Sean Penn. . A 61 anni e dopo oltre venti di carriera diplomatica, oggi Joseph Charles Wil- son IV racconta, in questa intervista esclusiva per east, cosa significhi essere americano, ma soprattutto ci parla dell’Iraq, violentato da un conflitto ancora in corso. . a cura di Francesca Lancini 106 . east . europe and asia strategies numero 34 . febbraio 2011 . 107 Wilson : la mia verità sull’Iraq di Saddam È il primo a denunciare che in Iraq non esistono le armi di distruzione di massa, pochi mesi dopo l’inizio della Seconda guerra del Golfo. . Paga un prezzo elevato per questo, tanto che Holly- wood dedica alla sua incredibile storia il film Fair Game, con il divo più intenso del momento, IRAQ N el 1990 è l’ultimo diplomatico a incontrare Sad- dam Hussein prima di Desert Storm, l’operazione militare statunitense lanciata in risposta all’inva- sione del Kuwait ordinata dal dittatore iracheno. Come vice capomissione a Baghdad l’allora quarantenne Joseph Charles Wilson riesce a dar rifugio in ambasciata a un cen- tinaio di americani e a far fuggire dall’Iraq migliaia di per- sone. Poi, dopo una lunga esperienza tra l’Africa e l’Eu- ropa, anche come assistente del presidente Bill Clinton, la questione irachena ripiomba nella sua vita, sconvol- gendola. Nel febbraio 2002, mentre l’amministrazione Bush jr prepara la guerra, la Cia gli chiede di andare in Niger per verificare se questo Paese abbia venduto uranio all’Iraq. Allo stesso tempo sua moglie, la bellissima e biondissi- ma Valerie Plame, guida una task force dell’intelligence sugli armamenti nucleari. Solo Wilson conosce la vera professione di agente segreto della consorte, che ha sem- pre ribadito di non aver proposto lei di inviare il marito in Africa. Wilson parte, incontra decine di persone, in- daga, ma non trova niente che provi i sospetti del vice presidente Dick Cheney. Stila la sua relazione, ma nel gennaio 2003, nel discorso sullo stato dell’Unione, Bush pronuncia le famigerate sedici parole che decidono il de- stino dell’Iraq: «Il governo britannico ha saputo che Sad- per denunciare come questa rivelazione sia stata una vendetta dell’amministrazione Bush. Qualche funziona- rio avrebbe comunicato illegalmente a Novak la reale identità di Valerie. razie alla battaglia di Wilson, condivisa solo in un secondo tempo dalla sua compagna, il “Pla- me Gate” finisce in tribunale. Ma, ad oggi, la Cor- te federale ha condannato solo Lewis Libby, ex capo del- lo staff di Cheney, per falsa testimonianza, spergiuro e ostruzione della giustizia. Ritiratisi a Santa Fe, i coniugi Wilson hanno ricomposto la loro vita, ma in Iraq lui con- tinua a tornare come businessman, specializzato in zo- ne di conflitto. L’avventura continua. Com’erano le sue giornate in Iraq, quando vi lavorava come vice capomissione dell’ambasciata Usa, fra il 1988 e il 1991? Durante Desert Shield (l’operazione militare Usa che precedette la Prima guerra del Golfo, NdR) la mia giorna- ta tipo comprendeva la classificazione delle conference- call con Washington, riunioni strategiche con lo staff del- l’ambasciata, relazioni alla stampa, incontri coi funzio- nari del ministero degli Esteri e, nel pomeriggio, meeting coi miei colleghi nei corpi diplomatici per coordinare il nostro approccio e scambiare informazioni. Nel tardo po- meriggio chiamavo Washington e ogni sera vedevo i ca- pimissione di Unione Sovietica, Turchia, Francia e Gran Bretagna. La nostra priorità era di assicurare il rilascio degli ostaggi, di far evacuare senza rischi tutti gli stranie- ri dal Kuwait e dall’Iraq e di garantire che il governo ira- cheno capisse che facevamo sul serio. Ed è con veemenza che nel film Fair Game il suo personaggio, interpretato da Sean Penn, descrive Saddam Hussein come un tiranno spietato. Qual è il suo ricordo più vivo del personaggio? Quando incontrai Saddam il 6 agosto 1990, quattro giorni dopo l’invasione del Kuwait, rimasi colpito dalla sua malcelata arroganza, generata dalla sua facile vitto- ria. Era evidentemente compiaciuto dell’audacia della sua azione. Ciò che temeva era una risposta unilaterale da parte degli americani. Si interessava ai possibili piani degli Stati Uniti e cercava di trattare con noi. Era appa- rentemente calmo, ma teso appena oltre questa facciata. Dopo essere stato definito “un vero eroe americano” dam Hussein ha recentemente richiesto significative quantità d’uranio all’Africa». Il 20 marzo, dunque, acca- de quello che tutti sanno: la coalizione Usa invade l’Iraq e comincia un disastro umanitario. L’ormai ex ambasciatore, trasformatosi in uomo d’affa- ri, figlio di marine, patriota, “moderato nel cuore”, pren- de carta e penna e scrive sul giornale più autorevole del pianeta, il New York Times, la sua verità nell’articolo Co- sa non ho trovato in Africa. Racconta i dettagli del suo viaggio, concludendo: “Una parte dell’intelligence con- nessa con il programma di armi nucleari in Iraq è stata distorta per enfatizzare la minaccia irachena”. Le conse- guenze per la sua famiglia sono rovinose. La settimana successiva il giornalista del Washington Post Robert No- vak rivela che la Plame è una spia, mettendo fine alla sua copertura e alla sua carriera. Da ogni parte arrivano mi- nacce e diffamazioni, la coppia è in crisi. Wilson, tutta- via, decide di combattere. Rilascia interviste e scrive il best seller The Politics of Truth (La politica della verità) L’ex ambasciatore Usa Joseph Wilson IV è stato il primo a dichiarare sul New York Times che in Iraq non c’erano armi di distruzione di massa. Una settimana dopo un giornalista del Washington Post rivela che la moglie di Wilson, Valerie Plame, è una spia, mettendo fine alla sua copertura e alla sua carriera. Il Plamegate finirà in tribunale. N G Getty Images / A. Wong Joe Wilson e la moglie Valerie al Mayflower Hotel a Washington. Il film Fair Game, nelle sale dal novembre scorso, mette in scena l’incredibile vicenda vissuta dalla coppia. 2010 The Washington Post