0 A cura di Gattai Alessandro, Phd A uso esclusivo degli studenti del corso di laurea in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni INTRODUZIONE AL CONCETTO DI CLIMA <<Le atmosfere psicologiche sono realtà empiriche, fatti scientificamente descrivibili>> (Lewin, 1946) L‟organizzazione è un sistema socio-tecnico dove convivono aspetti soft e aspetti hard, lavoro e tecnologia, persone e know how, sistemi e mondi vitali. Accanto all‟organizzazione definita dall‟autorità o dalle tecnologie operanti, che stabiliscono strutture, procedure, sistemi di coordinamento/controllo e dividono il lavoro individuando ruoli e mansioni, si muove tutto un contesto latente costituito da comportamenti, usi, attese, motivazioni delle persone. Esiste insomma, accanto all‟organizzazione tecnico/formale, un‟organizzazione delle persone che nasce da fenomeni come le attese, le percezioni, le relazioni e la quotidianità (La Rosa, 1993). Studiare un‟organizzazione non significa solo privilegiare una realtà obiettiva, strutturale, ma anche sottolineare una realtà soggettiva di „‟clima‟‟ che non viene quasi mai presa ufficialmente in considerazione. Il concetto di clima ha una chiara derivazione geografico-metereologica che può risultare utile per una sua comprensione intuitiva. Così come il clima metereologico è dato da un‟insieme complesso di fenomeni (piovosità, umidità, temperatura, altitudine, ecc.) che nel loro insieme rendono una regione più o meno adatta ad un particolare tipo di coltura e sensibile a particolari eventi atmosferici (pioggia, neve, nebbia, siccità, ecc.) così il clima organizzativo possiamo immaginarlo come un insieme dato da una serie di fattori la cui conoscenza dello stato medio permette di prevedere, ad esempio, la maggiore incidenza di conflitti e litigi tra le persone, così come la presenza di collaborazione e di rapporti di reciproca fiducia. Incide sui risultati che quel gruppo/territorio può conseguire. Il concetto di clima organizzativo, entrato nella letteratura psicologica negli anni ‟60, ha visto nel decennio successivo un progressivo espandersi delle sue applicazioni ai più diversi tipi di organizzazione. A tale ampiezza di applicazioni, tuttavia, non corrisponde un‟adeguata chiarezza né una definizione univoca delle sue componenti concettuali ed operative (De Vito Piscicelli, 1984). Il primo a parlare di atmosfera psicologica fu Kurt Lewin che inserì tale concetto nella sua teoria del campo con cui intendeva dare basi scientifico/statistiche alla psicologia sociale, spiegando il comportamento umano come derivante dall‟interazione tra fattori interni (persona) e fattori esterni (ambiente). <<[…] Queste caratteristiche (persona e ambiente) del campo inteso come una totalità hanno in psicologia un’importanza pari a quella che può avere, ad esempio, il campo di gravità nella spiegazione dei fenomeni nella fisica classica […] >> (Lewin, 1946) . Negli approcci ai climi organizzativi troviamo, innanzi tutto, teorie definite strutturali in cui prevale, nella determinazione del comportamento umano, il peso dei fattori esterni (ambiente,
74
Embed
A uso esclusivo degli studenti del corso di laurea in ... - Scienze... · Il primo a parlare di atmosfera psicologica fu Kurt Lewin che inserì tale concetto ... e fattori esterni
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
0
A cura di Gattai Alessandro, Phd
A uso esclusivo degli studenti del corso di laurea in Psicologia del lavoro e delle
organizzazioni
INTRODUZIONE AL CONCETTO DI CLIMA
<<Le atmosfere psicologiche sono realtà empiriche,
fatti scientificamente descrivibili>>
(Lewin, 1946)
L‟organizzazione è un sistema socio-tecnico dove convivono aspetti soft e aspetti hard, lavoro
e tecnologia, persone e know how, sistemi e mondi vitali. Accanto all‟organizzazione definita
dall‟autorità o dalle tecnologie operanti, che stabiliscono strutture, procedure, sistemi di
coordinamento/controllo e dividono il lavoro individuando ruoli e mansioni, si muove tutto un
contesto latente costituito da comportamenti, usi, attese, motivazioni delle persone. Esiste
insomma, accanto all‟organizzazione tecnico/formale, un‟organizzazione delle persone che
nasce da fenomeni come le attese, le percezioni, le relazioni e la quotidianità (La Rosa, 1993).
Studiare un‟organizzazione non significa solo privilegiare una realtà obiettiva, strutturale, ma
anche sottolineare una realtà soggettiva di „‟clima‟‟ che non viene quasi mai presa
ufficialmente in considerazione.
Il concetto di clima ha una chiara derivazione geografico-metereologica che può risultare utile
per una sua comprensione intuitiva. Così come il clima metereologico è dato da un‟insieme
complesso di fenomeni (piovosità, umidità, temperatura, altitudine, ecc.) che nel loro insieme
rendono una regione più o meno adatta ad un particolare tipo di coltura e sensibile a particolari
eventi atmosferici (pioggia, neve, nebbia, siccità, ecc.) così il clima organizzativo possiamo
immaginarlo come un insieme dato da una serie di fattori la cui conoscenza dello stato medio
permette di prevedere, ad esempio, la maggiore incidenza di conflitti e litigi tra le persone, così
come la presenza di collaborazione e di rapporti di reciproca fiducia. Incide sui risultati che
quel gruppo/territorio può conseguire.
Il concetto di clima organizzativo, entrato nella letteratura psicologica negli anni ‟60, ha visto
nel decennio successivo un progressivo espandersi delle sue applicazioni ai più diversi tipi di
organizzazione. A tale ampiezza di applicazioni, tuttavia, non corrisponde un‟adeguata
chiarezza né una definizione univoca delle sue componenti concettuali ed operative (De Vito
Piscicelli, 1984).
Il primo a parlare di atmosfera psicologica fu Kurt Lewin che inserì tale concetto nella sua
teoria del campo con cui intendeva dare basi scientifico/statistiche alla psicologia sociale,
spiegando il comportamento umano come derivante dall‟interazione tra fattori interni (persona)
e fattori esterni (ambiente).
<<[…] Queste caratteristiche (persona e ambiente) del campo inteso come una totalità hanno
in psicologia un’importanza pari a quella che può avere, ad esempio, il campo di gravità nella
spiegazione dei fenomeni nella fisica classica […] >> (Lewin, 1946) .
Negli approcci ai climi organizzativi troviamo, innanzi tutto, teorie definite strutturali in cui
prevale, nella determinazione del comportamento umano, il peso dei fattori esterni (ambiente,
1
struttura, sistemi premianti, organigramma) su quelli interni. In altre teorie, invece, il rapporto
si inverte ed i fattori legati alla persona sono visti come più incisivi di quelli legati all‟ambiente
(teorie percettive).
Facendo poi riferimento al soggetto collettivo come „‟culla del clima‟‟ nei vari approcci
possono prevalere o la componente interattiva o l‟importanza dello sfondo. Nel primo caso
viene sottolineata l‟importanza della relazione e dell‟interazione fra i vari soggetti; nel
secondo, viene enfatizzato il ruolo giocato dalla cultura tipica di quello stesso gruppo.
Ciò che può produrre un ambiente di lavoro molto soddisfacente non coincide con ciò che può
produrre un ambiente fortemente centrato sulla prestazione. Un‟organizzazione percepita come
in attesa di elevati livelli di prestazione è associata soprattutto a un chiaro senso di direzione
(chiarezza dei fini aziendali valutati come stimolanti) e ad una chiara definizione dell‟autorità
in relazione alle diverse responsabilità. Viceversa, un ambiente di lavoro soddisfacente, darà
particolare importanza allo sviluppo della risorsa umana, a rendere le persone consapevoli delle
mete aziendali e a processi gestionali fluidi, dove le decisioni vengono prese velocemente e
realizzate senza che vi siano problemi relazionali.
IL CONCETTO DI BENESSERE
La psicologia dominante, sino ad oggi, è stata quella del malessere, una psicologia che parte
dall'assunto che questo esiste e che il suo compito è quello di scoprirlo e di ridurlo. Un
intervento quindi teso allo “stare meglio”, alla conquista di un qualcosa che possa migliorare il
contesto sociale, affettivo, organizzativo.
Un dispositivo mentale che, nel corso dei secoli, è stato usato da politici, governanti, dirigenti,
insegnanti e genitori di quasi tutte le culture del mondo: si minaccia il malessere e si indica
come evitarlo. Il mondo del lavoro, con le sue lotte, ne è indicativo.
Gli uomini hanno lottato per una paga più alta, per un ambiente di lavoro più vivibile, per la
sicurezza. Battaglie dure e lunghe che hanno portato a “stare meglio”. Ma lo stare meglio non
vuol dire certo conquista del benessere.
Spaltro in un suo intervento del 1997 dice che il benessere è qualcosa di soggettivo che ha la
persona singola come protagonista.
Un ribaltamento dei concetti che sino ad oggi hanno costruito il nostro habitat ambientale e
psichico. L‟autore avverte che la psicologia del benessere è oggi praticamente inesistente ed è
quindi prevalentemente teorica: <<[…] Essa, per realizzarsi, deve partire da una definizione di
benessere e dalla presa di coscienza della natura progettuale di ogni soggettività. In definitiva
la psicologia deve diventare più attenta alle soggettività benestanti abbandonando il modello
obiettivista malestante di derivazione medico-sanitaria […]>> (Spaltro, 1997).
E ancora: << […] Da qualche anno si è posta attenzione all'idea di benessere, come modalità
di vita, come sinonimo di qualità di vita, come opposto e contrario del malessere. Ciò ha
provocato un cambiamento radicale dell'idea di benessere non più considerato sinonimo di
ricchezza o salute (benessere obiettivo) ma sinonimo di qualità della vita e di felicità
(benessere soggettivo) […] >> (Spaltro, 1997).
Proprio analizzando il termine benessere, la sua derivazione etimologica, il variare dei
significati, l'intendersi del termine anche in funzione teologica, Spaltro getta le basi della nuova
2
psicologia: una psicologia dedicata allo studio degli aspetti piacevoli e non a quelli dolorosi
della vita psichica.
Se sino ad oggi il soggetto è stato sempre concepito come un “soggetto doloroso” (lotta per lo
stare un po' meglio), oggi i tempi sono cambiati e gli interessi stanno virando, anche se
lentamente, verso il benessere, il piacere e la soddisfazione dei desideri.
Chiarisce Spaltro : << […] Già la trasformazione del mondo costituito essenzialmente da
bisogni (dipendenza, frustrazione, paura, libertà) nel mondo prevalentemente costituito da
desideri (relazione, soddisfazione, speranza, comunicazione, negoziazione) ha rappresentato
un passo avanti per la costruzione della psicologia del benessere […]>> (Spaltro, 1997).
Ma c'è ancora uno scoglio da superare, quello di “liberare” il benessere dal suo significato
negativo, dai sensi di colpa che si porta dietro.
Ora, se è vero che le funzioni psichiche che determinano il benessere sono principalmente
l'invidia e la gelosia, l‟autore (1997) rileva anche come la “cultura giuridica” (quella per cui,
dato che tutti gli uomini tendono al benessere, e non essendocene per tutti, occorre che vi siano
delle norme che regolino la distribuzione del benessere - inteso così solo come quantità - e
quindi occorre una giustizia distributiva che ne regoli la diffusione obiettiva) abbia di fatto
bloccato il benessere.
Lo scopo di questo blocco, spiega Spaltro (1997), è appunto l'invidia, che in chi ha il potere, si
esprime come paura del benessere degli altri, che diventa minacciante e che lascia pensare ad
una maggiore autonomia dei nuovi benestanti rispetto ai vecchi. I vecchi benestanti fanno,
infatti, di tutto per evitare ai nuovi di realizzare benessere. Essi sono disposti anche a ridurre il
proprio benessere purchè non aumenti quello dei nuovi benestanti.
Indicato quindi che la psicologia del benessere è una psicologia soggettiva, indicato anche che
alla resa dei conti si tratta di avere un costrutto mentale diverso, Spaltro focalizza l'obiettivo
sulla relazione tra benessere e lavoro.
Con una premessa : << […] E' molto facile dire che il benessere sta nella soggettività, cioè è
soggettivo, e che è proprio il sentimento di essere soggetto, di essere titolare di una propria
ipotesi di benessere che consente di uscire dal benessere di stato, dalla verità di stato,
dall'organizzazione di stato, cioè unica, sacra, involabile, ma non mia […]>> (Spaltro, 1997).
Il lavoro gradevole è stato il sogno di molte generazioni: oggi può essere il progetto della
generazione che sta cominciando a lavorare. I giovani possono passare dall'utopia alla realtà.
Nel mondo del lavoro il conflitto tra benessere e malessere è giunto ad un momento di svolta:
la soggettività combatte la sua lotta per il benessere e non quella contro il malessere.
Ma che tipo di lavoro avremo in futuro? Qualcuno sostiene che il lavoro scomparirà, qualcun
altro parla del lavoro post-industriale, cioè teleorganizzato o meglio soggettivizzato al
massimo.
Il futuro lavoro, ipotizza Spaltro (1997), sarà essenzialmente sentimento ed esercizio di
cittadinanza e delle sue possibili declinazioni benestanti. Il conflitto di base non sta più tra
capitale e lavoro, ma tra cittadino e stato dove la resistenza al benessere si pratica più forte.
La cultura del benessere che avanza è anche la cultura del pluralismo e della diffusione a tutti
del benessere. la cultura del malessere è basata sull'idea che, essendo le risorse scarse, solo
pochi possono disporne e la maggioranza deve invece restare nel malessere. Il malessere dei
più è così funzionale al benessere di pochi.
Ciò nonostante si sta realizzando una società negoziale e la negoziazione non è più sulla
ripartizione “giusta” della ricchezza tra capitale e lavoro, ma su quella della sovranità tra i
gruppi della maggioranza dei cittadini (dimensione privata) e i gruppi della minoranza dello
stato (dimensione pubblica).
3
Tutto questo porta alla formulazione di nuovi principi della formazione e quello che oggi si
chiama benchmarking (lavoro cooperativo di scambio delle tecnologie e della capacità) può
agevolare molto questo processo di costruzione e diffusione di una pedagogia del benessere.
Il pericolo sta nella possibilità che la formazione diventi un sistema chiuso, difensivo degli
alibi che sinora hanno bloccato la realizzazione di un nuovo modello di formazione (contrasto
tra finalità del lavoratore e dell'impresa, necessità di soffrire per imparare, apprendimento
come indottrinamento, paura che lo sviluppo dei singoli possa intralciare le finalità
dell'impresa).
Così una psicologia del benessere sta sviluppando alcuni nuovi principi della formazione che
rappresentano la chiave di volta per lo sviluppo e l'apprendimento di una psicologia del
benessere.
Il lavoro sta cambiando ma noi continuiamo a far finta di niente e a lavorare come se tutto
fosse sempre lo stesso, ma poi ci troviamo di fronte al problema della disoccupazione che è
allarme in tutta Europa, ci troviamo di fronte alla tecnologia spesso irraggiungibile per i più e
con i vecchi modelli non riusciamo a spiegarci i fatti in cui viviamo.
Ciò determina il bisogno di rivedere la formazione lavorativa secondo nuovi principi così
riassumibili:
Ogni formazione è in fondo una formazione al benessere;
La formazione serve al soggetto ed è finalizzata allo sviluppo del soggetto;
Esiste una soggettività collettiva e non c'è contrasto tra individuo e società;
Il valore base della società del benessere è la sua soggettività;
Un soggetto è il titolare di un progetto di benessere;
La soggettività è permessa ai forti e vietata ai deboli: è un'aspirazione dei deboli;
Il lavoro futuro sarà soggettivo e connesso col sentimento di appartenenza e cittadinanza.
Ciò vuol dire che ogni formazione deve essere finalizzata al lavoro di domani e non al lavoro
di ieri.
Come conseguenza di questo scenario in movimento, cambiamo anche le relazioni industriali.
Lo scopo di ogni relazione industriale futura sarà la formazione dell'avversario, la
considerazione per l'avversario, per la controparte, per ciò che per secoli è stato considerato il
nemico da battere.
Poichè nessuno nasce benestante, perchè solo dopo lo diventa, poichè quindi è possibile, utile e
necessario imparare a vivere bene, le relazioni industriali rappresentano oggi il territorio ideale
per raggiungere quelle piattaforme di benessere che gli uomini non sarebbero in grado di
raggiungere, nè da soli, nè in piccoli gruppi isolari o in conflitto distruttivo e bellico tra loro.
Fare del conflitto una forza produttiva era lo slogan delle relazioni industriali classiche. Fare
del negoziato una costruzione di benessere rappresenta lo slogan della nuove relazioni
industriali.
Il futuro del benessere sta nel fatto che non esiste e che quindi va quotidianamente inventato. E
siccome sono i soggetti che lo inventano il futuro benessere non potrà che essere soggettivo. Il
benessere quindi si ottiene sempre di più non solo aiutando i poveri e le fasce più deboli, ma
aiutando tutti a raggiungere un maggior benessere.
Il negoziatore è quindi il professionista ideale della società del benessere e del futuro lavoro ad
alta qualità di vita.
Spaltro, schematizza questa ipotesi (figura 7), sottolineando la relativa incidenza delle parti
consapevoli e di quelle inconsapevoli nei tre livelli di funzionamento sociale da lui individuati
(coppia, gruppo e collettivo). Afferma, infatti, l‟esistenza di almeno quattro livelli di
interazione-scontro tra individuo ed altro individuo e tra individuo e mondo esterno in genere.
Questi livelli sono:
4
individuo-individuo (cultura di coppia e relazioni interpersonali);
individuo-piccolo gruppo (cultura micro e relazioni sociali);
individuo-grande gruppo o sistema sociale definito e limitato (cultura macro e relazioni
collettive);
individuo-sistema sociale indefinito (non ancora studiato sperimentalmente e riferito alle
relazioni indefinite).
La figura 7 mette in evidenza che il clima è sviluppato dal gruppo, mentre la cultura riguarda la
dimensione collettiva. In alto sono rappresentati gli elementi oggettivi presenti a livello di
consapevolezza, mentre in basso viene raffigurata la presenza della dimensione soggettiva più
inconsapevole (e forse inconscia) dell'organizzazione.
Fig. 7: Rappresentazione delle tre dimensioni relazionali (coppia/gruppo/collettivo) presenti
all'interno di qualsiasi organizzazione.
Alla luce di quanto detto, quindi, possiamo concludere che il clima è un costrutto psicologico
che si riferisce a percezioni sviluppate dalle persone nei riguardi del proprio ambiente di
lavoro. Il gruppo è la sede privilegiata del clima.
Il gruppo diventa la sede privilegiata di ogni intervento in azienda , essendo la struttura stessa
delle organizzazioni composta in piccoli gruppi
3.1 Il gruppo
I gruppi e le relazioni fra persone occupano un posto centrale nell'approccio psicologico e
soggettivo allo studio delle organizzazioni. Prima di alcune ricerche svolte negli anni 30-40
esisteva un luogo comune piuttosto diffuso in base al quale quanto più logici e razionali sono i
rapporti gerarchici tanto più facilmente l'attività dei singoli membri risulterà coordinata e
diretta al raggiungimento degli obiettivi che l'azienda si prefigge. L'ideale sotteso da questa
concezione è che le relazioni fra persone possano essere determinate semplicemente da una
certa forma data e i rapporti facilmente subordinabili alle necessità produttive dell'azienda.
Lo psicologo Elton Mayo definì questo presupposto una “rabble hypotesis” (un'ipotesi folle!)
della società. Come lo stesso Mayo specificò “in qualunque fabbrica che goda di continuo
successo” la direzione non è in rapporto con i singoli lavoratori ma sempre con gruppi di
lavoratori. In ogni reparto che opera continuativamente gli operai hanno formato - se ne
5
rendano conto o no - dei gruppi che hanno consuetudini, doveri, routine ed anche riti
appropriati; la direzione riesce o fallisce nella misura in cui è accettata senza riserve dal
gruppo”.
3.2 Il concetto di gruppo
Le lingue antiche non disponevano di alcun termine per designare un numero ristretto di
persone impegnate in una qualche forma di attività comune. II concetto e il termine di gruppo è
relativamente recente: compare solo nel XVIII secolo nell'accezione con la quale noi lo
utilizziamo oggi. Il termine gruppo etimologicamente nasce dall'italiano groppo. Groppo ha
come significato primario quello di “nodo”, ma ha anche delle connessioni con il germanico
“truppa” = massa arrotondata, quindi tondo. Da nodo e da tondo forse provengono il senso di
“riunione”, “assemblaggio”, “circolo”, “coesione” che il termine progressivamente assumerà
dopo il XVIII secolo anche in francese (groupe), in tedesco (gruppe) e in inglese (group).
Il termine "gruppo" è successivamente stato usato con un'accezione sempre più ampia sino a
comprendere insiemi sociali di dimensioni e strutture molto diverse che vanno, ad esempio, da
un concetto di collettività nazionale, alle classi sociali, fino alle realtà più limitate dei nuclei
familiari. II solo carattere comune a questi insiemi è determinato dalla pluralità dei soggetti e
dalla loro più o meno forte ed implicita solidarietà. E‟ preferibile riservare l'uso scientifico del
termine gruppo a un insieme (ristretto) di persone che devono e/o possono e/o vogliono
riunirsi.
Il termine di “membri”, con il quale di solito si denotano le persone che compongono un
gruppo, richiama alla mente l'immagine di un corpo le cui diverse parti sono allo stesso tempo
dipendenti e mobili; ricorda quindi un insieme di elementi fra loro distinti ma che conservano
qualcosa in comune e che quindi possono, proprio per questo, “fare” qualcosa insieme. Il
gruppo è “fare”, il gruppo è “azione”.
Al gruppo è generalmente associata l'idea di forza: valga a titolo esemplificativo l'espressione
“raggrupparsi” che esprime, in modo evidente, il fatto che gli individui singolarmente si
sentono più deboli e ritrovano in questa realtà un mutuo rinforzo.
“Il gruppo è qualcosa di più e di diverso della somma dei suoi singoli elementi”.
Quest'affermazione che Kurt Lewin uno dei primi ricercatori che gettò le basi scientifiche allo
studio psicologico dei gruppi, sviluppò a partire dalla psicologia della Gestalt (l'insieme è
diverso dalla somma dei suoi elementi) suggerisce di pensare al gruppo come a un qualcosa di
ordine diverso, con qualità e con risorse nuove rispetto ai singoli elementi che lo compongono.
Alcune considerazioni di carattere quantitativo aiutano a comprendere meglio come il
funzionamento dei rapporti interumani possa assumere diverse modalità. Il gruppo comincia
con la presenza di un terzo in una coppia e con i conseguenti e inevitabili fenomeni di
coalizione, accettazione, rifiuto, maggioranza, minoranza e le relative speranze e paure che li
accompagnano.
I “fenomeni di gruppo” si manifestano pienamente solo a partire da quattro o più componenti,
ovvero nel momento in cui il numero dei possibili rapporti due a due supera il numero dei
membri. Infatti fra tre persone A, B, C esistono solo tre possibili rapporti AB, AC e BC (ma sei
relazioni perché alle prime tre bisogna aggiungerne altre tre: BA, CA, CB). Ulteriormente fra
quattro persone A, B, C, D esistono sei possibili rapporti: AB, AC, AD, BC, BD e CD (e dodici
relazioni). Il numero delle relazioni possibili cresce con il numero dei membri in ragione della
formula n(n-1), mentre il numero dei rapporti cresce in ragione della formula: n(n-1)/2.
Superato il numero di 15 (o al massimo 20) persone il numero dei rapporti (e delle relazioni)
diventa talmente alto che la loro qualità cambia nuovamente e profondamente assumendo
caratteristiche diverse.
6
Proseguendo, in termini ancora per il momento solo quantitativi, si possono distinguere quattro
macro tipologie di rapporto:
DI COPPIA (A DUE)
DI GRUPPO (O DI PICCOLO GRUPPO, DA 3 A 15 PERSONE)
DI COLLETTIVO (O ORGANIZZATIVE, DA 20 A 500 PERSONE)
DI COMUNITÀ (DA 500 A MIGLIAIA)
Dal punto di vista qualitativo per ognuno di questi livelli di funzionamento sociale esiste una
cultura particolare, un insieme di elementi diversi che caratterizzano la relazione
indipendentemente dai soggetti interessati. La prima dimensione che, in termini anche
numerici, denota il rapporto sociale nella vita di ogni individuo è rappresentata dalla coppia. La
cultura che caratterizza questa realtà costituisce il primo gradino di una scala numericamente
sempre più complessa che trova la sua soluzione nella dimensione organizzativa e nella relativa
cultura che questa sottende.
Questo passaggio da una cultura ad un‟altra può anche essere definito mediante due parole
ricorrenti:
a) socializzazione (o passaggio dalla cultura di coppia alla cultura di gruppo)
b) collettivizzazione (o passaggio dalla cultura di gruppo alla cultura di collettivo).
La socializzazione e la collettivizzazione sono momenti particolarmente critici nella vita di
ogni insieme sociale ed entrambi trovano nel piccolo gruppo una dimensione sociale e
operativa centrale, perché è in grado di condizionare in modo determinante gli sviluppi (o i
blocchi) del rapporto sociale. Il piccolo gruppo, sia nella dimensione privata che in quella
lavorativa, può essere considerato come una sorta di “cinghia di trasmissione” che agisce in
due possibili direzioni: dall‟organizzazione all‟individuo e viceversa dall'individuo all‟
organizzazione.
Dall‟organizzazione all‟individuo il gruppo adempie a una funzione adattiva (con le sue spinte
al conformismo e all‟uniformazione) divenendo il primo e il più forte trasmettitore delle regole
(esplicite e implicite), delle norme e dei valori del sistema di cui esso fa parte (Sherif M., 1931;
Asch S.E., 1961). Viceversa, dall‟individuo all‟organizzazione, il gruppo svolge una funzione
innovativa attraverso cui si possono modificare regole (soprattutto implicite) e valori del
collettivo e la cui importanza si rivela particolarmente nei momenti di cambiamento operativo
ed organizzativo (K. Lewin, 1947; S. Moscovici, 1983).
3.3 I ruoli nel gruppo
Un modo ulteriore per osservare quanto accade in un gruppo è di considerarlo a partire dalle
sue componenti strutturali: come un insieme di ruoli in costante interazione fra di loro in
funzione del conseguimento di un obiettivo.
Osservando un gruppo al lavoro si nota come ogni partecipante svolga una certa funzione e dia
un proprio contributo (positivo o negativo che sia). II gruppo stesso esige che alcuni membri,
differentemente da altri, si comportino in un determinato modo. Ci si trova di fronte a ruoli
particolari riferibili da un lato ad aspetti individuali, le motivazioni e la particolare personalità
dei soggetti, dall'altro ad un aspetto funzionale, cioè legato ad una serie di aspettative che il
gruppo ha nei confronti dei suoi singoli membri.
Una definizione semplice e chiara di ruolo afferma che il “ruolo” è: “l’insieme delle norme e
delle aspettative che convergono su un individuo in quanto occupa una determinata posizione
in una rete di relazioni sociali”(Gallino L.,1983). Già da questa definizione appare che padre,
7
madre, figlio/a, amico/a, ma anche capo o collega sono tutti differenti ruoli ai quali ciascuno di
noi “dà vita” all'interno di differenti relazioni o, a volte, nell'ambito della stessa relazione.
Il concetto di ruolo è centrale nel modello sociologico perché consente una chiave di lettura di
tutte le relazioni sociali. Il ruolo conferisce una certa “prevedibilità” ai comportamenti messi in
atto dal soggetto o da una determinata categoria di soggetti; da cui la dizione sociologica di
individuo come “attore sociale” come di qualcuno che interpreta una certa parte in larga misura
prestabilita. In questo contesto interessa evidenziare alcune conseguenze di questo modello in
ambito organizzativo, in particolare per quel che riguarda la miscela di norme e aspettative in
cui si coagula e attraverso cui si esprime qualsiasi ruolo, professionale e non.
Rispetto a ciascun ruolo sia l'organizzazione, sia il gruppo di lavoro sia la persona stessa sono
origine di aspettative precise e determinate. L'organizzazione fa riferimento a un mansionario
attraverso cui definisce le proprie aspettative in termini prevalentemente normativi. A loro
volta gli altri nel gruppo di lavoro, ovvero i colleghi, i superiori, i clienti, hanno specifiche
attese nei confronti di chi svolge una specifica mansione; queste attese hanno anche una certa
valenza normativa. Infine ultimo, ma non ultimo, chi si trova a svolgere un certo ruolo si
attende in prima persona da quel ruolo, e conseguentemente dagli altri, determinate cose. Le
aspettative personali non hanno valenze normative perché sono strettamente connesse alle
motivazioni che la persona ha nello svolgimento del ruolo.
Nella descrizione proposta il ruolo è qualcosa di intermedio fra noi e gli altri, una sorta di
“maschera” attraverso la quale entriamo in relazione gli uni con gli altri: dalla parte esterna è
definita dagli altri (dall‟organizzazione, dal cliente, dai colleghi ecc.) mentre internamente è
definita da noi stessi (dalle nostre motivazioni, dalla nostra esperienza, dal nostro carattere,
dalle nostre aspettative, ecc.). Nel modello sotteso dal concetto di ruolo troviamo ai due
estremi: da una parte, le attese formali e oggettive preordinate dall‟organizzazione,
all'estremo opposto le aspettative/motivazioni del soggetto. In altri termini l'insieme formale di
ruoli previsto dall‟organizzazione non risolve i comportamenti di ruolo attuati concretamente
dai soggetti perché questi ultimi sono definiti maggiormente dalla rete di aspettative che si
vengono a configurare nel gruppo e nella dinamica esistente tra individuo e gruppo. Per
riflettere più concretamente basti pensare a quando qualcuno in un gruppo mette in atto
comportamenti nuovi o addirittura contrari a quelli abituali, scattano immediatamente
meccanismi di critica, di disapprovazione o di condanna poiché la persona è venuta meno ad
aspettative di tipo sociale. Per verificarlo provate anche solo a vestirvi in modo diverso dal
vostro modo abituale, l'effetto è assicurato!
In ogni gruppo esistono una serie di ruoli che sono solo parzialmente legati alla persona, perché
sono in gran parte funzionali alla situazione che il gruppo attraversa, ovvero sono attese
sviluppate dagli altri che convergono su una persona in base a caratteristiche strutturali del
gruppo. Avviene così che una stessa persona può assumere ruoli diversi in gruppi diversi, ma
anche ruoli diversi nello stesso gruppo in fasi diverse. Il “bastian contrario”, l‟ “entusiasta”, l‟
“eterno scontento” sono presenze note in ogni gruppo, qui aggiungiamo che sono ruoli esistenti
in funzione del gruppo, la cui rappresentazione è momentaneamente, o permanentemente,
affidata ad alcuni componenti del gruppo.
Alcuni autori (K. Benne e P. Sheais, 1948), partendo dalla constatazione che il gruppo si
organizza differenziando delle funzioni al proprio interno e affidandone la rappresentazione ad
alcuni propri membri, hanno verificato che in ogni gruppo i vari possibili ruoli sono
sintetizzabili in base ai tre tipi di funzione da questi svolta, ovvero:
FUNZIONI DI BLOCCO
FUNZIONI DI MANTENIMENTO, O DI “CLIMA”
8
FUNZIONI DI PRODUZIONE O DI PROGRESSO VERSO L'OBIETTIVO.
Qui di seguito verranno illustrati questi ruoli. Vale la pena ricordare sin d‟ora che sono
osservabili sia nei gruppi di lavoro, in particolare in quelli con espliciti compiti decisionali, che
nei gruppi di vacanzieri, con obiettivi di divertimento e/o di organizzazione del divertimento.
Funzioni blocco
Le funzioni di blocco sono quelle più legate alla particolare struttura dei soggetti ed esprimono
bisogni individuali.
Questi ruoli risultano negativi ai fini della progressione del gruppo di lavoro e sono legati al
bisogno di servirsi in qualche modo, del gruppo. Si manifestano più spesso all‟inizio quando il
gruppo è ancora allo stato latente, è improduttivo e non si è sviluppato un certo clima fra i
membri. Infatti è prevalentemente all‟inizio che il gruppo suscita il più forte senso di
insicurezza e trovano più facilmente spazio questi ruoli.
Funzioni di mantenimento
Vi sono in ogni gruppo alcuni ruoli che svolgono la funzione di facilitazione allo stabilirsi delle
norme del gruppo e alla circolazione della comunicazione. In altre parole si tratta di ruoli che
contribuiscono a un clima “positivo” in cui i membri si sentono a proprio agio e possono
procedere meglio all‟esame e alla soluzione del compito. Sono i ruoli che maggiormente
aiutano il gruppo a costituirsi come unità che supera la semplice somma degli individui.
Funzioni di produzione
I ruoli che svolgono funzioni di produzione, ovvero di progressione verso l'obiettivo,
favoriscono direttamente l'attività del gruppo in rapporto agli scopi e risultano particolarmente
utili quando il gruppo tende ad evadere, quando il gruppo sì “perde” deviando su obiettivi che
non erano nelle premesse.
L‟APPROCCIO INTERATTIVO
Questo approccio è una sintesi dei precedenti, ma si distingue da entrambi. Il concetto di base è
che gli individui, rispondendo alla specifica situazione, interagiscono gli uni con gli altri e
questi scambi conducono ad un accordo condiviso che diviene l'origine del clima. In questa
prospettiva il clima organizzativo diventa una rappresentazione astratta creata dagli scambi
comunicativi fra i membri del gruppo ed i processi di interazione assumono il ruolo centrale fra
le condizioni organizzative e la percezione individuale (fig. 3).
Percezione
Individuale
Interazione
tra le persone
Condizioni
Organizzative
Clima
Organizzativo
9
Fig. 3: Relazioni tra condizioni organizzative, percezione individuale e interazioni fra le
persone del gruppo nel produrre il clima organizzativo secondo l‟approccio interattivo.
Per capire le importanti novità presenti nell'approccio interazionista è utile notare come la
proposta di suddividere gli approcci al clima in strutturali e percettivi sia riconducibile ad un
dibattito più ampio che attraversa la filosofia occidentale: la separazione tra aspetti oggettivi e
aspetti soggettivi della realtà e della conoscenza.
L'approccio strutturale si colloca nella prospettiva secondo cui la realtà è oggettiva, mentre
quello percettivo si rifà all'idea che la realtà sia soggettiva, in quanto esiste nella mente degli
individui. L'approccio interattivo offre un nesso tra questi due punti di vista, sostenendo che
per l'uomo la realtà e la conoscenza non sono né oggettivi né soggettivi, ma sono eventi che
acquistano significato nell‟intersoggettività. L'approccio interattivo da una parte rimanda
all'interazione tra gli individui impegnati nel processo d'interpretazione della realtà; dall'altra
riconosce che il processo intersoggettivo di costruzione del significato necessita
dell'interazione tra le condizioni oggettive e la consapevolezza soggettiva. Ed è proprio
quest‟ultimo elemento che rappresenta la maggior differenza rispetto ai due approcci
precedenti. La consapevolezza è sempre "consapevolezza di qualcosa" che l'individuo vive e
sperimenta come "fatto significativo" (Mumby, 1988). All'interno di ogni organizzazione le
persone sono continuamente impegnate nel processo di costruzione di senso organizzativo
tramite l'esplorazione condivisa di "fatti significativi" osservati in base alle precedenti
esperienze.
La spiegazione del clima, nella prospettiva interattiva, si collega attraverso i concetti di
"intenzionalità", "consapevolezza", "intersoggettività" e "interazione" a due correnti
filosofiche: la fenomenologia e l'interazionismo simbolico.
Joyce e Slocum si ispirano nei loro studi al filosofo tedesco E. Husserl (1859-1938) e alla sua
fenomenologia. Il filosofo parla dell'intersoggettività come del processo fondamentale grazie a
cui si costituisce un collegamento sovraindividuale fra le prospettive, le interpretazioni, i valori
e le credenze. Alla base dell'intersoggettività c'è la consapevolezza che gli altri hanno
esperienze simili alle proprie e quindi si costruisce il proprio "self" usando gli altri come
modelli. <<Ogni soggetto implica l'altro ed è consapevole dell'esistenza degli altri, ciò
determina l'interiorizzazione degli altri nella propria percezione del self e, conseguentemente,
l'esperienza degli altri diventa parte della propria consapevolezza individuale>> (Husserl,
1912-1928).
La seconda componente filosofica all'approccio interattivo ha le sue radici nell'interazionismo
simbolico del filosofo americano G. H. Mead che studiò la relazione esistente tra il Sé e il
significato. Secondo Mead il Sé della persona si forma nel corso dell'interazione sociale sulla
base dei significati che si sente attribuire dagli altri. Il filosofo individua due interazioni
complementari, quali: l'interazione sociale e l'autointerazione (o dialogo interiore). L'agire
umano diventa così il frutto del complesso rapporto che l'uomo ha con sé stesso e con gli altri.
L'azione sociale è costruita nel corso del suo stesso svolgimento e non è né una risposta, né uno
stimolo e ancor meno una scelta fra alternative predeterminate. Gli uomini, secondo questa
filosofia, agiscono in base ai significati che attribuiscono alle cose e interpretano costantemente
i significati emersi nel processo interattivo e autointerattivo. Solo in seguito, mediante
quest'interpretazione, decidono quale debba essere il successivo corso dell'azione. Il gruppo e
le relazioni interpersonali assumono un valore centrale nella formazione del clima.
Schneider e Reichers (1983) traggono da Mead l'idea che l'individuo e l'ambiente si
determinino l'un l'altro, e trovano in Blumer (1969) la chiave di volta da applicare allo studio
del clima. Egli, infatti, sostiene che: <<[...] il significato (che include percezioni, descrizioni e
10
valutazioni) non risiede in nessuna cosa particolare, e neppure nell'individuo percipiente.
Piuttosto il significato delle cose nasce dall'interazione tra le persone. Le azioni degli altri
servono per definire un evento, una pratica o una procedura per la persona in questione. Le
persone non applicano semplicemente il significato dato a loro dagli altri, ma controllano,
sospendono, raggruppano e trasformano le loro proprie percezioni degli eventi alla luce delle
interazioni che essi hanno con gli altri nell'ambiente […]>> (Blumer, 1969).
All‟interno dell'approccio interazionista, oltre agli autori già citati, si collocano anche Poole e
McPhee (1983) con quella che viene definita teoria strutturazionale. Questi sostengono che le
strutture sono transpersonali, nel senso che il clima non è più riscontrabile nelle percezioni
individuali ma nelle loro interazioni e lo definiscono come di: <<[...] un atteggiamento
collettivo, prodotto e riprodotto in continuazione attraverso l'interazione fra i membri>>
(Poole e McPhee, 1983).
In questa ottica il clima consente di interpretare e comprendere specifici eventi organizzativi
perché è un tramite e nello stesso tempo un risultato dell'interazione: è un tramite nel senso che
genera strutture specifiche dove queste non esistono ma, contemporaneamente, è anche un
risultato delle pratiche quotidiane presenti nelle organizzazioni strutturate (Quaglino e Mander,
1987).
Aspetti strutturali
Ognuno di noi svolge ogni giorno moltissime attività in quanto membro di un gruppo, con la
propria famiglia, gli amici, i compagni di lavoro ed altri.
Lo studio dei gruppi, pertanto, è importante, a livello psicologico e sociologico, sia perché essi
costituiscono un fenomeno diffuso, sia perché mediano molti dei contatti tra individuo e
società.
Che cos‟è un gruppo?
Una semplice estrapolazione dell‟interazione a due non è sufficiente a comprendere il
comportamento all‟interno dei gruppi, neppure di quelli “piccoli”, anche se è possibile,
naturalmente, riscontrarvi delle somiglianze.
“Due costituiscono una coppia, tre un piccolo gruppo”. Il più piccolo dei piccoli gruppi è
formato da tre persone.
Le dimensioni del più grande sono meno chiare; un‟indicazione utile viene dal sociologo R.F.
Bales: “Se ogni membro riceve da ognuno degli altri delle impressioni o percezioni, sufficien-
temente distinte per cui egli possa reagire ad ognuno degli altri membri preso singolarmente,
allora un insieme di persone può essere chiamato “piccolo gruppo”.
Gruppi che vanno da tre a circa trenta persone.
Quindi, prima caratteristica: ampiezza. Necessaria, ma non sufficiente.
Altra caratteristica fondamentale: l’interazione: i membri agiscono e reagiscono gli uni gli altri
ed in questo modo tra i loro comportamenti si instaura un rapporto di mutua influenza e di
interdipendenza.
Ancora un‟altra caratteristica ricorrente è che, un po‟ alla volta, i partecipanti cominceranno a
percepire il gruppo come un‟entità reale e sé stessi come dei membri: pertanto, la percezione
del gruppo come entità a sé stante da parte dei membri.
Il gruppo sviluppa, inoltre, degli obiettivi. Anche ove si costituisca per rispondere ad uno
scopo imposto dall‟esterno, è probabile che reinterpreti questo scopo secondo i propri punti di
vista ed è quasi certo che vi aggiungerà dei propri obiettivi.
Nel frattempo sorgeranno norme interne al gruppo; i membri agiranno secondo regole
prestabilite e si aspetteranno che così facciano anche gli altri: coloro che violano queste norme
si espongono alla disapprovazione ed a possibili sanzioni.
Dal momento in cui insiemi di norme giungono ad organizzarsi attorno a certe “posizioni”
11
all‟interno del gruppo, questo inizia ad avere una serie di ruoli.
Un‟ultima caratteristica è data dalla certezza che nel gruppo si stabilisca un insieme particolare
di relazioni affettive; i membri di un gruppo non sono emotivamente neutrali od indifferenti
l‟uno all‟altro. E‟ anzi più che probabile che l‟affettività interna al gruppo rappresenti uno dei
collanti maggiori di esso.
Proprio perché per prevedere e spiegare l‟operato delle persone entro i gruppi siamo costretti a
ricorrere a concetti come numerosità, interazione, percezione del gruppo, obiettivi, norme, ruoli
e relazioni affettive, possiamo dire che i gruppi sono, di fatto, reali, come entità psicologiche e
sociologiche.
Il gruppo è pertanto qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri: ha struttura propria, fini
peculiari e relazioni particolari con gli altri gruppi.
Quel che ne costituisce l‟essenza non è la somiglianza o la diversità dei suoi membri, bensì la
loro interdipendenza.
Il grado di interdipendenza dipende, tra gli altri fattori, dall‟ampiezza, dalla coesione e
dall‟organizzazione del gruppo.
Esso in tal senso può definirsi come una totalità dinamica.
Un cambiamento di stato in una sua parte o frazione, interessa lo stato di tutte le altre.
Processi di gruppo
I processi, le dinamiche, di gruppo riguardano ciò che sta accadendo fra ed ai membri del
gruppo, mentre esso sta interagendo.
Nell‟ambito dell‟interazione di gruppo, infatti, si rilevano due aspetti fondamentali: contenuto
e processo.
Il contenuto riguarda l‟argomento, il compito, su cui il gruppo lavora.
Il processo riguarda elementi come il morale, la tonalità dei sentimenti, l‟atmosfera,
l‟influenza, gli stili d‟influenza, la leadership, la coesione, il conflitto, la partecipazione, la
competizione, la cooperazione, la motivazione, ecc.
Spesso, la causa maggiore di inefficace azione del gruppo è rappresentata da aspetti inerenti al
processo.
L‟attenzione e la sensibilità alle dinamiche di gruppo mette in grado di diagnosticare
precocemente i problemi ed, eventualmente, di gestirli più efficacemente.
Poiché i processi sono presenti in ogni tipo di gruppo, la consapevolezza di essi può consentire
una partecipazione più efficace; nonché fornire all‟operatore delle chiavi di lettura utili alla
comprensione di ciò che sta accadendo.
Piuttosto che parlare astrattamente di quelli che sono i processi emergenti del gruppo, appare
preferibile proporre alcune linee di osservazione, utili a dare evidenza a tali dinamiche ed a
sensibilizzarsi alla loro percezione ed individuazione.
Alcuni processi appaiono direttamente evidenti all‟osservazione, altri possono essere dedotti
dai primi.
1. Partecipazione
La partecipazione all‟interazione è indice dell‟interesse del componente ai problemi che il
gruppo dibatte.
Domande da porsi:
Chi ha partecipato di più?
Chi ha partecipato meno?
Mutamenti nel livello di partecipazione di un componente?
12
Comportamento del gruppo verso coloro che hanno partecipato meno.
2. Influenza
Influenza e partecipazione non sono la stessa cosa: qualcuno può parlare molto poco, ma essere
ascoltato attentamente dal gruppo; e viceversa.
Tipi di potere
Il potere sociale può essere definito come “l‟influenza potenziale di un soggetto X su di un
soggetto Y. L‟influenza viene definita come un cambiamento delle conoscenze, degli
atteggiamenti, del comportamento o dei sentimenti di Y che può essere attribuito a X”.
Tipi di potere, dal punto di vista del soggetto Y che può essere influenzato:
Potere di ricompensa: Y si rende conto che X ha il potere di ricompensarlo (bambino/madre);
Potere coercitivo: Y si rende conto che X ha il potere di punirlo (figlio/genitore);
Potere d‟esempio: Y desidera identificarsi od assomigliare ad X (fan/cantante);
Potere di competenza: Y attribuisce una maggiore conoscenza e competenza ad X
(discepolo/maestro);
Potere legittimo: Y accetta delle norme che permettono ad X di avere influenza su di lui
(avvocati/giudice);
Domande da porsi:
Chi è stato ascoltato attentamente quando ha preso la parola?
Chi è stato ignorato?
Che tipo di influenza è stato esercitato?
Che tipo di potere è stato espresso?
Cambiamenti nell‟influenza esercitata sul gruppo da un partecipante? In che direzione?
3. Stili di influenza
L‟influenza può assumere molte forme; può essere positiva o negativa (cioè può fare ottenere o
meno, a chi la esercita, il sostegno ed il gradimento degli altri).
Il modo in cui un membro tenta di influire sugli altri può rivelarsi fattore di grande importanza
nel determinare l‟apertura o la chiusura di altri a tale influenza (Lewin, Lippit e White 1958)
Autocratico, autoritario
Pacifista
Permissivo, lassista
Democratico, partecipativo
Domande da porsi:
Qualcuno ha cercato di imporre la sua volontà, i suoi valori al gruppo? Ha esercitato
pressioni sugli altri, per cercare di far sostenere le proprie decisioni? Ha espresso
valutazioni e giudizi sugli altri?
Qualcuno ha delegato il suo potere ad altri? Ha parlato soltanto per complimentarsi con gli
altri? Ha cercato costantemente di evitare conflitti e sensazioni spiacevoli?
Qualcuno ha manifestato disinteresse? Ha accettato passivamente le decisioni altrui, senza
prendere posizione? Partecipava meccanicamente e solo ove sollecitato?
Qualcuno ha cercato di far partecipare tutti alla discussione ed alla decisione? Ha accettato
con atteggiamento costruttivo le critiche? Ha espresso sensazioni ed opinioni, senza
esprimere giudizi o valutazioni sugli altri? Ha tentato di utilizzare i conflitti in modo da
promuovere un confronto positivo di idee?
13
4. Leadership
La complessità dello studio della leadership è evidenziato dai quattro approcci diversi adottati
in questo campo in momenti diversi.
Le caratteristiche della personalità dei leaders
Sono stati fatti grandi sforzi, dall‟inizio del 1900 fino agli anni „50, per descrivere la
personalità ed i correlati sociali degli individui identificati come leaders.
Questi correlati sono molti, anzi troppi.
Non è realistico aspettarsi che le stesse persone possano essere leaders in tutti i casi.
Ciò dimostra che valutare le caratteristiche delle persone ritenute leaders costituisce un
approccio poco fruttuoso.
Tuttavia sono emerse alcune generalizzazioni significative: i leaders di gruppo ottengono
punteggi più alti degli altri membri per quanto riguarda le valutazioni delle capacità
(intelligenza, quantità di conoscenze specifiche possedute, facilità di parola), della
socievolezza (partecipazione sociale, cooperatività, popolarità) e della motivazione (iniziativa,
perseveranza).
Fattori relativi alla situazione
Un diverso approccio, dal 1950, si è allora evoluto verso lo studio della coerenza e
dell‟incoerenza della leadership in situazioni differenti.
Quanto più il ricercatore modifica la situazione, tanto più riduce la coerenza di colui che
detiene la leadership.
Tuttavia, anche andando alla ricerca dei cambiamenti che si riscontrano nei leaders in
situazioni diverse, l‟approccio situazionale mantenne delle ipotesi sui leaders che non sono
state giustificate: esso accentrò l‟attenzione sugli individui specifici, anche se in situazioni
diverse.
Le funzioni della leadership
Un terzo approccio mette da parte il concetto di leader e ricerca invece quel comportamento
che potremmo considerare di leadership.
La leadership potrebbe venire definita, allora, come quel particolare tipo di comportamento
che spinge il gruppo al conseguimento dei propri scopi.
In un gruppo particolare la maggior parte di questi comportamenti potrebbe essere attribuita ad
un solo membro (leader), in un altro a due o più (leaders).
E‟ stato osservato che esistono funzioni specifiche per compiti, ma si è anche riscontrato che
un certo numero di funzioni ricorre in maniera sistematica.
Si è evidenziato che esistono almeno due funzioni di massima della leadership, importanti e
ricorrenti: una leadership orientata al compito, che si riferisce al comportamento che favorisce
gli scopi strumentali del gruppo, ed una leadership socio-emozionale, che si riferisce alle
attività che contribuiscono ad assicurare il benessere al gruppo stesso.
I ruoli della leadership
Un ultimo approccio è dato dall‟attenzione riservata ai ruoli giocati dalla leadership.
Il concetto di ruolo si riferisce ad una posizione, piuttosto che ad un individuo, tuttavia è un
concetto dinamico, che si riferisce ai processi ed al comportamento, una posizione in
movimento.
Tuttavia, un‟analisi della leadership in termini di ruolo richiede, quanto meno, una relativa
stabilità in tale comportamento, organizzato attorno ad una o più persone che lo assumono in
modo preponderante.
Qualora questi individui dovessero lasciare il gruppo, le loro posizioni permarrebbero e, una
volta che fossero di nuovo coperte, la struttura della leadership del gruppo sarebbe più o meno
14
quella di prima, anche se persone diverse svolgessero quelle funzioni.
Di solito la leadership viene ad organizzarsi intorno a due ruoli differenziati, ma
complementari.
Una figura è quella che è in grado di fornire la maggior parte delle idee e che viene considerato
il leader dagli altri.
L‟altra è quella meno attiva, ma più simpatica.
La leadership, pertanto, confermando l‟approccio funzionale, viene perciò ad organizzarsi
attorno a due ruoli coperti da due persone diverse, indicate di solito come “specialista nel
compito” e “specialista socio-emozionale”.
Tuttavia, soprattutto nel caso di legittimazione istituzionale, anche una sola persona può
coprire entrambi i ruoli.
Un tentativo di sintetizzare gli approcci anzi detti è relativo al “modello della contingenza”
(Fiedler), secondo il quale si ipotizza che l‟efficienza dei due stili opposti di leadership dipenda
dalle caratteristiche della situazione, favorevole o no al leader.
Secondo tale modello, quando le cose vanno nel modo migliore per il leader, egli dovrebbe
riuscire a rafforzare il proprio potere; quando la situazione è quasi caotica, una leadership
fortemente orientata al compito è meglio di niente; quando la situazione si regge su un delicato
equilibrio, allora il tatto, la considerazione e la consultazione sono probabilmente molto più
fruttuosi.
Domande da porsi:
Chi ha assunto la guida del gruppo?
Con quali modalità?
Che tipo di leadership?
Sono nate rivalità?
Lotte per la leadership?
Quali effetti hanno avuto sui componenti il gruppo?
5. Appartenenza al gruppo
I componenti il gruppo si preoccupano di essere accettati. Possono svilupparsi diversi modelli
di interazione, che offrono indicazioni sul livello e sul tipo di appartenenza.
In particolare, l‟appartenenza appare in diretta correlazione con la coesione (grado di
attrazione reciproca fra i componenti il gruppo): un gruppo mostra un alto grado di coesione
quando i propri membri sono fortemente attratti fra loro. Risulta condizionata da due ordini di
fattori principali (Cartwright e Zander, 1953):
Proprietà specifiche del gruppo (dimensione, obiettivo, composizione, leadership);
Bisogni di ogni membro del gruppo (quanto più il gruppo riesce a soddisfare i bisogni dei
membri, tanto più il grado di coesione è elevato)
Domande da porsi:
Si sono formati sottogruppi (in positivo, sostenendosi, o in negativo, ostacolandosi)?
Alcuni appaiono “dentro”, mentre altri sembrano “fuori”? Come vengono trattati quelli
“fuori”?
Alcuni si spostano da “dentro” a “fuori” e viceversa (con la postura, con la sedia, si
avvicinano e si allontanano)? In quali circostanze?
6. Procedure di decisione
15
Nel corso della vita del gruppo vengono assunte decisioni, senza prestare attenzione agli effetti
che tali decisioni, ma soprattutto i processi decisionali, potranno avere sui membri.
Sulle procedure di decisione influiscono, naturalmente, i processi di influenza sociale, i tipi di
potere, il tipo di leadership, le norme.
Modalità con cui si esprime la decisione:
Voto
Confronto
Consenso
Domande da porsi:
Che modalità decisionale è stata assunta? Effetti?
Qualcuno ha assunto una decisione ed ha cercato di realizzarla senza curarsi degli altri
(autocratico)? Effetti sugli altri?
Qualcuno ha offerto contributi e suggerimenti che sono stati ignorati? Effetti?
Sono stati fatti tentativi per coinvolgere attivamente tutti nel procedimento di decisione?
Effetti?
In che modo i suggerimenti e le decisioni dei membri sono stati supportati?
7. Comportamenti orientati al compito
Individuazione dei comportamenti riferiti all‟esecuzione del lavoro od alla realizzazione del
compito, che il gruppo deve affrontare.
In questo ambito, si riscontra l‟influenza particolare della leadership orientata, appunto, al
compito.
Domande da porsi:
Qualcuno ha posto domande, od enunciato suggerimenti, circa il modo migliore di
procedere per risolvere od affrontare il problema?
Qualcuno ha tentato di riassumere gli argomenti trattati nel corso della discussione, o i fatti
che si sono verificati all‟interno del gruppo?
Vi sono state richieste ed offerte di fatti, opinioni, idee, tentativi di ricercare soluzioni
alternative?
Chi ha aiutato il gruppo a stare in tema, ad evitare che si saltasse da un argomento all‟altro?
8. Funzioni di mantenimento
Queste sono le funzioni importanti per il morale del gruppo.
Servono a mantenere buoni ed armoniosi rapporti tra i componenti il gruppo ed a creare
un‟atmosfera tale da permettere ad ogni componente di dare il massimo contributo. Assicurano
un‟attività di gruppo distesa e priva di attriti.
In questo aspetto, si rileva l‟importanza del leader socio-emozionale.
Domande da porsi:
Chi ha aiutato gli altri a partecipare alla discussione?
Chi ha interrotto quelli che parlavano?
In che modo avviene lo scambio di idee tra i membri?
Vi è qualcuno troppo preoccupato per seguire la discussione?
Vi è qualcuno che aiuta gli altri a chiarire le loro idee?
16
In che modo le proposte, i contributi, vengono respinti? In che modo si reagisce a ciò?
9. Atmosfera di gruppo
Si tratta di quello che potrebbe essere definito il “clima” del gruppo.
L‟atmosfera è determinata da qualche fattore tipico del modo in cui il gruppo agisce e
prende forma in una sensazione generalizzata.
Naturalmente, le persone hanno preferenze diverse, circa il tipo di atmosfera, di clima, che
sperano di trovare in un gruppo.
Il trovare le parole che aiutino a descrivere l‟impressione comune, circa l‟atmosfera in cui
il gruppo agisce, può aiutare a comprenderne meglio le caratteristiche.
Domande da porsi:
Chi dà l‟idea di preferire un‟atmosfera amichevole, rilassata? Vi è qualcuno che tenta di
sopprimere i conflitti ed i contrasti?
Chi dà l‟idea di preferire un‟atmosfera di conflitto, di disaccordo? Qualcuno tende ad
annoiare, ad irritare?
I membri sembrano interessati, attenti?
E‟ un‟atmosfera distesa, armoniosa, pacifica?
E‟ un‟atmosfera tesa, elettrica?
Si tratta di un‟atmosfera di lavoro, di gioco, di soddisfazione, di pigrizia?
10. Emozioni
Siamo qui negli aspetti non verbali, affettivi in senso lato.
E‟ possibile farsene un‟idea dal tono delle voci, dalle espressioni facciali, dai gesti, dalle
varie manifestazioni non verbali.
Questi aspetti hanno grande rilevanza in rapporto alla meta-comunicazione, al livello di
relazione.
Offrono livelli di lettura sul piano affettivo.
Domande da porsi:
Quali emozioni sembra che provino i membri del gruppo: rabbia, irritazione, frustrazione,
calore, eccitazione, noia, competitività, ecc.?
Qualche tentativo di mascherare le proprie emozioni, particolarmente quelle ritenute
negative? In che modo?
11. Norme
Il gruppo sviluppa standard e norme di comportamento, che possono essere:
Esplicite (chiare per tutti)
Implicite (conosciute o sentite solo da alcuni)
Inconsapevoli (al di sotto del livello di consapevolezza di tutti)
Di solito, le norme sono espressione dei valori e dei desideri della maggioranza dei membri
circa ciò che può essere considerato “comportamento da adottare” (o “da respingere”) da parte
dei componenti il gruppo.
Alcune norme facilitano il processo del gruppo, altre lo ostacolano.
Domande da porsi:
17
Vi sono argomenti che il gruppo cerca di evitare? Qualcuno pare rafforzare queste
esclusioni? In che modo?
I membri si comportano reciprocamente in modo eccessivamente corretto od educato?
Vengono espresse solo emozioni considerate positive? Ci si mette d‟accordo con troppa
facilità?
Cosa accade quando qualcuno non è d‟accordo?
Si nota l‟esistenza di norme che regolano la partecipazione, o il tipo di interventi
consentiti?
I membri paiono sentirsi liberi di comunicarsi le proprie emozioni?
Gli interventi tendono ad essere limitati ad argomenti intellettuali od ad eventi estranei al
gruppo?
18
Bibliografia:
BROWN, R. Psicologia sociale dei gruppi, Il Mulino, 2000
COLAMONICO, P. Microcosmo, La Nuova Italia Scientifica, 1995
DE GRADA, E. Fondamenti di psicologia dei gruppi, Carocci, 1999
LICCIARDELLO, O. Il piccolo gruppo psicologico, Franco Angeli, 2005
LUFT, J. Dinamiche di gruppo, CittàStudi, 1997
SPALTRO, E. Conduttori. Manuale per l'uso dei piccoli gruppi, Franco
Angeli., 2005
SPALTRO, E. Il gruppo. Sintesi e schemi di psicologia plurale,
Pendragon, 1999
SPELTINI, G. , PALMONARI, A. I gruppi sociali, Il Mulino, 1999
Bibliografia leadership (oltre ai precedenti):
AVOLIO, B.J. Leadership a tutto campo, Guerini e associati, 2001
BENNIS, W., NANUS, B. Leader. Anatomia della leadership, Franco Angeli, 1988
DILTS, R.B. Leadership e visione creativa, Guerini e associati, 1999
GABASSI, P.G. e CERBAI, S. Leadership 1975-1996, Una bibliografia ragionata e
commentata, Franco Angeli
GORDON, T. Leader efficaci, La Meridiana, 1999
HERSEY, P., BLANCHARD, K., Leadership situazionale, Sperling & Kupfer, 1976
KERNBERG, O.F. Le relazioni nei gruppi. Ideologia, conflitto, leadership,
Cortina, 1999
KETS DE VRIES, M.F.R. Leader, giullari e impostori. Sulla psicologia della
leadership, Raffaello Cortina, 1998
KOTTER, J.P. Il fattore leadership, Sperling & Kupfer, 1989
QUAGLINO, G.P. Leadership, Nuovi profili della leadership per nuove
prospettive organizzative, Cortina, 1999
RICE, A.K., Esperienze di leadership, Giunti Barbera, 1974
TRENTINI, G., Oltre il potere, Discorso sulla leadership, Franco Angeli,
Il MBI è un test ad autosomministrazione, l‟esperienza maturata sul campo indica che per
completarlo in media ci vogliono intorno ai cinque/dieci minuti
L‟adattamento italiano è stato eseguito da Sirigatti e Stefanile.(1993)
Da “Aspetti e problemi dell‟adattamento italiano del MBI” – bollettino psic. applicata 1992 –
202 –203 - : …….” La presenza in Italia di Christina Maslach nel 1983 diede l‟avvio ad una serie di
ricerche per la messa a punto della versione italiana del Maslach Burnout Inventory (MBI)
(Stefanile 1984). Sulla base della versione preliminare italiana del MBI – fornita direttamente dalla
Maslach – si condussero alcune indagini esplorative, volte in primo luogo a saggiare la validità di
costrutto dello strumento”….
La versione italiana del MBI derivata dalle ricerche preliminari fu poi somministrata a numerosi
operatori che svolgevano professioni di aiuto in diversi contesti e realtà geografiche italiane.
….”Le indicazioni tratte da questo insieme di ricerche potranno costituire utili elementi per lo
studio dello stress nelle professioni di aiuto e dei suoi correlati, nonché, in termini più specifici,
potranno contribuire ad una più precisa definizione del concetto di burnout e allo sviluppo di
strumenti di misura diversi, per alcuni aspetti, dal MBI” (Stefanile, Sirigatti 1992)
2.3 Ricerche sulla sindrome di burnout
Maslach (1986) invita ad includere il MBI nelle ricerche e nelle valutazioni di interventi nelle
organizzazioni del lavoro al fine di avere una maggiore comprensione delle variabili personali,
sociali e istituzionali che favoriscono o inibiscono il manifestarsi del burnout , in modo da ampliare
le conoscenze al riguardo degli aspetti teorici delle emozioni e dello stress lavorativo.
51
2.4 Una nuova frontiera per il burnout.
Maslach e Leiter (1997) nella prefazione del loro libro “The truth about burnout” dicono che
questo libro assume un significato concettualmente diverso da ciò che avrebbero potuto scrivere
anni prima …..” A quel tempo ci saremmo concentrati sui servizi sociali personali e sui servizi
sanitari, per i quali il burnout ha sempre rappresentato un serio problema .Oggi, come risultato dei
cambiamenti sociali ed economici, il burnout si è diffuso maggiormente, divenendo un problema
importante in tante altre professioni; perciò abbiamo allargato la nostra messa a fuoco e la nostra
analisi del fenomeno”…. (Maslach Leiter 1997)
Maslach e Leiter (ibid) nel loro lavoro ci presentano una visione nuova della sindrome di
burnout, visione in parte già anticipata e supposta da Maslach (Maslach 1986) partendo proprio dal
presupposto che il cambiamento repentino e sostanziale nei posti di lavoro e nel modo in cui si
lavora abbia reso il posto di lavoro freddo ostile e soprattutto esigente sia in termini psicologici che
economici. ….. “Le richieste quotidianamente avanzate dal lavoro, dalla famiglia e da tutto il resto
consumano la loro energia e il loro entusiasmo. La gioia del successo e il brivido della conquista
sono sempre più difficili da ottenere. La dedizione e l’impegno nei riguardi del lavoro si stanno
affievolendo, mentre molte persone stanno diventando ciniche, si tengono a distanza e cercano di
non farsi coinvolgere troppo….” (Maslach Leiter 1997)
Va detto che il modello di riferimento di Maslach e Leiter è il mondo del lavoro degli Stati Uniti
d‟America dove il ritmo frenetico e la ultra flessibilità delle risorse umane in qualsiasi campo
della vita lavorativa rappresentano uno dei dogmi neoliberisti più diffusi.
Gli autori quindi nel loro lavoro fanno riferimento a situazioni lavorative estreme rispetto al
contesto di tutele sindacali e ammortizzatori sociali presenti in Europa e in particolare nel nostro
paese.
52
In un‟economia globale anche le organizzazioni del lavoro risentono pesantemente dei modelli
d‟oltreoceano, fosse solo per la necessità di far fronte alle continue sfide dei mercati. Sfide che
spesso si tramutano nella stessa sopravvivenza delle aziende.
L‟accelerazione delle dinamiche lavorative, la compressione dei costi da parte delle aziende e
non ultima la riduzione della forza lavoro impiegata in carichi di lavoro sempre maggiori e
asfissianti fa si che nel nostro paese inizia ad esserci una certa comunanza con quel modello
d‟oltreoceano descritto da Maslach e Leiter (ibid).
53
3 Le sei discrepanze fra persone e lavoro
3.1. Come cambia il posto di lavoro
Maslach e Leitier (ibid) postulano che la struttura sociale moderna derivi nei posti lavori una
condizione di cambiamento radicale del posto di lavoro stesso.
Per Maslach e Leitier le organizzazioni stanno trasformando la struttura del loro valore. I guadagni
prodotti sono convertiti in rendimenti azionari a breve termine, il denaro ottenuto alimenta il passo
frenetico delle fusioni e delle acquisizioni a livello internazionale. La priorità di queste
organizzazioni è quella assoluta di produrre flusso di cassa in modo da coprire i loro debiti,
tralasciando la qualità dei loro prodotti e di conseguenza mettendo in secondo ordine l‟asset
primario delle proprie risorse cioè i loro dipendenti.
Si assiste quindi ad una dominanza delle questione finanziaria a discapito degli interessi delle
risorse umane che generano la produzione dei bene o dei servizi.
Le organizzazioni pretendono il sacrificio dai loro dipendenti esclusivamente a vantaggio
dell‟organizzazione stessa senza ridistribuire la ricchezza sia in senso di ricompense tangibili
(salariali) che in termini di accrescimento umano e professionale (formazione e migliori condizioni
organizzative)
Per le organizzazioni orientate al profitto: …..”I valori che definiscono la qualità della vita
organizzativa non sono quelli di un gruppo di lavoro coeso che si impegna per fornire prodotti o
servizi eccellenti, ma sono quelli di una gestione esclusivamente orientata al risultato economico
finale in una realtà che ha un disperato bisogno di flusso di cassa. …(Maslach Leiter 1997)
54
Bakker, A.B., Demereuti, E. Schaufeli, W. (2002). Validation of Maslach Burnout Inventory-
General Survey: An Internet Study. Anxiet y, Stress and Coping: An International Journal, 15(3),
245-260.
Leiter, MP., Maslach, C. (2000). Preventing Burnout and Building Engagement: A Complete
Program for Organizational Renewal. Jossey-Bass, San Francisco.
Maslach, C. (1998). A multidimensional theory of burnout. Theories of Organizational Stress. Ed.
CL Cooper, 68-85, Oxford, UK: Oxford Univ. Press.
Maslach, C. e Leiter, MP. (2000). Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della
demotivazione al lavoro. Ed. Erickson, Trento.
Maslach, C., Schaufeli, W. e Leiter, M. (2001). Job burnout. Annual Rewies Psychology, 52, 397-
422.
Pellegrino, F. (2000). La sindrome del burn-out. Centro Scientifico Editore, Torino.
Salanova, M., Schaufeli, W., Llorens, S., Peiro, J.M. e Grau, R. (2000). From “Burnout” to
“Engagement”: A new perspective? Revista de Psicologia del Trabajo y de las Organizaciones,
16(2), 117-134.
Schaufeli, W., Martinez, I., Marquez-Pinto, A., Salanova, M. e Bakker, A.B. (2002). Burnout and
Engagement in university students: Across national study. Journal of Cross Cultural Psychology,
33(5), 464-481.
.
FOCUS GROUP1
Di Emanuela Chemolli, Phd
«Il focus group può essere definito come una tecnica di rilevazione per la ricerca sociale basata
sulla discussione tra un piccolo gruppo di persone, alla presenza di uno o più moderatori,
focalizzata su un argomento che si vuole indagare in profondità.»
Da questa affermazione si può dedurre che gli elementi fondamentali della tecnica del focus group,
sono:
1 La tecnica oggi nota con il nome di «focus group» risale agli anni ’40. Dimenticato per decenni nella ricerca
scientifica-sociale, oggi è stato recuperato in molti settori.
55
o il gruppo come fonte di informazione;
o l‟interazione tra i partecipanti;
o la focalizzazione su uno specifico argomento;
o l‟interesse ad uno studio in profondità;
o la presenza di uno o più moderatori.
Nel focus group la ricchezza di informazioni prodotta deriva:
o da un confronto di tipo cognitivo;
o da una interazione interpersonale;
o da una creazione di un‟atmosfera confidenziale tale da favorire l‟espressione di opinioni e
sentimenti.
La rilevazione non è basata sulle risposte dei singoli partecipanti alle domande del moderatore2-
come, invece, in una intervista in profondità – bensì sulla loro interazione.
La caratteristica peculiare del focus group è l‟interazione tra i partecipanti, quindi grazie a questa
tecnica si recupera la dimensione relazionale nella formazione delle opinioni.
L‟unità d‟analisi, quindi, è sempre il gruppo nel suo complesso, e NON il singolo partecipante.
La specificità rende difficile la comparabilità dei risultati persino di una stessa serie di focus group
ed è del tutto illecita la loro generalizzazione al di là della particolare situazione da cui sono emersi.
Il focus group permette di individuare la gamma delle possibili posizioni su una determinata
questione, ma non consente di conoscere la loro distribuzione nella popolazione.
Ma l‟obiettivo in questa ricerca dell‟utilizzo del focus group non è la generalizzazione (svolta, per
altro, nella prima parte della ricerca), ma la comprensione.
Per molto tempo il focus group è stato utilizzato quasi esclusivamente nella fase preliminare della
ricerca, allo scopo di raccogliere informazioni utili alla stesura del disegno. Spesso i focus group
sono utilizzati per la costruzione dello strumento da adottare successivamente. Talvolta vengono
condotti anche quando una prima stesura dello strumento è già pronta, per effettuare il pre-test.
«I focus group si sono rivelati utili anche nella fasi conclusive della ricerca, in sede di
interpretazione di risultati emersi dall‟applicazione di altre tecniche e strumenti, soprattutto nel caso
di relazioni inaspettate tra variabili. In questo modo, il punto di vista di gruppi di persone con le
stesse caratteristiche del campione coinvolto integra quello del ricercatore (Dawson et al. 1992;
Frey e Fontana, 1993; Krueger, 1994; Morgan, 1988).»3
Obiettivo del focus group potrebbe essere quello di sottoporre ai partecipanti un prodotto, un
documento o un questionario, per avere le loro reazioni o per raccogliere le loro opinioni in merito.
Gli scopi del focus group in fase di valutazione dei risultati raggiunti possono essere:
o verificare se l‟interpretazione dei dati effettuata dal ricercatore trovi conferma presso la
popolazione oggetto d‟indagine;
o capire il significato dei risultati;
o stabilire se l‟indagine sia stata esaustiva;
o identificare i punti critici dello strumento approntato;
o stabilire quali siano le conseguenze o le conclusioni che si possono trarre dai risultati dal
punto di vista delle azioni da intraprendere;
o stabilire quali possano essere le reazioni della popolazione target alle azioni programmate a
partire dai dati raccolti.
Questi sono solo dei punti su cui riflettere; un elenco non esaurisce la gamma delle possibili
applicazioni di questa tecnica in questa fase precisa.
2 Moderatore: non è un intervistatore, ma una persona che modera una discussione. 3 Corrao S. (1999), Il focus group: una tecnica di rilevazione da riscoprire, in «Sociologia e ricerca sociale».
56
L‟uso di due tecniche, come questionario e focus group, nello stesso piano di ricerca permette di
mirare sia alla generalizzazione dei risultati sia all‟approfondimento.
Krueger suggerisce alcune domande di fondo da porsi ogni qualvolta si decida di svolgere i focus
group:
o Quali sono le ragioni per cui si è deciso di procedere allo studio?
o Quali sono le informazioni importanti che si vogliono ottenere?
o Chi dovrà usare le informazioni? Chi vuole le informazioni?
o Come dovranno essere usate le informazioni?
CAMPIONAMENTO FOCUS GROUP
Per la selezione dei partecipanti si ricorre a campionamenti non probabilistici, detti anche «a scelta
ragionata», perché:
i risultati non sono generalizzabili;
c‟è un‟autoselezione dei partecipanti;
le opinioni sono strettamente legate al contesto in cui sono state espresse. [Stewart e
Shamdasani, 1990].
La scelta delle persone da inserire nel campione deve essere guidata dagli obiettivi di ricerca; perciò
il gruppo di ricerca dovrebbe decidere quali caratteristiche debbano possedere i partecipanti perché
possano fornire le informazioni desiderate.
PARTECIPANTI: attenzione alla modalità di contatto, il tipo di incentivo offerto, il luogo in cui si
effettuano i focus group.
Nella lettera di partecipazione verranno indicati:
scopi e argomenti dell‟incontro;
data, luogo, ora prevista;
attestato di frequenza.
VALUTAZIONE: i dati del focus group sono validi quando soddisfano l‟obiettivo della ricerca.
Ci sono tre momenti chiave nella valutazione della qualità dei dati ottenuti attraverso i focus:
a. a priori: rispettati i criteri che sono alla base dell‟organizzazione di un focus group;
b. in-progress: monitoraggio dell‟andamento del focus group;
c. ex-post: adeguatezza delle interpretazioni rispetto ai dati raccolti, raggiungimento degli
obiettivi informativi iniziali, verifica della completezza delle informazioni raccolte.
APPROFONDIMENTO SU LA VALUTAZIONE STRESS LAVORO CORRELATO AI SENSI
DEL T.U. 81/08
Un approccio quali-quantitativo alla valutazione dello stress lavoro-correlato e del burnout
nel settore ospedaliero
Alessandro Gattai
1 Introduzione
57
Scegliere un approccio quantitativo e qualitativo al contempo per la diagnosi di una
organizzazione lavorativa, è da ritenersi una metodologia da perseguire tutte le volte che ne venga
data l‟opportunità al ricercatore od al consulente. È opportuno infatti confrontarsi con il
committente, affinchè si realizzino condizioni adatte per poter trattare sia dati qualitativi che
quantitativi.
Oltre al dibattito metodologico fra teorie esterne al contesto studiato (etiche) e teorie interne ad
esso (emiche) (Pike, 1966), l‟esperienza sul campo porta a confrontarsi sul fatto che possa risultare
di maggiore utilità adottare strategie multiple e diversificate, al fine di poter avere la migliore
“fotografia” possibile della realtà oggetto di investigazione.
All‟interno della consulenza per lo Stress Lavoro Correlato, in particolare in ambito sanitario si
è cercato di misurare i sentimenti, le percezioni, le aspettative, gli atteggiamenti, le speranze e le
paure dei soggetti che la compongono.
L‟organizzazione è un sistema socio-tecnico dove convivono aspetti soft e aspetti hard, lavoro e
tecnologia, persone e know how, sistemi e mondi vitali. Accanto all‟organizzazione definita
dall‟autorità o dalle tecnologie operanti che stabiliscono strutture, procedure, sistemi di
coordinamento/controllo e dividono il lavoro individuando ruoli e mansioni, si muove tutto un
contesto latente costituito da comportamenti, usi, attese, motivazioni delle persone. È ipotizzabile
che possa esistere accanto all‟organizzazione tecnico/formale, un‟organizzazione delle persone che
nasce da fenomeni come le attese, le percezioni, le relazioni e la quotidianità.
Il punto di vista teorico, seguito per la progettazione della parte qualitativa del lavoro, è stato di
tipo costruttivista4 (Kelly, 1955). Da questa prospettiva, per comprendere l‟organizzazione è
4 Kelly fonda e sviluppa la sua concezione della personalità sull‟idea che il soggetto “costruisca” gli eventi della realtà.
Da ciò discendono articolate elaborazioni concettuali (i corollari) attraverso le quali vengono chiarite le diverse
specificazioni e i diversi significati del rapporto individuo - ambiente.
A tale proposito Kelly enfatizza la capacità creativa dell‟essere vivente di rappresentarsi l‟ambiente, anziché rispondere
semplicemente ad esso. È infatti in virtù di tale facoltà di rappresentarsi il proprio ambiente che l‟individuo può anche
modificarlo, costruirlo e adattarlo alle proprie esigenze. La teoria dei costrutti personali è perciò una teoria dei modi in
cui una persona perviene a rappresentarsi, a interpretare, a prevedere i vari eventi e, di conseguenza, a fondare su tali
rappresentazioni, interpretazioni e previsioni la propria condotta ed il proprio rapporto con il mondo.
Con la nozione di costrutto, Kelly si riferisce appunto agli schemi o alle lenti che l‟individuo crea per conoscere gli
eventi. Come ha sostenuto Landfield (1971) il costrutto è un unità centrale del significato ed è definito dai contrastanti
modi di comprendere e organizzare gli eventi della vita che l‟individuo usa per cercare di dare un senso alla propr ia
esperienza.
58
necessario partire dal comportamento degli individui, dalle loro credenze e motivazioni e dalle loro
interazioni: il mondo organizzativo è considerato una realtà co-costruita e negoziata dagli attori che
ne fanno parte e la sua realtà è ritenuta consistere nel sistema di assunti e significati condivisi
intersoggettivamente (Avallone & Farnese, 2005).
L‟approccio metodologico seguito è stato di ispirazione etnografica. L‟etnografia si muove dal
presupposto che le interpretazioni date dagli attori guidino in modo sostanziale la loro azione.
Questo non significa ritenere che le interpretazioni siano in grado di spiegare completamente i
comportamenti messi in atto, ma che invece possano chiarire quel è il quadro di riferimento entro il
quale l‟azione si situa e il modo in cui le azioni delle persone saranno comprese od otterranno
risposta. L‟insieme di queste interpretazioni e il modo in cui costantemente si rafforzano o sono
negoziate nell‟interazione costituiscono la cultura.
Nella discussione di questo capitolo, si intende riportare un‟esperienza diretta effettuata in due
reparti ospedalieri di un ospedale del centro Italia. L‟intervento si è distinto in due fasi: la prima
caratterizzata da gruppi di discussione con i lavoratori, la seconda dalla somministrazione del