendo agli studenti  un  suo  sondaggio.  E’  stato chiesto loro di valutare in trentesimi i corsi seguiti e i docenti loro responsa‐

M ILANO  ‐  Sono  passati ormai  cinque  mesi  da quando questo periodi‐co  si  è  interrogato  per 

la prima volta sulla possibilità di ve‐dere pubblicate le valutazioni dei do‐centi sottoposte agli studenti durante le  lezioni.  Dapprima  la  questione  è passata  sotto  silenzio,  poi  qualche professore ha provveduto in maniera autonoma,  in  attesa  di  disposizioni, di  pubblicare  in  autonomia  gli  esiti delle  valutazioni.  Infine  i  rappresen‐

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CORSO DI LAUREA: SPO

C O P E RT I N A

bili.  Nessuna  volontà  di  interferire con  le valutazioni ufficiali, di ostaco‐lare  lo  svolgimento  delle  lezioni,  di infangare  l’onorabilità  di  alcuni  do‐centi  o  di  metterne  in  pericolo  la privacy come in molti hanno sostenu‐to, per scoraggiarci circa la possibilità di effettuare questo sondaggio.    Pur  trattandosi  di  un  campione molto rappresentativo (quasi 700 stu‐denti,  il  60%  circa  di  chi  frequenta quotidianamente  la  Facoltà),  l’esito che ne è derivato può  fornire  indica‐zioni  generali  sui  corsi  ed  i  docenti più  apprezzati  dagli  studenti,  non certo dare informazioni statisticamen‐te rilevanti. Compito, questo, riserva‐to alle valutazioni ufficiali.     Mancano  all’appello  dei  corsi  di laurea SAM e GAT perché i fogli rac‐colti  non  hanno  raggiunto  il  valore minimo  imposto perché  le valutazio‐ni  potessero  essere  ritenute minima‐mente attendibili.  UNO SGUARDO AI DATI

I l  quadro  che  emerge dai dati  rac‐colti  conferma  senza  dubbio  ciò 

che era già noto a molti, soprattutto a chi vive e frequenta quotidianamente l’Università  e  conosce  i  corsi  e  i do‐centi  più  apprezzati  dagli  studenti. Ma non mancano le sorprese. Più an‐cora,  le  rivincite.  Il professor Sioli,  il cui corso era stato oggetto di critiche lo  scorso  anno  da  parte  di  questo mensile,  e  che  informalmente  non aveva  fatto  mancare  l’occasione  di esprimere  il  suo disappunto  verso  il nostro  operato,  ha  raccolto  invece consensi molto  alti. Un  28 dagli  stu‐denti di SPO, 29 dagli studenti di SIE, una delle valutazioni  in assoluto più alte di tutto il corso di laurea. Meglio di  lui  riesce soltanto  la professoressa 

«In attesa che la Facoltà decida di rendere pubbliche le proprie valutazioni, Acido 

Politico ha pensato di agire in proprio» 

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C O P E RT I N A

bienti di via Conservatorio.  

Il “FLOP” DELLE SOCIOLOGIE

D ai  vincitori  agli  sconfitti.  Una vera debacle per  i corsi di socio‐logia ed i loro docenti, che escono con le “ossa rotte” dalle valutazioni degli studenti  di  molti  corsi  di  laurea (eccezion fatta, ovviamente per il cor‐so  di  laurea  in  Scienze  Sociali).  Gli studenti  triennalisti  danno  i  giudizi più  impietosi:  tanto  a  SPO  quanto  a SIE difficilmente si raggiunge il 24.     C’è  spazio  però  per  le  eccellenze, 

CORSO DI LAUREA: SIE CORSO DI LAUREA: ECE

CORSO DI LAUREA: APP

Merlati  che ottiene un  29  tanto nella valutazione  come  docente  quanto  in quella al suo corso di Storia delle re‐lazioni  internazionali,  trionfatore  as‐soluto del  corso di  laurea  in  Scienze Internazionali.  Anche  il  prof.  Luca Solari,  docente  di  “Organizzazione delle Risorse Umane” riceve voti alti, con una media di 27,6  (prende un 24 nel corso di  laurea APP; dal 28 al 30 negli altri cdl).    Sorprendono i voti bassi attribuiti al corso di “Matematica di base”  (19  in ORU  e  20  a  SPO),  confermando l’“allergia” per  i numeri da parte de‐gli  studenti  che  frequentano  gli  am‐

«Il professor Sioli,  il cui corso era stato oggetto di critiche  lo scorso anno da  parte di questo 

mensile, ha raccolto consensi alti» 

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CORSO DI LAUREA: SOC

CORSO DI LAUREA: STO

C O P E RT I N A

preparazione di una  lingua  così  fon‐damentale. L’esame di lingua inglese, presente in quasi tutti i quindici corsi di  laurea, difficilmente  supera  la  so‐glia del 23.  

VINCITORI (E VINTI)

I n mezzo  a  questa  cascata  di  dati, non  si  può  fare  a meno  di  notare 

come  alcuni  nomi  spicchino  su  altri, nel bene o nel male.    E’  il  caso del professor Alessandro Colombo, docente di Relazioni  Inter‐nazionali,  che  raccoglie  tra  i  corsi di SPO  e  SIE  (quasi  400  questionari), una media che si attesta  tra  il 28 e  il 29, con valutazioni più alte al docente rispetto  al  corso.  Nessuna  sorpresa per chi ha avuto  la possibilità di  fre‐quentare le sue lezioni.    Exploit  anche  per  il  professor  Bel‐locchio  che  raccoglie,  unico  tra  tutti, una media di  trenta e  lode nella ma‐gistrale  di  “Politica  ed  Istituzioni comparate”.    Spazio  alle  insufficienze.  Pochissi‐me,  contrariamente  a  quanto  si  po‐trebbe  pensare.  Si  trovano  soltanto nel  corso  di  laurea  specialistica  in Relazioni Internazionali (RIN). A non passare l’”esame” degli studenti sono i prof. Grandi  e Araldi  (che però ot‐tiene  un  20  dagli  studenti  di  SPO, nda),  docenti  rispettivamente  di  Di‐ritto Consolare ed Economia e tecnica degli scambi internazionali. Non rag‐giungono  la  sufficienza  nemmeno  il prof.  Paolo  Martelli,  docente  di “Analisi delle Istituzioni Politiche” ed i l   professor   Paolo   Borsato , “Sociologia  dell’organizzazione”  (il quale, va detto, riesce a raggiungere il 22 a SPO).  

LA “SFIDA PARALLELA”

S e   cons ide r i amo   i   co r s i “sdoppiati”, ovvero divisi in base 

all’alfabeto nei blocchi A‐L ed M‐Z, il prof. Fasano, docente di “Scienza Po‐litica” raggiunge il 25, ma il collega, il prof. Martinelli, non và oltre il 23.     Voti  differenti  anche  per  quanto riguarda  “Statistica”  dove  la  profes‐soressa  Nicolini  supera  di  poco  la sufficienza  (19) contro  il 26 attribuito alla  professoressa  De  Battisti  (con 

anche  per  smentire  in  partenza  chi fosse portato a pensare ad un’ostilità generalizzata nei  confronti della ma‐teria .    E’  il caso dei prof. Colombo  (Enzo) e  Procacci,  che  registrano  consensi nettamente  più  alti  dei  loro  colleghi di  dipartimento  e  riescono  nell’im‐presa di far apprezzare anche la tanto disprezzata Sociologia.     Nella “sfida” tra i corsi di sociologia in SPO, la professoressa Procacci rice‐ve una media di 26 contro  il 23 della professoressa Graziosi.  

LINGUE: SE HABLA (SOLO) ESPANOL

G iudizi contrastanti, ma in preva‐lenza  non  soddisfacenti  per  gli 

esami  di  lingua.  Se  la  professoressa Mapelli,  responsabile  dell’accerta‐mento di spagnolo, può  ritenersi più che soddisfatta dalle valutazioni fatte degli studenti (una media di 27, con‐siderati  i  corsi di  laurea più  seguiti), nella  lista  dei  rimandati  a  settembre figurano  invece  i  corsi  di  francese  e inglese.  Dati,  soprattutto  quest’ulti‐mo,  che  dovrebbero  fare  riflettere perché rilevano l’inadeguatezza della 

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CORSO DI LAUREA: COM CORSO DI LAUREA: LAV

C O P E RT I N A

l’aggiunta  ‐  da  parte  di  qualcuno  ‐ anche  qualche  complimento  esteti‐co!). Testa a  testa  in “Filosofia Politi‐ca” dove entrambi  i professori, Esco‐bar  e  Besussi,  collezionano  un  26  di media (27, invece, quella del corso).    Non  diversamente  accade  a  SIE, dove    il  corso di Scienza Politica del Professor  Carbone  (M‐Z)  raccoglie consensi  decisamente  maggiori  di quelli del Professor Zucchini (A‐L) 

GLI STUDENTI

U n ultimo  cenno va  riservato  in‐vece alla partecipazione studen‐

tesca.  Le  700  schede  raccolte  sono figlie,  oltre del  contributo  volontario 

di chi si è recato in cortile, in bibliote‐ca e nelle pause delle lezioni a distri‐buire  ed  elaborare  le  schede,  anche della sorprendente volontà degli stu‐denti di potersi ritagliare un loro spa‐zio di feedback più diretto nei confron‐ti degli docenti.    Più  ancora  dei  numeri  presenti  in queste tabelle, che a quanto pare fan‐no  tanta  paura  ad  alcuni  docenti,  il dato  davvero  rilevante  è  forse  que‐st’ultimo. 

Leonard Berberi Flavio Bini

con la collaborazione di Giulia Oldani, Giu-lia Brasca, Alessia Cremaschi, Antonio Bisignano, Armando Dito, Matteo Forci-niti, Guido Bettoni, Ana Victoria Arrua-barrena, Dario Luciano Merlo

CORSO DI LAUREA: RIN

CORSO DI LAUREA: ORU

«Le valutazioni  sono basse per i 

professori dell’area sociologica, mentre  risultano contrastanti,  ma in prevalenza  non soddisfacenti,  per gli esami di 

lingua» 

Page 9: Acido Politico

CORSO DI LAUREA: CES

C O P E RT I N A

NOTA METODOLOGICA: Sondaggio ef-fettuato su un campione randomizzato di 697 ragazzi, studenti della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano nei giorni 26-27-28 maggio 200-8. Range di valutazione: min. 15 (insufficiente), max. 33 (30 e lode). I corsi ed i docenti con meno di 10 valutazioni individuali sono stati esclusi dagli elenchi. I voti espressi sono solo una media mate-matica e non costituiscono pertanto valu-tazione statisticamente attendibile.

CORSO DI LAUREA: PIC

CORSO DI LAUREA: EFI

Nota del CdG Per quanto il questionario sia statisti‐camente inattendibile, e la randomiz‐zazione del campione  renda di  fatto impossibile stabilire se vi sia un nes‐so  tra  la valutazione  espressa  e  l’ef‐fettiva  conoscenza  del  corso  e  del docente  valutato,  il  “Comitato  di garanzia” di Acido  Politico, all’unani‐mità,  non  ravvisa motivi  per  espri‐mere  riserve  di  sostanza  in  merito alla pubblicazione dei  risultati,  limi‐tandosi  a  avanzare  una  riserva  di metodo. 

Il Comitato dei Garanti

Info

   Le  tabelle,  con  i  nomi  dei corsi e dei professori, sono sca‐ricabili  dal  sito  internet  della nostra rivista: www.acidopolitico.com 

    Per commentare le valutazio‐ni e dire  la  tua,  iscriviti al no‐stro forum e partecipa al dibat‐tito, oppure scrivi all’indirizzo: [email protected]

Page 10: Acido Politico

U N I V E R S I TA ’

MILANO   ‐   All’ interno   della “Students’  Union  di  Scienze  Politi‐che”  (SUSP)  nasce  un  nuovo  gruppo di  lavoro,  “Women  at work”.  Il  pro‐getto  trae  origine  dall’omonimo  arti‐colo pubblicato sullo scorso numero di Acido  Politico,  nonché dalla collabora‐zione con il professore Maurizio Ferre‐ra,  autore del  libro  “Il  fattore D, per‐ché  il  lavoro delle donne farà crescere l’Italia”.  Le  tematiche  affrontate  ri‐guardano  questioni  come  il  divario occupazionale  tra uomini  e donne,  la womeconomics, le possibilità di tutela contro le discriminazioni di genere.  Quest’iniziativa si propone di dar vita ad  un  vero  e  proprio  laboratorio  di idee:  studentesse  e  studenti  della  fa‐coltà possono partecipare agli incontri dando  il  loro  apporto  con  racconti di esperienze,  scambiandosi  opinioni  e passandosi  materiale  informativo  su questi  temi.   L’intento è quello di  sti‐molare  una  coscienza  diffusa  su  pro‐blematiche che spesso vengono sentite nel mondo  studentesco  ancora  lonta‐ne. E’ solo dopo, con l’entrata nel mer‐cato del  lavoro,  che  si diventa  consa‐

Con la collaborazione del Prof. Ferrera nasce il primo gruppo di lavoro interno all’università dedicato all’occupazione femminile

E a Scienze Politiche arriva il gruppo “Women at work”

pevoli  di  quali  possano  essere  gli svantaggi reali riservati al gentil sesso.  Una  sensibilizzazione  che  passa  me‐diante la creazione di una vasta rete di conoscenze  e  di  persone  è  un  buon punto di partenza per un’  inversione di rotta nel modo comune di pensare e di agire.  Il gruppo ha presenziato alla conferen‐za  tenutasi  alla  fonda‐zione  del  Corriere della Sera il  19 Maggio  dove erano  invitate  a  discu‐tere sul  libro sopracita‐to di Maurizio Ferrera, Linda  Lanzillotta,  Ma‐riastella Gelmini  e An‐na  Maria  Artoni.  In questa occasione sono emersi spunti e stimoli  per  una  maggiore  attenzione all’ occupazione femminile e non sono mancate alcune critiche verso le recen‐tissime  intenzioni del nuovo  governo (relative a ici e detassazione degli stra‐ordinari).  Tutti  coloro  che  sono  inte‐ressati  sono  invitati  ad  aggiungersi contattando  il  seguente  indirizzo  e‐mail [email protected]

di Valeria Chiesa e Veronica Nisco

A Scienze Politiche...

fondiranno  sia  le  caratteristiche strutturali della discriminazione  che le sue origini e implicazioni, ma chia‐ramente  unʹattenzione  particolare sarà  rivolta  alla  definizione  delle possibili  soluzioni.  Insomma,  trova spazio anche da noi non solo  la cul‐tura  delle  pari  opportunità, ma  an‐che  il suo corrispondente scientifico, lo studio multidisciplinare di genere e delle diversità. 

Stefano Gasparri

MILANO  ‐ Oltre  a  stimolare  lo  svi‐luppo  e  la diffusione di una  cultura più sensibile verso  il  tema delle pari opportunità,  la  nostra  Università mette  a disposizione un vero  e pro‐prio  curriculum  per  formarne  degli esperti. Si tratta della laurea speciali‐stica in Scienze del Lavoro, che per il prossimo anno accademico ha attiva‐to  il  curriculum  ʺPari  opportunità, diritti e politiche socialiʺ.  Allʹinterno di questo corso, si appro‐

MILANO  ‐ Uno dei primi passi del go‐verno Berlusconi è stato quello di varare un provvedimento in merito alla detassa‐zione degli straordinari; obiettivo di que‐sta  disposizione  è  favorire  una  ripresa economica  attraverso  l’  alleggerimento della  pressione  fiscale  dando  maggiore respiro alle imprese e ai lavoratori.  Andando  a  vedere  quali  possono  essere realmente le conseguenze si può osserva‐re  che  la detassazione degli  straordinari non va  ad  avvantaggiare  le  categorie di lavoratori che ne avrebbero più bisogno: donne,  precari  ed  anziani,  vittime  dei bassi tassi di occupazione.  Gli straordinari sono  infatti prerogativa quasi esclusiva dei lavoratori più “forti”: maschi, giovani o comunque non anzia‐ni,  che  hanno maggiore  disponibilità  di tempo.  

Inoltre  questa  misura introduce una  distorsione nel  funzionamento  del mercato in quanto potreb‐be  favorire  l’utilizzo  del lavoro  straordinario  a s c ap i t o   d i   que l l o “normale”,  creando  un trade‐off  tra  ore di  lavoro 

per  dipendente  e numero  di  dipendenti. L’impresa potrebbe, per esempio, sceglie‐re una politica di produzione basata  sul maggiore sfruttamento, in termini di ore lavorative,  dei  lavoratori  già  presenti, sfavorendo così nuove assunzioni.  Perché le donne risulterebbero penalizza‐te da questo provvedimento? Straordina‐rio è sinonimo di flessibilità sul lavoro ed elasticità  nella  gestione  del  tempo,  ma non  di  conciliazione  tra  lavoro  e  fami‐glia: molte donne oltre al  lavoro  formal‐mente  riconosciuto devono  far  fronte ad un  secondo  lavoro,  quello  di  cura (faccende  domestiche,  cura  dei  bambini, ecc). Una madre  lavoratrice  con  figli  e genitori anziani da accudire non può di certo trattenersi sul posto di lavoro oltre all’orario prefissato. In conclusione la detassazione degli stra‐ordinari,  oltre  ad  acuire  il  divario  tra occupazione  femminile  e  occupazione maschile,  non  permette  lo  sviluppo  di una politica famigliare orientata verso le donne. 

(v.c. / v.n.)

Detassazione degli straordinari

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A P P U N T I

a cura di Laura Tavecchio

to SVE, Servizio Volontario Europeo, con destinazione Vilnius, Lituania. Ambito di lavoro: Arte, cultura e promo‐zione della dimensione europea Periodo: 2 mesi, con partenza  settembre 2008 Età richiesta: dai 18 ai 30 anni Scadenza: 30 Giugno I N F O   p r o g e t t o :   h t t p : / /www.linkyouth.org/it/sve/progetti; [email protected]  Indirizzo  e‐mail  pro‐tetto dal bots spam  , deve abilitare Java‐script per vederlo   INFO  programma  SVE  :  http://ec.europa.eu/youth/evs/aod/hei_en.cfm  

GAP YEAR  …chiamato  anche  Gap  Period  o 

“maccheronicamente”  anno  sabbatico,  è un esperienza di lavoro, di volontariato o di studio fuori dal paese di origine. Eʹ una pratica ormai molto diffusa e sviluppata.  Di seguito vi  riportiamo alcune delle più famose agenzie che si occupano di ciò.  PROJECTS ABROAD, specializzato nella ricerca  di  stage  e  periodi  formativi. (www.projects‐abroad.it)  ELS, la più famosa agenzia internazionale nel  settore  delle  scuole  linguistiche (www.els.com)  CESVI, si occupa di volontariato  interna‐zionale  di  medio  e  lungo  periodo (www.cesvi.org)  INFO: www.gapyear.com   

[email protected]

VOLONTARIATO  S.C.I.  Servizio  Civile  Internazionale: Mondo  Il  servizio  civile  internazionale  di  Roma ha reso noto  le destinazioni dei campi di lavoro per l’estate 2008. Un’esperienza  di  volontariato  breve,  al massimo  3  settimane,  con  il  fine di  sup‐portare progetti di sviluppo sostenibile in tutto il mondo. Periodo: estate 2008 Requisiti: nessuno in particolare http://www.campidivolontariato.it/news.php;  www.sci‐italia.it  Associazione Link Onlus: Altamura, Bari L’associazione Link ricerca due volontari da inserire all’interno del proprio proget‐

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COMMESTIBILE O COMBUSTIBILE? L’exploit dei paesi  in  via di  sviluppo ha provocato  un  incremento  radicale  del fabbisogno non solo alimentare, ma anche energetico. Questa  circostanza, unita  alla continua  diminuzione  delle  risorse  non rinnovabili, ha portato  i  grandi paesi  in‐dustrializzati ad  investire nella  ricerca di fonti  alternative. Molti  hanno  visto  nella produzione  di  biocarbu‐ranti  la  panacea  di  tutti  i mali.  Questi  combustibili, ottenuti  da  mais,  grano, bietola e canna da zucche‐ro,  sembravano,  infatti, l’alternativa  pulita  a  ben‐zina e diesel. La loro origi‐ne naturale, infatti, è facil‐mente  riassorbibile  dalla natura e consente di ridur‐re del 70%  le emissioni di gas  serra  dal  trasporto privato  e  diminuire  lʹim‐portazione  di  petrolio dallʹestero.  A  lungo  am‐bientalisti  in  buona  fede, businessmen  dell’energia  e  capi  di  Stato hanno  creduto  di  aver  trovato  la  cura miracolosa al riscaldamento globale, all’e‐saurirsi delle  risorse petrolifere e alla di‐pendenza economica dai paesi produttori di greggio.  Gli  Stati Uniti  che,  con  i  loro  7895 Kilo‐grammi  annui  procapite,  si  situano  al primo  posto  nella  scala  dei  consumatori mondiali  di  energia,  hanno  ricoperto  il ruolo di capofila nell’investimento in car‐

buranti ottenuti da cereali. Lo stanziamento di denaro per  la produ‐zione  di  bioetanolo,  un  alcol  ottenuto tramite un processo di  fermentazione dei prodotti  agricoli  ricchi  di  carboidrati  e zuccheri  quali  cereali  (mais,  sorgo,  fru‐mento,  orzo),  colture  zuccherine  (canna da  zucchero,  bietola),  frutta,  vinacce  e patate, è  schizzato dai  cinque miliardi di 

dollari del  1995  ai  trenta‐cinque  registrati  lo  scorso anno. Questa  corsa  all’“energia pulita” è stata attuata non solo  attraverso  la  creazio‐ne di nuove aree coltivabi‐li,  ma  soprattutto  grazie ad una politica di  sussidi sfrenati  alle  coltivazioni utili per  la produzione di queste energie a discapito di quelle destinate al mer‐cato  alimentare  (senza contare  il  programma  di agevolazioni  fiscali  e  in‐centivi  per  miliardi  di 

dollari  effettuata  dalla  Camera  dei  Rap‐presentanti  statunitense  a  favore  delle energie rinnovabili).  

CAMBIAMENTI  CLIMATICI  Da molti anni, ormai, siamo a conoscenza dei  devastanti  effetti  che  i  cambiamenti del  clima,  indotti  dalle  attività  umane, stanno avendo sul nostro pianeta. Da marzo una nuova siccità si è abbattuta 

“U no tsunami silenzioso”, sono  queste  le  parole che  Josette  Sheeran, direttore  esecutivo  del 

World  Food  Programme,  ha  usato  per definire la tragica crisi alimentare, dovuta all’aumento  dei  prezzi  dei  beni  primari, che  sta  colpendo  da  alcuni mesi  tutte  le regioni del nostro pianeta. Si  tratta di una catastrofe annunciata che ha radici profonde, ma le cui conseguenze si sono manifestate in maniera dirompen‐te solo nell’ultimo anno.  BOOM PAESI IN VIA DI SVILUPPO 

Una delle  ragioni più  evidenti della  crisi alimentare  mondiale  è  senza  dubbio  il boom demografico ed economico dei pae‐si in via di sviluppo ed, in particolare, del subcontinente  cinese e di quello  indiano. La crescita esplosiva e relativamente velo‐ce di queste regioni ha comportato  la na‐scita  di  una  nuova  ed  estesissima  classe media,  composta  da  centinaia  di milioni di  persone,  che  ha  potuto  in  pochi  anni migliorare  le proprie abitudini alimentari avvicinandole sempre di più a quelle dei cittadini dei paesi industrializzati. La crescente domanda di beni primari di questi paesi unita  agli  innegabili  sprechi ed ai consumi eccessivi del nord del mon‐do  (e  a  questo  proposito  consigliamo  la visione  del  documentario  del  2006  “We feed the world”) ha senz’altro contribuito in maniera importante alla recente impen‐nata dei prezzi del cibo. 

Domanda di cibo in aumento, crisi alimentare, prezzi delle materie prime alle stelle, più terreni per il biodiesel e speculazione finanziaria. È lo “tsunami silenzioso”.

di Benedetta De Marte e Marzia Lazzari

«L’exploit dei paesi in via di sviluppo ha provocato un incremento radicale del 

fabbisogno non solo alimentare, ma anche energetico» 

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nale per le materie prime agricole, il prez‐zo  del  riso  è  aumentato  del  27%  questo mese, archiviando il nono mese consecuti‐vo di  rialzi,  sulla  spinta dei  timori per  il ridimensionamento delle  esportazioni da parte  dei  paesi  produttori.  Il  Chicago Board of Trade, punto di  riferimento del commercio  internazionale  delle  materie prime agricole,  fissa  i prezzi dei prodotti agricoli mondiali (leggi box a fianco, ndr). Mentre  parte  del mondo  paga  gli  effetti del’aumento dei prezzi, infatti, ai big del‐lʹagricoltura  tocca  una  sorte  completa‐mente opposta:  il pieno di utili. Forti del boom dei profitti,  i  colossi dellʹagricoltu‐ra,  investono  ingenti  somme  di  denaro 

sulle materie  prime  agricole,  fattore  che contribuisce all’incremento dei prezzi dei beni  agricoli.  La  pioggia  di  miliardi  di dollari su questi beni è determina in parte anche dal fatto che se questi  investimenti non ci sono  le ripercussione dell’inflazio‐ne.  Gli strumenti diretti per investire su mais, soia e zucchero son i contratti future quo‐tati al Chicago Board of Trade o al New York Board of Trade, i cui maggiori rischi sono dati dal cambio sfavorevole, essendo quotati in dollari.  Non per tutte le grandi aziende del setto‐re agricolo è, però, lo stesso: quelle attive nella  catena  alimentare,  infatti,  perdono terreno in quanto scontano la minore pro‐pensione  alla  spesa dei  consumatori,  che ne fa calare le vendite e quindi gli utili.  

I PREZZI Le cifre diffuse dalla FAO e dal WFP par‐lano  chiaro: un’impennata nei prezzi del cibo del 55% fra il giugno 2007 e il marzo 2008 con picchi dell’87% per il riso in que‐st’ultimo mese. Chiaramente  le  zone  più  colpite  dagli aumenti sono quelle già afflitte dalla fame e  dalla  povertà,  quelle  dove  le  persone spendono già il 50‐70% dei propri introiti mensili in prodotti alimentari, quelli dove non  esistono  ammortizzatori  sociali  in 

sull’Australia, già colpita nei sei anni pre‐cedenti dal più lungo calo di piogge della sua  storia.  L’aridità  causata  da  questo fenomeno  ha  avuto  tanto  conseguenze tragiche  sull’economia  di  quello  che  è stato a lungo il terzo produttore mondiale di  frumento,  che  per mesi  il  governo  è stato addirittura costretto a bloccare l’irri‐gazione dei  campi per  evitare  che  i  suoi cittadini rimanessero senz’acqua. Episodi  di  questo  genere  si  verificano sempre più spesso e su scala sempre più larga:  in  India  si  teme  l’irregolarità della stagione  dei  monsoni  che  negli  ultimi anni  ha  portato  a  notevoli  riduzioni  dei raccolti.  L’Argentina,  il Brasile  e moltissimi paesi europei,  fra cui  l’Italia, sono stati vittime del riscaldamento globale e, in molti casi, hanno  dovuto  fare  ricorso  alle  proprie riserve e ridurre le esportazioni per evita‐re crisi interne. Se nel breve periodo prov‐vedimenti di questo genere hanno contri‐buito a calmierare i prezzi a livello locale, oggi  queste misure  protezionistiche  non possono  che  essere  viste  come  parzial‐mente  responsabili  dell’incremento  del costo del cibo a livello globale. 

   LA SPECULAZIONE  

Sulla piazza del Chicago Board of Trade, quella di  riferimento a  livello  internazio‐

«Mentre parte del mondo paga gli effetti del’aumento dei prezzi, 

infatti, ai big dellʹagricoltura tocca 

una sorte completamente opposta: 

il pieno di utili» 

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grado di attutire  il colpo di una crisi così violenta. Se  in Senegal un anno fa si poteva acqui‐stare  un  chilogrammo  di  riso  con  una spesa  pari  a  ventidue  centesimi  di  euro, ora questo “lusso” costa cinque volte tan‐to.  Il prezzo di  questo  bene,  tradizional‐mente  considerato  cibo  dei  poveri,  ha subito vertiginosi  incrementi anche  in Sri Lanka,  Bangladesh  e  Filippine.  La  spesa per  la  farina di grano  in Somalia è  tripli‐cata  negli  ultimi  dodici mesi, mentre U‐ganda, Etiopia e Mozambico hanno visto aumentare  il  costo del mais di  almeno  il 50%. Sono  trecento  i milioni di persone  che, a causa di questa crisi alimentare, andranno ad aggiungersi al miliardo che già vive al di sotto o appena al di sopra della soglia di povertà assoluta  in  tutto  il mondo  (un dollaro al giorno). La  riduzione o addirittura  il blocco delle esportazioni di alcuni beni primari che, in seguito  alla  crisi, molti  importanti  paesi (fra  cui  India,  Ucraina,  Russia,  Brasile) hanno deciso di attuare per  soddisfare  il fabbisogno  interno ed accrescere  le  riser‐ve nazionali non fa altro che aggravare la situazione e rischia di provocare una peri‐colosa spirale al rialzo dei prezzi.  

RISCHIO GUERRA CIVILE La  fame, e a  ricordarcelo ci sono  secoli e secoli di lotte e rivolte che hanno destabi‐lizzato  imperi  e  ghigliottinato  sovrani, istiga  naturalmente  alla  violenza;  una violenza cieca e disperata volta a difende‐re quell’accesso al cibo che, come ha giu‐stamente  ricordato  l’Europarlamentare Luisa  Morgantini,  “dovrebbe  essere  un diritto  e  non  una  variabile  affidata  alle regole del mercato e alle speculazioni”. Sono 36  i paesi a rischio guerra civile se‐condo la FAO.  All’inizio di aprile Haiti, Stato più povero dell’emisfero occidentale già protagonista di sanguinose rivolte, crisi politiche, cata‐strofi naturali e di una  lacerante  emigra‐zione che porta da decenni i suoi abitanti a  riversarsi  sulle  coste  statunitensi,  si  è trasformata in teatro di violentissime pro‐teste anti‐governative che hanno provoca‐to  diverse  vittime  fra  cui  anche  uno  dei caschi blu impegnati nella missione ONU sull’isola. In Egitto l’esasperazione per le lunghe ore passate in fila davanti ai forni che vendo‐no pane prodotto grazie ai sussidi gover‐nativi ha causato scontri e svariati morti, portando migliaia di persone a manifesta‐re in piazza  Tumulti  e  saccheggi  hanno  incendiato anche  molte  città  dell’Afghanistan,  del Senegal, della Mauritania, del Perù, dello Yemen  e  di molti  altri  Stati  del  Sud  del 

FOCUS

   E  le  multinazionali?  Alzano  i  prezzi per non compromettere  i propri margi‐ni.  E  se  quando  dici  “crisi”  intendi “speculazione  finanziaria”  ecco  allora che si fanno avanti  i big del settore: he‐dge  funds,  fondi pensione,  fondi sovra‐ni, ecc. Dopo le brucianti perdite causate dai mutui americani, stanno realizzando profitti  da  capogiro  investendo  con  i contratti future sulle materie prime.     Questi ultimi rappresentano una parti‐colare tipologia di contratti che fissa un prezzo per una futura compravendita di un  bene;  vengono  stipulati  per  proteg‐gersi dalle fluttuazioni dei prezzi (infatti vi  fanno ricorso  i produttori ed  i distri‐butori di merci).     Basta leggere le affermazioni di David Lehman,  della  Borsa  di  Chicago,  per capire bene cosa si sta muovendo dietro le  quinte  della  crisi  alimentare:  «Chi scommette  sui prezzi delle materie pri‐me agricole attraverso gli indici control‐la  circa  il  20‐25%  dei  contratti  future nella nostra Borsa. I future sul grano, la soia  ed  il  granoturco  sono  al  30‐40% nelle mani degli operatori  commerciali, altrettanto in quelle degli speculatori ed il resto  finisce negli  indici.  Il peso delle tre categorie non è cambiato negli ultimi due  anni ma  il  volume  dei  contratti  è più che raddoppiato, come anche i prez‐zi, ecco perché  il valore  totale degli  in‐vestimenti  è  così  cresciuto.  Il  parere della CFTC (Commodity futures trading commission, ndr), che regola il mercato, è  che  gli  speculatori  giocano  un  ruolo positivo fornendo liquidità e che i prez‐zi non sono stati spinti all’insù da  loro, ma  dai  fattori  fondamentali,  come  la scarsità di raccolti a  fronte del boom di domanda».  Il parere della  commissione è condiviso da  Jim Rogers, uno dei più noti speculatori a livello mondiale.     Risultato? Nell’ultimo anno il frumen‐to  è  rincarato del 130%,  il  riso del 74% (oltre  il  100%  in  alcune  regioni  asiati‐che), la soia dell’87% ed il mais del 31%.  Fino  a quando  reggerà questo  sistema? Nessuno  sa  (o  vuole)  dirlo.  Più  che  la sorte dei civili, la tranquillità del merca‐to borsistico pare  l’unica, vera preoccu‐pazione. 

Leonard Berberi www.acidopolitico.com

MILANO ‐ «La pressione sui prezzi si fa sentire, ma siamo comunque in grado di gestirla.  Non  intendiamo  sacrificare  i margini di  redditività né perdere quote di mercato».  Le  parole  di  Francois  Xa‐vier  Cescau,  amministratore  delegato del  gigante  alimentare  “Unilever”  la dicono  lunga  sull’atteggiamento  che  le multinazionali hanno deciso di assume‐re di fronte alla crisi alimentare mondia‐le.  Mentre  stime  più  o  meno  ufficiali prevedono  che  altri  cento  milioni  di individui si aggiungeranno – quest’anno –  al miliardo  e  duecento  che  già  vive con meno di un dollaro al giorno, negli ultimi  tre  trimestri  il gigante americano del  commercio  di  prodotti  agricoli “Cargill” ha segnato un balzo  in avanti dei propri profitti del 72%  (arrivando a 1,71 miliardi di dollari) rispetto all’anno precedente, mentre  la “Potash Corpora‐tion”  (leader mondiali di  fertilizzanti  a base di potassio) ha raddoppiato gli utili negli  ultimi  dodici mesi. Nemmeno  la svizzera “Nestlè” si sottrae all’ondata di guadagni nonostante la sua collocazione nella  filiera  economica  la ponga  a  con‐tatto  diretto  coi  consumatori:  +15,8% degli utili nel 2007 e +6% in questi primi mesi del 2008.    L’informazione  è  stata  carente  nelle ultime  settimane, ma  le  immagini delle manifestazioni  per  le  strade  del  Cairo, del  Bangladesh,  del  Burkina  Faso  e  di Haiti hanno  fatto  il giro del mondo  ed hanno  destato  la  preoccupazione  di molti politici.     Di fronte alla crisi la FAO, l’organizza‐zione delle Nazioni Unite per  l’alimen‐tazione  e  l’agricoltura,  appare  incapace di porre rimedio perché nel  frattempo  i più  grandi  produttori  di  cereali  come Russia,  India,  Cina,  Egitto  e  Vietnam hanno deciso di ridurre l’export dei pro‐dotti  agricoli.  In  tutto  questo,  come  se nulla  fosse,  le  autorità  americane  ed europee  continuano  ad  esortare  ed  in‐centivare  i propri  contadini  a destinare le  loro  coltivazioni  alla  produzione  di carburanti.  «Non  si  può  coltivare mais per fare la benzina, avere i serbatoi pieni e  la pancia vuota» ha affermato stizzito al  “Corriere  della  Sera”  Mario  Preve, presidente del gruppo alimentare “Riso Gallo”. 

Chi sta guadagnando dalla fame nel mondo

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In  compenso  ha  dichiarato  che  gli  USA “sborseranno” al più presto 200 milioni di dollari in aiuti alimentari.  

IL SISTEMA ECONOMICO Ma siamo sicuri che questi, seppur sacro‐santi,  provvedimenti  siano  una  risposta sufficiente ad una crisi di queste propor‐zioni  e  così  radicata  nel  nostro  sistema economico globale? Ziegler ha usato negli ultimi mesi termini molto duri  contro  i paesi e gli organismi sovra‐statali  che  hanno  permesso  alle grande  multinazionali  di  impossessarsi del  mercato  alimentare,  lottizzandolo  e piegandolo  ai  propri  interessi  economici invece che alle esigenze delle popolazioni mondiali. Il grande sociologo svizzero si è scagliato diverse  volte  contro  il  FMI,  colpevole di aver incoraggiato i paesi poveri, al fine di ridurne  il debito,  ad  abbandonare  l’agri‐coltura di sussistenza per dedicarsi a col‐ture intensive destinate all’esportazione.  Questo,  accompagnato  dalle  generosissi‐me politiche di sussidi ai propri agricolto‐ri  perpetrate  da  Stati  Uniti  ed  Unione Europea,  non  avrebbe  prodotto  nient’al‐tro che una maggiore dipendenza alimen‐tare  (e  quindi  economica)  dei  paesi “poveri”  dai  paesi  “ricchi”  e  dalle  loro grandi  multinazionali  del  cibo  e  delle sementi.  “Sapevamo che quello che sta succedendo sarebbe  successo;  avevamo  avvisato  la comunità  internazionale  in  tempo.    Ma sfortunatamente, non abbiamo preso nes‐

suna decisione  in  tempo e di  conseguen‐za,  alcune  persone  sono  morte,  alcuni governi  –  almeno  uno  –  sono  caduti  e altra gente rischia di morire”.   Ci sembra che in queste pesanti parole del Direttore  Generale  della  FAO  Jacques Diouf,  risiedano  le  responsabilità  di  un sistema  che  per  anni,  pur  conoscendolo, ha deciso di  ignorare un problema di di‐mensioni  enormi nascondendosi dietro  a risposte  sommarie  date  sull’onda  della compassione umanitaria. Partendo  da  questa  prospettiva  appare evidente come, di fronte questa crisi, che, oltretutto,  si  manifesta  in  concomitanza con il riscaldamento globale, la recessione statunitense,  l’esplosione  dei  prezzi  del petrolio,  la  crisi  dei mutui  e  i  già  citati problemi  legati  al  crescente  fabbisogno energetico,  sia  necessario  ripensare  le priorità  della  comunità mondiale  e  dare un nuovo senso agli equilibri di potere al suo interno.  Ai nostri occhi appare urgente un’analisi complessiva e convergente delle difficoltà che abbiamo davanti; un’analisi  in grado di  mettere  in  discussione  molte  scelte prese  dai  paesi  industrializzati  a  livello nazionale e internazionale.  Non si tratta più di portare aiuti caritate‐voli ai cosiddetti “paesi del terzo mondo” o di  lavare  la nostra coscienza attraverso finanziamenti  volti  ad  aumentare  la  loro dipendenza dai nostri portafogli. 

Benedetta De Marte Marzia Lazzari

mondo. Le previsioni diffuse dalle Nazio‐ni Unite per l’anno prossimo stimano che il numero delle persone sofferenti di sot‐toalimentazione crescerà di 16 milioni per ogni  aumento  di  punto  percentuale  del prezzo  reale  degli  alimenti  di  base.  Un dato ancora più inquietante se si conside‐ra che, nell’ultimo decennio,  le morti per fame  hanno  riscontrato  un’ininterrotta, seppur lenta, diminuzione.  LA RISPOSTA DI BAN KI MOON 

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, ha auspicato una “reazione internazionale rapida ed efficace” da rea‐lizzarsi  attraverso  un  “piano  d’azione  a corto, medio e lungo termine”. I  provvedimenti di  natura  urgente  invo‐cati  dal  diplomatico  coreano  sono  una serie di finanziamenti  al WFP (755 milio‐ni di dollari) per arginare i rischi sociali e quelli  legati  alla  salute  pubblica,  e  alla FAO (1,7 miliardi di dollari) per una pro‐mozione  immediata  della  produzione agricola locale. Per quanto riguarda gli interventi struttu‐rali,  l’intenzione  dell’ONU  e  delle  sue Istituzioni  è  quella  di  aiutare  i  paesi  in difficoltà a  sviluppare politiche nazionali specifiche:  miglioramento  dei  sistemi  di stoccaggio dei generi alimentari, perfezio‐namento dei metodi d’irrigazione ed  im‐plementazione dei sistemi stradali e ferro‐viari  che  rendano più  agevole  ed  econo‐mico lo smistamento delle merci. 

 I BIO‐CARBURANTI 

Molti  scienziati  hanno  chiesto  insieme  a Jean Ziegler, relatore speciale alle NU per il diritto all’alimentazione fino al 1° mag‐gio  2008,  una  moratoria  quinquennale sulla  produzione  di  bio‐combustibili  che permetta anche di favorire gli investimen‐ti nelle tecnologie di seconda generazione destinate a produrre bio‐carburanti a par‐tire da piante non alimentari, rifiuti agri‐coli e avanzi vegetali, invece che da coltu‐re commestibili. Malgrado quest’appello  il Presidente Ge‐orge W.  Bush,  indicando  la  sicurezza  e‐nergetica come priorità del paese di cui è alla  guida,  ha  già  fatto  sapere  che  non interverrà  per  fermare  la  produzione  di etanolo  (la più  alta del mondo: un  terzo del  raccolto  di  statunitense  viene  ormai impiegato dall’industria energetica).  

Per saperne di più

• www.grain.org; • Bilanci delle società “Mosaic”,

“Sinochem”, “Potash Corp”, “Yara”, “Icl”, “K+S”, “Noble Group”, “Adm”, “Bunge”, “Maribeni”, “Cargill”;

• Chicago Board of Trade; • Fao (www.fao.org);

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Papa Benedetto XVI saluta la folla di fedeli americani che attende il suo arrivo all’aeroporto militare di Andrews, Maryland. Le parole che il Pon-tefice ha pronunciato all’ONU sono state apprezzate da molti politici.

Page 17: Acido Politico

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Il numero della più gran‐de comunità straniera  residente nella regione: quella dei marocchini 

106.000 

Il numero degli alunni stranieri che studiano nelle scuole di ogni ordi‐ne grado nella regione 

48.450 

NUMERI 

940.000 Il numero complessivo degli immigrati (regolari e non) presenti in Lom‐bardia 

212.000 Il numero degli immigra‐ti (regolari e non) presen‐ti nella sola città di Mila‐no 

10 La percentuale di immi‐grati presenti nella regio‐ne rispetto alla popola‐zione (6% la media UE) 

37.000 Il numero di immigrati clandestini a Milano (a fronte di 108.000 totali nella provincia) 

8,8 Il contributo percentuale che gli immigrati resi‐denti in Italia danno all’‐economia del paese 

Belpaese 

www.acidopolitico.com / [email protected] a cura di  Leonard Berberi 

Il consulente ai funerali? Può sembrare assurdo, ma cʹè anche questo incarico. E forse, alla luce della situazione politica in Campania descritta nellʹinchiesta di copertina de  Lʹespresso,  tra  le  tante  consulenze  assegnate  dal Consiglio  regionale questa  è  la più azzeccata. Lʹelenco comprende ben 152 nomine con  la spesa di un milione di euro. Lʹavvocato che darà consigli sulla deontologia delle pompe funebri riceverà 3.000 euro. Per il sostegno e  la  valorizzazione  delle  piccole  librerie  interverrà  un ingegnere,  pagato  con  7.000  euro.  Altri  5.000  invece 

voleranno  via  per  dare  consigli sulla vigilanza delle spiagge libere. Notevole anche lʹistituzione di una consulta delle confessioni  religiose con  consulenza  da  4500  euro  o  i mille euro per unʹanalisi delle pro‐poste  normative  sui  biodisel.  Sor‐

prende poi che  lʹassessore allʹAmbiente del Comune di Salerno  si  faccia  versare  5 mila  euro  per  pareri  sulla legislazione ambientale: è un esponente dei Verdi, forse avrebbe  potuto  rinunciare  al  compenso.  Solo  tredici incarichi non prevedono soldi. Ed è difficile pensare che una  struttura  sterminata  come  la  Regione  Campania non  disponga  di  tecnici  e  professionisti  interni  a  cui affidare  le  stesse mansioni. Ma al Corriere del Mezzo‐giorno, il presidente del Consiglio regionale ha difeso le scelte: «Abbiamo tagliato  le spese del 30 per cento». Di chi si tratta? Di Sandra Lonardo Mastella, tornata al suo posto dopo la scarcerazione. (www.spreconi.it) 

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Freddure «Secondo indiscrezioni per salvare Gascoigne dal tentato annegamento la vasca da bagno è stata 

riempita di birra»   

(www.gago.splinder.com)

LA VIGNETTA 

Info SPO    Come  ci  aveva  anticipato  il responsabile  scientifico  della Facoltà  di  Scienze  Politiche,  il prof. Stefano  Iacus  in un prece‐dente articolo, sono cambiati gli orari di apertura e  chiusura del “Polo di Calcolo”. Dal  lunedì al venerdì  gli  studenti  potranno utilizzare  la  struttura  a  partire dalle ore 9 del mattino sino alle 19.  Rimangono  ‐  invece  ‐  invariati gli orari per il caricamento delle risme di carta a disposizione del proprio account.

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E S T E R I

da parte di Americani e Russi rispet‐tivamente verso Azeri e Armeni, po‐tenziali  alleati  alla  loro  corsa  verso l’influenza  sul  Caucaso,  e  con  il gruppo di Minsk a  sostenere  in ma‐niera sempre più imbarazzante verso gli abitanti del Nagorno  il diritto al‐l’integrità  territoriale  Azera,  imba‐razzo che dopo il caso del Kosovo ha subito un’impennata. Attualmente stando alle parole degli analisti, sembra introvabile una solu‐zione  al  problema  del  Nagorno‐Karabakh, tuttavia cresce sempre più l’insofferenza reciproca tra Armeni e Azeri, quest’ultimi, forti di una sem‐pre  maggiore  ricchezza  dovuta  al petrolio, ultimamente minacciano di riprendere  le ostilità e di riprendersi la rivincita.  L’Europa tramite il gruppo di Minsk, la Russia e gli Usa, dovrebbero final‐mente  agire  al  più  presto  per  scon‐giurare quest’eventualità, ma gli abi‐tanti  del Nagorno  possono  davvero riporre  fiducia  verso  chi,  partendo dalle  comprensibili  richieste  di  e‐mancipazione  della  popolazione  al‐banese del Kosovo,  li  ha  consegnati ad una  classe politica di  criminali  e mafiosi?  

Dopo  più  di  un  anno  di  combatti‐menti, la sorte arrise inaspettatamen‐te alle truppe armene e del Nagorno, sfavorite sulla carta rispetto all’Azer‐baijan  più  grande,  ricco  e  popoloso, con gran parte del merito attribuibile ai milioni Armeni risiedenti all’estero a  seguito  soprattutto  della  diaspora seguita  all’olocausto del 1918, i quali continuarono  a  finanziare  la madre‐patria e la piccola repubblica del Na‐gorno per tutto il periodo della guer‐ra.  Nel  1993  la  comunità  internazionale cominciò  a  muoversi  per  risolvere una  guerra  che  aveva  portato  alla creazione di un nuovo  stato,  seppur non  riconosciuto,  e  all’occupazione da  parte  dell’esercito  armeno  di  un quinto dell’intero paese nemico. L’O‐CSE  creò  un  organismo  ad  hoc,  il “gruppo  di Minsk”,  e  anche USA  e federazione  Russa  si  mossero  per risolvere  una  delicata  questione  in bilico tra il diritto all’integrità territo‐riale di ogni nazione sovrana e  il di‐ritto  all’autodeterminazione  di  ogni popolo.  Col brillante risultato di un bel nulla di  fatto  nonostante  quindici  anni  di trattative e con  la presa di posizione 

MILANO  ‐  Armenia  e  Azerbaijan, divise culturalmente e  religiosamen‐te, hanno in comune la triste sorte di essere  diventate  subito  nazioni “mutilate”: non appena  si  resero  in‐dipendenti  subito  dopo  la  prima guerra mondiale, dopo  secoli di do‐minazioni da parte di Turchi, Persia‐ni e Russi, sono state immediatamen‐te  invase dagli  stessi  ex dominatori. Essi non hanno esitato a mantenere e occupare quanto più territorio possi‐bile, in barba al riconoscimento inter‐nazionale dei due paesi, fino a quan‐do, all’inizio degli anni venti le trup‐pe  dell’Armata  Rossa,  occuparono ciò  che  restava  creando  le  repubbli‐che socialiste di Armenia e Azerbai‐jan. Fu proprio  la dominazione  sovietica a  creare  inconsapevolmente  il moti‐vo che porterà in futuro le due nazio‐ni alla guerra: nello stabilire i confini definitivi  all’Azerbaijan  venne  asse‐gnato  un  pugno  di  terra  grande quanto  il  Molise,  il  Nagorno‐Karabakh,  causa  scatenante  dell’at‐tuale  guerra.  Il  Nagorno,  infatti,  è una cosiddetta enclave, un  territorio immerso nell’Azerbaijan e dagli Aze‐ri, ma  abitato  in  prevalenza  da Ar‐meni. Quando nel 1991 l’Urss crollò defini‐tivamente, anche il Nagorno dichiarò la  propria  indipendenza  tramite  un referendum  non  riconosciuto  però dall’Azerbaijan,  che  riteneva  quel gesto  un  intollerabile  attentato  alla sua  integrità  territoriale,  di  contro l’Armenia a sua volta riteneva  le  in‐tenzioni del governo azero, un’intol‐lerabile  attentato  all’integrità  degli Armeni  che  abitavano  il  Nagorno, memori dei precedenti  scontri  tra  le due  etnie  avvenuti  nel  1988  e  alla reazione violenta dell’allora governo sovietico Azero. Il risultato di queste reciproche intollerabilità fu la guerra aperta, proprio mentre l’esercito del‐l’ormai  ex Unione  Sovietica  si  stava placidamente ritirando. 

Il conflitto (quasi) dimenticato

di Mirko Annunziata

Armenia e Azerbaijan si fronteggiano da più di vent’anni: con la Comunità Internazionale che dorme e lo spettro della guerra aperta dietro l’angolo

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E S T E R I

MILANO  ‐  Un  contenitore  di metallo, lanciato via terra o via aria, si apre, rila‐sciando dall’alto, su aree di centinaia di metri,  fino  a  650  ordigni  più  piccoli (bomblets),  programmati  per  esplodere a  contatto  con  il  terreno.  I  più  potenti possono uccidere nel  raggio di 150 me‐tri. Tale è, in pillole, una bomba a grap‐polo  (cluster  bomb).  Il  problema  è  che fra  il  10  e  il  40 %  delle  sub‐munizioni restano inesplose e attive. Di conseguen‐za  non  c’è  da  stupirsi  se  il  98%  delle vittime di  questi  ordigni  sono  civili;  in Kosovo nel 1999 e  in  Iraq nel 2003 essi hanno  provocato  tra  i  civili  più morti che qualsiasi altra arma. La Conferenza  di Dublino  (19‐30 mag‐gio) ha  realizzato  il  testo di un  trattato che  porterà  alla  proibizione  dell’uso, della  produzione,  del  trasferimento  e 

Mai più bombe a grappolo

di Matteo Manara

La conferenza di Dublino ha bandito l’uso di una delle armi più devastanti. Ma i paesi assenti sono stati i grandi produttori

introdotta  la possibilità di partecipare a missioni  congiunte  con  stati non  firma‐tari,  e  dunque  utilizzatori  di  cluster bombs); d’altro canto era chiaro, già nei giorni precedenti  la  conferenza,  che un buon  numero  di  paesi,  tra  cui  Francia, Germania  e  Gran  Bretagna,  avrebbero cercato di  indebolire  il testo;  in realtà, è stato proprio il primo ministro britanni‐co  Gordon  Brown  a  rilanciare  i  lavori con  incoraggianti  aperture,  proprio  nei giorni della conferenza. A  Dublino  erano  presenti  109  stati  e circa  250  ONG,  riunite  nella  Cluster Munition Coalition.  I principali produt‐tori mondiali (Usa, Israele, Cina, Russia, India  e  Pakistan)  sono  stati  invece  i grandi assenti. La speranza è di indurli, grazie alla firma del trattato da parte di un gran numero di paesi, se non proprio ad  escludere  l’uso  delle  cluster  bombs, per lo meno a farne un uso più control‐lato e limitato.  Si deve registrare però  il negativo com‐portamento degli Stati Uniti (tra i princi‐pali  detentori  e  utilizzatori  di  questi ordigni): essi si sono infatti prodigati nel tentativo, in parte riuscito, di influenza‐re  dall’esterno  i  lavori  per  smussare  le proibizioni del trattato. Si è dunque realizzato il penultimo pas‐so del Processo di Oslo (del quale l’Italia è stata protagonista fin dall’inizio), nato nel febbraio 2007 sotto  la spinta del mi‐nistro degli esteri norvegese Jonas Gare Støre.  Passando  per  la  conferenza  di Lima  del maggio  2007  e  per  quella  di Vienna  di dicembre,  si  era  giunti  nello scorso  febbraio  alla  Dichiarazione  di Wellington  che  delineava  la  bozza  del trattato,  alla  cui  redazione definitiva  la Conferenza di Dublino è stata dedicata. Ora manca  solo  l’ultimo  step:  il  2‐3 di‐cembre il testo sarà sottoposto alla firma di tutti gli stati che vorranno farlo. Si  tornò a parlare di bombe a grappolo nel  luglio  2006.  Durante  la  seconda guerra del Libano, Israele lanciò quattro milioni di bomblets, di cui si calcola un milione  siano  rimasti  inesplosi.  Quel milione,  ancora  due  anni  dopo  la  fine del conflitto, continua a mietere vittime. Nella  stessa occasione,  anche  Israele  fu vittima del  lancio di bombe a grappolo da  parte  di  Hezbollah.  Recentemente, altri paesi  colpiti  sono  stati  l’Iraq,  l’Af‐ghanistan,  il Kosovo,  la Bosnia Erzego‐vina, la Cecenia e l’Albania. Finalmente (forse), si volta pagina. 

dello  stoccaggio delle bombe a grappo‐lo.  Sarà  il  più  importante  trattato  sul disarmo dai  tempi della Conferenza di Ottawa del 1997, che bandì  le mine an‐tiuomo. Non sarà previsto alcun periodo di tran‐sizione: ci sono 8 anni di tempo per az‐zerare gli arsenali, eliminando tutti i tipi di  cluster  bombs  attualmente  esistenti; nessun  modello  rispetta  infatti  al  mo‐mento  i  criteri  estremamente  restrittivi da rispettare perché sia ancora possibile costruirne.  Il  trattato vincola gli stati anche  riguar‐do  all’assistenza  dei  superstiti  e  alla bonifica  dei  territori  contaminati.  In sintesi,  il bilancio di  12 giorni di nego‐ziati è più che positivo, nonostante qual‐che  importante  passo  indietro  rispetto alla bozza  iniziale  (è  stata per  esempio 

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F O C U S

non  ha  annullato  lʹespulsione  da  lui  e‐messa  nei  confronti di Ben  Fitouri,  rim‐patriato in Tunisia nel gennaio 2007 sulla base delle suddette norme.  Ben Fitouri è stato trattenuto in detenzio‐ne  segreta  in Tunisia per oltre 12 giorni ed  in seguito sottoposto a processo sulla base della  legge  antiterrorismo  tunisina, torturato e maltrattato.  

Rom e migranti, discriminazione,  xenofobia e provvedimenti  

sulla “sicurezza”  Da parte dei politici vi è stato un massic‐cio uso di un  linguaggio discriminatorio alludente  alle  responsabilità  collettive delle minoranze e l’attuazione di provve‐dimenti  per  la  “sicurezza”,  in  realtà  o‐rientati  a  facilitare  lʹespulsione dei  citta‐dini  dellʹUE  e  dei  migranti  irregolari. Sono seguiti appelli all’uso di metodi da 

ragioni  di  economia  processuale  (ma  la questione centrale non dovrebbe essere il reato di  tortura piuttosto  che  il  conflitto di attribuzioni? O  forse  la questione cen‐trale  è  preservare  l’alleanza  con  gli  U‐SA?). Il processo è stato riaperto nel mar‐zo  2008. Nonostante  le  richieste  del Co‐mitato delle Nazioni Unite contro  la  tor‐tura,  lʹItalia ha mantenuto pressoché  im‐mutate  le  norme  contenute  nel  decreto Pisanu, riguardante misure urgenti per la lotta  al  terrorismo  consistenti  nell’espul‐sione  di  migranti  regolari  e  irregolari sulla  base  di  una  vaga  definizione  del rischio da  essi posto  (“fondati motivi di ritenere” che  la  loro permanenza nel  ter‐ritorio dello Stato possa  in qualsiasi mo‐do  agevolare  organizzazioni  o  attività terroristiche)  e  senza  tutela  efficace  con‐tro  il  rimpatrio  forzato  in  paesi  in  cui rischiano la tortura e altre violazioni gra‐vi.  Lʹallora  ministro  dellʹInterno  Amato 

Tortura, maltrattamenti  e responsabilità delle forze di polizia 

Amnesty  International  ravvisa  “lacune relative allʹattuazione della Convenzione delle NU contro la Tortura” in quanto la nostra legislazione è “priva di uno speci‐fico reato di tortura” e non permette che “le  forze di polizia  rispondano effettiva‐mente del proprio operato”. LʹItalia non si è ancora dotata di unʹistituzione nazio‐nale di monitoraggio  sui diritti umani  e di un organismo indipendente di control‐lo sullʹoperato della polizia e non ha an‐cora ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione,  il quale  imporrebbe  lʹado‐zione  di  meccanismi  di  prevenzione. Esempi portati alla luce da AI sono l’irre‐golarità  nella  conservazione  di  prove chiave per lʹaccertamento di responsabili‐tà delle forze di polizia nel processo Car‐lo Giuliani. Sempre  in merito ai  fatti ac‐caduti a Genova, nel processo per le vio‐lenze nel carcere di Bolzaneto, il rapporto segnala come sia   stato violato  il divieto di tortura e maltrattamenti previsto dalla Convenzione  europea  dei  diritti  umani (leggi box di approfondimento, ndr).  

Erosione dei diritti umani  nella “guerra al terrore” 

La  politica  del  sospetto  applicata  alle espulsioni e la riluttanza a fare chiarezza sugli  abusi  commessi  in  nome  della “guerra  al  terrore”  hanno  caratterizzato lʹapproccio del governo,  il quale non ha collaborato  pienamente  alle  indagini degli organismi internazionali che hanno accertato precise responsabilità dellʹItalia nelle  rendition  operate  dalla  Cia (trasferimenti  illegali  di  persone  da  un paese allʹaltro, culminanti  in arresti arbi‐trari, sparizioni, detenzioni senza proces‐so  e  tortura). Le  autorità di governo  re‐sponsabili dei servizi segreti al momento dellʹindagine (Governo Prodi: on. Miche‐li  e  on.  Bianco)  e  quelle  del  precedente Governo Berlusconi (Gianni Letta) hanno rifiutato  di  incontrare  la  Commissione temporanea  del  Parlamento  europeo.  Il 16  febbraio  2007  il  giudice  Interlandi, accogliendo la richiesta dei PM responsa‐bili,  ha  rinviato  a  giudizio  26  presunti agenti della Cia  (per  i  quali non  è  stata fatta richiesta di estradizione) e 7 funzio‐nari del Sismi per il rapimento dell’imam egiziano Abu Omar, prelevato  a Milano il  17  febbraio  2003  e  trasferito  in Egitto, ove  è  stato  detenuto  arbitrariamente  e, secondo  quanto da  lui dichiarato,  sotto‐posto a torture.  Lʹallora  presidente  del  Consiglio  Prodi ha  promosso  un  ricorso  per  conflitto  di attribuzioni davanti alla Corte costituzio‐nale  (la Procura milanese avrebbe visio‐nato  documenti  coperti  dal  segreto  di Stato)  e  il  processo  è  stato  sospeso  per 

Alla ricerca della legittimità perduta

di Debora Pignotti

Il rapporto di “Amnesty International” traccia un bilancio pesantissimo sul rispetto dei diritti umani. E il nostro paese non è da meno.

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F O C U S

La tortura che soffia sull’Italia MILANO  ‐  Per  descrivere  questa  triste storia  potrebbe  bastare  una  sola  frase, semplice  ed  eloquente:  “La  più  grave sospensione dei diritti democratici  in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”  (Amnesty  International).  Tra il 20 ed il 22 luglio 2001, a Genova, furo‐no  commesse  enormi  brutalità  da  parte delle  forze  dell’ordine  nei  confronti  di molti manifestanti. Tra  tutte, preme  sot‐tolinearne una  in particolare:  le violenze subite  ai  danni  di  fermati  ed  arrestati presso la caserma di Bolzaneto. Tortura: non è una  formula  impropria o esagerata. Due anni di processo a Geno‐va hanno documentato, contro i 45 impu‐tati, che cosa è accaduto  in quella caser‐ma maledetta contro i 55 “fermati” e 252 arrestati  (i numeri  sono approssimativi). I Pubblici Ministeri, nella  loro  requisito‐ria,  hanno  descritto  dettagliatamente violenze e soprusi e “soltanto un criterio prudenziale”  impedisce  di  parlare  di tortura. Ma  il  reato  di  tortura  in  Italia non c’è, non esiste (grazie ad un emenda‐mento  della  Lega  Nord).  In  venti  anni non  è  stato  adeguato  il nostro  codice  al diritto  internazionale  dei  diritti  umani, alla  Convenzione  dell’ONU  contro  la tortura  ratificata  dal  nostro  paese  nel 1988. I reati contestati agli imputati sono 

solo:  l’abuso d’ufficio,  l’abuso d’autorità contro  arrestati  o  detenuti,  la  violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell’indulto. Responsabilità che andranno  in  prescrizione  dal  gennaio 2009: tutti impuniti e contenti. Nonostan‐te  sia  stato  un  inferno.  Molti  in “posizione  del  cigno”:  in  piedi,  gambe divaricate, braccia alzate,  faccia al muro. Ore ed ore nel caldo di quei giorni. Altri in posizioni peggiori: in ginocchio contro il muro  con  i  polsi  ammanettati  o  nella “posizione  della  ballerina”,  in  punta  di piedi. Tutti  furono picchiati  con manga‐nellate  o  schiaffi.  Tutti  furono  insultati; alle  donne  “entro  stasera  vi  scoperemo tutte”, agli uomini ”sei un gay o un  co‐munista?”. Altri furono costretti a grida‐re “viva il duce”.  Anche  in  infermeria  ci  furono  atrocità, con doppie perquisizioni della polizia di Stato  e della  polizia  penitenziaria;  dete‐nuti spogliati con donne costrette a rima‐nere  a  lungo nude dinanzi  a  cinque,  sei agenti. Umiliarono malcapitati  e malca‐pitate, le donne indisposte non ricevette‐ro  cure,  solo  insulti:  “puttana”,“troia”. Ignorarono  i  diritti  degli  imputati,  co‐stretti a firmare per attestare di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. 

Ci  sarà  una  sentenza  che definirà  le  re‐sponsabilità  personali  e  le  pene  per  chi sarà condannato, ma i fatti ricostruiti nel processo non sono più controversi, sono accertati, documentati.  Per 72 ore una caserma diventò un lager: non era  il Cile di Pinochet, ma  il nostro Belpaese  che  sforna moratorie  sui diritti civili  all’ONU,  che  ricorda  (giustamente e  doverosamente)  le  tragedie  che  afflig‐gono popoli  come  quelli del Tibet, Dar‐fur,  Birmania.  Ma  i  diritti  umani  sono stati violati a casa nostra tra lacrime, san‐gue, crani fracassati, costole rotte. C’è  rabbia,  tanta  rabbia  tra  chi  non  si  è sentito  tutelato  dallo  Stato:  per  quei  tre giorni  la  nostra  democrazia  ha  fallito perché  non  ha  protetto  la  dignità  della persona e i suoi diritti sanciti dalla nostra Costituzione  del  1947  (e  presenti  anche nella prima Magna Carta del 1225). Cosa resterà di Bolzaneto e delle sue tor‐ture?  Davvero  si  accetterà  il  fatto  che finisca  tutto  a  “tarallucci  e  vino”  all’ita‐liana  tra  prescrizioni,  silenzi  e  dimenti‐canze? E quante volte occorrerà torturare prima di parlare di tortura?  Bob  Dylan  diceva  che  la  risposta  è  nel vento. Ma  il vento  italiano ha smesso di soffiare. 

di Matteo Forciniti

ITALIA

getti  privati  o  statali  delle  Filippine,  in Afghanistan e in Colombia, nonché verso la Repubblica Democratica del Congo,  il Nepal, l’Uganda, il Burundi e il Ciad.  Inoltre,  nonostante  gli  elevati  standard sui diritti umani contemplati dalla Legge 185/1990,  non  sempre  le  autorizzazioni allʹesportazione di  armi hanno  effettiva‐mente  evitato  che  queste  finissero  a  go‐verni di paesi  in  cui  i bambini vengono utilizzati come soldati.  LʹItalia,  tra  il  2002  e  il  2006,  ha  infatti venduto armi alle  forze armate delle Fi‐lippine e della Colombia. Tutto ciò avvie‐ne  in  aperto  e  palese  contrasto  con  gli impegni  assunti  a  livello  internazionale, in particolare in occasione della candida‐tura  italiana  a  componente  del  nuovo Consiglio delle Nazioni Unite  sui diritti umani per il triennio 2007‐2010. 

violazione  del  principio  di  non‐refoulement  enunciato  dalla  Convenzio‐ne  di  Ginevra  sullo  status  dei  rifugiati (art. 33).  Commercio di armi e bambini soldato 

Il commercio delle armi  leggere e di pic‐colo calibro non  rientra nellʹambito della disciplina della Legge 185/1990, che con‐tiene  severe disposizioni procedurali per lʹesportazione, lʹimportazione ed il transi‐to di armi ad uso bellico verso paesi terzi, ma è regolamentato dalla Legge 110/1975 la quale, al  contrario, non prevede  limiti alle  esportazioni  sulla  base  dello  stan‐dard dei diritti umani del paese importa‐tore e del coinvolgimento del paese stes‐so in una guerra interna o internazionale. È quindi possibile che lʹItalia venda armi leggere  a  soggetti privati  o  a  governi di paesi in cui minori partecipano alle ostili‐tà  come parte di  eserciti o di gruppi  ar‐mati.  Tra il 2002 e il 2007, lʹItalia ha autorizzato lʹesportazione  di  queste  armi  verso  sog‐

SS  (Consigliere  comunale  di  Treviso)  e dell’esercito  per  la  difesa  dall’invasione (Lega Nord).  Il razzismo ‐ concretizzatosi in attacchi ai campi nomadi e agli esercizi commerciali gestiti  da  stranieri  ‐  è  stato  alimentato proprio dalla retorica anti‐rom.  Il  pacchetto  sicurezza  che  il  governo  in carica ha  approvato,  giustificandolo  con la diligente anticipazione di una direttiva europea,  introduce  il “reato di  immigra‐zione  clandestina,  con  una  procedura rapida  di  giudizio  e  di  espulsione  e  il trattenimento nei CPT fino a 18 mesi”.  Sarà una circostanza aggravante di qual‐siasi reato il fatto di essere stato commes‐so  da  un  immigrato  irregolare  e,  cosa preoccupante,  verrà  cancellato  lʹeffetto sospensivo  dellʹespulsione  attribuito  al ricorso  contro  lo  status di  rifugiato:  i  ri‐chiedenti  asilo,  spesso  costretti  dalla mancanza  di  alternative  a  fare  ingresso irregolarmente  nei  paesi  dove  cercano protezione, potrebbero venire accusati di aver commesso un  reato e  rimpatriati  in 

Per saperne di più

• www.amnesty.org • www.amnesty.it

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I TA L I A

grafica  con  la  Puglia  e  il  Salento  in particolare, ma  anche  per  i  rapporti economici e sociali che da anniormai ha avviato con il nostro paese”.  L ’ A l b a n i a   è   u n o   s t a t o “strategicamente  importante,  punto di  contatto  con  i  paesi  dell’Oriente europeo  finanche  con quelli asiatici” e  che  ha  cominciato  “a  ricevere  la giusta  attenzione negli  scambi  inter‐nazionali.  E  ora  che  anche  lʹUnione europea è orientata a  favorire  lo svi‐luppo del basso Adriatico, nellʹottica di un ingresso in Europa da parte dei paesi  balcanici,  cʹè  da  pensare  che lʹAlbania costituirà un tramite impor‐tante. Anche dal punto di vista cultu‐rale”. Grazie  all’associazione  Promoalba, finanziata  da  fondi  interregionali, verrà  avviato  un  progetto  di  avvici‐namento tra la cultura italiana e quel‐la  albanese  “in  ambito  linguistico  e letterario”.  

MILANO  ‐  L’Albania  è  stata molto sottovalutata  in passato.  Il Paese  ha visto  durante  il  periodo  comunista un  regime  fortemente  isolazionista, stalinista  e  anti‐revisionista  che  ha causato una deficienza nella coopera‐zione politica con gli altri Paesi, bloc‐cando  anche  quel  processo  di  rifor‐me  socio‐culturali‐economiche  del quale  il Paese  aveva  bisogno.  In  se‐guito alla caduta del Muro di Berlino e grazie alla rivolta di studenti e pro‐fessori universitari di Tirana,  l’Alba‐nia, seppur lentamente, si avviò ver‐so una democratizzazione, con l’ade‐guamento  agli  acquis  communitaire europei, soprattutto a quelli  inerenti alla stabilità e alla crescita. Come  è  recepita  l’Albania  dal  resto della  comunità  internazionale? Sicu‐ramente riceve delle attenzioni dalla Puglia,  soprattutto  dall’Università del Salento che ha attuato un proget‐to denominato “Il Salento e l’Albania per la promozione culturale”.  Secondo  il Centro di  Interconnessio‐ne  Istituzionale  Transadriatico  l’Al‐bania  viene  considerata  “la  21esima regione  dʹItalia.  Per  vicinanza  geo‐

Cooperazione universitaria tra Italia e Albania

di Michele Capaccioli Gli Atenei del Sud del Paese e quello di Tirana insieme. Per lo studio.

La facciata centrale dell’Università di Tirana (Albania)

In questo progetto sono impegnate le Università  del  Salento,  della  Cala‐bria, di Tirana e di Valona, l’Accade‐mia  delle  Scienze  di  Tirana,  la  casa editrice Acustica di Lecce: “Otto testi italiani  saranno  tradotti  in  lingua albanese e otto testi albanesi saranno tradotti in italiano, grazie al lavoro di uno staff costituito da 16 giovani lau‐reati nelle università che partecipano al progetto”.  Si  prevedono  anche  seminari  e workshop  con  l’obbiettivo  di  pro‐muovere  i  rapporti  Italo‐Albanesi grazie  a  testi  di  narrativa  inerenti  a temi di migrazione, della cultura tra‐dizionale,  delle  problematiche  fem‐minili e molti altri al livello sociologi‐co  e  storico‐giuridico.  L’Albania,  a sua volta, promuoverà testi di Piran‐dello, Daledda, Tozzi e di autori con‐temporanei del Salento. Sono previsti anche  scambi  culturali,  economici, istituzionali e sociali. L’iniziativa  è molto  importante  per‐ché  considerando  l’Albania  una “nuova  regione  italiana”  si  potrà maggiormente  promuovere  la  sua immagine  soprattutto  a  livello  euro‐peo.  Un proverbio albanese  recita: “Sasso dopo  sasso  si  costruisce  un  muro, muro dopo muro  si  costruisce  il  ca‐stello”.  Chissà se questo “castello” di oppor‐tunità, di  cultura e di  tradizione po‐trà  ricevere  gli  aiuti  necessari  e  le attenzioni che merita. 

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A LT R A E C O N O M I A

MILANO  ‐ Pochi mesi  fa  sui muri della nostra città è apparsa una scritta: “non ci sono più i bei tempi di una volta”. Il mes‐saggio rivela la perdita di speranze in un futuro diverso e migliore.  A prima vista, come dargli  torto?  Il pre‐sente  è  pieno  di  contraddizioni,  le  cui risposte  sembrano  però  dirigersi  verso un solo e fallimentare pensiero politico e modello economico. Detto questo, dare il via  libera al coro di lamentele è  la rispo‐sta migliore? I membri del GAS, il Gruppo d’Acquisto Solidale,  hanno  già  dato  il  loro  secco “no” di risposta, rimboccandosi  le mani‐che per far vedere che, nel proprio picco‐lo, qualcosa si può ancora  fare. Per  l’ap‐punto,  a  partire  dalla  creazione  di  un Gruppo di Acquisto Solidale. Ma di cosa si tratta? In  breve,  secondo  la  definizione  fornita nel loro sito ufficiale, www.retegas.org, il GAS è “un  insieme di persone che deci‐dono di  incontrarsi per acquistare all’in‐grosso  prodotti  alimentari  o  di  uso  co‐mune,  da  ridistribuire  tra  loro”. Niente di più semplice che un altro modo di fare la  spesa:  i  partecipanti  si  uniscono  per comprare  insieme  determinati  prodotti dal grossista  e poi  ridistribuirli.   Quello che lo rende così particolare e alternativo è il come. “Acquisto”.  I  componenti  di  un  Gas  si rivolgono a piccoli produttori  locali, più facili da  conoscere direttamente  e  senza grossi  sprechi  d’energia  derivanti  dal trasporto, ai quali si rivolgono per acqui‐stare  prodotti  biologici  o  ecologici  che siano stati realizzati rispettando le condi‐zioni di lavoro. La  logica del “gruppo” è chiara: unire  le forze per  evitare  intermediari  e puntare al prodotto di migliore qualità. Una volta reperita  la  materia  prima,  non  ci  resta che compilare la  lista delle ordinazioni e darsi  all’acquisto.  Qui  entra  in  gioco  il lato  organizzativo  del Gas:  ci  si  ritrova (intorno  a  un  tavolo  come  al  telefono  o via email), si stabiliscono le scadenze per le  ordinazioni  (di  solito  settimanali  o bisettimanali),  si decide  chi andrà a  riti‐rare  la merce  e  infine  i  criteri per  la di‐stribuzione (a casa tua o mia? Oppure al negozio  equo‐solidale?).  Ecco  fatto,  un micro‐circuito  economico  è  stato  creato. E  se vale  il motto  “compra  che  l’econo‐mia  gira  con  te”,  tanto meglio  farlo  se‐guendo  le  logiche  del  Gas.  Arriviamo così al  lato “solidale”. Il concetto di soli‐darietà  è  il  collante  di  questo  processo, dato  che  sia  i membri del  gruppo  che  i piccoli produttori sono uniti dal rispetto dell’ambiente  e  del  lavoro  ad  ogni  sua latitudine, due  elementi  che  solitamente 

G.A.S.: un’altra spesa è possibile

di Stefano Gasparri

Quando consumare è bene. Una ricetta alla portata di tutti: i Gruppi di Acquisto Solidale.

periferia che di certo non brilla per sensi‐bilità  verso  gli  immigrati.  Insomma, qualcosa  dovevo  pur  fare,  e  allora  ho preso esempio dall’esperienza del Gas di una  città  vicina  alla mia, Legnano,  e ho deciso  di  importarla.  Sarà  una  cosa  da poco, ma è già qualcosa, e sto imparando tanto. Ho conosciuto un sacco di persone favolose e sto apprezzando con più con‐sapevolezza i prodotti offertici da madre natura. Anche solo sapere quando arriva la  stagione delle  zucchine, piuttosto  che dei cardi o della zucca, mi aiuta a radica‐re  la  mia  esistenza  nel  mondo  reale,  a darmi sostanza in una società che ci por‐ta sempre più verso la frivolezza e l’insi‐gnificanza”. D’altra parte, gli stimoli provenienti dal‐la rete dei Gas sono tantissimi. Ricordia‐mo  che  spesso  chi  vi  fa  parte  prepara incontri  sull’origine  del  prodotto,  così come organizza  fiere, banchetti biologici e  corsi vari. Sul  sito  sono presenti  i vari appuntamenti,  fra  i  quali  segnaliamo  il convegno nazionale dei Gas il 17/18 mag‐gio  a  Riccione,  e  il  corso  sull’auto‐produzione di saponi e cosmetici il 24/25 maggio  a  Milano.  La  partecipazione  è sempre libera e gratuita.   Osserviamo perciò che i Gas si diffondo‐no suscitando  tanta passione.  Infatti  tale fenomeno  sta  prendendo  sempre  più piede, grazie proprio alla  sua  semplicità e trasparenza. Non per caso, recentemen‐te hanno raggiunto  la cassa di risonanza dei mass media: la puntata di Report del 13 aprile,  il programma Vasco de Gama di Radio 2 il 5 aprile, la prima pagina de ilSole24ore  del  25  gennaio.  Addirittura, ai Gas sono stati dedicati tre commi della scorsa  Legge  Finanziaria  (commi  266‐268), nei quali  si prevede una disciplina fiscale  di  favore,  in  quanto  si  stabilisce che  le  loro  attività  rivolte  agli  aderenti non sono commerciali ai fini Iva e Impo‐ste dirette. In  queste  poche  righe  ho  descritto  i Gruppi  di  Acquisto  Solidale,  un’espe‐rienza che nasce dal basso e che contiene in  sé  tanti  nobili  principi. Non  intende cambiare  il mondo  con  proclami  altiso‐nanti, ma  tocca un  tasto nevralgico nelle società  contemporanee,  il  consumo. Qualche anno  fa  si diceva che “il perso‐nale è politico”, sarà ancora vero? 

subiscono  le peggiori conseguenze dell’‐attuale modello di sviluppo. Fin  qui,  abbiamo  descritto  gli  elementi basilari del Gruppo d’Acquisto Solidale. Ora  è  il momento  di  considerare  la  so‐stanza pratica di questo fenomeno. Intan‐to,  chiariamo  che  non  si  tratta  di  una recente invenzione, poiché il primo Gas è stato  costituito  nel  1994  a  Fidenza.  Da allora,  si  è  diffuso  in  tantissime  città  e altrettanti paesi, da Treviso a Lecce,  toc‐cando  quota  399  gruppi  e  10  reti,  ossia “federazioni” di gruppi. Per  creare  un  Gas,  inoltre,  non  occorre perdere del  tempo con scartoffie e buro‐crazie varie, basta raccogliere 6‐10 perso‐ne  interessate  e  sancirne  la  nascita  uffi‐cialmente. Il passo è davvero breve, dato che  sul  sito  è  presente  un  modello  di Statuto e un modulo precompilato dove inserire  i  dati  dei  partecipanti  e  della sede. Chiaramente,  il costo di  tutto ciò è pari a zero.  Per  dare  un’idea  delle  motivazioni  che possono spingere una persona ad interes‐sarsi del Gas,  riporto  le parole di Elena, che dal nulla ne ha costituito uno nel suo paese dell’hinterland, Rescaldina. “Dopo un  viaggio  in Ghana, non  sono più  riu‐scita a contenere la rabbia provocata dal‐la  consapevolezza di  così  tante  ingiusti‐zie  e  disparità. Ho  iniziato  a  sentirmi  a disagio con me stessa, come se fossi com‐plice di un sistema del quale non condi‐videvo pressoché nulla,  tanto più  in una 

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Giro di vite di Luca Fontana

PENSIERI & PAROLE I fatti d’attualità commentati dai ragazzi

buona volontà. Nel caso in questione esiste, o dovrebbe esistere,  la certez‐za della pena per ogni genere di rea‐to.  Ci  si  poteva  quindi  limitare  ad  ina‐sprire  le  pene,  garantendo  rigore  e certezze  contro  qualsivoglia  forma d’illegalità  e  delinquenza.  Semplice, efficace e sostanzialmente corretto. Talmente  semplice e  corretto da po‐ter  quasi  passare  inosservato  in  un paese  normale.  Si  è  voluto  andare oltre,  cercando  una  terapia  d’urto  e introducendo  il  reato  d’immigrazio‐ne clandestina. Essere  clandestino  è di  per  se un’a‐nomalia da sanare  in quanto contra‐ria al principio di  integrazione. Tra‐sformare  in  reato  la  clandestinità  è però  un’operazione  demagogica  e sbagliata che rischia di ottenere effet‐ti minimi,  se  non  opposti,  da  quelli sperati.  Volendo  accreditare  la  teoria  della tolleranza zero ad ogni costo si finge di non conoscere quella che è la real‐tà Italiana. Una realtà in cui si è venuto a creare un welfare  parallelo  per  servizi  che lo Stato non può garantire, come l’as‐sistenza  a  domicilio  per  gli  anziani. Una  realtà  in  cui  molti  immigrati sono utilizzati da nostrani imprendi‐

C i  siamo  convinti  che  la destra ha vinto  le elezioni grazie alla capacità di  for‐nire  risposte  semplici  ed 

immediate  alle  molteplici  istanze della  società  italiana dominata dalle insicurezze. Probabilmente la realtà è sovrapponibile alla convinzione ed il nuovo  governo  ha  tenuto  immedia‐tamente una  linea operativa chiara e decisa.  Passare  dalle  promesse  ai fatti, affrontando di petto, o di pan‐cia,  i  problemi  sul  tavolo. Nulla  di meglio  di  un’infornata  di  decreti  in pochi  giorni  per  far  dimenticare  il pantano  decisionale  dell’esecutivo precedente.  Il  popolo  vuole  vedere l’auto correre lungo la strada, quindi qualche  colpo  dʹacceleratore  e  via, lanciati  a  capofitto.  Verso  dove? Quante domande. Accontentatevi di correre,  agevolati  dal mutato  e  idil‐liaco clima politico e da una stampa rigorosamente con  il sorriso stampa‐to  sulle  labbra. Questo decisionismo governativo sembra trovare il favore degli Italiani nell’attesa che alla poli‐tica dell’annuncio  si  sostituiscano  in brevissimo tempo soluzioni concrete, efficaci e soprattutto eque. Il  tema  sicurezza,  spesso  confuso unicamente  con  il  problema  immi‐grazione,  ha  assunto  una  posizione centrale  nella  campagna  elettorale, ed  è  stato  uno  dei  primi  ad  essere affrontato  attraverso un decreto  im‐mediatamente  efficace,  sommato  ad un disegno di  legge da discutere  in Parlamento. Misure  che  dovrebbero rispondere con precisione e fermezza alle  pressanti  richieste  dei  cittadini esasperati.  Sappiamo  tutti  che non esiste pezzo di  carta  che possa  risolvere un pro‐blema. Esistono invece l’applicazione ed  il  rispetto  delle  leggi.  Esiste  la 

tori  in  svariati  generi  di  lavori,  nei cantieri  o  nei  campi,  sottopagati,  in nero e in condizioni di sicurezza pre‐carie. Questo esercito di badanti, im‐bianchini, cuochi, muratori dovrebbe essere considerato passibile di carce‐re da un giorno con l’altro? Invece il datore  di  lavoro,  che  contribuisce  a questa  clandestinità  non  regolariz‐zando  l’immigrato e aggravando  tra lʹaltro  la  piaga  dell’italica  evasione fiscale, di cosa dovrebbe essere passi‐bile?  La tolleranza zero contro l’illegalità è una risposta condivisibile ad un pro‐blema percepito e reale ma non può fare da sponda ad atteggiamenti ese‐crabili  di  giustizia  sommaria  non degni di un paese civile, in un clima di crescente tensione. Inoltre dell’im‐migrazione  il  sistema  Italia  ha  tre‐mendamente bisogno.  I  facili  slogan da  campagna  elettorale  devono  la‐sciare  il posto alla sobrietà,  in modo da  agevolare  l’integrazione  di  tutti gli  immigrati miti ed onesti  in cerca di  un  presente  sereno,  permettendo loro di regolarizzarsi con rapidità.  Una  vita  dignitosa  è  la miglior  ga‐ranzia per  fondere  l’accoglienza e  la sicurezza. Senza  leggi  che mettano  i bastoni  tra  le  ruote  a  chi vuole  solo sopravvivere  lavorando  onestamen‐te,  leggi  che  si  ritorcono  tra  l’altro contro  le  stesse  famiglie  Italiane presso le quali questi immigrati lavo‐rano.  Senza  voler mostrare  frettolo‐samente  i muscoli a  tutti  i costi, evi‐tando  cambi di  rotta  e  ripensamenti dettati  dall’opportunismo  politico con  eccezioni  e  ravvedimenti  tipica‐mente  italiani. Si risparmino  le ener‐gie da utilizzare unicamente contro i veri  delinquenti  verso  cui  i muscoli meritano si essere mostrati sul serio.  

«La tolleranza zero contro l’illegalità è una risposta condivisibile ma non può fare da 

sponda ad atteggiamenti esecrabili di giustizia 

sommaria» 

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P E N S I E R I & PA R O L E

La doppia sfida del PD di Armando Dito

propria base elettorale, deve essere riempito di contenuti  e  rinnovato  nella  sua  classe  diri‐gente.  Invece  l’establishment  del  partito  è rimasta abbarbicata alle “poltroncine” e non si vede nessuna novità o volto nuovo all’oriz‐zonte. In secondo luogo Il PD avrebbe il com‐pito di costruire un progetto futuro di gover‐no  con  le altre  forze politiche disponibili  che sia  in  grado  di  presentare  un’alternativa vincente al progetto delle destre, al contrario stiamo dolorosamente vedendo  come  su  que‐sto aspetto ci sia un’inquietante calma piatta. Avere  una  progettualità  consentirebbe  di poter  dettare  l’agenda  politica  del  governo  e di metterlo in difficoltà, la strategia di aspet‐tare le scelte e opporsi debolmente mi sembra 

M a  dove  vai? Ma  cosa  fai? È con  le parole di Vasco Rossi che vorrei rivolgermi a  Wal‐ter Veltroni per questi primi 

passi da leader dell’opposizione. Sono passati quasi due mesi dalle elezioni e vorrei fare una riflessione  sul nostro  scenario politico  inter‐no. Cominciamo dal governo. Devo ammette‐re che Berlusconi mi ha stupito nella compo‐sizione del nuovo esecutivo; generalmente  in politica è il perdente a promuovere volti nuo‐vi e a cercare di rigenerare la classe dirigente, invece inaspettatamente è stato il Cavaliere a costruirsi un team di fedelissimi composto da un  cospicuo  numero  di  giovani  under  40  o addirittura under 35. Questo però non vuol dire che le intenzioni del Premier siano cam‐biate,  lo ha mostrato  la presenza del decreto Salva Rete 4 secondo la logica del meglio fare subito le “sporche” perché 5 anni sono lunghi così che i cittadini si dimentichino.  Inoltre non sono state  individuate  le priorità del paese, per esempio  la necessità di riforme strutturali  come  quella  delle  pensioni  o  del mercato  del  lavoro  o  dei mercati  bloccati  in genere  (si  legga  liberalizzazioni); ma  si  sta tentando  di  rispondere  frettolosamente  ai grandi  temi mediatici:  ne  è  conseguita  una brutta legge sull’immigrazione, che di sicuro costituirà un deterrente per i clandestini, ma da  un  lato  porterà  a  un  inasprimento  dei rapporti coi paesi nordafricani e dell’est euro‐peo, dall’altro, sul  fronte  interno, metterà  in gravi condizioni di illegalità lavoratori immi‐grati  onesti  che non hanno un  regolare per‐messo di  soggiorno  solo  a  causa delle  restri‐zioni della Bossi‐Fini. Unʹaltra scelta  fretto‐losa  riguarda  l’energia, un problema atavico della  nostra  economia.  Rispondere  che  si risolve  tutto  tornando  al  nucleare,  con  un colpo di bacchetta magica, suona un po’ come un  insulto  alla  nostra  intelligenza,  infatti  i problemi  energetici  si  risolvono  con progetti di  lungo  periodo  e  orientati  al  futuro;  per questo  la  scelta  univoca  verso  il  nucleare sembra riduttiva, specie quando paesi come la Germania  investono  notevoli  risorse  nelle fonti  rinnovabili. A  questo  punto mi  chiedo dove  sia  l’opposizione,  infatti  scegliere  la costituzione  di un  governo Ombra  ha  senso solo se si viene legittimati dagli avversari, ma chiaramente questa  legittimazione può avve‐nire solo se l’opposizione è debole; se il clima politico  diventasse  più  teso  non  credo  che Berlusconi  possa  avere  ancora  interesse  a legittimare un governo “fuffa”. Veltroni dopo una  sconfitta  così  pesante  dovrebbe  lavorare verso  due  direzioni:  la  prima  riguarda  la struttura del PD, si è riusciti infatti a creare un  grande  contenitore  che,  per  accrescere  la 

figlia di una dirigenza priva di idee e in forte difficoltà.  Insomma  nel PD  ci  vorrebbe  una piccola rivoluzione dal basso.  L’unico leader che ha colto questi aspetti pare essere Massimo D’Alema, anzi alla Summer‐School  di  Italiani‐Europei,  l’ex Premier  si  è esposto  su  un  nodo  di  Gordio  da  sciogliere all’interno dei democratici,    circa  quale  rap‐porto avere con gli enti ecclesiastici, prenden‐do atto che cercare il voto dei cattolici mode‐rati è perdente. Credo che  il PD possa avere un grande  futuro, ma  ora  caro Walter  biso‐gna  invertire  la  rotta  e  suonare  la  carica, altrimenti  si  rischia di  lasciare  l’Italia a Sil‐vio & Co. per molti e molti anni.  

Ieri, oggi e domani di Dario Luciano Merlo

L ʹidea  che  questo  potesse  essere  lʹultimo numero di Acido  Politico  mi ha preoc‐cupato, e non soltanto perché scrivo su questo giornale  da  quasi  due  anni,  insieme  ad  un gruppo di persone valide e con grande spirito dʹiniziativa. Una  rivista  letta  da  studenti  e professori,  che dopo  tre anni  è  conosciuta  in quasi tutta la facoltà ed è il focolaio di dibatti‐ti  sul  sistema  universitario  non  merita  di sparire né ora, né tra qualche mese. Purtrop‐po,  così  come  per  qualsiasi  altro  progetto studentesco, questa sarà la sorte più probabile senza  il supporto dellʹUniversità. Non credo esista  la  speranza  che da un giorno  allʹaltro la Facoltà decida di premiare in qualche modo gli  studenti  che  volontariamente  scrivono, impaginano,  pubblicano  e  distribuiscono questo e altri giornali, nonostante il tempo ad esso dedicato sia andato crescendo con  il nu‐mero delle pagine e della qualità complessiva. Lʹinteresse dellʹUniversità termina con lʹero‐gazione  dei  fondi  “Mille  lire”,  ossia  con  i contributi alle attività studentesche, peraltro previsti  per  legge. Nel  corso  dei  tre  anni  di esistenza del giornale  è  stato necessario pre‐notare unʹaula ogni volta che fosse necessaria una  riunione  della  redazione.  La  procedura, per essere completata regolarmente, richiede‐va di controllare, con sette giorni di anticipo, la disponibilità di unʹaula. Compilare, quin‐di, la richiesta con le firme di tre studenti o di un  rappresentante  degli  studenti  e  conse‐gnarla alla segreteria della presidenza, atten‐dendo dopo qualche giorno lʹapprovazione del preside. La medesima autorizzazione è neces‐saria  anche  per  distribuire  il  giornale  nel 

cortile  della  Facoltà,  motivo  per  il  quale  è diventata  prassi  non  richiederne  alcuna  ed agire  in  (presunta)  illegalità. Nel  tempo  lʹu‐nico progresso ha visto  i  tempi accorciarsi a quattro giorni, senza nulla togliere alla com‐plessità  della  procedura  o  alla  necessità  di una  piccola  redazione. Anche  la  richiesta  di posizionare  distributori  per  il  giornale  in luoghi  di  passaggio,  a  spese  del  giornale,  è stata respinta più volte, sia  in via  informale, sia a fronte di una richiesta dei rappresentan‐ti  in Consiglio  di  Facoltà,  ed  ecco  gli  unici distributori confinati di fronte alle librerie, il più nascosti possibile dagli occhi di studenti e visitatori.  La  sezione  virtuale  è  a  sua  volta ospitata,  a  pagamento,  su  server  esterni, mentre  il  sito  della  Facoltà  propone  nella propria homepage il link a Via Conservato‐rio,  la  rivista  ufficiale,  ovvero  un  periodico quadrimestrale  scritto  per  la maggior  parte da  professori.  Immagino  le  perplessità  per  i nuovi  potenziali  studenti  che,  sperando  di avere lʹopportunità di scrivere sul giornale di Scienze  Politiche  si  trovano  di  fronte  a  un progetto scostante e senza alcuna linea edito‐riale.  Il  futuro  di  questo  giornale  è  affidato allʹentusiasmo dei suoi direttori, alla possibi‐lità di trovare nuove persone, con lʹinizio del prossimo anno, che prendano  in carico parte delle  responsabilità  legate  allʹesistenza  del giornale, oppure alla speranza che per la pri‐ma  volta  la  facoltà  o  qualche  suo  docente, voglia essere innovatrice e valorizzare questo prodotto prima che rimanga solo nella memo‐ria dei  fortunati studenti di questi ultimi tre anni. 

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C U LT U R A

schiacciata   dagli   orrori   del “trujilliato”.  Dal fuku che si agita intorno alla bel‐la Belicia cerca di proteggerla la vec‐chia  abuela  che  la  crescerà  cercando inutilmente di  salvarla  ai dolori  che la segneranno e alla fuga. Così lungo una  linea  del  tempo  che  lega  vite tanto  lontane  e  luoghi  tanto  diversi riaffiorano  i  legami  con  un  passato che veicola misteri d’orrore e amore che aleggiano nel presente  legando  i protagonisti a origini a lungo ignora‐te ma mai del tutto sopite. Alla fuga della  madre  seguirà  il  ritorno  del figlio  nell’isola  in  cui  si  agitano  le passioni più brucianti, dove  si scon‐tra la lotta per la vita contro i carnefi‐ci dei sogni. Junot Diaz (foto  in  alto) vince  con    questo  romanzo  il “Pulitzer  2008”,  premiato  per  la  ca‐pacità di costruire quella che è stata definita una  saga  famigliare  sangui‐naria  e  sensuale  in  cui  la    prosa  si mescola in un amalgama di linguag‐gi quello fantasy,  lo slang del ghetto spagnolo, gli  insulti più  triviali e  ri‐correnti riferimenti letterari. Al letto‐re  rimane  l’indefinibile  sensazione che  si  prova  sognando,  come  di  u‐n’immagine  onirica  in  cui  presente, passato  e personaggi  si  sciolgono  in un’atmosfera  di  superstizione,  leg‐genda   e mistero. La realtà storica si mescola  con  il  soprannaturale  la‐sciando  il gusto di qualcosa di  favo‐leggiante che ricorda il riflesso di un immagine in un vetro. 

L’esatto  contrario  si può dire  invece per Lola  sua  sorella, una vera guapa latina,  con un  carattere  ardito,  com‐battivo  e  un  incessante  bisogno  di fuga da se stessa, dall’asfissiante vita del  ghetto  americano  e  soprattutto dalla madre  rabbiosa  e  soverchiante 

quanto  affettivamente  assen‐te,  la  terribile  Belicia.  Prima dell’America,  della  fuga  da Santo Domingo,  prima  di O‐scar e Lola c’era una  ragazza di  nome Belicia Cabral  scura come il caffè tanto alta quanto incredibilmente  bella  e  irri‐mediabilmente  irrequieta; 

sempre  alla  ricerca  di  qualcosa  che riempisse la sua fame di vita, d’amo‐re e chetasse il tormento interiore che la  legava  alle  sue  origini macchiate di  sangue.  Un’ombra  di  mistero  e crudeltà  che  su  di  lei  avevano  im‐presso  il marchio della sventura che aveva  toccato  la  famiglia  Cabral, 

MILANO  ‐  Questa  è  una  storia  di fuku  (maledizione  o  sventura),    la sventura  del  Nuovo  Mondo  di  cui Santo Domingo  è  il  suo  porto  d’in‐gresso e la dimora del suo sacerdote, Raffae‐leonidas Trujillo Molina, uno dei dittatori più  infami del XX    sec. che esercitò un potere fatto di violenza,  intimidazioni, mas‐sacri,  stupri,  cooptazione  e terrore. Forse però il protago‐nista  di  questa  storia,  Oscar Wao, preferirebbe una defini‐zione un po’ più fantascienti‐fica. Oscar è un chico domeni‐cano  che dello  stereotipo del play  boy  ispanico  non  ha  neppure l’ombra,  è  un  nerd  (sfigato)  grasso, chiazzato  di  foruncoli,  impacciato  e con una passione sfrenata per  il fan‐tasy e un’ossessione ovviamente non ricambiata  per  le  ragazze,  convinto che  anche  la  vita  sia  come  una  di quelle storie.  

Una saga famigliare sanguinaria

di Stefania Carusi

Con il romanzo “La breve favolosa vita di Oscar Wao” Junot Diaz ha vinto il premio “Pulitzer”. Una storia, americana, ai limiti della vita

Promemoria

centri ospedalieri specializzati per donare il loro sangue. Non solo perché è un bene prezioso, ma anche perché ogni anno che passa le sale operatorie regi-strano sempre meno sacche a disposizione dei chirurghi. www.donareilsangue.it è il sito web dove potete trovare i centri ospedalieri dove si eseguono le trasfusioni e dove si può donare il sangue. Altre informazioni po-tete trovarle sul sito dell’AVIS, www.avis.it, l’associazione vo-lontari italiani sangue. Donare il sangue non è solo un atto di umanità verso gli altri, ma anche un segno di civiltà.

[email protected]

S pesso ce ne dimentichia-mo. Anzi, a dirla tutta, non ci pensiamo proprio. Perché è un problema che

tocca sempre gli altri e mai noi. Almeno così, nell’inconscio, sia-mo indotti a credere. Però fermiamoci un attimo a pensare: cosa potrebbe succe-dere se, un giorno, gli ospedali non avessero più la disponibilità di sangue per le trasfusioni? Quante persone morirebbero? E se, disgraziatamente, dovessimo essere noi ad avere bisogno di sangue? Meglio non pensarci, no? Per questo invitiamo tutti i no-stri lettori a rivolgersi presso i

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C U LT U R A

ans chiari,   camicia giallina e capelli ricci raccolti in una piccola coda. Ride e scher‐za tutto  il tempo con  il moderatore della serata, il prof. Carlone della Banda Osiris (il  gruppo  che  accompagna  la  Dandini nel  suo  programma  “Parla  con me”,  in onda  su  rai  3).  Il  jazzista  risponde  alle domande  del  pubblico  e  racconta  aned‐doti  della  sua  vita  esemplificandoli  al piano:  ci  fa  sentire  come era  la “Per Eli‐sa” che ascoltava dal giradischi vecchio e rotto del nonno, e come si presentava alle sue orecchie di bambino “la Stangata” su un 33 giri che però per errore aveva fatto girare a 45.  Nessuno spazio alla noia durante lo spet‐tacolo, neppure quando dalla platea gre‐mita  piovevano  domande  piuttosto  “di settore”:  “che  cosa  ne  pensa  di Monk?” “Qual  è  il  suo  rapporto  con  Frank Zap‐pa?” Grandi  jazzisti,  il primo  forse però molto lontano dal suo stile e Bollani ce ne ha  dato  un  esempio  (effettivamente  si tratta di un jazz non proprio rilassante né di facile ascolto).  Pillole di storia del  jazz italiano (proibito durante  il  fascismo, ma ascoltato  in casa Mussolini), imitazioni perfette (Jovanotti, Allevi  ed  Einaudi  –  il  pianista)  e  tanto divertimento musicale,  forse  all’incontro è mancato qualche pezzo in più che pote‐va  essere  suonato.  Certo,  però,  non  si può rimproverare nulla a questo mattato‐re  che,  dopo  la  fine  dello  spettacolo, quando  ormai  qualcuno  del  pubblico aveva  già  cominciato  ad  andarsene,  è corso fuori dalle quinte e si è precipitato al  piano  per  salutare  a  ritmo  di  jazz  la calorosa platea di studenti che lo aveva a lungo applaudito. Questa  lezione‐concerto  è  stata  organiz‐zata  da  Sinistra  Universitaria,  grazie  al (modesto)  fondo  messo  a  disposizione dall’università per le attività culturali che si sviluppano per iniziativa degli studen‐ti.  Non è il primo incontro del genere porta‐to  da  questo  gruppo  (ha  fatto  venire  in Statale, fra gli altri, la banda Osiris e Mo‐ni Ovadia), né SU è l’unica organizzazio‐ne a proporre questo tipo di eventi cultu‐rali (c’è , ad esempio, l’Associazione Mu‐sica  e  Teatro).  Quindi,  chiunque  di  noi studenti sentisse  l’importanza e  l’esigen‐za  di  “far  crescere  il  senso  si  comunità all’interno  dell’Università”‐  per  usare  le parole che hanno introdotto l’incontro di venerdì‐  con questo  tipo di  attività, non esiti a fare come hanno fatto gli organiz‐zatori di queste giornate: inseguire perso‐naggi importanti del mondo dello spetta‐colo dopo le loro esibizioni nei vari teatri cittadini  e  tampinarli  con  la proposta di venire a calcare le scene nella nostra Uni‐versità.  Con  un  cachet  molto  modesto, ovviamente. 

MILANO ‐ Il jazz come modello di socie‐tà civile ideale: ci si ascolta e ci si accetta reciprocamente,  anche  se magari  non  ci si piace. Questo  è  il messaggio  che  è  ri‐suonato  nell’Aula  Magna  della  nostra Università venerdì 8 maggio.  A portarlo agli studenti, Stefano Bollani, uno dei più eclettici jazzisti del variegato panorama  italiano. Ha cominciato a  stu‐diare pianoforte a 6 anni, a 15 era già una promessa e a 21 si è diplomato al Conser‐vatorio  di  Firenze. Dopo  una  breve  pa‐rentesi pop (che comunque non rinnega) si è dedicato al suo grande amore, il jazz, senza  rinunciare alla musica classica e a collaborazioni televisive, teatrali e radio‐foniche. Ha scritto anche dei libri, tra cui merita attenzione “la Sindrome di Bron‐tolo”.  Tratta  di  come  si  ricordino  più facilmente  i  difetti delle  persone,  che  le loro  qualità.  Non  è  assolutamente  un trattato  di  filosofia,  lo  stesso  Bollani  ha precisato che sono solo sue osservazioni, ma … provate a elencare i nomi dei sette nani:  di  sicuro  ve  ne mancherà  sempre uno, Gongolo. Questo accade perché lui è il nano più felice di tutti. (Ah, se il vostro capo vi sta antipatico, probabilmente non vi  ricorderete  neppure  di  Dotto).  Alla lezione‐concerto  di  venerdì  9  maggio, Lella Costa, presente  in sala, ha detto di lui che “è uno che ama il pubblico”. Ed è vero: Bollani  si presenta  sul palco  in  je‐

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    Tutti i testi pervenuti dovranno essere originali e firmati. La dire‐zione  si  riserva  il  diritto  di  ap‐porre qualsiasi correzione o mo‐difica, nonché  la decisione  finale in merito alla pubblicazione.     Il contenuto del singolo artico‐lo  non  definisce  il  pensiero  di tutta la redazione. 

***    COPYRIGHT  Le  condizioni  di utilizzo di testi e immagini in questo numero  sono  state  concordate  con gli autori. Se ciò non è stato possibi‐le, l’editore si dichiara pronto a rico‐noscere un giusto compenso. 

Bollani, one man show in Statale La musica jazz ha animato per un giorno gli ambienti di via Festa del Perdono. Grazie all’iniziativa degli studenti

di Lina Sirianni

La poesia  

Diventa ritratto  e musica della mia anima,  la poesia. Con cautela  e amore m’avvicino a ʺleiʺ, ho parole  da plasmare a mio piacimento come pennellate  di colore sulla tela  di un pittore, note musicali su spartiti di  pianista! Non m’intendo  di metrica, di terzine né di quartine, la chiusa la  scopro  quando la poesia 

di Stefania Riva

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M U S I C A a cura di Luca Ceriani

L’EVENTO

Il Sonar 2008 a Barcellona

Come  ogni  inizio  estate,  Barcellona ospita  uno  dei  festival  alternativi  di maggior  successo mondiale:  il Sonar(www.sonar.es). Non è un festival comune agli altri, al suo  interno  ospita  un  cosi  variegato numero di artisti che non è possibile concepire una linea guida riguardo a una  certa  corrente  musicale  o  a  un certo genere. Anzi è proprio l’assenza di  genere  che  si  vuole  enfatizzare. Quello  che  si può dire  è  che per  tre giorni la crema musicale indipenden‐te  e  non  patinata  sarà  a  Barcellona, come sempre ci sarà un riguardo par‐ticolare per la scuola inglese e france‐se, presenti  con una  serie  innumere‐vole di showcases o di artisti  singoli ma  quest’  anno  non  mancheranno ospiti di labels extraeuropee.. Ideato  per  chi  vuole  comprendere cosa ci aspetta nell’immediato futuro nel  campo  musicale,  il  Sonar  è  un progetto  di  largo  respiro  che  vanta una storia  lunga 15 anni e centomila visite annue. Incredibili le locations selezionate per gli eventi musicali e non, vi  innamo‐rerete della città e degli artisti selezio‐nati  dallo  staff  dell’evento,  non  riu‐scirete più a perdervene uno. 

Luca Ceriani

Nu Yorica!

CULTURE CLASH IN NEW YORK Nella “Grande mela”  , in quella grande zuppa di culture pro‐venienti da  tutto  il   globo, può succedere anche d’  imbattersi in particolarissime produzioni musicali che rispecchiano l’ani‐mo multiforme della città più  famosa al mondo. La Soul  jazz records, con  sede  in UK, propone una  raccolta di dischi pro‐dotti dalla corrente latina presente nella “Big city” americana. Il clash  tra  le diverse matrici  sonore,  latin da una parte  jazz/ funk dall’altra, creato dagli artisti in voga del periodo preso in considerazione  dalla  label,  trasforma  l’album  in  qualcosa  di unico e curioso. Ascoltarlo è po’ come vivere una giornata  tra  le vie notturne di New York o in qualche cantina trasformata in club, dove tra alcool, fumo e sudore bands si susseguono miscelando generi e accrescendo il mito della città; Nu yorika! 

The Roots

RISING DOWN The Roots are back! E sono davvero arrabbiati, scorda‐tevi  le  tracce al  limite dell’ hip hop patinato d’inizio millennio. Suoni acerbi, duri e nervosi  fanno da con‐torno  alle  14  tracce  prodotte  da  questo  collettivo  di Philadelphia  attivo  dal  1989. A  detta  di  loro  questo ultima fatica è quella più intrisa di politica e rabbia in cui, oltre a invettive alla vita nella loro città, polemiz‐zano  per  la  situazione  generale  americana.  Adden‐trandosi  nell’album  si  ha  proprio  la  percezione,  svi‐luppata magnificamente  dai  vari  appartenenti  della band, di essere  in un film alla “Blade Runner”,  in un 

mondo post tutto, dove è il nichilismo e la distruzione a comandare l’animo umano. Tra beats breakbeat e featuirings di spessore, “Rising down” è il top disco dell’ ultima sta‐gione. Non dimenticatevi che dietro a quest’album c’è forse la più grande etichetta del rap: la Def Jam. 

Booka Shade

THE SUN & THE NEON LIGHT Poverini gli arroganti che diminuiscono il lavoro di producers  come  i  tedeschi  Booka  shade.  Senza  il duo tedesco non si potrebbe capire l’ultima decade della musica underground europea, non solo sono i fondatori di un suono e una percezione dell’elet‐tronica  diversa(getphisical.com)  ma  sono  anche stati tra i primi a coniugare la musica house con il concetto di  live: batteria elettronica, due  laptops e una  serie  di  pianole  che  li  ha  portati  ad  aprire  i concerti dei Depeche Mode  in tutto  il mondo e ad una serie di live nei miglior clubs. Rieccoli quindi a distanza di due anni dal loro ultimo, pregiatissimo e premiatissimo, album “Movements”. Il disco assemblato è proprio il concentrato della visione musicale tedesca indie: techno, dark, minimale. Non  ci vorrà molto prima  che  i  singoli dell’album verranno  sbalzati qua e  la nelle classifiche o semplicemente nei dancefloors del mondo,  la prima è stata “Charlotte” remixata da Dubfire, ma di jump up nel disco ce né molte, basterà attende‐re. 

Freddure «Moratti ha sciolto i suoi dubbi e ha preso finalmen‐te una decisione chiara: il nuovo allenatore dell’Inter 

sarà Mancinho »   

(www.gago.splinder.com)

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N E X T G E N E R AT I O N

ma  che  a  Como  e  provincia  ha  un seguito non trascurabile. «Croppy  boy  significa  “ragazzo  dai capelli  tagliati” – ci spiega Ottaviano (Otto, per tutti), il cantante della band ‐. Durante  la dominazione della mo‐narchia  britannica  a  Tralee,  in  Irlan‐da, ci  furono due sommosse represse nel  sangue.  Protagonisti  di  queste sommosse  furono  i  croppy  boys  i quali portavano  i capelli  rasati, men‐tre  in  quei  tempi  avevano  tutti  i  ca‐

COMO – Lo sfondo della loro pagina MySpace  è  la  foto di un  lago. Scelta per  niente  casuale  perché  è  proprio attorno al lago – quello di Como, per la  precisione  –  che  ruotano  le  storie narrate e cantate dai “Croppy Boys”. La  band  comasca  produce  uno  stile musicale che è una via di mezzo tra il folk ed  il rock con nette  influenze di Davide Van de Sfroos e dei Modena City  Ramblers.  Una  musica  non  al centro  delle  preferenze  della massa, 

Il folk italiano nelle mani dei “Croppy Boys” Il più piccolo ha 14 anni e suona la fisarmonica, il più grande 34. Attorno al lago di Como la band realizza musica tradizionale. Nonostante le majors

CARTOLINE DALL’INDIA dall’inviata Daniela Balin

Info

http://www.myspace.com/croppyboys 

pelli lunghi. La prima canzone che ho scritto parla di uno di loro e si chiama appunto “Croppy boy”. Da qui deri‐va anche il nome della band».  Il gruppo è composto da sette perso‐ne;  alla  batteria  Eros  (24  anni),  alla chitarra  elettrica  Alessandro  (24),  al basso Fabio (30), alla chitarra acustica Filippo  (34),  la  voce  è  di  Ottaviano (21),  quindi  i  due  gioielli: Damiano, 16 anni, al violino e soprattutto Silva‐no, di soli 14 anni, alla fisarmonica. La band si è formata a settembre del‐l’anno passato e deve ringraziare an‐che un incrocio semaforico: nell’attesa che  scatti  il  verde  Filippo  conosce Damiano  mentre  sta  suonando  col suo  violino  una  canzone  di  Van  de Sfroos. Non si  fa sfuggire  l’occasione e gli chiede di entrare nel gruppo. Ma perché  la musica folk? «Perché ci piace molto Davide Van de  Sfroos  – risponde  sempre  Ottaviano  ‐,  per  il suo modo  di  raccontare  il  lago,  ele‐mento  importante  dell’esistenza  di noi comaschi; poi perché  il  folk è  in‐centrato  molto  sulla  melodia  e  sui testi, perché  è una musica profonda. Proprio  per  questo,  ogni  volta  che suoniamo,  si  crea  sempre  un  clima intimo tra noi e chi sta ascoltando. Ed è quello che ci piace di più».  Sarà per questo che  i  luoghi preferiti dai “Croppy Boys” sono i baretti «un po’  così,  con  gente  talvolta  strana» oppure sagre di paese, dove «tra una salamella e l’altra si suona e si ascolta musica che coinvolge emotivamente».  Hanno  i piedi per  terra questi ragaz‐zi,  non  si  fanno  troppe  illusioni  e, anzi, pensano che il mercato musicale sia sfavorevole al loro tipo di musica. Ma  il cantante precisa che «se  la mu‐sica  folk  è  in  crisi dal punto di vista del mercato discografico, sono  tanti  i gruppi che producono costantemente musica folk. Alla fine, però, decidono le majors  ed  è quello  che  ascoltano  i ragazzi di oggi».  Dopo la nostra chiacchierata, Ottavia‐no và a coronare il suo sogno: suona‐re e cantare con Van de Sfroos a Mez‐zegra. Nei  pressi  del  lago  di  Como, ovviamente. 

L.B.

Red Fort Agra, India (© Daniela Balin / Acido Politico) 

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C I N E M A

Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo visto da Marco Fontana e Luca Silvio Battello

MILANO  ‐ Una mano  si accinge  a  raccogliere  un cappello, per poi portarlo sul capo; questa è l’imma‐gine  che  con  tanta  emo‐

zione  ci  introduce  il  mitico  Indiana Jones. Ebbene si, è nuovamente Harri‐son Ford a  indossare  il copricapo del più famoso archeologo del secolo pas‐sato, in Indiana  Jones  e  il  regno  del  te‐schio  di  cristallo  (USA, 2008, 125 minu‐ti).  Dopo 19 anni dalla sua ultima avven‐tura: “Indiana Jones e  l’ultima crocia‐ta”,  ci  troviamo  nel  bel mezzo  della guerra  fredda,  nel  1957,  questa  volta sono  i  sovietici, a  cercare  i poteri oc‐culti, provenienti da oggetti del passa‐to  della  nostra  civiltà  o  di  una…Extraterrestre.  Le  aspettative  della pellicola, però, si esauriscono nel rive‐dere  lui,  l’eroe che  tutti portiamo nel cuore da 27 anni, dai tempi di Indiana Jones  e  i predatori dell’arca perduta. Le scene del nostro avventuriero sono c a r i c a t u r a l i , ripensando  a ciò che era, e  le sue  nuove  av‐venture  sfiora‐no  l’assurdo. Se nei  tre  prece‐denti  film,  l’a‐zione  era  com‐penetrata  da delle affascinanti teorie archeologiche; ora l’azione sovrasta tutto, a discapito del  fine  ultimo  del  Dottor  Jones:  la conoscenza.  I  colpi  di  scena,  nelle  avventure  del protagonista, non mancano. Rivederlo è stato come incontrare di nuovo, do‐po molti anni, un vecchio amico, e  le cose  che  ci  si  deve  raccontare  sono parecchie.  Il  pubblico  in  sala  vuole solo lui: Indiana Jones, con il suo stile inconfondibile. Purtroppo è ciò che è stato costruito attorno al nostro perso‐naggio che non  funziona… Come nei bei tempi che furono.  (l.s.b.) 

volte rinviato. Lʹavanzare dellʹetà del protagonista Harrison Ford non favo‐riva lieti auspici anche perché lʹironia sugli  anni  che  aumentano  si  era  già spesa con il personaggio del padre di Indy  interpretato  da  Sean  Connery nel  film del 1989.  I dubbi  si possono considerare fugati. La formula in fon‐do  non  cambia:  là  dove  era  l’Arca oggi c’è un teschio, dove erano nazisti ora  sono  russi, oltre  alla paura degli alieni tipica di quegli anni. Senza Ste‐ven Spielberg, George Lucas e Harri‐son  Ford  non  si  poteva  immaginare Indiana  Jones  e  infatti  il  team  non  è cambiato e  il risultato non è stato un fallimento. Per gli amanti della  saga, come  il  sottoscritto,  un  film  da  non perdere, mentre per  gli  altri  sarà un normale film d’avventura, interpreta‐to  però da  un  bravo  attore  e  diretto da un mago della cinepresa.  Voto 6.5 

(m.f.) 

«Per gli amanti della saga di Spielberg un film da 

non perdere» 

MILANO  ‐ 1957,  in mez‐zo  al deserto  e  nel pieno della  guerra  fredda,  il professor  Jones  (Harrison Ford)  ed  il  suo  compare 

Mac,  riescono  a  sfuggire  alla  cattura da  parte  dell’agente  sovietico  Irina Spalko  (Cate  Blanchett).  Una  volta ritornato al Marshall College, il deca‐no dellʹistituto, informa Jones del fat‐to  che  il  governo,  per  via  delle  sue ultime attività, ha fatto delle pressioni per  sollevarlo dal  suo  incarico. Poco male, perché, a stimolare il professore a buttarsi in una nuova impresa, arri‐va Mutt  (Shia  LaBeouf),  un  giovane ribelle,  che  gli  propone  di  aiutarlo nella  ricerca  di  un  preziosissimo  re‐perto  archeologico,  il Teschio di Cri‐stallo di Akator.  Purtroppo, una vol‐ta  arrivati  in  Perù,  si  accorgeranno che  non  sono  gli  unici  interessati  al ritrovamento dellʹoggetto, sulle tracce del cimelio ci sono anche i russi. A  19  anni  dall’Ultima  crociata  torna sul  grande  schermo  l’archeologo più famoso di  tutti  i  tempi.  Si nutrivano molte  attese  e  al  contempo molti  ti‐mori per questo quarto episodio della saga troppe volte annunciato e troppe 

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LA MEGLIO GIOVENTU’? Ragazzi pachistani giocano a biliardo nel quartiere cristiano Kashi Kalun di Islamabad

(EMILIO MORENATTI / AP PHOTO)

NO MORE TEARS L’ennesimo funerale di un civile ira-cheno ucciso durante gli scontri con i soldati american che hanno provo-

cato 37 morti (AHMAD AL-RUBAYE / AFP / GETTY)

FURIA CIECA Un bambino iracheno viene cu-rato dai medici militari statuni-tensi dopo l’ennesima auto-bomba scoppiata a Mosul, in Iraq

(EVAN NUCCI / AP PHOTO)

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