6 Venerdì 13 maggio 2016 iln uovo g iornale Cinquant’anni di attività per la Tampa Lirica Le mostre in programma a Piacenza “Sono le Nuvole” al Collegio Alberoni Quando il Nuovo Giornale era a Palazzo Fogliani In “Transizione eco- logica” padre Giraud spiega il legame tra eco- nomia e ambiente. Sulla scia della Laudato Si’ di papa Francesco, ci po- trà essere una maggior attenzione ambientali- sta dei cattolici? “Il ri- spetto della creazione - commenta il gesuita - è parte integrante della tradizione e della sensi- bilità cattolica. Sappiamo che la creazione ci è stata affidata da Dio. Ciò di cui oggi prendia- mo anzitutto coscienza è che questa creazione è fragile. E che l’uomo è chiamato ad essere un giardiniere attento”. “La Bibbia - fa notare - comincia il suo rac- conto della relazione di Dio con l’uomo den- tro un giardino, l’Eden, e lo conclude dentro una città-giardino, la Gerusalemme celeste di Apocalisse 20. Il racconto biblico si può leg- gere come un cammino educativo che condu- ce alla riconciliazione tra la civiltà urbana (Caino è mandato in città per aver ucciso il fratello) e quella del giardino. E non è un det- taglio trascurabile che il Risorto appaia a Ma- ria Maddalena sotto le spoglie di un giardi- niere (Giovanni 20). Ci mostra la nostra vera vocazione: la transizione ecologica deve di- ventare questione di tutti, ma i cristiani pos- sono giocarvi un ruolo decisivo”. L’hanno capito benissimo, sottolinea padre Giraud, i francescani del 15° secolo. “Si trova una traccia della loro querelle con i teologici pontifici nel romanzo di Eco «Il nome della Rosa». I francescani Mi- chel de Césenne, Guil- laume d’Occam, e altri hanno preteso di non essere proprietari dei loro beni, in particolare dei loro conventi, ma che solo Dio ne fosse il proprietario. Essi ne erano però gli utilizza- tori. Detto altrimenti, hanno frammentato la concezione classica del diritto di proprietà, ereditata dal diritto roma- no, tra usus, fructus e abusus. Ciò che risco- priamo oggi attraverso la cosiddetta “«econo- mia circolare» o i «beni comuni», è proprio questo: le risorse appartengono a tutti, e cia- scuno deve diventarne un utilizzatore re- sponsabile”. “La recente disputa a Napoli contro la pri- vatizzazione dell’acqua, a favore della sua municipalizzazione, è tipica di questo com- battimento - esemplifica -: l’acqua non deve diventare un bene privato. Tra qualche anno, molti Paesi del Sud soffriranno di forte scar- sità di acqua. Forse, anche certe regioni del Sud Italia e della Spagna: l’acqua deve restare un bene comune. È perché non ha voluto ge- stire l’accesso all’acqua in maniera equa du- rante la siccità del 2007-2010 che il governo si- riano di Al Assad ha provocato una guerra ci- vile. È ciò che rischia di accadere a noi se non inventiamo oggi degli istituti originali che ci permettano di condividere i beni essenziali di cui abbiamo bisogno per vivere felici”. M. B. “ I cittadini europei devono fare pressione sui loro politici perché si sottrag- gano dal rapporto di sot- tomissione che li lega alle ban- che private”. È un’analisi seve- ra sullo stato dell’Unione eu- ropea - costruita per i banchie- ri, più che per lo sviluppo dei popoli - quella di padre Gaël Giraud, il gesuita con un pas- sato nel mondo delle banche d’affari e un presente da capo economista all’Agenzia fran- cese per lo sviluppo e di do- cente alla Sorbona. Padre Gi- raud è stato ospite l’11 maggio all’Università Cattolica - invi- tato da Facoltà di Economia e Giurisprudenza, Ucsi, Ucid e Il Nuovo Giornale - per pre- sentare il suo saggio “Transi- zione ecologica. La finanza a servizio della nuova frontiera dell’economia” (EMI, 2015). — “E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentra- zione della ricchezza, ma l’ac- cumularsi altresì di una po- tenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi…”. Sembrano parole scritte oggi invece lo af- fermava 85 anni fa Pio XI nel- la “Quadragesimo anno”... Fa bene a ricordare le parole forti della Quadragesimo Anno. Questa enciclica di Pio XI non è invecchiata. Certe pagine sulla dittatura della finanza potrebbero essere state scritte da papa Francesco. Ciò vuol dire che le prese di posizione di Francesco si inscrivono per- fettamente nel solco del pen- siero sociale della Chiesa catto- lica: essa non ha mai creduto nella finanza di mercato come strumento di sviluppo. Non ha mai assolto la proprietà pri- vata, come ha fatto, per esem- pio, la Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo del 1789. Convertire l’economia — Più di recente, il Pontificio consiglio “Giustizia e pace” ha proposto tre riforme strut- turali del sistema finanziario. Eppure nulla è stato fatto e al- l’orizzonte non sembra esserci l’intenzione di riscrivere le re- gole in senso etico. La Dichiarazione del Ponti- ficio consiglio “Giustizia e pa- ce” dell’ottobre 2011 è assolu- tamente significativa: per la prima volta, che io sappia, il magistero ecclesiale si è pro- nunciato con molto coraggio e precisione in favore di una tassa sulle transazioni finan- ziarie, della separazione ban- caria (tra banche di deposito e banche di investimento) e con- tro la ricapitalizzazione senza condizione delle banche. Biso- gna ben capire che il settore bancario privato, oggi, è riu- scito a prendere in ostaggio gli Stati e la Banca centrale euro- pea. Monsignor Turkson - che presiede il Pontificio consiglio - ci ha visto giusto: con queste tre misure, facili da mettere al- l’opera (contrariamente a quanto raccontano tanti finan- zieri) è possibile avanzare nel percorso di riportare la sfera finanziaria al servizio dell’uo- mo. Al contrario, finché le banche potranno esercitare un ricatto sui contribuenti obbli- gandoli a volare in loro soc- corso per salvare i depositi, queste banche continueranno a fare delle operazioni a forte effetto di leva sui mercati fi- nanziari con il denaro che la Banca Centrale presta loro a un tasso negativo. Detto in altri termini: Fran- coforte paga le banche perché “Abbiamo costruito un’Europa per i banchieri, non per i popoli” L’analisi del gesuita francese Gaël Giraud, economista, sostenitore della tesi della “transizione ecologica” per un progetto europeo capace di guardare al bene comune e ad un vero sviluppo Da sinistra, Giuseppe Ghittoni, presidente dell’Ucid di Piacenza, Matteo Billi, presidente regionale Ucsi, padre Gäel Giraud, la prof.ssa Annamaria Fellegara, preside della Facoltà di economia e giurisprudenza in Cattolica, e Guido Mocellin, direttore editoriale della Emi. ria, abbiamo fatto finta. In questo modo, si può dire a quelli che protestano: l’abbia- mo fatta, dunque circolare! Ma non è troppo tardi per fare qualcosa di buono. Basterebbe cambiare un paragrafo nella falsa legge di separazione fir- mata da Moscovici (ministro francese dell’Economia e delle Finanze dal 2012 al 2014, ora commissario eu- ropeo agli Affari economici, ndr) per ottenere una reale separazione netta tra i compi- ti tradizionali di deposito e credi- to e i compiti re- centi di specula- zione internazio- nale. Così lo Sta- to non sarà più obbligato a sal- vare le banche miste per proteg- gere i risparmi dei cittadini. E, d’un tratto, le banche d’investi- mento si prende- ranno molti meno rischi. Ciò renderà più attraenti gli inve- stimenti dell’economia reale. Il settore bancario potrà torna- re al suo compito originario, che è il finanziamento a lungo termine. Per quello, i cittadini euro- pei devono fare pressione sui loro politici affinché abbiano il coraggio necessario di uscire dal rapporto di sottomissione che li lega alle banche private. Il divario Nord e Sud — Lei va ripetendo che il futu- ro dell’Europa non può lascia- re i cristiani indifferenti. L’Eu- ropa di oggi però ci racconta di attacchi terroristici, di mu- ri, di Stati a rischio default... La confederazione europea auspicata anche dai Vescovi del Vecchio Continente nel 2012 è definitivamente tra- montata? Penso che il progetto politi- co europeo sia stato largamen- te snaturato dai socialisti fran- cesi degli anni ‘80-’90: Jacques Delors, Pascal Lamy, Domini- que Strauss Kahn... Questi po- litici si sono persuasi che ba- stava mettere in campo un’ar- chitettura mondiale del neoli- berismo, e la Eurozona dove- va essere, nel loro intento, un laboratorio di questa utopia (all’unisono con il Fondo Mo- netario Internazionale e l’Or- ganizzazione Mondiale del Commercio). È per questa ra- gione che la mobilità dei capi- tali ha fatto la sua comparsa così presto nei Trattati europei e si trova così in alto nella sca- la delle priorità. Noi abbiamo costruito un’Europa per i ban- chieri. Ora, la moneta unica non è valida economicamente: a di- spetto dei loro sforzi, i Paesi del Sud continuano a de-in- dustrializzarsi e a perdere ca- pitali che andranno ad essere investiti al Nord (Germania, Austria, Paesi Bassi e Finlan- dia) dove l’industria potrà es- sere mantenuta grazie all’hin- terland dell’Europa dell’Est. In un colpo, il Sud - e ci com- prendo anche la Francia - con- tinuerà ad avere una bilancia commerciale deficitaria e fi- nanze pubbliche indebitate. La deflazione nel quale il Sud sta sprofondando non fa che aggravare questo meccani- smo: più si cerca di puntare su una politica di austerità, più il rapporto debito/PIL aumen- ta. Gli Stati del Nord Europa l’hanno capito perfettamente: obbligando il Sud alla austeri- tà, si fabbrica un piano B. Si tratta, per loro, di usci- re dalla zona eu- ro e di creare una zona marco, in modo da non do- ver pagare i de- biti dei Paesi del Sud. Tutto ciò è una terribile ipo- crisia perché cia- scuno sa che la Germania non rimborserà mai il suo debito pub- blico. Non più della Francia, della Grecia e degli Usa. Moneta comune e protezionismo ecologico — Come venirne fuori? Bisogna lanciare la transizio- ne ecologica per uscire dalla piega deflazionista e ricostrui- re radicalmente l’Eurozona at- torno a una moneta comune (e non unica), protetta da un pro- tezionismo ecologico (una tas- sa sul carbone alla frontiera), con dei tassi di cambio fissi ma differenziati tra i Paesi della zona euro, e negoziati politica- mente ogni anno. Potremmo cominciare con la Grecia, autorizzandola ad emettere una euro-dracma per gli scambi con gli altri Paesi dell’Eurozona, e svalutando la sua moneta, diciamo, del 50%. Ciò le consentirà di approfitta- re dell’euro per i suoi scambi con il resto del mondo e di be- neficiare di una boccata d’aria fresca di fronte ai suoi partner europei. Occorre inoltre, certa- mente, concedere molto più potere alla sola istanza demo- cratica delle istituzioni euro- pee: il Parlamento di Strasbur- go. Soprattutto, occorre citare il potere a questo mostro bu- rocratico che è diventata la Commissione europea di Bru- xelles. — Perché afferma questo? Essa non crede che in una cosa: il fantasma della concor- renza pura e perfetta. La sua filosofia politica è la guerra di tutti contro tutti (poveri con- tro ricchi, greci contro tede- schi…). E la sua dottrina eco- nomica è una economia neo classica che non ha pressoché più alcun fondamento scienti- fico. Questa ideologia è quasi esclusivamente al servizio della finanza di mercato e fini- rà per uccidere l’Europa indu- striale (del Sud e poi del Nord) se non reagiamo. Sta a noi sostituirvi il progetto poli- tico di un’altra Europa, quella di una industria verde. Matteo Billi esse accordino dei crediti al- l’economia reale, ma le banche si limitano ad alimentare la bolla finanziaria col denaro che cola a fiumi da Francofor- te. È il mondo alla rovescia! Perché, prima o poi, un giorno questa bolla finanziaria finirà per scoppiare: lo scollamento tra i listini finanziari e l’econo- mia reale non può durare in eterno! Presto o tardi, degli in- vestitori che si sono indebitati per comprare delle azioni puntando al rialzo, non po- tranno rimborsare i loro debiti, non avendo a disposizione sufficienti introiti da parte del- l’economia reale. È quel che si definisce “momento di Min- sky”, dal nome di Hyman Minsky, che fu probabilmente il primo a comprendere questo fenomeno. Ora, non appena vi sarà un numero sufficiente di investitori che, presi alla gola dai debiti, si metteranno a ven- dere le loro azioni per rimbor- sarli, ciò provocherà il rove- sciamento del mercato finan- ziario. D’un colpo, tutti fini- scono nel panico, si mettono a vendere, e i listini collassano. Ho calcolato per il Parla- mento europeo il costo pre- sunto del prossimo crac ban- cario, che non mancherà di scuotere l’Eurozona. Risulta- to: uno choc sui prodotti fi- nanziari delle banche della stessa portata di quello del 2008 farà perdere all’Eurozo- na circa mille miliardi di euro in due o tre anni. È la metà del PIL francese. E ciò, anche se l’Unione bancaria europea fosse già stata ultimata (in re- altà non lo sarà che nel... 2023). L’Unione bancaria non ci protegge per niente. La riforma delle banche — Se questa è la situazione, lei ha ancora speranza nella politica? E nei cittadini euro- pei? In questo contesto, i politici devono esercitare il potere che è di loro competenza: in Fran- cia, abbiamo fatto una “falsa” legge della separazione banca- “Rischiamo una guerra per l’acqua” Prendersi cura del creato: le risorse non possono diventare beni privati La copertina del saggio di padre Giraud. & C ultura S ocietà