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Capitolo 1 I concetti di base
1. Il tempo verbale
1.1 Tempo e spazio In lingue come litaliano la forma
grammaticale di un enunciato ha la propriet di co-dificare una
certa quantit di informazione temporale. Ci reso possibile dalla
pre-senza di particolari morfemi, come per esempio le flessioni
verbali, che hanno la fun-zione di localizzare un evento o uno
stato di cose rispetto alle dimensioni del passato, del presente e
del futuro. Per esempio, enunciati come (1) Leo scrisse un libro
sulla patafisica (2) Leo scriver un libro sulla patafisica
differiscono solo per la flessione verbale, ma questo piccolo
cambiamento di morfo-logia ha importanti conseguenze dal punto di
vista semantico, perch (1) caratterizza levento in questione come
gi accaduto, mentre (2) lo presenta come non ancora realizzato. Si
tratta, com facile vedere, di constatazioni molto elementari, che
per forniscono una prima indicazione interessante. Dato che simili
morfemi intervengono obbligato-riamente nella generazione di ogni
enunciato, ne consegue che un minimo di infor-mazione temporale
sempre presente. Infatti, anche quando manca una localizzazio-ne
esatta (che pu per esempio essere fornita da una data), la semplice
presenza di una particolare flessione verbale determina comunque in
quali delle grandi regioni temporali vada collocato lo stato di
cose descritto. Vale anche la pena di notare che questa presenza
pervasiva di nozioni temporali non ha riscontro in altri domini
cognitivi. Si consideri per esempio il caso dello spazio, che pure
rappresenta un fattore fondamentale nellelaborazione della nostra
esperien-za. Se prendiamo ancora gli enunciati (1) e (2), ci
rendiamo subito conto che essi so-no perfettamente accettabili
quantunque siano completamente privi di informazione spaziale.
Anche se si pensasse a determinazioni molto generali dello spazio
(come passato, presente e futuro lo sono per il tempo), non si
potrebbe fare a meno di con-cludere che gli eventi descritti da (1)
e (2) risultano del tutto indefiniti rispetto a quel-le
determinazioni. I due enunciati non dicono infatti nulla sulla
regione dello spazio in cui occorso (o occorrer) levento in
questione, se sia cio occorso, per esempio, a sinistra o destra di
chi parla (o davanti o dietro, ecc.). Ed agevole constatare che
questa mancanza di informazione spaziale caratterizza molti
enunciati (dichiarativi)
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di una lingua come litaliano, mentre nessun enunciato pu fare a
meno di contenere una pur elementare caratterizzazione temporale
dello stato di cose descritto1. C poi un altro punto che merita
qualche commento. Quand presente, linformazione spaziale raramente
espressa da semplici morfemi: non v alcuno strumento morfologico,
nella grammatica, che si riferisca allo spazio con la sistemati-cit
con cui la flessione verbale si riferisce al tempo. Viene dunque
spontaneo chie-dersi se esistono ragioni profonde per una tale
disanalogia. C chi risponde negati-vamente a questa domanda, come
per esempio Quine [1960: 210]:
Il nostro linguaggio ordinario mostra un fastidioso pregiudizio
nel suo trattamento del tempo. Le relazioni temporali sono esaltate
grammaticalmente molto di pi delle rela-zioni di posizione, peso e
colore. Questo pregiudizio in se stesso unineleganza, o vio-lazione
della semplicit teorica. Inoltre, la forma che assume - quella di
esigere che ogni forma verbale mostri un tempo - peculiarmente
fertile di complicazioni superflue.
A ben riflettere, per, un atteggiamento teorico come quello
sostenuto da Quine in questo passo ben poco produttivo. Sostenere
che la presenza pervasiva del tempo nel linguaggio solo un
accidente grammaticale significa in realt aggirare il pro-blema
invece di affrontarlo, perch difficile pensare che un fenomeno
linguistico cos altamente strutturato come per esempio il sistema
dei tempi verbali in italiano sia qualcosa di fortuito e superfluo.
Proviamo dunque a riflettere per un attimo su questo problema.
Anzitutto va notato che, mentre larticolazione del tempo nelle
dimensioni del passa-to, del presente e del futuro (o del prima e
del dopo) riveste un ruolo fondamentale ed esclusivo, ci sono vari
modi, fra loro alternativi, di articolare lo spazio. Un evento pu
occorrere davanti, o dietro, di noi. Ma anche sopra o sotto di noi.
Oppure a destra o a sinistra. Nessuna di queste opposizioni pi
fondamentale delle altre, cosicch non c alcun motivo per
presupporne una fissa, cui fare riferimento in ogni occasio-ne. Ma
la differenza pi importante, come stato spesso osservato, che il
tempo, ma non lo spazio, ha una direzionalit intrinseca. Certo, le
nozioni di passato, presente e futuro hanno un carattere indicale,
nel senso che dipendono dal tempo di emissione dellenunciato, e
quindi dalla posizione del parlante nel tempo: un particolare
evento che si colloca nel futuro al momento in cui parlo pu
scivolare nel passato rispetto a un momento successivo. Ecco perch
enunciati come (1) e (2), in virt dellinformazione temporale che
contengono, possono cambiare valore di verit se valutati in momenti
diversi. Ma, con il passare del tempo, gli eventi passano dal
futu-ro al presente e dal presente al passato. Se uno stato di cose
passato, lo sar per sempre. In questo senso, la propriet di essere
passato persistente in avanti, come specifica il seguente principio
riguardante appunto la direzionalit del tempo, che formuleremo in
modo da permettere un paragone con il caso dello spazio: (3) Se
vero della mia attuale posizione t (nel tempo) che levento e
occorre nel
1 Uneccezione potrebbe essere rappresentata da enunciati che
esprimono leggi matematiche, fisiche, ecc. Si tratta per di un
problema che qui non affronteremo. Del resto, secondo Prior anche
questi sono enunciati temporali (tensed): semplicemente esprimono
verit che valgono a ogni tempo.
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passato di t, allora vero di ogni posizione futura d che e nel
passato di d. Si tratta di un principio ragionevole, che
conseguenza di un assioma spesso fatto proprio dalla logica
temporale: (4) p FPp che asserisce che se si d il caso che p,
allora sar sempre vero che si dato il caso che p. (Anticipando una
notazione che verr resa esplicita nel prossimo capitolo,
uti-lizziamo P e F come operatori, rispettivamente, per il passato
e il futuro. Cos, per esempio, Fp significa si dar il caso che p,
dove p asserisce loccorrenza di un evento di un certo tipo e Pp
significa si dato il caso che p.) Ma si consideri un principio
analogo, che coinvolge, questa volta, nozioni spaziali: (5) Se vero
della mia attuale posizione s (nello spazio) che levento e
occorre
alla sinistra di s, allora vero di ogni posizione d alla destra
di s che e alla sinistra di d.
A prima vista, si potrebbe essere tentati di dire che se
plausibile il primo principio, allora lo anche il secondo. A
sostegno di questa affermazione, si potrebbe addurre il modo
consueto di rappresentare il corso del tempo: una retta orientata i
cui punti rap-presentano i diversi istanti. Supponiamo dunque di
considerare le cose dal punto di vista di un osservatore che si
collochi in un certo istante dello spazio-tempo: listante che egli
indicherebbe con il termine ora. Ebbene, se un evento e localizzato
prima del momento di emissione (cio prima del momento attuale:
ora), ovvio che risulte-r localizzato prima anche di ogni altro
punto d successivo al momento di emissione: d ora,
qui e
Ma la stessa rappresentazione, si potrebbe aggiungere, andrebbe
usata per rendere conto della situazione descritta dal secondo
principio. Immaginiamo allora che il no-stro osservatore si trovi
in un certo luogo dello spazio-tempo (quello che egli indiche-rebbe
con il termine qui) e che la sua collocazione sia tale che e si
trovi alla sua sinistra. Supponiamo anche che egli si sposti in una
posizione d alla sua destra. Cos, in analogia con quanto affermato
prima nel caso del tempo, si potrebbe sostenere che se e era alla
sua sinistra, continuer a essere alla sua sinistra anche in questa
nuova posizione. corretto questo parallelo? La risposta non pu che
essere negativa, se si tiene conto del fatto che nozioni come
essere alla sinistra o essere alla destra (come pure le altre
qualificazioni spaziali menzionate prima) dipendono in modo
essenziale dallorientamento e quindi dal punto di vista
dellosservatore. Se, trasferendosi in d, il soggetto avesse ruotato
il proprio corpo di 180 rispetto alla postura iniziale, allora
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levento e non sarebbe pi alla sua sinistra, ma alla sua destra.
Questo significa che nozioni simili non possono essere descritte
come relazioni a due posti fra posizioni nello spazio (quella
occupata da un oggetto o da un evento e quella occupata
dallosservatore), ma solo come relazioni a tre posti, uno dei quali
deve essere satura-to da una variabile il cui valore fissato dal
contesto e corrisponde al punto di vista del soggetto. Pertanto,
visto che destra e sinistra possono essere invertite a seconda del
punto di vista adottato, un effetto di questa situazione che il
valore di verit di enunciati come levento x alla sinistra
dellevento y soggetto ai mutamenti di punto di vista del parlante.
La conclusione di questa breve analisi dunque che il principio (5)
risulta semplice-mente mal formulato (o, per essere pi precisi,
incompleto), dal momento che non soddisfatto un requisito
essenziale: il riferimento al punto di vista del parlante.
Vice-versa, il principio (3) non soffre di questo tipo di
inadeguatezza, poich, per quanto riguarda il tempo, le cose stanno
ben diversamente. Se un evento x si gi verificato, e se
successivamente si verificato anche un evento y, allora un
enunciato come levento x prima dellevento y rimane vero quale che
sia la collocazione tempora-le del parlante. La nozione di punto di
vista non rilevante in questo caso. Al massimo, si potr sostenere
che un enunciato simile non asseribile prima che en-trambi gli
eventi x e y si siano verificati. Tuttavia, una volta che sia
asseribile, non c modo di modificarne il valore di verit invertendo
la relazione. Si potrebbe obiettare che ci vale di relazioni come
quelle espresse da termini come prima e dopo, per enunciare le
quali non appunto rilevante la collocazione tem-porale del soggetto
(a parte le limitazioni di asseribilit appena ricordate), ma che
non vale di concetti come quelli di passato, presente e futuro.
Infatti, come abbiamo gi avuto modo di sostenere, un evento che
adesso futuro potr fra poco risultare passa-to: anche qui, dunque,
sembra intervenire il punto di vista del soggetto. Tuttavia, facile
vedere che questo modo di rappresentare le cose non corretto. In
primo luogo si pu osservare che, nel caso di nozioni come quelle di
passato, presen-te e futuro, non appropriato parlare, in senso
stretto, di punto di vista. Infatti, ci che caratterizza un punto
di vista la possibilit di essere scelto, e dunque cambiato. Ma ci
non pu accadere nel caso del tempo, dal momento che lessere
passato, pre-sente o futuro di un evento (p. e. il fatto che ieri
ci sia stata uneclissi di sole e che questo sia dunque un evento
passato) non dipende dalladozione di una prospettiva liberamente
scelta. Tuttal pi sensato dire che nozioni di passato, presente e
futuro dipendono dal momento in cui si parla, e quindi da una certa
collocazione nel tempo. Ma questa collocazione, a differenza del
punto di vista, non liberamente modifica-bile. In secondo luogo,
come abbiamo gi constatato a proposito del principio (3), il ruolo
della collocazione temporale del soggetto sottoposto a severe
restrizioni (a differen-za da quanto accade nel caso dello spazio).
Se, adesso, un evento passato allora continuer a essere passato,
quale che sia il momento futuro in cui ci collocheremo. La ragione
di questa differenza fra spazio e tempo , ovviamente, che possiamo
muo-verci nello spazio ma non nel tempo, per lo meno nel senso che
non siamo liberi di rendere futuro un evento passato (rispetto a un
dato istante). Viceversa, siamo liberi
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(in una certa misura) di ascrivere alle cose o agli eventi
caratterizzazioni spaziali co-me destra/sinistra, davanti/dietro,
ecc., a seconda della prospettiva adottata. Questo punto pu essere
ulteriormente illustrato dal seguente esempio. Abbiamo appena
osservato che propriet spaziali come essere davanti o essere dietro
dipendono dallorientamento del soggetto e, in questo senso, non
sono permanenti. Questa variabilit pu essere ridotta attribuendo
agli oggetti qualche caratterizzazione spaziale intrinseca e usando
questa caratterizzazione per la localizzazione di altri og-getti.
Per esempio, possiamo parlare della piazza davanti alla chiesa in
modo relati-vamente stabile, indipendentemente dal nostro
orientamento, perch assumiamo che una chiesa abbia un davanti (la
facciata) e un retro, cosicch essere davanti o dietro la chiesa
significa, questa volta, essere localizzato rispetto a parti fisse
delledificio. Se per caso ci sono due piazze, una dal lato della
facciata e laltra da quello dellabside, allora una descrizione
definita come la piazza davanti alla chiesa desi-gner normalmente
la prima piazza, non la seconda. in questo senso che abbiamo
parlato della relativa stabilit di queste qualificazioni spaziali,
dove le parti di qualche oggetto prescelto sono usate come punti di
riferimento. Ma, anche cos, il parallelo con la direzionalit del
tempo non funziona, per il semplice motivo che tali qualifica-zioni
sono sempre revocabili. Si supponga, per esempio, che un turista si
trovi sulla piazza dalla parte dellabside e che, a un amico che gli
chiede dov la sua automobi-le, risponda: sulla piazza davanti alla
chiesa, intendendo la piazza dal lato della facciata. Si tratta,
naturalmente, di una risposta del tutto legittima, dato che egli
sta usando come punti di riferimento, in questo caso, delle
caratteristiche spaziali intrin-seche della chiesa. Ma supponiamo
che, due minuti dopo, mentre ancora nello stesso luogo e con lo
stesso orientamento, il nostro turista risponda in questo modo a
unaltra persona che gli fa la stessa domanda: sulla piazza dietro
alla chiesa (e-ventualmente accompagnando le sue parole con un
gesto). Ora, anche questa risposta del tutto giustificata, dal
momento che egli sta adesso sfruttando la sua collocazione rispetto
alla chiesa, che si frappone fra lui e lautomobile. Cos, due
localizzazioni spaziali apparentemente incongruenti (essere davanti
alla chiesa, o essere dietro) sono ascritte allautomobile dallo
stesso osservatore, senza che sia mutata la sua colloca-zione o il
suo orientamento. Ma naturalmente non c alcuna incongruenza reale,
per-ch, quando passa da una risposta allaltra, egli passa anche da
un sistema di riferi-mento a un altro. Ci che interessante,
rispetto al problema che stiamo discutendo, che una conver-sione
analoga non possibile nel caso del tempo. Se un evento e prima di
un altro evento f, non c alcuna variazione di sistema di
riferimento che permetta a un osser-vatore di dire che e viene dopo
f (a meno che presupponiamo che il tempo sia circola-re, il che per
lo meno discutibile). Ci equivale a dire, ancora una volta, che le
de-terminazioni temporali non hanno lo stesso grado di flessibilit
di quelle spaziali. La relativa stabilit delle determinazioni
temporali discrimina dunque il tempo dallo spazio, e questa
peculiarit pu contribuire a spiegare perch larticolazione del
tem-po nelle sue tre dimensioni fondamentali sia spesso codificata
attraverso opportuni meccanismi formali presenti nel sistema
grammaticale della lingua. Inoltre, il riferi-mento a queste
dimensioni temporali svolge un ruolo del tutto naturale nel
determina-
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re linformazione che si intende fornire con una data asserzione,
mentre non si po-trebbe dire lo stesso nel caso dello spazio. Per
cogliere questo punto chiediamoci per un attimo cosa accadrebbe se
litaliano possedesse un meccanismo di flessione verba-le
obbligatoria per esprimere nozioni spaziali come destra e sinistra,
davanti e dietro, sopra e sotto, o vicino e lontano, dal punto di
vista del parlante. Si consideri per e-sempio il seguente brano
preso a caso dalla prima pagina di Repubblica dell8 Di-cembre 1999:
(6) Il presidente Ciampi entrato nel palco donore alle sei meno
cinque. Il
pubblico della Scala lo ha salutato in piedi con un applauso. Le
luci si sono poi lievemente attenuate e nel silenzio che andava
coagulandosi un telefonino ha squillato. Mormorii di disappunto,
qualche risatina. Litaliano leggero di testa si fatto sentire prima
che Riccardo Muti alzasse la bacchetta alle sei in punto, e desse
via al Fidelio di Beethoven. [...]
Supponiamo che i verbi dellitaliano abbiano una flessione
obbligatoria per esprimere relazioni come lontano dal parlante e
vicino al parlante. In questo caso, il brano in questione dovrebbe
esprimere linformazione seguente: (7) Il presidente Ciampi entrato
nel palco donore alle sei meno cinque e il suo
ingresso avvenuto lontano dal (vicino al) parlante. Il pubblico
della Scala lo ha salutato in piedi con un applauso e questo saluto
avvenuto lontano dal (vicino al) parlante. Le luci si sono poi
lievemente attenuate e questo evento avvenuto lontano dal (vicino
al) parlante e nel silenzio che andava coagulandosi (evento che
avvenuto lontano dal (vicino al) parlante) un telefonino ha
squillato e lo squillo avvenuto lontano dal (vicino al) parlante,
ecc.
Se si mettono a confronto i due brani, colpisce il fatto che, al
contrario dellinformazione temporale, linformazione spaziale
contenuta nel secondo del tut-to irrilevante. Sapere che il testo
intende descrivere eventi che accadono nel passato, invece che nel
futuro, rispetto al tempo della locuzione (della scrittura)
ovviamente rilevante per capire ci che lo scrivente vuole
comunicare. Se egli avesse usato il tempo futuro, capiremmo che
intendeva esprimere una congettura pi o meno plausi-bile sulla
prima della Scala, dal momento che non possibile conoscere con
certezza il futuro. Il fatto che abbia usato il tempo passato
rivela invece che intende riportare eventi reali e non
semplicemente probabili. Daltra parte, linformazione spaziale
contenuta in (7) circa il fatto che questi eventi sono accaduti
vicino o lontano rispetto allo scrivente sembra solo rivelare che
lo scrivente in preda a una sorta di delirio egocentrico, dal
momento che si tratta di uninformazione priva di rilevanza per il
lettore. Unosservazione analoga varrebbe qualora il testo
riportasse, per ogni evento, se accade alla destra o alla sinistra
dello scrivente, oppure davanti o dietro lo scriven-te. E le cose
non cambierebbero neppure se venisse fornita per ogni evento
descritto linformazione circa la sua collocazione spaziale
relativamente a qualche altro punto
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dato. In alcuni casi, naturalmente, un informazione spaziale di
questo genere pu essere rilevante, come nel caso del seguente
discorso: (8) Ieri ho cercato di attraversare il campo minato. Sono
entrato dallangolo di
sud-est e mi sono diretto verso langolo opposto. Dopo tre metri
unesplosione avvenuta a sinistra, dopo cinque metri c stata
unesplosione a destra, dopo dieci metri c stata unaltra esplosione
a sinistra...
Il punto per che uninformazione di questo tipo relativa alla
posizione spaziale dellevento rispetto al parlante rilevante solo
in un numero ristretto di casi, preci-samente nel caso di testi che
descrivono eventi spazialmente contigui al parlante. Un meccanismo
di flessione verbale obbligatoria per esprimere nozioni spaziali di
questo genere costringerebbe invece il parlante a specificare
sempre ogni evento descritto rispetto a queste relazioni,
indipendentemente dal tipo di testo. Oltre a essere implau-sibile
per alcune relazioni spaziali (la luce alla prima della Scala si
attenuata a de-stra o a sinistra del parlante?), questo avrebbe
spesso leffetto di trasmettere una mas-sa di informazioni
completamente irrilevanti, come nel caso del testo (7). Lasimmetria
tra tempo e spazio riguardo alla flessione verbale pu dunque essere
spiegata nei termini di un principio pragmatico di rilevanza. Vale
la pena di osservare che questa asimmetria non un fatto accidentale
che carat-terizza la lingua italiana. In genere, lecito aspettarsi
che le lingue dotate di un mec-canismo di flessione verbale
obbligatoria per nozioni spaziali come quelle che ab-biamo appena
discusso dovrebbero essere assenti o comunque rare. Ed
effettivamen-te, Anderson e Keenan [1985] accennano allesistenza di
lingue (per esempio labaza, una lingua caucasica) che dispongono di
un sistema di prefissi verbali per indicare se il movimento
descritto dal verbo procede verso il parlante o in direzione
opposta. Es-si non menzionano per alcuna lingua con un sistema di
affissi verbali per distinzioni spaziali di questo tipo comparabile
a quello dei tempi; non menzionano cio alcuna lingua con un sistema
di affissi verbali spaziali che siano obbligatori e che inoltre si
applichino a ogni tipo di verbo. Infatti, nel caso dellabaza si
tratta di affissi che si applicano solo a certe classi di verbi e
comunque anche per queste classi sono opzio-nali. dunque di un
sistema abbastanza diverso dal sistema di flessione verbale per il
tempo. Quanto abbiamo asserito circa lobbligatoriet2 della
flessione temporale in molte famiglie di lingue non ovviamente
invalidato dallassenza di questo fenomeno in altre famiglie. Per
esempio, in cinese non esistono i tempi verbali, dal momento che
linformazione temporale dedotta dal contesto, oppure espressa da
avverbi di tem-po3. In effetti ci che intendevamo sottolineare solo
il fatto che, mentre in alcune lingue esiste un meccanismo di
flessione obbligatoria per il tempo, non esiste un si-
2 Questa obbligatoriet riguarda ovviamente solo gli enunciati
principali, dal momento che ci sono enunciati subordinati di forma
non finita. 3 Si veda per esempio Li e Thompson [1981].
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stema di flessione obbligatoria per lo spazio. 1.2 Il giardino
dei sentieri che si biforcano Le osservazioni del tutto intuitive
sullintrinseca direzionalit del tempo che abbiamo esposto poco fa
sono probabilmente alla base del successo che ha avuto, e che
conti-nua ad avere (anche fra gli studiosi di semantica), il modo
di rappresentazione che abbiamo introdotto prima: quello di una
retta orientata i cui punti raffigurano gli i-stanti che si
susseguono. Nel corso di questo lavoro non rinunceremo alla
semplicit e allefficacia didascalica di un tale modello, ma occorre
precisarne subito i limiti per evitare possibili fraintendimenti.
Ci sono anzitutto obiezioni di principio, come quelle avanzate per
esempio in Ber-gson [1889], fondate sullidea che rappresentazioni
topologiche di questo tipo sono fuorvianti proprio perch, assumendo
come modello le relazioni spaziali, cercano di dar conto della
successione in termini di simultaneit, e fanno quindi perdere di
vista lelemento dinamico del divenire temporale. Avremo modo di
riprendere in seguito questo problema, quando accenneremo
brevemente a due diversi paradigmi di ricerca che si sono imposti
nelle analisi pi recenti che la logica e la filosofia del
linguaggio hanno dedicato al problema del tempo. Per il momento,
invece opportuno soffer-marsi sui problemi di tipo pi strettamente
semantico, legati alle condizioni di verit degli enunciati, che la
rappresentazione ingenua di prima solleva. Per semplificare le
cose, immaginiamo di adottare una concezione discreta del tempo (in
base alla quale ogni istante ha un predecessore e un successore
immediato), e prendiamo un segmento dellasse temporale introdotto
poco fa, dove i trattini rap-presentano istanti di tempo:
x y Riprendendo (con qualche modifica) un classico esempio
aristotelico, consideriamo il seguente enunciato, emesso allistante
x: (9) Fra 24 ore si scatener una battaglia navale. Supponiamo
adesso che una battaglia navale cominci davvero allistante y, che
segue di 24 ore listante x. In queste condizioni, ci sembra del
tutto innocuo dire che lenunciato (9) vero a x, visto che
lenunciato in questione asserisce che un certo evento si verificher
allistante y del tal giorno: il che proprio ci che accade. Il
quadro si complica, per, se passiamo a considerare anche gli
istanti compresi fra x e y. Per gli stessi motivi di prima, in
ciascuno di questi istanti risulter vero qualsiasi enunciato che
asserisca che allistante y si scatener una battaglia navale.
Generaliz-zando questo ragionamento a tutti gli istanti che
precedono y, si pu concludere che
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se un certo evento si verifica, allora da sempre vero che si
sarebbe verificato. Al principio (4), che asseriva la persistenza
delle verit passate quando si procede ver-so il futuro (e che
abbiamo trovato del tutto intuitivo), andrebbe dunque aggiunto un
principio simmetrico, che asserisce la persistenza delle verit
future quando si proce-de verso il passato: (10) p PFp (se si d il
caso che p, allora si sempre dato il caso che si
sarebbe dato il caso che p). Nella Teodicea (I, 37), Leibniz
sottolinea che un principio come (10) deriva dalla natura stessa
della verit (in particolare dal principio di bivalenza) e che non
ci sono dunque motivi per respingerlo. Il suo sforzo, come vedremo
fra poco, sar dunque quello di renderlo compatibile con una visione
indeterministica del tempo. Altri filosofi hanno per ritenuto che
laccettazione di un principio come (10) ha ef-fetti estremamente
problematici da questo punto di vista. Il punto che, se gi vero a x
che la battaglia navale si verificher a y, allora dobbiamo
concludere che la batta-glia navale non solo si verifica, ma si
verifica inevitabilmente, dato che non c alcun modo di prevenirla
negli istanti collocati fra x e y: infatti, come si appena
constata-to, in ciascuno di questi istanti vero che a y ci sar una
battaglia navale. Come sottolinea il filosofo rinascimentale Pietro
de Rivo4, siccome non abbiamo po-tere sul passato (ad preteritum
non est potentia), e siccome, secondo il principio (10), se
qualcosa si verifica allora era gi vero nel passato che si sarebbe
verificato, ne consegue che il futuro risulta ineluttabile
(inimpedibile): essendo gi vero ieri che adesso in corso una
battaglia navale, questa battaglia doveva necessariamente aver
luogo. Ovviamente, la nozione di necessit rilevante qui non quella
logica, e nem-meno quella metafisica: va piuttosto intesa nel
senso, illustrato appunto da de Rivo, della ineluttabilit.
Ciononostante, la conclusione a cui siamo pervenuti non pu esse-re
accettata cos pacificamente. Per coloro che ritengono che il
principio (10) conduca a esiti deterministici si pone dunque il
problema di costruire una semantica temporale che lo falsifichi. Ma
la cosa non cos semplice. Basta una semplice riflessione per
convincersi che, una volta date le condizioni di verit classiche
per gli operatori temporali P e F (condizioni naturali nel caso si
assuma la linearit del tempo), il principio (10) allora la
conse-guenza della linearit del tempo e di unassunzione della
logica classica, apparente-mente innocua, e cio il principio di
bivalenza: (11) Dato un qualsiasi istante t, ogni asserzione
(emessa felicemente in
quellistante) risulta vera o falsa in t. Lidea che a ogni punto
della retta del tempo (cio a ogni istante) corrisponda un certo
insieme di eventi o situazioni (ossia lo stato del mondo a
quellistante), e che la verit o falsit di unasserzione emessa a un
certo istante t possa essere determinata
4 Si veda in proposito Prior [1967: 117].
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da ci che si verifica a un altro istante s, eventualmente
successivo a t. Si pensi, per analogia, al caso dello spazio.
Sembra non ci siano problemi ad ammettere che la ve-rit di
unasserzione come: (12) A 24 chilometri da qui in corso una
battaglia navale del tutto semplicemente determinata da ci che
accade in un certo punto dello spa-zio che non coincide con il
luogo di emissione dellasserzione. Allo stesso modo, a-dottando la
rappresentazione lineare del tempo suona del tutto naturale
ammettere che la verit di unasserzione come (9) determinata da ci
che accade a 24 ore dal tem-po di emissione. Altrimenti detto, il
principio di bivalenza enunciato prima sembra essere una
conseguenza naturale dellassunzione che la verit di unasserzione,
ri-spetto a un certo punto (dello spazio o del tempo), sia
semplicemente una funzione di ci che accade in un altro punto
(dello spazio o del tempo). Rinunciare al principio (10) comporta
dunque una messa in discussione della rappre-sentazione lineare del
tempo o del principio di bivalenza. Questa seconda strada stata
imboccata, negli anni Venti, dal logico polacco J. Luka-siewicz,
che a sua volta si richiama allo stesso Aristotele. Per evitare
lesito fatalista che abbiamo appena visto, si tratta di respingere
lidea che il futuro sia semplicemen-te simmetrico al passato, e che
quindi il principio (10) vada messo sullo stesso piano del
principio (4). Per i sostenitori di questa ipotesi, la differenza
fondamentale che intercorre fra enunciati al passato ed enunciati
al futuro che mentre possiamo appel-larci ai fatti per determinare
la verit (o falsit) dei primi, lo stesso non si pu dire dei
secondi: non adesso un fatto che x far la tal cosa, n adesso un
fatto che non la far; altrimenti detto, lasserzione che x far la
tal cosa non , adesso, vera, e non , adesso, falsa (Prior [1957:
87]). Ne consegue che nel caso degli enunciati al futuro (o per lo
meno di quelli che asseriscono loccorrenza di stati di cose
contingenti) il principio di bivalenza va respinto, e che va loro
applicato un terzo valore di verit, quello indeterminato. Grazie a
questo accorgimento, il principio (10) viene invalidato (per il
semplice motivo che lantecedente pu risultare vero e il conseguente
indeter-minato o falso, a seconda della semantica adottata), e
possiamo quindi mantenere, se lo vogliamo, la rappresentazione
lineare del tempo. Ci sono vari motivi che possono rendere
problematica ladozione di una strategia di questo genere nellambito
della semantica delle lingue naturali. Anzitutto la presunta
dissimmetria fra passato e futuro si basa su dati linguistici
piuttosto labili. vero che, in lingue come linglese, mentre il
passato espresso dalla semplice flessione verba-le, il futuro fa
intervenire operatori come shall o will, che sembrano introdurre
lidea di una dimensione modale, a differenza da quanto accade per
il passato. Daltra parte, questo non vale di lingue come litaliano,
dove passato e futuro sono espressi dallo stesso tipo di strumento
morfologico. Ma quello che conta soprattutto il fatto che, dal
punto di vista intuitivo, del tutto comune parlare della verit o
falsi-t di enunciati al futuro: cos, se dico che domani ci sar una
battaglia navale, e se domani non ci sar una battaglia navale, non
avr motivo di protestare se qualcuno mi obietter che ho
semplicemente detto il falso. Lunica ragione per sostenere la
non
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valutabilit degli enunciati al futuro che, al momento in cui li
pronunciamo, non abbiamo a disposizione strumenti per accertarne la
verit o falsit (la sola verifica possibile data dalla massima:
aspetta e guarda). Ma questa ovviamente una limita-zione di natura
epistemica che non tocca la verit stessa di quegli enunciati. Di
con-seguenza, anche per quanto riguarda la soluzione del problema
del determinismo, le cose sono pi complicate di quanto creda il
sostenitore di una semantica a tre (o pi) valori di verit: se
lindeterminatezza del valore di verit di un enunciato al futuro
giustificata solo dai nostri limiti conoscitivi, allora niente
impedisce di pensare ci che si verificher si verificher
ineluttabilmente, perch privo alternative, anche se al momento noi
non sappiamo cosa si verificher. In alternativa alla soluzione
adottata da Lukasiewicz, si pu sostenere che alla base di queste
difficolt non sta il principio (10), e neppure il principio di
bivalenza in quanto tale, ma la rappresentazione lineare del tempo
suggerita prima. Questa strategia ri-conducibile a Leibniz, secondo
il quale la nozione classica di verit (e dunque il prin-cipio di
bivalenza) va preservata, ed quindi sulla natura modale delle
nozioni tem-porali che bisogna concentrarsi. Lidea di fondo che se
ripercorriamo il tempo a ri-troso, e cio verso il passato, c un
percorso obbligato da seguire (nel senso che, pre-so un qualsiasi
punto di osservazione x, ci che viene prima di x gi determinato),
ma se ci muoviamo nella direzione opposta ci troviamo di fronte non
a un unico per-corso, ma una pluralit di percorsi alternativi, per
la semplice ragione che ci che viene dopo x non ancora determinato.
Riprendendo le discussioni degli antichi, Leibniz ribadisce che
sulle situazioni passate non possibile agire: sarebbe una
con-traddizione; sullavvenire, invece, possibile produrre qualche
effetto (Teodicea I, 170). a questa linea di pensiero che si
ricollega idealmente Borges quando, in un celebre racconto, associa
il futuro allimmagine della biforcazione nel tempo: Si creano cos
diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si
biforcano. (Finzioni, p. 99.) Anche sulla base di alcune
indicazioni fornite da Kripke, in Prior [1967] si avvia una
riflessione sugli effetti che ladozione di una rappresentazione
ramificata del tempo pu avere dal punto di vista della teoria
logica e della semantica formale. Il modello semantico adesso
costituito da una linea senza inizio e senza fine che pu
ramifi-carsi da sinistra a destra (cio dal passato al futuro), ma
non in senso inverso; cosic-ch da un qualsiasi punto c solo un
percorso a sinistra (nel passato) ma eventual-mente una molteplicit
di percorsi a destra (nel futuro). Consideriamo dunque un segmento
di una siffatta struttura ramificata:
y
Q
S
x
z 11
-
12
Siano dunque x, y e z istanti temporali, tali che y e z sono
separati da x dalla stessa distanza (nel nostro esempio, la
distanza di 24 ore) e che a y, ma non a z, si verifica una
battaglia navale. Se adesso riconsideriamo lenunciato (9), possiamo
ragionare in questo modo. A partire da x si diramano due storie o
decorsi possibili5, e cio S, cui appartiene y, e Q, cui appartiene
z. La valutazione di (9) allistante x deve essere rela-tivizzata a
questi diversi decorsi: avremo dunque che (9) vero allistante x
rispetto a S (perch c un istante, a 24 ore di distanza da x, in cui
si verifica levento in que-stione) ma falso, sempre allistante x,
rispetto a Q (perch non c alcun istante con i requisiti richiesti).
Inoltre, in questa prospettiva teorica un enunciato
necessaria-mente vero a un dato istante se vero rispetto a tutti i
decorsi che contengono quellistante. Supponendo adesso che S sia il
decorso che si effettivamente realizza-to (cio il mondo attuale),
risulter dunque che (9) vero a x rispetto a S (e dunque, in un
certo senso, vero tout court, visto che S appunto il decorso
reale), senza che per risulti necessariamente vero, poich (9) non
vero a x rispetto a tutti i decorsi che contengono x (cio S e Q,
nel nostro esempio). In conclusione, con questa strate-gia si
riesce a rendere conto del fatto che un enunciato al futuro pu
essere vero a un certo istante senza per questo essere
necessariamente vero. Qualche riflessione in proposito certo
opportuna. Anzitutto va rilevato che in questottica il principio
(10) non viene falsificato, ma semplicemente reso innocuo: in
strutture semantiche di questo tipo risulta vero che, se adesso si
d il caso che p, allo-ra si sempre dato il caso che sarebbe stato
il caso che p; ma questo non significa che p si sarebbe verificato
necessariamente, per lo meno nel senso della mancanza di
al-ternative. Come si detto, lidea risale, ancora una volta, a
Leibniz, il quale distin-gueva fra necessit ipotetica e necessit
assoluta (Teodicea, II, 37). Il fatto che fos-se gi vero ieri un
enunciato al futuro asserente che adesso avrei scritto rende in un
certo qual senso necessario il mio scrivere attuale: ma appunto,
sotto lipotesi che fosse gi vero ieri che adesso avrei scritto, e
quindi sotto lipotesi che si faccia riferi-mento a un particolare
decorso di eventi (quello reale). In questo decorso le cose non
possono che andare cos. Ma per dire che vanno necessariamente cos
in assoluto, sostiene Leibniz, occorre tener conto di ci che accade
nella infinit di mondi possi-bili (Teodicea, 42), e non solo di ci
che accade nel mondo reale. Siccome ci sono certi mondi o decorsi
possibili in cui adesso io non sto scrivendo, non necessario, in
assoluto, che io scriva. Non si pu tuttavia fare a meno di notare
che, se ci si concentra sul decorso reale (cio sulla storia che
effettivamente si attualizza nel mondo), il problema del
deter-minismo torna a comparire in una versione per cos dire
locale. Supponiamo infatti che, come nell'esempio di prima, un
certo evento e (la battaglia navale) si verifichi a un istante y
appartenente al decorso reale S. Si prenda un qualsiasi istante x
che ap-partenga anch'esso al decorso reale e che preceda y: siccome
vero a x che l'evento e si verificher, ne dobbiamo concludere che,
in questo decorso, l'evento e non pu che
5 Formalmente, in questo modello una storia possibile pu essere
definita come una catena (cio un insieme ordinato linearmente)
massimale di istanti. Per le opportune precisazioni, si vedano
Bonomi [1980], Thomason [1984] e -hrstrm e Hasle [1995]. Una rapida
presentazione di questo tipo di semantica contenuta nella scheda n.
3.
-
13
verificarsi, nel senso, appunto, che sempre stato vero che si
sarebbe verificato. ( lidea leibniziana della necessit ipotetica,
cio interna a una storia possibile.) Ma dal momento che S appunto
il decorso reale, di poco conforto constatare che in altre storie
possibili le cose avrebbero potuto andare diversamente. Quello che
conta , do-po tutto, ci che accade nella realt. E se nel decorso
che di fatto si realizza gi vero adesso che qualcosa si verificher,
allora, per riprendere l'espressione di Pietro de Ri-vo, questo
qualcosa di fatto ineluttabile. Cos, se mi ponessi dal punto di
vista di un osservatore che fosse in grado di dominare tutti i
decorsi possibili e sapesse anche quale di questi si avvera, il
riferimento a ci che accade nei mondi diversi da quello reale
risulterebbe inefficace ai fini di una confutazione del
determinismo. Questa constatazione rappresenta un elemento di
difficolt per chi ammette lesistenza di un essere onnisciente. Un
essere simile, infatti, avendo accesso agli e-venti futuri sarebbe
in grado di esibire sin dora le ragioni che rendono vera adesso
lasserzione circa il futuro: il che fa di questa verit futura una
verit ineluttabile, in-dipendentemente dal fatto che altri esiti
siano logicamente possibili. E siccome uno degli scopi fondamentali
che Leibniz aveva assegnato alla concezione ramificata del tempo
era proprio quello di rendere la libert dellagire umano compatibile
con lonniscienza divina, non sembra che lobiettivo sia stato
raggiunto. Tuttavia, la rappresentazione ramificata del tempo pu
essere utile per rendere conto dellidea di un futuro indeterminato
da un punto di vista epistemico. Per un soggetto collocato in un
certo istante temporale t che non abbia accesso agli istanti futuri
(mentre, almeno di principio, ha accesso a quelli passati, nel
senso che pu fare rife-rimento a eventi gi accaduti) non esistono
strumenti che gli permettano di accertare, in t, la verit o falsit
di una qualsiasi asserzione concernente eventi che devono an-cora
accadere. Sotto questo profilo, ci che possibile (dal punto di
vista logico, op-pure fisico, ecc.) non pu essere escluso sulla
base di ci che gi accertabile a t, il che giustifica la molteplicit
dei decorsi che si originano a partire da t, come ci sug-gerisce
appunto la rappresentazione ramificata del tempo. Analogamente a
quanto abbiamo gi constatato nel caso della semantica trivalente,
sembra dunque che, anche in questo caso, la giustificazione di un
simile modello teorico vada cercata in motiva-zioni di natura
epistemica, anzich nella possibilit di evitare conclusioni
determini-stiche (come pensava invece Leibniz). Possiamo allora
chiederci: una preoccupazione simile davvero legittima nellambito
di una semantica il cui scopo fondamentale lattribuzione di
opportune condizioni di verit agli enunciati delle lingue naturali?
Torniamo a considerare il modello di partenza. Supponiamo dunque
che linsieme degli istanti sia ordinato linearmente, e che le
condizioni di verit per il futuro siano quelle consuete: (13) Fp
vero allistante t se e solo se c un istante t' successivo a t tale
che p
vero a t'. A ben vedere, nulla, in (13), impone che le
condizioni che rendono vero un enunciato (ossia loccorrenza nel
futuro di un evento di un certo tipo, p. e. una battaglia navale)
debbano essere gi accessibili nel momento di valutazione t. Se cos
fosse, se cio
-
14
fosse gi decidibile, a t, che lenunciato vero (o falso), allora
ne conseguirebbe ef-fettivamente lineluttabilit dellevento in
questione. Ma (13) perfettamente compa-tibile con lidea che le
condizioni di verit del futuro siano riconducibili alla massi-ma:
aspetta e guarda. Proprio perch non ha un carattere costruttivo,
una condizio-ne di verit come (13) non richiede che lesistenza del
fatto rilevante (p. e. la battaglia navale), che renderebbe vero
lenunciato, sia gi decidibile a t, il che renderebbe lenunciato
verificabile (oltre che vero) a t. Ma a noi interessa la nozione di
verit, non di verificabilit (a un dato istante). E quindi pu darsi
benissimo che lenunciato sia vero a t anche se le circostanze che
lo rendono vero potranno essere esibite solo in qualche istante
successivo a t. Occorre insomma distinguere fra le condizioni di
verit di un enunciato e le sue condizioni di accertabilit: solo se
(13) fosse inteso impli-care queste ultime che scatterebbe il
problema del determinismo, perch dovrebbe essere gi determinabile a
t che levento rilevante si verificher. In realt, in uno schema di
condizioni di verit come (13), il presente usato nel predicato vero
allistante t non a sua volta da intendersi come dotato di una
valenza temporale, ma va piuttosto assimilato a quegli usi del
presente che riscontriamo in aritmetica quando per esempio diciamo
che la somma di 7 e 5 12. Lidea che la formulazione di condizioni
come (13) allinterno di una teoria semantica non dipenda da una
partico-lare collocazione temporale, e che idealmente si possa fare
riferimento a quelle entit teoriche che sono gli istanti temporali,
e agli eventi che li caratterizzano, a prescinde-re dalla loro
collocazione rispetto a t. E a pensarci bene ci ha una sua
giustificazio-ne, dal momento che sembra riflettere uno stato di
cose innegabile, e cio che le cir-costanze che rendono vero un
enunciato a t non necessariamente sono simultanee a t, cosicch pu
risultare troppo restrittivo limitarsi al dominio degli eventi
occorrenti a t o prima di t. Come conclusione provvisoria di queste
riflessioni, potremmo dunque suggerire che il modello lineare (e
bivalente) da un lato e la semantica trivalente e il modello a
struttura ramificata dallaltro sembrano soddisfare esigenze fra
loro diverse, a secon-da che si assuma come fondamentale il
concetto di condizioni di verit o quello (pi sensibile a
considerazioni di natura epistemica) di condizioni di asseribilit.
La scelta delluno o dellaltro modello pu dipendere sia da ragioni
filosofiche, sia da ragioni interne alla teoria semantica. Nei
prossimi capitoli ci asterremo dal prendere posizio-ne, e per puri
motivi di semplicit espositiva ci limiteremo ad assumere il punto
di vista corrente in semantica, in cui si assume sia la bivalenza
sia la linearit del tempo. 1.3 Due tipi di concetti temporali Varie
nozioni temporali sono espresse da termini indicali, la cui
denotazione dipende dal contesto di emissione dellenunciato. Usata
in un certo contesto, unespressione come ora (o domani) designer un
certo intervallo temporale, mentre potr desi-gnarne un altro in un
diverso contesto. In genere, le espressioni indicali (di cui il
lin-guaggio fa un uso sistematico) presuppongono in modo essenziale
il riferimento alla collocazione temporale del parlante. Ed proprio
a questa classe di espressioni che appartengono quei particolari
morfemi che chiamiamo tempi verbali. Si riconsideri
-
15
per esempio lenunciato (1): (1) Leo scrisse un libro sulla
patafisica. immediato constatare che (1) pu essere falso a un
momento t (quando per esempio Leo ancora in fasce) e vero a un
successivo momento s, quando il libro in questione ormai un testo
classico della critica letteraria. Questa variabilit del valore di
verit dellenunciato determinata dal fatto che un evento che ora
futuro (e, di conse-guenza, non ancora passato) pu in seguito
essere passato (e, di conseguenza, non pi futuro). Essere passato,
presente o futuro sono propriet transitorie degli eventi, ed da
questa variabilit che dipende la variabilit del valore di verit
degli enunciati. Se vogliamo valori di verit permanenti, dobbiamo
dunque rivolgerci ad altri tipi di pro-priet e relazioni temporali.
Una distinzione che rimasta fondamentale, da questo punto di vista,
quella intro-dotta da McTaggart in un celebre passo del suo libro
The nature of existence:
Le posizioni nel tempo, cos come questo ci appare prima facie,
si distinguono in due modi. Ogni posizione Prima di certe altre
posizioni e Dopo altre posizioni ancora. [...] In secondo luogo,
ogni posizione Passata, Presente o Futura. Le distinzioni della
prima classe sono permanenti, mentre quelle della seconda non lo
sono. [...] Chiamer A-serie quella serie di posizioni che,
attraverso il passato vicino, passa dal passato lontano al
presente, e quindi dal presente al futuro lontano attraverso il
futuro vicino. Chiamer invece B-serie la serie di posizioni che
passa dal prima al dopo, o conversamente. (McTaggart [1927:
9-10])
Pertanto, rispetto a una A-serie, un evento pu essere futuro a
un tempo t, presente a un successivo tempo t' e passato a un
ulteriore tempo t", mentre una B-serie si fonda su relazioni
permanenti quali precedere (seguire) o essere simultaneo. Come
abbia-mo appena visto, attribuire a un evento la propriet di essere
passato (o futuro, o pre-sente: cio una qualsiasi A-propriet) pu
rendere un enunciato falso ieri e vero oggi. Ma questa variabilit
dei valori di verit viene meno nel caso delle B-propriet: per
esempio, se lenunciato che asserisce che un evento e precede un
altro evento f, o un tempo t, vero (o falso) in una data occasione,
allora vero (o falso) in ogni altra oc-casione. Dal punto di vista
linguistico, la distinzione di McTaggart richiama dunque
unopposizione ben pi generale, e cio quella fra espressioni
indicali, la cui denota-zione (come abbiamo ricordato poco fa)
dipende dal contesto di emissione, ed espres-sioni la cui
denotazione invece data una volta per tutte, grazie alle consuete
regole semantiche. A differenza di un avverbiale indicale come
oggi, che denota giorni diversi a seconda del giorno in cui viene
usato, unespressione-data come il 20 mag-gio 1997 denota
univocamente, a prescindere dal contesto di emissione, un
determi-nato intervallo temporale. Analogamente, quando dobbiamo
parlare di relazioni tem-porali fra eventi, abbiamo a disposizione
possibilit diverse. Possiamo usare B-espressioni (nel senso di
McTaggart) come prima di, per dire per esempio:
-
16
(14) La battaglia di Stalingrado prima dello sbarco in
Normandia. In casi del genere, se vero, lenunciato vero una volta
per tutte, visto che la rela-zione di precedenza temporale
attribuita ai due eventi in questione stabile rispetto allo
scorrere del tempo: che la battaglia di Stalingrado preceda lo
sbarco in Norman-dia vale oggi esattamente come varr domani. Quine
parla, in questo caso, di enun-ciati eterni, nel senso appunto che
il loro valore di verit non soggetto a variazio-ni a seconda delle
circostanze in cui sono proferiti. Ed interessante notare che in
(14) il morfema del tempo presente in un certo senso inessenziale.
Questo enuncia-to, infatti, per esempio immediatamente traducibile
nel linguaggio della teoria degli insiemi, in cui al verbo essere
corrisponde il consueto simbolo dellappartenenza, privo di
qualsiasi caratterizzazione temporale. Supponendo che A e B
denotino rispettivamente la battaglia di Stalingrado e lo sbarco in
Normandia, e che PRIMA denoti la relazione in questione (cio
linsieme delle coppie ordinate tali che x precede y nellasse del
tempo), allenunciato (14) corrisponderebbe allora qualcosa come:
(15) PRIMA che esprime appunto una relazione atemporale fra eventi.
Daltra parte, abbiamo visto che nel caso di enunciati come (1), i
tempi verbali occor-rono invece in modo essenziale, poich grazie a
loro che gli eventi vengono qualifi-cati come passati, presenti o
futuri. Il rapporto fra queste A-propriet (nel senso visto prima) e
la natura indicale dei tempi verbali evidente. Ci troviamo dunque
di fronte a due paradigmi diversi di nozioni temporali,
esemplificati rispettivamente da rela-zioni stabili - come quelle
in espresse in (14) e (15) -, oppure da propriet variabili,
associate a espressioni indicali quali p. e. il tempo verbale in
(1). A partire da McTaggart, un problema che stato spesso dibattuto
riguarda appunto le relazioni intercorrenti fra questi due
paradigmi, e in particolare la riducibilit delluno a favore
dellaltro. Fino a tempi recenti, nella logica moderna la posizione
predominante sta-ta quella dei cosiddetti atemporalisti, i cui
principi teorici fondamentali, nella rico-struzione fatta da Prior
[1957], portano alla contestazione di due tesi che erano invece
scontate per i logici antichi e medievali: (a) le distinzioni
temporali espresse dai verbi sono comunque meritevoli di una
speci-fica indagine logica; (b) ci che vero in un dato momento pu
essere falso in un altro6.
6 La formulazione di questo punto merita qualche precisazione.
(b) infatti interpretabile in almeno due modi diversi. Pu
significare che l'enunciato in quanto tale (e cio come espressione
linguistica) ha eventualmente valori di verit diversi in momenti
diversi, oppure che la proposizione espressa dall'enunciato in un
certo contesto ha eventualmente valori di verit diversi in momenti
diversi. Perfino fra quelli che Prior considera atemporalisti pochi
respingerebbero (b) nella seconda delle due interpretazioni. Lo
possono fare, al massimo, coloro che equiparano un enunciato come
Piove a un enunciato del tipo Piove all'ora tal dei tali. Ma, come
vedremo, Frege (e in definitiva lo stesso Russell) accetta l'idea
che un enunciato in quanto tale possa avere valori di verit diversi
in momenti diversi. Ma se questo avviene, perch un enunciato pu
esprimere proposi-zioni diverse in momenti diversi. D'altro lato,
per Frege una proposizione (intesa come un pensiero) se vera (o
falsa), lo per sempre, e quindi non c' variazione di valore di
verit di una proposizione in tempi diversi.
-
17
Il nesso che intercorre fra queste due tesi dovrebbe essere
chiaro alla luce della di-scussione precedente: se gli enunciati,
per essere trattabili logicamente, devono essere determinatamente
veri o falsi, allora la tesi (b) va respinta; ma in questo caso
vanno eliminate dal linguaggio, attraverso opportune traduzioni,
proprio quelle espressioni che causano lapparente variabilit dei
valori di verit, e cio i tempi verbali. E quindi va respinta anche
la tesi (a). Abbiamo gi avuto modo di ricordare unaffermazione di
Quine molto significativa da questo punto di vista: i tempi verbali
sono solo un acci-dente della grammatica per il quale non dobbiamo
avere troppa indulgenza. In una notazione canonica essi vanno
dunque sostituiti con termini temporalmente neu-trali quali le date
e le espressioni denotanti B-relazioni stabili, come per esempio
accade passando da (14) a (15). In questo modo avremo sempre e solo
a che fare con enunciati eterni. Una enunciazione molto chiara di
questo modo di vedere , come ricorda Prior, quel-la fornita da
Russell7:
Il linguaggio ordinario impiega, per convenienza, molte parole
il cui significato varia con il contesto o con il tempo in cui
viene impiegato; cos enunciati che presentano tali parole prima di
diventare non ambigui devono essere corredati di dati ulteriori.
[...] Ma ci non significa forse introdurre in logica le
manchevolezze del linguaggio comune? Uno degli obiettivi cui
bisogna tendere nellusare i simboli quello di renderli liberi dalle
ambiguit del linguaggio ordinario. Quando qualcuno ci dice La
signora Brown non in casa conosciamo il tempo in cui la frase viene
detta e perci sappiamo che co-sa significa. Ma al fine di esprimere
esplicitamente la totalit di ci che si intende dire necessario
aggiungere la data e quindi lenunciato non pi variabile ma sempre
vero o sempre falso.
Lidea dunque che gli enunciati contenenti espressioni indicali
(e in particolare tempi verbali) vadano trattati nei termini di
opportune parafrasi con indicazioni espli-cite di tempi e luoghi.
Stando cos le cose, proviamo a chiederci quali sono le conse-guenze
della strategia atemporalista, secondo la quale gli enunciati
contenenti A-espressioni sono in realt modi impropri e incompleti
di esprimere ci che invece espresso compiutamente da enunciati
contenenti parole non ambigue, cio date e termini relazionali come
prima e dopo. Come abbiamo visto, in base a questa strategia un
enunciato come: (16) Leo ha dato lesame pronunciato alle 13.45 del
21 maggio 1997, non altro che una forma ellittica per qualcosa
come: (17) PRIMA
Per quanto ci dato di capire, secondo Prior un temporalista
impegnato a sostenere che non solo gli enunciati in quan-to tali,
ma anche le proposizioni che essi esprimono possono ricevere valori
di verit diversi in momenti diversi. Il che spiega perch autori
nella tradizione di Frege siano annoverati fra gli atemporalisti. 7
In una recensione ubblicata su Mind nel 1906. Vedi Prior [1957:
110].
-
18
Alla base dellassimilazione di (16) a (17) ovviamente il fatto
che il verificarsi dellevento in questione (cio lesame di Leo)
prima delle 13.45 del 21 maggio 1997 una condizione necessaria per
la verit di entrambe le occorrenze degli enunciati. anche una
condizione sufficiente? La risposta positiva nel caso di (17),
poich nes-suna condizione aggiuntiva richiesta per la verit di
questo enunciato, che non e-sprime alcuna nessuna connessione fra
il tempo in cui lenunciato viene valutato e il tempo in cui accade
levento descritto. Ma le cose stanno diversamente nel caso di (16),
la cui verit comporta unulteriore condizione, e cio che levento
descritto (lesame di Leo) abbia luogo prima del tempo di
proferimento (e di valutazione) dellenunciato. Intuitivamente
parlando, la condizione richiesta per la verit di (16) non solo che
lesame di Leo abbia effettivamente luogo prima delle 13.45 del 21
maggio 1997, ma anche che abbia luogo prima del momento attuale.
questo requi-sito aggiuntivo che rende problematico (17) - o
qualsiasi altro enunciato contenente una descrizione temporale non
indicale - come parafrasi di (16). Questa ovvia differenza fra (16)
e (17) ha rilevanti conseguenze dal punto di vista semantico.
Infatti, facile vedere che i due enunciati non hanno le stesse
propriet inferenziali, come dimostra il fatto che da (18) Chiunque
abbia dato lesame ha ricevuto un premio e da (16) si pu inferire
(19) Leo ha ricevuto un premio mentre questultimo enunciato non pu
semplicemente essere inferito da (18) e da (17), perch questo
secondo enunciato, che si limita ad asserire che levento in
que-stione viene prima di una certa data, non in grado di darci
linformazione (cruciale ai fini dellinferenza) che quellevento si
gi verificato al momento della locuzione. Ovviamente, il
sostenitore di un approccio atemporalista obietterebbe che anche
(18) va opportunamente parafrasato in qualcosa come: (20) Per ogni
persona x: se
PRIMA, allora PRIMA. e cio che, presa una qualsiasi persona x,
se x ha dato lesame prima delle 13.45 del 21 maggio 1997, allora x
ha ricevuto un premio prima delle 13.45 del 21 maggio 1997. Ma da
(20) e da (17) potremmo solo inferire che lassegnazione del premio
a Leo un evento che si situa prima delle 13.45 del 21 maggio 1997 e
non che gi accadu-to. In breve, quello che verrebbe perduto, in
questa traduzione in un linguaggio di da-te e di relazioni di
precedenza, proprio ci che pi peculiare dei tempi verbali: e cio la
capacit di esprimere asserzioni che tengano conto del
posizionamento nel tempo.
-
19
1.4 Contesti e condizioni di verit Abbiamo appena constatata
linadeguatezza di un trattamento che si limiti a conside-rare gli
enunciati contenenti tempi verbali (e pi in generale espressioni
indicali di tempo) come semplici forme ellittiche di enunciati in
cui figurano solo date esplicite e relazioni stabili di precedenza,
successione e simultaneit. Il problema fondamenta-le che in questo
modo non si rende giustizia, a livello semantico, della specificit
del funzionamento dei tempi verbali e, in genere, delle espressioni
indicali. Ci che si perde di vista, e di cui si dovrebbe invece
rendere conto, in genere la dipendenza funzionale delle condizioni
di verit di un enunciato con espressioni indicali dal con-testo di
emissione di questo enunciato: una dipendenza che, nel caso dei
tempi verba-li, ottenuta attraverso strumenti grammaticali di
notevole sistematicit e di una certa raffinatezza formale.
-
21
Scheda n. 1
Semantica e condizioni di verit
Lidea che esista un nesso profondo fra il significato degli
enunciati e le loro condi-zioni di verit rappresenta uno dei
cardini attorno a cui si sviluppata buona parte delle riflessioni
della logica e della filosofia del linguaggio di impostazione
analitica. Un utile punto di riferimento rappresentato da alcune
proposizioni del Tractatus di Wittgenstein:
Comprendere una proposizione vuol dire sapere che accada se essa
vera. [Prop. 4024.] [...] Invece di: questa proposizione ha questo
e questaltro senso, si pu semplicemente dire: questa proposizione
rappresenta questa e questaltra situazione. [Prop. 4.031.] [...]
Per poter dire p vera (o falsa), devo aver determinato in che
circostanze io chiamo vera p, determinando cos il senso della
proposizione.
Secondo questo punto di vista, un enunciato dichiarativo (come
p. e. Leo sta corren-do) ha eminentemente lo scopo di descrivere
uno stato di cose: nel caso questo stato di cose sia parte della
realt, lenunciato sar vero, in caso contrario sar falso. Per-tanto,
comprendere un enunciato equivale a saper distinguere in quali
circostanze lenunciato descrive correttamente la realt, e cio, pi
semplicemente, in quali situa-zioni lenunciato risulta vero e in
quali risulta falso. in questo senso che si identifi-ca il
significato di un enunciato con le sue condizioni di verit. Cos,
nel nostro e-sempio, afferrare il significato di Leo sta correndo
equivale, idealmente, alla capa-cit di dire per ogni situazione
possibile s con la quale fossimo messi a confronto: s, alla luce
della situazione s lenunciato vero; oppure: no, lenunciato falso.
Sarebbe infatti per lo meno bizzarro sostenere che io conosco il
significato dellenunciato Leo sta correndo se, posto di fronte a
una situazione in cui Leo sta visibilmente scrivendo una lettera,
seduto alla propria scrivania, io affermassi che quellenunciato
vero. Prima di passare agli sviluppi di questa idea dovuti al
logico polacco A. Tarski, due precisazioni risultano opportune.
Anzitutto va notato che questo modo di collegare il significato di
un enunciato alle sue condizioni di verit non comporta, ovviamente,
che per conoscere il significato di un enunciato E si debba sapere
se, di fatto, E vero o falso. Per esempio, molto probabile che io
non sia in grado di dire se un enunciato come A mezzogiorno del 2
agosto 1810 i gatti vivi erano in numero dispari, e che non sia
neanche in grado di indicare un metodo pratico per stabilirne la
verit1. Quel-lo che conta, per, che di principio sono in grado di
discriminare, almeno mental-mente, i due tipi di situazioni che
renderebbero rispettivamente vero, o falso, quellenunciato. In
secondo luogo, va notato che unaltra caratteristica di questo
orientamento teorico consiste nel fatto che, proprio perch si parla
non della semplice verit o falsit di un enunciato, ma delle
circostanze nelle quali esso sarebbe vero o falso, nel definire
il
1 Cfr. Casalegno [1997: 11 - 12].
-
22
concetto di condizioni di verit non si fa riferimento a un unico
mondo o stato di cose, ma a una pluralit di mondi o stati di cose
possibili. Nella prossima scheda si cercher di illustrare come
questo requisito sia soddisfatto nelle cosiddette semanti-che
intensionali. Per il momento, occupiamoci per di un altro problema.
Anche ammettendo che la definizione di significato in termini di
condizioni di verit che abbiamo appena intro-dotto risulti
intuitivamente chiara (cosa che non tutti i filosofi sono disposti
ad am-mettere), rimane comunque il fatto che ci che ci serve una
definizione rigorosa di verit, pena la vaghezza della nostra
semantica (il cui ruolo essenziale appunto lattribuzione di
opportune condizioni di verit agli enunciati). Come si gi
accen-nato, grazie ai lavori di Tarski che, negli anni Trenta,
prende corpo lidea di uno studio formale dei meccanismi di
interpretazione del linguaggio. La convinzione di Tarski era che
uno studio del genere potesse applicarsi esclusivamente alle lingue
ar-tificiali (come p. e. quella della teoria delle classi), e che
le lingue naturali non si pre-stassero a questo tipo di
trattamento. Successivamente, per, soprattutto per merito del
logico statunitense R. Montague, il metodo tarskiano stato esteso
anche a tali lingue, e uno degli obiettivi del presente lavoro
proprio di mostrare come le espres-sioni temporali dellitaliano
possano essere associate a opportune condizioni di verit. Tuttavia,
prima di passare alla complessit delle lingue naturali, opportuno
fornire un esempio sufficientemente semplice di definizione
ricorsiva delle condizioni di ve-rit. Siccome la lingua della
logica predicativa (o logica del primo ordine) sar alla base delle
rappresentazioni semantiche che introdurremo in seguito, a questa
lingua che ci rivolgeremo a titolo di illustrazione. Il linguaggio
L della logica predicativa cos definito. Anzitutto abbiamo linsieme
T dei termini, dato dallunione dellinsieme V, infinito numerabile,
delle variabili indi-viduali (qui rappresentate dalle metavariabili
x, y, z, ...) e dellinsieme C (che pu anche essere vuoto) delle
costanti individuali, che qui rappresenteremo con a, b, c, ...
Altre espressioni semplici di L sono i predicati, che, per n
arbitrario, indicheremo con Pn, Qn, Rn, ..., (n sta per il numero
di argomenti cui pu essere applicato il predicato in questione). Le
formule atomiche di L sono del tipo Pnt1...tn dove Pn un predicato
a n posti e t1, ..., tn sono termini (cio variabili o costanti
indi-viduali). Per esempio, un enunciato atomico come P2ab
asserisce lesistenza della relazione a due posti P2 fra gli oggetti
denotati da a e b ed assimilabile, intuitivamente, a un enunciato
del linguaggio naturale come a ama b. Le formule complesse sono
ottenibili in questo modo: se A e B sono formule, allora lo sono
anche A (da leggersi non si d il caso
-
23
che A), A B (A e B), A (A o B), A B (se A allora B), xA (di ogni
individuo x si d il caso che A2), xA (di qualche individuo x si d
il caso che A)
Veniamo ora allinterpretazione di L. La nozione fondamentale
quella di struttura (o modello), costituita da una coppia M = ,
dove D un insieme di individui (il dominio o universo di discorso)
e F una funzione (la funzione interpretazione) che assegna a ogni
costante non logica del linguaggio opportune denotazioni. Pi
preci-samente: F(a) D (Altrimenti detto, la denotazione della
costante individuale a un individuo del
dominio.) F(Pn) Dn (Se n = 1, allora la denotazione del
predicato (p. e. il predicato corrispondente a
correre) sar un certo sottoinsieme del dominio (linsieme degli
individui che corrono, nel nostro esempio); se n = 2, allora la
denotazione del predicato (p. e . il predicato corrispondente a
amare) sar un insieme di coppie ordinate (linsieme delle coppie di
individui tali che u ama v, nel nostro esempio); se n = 3, allora
la denotazione del predicato sar un insieme di triple ordinate, e
cos via.)
Nel caso delle variabili, lidea di considerarle come dei pronomi
di natura astratta, la cui interpretazione dipende ogni volta dal
contesto. Formalmente, possiamo ottene-re ci ricorrendo a una
funzione (la cosiddetta funzione assegnazione) g, che associa a
ogni variabile x un certo individuo del dominio D: g(x) D. Sulla
base di questi elementi possibile definire sistematicamente,
secondo le linee indicate da Tarski, il valore semantico, o
denotazione, di unespressione in una struttura M = , rispetto a
unassegnazione g, denotazione che rappresenteremo con M, g. Avremo
dunque: x M, g = g(x) per ogni variabile individuale x; a M, g =
F(a) per ogni costante individuale a; Pn M, g = F(Pn) per ogni
costante predicativa Pn. Il valore semantico di un enunciato dato,
in questa cornice teorica, da un valore di verit: il Vero (che
rappresenteremo con 1) oppure il Falso (che rappresenteremo con 0).
E se adesso ci chiediamo quale pu essere una definizione di verit
in L che 2 Per esempio, xP2xb asserisce che tutti gli individui x
delluniverso dato sono nella relazione P2 con lindividuo b.
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24
rispetti i requisiti di rigore e adeguatezza indicati da Tarski,
la risposta fornita dalla seguente definizione ricorsiva di verit
(rispetto a un modello M e una assegnazione g): Pnt1...tn M, g = 1
se e solo se < t1 M, g, ..., tn M, g > Pn M, g A M, g = 1 sse
A M, g = 0 A M, g = 1 sse A M, g = 1 e B M, g = 1 A M, g = 1 sse A
M, g = 1 o B M, g = 1 A M, g = 1 sse A M, g = 0 o B M, g = 1 xA M,
g = 1 sse, per ogni individuo u del dominio D, A M, g[u/x] = 1,
dove
g[u/x] associa alle variabili gli stessi valori che associa loro
g, con la possibile eccezione che g[u/x](x) = u. (Cos, ci che
questa clausola richiede, per la verit di xA, che ogni individuo
del dominio soddisfi la formula A.)
xA M, g = 1 se e solo se, per qualche individuo u del dominio D,
A M, g[u/x] = 1.
(Cos, ci che questa clausola richiede, per la verit di xA, che
almeno un individuo del dominio soddisfi la formula A.)
Diciamo infine che un enunciato vero in un modello M se vero
rispetto a tutte le assegnazioni di quel modello. Sulla base di
questa definizione rigorosa di verit poi possibile definire altre
impor-tanti nozioni logiche, fra le quali quella di validit di una
formula (definita come la verit di quella formula in tutti i
modelli) e di conseguenza (una formula A una conseguenza di un
insieme di formule se e soltanto se in ogni modello in cui
risul-tano vere tutte le formule di risulta vera anche A).
-
25
Latteggiamento teorico di Frege stato spesso assimilato a questo
tipo di atempora-lismo. In realt, per, le cose sono pi complesse, e
una riconsiderazione della posi-zione di Frege pu essere utile per
introdurre un discorso pi generale sui problemi sollevati dal
trattamento semantico dei tempi verbali in quanto espressioni
indicali. In un passo del saggio sul Pensiero il problema della
temporalit nel linguaggio viene presentato in questi termini:
Se con il tempo presente viene fornita unindicazione temporale,
per comprendere correttamente il pen-siero occorre sapere quando
stato pronunciato lenunciato, e in questo caso anche il momento in
cui si parla parte dellespressione del pensiero. Se qualcuno
volesse dire oggi ci che, utilizzando la parola oggi, ha detto
ieri, la dovrebbe sostituire con ieri. [In questi casi] per la
corretta comprensione del pensiero occorre la conoscenza di certe
circostanze concomitanti che possono venire utilizzate come mez-zo
per esprimerlo. (Frege [1918: 53].)
Il problema che ci dobbiamo porre dunque questo: cosa intende
Frege quando dice che il momento in cui si parla parte
dellespressione del pensiero? Siccome allu-de al momento stesso,
cio a unentit extralinguistica, e non a una data, intesa come
espressione del linguaggio, Frege non pu voler dire che quel
momento (in quanto, appunto, entit extralinguistica) deve essere
parte di un enunciato (che entit lingui-stica). Si tratterebbe di
unovvia assurdit, come pensare che il luogo in cui si parla (cio
unaltra entit extralinguistica) sia parte di un enunciato. Frege
non sta dunque sostenendo che un enunciato il cui tempo verbale il
presente semplicemente da assimilare a unabbreviazione di un
enunciato che contiene come sua parte una data, che la proposta
teorica avanzata dagli atemporalisti in senso stretto. Il punto
fonda-mentale che lintervallo di tempo rilevante, che serve per
fissare il pensiero espres-so (e che, come vedremo, coincide spesso
con il momento di emissione dellenunciato) non ovviamente
unespressione del linguaggio, e dunque interviene qui solo come
parametro extralinguistico, contestuale. Pertanto, ci che Frege
intende sottolineare, nel passo in discussione, non tanto il ruolo
delle date o di altri designa-tori simili per riferirsi
direttamente ai vari istanti temporali, quanto la parte che il
tempo stesso svolge nelle manifestazioni del pensiero. Detto un po
pi precisamente: si tratta, per Frege, di cogliere la dipendenza
sistematica di ci che si esprime dalle circostanze esterne in cui
lo si esprime, fra le quali figura in modo essenziale il
posi-zionamento nel tempo. Lo stesso enunciato, in momenti diversi,
pu essere usato per esprimere pensieri diversi, e questa dipendenza
funzionale del contenuto dal contesto non un semplice accidente
delle lingue naturali, ma un fenomeno talmente siste-matico (e
regolato da principi formali) da meritare unaccurata analisi
semantica. Pi che assimilare le espressioni indicali e i tempi
verbali a date ed espressioni relazionali nascoste, in questa
cornice teorica si intende cogliere le propriet di quelle
espressio-ni in quanto tali, propriet che rappresentano un capitolo
interessante della semantica del linguaggio naturale: quello delle
relazioni fra il pensiero espresso e i fattori ester-ni di natura
contestuale. Com noto, Frege non ha sviluppato una vera e propria
teoria semantica delle e-spressioni indicali, ma le idee
fondamentali che sono alla base delle sue osservazioni trovano
riscontro (anche se non esplicitamente) nellanalisi sviluppata in
un impor-tante saggio del 1954 di Y. Bar-Hillel. Al centro di
questa analisi il concetto di pro-
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26
posizione (in qualche modo corrispondente a quello che Frege
chiama un pensiero), ossia ci che espresso da un enunciato (o
meglio da una particolare occorrenza8 di un enunciato) in un dato
contesto. Formalmente, una proposizione designata da una coppia
ordinata , dove A un enunciato e c un contesto. Il valore semantico
di un enunciato pu dunque essere visto come una funzione9 fA tale
che fA(c) la propo-sizione espressa da A nel contesto c.
Schematicamente:
contesto
funzione pragmatica fA associata ad A proposizione espressa da
A
c P c' P' c'' P''
Per tornare alle osservazioni di Frege, siccome un elemento del
contesto la localiz-zazione temporale, un enunciato al tempo
presente come (21) Piove esprimer, in momenti diversi, pensieri (o
proposizioni) diversi, cio il pensiero che piove in questo momento,
o il pensiero che piove in questaltro momento, e cos via. E poich
si tratta appunto di pensieri diversi, ciascuno di essi pu avere un
valore di verit distinto da quello degli altri, di modo che lo
stesso enunciato (in quanto espri-me proposizioni diverse in
contesti diversi) avr valori di verit variabili. Come au-spicato da
Frege, in questa prospettiva un pensiero risulta definitamente vero
o falso, mentre lenunciato in quanto tale, che in circostanze
diverse pu esprimere pensieri diversi, pu essere associato a valori
di verit via via diversi10. Ci che abbiamo messo in luce dunque la
dipendenza dal contesto del contenuto
8 Bar-Hillel riprende qui la distinzione classica fra type e
token: lenunciato appunto un tipo astratto sotto cui cadono i vari
esemplari (o tokens) di quellenunciato. Sono questi esemplari che
costituiscono il primo membro nella coppia . 9 quella che
Bar-Hillel chiama una funzione pragmatica. Successivamente, negli
anni Settanta, con il termine ca-rattere Kaplan designa qualcosa di
molto simile alla funzione pragmatica di Bar-Hillel. La stessa
affinit riscontrabile fra la nozione di proposizione, cos come
caratterizzata da Bar-Hillel, e la nozione di contenuto nella
teoria di Kaplan. Nellanalisi di Bar-Hillel le nozioni che stiamo
esaminando (e in particolare il concetto di funzione pragmatica)
possono essere definite assumendo come primitiva la relazione a tre
posti:
lenunciato A si-riferisce-pragmaticamente-alla proposizione P
nel contesto c. Sfortunatamente, limportanza dello scritto di
Bar-Hillel stata spesso trascurata nel dibattito sulla semantica
delle espressioni indicali. 10 Anche lo stesso Russell, che Prior
si limita ad annoverare fra gli atemporalisti tout court, pu essere
accostato a que-sto tipo di posizione teorica. Prima del passo
citato poco fa, nella recensione riportata da Prior leggiamo
infatti: Ci che espresso dalla configurazione di parole in un dato
istante qualsiasi non di per s variabile; ma in un altro istante
qualcosa daltro, di per s egualmente invariabile, viene espresso
dalla stessa configurazione di parole . Lidea che un enunciato
contenente termini indicali pu esprimere, in contesti diversi,
pensieri diversi. Lenunciato (in quanto mera configurazione di
parole) pu dunque essere associato con valori di verit variabili
(visto che questi pensieri possono avere valori di verit tra loro
diversi). Nel brano citato nel testo Russell sembra oscillare fra
un trattamento degli indica-li in termini di parafrasi con date,
nomi di luoghi, ecc. (il che permette a Prior di presentarlo come
un tipico rappresen-tante di un approccio atemporalista) e un
trattamento volto invece a rendere conto del ruolo semantico del
contesto extralinguistico. Questa seconda posizione assunta pi
nitidamente negli scritti successivi di Russell, p. e. in An
in-quiry into meaning and truth.
-
27
espresso (e quindi del valore di verit dellenunciato, come entit
sintattica). Ma fino a questo punto il tempo non sembra esibire
caratteristiche speciali: rappresenta sem-plicemente uno dei vari
elementi costitutivi del contesto di emissione, come lo sono il
luogo, il parlante, luditorio, ecc. Infatti, ritroviamo la stessa
dipendenza del contenu-to espresso dal contesto se, per esempio,
consideriamo i pronomi personali. Nei ter-mini di Frege, un
enunciato come (22) Io sono stanco pu esprimere pensieri diversi a
seconda di chi lo pronuncia, proprio come (21) pu esprimere
pensieri diversi a seconda dei momenti in cui viene proferito.
Lidentit del parlante dunque essenziale, in questo caso, per poter
determinare il contenuto e-spresso quando si proferisce (22). La
verit di questo contenuto dipende poi da come stanno le cose nel
mondo (e cio dal fatto che la persona in questione sia stanca o no
al momento inteso). In generale, la presenza di termini indicali in
un enunciato F fa s che sia possibile distinguere due modi diversi
in cui i fatti del mondo concorrono alla determinazione della verit
o falsit di F: (i) il fatto che sia Leo, anzich Teo, a proferire
(22), e che quindi sia lui il referente del pronome io nel contesto
dato, permette di stabilire di chi si sta parlando: questa persona
che (nel nostro esempio) deve essere stanca affinch sia vero
lenunciato (22); (ii) il fatto che Leo sia stanco (o non sia
stanco) ci permette poi di stabilire se lenunciato vero (o falso).
Che (i) e (ii) chiamino in causa due ruoli distinti, ma entrambi
necessari, per lattribuzione di un valore di verit agli enunciati
dimostrato dal fatto che se di-spongo del primo tipo di
informazione ma non del secondo (o viceversa), non sono in grado di
dire se lenunciato in questione vero o falso. Infatti, se non sono
a cono-scenza di chi ha proferito (22) (perch, per esempio, ho
letto questo enunciato in una lettera priva di firma), mi trovo
nellimpossibilit di dire se (22) vero o falso, anche se so
perfettamente chi stanco e chi non lo . Simmetricamente, se so chi
ha proferi-to (22) ma non so che stanco e chi non lo , lenunciato
risulter ancora una volta invalutabile. Lo schema generale che
otteniamo il seguente:
-
(23)
Enunciato Io sono stanco(esp. indicali: Io, tempoverbale)
CONTESTO
PROPOSIZIONE(La proposizione cheLeo stanco a t)
STATO DELMONDO(Il fatto che Leosia/non sia stanco a t)
verit/falsitdellenunciato
(parlante: Leo, tempo: t)
Alla distinzione dei ruoli indicati rispettivamente (i) e (ii)
corrisponde in Kaplan [1979] una distinzione terminologica: certe
caratteristiche o situazioni del mondo (come p. e. chi il parlante,
qual il luogo o il tempo in cui si parla, ecc.) rappresen-tano il
contesto demissione di un enunciato, che serve a fissare il
contenuto espresso, certe altre caratteristiche o situazioni (come
p. e. il fatto che Leo sia stanco al mo-mento inteso) rappresentano
le circostanze di valutazione, che permettono di attribui-re un
valore di verit a quel contenuto11. Avremo adesso modo di
constatare che una peculiarit del tempo (a differenza di altri
fattori contestuali) di svolgere entrambi questi ruoli. Per
spiegare esattamente in cosa consista questa peculiarit, cominciamo
con losservare che la presenza di tempi verbali determina uno
slittamento sistematico delle condizioni di verit nella valutazione
degli enunciati. In analogia con quanto abbiamo gi fatto per il
futuro, un modo molto naturale di formulare le condizioni di verit
di un enunciato che contenga loperatore P per il passato pi o meno
il se-guente12: (24) P(A) vero al tempo t del contesto se e
soltanto se c un tempo s che
precede t tale che A vero a s. Per esempio, lenunciato: (25)
piovuto 11 Va per detto che, nella formulazione di Kaplan, i tempi
verbali non sono trattati come espressioni indicali.
28
12 Per uniformit, usiamo qui condizioni di verit del tipo di
quelle indicate da Prior, in base alle quali il tempo verbale visto
come un operatore enunciativo, che si applica cio a intere formule
(al pari, per esempio, di un avverbio modale quale
necessariamente). Ma lo slittamento di condizioni di verit di cui
si parla nel testo pu essere illustrato anche con altri tipi di
trattamento del tempo verbale. Per esempio, in una semantica degli
eventi la verit di (25) al tempo t si fonda sull'esistenza di un
tempo t', precedente t, in cui si verifica un evento-pioggia. Come
vedremo, questo tipo di rinvio dal parametro t al parametro t' une
peculiarit del tempo verbale.
-
29
vero a un certo intervallo di tempo t se e soltanto se c un
altro intervallo di tempo s, precedente t, in cui vero che piove.
Altrimenti detto, quello che facciamo, per de-terminare la verit o
falsit di (25) a t, verificare se c un altro istante s che venga
prima di t e nel quale valga lo stato di cose descritto da (21).
Idealmente, per stabilire se (25) vero o no a t, dobbiamo dunque
arretrare fino allintervallo s, e considerare se (21) vero a questo
nuovo intervallo. In genere, pu dunque accadere che le con-dizioni
di verit di un enunciato rispetto a un certo tempo siano date sulla
base di quelle di un altro enunciato rispetto a un altro tempo, ed
in questo senso che abbia-mo parlato dello slittamento delle
condizioni di verit determinato dal tempo verbale (cio il morfema
del passato, che, nel nostro esempio, distingue (25) da (21)).
Nulla del genere si verifica nel caso, per esempio, dei pronomi
personali, anche se, come abbiamo osservato poco fa a proposito di
(22), il pensiero espresso da un enun-ciato in un certo contesto di
emissione pu dipendere dallidentit delle persone coin-volte in quel
contesto. Per riprendere un esperimento mentale suggerito da David
Lewis, niente ci impedisce di pensare a un linguaggio dotato di un
operatore Q (a-nalogo al morfema del tempo passato) la cui funzione
consista nel far s che il ruolo del parlante (che un elemento del
contesto al pari del tempo) slitti da me a te (pro-prio come, nel
caso del passato, si passava dallintervallo presente allintervallo
pas-sato). Un operatore del genere sarebbe estremamente semplice
dal punto di vista for-male, e anche la sua interpretazione non
sarebbe complicata, dal momento che (26) Q(Io sono stanco) sarebbe
assimilabile a qualcosa come Vale di te: io sono stanco. Eppure non
esisto-no operatori simili, il che sembra suggerire che il ruolo
svolto dal tempo, come ele-mento del contesto di emissione, si
colloca su un piano diverso da quello svolto per esempio dalle
persone. Questo tipo di operatori sembra invece disponibile nel
caso di un altro parametro con-testuale, e cio il luogo di
emissione. Ci sono infatti espressioni che determinano un analogo
slittamento di parametro contestuale nella fissazione delle
condizioni di veri-t. Se si considera per esempio un avverbiale
come a 50 chilometri da qui, risulta del tutto naturale sostenere
che un enunciato come (27) A 50 chilometri da qui piove vero se e
soltanto c un luogo in cui piove e questo luogo dista 50 chilometri
dal luogo in cui si parla. Che ci sia uno slittamento delle
condizioni di verit testimo-niato dal fatto che per fissare o
falsit la verit dellenunciato di partenza (e cio (27)) rispetto a
un dato parametro contestuale (il luogo in cui si parla) occorre
determinare la verit o falsit di un altro enunciato (e cio (21))
rispetto a un nuovo luogo di rife-rimento, che dista 50 chilometri
da quello iniziale. In genere, in analogia con (24), avremmo dunque
delle condizioni di verit come:
-
30
(28) A 50 chilometri da qui: P vero al luogo t se e soltanto se
c un luogo s che dista 50 chilometri da t tale che P vero a s.
C per ancora una differenza rispetto al tempo. Come si gi
osservato nelle pagi-ne introduttive, per lo meno in lingue come
litaliano nel caso del tempo simili slitta-menti di condizioni di
verit rispondono a principi talmente sistematici da essere
e-spressi con strumenti morfologici (i tempi verbali, appunto),
mentre non abbiamo strumenti analoghi nel caso dello spazio:
abbiamo al massimo costruzioni lessicali ad hoc come quella appena
presa in considerazione. 1.5 Una semantica bidimensionale Per
meglio comprendere le peculiarit del tempo come fattore
contestuale, e in parti-colare la sua duplice funzione nella
determinazione delle condizioni di verit degli enunciati, occorre
considerare pi da vicino il modello teorico anticipato da Frege e
reso poi esplicito in un approccio pragmatico come quello di
Bar-Hillel. In questo quadro, riassunto nello schema (23), lidea
fondamentale quella di verit in un con-testo, e cio la verit, al
tempo t, della proposizione che, al tempo t, va associata a un dato
enunciato A, p. e. lenunciato Io ho fame. Abbiamo anche visto, in
preceden-za, che idee simili possono essere facilmente implementate
in una semantica inten-sionale attraverso la stipulazione di
opportune condizioni di verit. Per esempio: (29) Leo corre t = 1 se
e solo se Leo t corre t (e cio sse la denotazione a t13
del nome proprio Leo appartiene alla denotazione, a t, del
predicato corre, o anche: sse Leo appartiene allinsieme delle
persone che corrono a t).
Leo corse t = 1 se e solo se c un tempo s tale che s precede t e
Leo corre s= 1.
In condizioni di verit di questo genere, si d conto della natura
indicale del tempo grazie al parametro variabile t, che rappresenta
ogni volta listante (o intervallo) at-tuale di valutazione, che
varia continuamente. Diversamente da quanto accade in una semantica
atemporalista (che si limita a trattare un enunciato indicale come
una for-ma ellittica di un enunciato con date esplicite e relazioni
stabili fra eventi e date), in questo quadro teorico la dipendenza
funzionale dallistante attuale di valutazione ha un ruolo cruciale.
Per convincersene, il lettore invitato a verificare come nella
se-
13 Relativizzare la denotazione di un nome proprio a un dato
istante t pu risultare fuorviante, in quanto si presume che la
denotazione di un nome proprio non cambi in momenti diversi (
lidea, discussa da Kripke, che i nomi propri siano designatori
rigidi). Tuttavia, come dimostra unespressione quale il presidente
della repubblica (che pu designare persone diverse in momenti
diversi), in genere i termini non sono designatori rigidi, e quindi
la relativizzazione intro-dotta nel testo risulta perfettamente
legittima se si vuole fornire un criterio generale.
-
31
mantica che stiamo discutendo vengano correttamente ricostruiti
i rapporti inferenzia-li che abbiamo individuato nel caso degli
enunciati (16) - (20).
-
32
Scheda n. 2
Semantiche intensionali
Uno dei contributi fondamentali che Frege ha fornito alla logica
e alla filosofia del lin-guaggio lindividuazione di due diversi
livelli di significato: quello del senso e quello della
denotazione. Va per detto che Frege non si preoccupa di dare una
definizione formalmente rigorosa di queste nozioni, che
rappresentano dunque un problema aperto nella teoria semantica
contemporanea. Per esempio, nel caso dei termini singolari egli
osserva che la denotazione loggetto stesso, mentre il senso un modo
di dare loggetto. Cos, la citt pi popolosa dItalia e la capitale
dItalia sono termini che risultano avere la stessa denotazione (e
cio Roma), ma sensi diversi, in quanto la stessa entit viene
presentata attraverso propriet diverse nei due casi. per quanto
riguarda poi gli enunciati, Frege propone, in base a interessanti
argomentazioni sulla loro costituzio-ne interna, che la loro
denotazione vada individuata in uno dei due valori di verit (il
Vero e il Falso), mentre il senso sar il pensiero espresso
dallenunciato. Per esempio, i due enunciati Roma la citt pi
popolosa dItalia e Roma la capitale dItalia ri-sultano avere la
stessa denotazione (poich entrambi denotano il Vero), mentre hanno
sensi diversi, in quanto esprimono sensi diversi. Tuttavia, come
abbiamo gi ricordato, queste nozioni di Frege non vengono
formalizza-te in una vera e propria teoria semantica. Un tentativo
di fornire una risposta a tale pro-blema fornito da R. Carnap, che
fa corrispondere alla distinzione fregeana la distin-zione fra
intensione e estensione, interpretata alla luce della semantica a
mondi possibili. Per spiegare questi concetti possiamo tornare
brevemente alla semantica elementare in-trodotta nella scheda
precedente. Si ricorder che in quella circostanza abbiamo
generi-camente parlato di valore semantico (o di denotazione) di
unespressione. Si detto, per esempio, che, dato un certo modello M
= , la denotazione in M di un predicato a un posto come abitare al
Polo Nord un insieme di individui appartenenti al dominio D, e cio
linsieme degli individui che abitano al Polo Nord. Se pensiamo che
la nozione di modello ci serve per ricostruire matematicamente la
nozione di stato di cose rispetto al quale valutare un enunciato in
termini di verit e falsit, facile vedere che questo modo di
procedere pu risultare inadeguato nel trattamento di vari tipi di
enunciati delle lingue naturali. Si consideri infatti un enunciato
come (I) possibile che qualcuno abiti al Polo Nord. Supponiamo
dunque di disporre di un unico modello M (e quindi di fare
riferimento a un unico stato di cose) e immaginiamo che sia falso,
rispetto a quel modello, che esistano persone che abitano al Polo
Nord: questo semplicemente perch, rispecchiando lo stato di cose
reale, la denotazione in M del predicato abitare al Polo Nord
linsieme vuoto. sufficiente questa constatazione a rendere
intuitivamente falso lenunciato (I)? La ri-
-
33
sposta non pu che essere negativa, dal momento che con (I) non
si intende semplice-mente far riferimento allo stato di cose reale,
ma anche a qualche possibile stato di cose in cui qualcuno abita al
Polo Nord. E siccome possiamo benissimo immaginare che esi-stano
stati di cose siffatti e che (nonostante le avversit atmosferiche)
qualcuno abiti davvero al Polo Nord, vorremmo poter dire che (in
questa interpretazione della possibili-t) lenunciato (I) risulta
vero. Daltra parte niente, in M, ci autorizza a questo tipo di
valutazione dellenunciato, perch con M si fa idealmente riferimento
a ununica situa-zione (quella che si assume come reale), e in
questa situazione nessuno abita al Polo Nord. Lidea che Carnap
sviluppa, a partire da Leibniz e da Wittgenstein, che occorra
invece fare riferimento a una pluralit di situazioni o mondi
possibili1, e che il valore sem