65 CAPITOLO QUARTO: Gli inizi del XIX secolo 4.1. Il brigantaggio al tempo della Rivoluzione Analizzato nella prima parte il fenomeno del brigantaggio e la sua particolare connotazione, si affronterà ora un secondo ed altrettanto importante periodo storico segnato indelebilmente dalle azioni di un folto numero di criminali che, approfittando dell’instabilità politica dell’Italia e, in particolare, ai primi dell’Ottocento, nell’Appennino, gettavano nel disordine i paesi del Frignano 1 . Questo avvenne in con- seguenza dell’arrivo in Italia delle truppe francesi inizialmente accolte con entusiasmo credendo che queste portassero gli ideali rivoluzionari e che poi, invece, aggiunsero ulteriori drammi alla popolazione mon- tanara. Il malcontento che la gente del Frignano aveva nei confronti degli invasori d’oltralpe fu certamente generato dalla prepotenza, dai sopru- si e dalle ruberie che questi compivano insistentemente ad ogni pas- saggio sul territorio montanaro. Un altro fattore determinante è da in- dividuare nella coscrizione obbligatoria che i francesi imposero ai loro sudditi, in questo modo si andava a privare della mano d’opera neces- saria alla sopravvivenza non solo delle campagne ma anche della gen- te stessa che, come abbiamo visto in precedenza, aveva nel raccolto agricolo una delle uniche fonti di sostentamento 2 . Molti giovani coscritti preferivano disertare piuttosto che assogget- tarsi ad autorità identificate come ostili ed estranee; dall’unione di queste persone si formavano gruppi più o meno numerosi di banditi che avrebbero turbato i già delicati equilibri nell’Appennino. Nel 1808 e soprattutto nel 1809 questi “briganti” furono affiancati da numerosi insorti che caldeggiavano il ritorno degli austriaci in Italia. L’introduzione della gravosa ed estremamente impopolare “tassa sul macinato” spinse i meno abbienti ad appoggiare e ad entrare loro stes- si nelle bande dei briganti: nel Dipartimento del Panaro e nei vicini del 1 V. Santi, Vicende politiche e civili, L’Appennino Modenese, L. Cappelli Ed. 1895. 2 A. Fontana, Insorgenza e brigantaggio nell’alto Frignano tra il 1809 e il 1810 .
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
65
CAPITOLO QUARTO: Gli inizi del XIX secolo
4.1. Il brigantaggio al tempo della Rivoluzione
Analizzato nella prima parte il fenomeno del brigantaggio e la sua
particolare connotazione, si affronterà ora un secondo ed altrettanto
importante periodo storico segnato indelebilmente dalle azioni di un
folto numero di criminali che, approfittando dell’instabilità politica
dell’Italia e, in particolare, ai primi dell’Ottocento, nell’Appennino,
gettavano nel disordine i paesi del Frignano1. Questo avvenne in con-
seguenza dell’arrivo in Italia delle truppe francesi inizialmente accolte
con entusiasmo credendo che queste portassero gli ideali rivoluzionari
e che poi, invece, aggiunsero ulteriori drammi alla popolazione mon-
tanara.
Il malcontento che la gente del Frignano aveva nei confronti degli
invasori d’oltralpe fu certamente generato dalla prepotenza, dai sopru-
si e dalle ruberie che questi compivano insistentemente ad ogni pas-
saggio sul territorio montanaro. Un altro fattore determinante è da in-
dividuare nella coscrizione obbligatoria che i francesi imposero ai loro
sudditi, in questo modo si andava a privare della mano d’opera neces-
saria alla sopravvivenza non solo delle campagne ma anche della gen-
te stessa che, come abbiamo visto in precedenza, aveva nel raccolto
agricolo una delle uniche fonti di sostentamento2.
Molti giovani coscritti preferivano disertare piuttosto che assogget-
tarsi ad autorità identificate come ostili ed estranee; dall’unione di
queste persone si formavano gruppi più o meno numerosi di banditi
che avrebbero turbato i già delicati equilibri nell’Appennino. Nel 1808
e soprattutto nel 1809 questi “briganti” furono affiancati da numerosi
insorti che caldeggiavano il ritorno degli austriaci in Italia.
L’introduzione della gravosa ed estremamente impopolare “tassa sul
macinato” spinse i meno abbienti ad appoggiare e ad entrare loro stes-
si nelle bande dei briganti: nel Dipartimento del Panaro e nei vicini del
1 V. Santi, Vicende politiche e civili, L’Appennino Modenese, L. Cappelli Ed.
1895. 2 A. Fontana, Insorgenza e brigantaggio nell’alto Frignano tra il 1809 e il 1810.
66
Crostolo e del Reno, queste divennero sempre meglio organizzate e
numerose, dando inizio a sommosse clamorose3.
Né valse a sedare gli animi dei frignanesi l'avviso a stampa che la
Prefettura del Dipartimento del Panaro diffuse il 7 luglio 1809, che
annunciava di aver ottenuto dal Governo, a cui si era rivolta per "otte-
nere nelle circostanze attuali a favore della classe dei rustici una qual-
che modifica al nuovo Piano pe' Dazi di Consumo", la sospensione
della esazione del dazio della macina sul frumento imposto nei territo-
ri aperti. Se si pensa che è proprio la classe dei rustici quella più gra-
vata dalle continue leve ed è proprio quella che da un ulteriore contri-
buto agli abbienti, permettendo loro di sottrarsi al servizio militare, si
spiega il motivo per cui le liste dei renitenti, degli insorgenti e dei bri-
ganti comprendano, nella maggior parte dei casi, i rustici stessi e i
meno abbienti.
Precedentemente, nel 1804, la gendarmeria del distretto dei Sestola
fu la prima a dare la caccia ai facinorosi, riuscendo ad arrestare il capo
locale, Mare’ Antonio Lenzini di Fiumalbo detto il Baffo. La stessa
gendarmeria tentò di estirpare sul nascere il fenomeno con
l’assegnazione di premi speciali a chiunque fosse riuscito a fermarli,
ma ogni tentativo risultò inutile.
Il cancelliere del censo di Sestola tentò di avvertire il prefetto di
Modena con una lettera che spiegava il malcontento dei cittadini verso
la coscrizione obbligatoria: “A farci conoscere quale sia il ribrezzo
che hanno questi abitanti al mestiere delle armi, devo parteciparvi che
oggi un coscritto requisito, che da pochi giorni si trovava in questo
forte, è fuggito precipitandosi dalla mura e dal luogo il più erto e sco-
sceso avventurando così la propria esistenza”4.
Nella seconda metà del 1809 il brigantaggio, fomentato dalle solle-
vazioni contro i francesi nel Tirolo, nel Veneto, nella Valtellina ed in-
coraggiato dall’Austria e dal partito legittimista, arrivò nella montagna
modenese all’apice del suo sviluppo. Ne accertava l'esistenza il sinda-
co di Palagano che, in una lettera del 28 luglio 1809, riferiva al prefet-
3 Varni: L’Emilia Romagna nell’età napoleonica, Storia dell’Emilia Romagna, Bo-
logna, 1980. 4 Avviso prefettizio, a stampa, del 7 luglio 1809 A.S.Mo. Nap. Arch. Segr. Di Pref.
6645/17.
67
to di Modena: "Molti disertori e molti refrattari di questo comune po-
co fa venuti dalle maremme toscane, nelle attuali circostanze si lascia-
no vedere quasi pubblicamente ed attendono di continuo agli interes-
sati delle loro famiglie, mostrando così di vivere tranquillamente in
dispregio, direi quasi, delle leggi e degli amministratori" chiedendo
infine l'intervento della forza pubblica5.
Uno dei primi episodi che rivelò l’entità del fenomeno fu riportato
dal sindaco di Sestola, testimone quel giorno dell'invasione degli in-
sorti nel paese di Porretta: “Un gran numero di malintenzionati dai
quali furono fatti gli evviva a Francesco II, fu ribassato il prezzo del
sale, del tabacco e di tutt’altro soggetto a dazio consumo, assaltò i
magazzini e la sede del comune e minacciò di attaccare Sestola e Fa-
nano”6.
Poco dopo a Zocca i rivoluzionari, guidati da un certo Colombarini,
beccaio di Iola, si impadronirono del magazzino del sale e dei tabac-
chi, distribuendo gratuitamente la merce confiscata alla popolazione
mentre il capobanda gridava: "Voi altri non pagherete più alcun gra-
vame e sarete tutti esenti da questi aggravi. Ora è terminato questo in-
fame Governo ed io sarò il primo ad andare alla testa e farvi corag-
gio”7.
Il 12 luglio 1809 una banda di briganti, composta da oltre 60 arma-
ti, invase la rocca di Trentino di Fanano, bruciando libri e mappe della
municipalità; il sindaco e il segretario riuscirono a fuggire e la banda
uscì dal paese con nuovi alleati: alcuni cittadini di Sestola si erano in-
fatti uniti a loro e questo rituale si ripeterà in molte altre invasioni di
comuni8.
Il giorno seguente la stessa banda, guidata da un certo Franzaroli di
Rocca Corneta, che si faceva chiamare sig. Capitano Capo Insorgente,
alla quale si aggiunsero altri numerosi insorti (in due giorni passò da
60 a 160 componenti), attaccò la rocca di Sestola. Entrarono nel paese
5 Archivio di stato di Modena: dipartimento del Panaro, tit. XVII, Rub. 8.
6 Lettera del Giudice di Pace di Sestola al Proc.re Gen.le, in data 11 luglio 1809.
A.S.Mo.,cit.. 7 Comunicazione in data 12/07/1809, del capitano Longhena al Prefetto. A.S.Mo.,
cit. 8 Comunicazione in data 13/07/1809, del Sindaco di Trentino al Prefetto. A.S.Mo.,
cit.
68
alle 10 del mattino "a tamburo battente e fucile montato", impadro-
nendosi prima della Rocca, poi del forte ed infine, con sentinelle poste
alle uscite del paese, delle carceri liberando un refrattario. Successi-
vamente la banda si diresse verso gli uffici del Cancelliere del Censo,
prelevò e portò nella piazza i registri della cancelleria e quelli
dell’ufficio di leva (furono risparmiati dalle fiamme solo i recapiti del
dazio), incendiandoli davanti alla folla. Il parroco del luogo fu obbli-
gato a convocare l’intera popolazione in chiesa "facendo esporre il
Santissimo Sacramento, e cantando il Te Deum, al quale assistette la
ciurma d'insorgenti al di fuori della chiesa, col solito schiamazzo, a
colpi di fucile"9.
Le bande si andarono ad organizzare lungo tutta la zona del Fri-
gnano. Nel dipartimento del Panaro le rivolte si intensificarono e cre-
sceva la preoccupazione dei funzionari di Sestola e Montefiorino:
“siamo infestati da una o più compagnie di disertori e refrattari!”.
Il 23 luglio a Palagano un renitente alla leva lacerò pubblicamente
i decreti governativi: ha inizio in questo modo la carriera di brigante di Paolo Reggi che, insieme al padre Luigi, organizzò una delle più te-
mute bande dell’Appennino che in poco tempo riuscì a raccogliere in-
torno a Susano e Palagano una folta cerchia di disertori e insorgenti. Il sentimento di terrore provato dai funzionari non deve meravigliare,
come nel caso del Giudice di Pace di Sestola che non volle fare ritorno
nel suo ufficio, nonostante la presenza a Fanano di un centinaio di
soldati dopo che a Vesale, paese distante pochissimi chilometri, i bri-
ganti osarono invadere gli uffici comunali, bruciando carte municipali
e maltrattando il segretario10
.
9 Relazioni della Commissione di leva e del Canc. Del Censo di Sestola al Prefetto.
A.S.Mo.,cit.. 10
Risposta (del 9/08/1809) del Giud. di Pace di Sestola al R. Proc.re Gen.le che gli
aveva ordinato di fare ritorno al suo ufficio. A.S.Mo.,cit..
69
A lato un elenco contenente
i nomi dei briganti che risie-
devano a Boccassuolo reso
noto dagli organi di giustizia
del tempo.
(Archivio comunale di Fras-
sinoro)
70
Lo stesso sentimento di paura invase ben presto anche la vallata tra
Montefiorino e Palagano dove Paolo e Luigi Reggi reclutano refratta-
ri, disertori e altri malintenzionati delle vicinanze. La zona venne ben
presto etichettata come "terra di briganti"11
e la popolazione non si
prestò né per servizi di guardia né per somministrare i viveri al piccolo
drappello di soldati giunto a Palagano.
Le bande rinsaldarono la loro presenza nel territorio ed iniziarono
ad attuare azioni dimostrative bruciando carte ed atti municipali in
numerosi paesi (Benedello, Montecucculo, Gaiato, Castagneto, Festà)
e intorno alla fine del 1809 si trovavano a minacciare quasi tutto l'alto
Frignano12
.
4.2. I fatti di Palagano e Pieve
Il giorno 8 settembre a Palagano, in occasione della fiera paesana,
venne invitato un contingente militare da Pavullo per prevenire disor-
dini e catturare alcuni briganti della banda del Reggi: le forze dell'or-
dine si divisero in due unità per accerchiare e bloccare le uscite del
paese. Il clima, già incandescente, degenerò in una sparatoria e i pala-
ganesi, compresi le donne e gli anziani, si unirono ai refrattari costrin-
gendo alla ritirata i militari che, ritornati a Pavullo, dovettero contare
perdite e feriti. La figura preminente di questo moto d'opposizione fu
senz'altro Luigi Reggi che aizzò la folla e la indirizzò minacciosa ver-
so la Guardia Nazionale. Al fianco di Luigi stavano il figlio Paolo e
Micheluccini, il Tosco. Il tenente Ferrani, artefice dell'azione militare
contro i briganti di Palagano, informò le autorità dipartimentali che
"senza una forza di oltre cento uomini non è prudente ad andare ad at-
taccare Palagano perché colà il brigantaggio è molto più imponente".
Il comandante della Guardia Nazionale di Pavullo contò oltre 50 per-
sone che quel giorno, a Palagano, attaccarono i militari13
.
11
Comunicazione del dott. Fontani, Sindaco di Palagano, al Prefetto, in data
11/08/1809. A.S.Mo.,cit. 12
Comunicazione del Canc. Del Censo di Sestola al Prefetto, in data 7 e 8 settem-
bre 1809. A.S.Mo.,cit. 13
Relazione al Prefetto sui fatti di Palagano, 9/09/1809. A.S.Mo., A. S. Pref.
6645/27.
71
Luigi Reggi, nelle dichiarazioni ufficiali rese al Giudice di Pace di
Montefiorino, dopo l’arresto, il 2 giugno 1810, riferì, riguardo ai fatti
di Palagano, che lui fu soltanto uno spettatore estraneo alla sommossa.
Tra i rivoltosi riconobbe il Tosco, il Bastardello di Palagano e tre di
Boccassuolo, tra cui Luigi Lenzotti. Il Reggì testimoniò anche a pro-
posito di una banda guidata dal Ballerini, che entrò a Palagano nei
giorni successivi all’8 settembre, composta da refrattari del Cantone di
Montefiorino e Piandelagotti14
.
Grazie anche alle affermazioni del Reggi, si delineano sempre più
chiaramente i ruoli di alcuni personaggi che ritroveremo più volte
nelle cronache delinquenziali che andremo a riportare: il lucchese Mi-
cheluccini, detto il Tosco, Giovanni Castellini, detto il Bastardello, e
tre di Boccassuolo tra i quali Luigi Lenzotti (di cui parleremo in segui-
to) e Ballerini che divenne il capo incontrastato dei briganti del Fri-
gnano. L'idea di questi individui era quella di formare una vera e pro-
pria organizzazione gerarchica che aveva come vertici il "capitano"
Ballerini e il "caporale" Lenzotti. Secondo questa ferrea organizzazio-
ne, il caporale era l’esecutore dell’azione che ora il Ballerini ora il
Reggi intendevano attuare. Questi individui venivano giudicati dai lo-
ro stessi compagni “persone torbide, mal intenzionate, che gli piace
fare da bravi”15
.
Le autorità cercarono di prendere qualche sporadico provvedimen-
to, tuttavia il fenomeno era ancora poco chiaro ed estremamente sot-
tovalutato. La banda Ballerini-Reggi-Lenzotti acquistò sempre mag-
gior credito e, visti i successi accumulati, molti renitenti e insurrezio-
nalisti si aggregarono; si andava a delineare una organizzazione estesa
e molto temibile. Un altro fattore che le autorità avrebbero dovuto te-
nere in considerazione era l'appoggio riconosciuto ai briganti dalla
popolazione: i montanari spesso li nascondevano nelle loro abitazioni,
salvandoli dalla cattura. Questo comportamento è da spiegarsi con
quel sentimento di esasperazione che la gente del Frignano aveva ac-
cumulato nei confronti del governo francese a causa di sempre nuovi
provvedimenti tutt'altro che bene accetti.
14
Verbale dell’interrogatorio di Luigi Reggi. B. E. Fondo Sorbelli, 1083. 15
Vedasi interrogatorio Ranucci del 19/05/1910. B. E. F.S., 1083.
72
Se l'8 settembre era stato il giorno in cui gli insorti, inaspettatamen-
te, si erano misurati con i militari del Governo con esito a loro favore-
vole, il 10 settembre fu senz'altro il giorno in cui imposero la loro pre-
senza in tutti i territori vicini.
“Alle ore 7 antimeridiane comparve improvvisamente a Pieve
quell’orda di briganti che prima avea percorse le montagne di Palaga-
no e… allontanate le Guardie di Finanza con archibugiate, aperte le
porte e gli usci della Ricettoria e della Dispensa, fece man bassa sopra
tutto ciò che vi era… ma lasciando illesi i libri tanto della Ricettoria,
che degli altri Uffizi, come pure lo stemma”16
. Le autorità locali solle-
citarono il prefetto ad inviare la Guardia Nazionale, lamentandosi i-
noltre della inadeguatezza dei propri mezzi di fronte ai più numerosi e
meglio armati "briganti"17
. Il Prefetto, etichettando ancora gli insorti
come gruppetti isolati di malviventi, rispose al sindaco: "Quando trat-
tisi di assicurare la pubblica quiete non possono incontrarsi difficoltà
che ad Autorità zelanti riescano insuperabili: le armi? non mancheran-
no particolari che vi faranno un impegno di prestarle; le munizioni? vi
provvederà ad inviarle; la sicurezza del Comune di Pieve? non occorre
una forza imponente per difendersi da pochi assassini; la Guardia Na-
zionale? deve essere attivata ovunque."
La colpa venne attribuita quasi esclusivamente alle autorità locali,
in particolar modo al sindaco18
, lo stesso che informò il Prefetto che il
21 piombarono di nuovo in Pieve una novantina di briganti del Canto-
ne di Montefiorino, asportando commestibili, vino, somme di denaro
ed oggetti di valore. Casualmente nella zona si trovava un gruppo di
14 finanziari (préposés) della Toscana che, con una sparatoria durata
quasi un ora, riuscirono a respingere i briganti che, esaurite le muni-
zioni, si ritirarono in disordine verso le montagne. Questo episodio
rafforzò le convinzioni del Prefetto che pensava di dover avere a che
fare con bande disorganizzate, pronte a fuggire alla minima reazione,
16
Relazioni varie, in A.S.Mo., Arch. Segr. di Pref. 6337/27, Napol. 6050/27, e B.
E. F. S., 1083-1086. 17
Relazione del Sindaco Vicini al Prefetto, in A.S.Mo., Napol. Arch. S. di Pref.
6337/27. 18
Risposta del Prefetto al Sindaco di Pieve, in data 22/09/1809. A.S.Mo., Arch. S.
di Pref. 6645/27.
73
mentre il sindaco di Pieve restava convinto che una Guardia Nazionale
senza "direzione, armi e munizione" non avrebbe certamente avuto la
meglio.
Contro le previsioni ottimistiche del Prefetto, le bande si fecero
sempre più numerose: il 6 ottobre Luigi Reggi con 160 briganti entrò
nuovamente a Pievepelago minacciando la popolazione colpevole, a
loro dire, di "essere tutti giacobini" e di avere fatto fuoco dalle finestre
contro gli invasori la sera del 21 settembre. Questi presero a colpi di
fucile le insegne e gli stemmi della Dogana, atterrarono le porte degli
uffici, entrarono nella gendarmeria incendiando mobili e registri, apri-
rono le carceri liberando dei detenuti, rubarono generi alimentari e
imposero agli abitanti il pagamento di 5000 lire modenesi, pena il sac-
cheggio del paese. Intanto il Ballerini con un'altra banda di briganti si
unì a quella di Lenzotti per partecipare alle rapine. La sera dello stesso
giorno i banditi si ritirarono verso Barigazzo con carri carichi di refur-
tiva lasciando il paese nella desolazione e nell'orrore.
Sempre in ottobre venne attaccato Riolunato ad opera di una banda
capitanata dal Lenzotti di Boccassuolo ed il giorno dopo il paese di
Castellino, dove anche il parroco, don Contri, si vide costretto a con-
segnare del denaro ed il Segretario comunale Ferrari venne inseguito
nottetempo sfuggendo miracolosamente alla cattura. Ballerini e Len-
zotti fecero ritorno nel borgo il giorno seguente pretendendo un ulte-
riore sacrificio economico: di fronte alla solita minaccia di saccheggio
del paese, la popolazione consegnò ai malviventi 50 zecchini d'oro19
.
Secondo le valutazioni di un alto funzionario francese, Damarzit, fa-
cendo un resoconto al Ministro degli Interni, i briganti nel dipartimen-
to del Panaro erano in totale 375: 120 al comando di Luigi e Paolo
Reggi, 60 di Ballerini, 80 del Tosco, 70 di Baschieri, 30 di Domenico
della Morte e 15 di Giuseppe Muzzarelli detto Cemini.
19
Relazioni varie sui fatti di Riolunato in A.S.Mo., Arch. S. di P. 4649/27,
6654/27, 6651/27, e B. E. F. S., 1083.
74
Lettera inviata dal prefetto del Panaro ad un sacerdote affinché
quest’ultimo convinca i coscritti a non ribellarsi contro gli occupanti
francesi.
(A.S.Mo).
75
Alcuni erano favorevoli ad un intervento massiccio delle truppe
(che potevano contare su un migliaio di uomini), altri, vista la natura
del terreno e l’omertà della popolazione del Frignano, pensavano che
fosse da evitare una guerra certamente sanguinosa e propendevano per
offrire agli insorti un'amnistia generale che avrebbe favorito la di-
minuzione del numero dei briganti.
A questo punto i francesi pensarono di attirare dalla loro parte uno
dei capi più carismatici di tutte le bande: Luigi Reggi. Già prima delle
invasioni napoleoniche, Reggi era stato nominato dal Duca Ercole III
"capitano militare della montagna" e si era distinto aiutando le autorità
ducali nella cattura dei disertori o di persone che avevano favorito l'in-
surrezione delle popolazioni dell'Appennino. Il Damarzit20
scrisse
che Luigi Reggi aveva scelto la strada del brigantaggio solamente do-
po l'ingiusta coscrizione del figlio Paolo e dopo il tentativo da parte
della Guardia Civica di assassinarlo durante la fiera di Palagano. So-
lamente dopo queste ingiustizie il padre, Luigi, entrò, adirato, nella ri-
volta. Damarzit arrivò ad asserire che il Reggi avesse un "fondo di vir-
tù" e suggerì al Ministro di "concedere la grazia a lui e lui e a suo fi-
glio se giungessero a cacciare gli altri briganti dai Cantoni del D.p.to o
a richiamarli al dovere". In base alle informazioni che possedeva, Da-
marzit credeva di poter affermare che i due ribelli sarebbero diventati
"sudditi devoti al sovrano" (Napoleone). L'idea del francese era di tra-
sformare il nemico giurato in un prezioso alleato con la convinzione
che, assieme al Reggi, ben presto anche gli altri grandi capi avrebbero
ceduto alle lusinghe del nuovo padrone21
.
Il 28 ottobre un gruppo di 33 briganti capitanati da Lenzotti torna-
rono a Pievepelago e, dopo aver sparato al sindaco e malmenato il Se-
gretario, si fecero consegnare una contribuzione di mille lire modene-
si. Si recarono quindi a Fiumalbo e successivamente a Riolunato arre-
20
Jean Joseph François Damarzit de Laroche (1756-1802) fu un generale dell’ e-
sercito francese. Nel 1789 era capitano di cavalleria alla vigilia della Rivoluzione;
nel ’73 fu arrestato come nobile e verrà reintegrato nelle sue funzioni col grado di
generale soltanto dopo il 9 termidoro.
Nel 1802 fu nominato capitano generale a Tabago nelle Antille dove morì di febbre
gialla. Cfr. Enciclopedia Grolier. 21
Esposto di Damarzit al Min. dell’Interno, in data 29/10/1809. A.S.Mo.,cit.
6649/27.
76
cando numerosi danni ad entrambi i paesi e pretendendo ingenti som-
me di denaro22
. Nel frattempo Luigi Reggi si unì ad altre bande del
Dipartimento del Reno ed attaccò vari presidi ai confini tra Modena e
Bologna.
Accanto alle bande che abbiamo ricordato e che in linea di massi-
ma ebbero sempre un “codice di comportamento” ben definito, opera-
rono anche purtroppo molti malfattori e facinorosi che approfittavano
del disordine generato dai briganti per compiere i loro misfatti e per
depredare impunemente le famiglie più abbienti. I Sindaci delle varie
comunità, per non favorire l’aumento di renitenti, si rifiutarono di ese-
guire gli ordini di “coscrizione” e le autorità francesi poterono contare
solo sulla persuasione attuata dai parroci per indurre la popolazione
all’ubbidienza ed alla quiete. Molti sacerdoti in realtà non esercitarono
questa opera di obbedienza verso i Francesi in conseguenza delle per-
secuzioni che essi avevano attuate e soprattutto perché avevano inca-
merato numerosi beni ecclesiastici. Alcuni parroci del Frignano pre-
sentarono al Vescovo le loro rimostranze “onde essere disobbligati
dall'invitare intra sollemnia Missae i giovani delle rispettive parroc-
chie a farsi iscrivere sui registri coscrizionari e dal pubblicare ordini
relativi alla coscrizione, per non esporsi al pericolo di essere ammaz-
zati dai briganti, che armati concorrono alle loro Chiese, anteponendo
piuttosto la perdita del benefizio”.
Accanto all’opposizione dei clericali si registrava la totale mancan-
za della Guardia Nazionale che, a metà novembre, risultava operante
solamente a Sestola e Pavullo23
.
Visto che la popolazione montanara non collaborava all’ individua-
zione dei briganti24
, le autorità francesi decisero di ricorrere ad
un’altra strategia: fornivano particolari salvacondotti a tutti coloro che
si costituivano ottenendo una completa amnistia e dei lasciapassare
per le Maremme. Di questa opportunità usufruirono anche i Reggi e
Lenzotti, mentre alcuni briganti si andarono ad unire a bande come
quella del Cemini che operavano nella zona pedemontana di Vignola;
soltanto il Ballerini continuò nellla lotta, ma il 22 novembre, in un
22
Relazione del Sindaco Vicini al Prefetto. B. E. F. S. 1083-1056. 23
Il delegato di Pref.ra Haittinger al Prefetto il 15/11/1809. A.S.Mo.,cit. 6648/27. 24
Il Gen. Dazemar al Prefetto, in data 16/11/1809. A.S.Mo.,cit. 6648/27.
77
combattimento con la gendarmeria di Lucca, avvenuto in Garfagnana
poco oltre il Passo delle Radici, rimase ucciso e la sua banda fu di-
spersa.
Una circolare di Tiburzio Cortese, vescovo di Modena, indirizzata ai suoi
parrocchiani.
(Archivio parrocchiale di Frassinoro).
78
Nel 1810 erano ormai pochi i briganti che resistevano; verso marzo
furono compiute consistenti azioni militari che portarono alla cattura
ed alla fucilazione di alcuni insorti nella zona di Pavullo25
. Anche
Paolo Reggi il 13 maggio fu arrestato nei pressi di Montecreto poiché
si pensava che, dopo l'iniziale sottomissione, avesse preso di nuovo le
armi col figlio e che avrebbe preso parte ad azioni di brigantaggio. A
San Pellegrino fu catturato il Tosco che venne giustiziato sul posto
senza processo e verso la fine di maggio venne incarcerato, assieme ad
altri briganti, anche Luigi Lenzotti.
Il primo giugno, con la cattura di Luigi Reggi, il Procuratore Gene-
rale annunciò che il fenomeno del brigantaggio nel Frignano poteva
finalmente ritenersi concluso26
. Rimaneva in piedi ancora qualche pic-
cola banda, come quella del Cemini, nel vignolese e nei pressi di Sas-
suolo: si trattava ormai degli ultimi sussulti.
“Preoccupati di tali e tanti fatti incresciosi accaduti in così breve
periodo, la popolazione e le autorità decisero di prendere posizione
contro i briganti. La Guardia Nazionale prese le armi coadiuvata dalle
truppe spedite da Modena. Ma anche la neve e il freddo furono dei
formidabili alleati costringendo molti di questi malandrini a cadere
nella rete loro tesa dalla polizia. Il governo francese ordinò una gene-
rale e minuziosa perlustrazione della montagna invitando altresì i par-
roci a predicare il rispetto e l’osservanza delle leggi, l’onestà e il ri-
spetto delle proprietà altrui. Promise altresì premi in denaro a coloro
che avessero collaborato alla cattura di qualche malandrino.
A seguito di queste decisioni, ad uno, a due, o a gruppi i briganti
vennero arrestati. Fra gli uccisi vi furono Luigi e Paolo Reggi di Pala-
gano e la loro banda, che era una delle più numerose, si disperse.
L’ultimo fu Gio. Michelucchini di Castiglione Garfagnana che si scon-
trò con una pattuglia presso San Pellegrino. Sopraffatto dal numero
degli avversari e ferito a morte venne caricato a sacco su di un somaro
e morì durante il viaggio verso Pievepelago per le perdite di sangue. A
25
Il Giudice di Pace di Montecuccolo al R. Proc.re Gen.le, in data 8/05/1810.
A.S.Mo., Nap. R. Proc. G. F. X. 26
Il Proc.re Gen.le al Min. di Giust., in data 13/06/1810. A.S.Mo., Nap. R. Proc.
G., F.XI.
79
Pieve, il popolo soddisfatto e incuriosito, lo appese senza pietà alla fi-
nestra della prigione e ve lo lasciò per tre giorni perché servisse da
monito ad eventuali suoi compagni”27
.
Il Frignano ritornava dunque ad uno stato di apparente tranquillità,
turbata dalle paure postume al brigantaggio, dal malcontento prodotto
nei danneggiati dal ritorno di molti amnistiati e dal consolidamento di
quelle correnti di opposizione che erano state all'origine del brigan-
taggio.
4.3. Uno sguardo da vicino
Estremamente interessanti risultano le descrizioni delle varie im-
prese dei briganti del Frignano attuate dallo studioso Bonaldi nella sua
opera Insorti e briganti dall’Appennino modenese alla Garfagnana.
Il primo delitto vero e proprio avviene nelle vicinanze di Fiumalbo:
un certo Piacentini, di professione segantino, originario di Piandela-
gotti, viene affrontato lungo la strada da una guardia che gli spara in
pieno petto ritenendolo un bandito. In questa situazione di disordine,
normali ladruncoli e malviventi ne approfittano: un fattaccio accade a
Castellaro di Vesale quando un certo Zuccherini accoltella Vincenzo
Lenzini di Fiumalbo per derubarlo di una piccola somma di denaro,
mentre a Susano di Palagano, Bernardo Fontana (di 18 anni), garzone
di pecore, ruba in casa di Giuseppe Santi “sette francesconi, tre anelli
d’oro (due con le luci ed uno massiccio), due paia di calze nuove di
lana, due fazzoletti da donna, una camicia, un paio di braghe…”.
Qualcuno viene anche accusato ingiustamente di essersi aggregato
ai briganti: si narra di un certo Domenico Berri di Sestola “di anni 33
compiti di professione contadino, di capelli castani, ciglia simili, occhi