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Volere è potere

Mar 22, 2016

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La forza di volontà è la chiave di ogni successo e può essere allenata
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Antonio Vallardi Editore s.u.r.l.Gruppo editoriale Mauri Spagnolwww.vallardi.it

Per essere informato sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita:www.illibraio.itwww.infinitestorie.it

Titolo originale: WillpowerCopyright © Roy T. Baumeister and John Tierney, 2011 All rights reserved

Copyright © 2012 Antonio Vallardi Editore, Milano

Traduzione di Ornella Ciarcià

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta, archiviata in sistemi server o trasmessa in nessuna forma e con nessun mezzo elettronico o meccanico, su cassetta, né fotocopiata, registrata o altro, senza il permesso scritto dell’editore.

Ristampe: 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 2016 2015 2014 2013 2012

ISBN 978-88-7887-823-5

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Sommario

Introduzione ................................................................................9

Il declino della volontà ....................................................... 14La volontà ritorna in auge ................................................. 19Evoluzione e bon ton ......................................................... 24Perché leggere questo libro? .............................................. 27

1. La forza di volontà è più di una semplice metafora? .............................................................................. 29

L’esperimento dei rapanelli ............................................... 29Che nome dare a questo processo? ................................. 35Il mistero dei calzini sporchi ............................................. 40Risultati sul campo e in laboratorio ................................. 43

2. Da dove proviene l’energia della forza di volontà? .................................................... 47

Il carburante del cervello ................................................... 49La sindrome premestruale ................................................. 57La forza di volontà vien mangiando ................................. 61

3. Breve elenco delle cose da fare, da Dio in poi ....................................................................... 67

In principio c’era l’elenco .................................................. 67Quali obiettivi? .................................................................... 72Flessibilità o precisione? .................................................... 76Il metodo di David Allen .................................................. 79

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L’effetto Zeigarnik .............................................................. 83Il punto zero ....................................................................... 87

4. La fatica decisionale ........................................................ 91

Attraversare il Rubicone..................................................... 95Il dilemma del giudice (e l’ansia del carcerato) .............. 99Scelte di comodo .............................................................. 105Meglio l’uovo o la gallina? ............................................... 108

5. Consapevolezza dell’essere e autoquanti"cazione .................................................... 111

La consapevolezza dell’essere .......................................... 113L’autoquanti!cazione ....................................................... 116Confronti edi!canti ......................................................... 119

6. Si può potenziare la forza di volontà? ................... 123

Allenare la forza di volontà ............................................. 125Aumentare la resistenza ................................................... 129L’impresa più dif!cile in assoluto ................................... 133

7. Giocare d’astuzia nel «cuore di tenebra» ............ 135

L’identi!cazione empatica ................................................ 137Impegni vincolanti ............................................................ 141Il pilota automatico del cervello ..................................... 144Forza di volontà ed egoismo .......................................... 148

8. È stata un’entità soprannaturale ad aiutare Eric Clapton a smettere di bere?.............................. 153

Il mistero di Alcolisti Anonimi ...................................... 156La pressione del gruppo ................................................... 160L’autocontrollo sacro ......................................................... 164Regole in"essibili ............................................................. 169

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Sommario 5

9. Autostima o autocontrollo? ...................................... 173

Dall’autostima al narcisismo ......................................... 175L’eccezione asiatica ......................................................... 178Autoritarismo o autorevolezza? .................................... 183Regole per bambini e adolescenti ................................. 185La sorveglianza genitoriale ............................................ 190Giocare per vincere ......................................................... 194

10. Le catastro" delle diete .............................................. 199

L’effetto «chi se ne frega» ............................................... 204Il circolo vizioso delle diete .......................................... 207Piani!care la battaglia .................................................... 213Monitorare il peso e le calorie....................................... 217Mai dire mai ..................................................................... 220

Conclusione: risultati migliori con meno stress.... 225

Il test della scadenza ....................................................... 228La forza di volontà, prima lezione: riconoscere i propri limiti .............................................. 231Fate caso ai sintomi ........................................................ 232Scegliete le vostre battaglie ............................................ 234Elencate le cose da fare, o almeno di quelle da non fare ...................................................................... 236Gli errori di piani!cazione ............................................ 237Non dimenticate le cose fondamentali (come cambiarvi i calzini) ............................................. 238La procrastinazione virtuosa ......................................... 240L’alternativa dell’inazione (e altri trucchi) .................. 241Sorvegliarsi ..................................................................... 243Premiatevi spesso ........................................................... 244Il futuro dell’autocontrollo ............................................ 246

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Introduzione

Il successo, in qualunque modo lo si intenda – una famiglia felice, amici sinceri, una carriera soddisfacente, una salute di ferro, la sicurezza economica, la libertà di dedicarsi alle pro-prie passioni – solitamente si basa su un paio di presupposti. Identi!cando le caratteristiche individuali che lasciano pre-sagire buone prospettive future nella vita, gli psicologi s’im-battono costantemente in due elementi: l’intelligenza e l’auto-controllo. Allo stato attuale, i ricercatori non sono in grado di aumentare il livello di intelligenza in maniera permanente, ma hanno scoperto, o meglio riscoperto, che si può migliorare il controllo di sé stessi.

Questo libro scaturisce dalla convinzione che gli studi sulla forza di volontà e sulla padronanza di sé possono esse-re il contributo maggiore della psicologia al benessere dell’u-manità. La forza di volontà ci consente di modi!care noi stessi e la nostra società in maniera micro e macroscopica. Nell’Origine dell’uomo, Charles Darwin1 scrisse che lo stadio più elevato dell’etica si raggiunge quando ci si rende conto che occorre controllare i propri pensieri. In seguito, però, il concetto ottocentesco di forza di volontà fu rinnegato al punto che alcuni psicologi e !loso! novecenteschi arriva-rono a dubitare della sua esistenza. Inizialmente scettico, il professore Roy F. Baumeister ha tuttavia avuto modo di osservare, nei suoi noti esperimenti condotti in laboratorio,

1 Charles Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (Newton Com-pton, 2007).

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che la forza di volontà può dare la motivazione per andare avanti, che le persone perdono l’autocontrollo quando la loro forza di volontà si esaurisce e che questa energia mentale è alimentata dal glucosio presente nel "usso sanguigno. Inol-tre, lui e i suoi collaboratori hanno scoperto che la forza di volontà è un po’ come un muscolo che, da un lato, si affatica con lo sforzo eccessivo, ma dall’altro si irrobustisce con l’al-lenamento costante. Da quando gli esperimenti di Baumei-ster ne hanno dimostrato l’esistenza, la forza di volontà è di-ventata uno dei soggetti più studiati nell’ambito delle scienze sociali e i suoi esperimenti sono attualmente fra i più citati in psicologia. Ricercatori di tutto il mondo hanno scoperto che migliorare la forza di volontà è la strada più sicura per vivere più serenamente.

Ci si è resi conto che buona parte dei principali problemi personali e sociali deriva dalla mancanza di autocontrollo: shopping compulsivo, impulsi violenti, scarsi risultati scola-stici, procrastinazione sul lavoro, abuso di alcolici e di stupe-facenti, disturbi dell’alimentazione, mancanza di esercizio !sico, ansia cronica, accessi di collera. La scarsa padronanza di sé può essere causa di traumi individuali di ogni genere, dalla perdita delle amicizie al licenziamento, dal divorzio al carcere.

Provate a chiedere alle persone che conoscete di enume-rare le loro virtù principali e vedrete che citeranno soprattut-to l’onestà, la cortesia, la simpatia, la creatività, il coraggio e persino la modestia, ma non l’autocontrollo, che è risultato all’ultimissimo posto fra le virtù prese in esame da interviste condotte su centinaia di migliaia di persone in tutto il mon-do. Su una ventina di punti di forza elencati nei questionari, l’autocontrollo si è rivelato quello meno citato in assoluto. Per contro, la mancanza di autocontrollo è risultata al primo posto nell’elenco dei difetti personali.

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Introduzione 11

Oggigiorno, la gente si sente sopraffatta da una quantità enorme di tentazioni incessanti. Anche se arrivate !sicamen-te al lavoro puntuali, la vostra mente può evadere in qualsi-asi istante grazie al computer o al telefono. Potete rimandare qualsiasi compito controllando la posta elettronica o Facebo-ok, navigando in rete o facendo un videogioco. Il classico uti-lizzatore del PC consulta più di una trentina di siti Web al giorno e può provocare danni tali in 10 minuti di shopping on line da mandare in fumo il suo budget per il resto dell’an-no. Spesso si crede che la forza di volontà sia una dote straor-dinaria alla quale fare appello in casi di emergenza, tuttavia non è quello che hanno scoperto di recente Baumeister e i suoi colleghi monitorando un gruppo di oltre duecento uomini e donne della Germania centrale. Tali persone erano munite di un avvisatore acustico che nel corso di una giornata entrava in azione sette volte a intervalli casuali, sollecitandole a riferi-re eventuali desideri provati in quel momento o poco prima. Grazie a quello studio meticoloso sono stati registrati oltre diecimila desideri momentanei nell’arco di tutta una giornata.

Il desiderio si è quindi rivelato la norma, non l’eccezione: nel momento in cui l’avvisatore acustico suonava, metà del-le persone stava provando almeno un impulso e un quarto ne aveva provato uno pochi minuti prima. Si è notato che molti erano desideri ai quali le persone si sforzavano di resi-stere. Sulla base di questi dati, i ricercatori hanno concluso che per circa un quinto delle ore di veglia (da tre a quattro al giorno) si cerca di resistere a tentazioni di vario genere. Da un altro punto di vista, se interrogaste cinque persone in un momento qualsiasi della giornata, scoprireste che una di loro sta facendo uso della propria forza di volontà per resi-stere a un desiderio. Tra l’altro, questo uso non include nem-meno tutte le circostanze in cui si esercita la forza di volontà per altri scopi, come prendere decisioni.

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Lo studio succitato ha rivelato che l’impulso a cui si cerca di resistere più frequentemente è quello di mangiare, segui-to da quello di dormire e poi dal desiderio di distrarsi, per esempio prendendosi una pausa sul lavoro facendo un gio-chino al computer invece di scrivere una relazione. In que-sta classi!ca dei desideri a cui si cerca di resistere più spesso seguono subito dopo gli impulsi sessuali, e poi altri tipi di interazione, come controllare la posta elettronica e i social network, navigare in rete, ascoltare musica e guardare la te-levisione. Per allontanare le tentazioni, le persone intervi-state avevano riferito di usare varie strategie, la più comune delle quali era sviare il pensiero o intraprendere un’altra at-tività, ma anche reprimere direttamente l’impulso o resistere a tutti i costi, con risultati molto eterogenei. Nel complesso, i soggetti avevano ceduto a circa un sesto delle tentazioni. Si è visto che per parecchie persone è abbastanza facile resistere al sonno, agli stimoli sessuali e all’impulso di spendere, ma è meno facile rinunciare al cibo e alle bevande. In!ne, chi aveva cercato di resistere alle lusinghe della televisione o di Internet e di altri mezzi di comunicazione, aveva ceduto cir-ca la metà delle volte.

Questi dati sembrano scoraggianti e i tassi di fallimento sono piuttosto alti se rapportati al passato. È vero che non abbiamo modo di sapere !no a che punto i nostri avi fossero dotati di autocontrollo in epoche in cui non esistevano né i cicalini né la psicologia sperimentale, tuttavia sembra proba-bile che fossero meno stressati. Nel Medioevo la gente comu-ne lavorava tutto il giorno nei campi, ingurgitando ettolitri di vino (o birra), ma non puntava a promozioni sul lavoro o a salire di qualche gradino lungo la scala sociale, quindi non esistevano premi e incentivi e non c’era nemmeno una grande necessità di mantenersi sobri. I villaggi non offriva-no altre tentazioni evidenti oltre all’alcol, al sesso e al puro e

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Introduzione 13

semplice ozio e la virtù era generalmente frutto del desiderio di evitare la pubblica ignominia, piuttosto che dell’aspirazio-ne alla perfezione umana. Nell’ambito della Chiesa cattoli-ca medievale la salvezza dipendeva più dall’appartenenza al gruppo e dallo svolgimento di determinati riti che da una forza di volontà eroica.

Nell’Ottocento, però, i contadini cominciarono a urba-nizzarsi e quindi a essere meno condizionati dalle pressio-ni sociali e religiose delle campagne e da credenze !no ad allora considerate universali. La riforma protestante aveva reso la religione più individualistica, mentre l’Illuminismo aveva minato la fede cieca in qualsiasi tipo di dogma. I vit-toriani, dal canto loro, erano convinti di vivere in un’era di transizione segnata dal decadimento delle certezze mora-li e delle rigide istituzioni dell’Europa medievale. In effetti, un frequente argomento di discussione era se l’etica potes-se sopravvivere in assenza della religione. Così, molti vitto-riani dubitavano dei principi religiosi sul piano teorico, ma continuavano a !ngersi osservanti perché ritenevano fosse loro pubblico dovere salvaguardare la moralità. Oggi ridia-mo della loro ipocrisia e del loro moralismo, per esempio dell’abitudine di coprire persino le gambe dei tavoli come forma di pudore, ma se leggessimo i loro fervidi sermoni su Dio e il dovere, o le loro strambe teorie sul sesso, capi-remmo perché quella gente cercasse un minimo di sollievo nella !loso!a di Oscar Wilde, che diceva: «Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni». Considerate tutte le nuo-ve tentazioni dell’epoca, non si può dire che fosse anormale cercare nuove fonti dalle quali attingere energia. Angustia-ti com’erano per il decadimento morale e per i mali sociali concentrati nelle città, i vittoriani cercavano qualcosa di più concreto della grazia divina: una forza interiore in grado di proteggere anche gli atei.

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Si iniziò a usare la de!nizione forza di volontà a causa del-la credenza popolare che equiparava tale forza interiore all’e-nergia del vapore che alimentava la rivoluzione industriale. La gente cercava di migliorare il proprio destino seguendo le esortazioni dell’inglese Samuel Smiles2, il cui volume, Chi si aiuta, Dio l’aiuta, ebbe ampia divulgazione nell’Ottocento an-che oltre Atlantico. «Il genio è pazienza», rammentava l’au-tore ai lettori spiegando il successo di personaggi del calibro di Isaac Newton come il risultato dell’abnegazione e di una perseveranza inesauribile. Per il ministro americano della stessa epoca, Frank Channing Haddock, la forza di volontà era un’energia che si poteva aumentare quantitativamente e sviluppare qualitativamente, concetto condiviso anche dal ben più illustre Sigmund Freud, il quale ipotizzava che l’io dipendesse da attività mentali che comportavano un trasfe-rimento di energia.

Tuttavia, il modello di Freud basato sull’energia fu am-piamente ignorato dai ricercatori successivi ed è stato solo in tempi recenti, nel laboratorio di Baumeister, che gli stu-diosi hanno cominciato a cercare sistematicamente tale fonte di energia. Fino ad allora e per buona parte del Novecento, psicologi, pedagoghi ed esperti d’ogni risma avevano conti-nuato a trovare mille motivi per negarne l’esistenza.

Il declino della volontà

Che scartabelliate annali accademici o sfogliate manuali di au-to-aiuto, noterete subito che il concetto ottocentesco di «for-mazione del carattere» è passato di moda da un pezzo. Nel Novecento l’interesse per la forza di volontà era scemato in

2 Samuel Smiles, Chi si aiuta, Dio l’aiuta, ovvero storia degli uomini che dal nulla seppero innalzarsi ai più alti gradi (Editori della biblioteca utile, 1867).

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parte per reazione agli eccessi vittoriani e in parte a causa dei cambiamenti economici e delle due guerre mondiali. Il pro-lungato spargimento di sangue della Grande Guerra sembra-va quasi una conseguenza di un senso del dovere portato agli estremi da parte di troppi gentiluomini tutti d’un pezzo. Gli intellettuali propagandavano una visione della vita più rilas-sata sia in America sia in buona parte dell’Europa occidentale, ma sfortunatamente non in Germania, dove invece avevano sviluppato una «psicologia della volontà» che guidasse il paese durante gli anni durissimi del primo dopoguerra. Tale tema era stato abbracciato dai nazisti, il cui raduno del 1934 era sta-to oggetto del famigerato !lm propagandistico di Leni Riefen-stahl, Il trionfo della volontà. Il concetto nazista di obbedienza di massa a un sociopatico non coincideva affatto con l’idea ot-tocentesca di forza morale individuale, ma la differenza passò inosservata. Se il nazismo rappresentava il trionfo della volon-tà, allora quel !lm, fortemente voluto e appoggiato da Hitler in persona, è un esempio perfetto di pessime PR.

Il declino della volontà non sembrava, quindi, un fatto negativo, tanto più che dopo la guerra erano intervenute al-tre forze a indebolirla. Il progresso tecnologico aveva reso più accessibili i beni materiali e migliorato il livello di benes-sere generale, per cui alimentare i consumi era diventato vi-tale per l’economia e, a tale scopo, ci si cominciò ad af!dare a strumenti pubblicitari nuovi e so!sticati che sollecitavano all’acquisto immediato. I sociologi identi!carono una nuo-va generazione di persone in"uenzate dagli altri piuttosto che da forti convinzioni etiche personali. I severi manuali di auto-aiuto ottocenteschi ormai erano considerati superati ed egotistici, mentre i nuovi best-seller erano volumi pratici come il libro del 1936 di Dale Carnegie, Come trattare gli altri

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e farseli amici3, e quello del 1952 di Norman Vincent Peale, Il pensiero positivo4. Carnegie dedicava ben sette pagine all’arte del sorriso, nella convinzione che il sorriso giusto lasciasse una buona impressione e garantisse il successo, mentre Pe-ale e altri autori escogitarono un sistema ancora più facile.

Secondo Peale, l’elemento principale della psicologia sa-rebbe il desiderio realizzabile, per cui chi dà per scontato il successo è già sulla buona strada per ottenerlo. Napoleon Hill ha venduto milioni di copie di Pensa e arricchisci te stes-so5 invitando i lettori a stabilire la quantità di denaro deside-rata, a scrivere la cifra su un pezzo di carta e poi a conside-rarsi già in possesso del denaro. I libri di quei guru hanno fatto scuola per tutto il secolo e hanno ampiamente diffuso la !loso!a spicciola riassunta dallo slogan: «Credici e avrai successo».

Il cambiamento nel carattere delle persone fu notato da uno psicanalista di nome Allen Wheelis, il quale, a !ne anni Cinquanta, rivelò un piccolo quanto imbarazzante segreto della sua professione: le psicoterapie freudiane non funzio-navano più come prima a causa proprio di un cambiamento strutturale del carattere. Gli appartenenti alla classe media ottocentesca, che formavano il grosso dei pazienti di Freud, possedevano una forza di volontà ferrea, per cui gli psicote-rapeuti facevano fatica a superare le loro difese e il loro rigi-do senso dell’etica. Le terapie freudiane puntavano a sfonda-re tali muri difensivi e a far capire ai pazienti i motivi delle loro nevrosi e dei loro malesseri, perché una volta effettuato questo lavoro di introspezione ci si poteva modi!care abba-stanza facilmente. Tuttavia, verso metà Novecento, il carat-tere delle persone era cambiato e il lavoro di introspezione

3 Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici (Bompiani, 2001).4 Norman Vincent Peale, Il pensiero positivo (Armenia Edizioni, 2001). 5 Napoleon Hill, Pensa e arricchisci te stesso (Gribaudi, 2003).

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era diventato più veloce, ma poi spesso le terapie fallivano o arrivavano a un punto morto. Privi della risolutezza tipica dell’epoca vittoriana, i pazienti non avevano la forza di agire sulla base dell’introspezione e di modi!carsi. Wheelis uti-lizzava termini freudiani per illustrare il declino del Super-io nella società occidentale, ma in pratica parlava di un indebo-limento della forza di volontà, prima ancora che arrivassero i !gli dei !ori degli anni Sessanta a proporre stili di vita al-ternativi e dedicati alla ricerca del piacere.

Mentre la generazione degli anni Settanta celebrava l’au-tocompiacimento, i sociologi, il cui numero e la cui in"uen-za erano aumentati vertiginosamente verso !ne Novecento, presentavano nuove tesi contro la forza di volontà cercando le cause dei disturbi comportamentali al di fuori dell’indivi-duo: povertà, privazioni, oppressione e altri guasti prodotti dall’ambiente o dai sistemi politico ed economico. Cercare fattori esterni è spesso più comodo per tutti, in particolare per i numerosi professionisti che temono di cadere nell’erro-re politicamente scorretto di incolpare la vittima e di ipotiz-zare che i problemi delle persone derivino da cause interne. Inoltre, i problemi sociali sembrano di più facile soluzione di quelli caratteriali, almeno per i sociologi che propongono nuovi approcci per affrontarli.

Il concetto stesso di autocontrollo consapevole è sempre stato considerato con sospetto dagli psicologi. I freudiani af-fermavano che il comportamento adulto era in larga parte frutto di forze e processi inconsci. In Oltre la libertà e la digni-tà6, il comportamentista americano Burrhus Frederic Skin-ner scrive che per capire la natura umana bisogna andare al di là dei valori ormai superati citati nel titolo del libro. Molte delle teorie di Skinner sono state respinte, tuttavia

6 Burrhus Frederic Skinner, Oltre la libertà e la dignità (Mondadori, 1973).

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alcuni aspetti del suo approccio hanno trovato un seguito presso gli psicologi convinti che il livello conscio è assogget-tato all’inconscio. La volontà è diventata un elemento così trascurabile che nelle moderne teorie sulla personalità non è più nemmeno citata o quanti!cata. Alcuni neurologi affer-mano di averne addirittura dimostrato l’inesistenza, mentre molti !loso! si ri!utano di usare tale termine. Se vogliono discutere della classica questione !loso!ca del libero arbi-trio, preferiscono parlare di libertà d’azione e non di volontà perché dubitano della sua stessa esistenza. In tempi recenti alcuni studiosi hanno addirittura proposto di aggiornare il sistema giudiziario eliminando i concetti superati di libero arbitrio e di responsabilità.

Agli esordi della sua carriera di psicosociologo negli anni Settanta, Baumeister condivideva lo scetticismo generale nei confronti della forza di volontà. All’epoca i suoi colleghi si concentravano sull’autostima piuttosto che sull’autocontrol-lo e Baumeister era diventato uno dei primi sostenitori di questo approccio, perché dimostrava che le persone più si-cure delle proprie capacità e del proprio valore tendevano a essere più felici e più realizzate. Di conseguenza, per aiutare le persone a realizzarsi era suf!ciente trovare il modo per aumentare la !ducia in loro stesse. Per gli psicologi e per le masse che acquistavano manuali divulgativi sull’autostima sembrava un obiettivo più che ragionevole, tuttavia i risultati degli esperimenti condotti all’interno e all’esterno dei labo-ratori si erano rivelati deludenti.

Mentre i sondaggi internazionali indicavano che gli stu-denti di matematica americani nutrivano un’altissima au-tostima per le loro capacità, i test dimostravano che giap-ponesi, coreani e altri studenti dotati di minor autostima ottenevano risultati decisamente superiori.

Negli anni Ottanta alcuni ricercatori hanno ricomincia-

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to a interessarsi all’autocontrollo. Tuttavia, la resurrezione di tale concetto non è stata opera dei teorici, i quali erano ancora convinti che l’autocontrollo fosse un bizzarro mito ottocentesco, anche se nel corso di esperimenti condotti in laboratorio o sul campo continuavano a imbattersi in qual-cosa che vi assomigliava molto.

La volontà ritorna in auge

In psicologia, le teorie geniali si sprecano e la gente crede che i progressi ottenuti in questo campo siano merito di qualche nuova quanto straordinaria intuizione, ma di solito non fun-ziona così. Il dif!cile non è escogitare nuove idee: tutti hanno una speci!ca teoria sul perché ci comportiamo in un certo modo, il che spiega il motivo per cui gli psicologi sono stu! di sentirsi dire che le loro rivelazioni non sono niente di diverso da quello che dicevano le nostre nonne. In generale, i progressi non derivano dalle teorie ma dalla scoperta di sistemi intelli-genti per dimostrare tali teorie, come aveva fatto lo psicologo austriaco Walter Mischel. Quest’ultimo e i suoi colleghi non solo non avevano elaborato teorie sull’autocontrollo, ma non avevano nemmeno discusso dei loro risultati in termini di au-tocontrollo o di forza di volontà se non molti anni dopo.

Allo scopo di studiare in che modo un bambino impara a rinunciare alla grati!cazione immediata, avevano escogi-tato un sistema nuovo e creativo per osservare tale processo nei bambini di quattro anni. I ricercatori accompagnavano i bambini, uno alla volta, in una stanza dove mostravano loro una caramella e facevano loro una proposta prima di lasciar-li da soli. I bambini potevano mangiare la caramella quando volevano, ma se avessero resistito !no al ritorno del ricer-catore avrebbero ricevuto altre due o tre caramelle. Alcuni

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mangiavano subito la caramella, altri cercavano di resistere ma non ci riuscivano, ma certi bambini riuscivano ad aspet-tare la ricompensa maggiore per tutto il quarto d’ora neces-sario. Avevano più successo quelli che trovavano il modo di distrarsi, il che, all’epoca dell’esperimento negli anni Ses-santa, era sembrata una scoperta abbastanza interessante.

Tuttavia, molto più avanti Mischel aveva capito qualco-sa di diverso grazie a un colpo di fortuna. Poiché sua !glia frequentava la stessa scuola dove si era svolto l’esperimento della caramella, per parecchio tempo Mischel aveva avuto modo di sentire i discorsi della bambina a proposito dei suoi compagni di scuola. Così aveva potuto notare che i bambini che non erano stati capaci di aspettare sembravano più pro-pensi a cacciarsi nei guai sia a scuola sia nella vita. Per ca-pire se ci fosse veramente una connessione, Mischel e i suoi colleghi avevano rintracciato centinaia di soggetti dell’espe-rimento e scoperto che coloro che avevano dimostrato mag-gior forza di volontà all’età di quattro anni in seguito ave-vano ottenuto voti e risultati migliori, erano i più apprezzati dai compagni e dagli insegnanti, in età adulta percepivano retribuzioni superiori, avevano un indice di massa corporea inferiore, tendevano a non ingrassare con il passare degli anni e sembravano meno inclini all’uso di stupefacenti.

Tali risultati erano sbalorditivi, in quanto si riteneva ra-rissimo riuscire a prevedere !n dall’infanzia e su base sta-tistica signi!cativa determinati sviluppi dell’età adulta. Tut-tavia, esaminando tale letteratura negli anni Novanta, lo psicologo statunitense Martin Seligman aveva concluso che praticamente non esistevano prove convincenti a dimostra-zione che le esperienze dell’infanzia avrebbero un effetto sull’adulto, con le sole eccezioni dei traumi gravi e della mal-nutrizione. Le pochissime correlazioni signi!cative che ave-va notato fra valutazioni effettuate durante l’infanzia e nel

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corso dell’età adulta potevano essere spiegate perlopiù come il ri"esso di tendenze genetiche innate, come avere un brut-to o un bel carattere. Però, la forza di volontà per resistere a una caramella poteva benissimo avere una componente ge-netica, ma poteva anche essere riconducibile all’educazione e all’ambiente, producendo un raro vantaggio infantile che avrebbe potuto rivelarsi pro!cuo a vita. Quel vantaggio era sembrato ancora più notevole una volta veri!cati i bene!ci globali dell’autocontrollo, come aveva concluso Baumeister nel 1994 scrivendo che l’incapacità di dominarsi è la prin-cipale patologia sociale della nostra epoca. Tutto ciò sarebbe dimostrato da numerose prove, secondo le quali la scarsa padronanza di sé contribuirebbe all’alta percentuale di di-vorzi, alla violenza domestica, all’aumento della criminalità e a tutta una serie di altri problemi. Questo aveva indotto a effettuare nuovi studi ed esperimenti e a elaborare una sca-la per misurare il grado di autocontrollo nei test sulla per-sonalità. Confrontando i risultati scolastici con oltre trenta tendenze della personalità, i ricercatori avevano notato che l’autocontrollo era l’unico tratto che permetteva di prevedere il rendimento universitario, ancora più del quoziente intel-lettivo o del semplice caso. L’intelligenza allo stato puro era sicuramente un vantaggio, ma lo studio aveva dimostrato che l’autocontrollo era ancora più importante perché aiutava gli studenti a frequentare più assiduamente le lezioni, a de-dicare più tempo allo studio e meno tempo alla televisione.

Sul lavoro, i manager dotati di un elevato autocontrollo erano più apprezzati sia dai loro subordinati sia dai colle-ghi. In generale, le persone dotate di una buona padronan-za di sé sembravano particolarmente capaci di creare lega-mi soddisfacenti e duraturi con il prossimo, maggiormente in grado di capire gli altri e i loro punti di vista, più stabili emotivamente e meno soggetti ad ansia, depressione, para-

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noie, psicosi, comportamenti ossessivo-compulsivi, distur-bi dell’alimentazione, alcolismo e altri mali. Si incollerivano meno frequentemente e tendevano a essere meno aggressive verbalmente e !sicamente. Per contro, le persone poco ca-paci di dominarsi erano più inclini a usare violenza contro il partner e a commettere ripetutamente tutta una serie di altri reati. Uno studio condotto su ex detenuti rintracciati dopo anni dalla scarcerazione aveva infatti dimostrato che quelli dotati di minor autocontrollo tendevano a commettere altri reati e di conseguenza a scontare altre condanne.

Le prove più evidenti sono state pubblicate nel 2010, pro-prio mentre stavamo terminando la stesura di questo libro. Nel corso di uno studio meticoloso sul lungo termine, molto più vasto e approfondito di tutti quelli effettuati in preceden-za, un’équipe di ricercatori di varie nazionalità aveva sorve-gliato mille cittadini neozelandesi dalla nascita all’età di 32 anni. L’autocontrollo di ogni bambino era stato valutato in vari modi (tramite l’osservazione dei ricercatori, ma anche grazie alle relazioni di genitori, insegnanti e dei bambini stessi), ottenendo una misurazione particolarmente precisa. Questo aveva permesso di confrontare il punteggio ottenu-to con un’amplissima gamma di eventi veri!catisi nell’ado-lescenza e nell’età adulta dei soggetti. I bambini dotati di elevato autocontrollo erano diventati adulti con una salute !sica migliore, minori problemi di obesità, meno malattie a trasmissione sessuale e persino denti più sani (a quanto pare, un buon autocontrollo è associato al lavarsi regolar-mente i denti e al passarsi il !lo interdentale). L’autocontrollo è irrilevante nell’ambito della depressione nell’adulto, ma la sua assenza rende le persone più vulnerabili all’alcolismo e alle tossicodipendenze. I bambini incapaci di dominarsi, da adulti avevano tendenzialmente raggiunto un livello econo-mico inferiore, percepivano retribuzioni relativamente bas-

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se, avevano conti bancari ridotti, raramente erano proprie-tari dell’abitazione in cui vivevano e in pochi casi avevano fatto investimenti per la vecchiaia. Inoltre, erano in maggior numero genitori single, presumibilmente perché facevano più fatica ad autodisciplinarsi e ad accettare i compromessi dei rapporti sul lungo termine. Per contro, i bambini dotati di un buon autocontrollo avevano tendenzialmente relazioni affettive stabili e i loro !gli vivevano con entrambi i genito-ri. Ma soprattutto, i bambini dotati di scarso autocontrollo avevano da grandi scontato un maggior numero di pene car-cerarie. Tra le persone meno in grado di dominarsi, oltre il 40% aveva subito una condanna penale prima dei 32 anni, contro il 12% di coloro che, in gioventù, si erano posizionati ai livelli più alti della scala dell’autocontrollo.

Ovviamente, alcune di quelle differenze dipendevano dall’intelligenza, dalla classe sociale e dall’etnia, ciò nono-stante i risultati si sono dimostrati signi!cativi pur tenendo conto di tali fattori. In uno studio successivo gli stessi ricer-catori avevano osservato gli altri !gli delle stesse famiglie per poter confrontare bambini cresciuti in ambienti dome-stici analoghi. Anche in quel caso, i fratelli e le sorelle do-tati di minor autocontrollo durante l’infanzia se l’erano ca-vata meno bene da adulti, erano diventati più poveri, meno sani e più inclini a commettere reati. Nel complesso, lo stu-dio neozelandese si è rivelato il più convincente in assoluto, avendo misurato l’autocontrollo più precisamente e su un campione più vasto di popolazione, rispetto all’esperimen-to una tantum della caramella. Inoltre, il fatto di non essere stato condotto da ricercatori che volevano dimostrare una tesi sull’autocontrollo, lo rende più af!dabile. I soggetti era-no stati seguiti nel corso di parecchi anni e i dati, molto più obiettivi e non basati solo su resoconti soggettivi, erano stati raccolti durante un lungo arco di tempo. I risultati non po-

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tevano essere più chiari: l’autocontrollo è un’energia vitale e uno strumento formidabile di realizzazione personale.

Evoluzione e bon ton

Mentre gli psicologi scoprivano i bene!ci dell’autocontrollo, antropologi e neurologi cercavano di capire come questo si evolve. Il cervello umano si distingue per la presenza di lobi frontali ampi e complessi, che sono la causa di quello che a lungo è stato considerato il vantaggio evolutivo cruciale: l’in-telligenza per risolvere problemi ambientali. È abbastanza lo-gico, dopotutto, che un animale più intelligente sia in grado di sopravvivere e di riprodursi meglio di un animale ottuso. Ma i cervelli di grandi dimensioni necessitano di maggiori quantità di energia. Il cervello umano adulto costituisce il 2% dell’organismo, ma consuma oltre il 20% della sua energia. Quindi la materia grigia in più è utile solo se consente all’ani-male in questione di procurarsi le calorie in più che servono ad alimentarla, ma gli studiosi non riuscivano a capire in che modo il cervello si sostentasse. Che cosa aveva permesso che cervelli sempre più grandi, dotati di lobi frontali straordinari, si diffondessero nel genere umano?

Una delle prime spiegazioni riguardava le banane e altri frutti molto calorici. Gli erbivori non hanno bisogno di pen-sare troppo per trovare di che cibarsi, ma un albero carico di banane mature oggi, domani può essere già stato depre-dato o essere rimasto solo con frutti mosci, brunastri e poco invitanti. Chi si nutre di banane ha bisogno di un cervello più grande per ricordare dove si trovano i frutti maturi e tale cervello può essere alimentato dalle calorie delle bana-ne, quindi la teoria del «cervello cercafrutta» sembrava mol-to sensata, ma solo in teoria. L’antropologo Robin Dunbar

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non aveva trovato alcuna convalida esaminando i cervelli e la dieta di animali diversi: le dimensioni del cervello non sono correlate al tipo di alimentazione. Dunbar alla !ne ave-va concluso che il cervello non si è ingrandito per affronta-re l’ambiente !sico, ma per uno scopo ancora più cruciale per la sopravvivenza: la vita sociale. Gli animali dal cervello più grande formano rapporti sociali più ampi e complessi, il che ha suggerito un nuovo modo per comprendere l’Ho-mo sapiens. Gli esseri umani sono i primati dotati dei lobi frontali più ampi perché fanno parte dei gruppi sociali più numerosi e, apparentemente, è per questo che hanno mag-giormente bisogno dell’autocontrollo. Spesso si considera la forza di volontà come una dote che ci permette di migliorar-ci (seguire una determinata dieta, svolgere il proprio lavoro puntualmente, fare esercizio !sico, smettere di fumare), ma probabilmente non è questo il motivo principale per cui si è evoluta a tal punto nei nostri antenati. I primati sono ani-mali sociali che devono dominarsi allo scopo di andare d’ac-cordo con gli altri membri del gruppo di appartenenza, in quanto dipendono gli uni dagli altri per procurarsi il cibo di cui necessitano per sopravvivere. Al momento della condi-visione del cibo, spesso è il maschio più grande e più forte a scegliere per primo cosa mangiare, mentre gli altri aspet-tano il loro turno in base alla loro posizione sociale. Per so-pravvivere in un gruppo di questo genere senza scontrarsi fra loro, tali animali devono reprimere l’impulso di mangia-re immediatamente. Scimmie e scimpanzé non potrebbero fare pasti in santa pace se avessero cervelli da galline e !ni-rebbero per sprecare più calorie di quelle che assumono per contendersi il cibo.

Altri primati possiedono le capacità mentali per rispet-tare un minimo di etichetta a cena, ma il loro autocontrollo è sempre microscopico rispetto a quello umano. Gli esperti

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ipotizzano che i primati non umani più intelligenti siano in grado di piani!care mentalmente un futuro di non oltre 20 minuti, il tempo necessario per lasciar mangiare il maschio dominante, ma non suf!ciente per fare progetti per il dopo cena. Alcuni animali, come gli scoiattoli, sotterrano istinti-vamente il cibo per recuperarlo in seguito, ma questi sono comportamenti programmati e non progetti consapevoli di approvvigionamento. Nel corso di un esperimento svolto su scimmie alimentate una sola volta al giorno, si è visto che queste ultime non imparavano a mettere da parte il cibo per il pasto successivo. Pur potendo prendere tutto ciò che volevano durante il pasto di mezzogiorno, si limitavano a mangiare a sazietà, ignorando gli avanzi oppure sprecandoli e contendendoseli tra loro. Ogni mattina si svegliavano af-famate perché non veniva loro in mente di accantonare una parte del cibo per uno spuntino serale o per la colazione.

Gli esseri umani ci arrivano grazie al cervello di maggiori dimensioni sviluppatosi nei nostri antenati del genere Homo due milioni di anni fa. L’autocontrollo agisce in larga parte inconsciamente. Durante un pranzo di lavoro, non dovete certo trattenervi consapevolmente dal mangiare la carne dal piatto del vostro capo! Il vostro cervello inconscio vi aiuta costantemente a evitare i disastri sociali e lavora in maniera così so!sticata ed ef!ciente che alcuni psicologi arrivano a considerarlo il vero capo. L’infatuazione per i processi in-consci scaturisce da un errore fondamentale commesso da ricercatori che si ostinano a frammentare il comportamento in segmenti sempre più brevi, individuando reazioni che si veri!cano così rapidamente che non possono essere decise a livello conscio. Se si cerca la causa di un determinato mo-vimento in un arco di tempo misurato in millisecondi, la causa immediata sarà l’attivazione delle cellule nervose che collegano il cervello ai muscoli. Questo processo non com-

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porta alcuna consapevolezza perché non ci si rende con-to dell’attivazione delle cellule nervose. La volontà, invece, è da ricercare nel collegamento di vari segmenti nel corso del tempo, esaminando ogni situazione nell’ambito di uno schema generale. Fumare una sola sigaretta non danneggia la salute, così come assumere eroina una volta non crea di-pendenza. Una fetta di torta non fa ingrassare e il mancato rispetto di una scadenza non rovina la carriera. Tuttavia, allo scopo di mantenersi sani e occupati bisogna conside-rare ogni episodio (o quasi) come il ri"esso della necessità globale di resistere a tali tentazioni. È qui che entra in gioco l’autocontrollo, che determina la differenza fra il successo e il fallimento in quasi tutti gli aspetti della vita.

Perché leggere questo libro?

Il primo passo per acquisire l’autocontrollo è stabilire un obiettivo, quindi vi illustriamo lo scopo di questo libro: cer-care di sposare il meglio delle moderne scienze sociali con il buon senso pratico dell’Ottocento. Vogliamo spiegarvi perché la forza di volontà, o la sua mancanza, ha condizionato la vita dei grandi e dei meno grandi. Vogliamo raccontarvi la storia della riscoperta dell’autocontrollo e delle sue implicazioni sul campo.

Quando hanno cominciato a notare i bene!ci dell’auto-controllo, gli psicologi si sono ritrovati di fronte a un nuovo enigma: che cos’è esattamente la forza di volontà? Che cosa spinge l’io a resistere a una caramella? Quando aveva affron-tato tali interrogativi, Baumeister possedeva una conoscenza dell’io più o meno in linea con la visione convenzionale di allora, de!nita modello di elaborazione delle informazioni, per cui lui e i suoi colleghi parlavano della mente come di

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un piccolo computer. Tali modelli informatici della mente umana generalmente ignoravano i concetti di forza e di ener-gia, ormai talmente fuori moda che nessuno si sognava più di contestarli. Baumeister non prevedeva di dover cambiare di colpo la sua visione dell’io, tantomeno quella degli altri, ma quando lui e i suoi colleghi avevano cominciato a effet-tuare esperimenti, le vecchie idee non erano più sembrate così datate.

Il risultato di decine di esperimenti condotti nel laborato-rio di Baumeister e di centinaia effettuati altrove è una nuova comprensione della forza di volontà e dell’io. Noi cerchere-mo di spiegarvi quanto abbiamo appreso sui comportamen-ti umani e come sfruttare tali conoscenze per cambiare in meglio. Acquisire l’autocontrollo non è così semplice come le tecniche illustrate nei moderni manuali di auto-aiuto, ma non è nemmeno quel processo repressivo e soffocante che aveva caratterizzato l’età vittoriana. Sostanzialmente, impa-rare a dominarsi aiuta a rilassarsi, perché rimuove lo stress e mette in grado di sfruttare la forza di volontà in vista de-gli impegni più importanti. Siamo convinti che questo libro può rendere la vostra vita non solo più produttiva e soddi-sfacente, ma anche più semplice e felice.

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