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2014 Vilfredo Pareto ed il dibattito liberista sulle ferrovie nella Toscana della seconda metà dell’Ottocento. Simone Fagioli
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Vilfredo Pareto ed il dibattito liberista sulle ferrovie nella Toscana della seconda metà dell'Ottocento

Jan 25, 2023

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Page 1: Vilfredo Pareto ed il dibattito liberista sulle ferrovie nella Toscana della seconda metà dell'Ottocento

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Vilfredo Pareto ed il dibattito liberista sulle ferrovie nella Toscana della seconda metà dell’Ottocento.

Simone Fagioli

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Versione in italiano di Vilfredo Pareto and the Liberal debate about railways in Tuscany in the mid-

nineteenth century, comunicazione presentata alla 18th Annual Conference of the European Society

for the History of Economic Thought (ESHET), University of Lausanne (Switzerland), 29-31 May 2014.

[email protected]

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1. Introduzione. In linea generale lo sviluppo della rete ferroviaria negli stati italiani preunitari innesca

molteplici processi: economici, sociali, culturali e un diffuso dibattito sui benefici o gli “accidenti” di questo nuovo mezzo di trasporto. L’impulso più immediato ed efficace alla profonda trasformazione, che muta radicalmente la struttura economica di così larga parte dell’Europa, è dato dal progresso delle costruzioni ferroviarie; questo assai lento e limitato a pochi paesi fino al 1840, si fa più intenso nel decennio successivo e raggiunge appunto la massima rapidità nel ventennio 1850-701.

In Italia la nascita – con la linea Napoli-Portici inaugurata il 3 ottobre 1839 – e il successivo sviluppo di una rete pone subito le basi per un inquadramento politico: Nel pensiero politico degli uomini del Risorgimento italiano la questione ferroviaria occupò un posto di primo piano. Le strade ferrate erano considerate lo strumento essenziale in grado di sconfiggere l’arretratezza economica del paese e di favorirne la crescita morale e culturale. La ferrovia era vista come supporto di libertà in una funzione che trascendeva quella meramente economica e commerciale, pur senza trascurarla, per stimolare istanze unitarie ed indipendentistiche2.

Per restringere il campo alla Toscana confrontando i progetti della linea Porrettana - collegamento tra Bologna e Pistoia-Firenze - quello sviluppato da Tommaso Cini, di San Marcello Pistoiese e quello del comitato della città di Prato, tra gli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento, è possibile proporre un’ulteriore analisi in ambito economico: Il Cini badava semplicemente alla valorizzazione di Pistoia e della sua montagna; del resto anche il padre, all’atto della costruzione della cartiera, aveva avuto lo stesso proposito, cioè soprattutto debellare la povertà della montagna pistoiese. I pratesi miravano al collegamento più veloce possibile tra nord e sud Italia, in un’ottica meno riduttivamente regionalistica e più italiana3.

Il progetto di tracciato di Tommaso Cini sarà poi quello messo in atto con la costruzione della linea, analizzato anche da Ilarione Petitti di Loreto, figura rilevante nel dibattito italiano sulle nuove linee ferroviarie e fortemente critico riguardo a progetti troppo approssimativi:

Una strada ferrata che da Pistoia per la Valle dell'Ombrone, e, superato l'Appennino per quella del Reno vada a Bologna per la regione della Porretta, la quale dà ora il nome all'ottima strada ordinaria attuale, sarà una strada sommamente utile al commercio della Toscana, perché favorirà le speculazioni del porto franco di Livorno, il quale meglio potrà provvedere l’Italia centrale delle merci che arrivano a quello scalo; - perché servirà a congiungere il Mediterraneo coll’Adriatico, quando saran mandati ad effetto gli altri divisamenti ideati di vie ferrate conducenti da Bologna per l’Emilia ad Ancona, e per Ferrara, Rovigo e Padova a Venezia […] perché, protendendosi da Bologna la divisata via ferrata per gli Stati estensi, parmensi, lombardi e sardi, colle decretate od ideate strade che dovranno attraversarli, farà comunicare Livorno e Firenze con Modena, Parma, Piacenza, Milano, Torino e Genova4.

Per inquadrare il tema in un contesto preciso, ossia nei primi anni dell’unificazione del

Regno d'Italia, esattamente subito dopo l’apertura completa della Porrettana (1864) che sarà l’asse portante del sistema ferroviario italiano per settant'anni, la situazione generale delle linee di comunicazione era piuttosto critica e risentiva di una molteplice rete di fattori

1 G. Luzzatto, L’economia italiana dal 1861 al 1894, Torino, Einaudi, 1997. 2 A. Giuntini, I giganti della montagna. Storia della ferrovia direttissima Bologna-Firenze (1854-

1934), Firenze, Olschki, 1984, p. 1. Cfr. Idem, Leopoldo e il treno. Le ferrovie nel Granducato di Toscana 1824-1861, Napoli, EDS, 1991.

3 Idem, p. 31 4 I. Petitti di Roreto, Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse. Cinque discorsi,

Capolago, Tipografia e libreria Elvetica, 1845, p. 244.

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negativi: frazionamento del territorio durante la principali fasi costruttive ante 1861, complessi aspetti geomorfologici, interessi politico-finanziari, nonché errori di valutazione, di programmazione e di progettazione. Questi temi erano validi anche in quello che era stato il Granducato di Toscana, pur se qui la situazione fosse stata migliore che in altre regioni. In linea generale la valenza complessiva delle ferrovie, malgrado le apparenze anche puramente statistiche a livello nazionale, ne usciva dopo l’Unità se non sconfitta almeno ridimensionata, nelle funzioni di sviluppo economico-sociale: alle ferrovie, e alle infrastrutture in genere, fu assegnato un compito più politico che economico, e anche per questo si puntò sulle grandi realizzazioni di facciata piuttosto che sulle linee che avrebbero potuto incidere più significativamente sul nascente sistema industriale. […] L’ispirazione assai più commerciale che industriale portava a una lettura delle ferrovie in chiave di supporto ai traffici e non in un ambito di sviluppo di aree industriali, tanto che la maggior parte delle linee furono pensate e indirizzate verso il collegamento fra città e non con le zone industriali. Al treno fu richiesto di farsi unificatore di un paese troppo diverso per accettare immediatamente e senza traumi un mutamento politico di portata enorme5.

E ancora: La vocazione prevalente era ancora quella agricola e i trasporti venivano concepiti principalmente, oltre che come supporto insostituibile per l’unificazione fisica del paese, come veicolo principale per la commercializzazione dei prodotti agricoli. Si assiste però fin da ora a un chiaro assecondamento del primo sviluppo industriale nell’Italia nordoccidentale. La rete infrastrutturale si sviluppa seguendo da una parte il tentativo di mettere insieme i brandelli che formeranno il paese nuovo; e dall’altro rafforzando quelle aree che economicamente e industrialmente già si distinguevano prima dell’unificazione6.

Ed è proprio questo nodo, l’aver assegnato alle ferrovie un ruolo eminentemente politico, che andremo ad analizzare verificando il dibattito di ambito liberista che si sviluppa in merito a ciò in Toscana nel secondo Ottocento e le riflessioni e le posizioni che assume in esso Vilfredo Pareto in alcuni interventi pubblici durante i suoi anni toscani (1870-1893).

5 A. Giuntini, Nascita, sviluppo e tracollo della rete infrastrutturale, in Storia d’Italia, Annali 15,

L’industria, a cura di F. Amatori, D. Bigazzi, R. Giannetti e L. Segreto, Torino, Einaudi, 1999, p. 559. 6 Idem, p. 557.

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2. Vilfredo Pareto in Toscana. Dal 1870 al 1893 Vilfredo Pareto vive e lavora in Toscana. Ventitré anni da suddividere in tre periodi: dal 1870 al 1873 quando subito dopo la laurea in ingegneria a Torino s’impiega negli uffici di Firenze della Società anonima delle Strade Ferrate Romane, Ufficio centrale del servizio del materiale e della trazione con il ruolo d’ingegnere straordinario; dal 1873 al 1890 quando è manager della Società per l’Industria del Ferro prima e della Società delle Ferriere Italiane poi (stesse aziende ma con cambio di proprietà e ragione sociale) e dal 1891 al 1893 quando si ritira a Fiesole e attende esclusivamente a studi d’economia.

Gli anni toscani sono essenziali per la sua formazione culturale, sociale, politica. Esperienze pratiche ed elaborazioni teoriche che tuttavia si riversano nella sua vita professionale, creano le basi per la seconda parte della sua vita ossia il periodo svizzero dal 1893 al 1923, con l’insegnamento di Economia Politica e Sociologia all’Università di Lausanne e l'articolata pubblicistica: “Gli anni che vanno dal 1870 al 1890 sono importantissimi giacché le esperienze acquisite e le riflessioni accumulate in quei due decenni, forniranno il plinto su cui poi sarà poggiata tutta l’opera elaborata in Svizzera”7. La partecipazione al dibattito politico ed economico toscano e nazionale del Pareto si compie attraverso due linee che possono sembrare, rispetto agli scopi, parallele ma che invece sono coincidenti: l’Accademia dei Georgofili8 e la Società Adamo Smith con il suo organo ufficiale, “L’Economista”9, entrambe di Firenze. In incontri pubblici organizzati dalle due associazioni10 il Nostro discute e prende parte al dibattito su temi di stretta attualità quali tariffe doganali, commercio internazionale, sistemi elettorali ed appunto le ferrovie, mostrando subito un limpido pensiero. Sulle ferrovie il Pareto ha in ogni caso significative competenze: abbiamo visto che dal 1870 al 1873 lavora come ingegnere presso la Società anonima delle Strade Ferrate Romane, con un ruolo prettamente tecnico11 ed in seguito in ambito metallurgico approfondisce i temi del trasporto delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti, sia in ambito locale che nazionale ed internazionale. In questo quadro matura una valida esperienza che si intreccia con i dibattiti teorici ai quali partecipa, esperienza che gli permette di sviluppare modelli di valutazione non esclusivamente ideologico-politici12.

7 G. Busino, Pareto redivivo?, in Economia, sociologia e politica nell’opera di Vilfredo Pareto, a cura

di C. Malandrino e R. Marchionatti, Firenze, Olschki, 2000, p. 4. 8 Prestigiosa istituzione agraria ed economica fondata a Firenze nel 1753 ed ancora in attività. 9 Associazione liberista fondata a Firenze nel 1872. Cfr. a titolo generale J. M. Stuart, The history of

Free trade in Tuscany with remarks on its progress in the rest of Italy, London, Cassel, Petter & Galpin, 1876. Cfr. anche Firenze e l’Europa liberale. “L’Economista” (1874-81), a cura di M. Poettinger, Firenze, Polistampa – Fondazione Spadolini Nuova Antologia, 2013 e Carlo Fontanelli. Manuale popolare di economia sociale (1881) con lettere inedite a Emilia Peruzzi, a cura di L. Pallini, Firenze, Le Monnier – Fondazione Spadolini Nuova Antologia, 2012.

10 Cfr. a titolo di esempio Conferenze sulla rappresentanza proporzionale, adunanza del 29 giugno 1872, in “Atti della Reale Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze”, serie IV, vol. II, 1872, pp. 99-211.

11 Cfr. T. Giacalone Monaco, L’Ing. Vilfredo Pareto nella Società delle strade ferrate romane (1870-1873), in “Giornale degli Economisti e Annali di Economia”, NS, A. 22, n. 7/8 (Luglio-Agosto 1963), pp. 538-579.

12 Cfr. S. Fagioli, Vilfredo Pareto minatore e agricoltore nella Toscana del secondo Ottocento, Firenze, Firenze, Polistampa – Fondazione Spadolini Nuova Antologia, in corso di stampa.

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3. Vilfredo Pareto e il dibattito sul riscatto delle ferrovie da parte dello Stato. Se si osserva la bibliografia13 del Pareto per gli anni toscani si vede come il suo interesse al

dibattito sulle ferrovie si manifesti pubblicamente a partire dal 1876 sul tema del riscatto da parte dello Stato14, aspetto sul quale l’élite economico-sociale facente riferimento alla destra storica toscana era particolarmente sensibile, seppur con posizioni eterogenee15. Questo non significa che negli anni precedenti il Pareto non mostrasse interesse in merito: un esame anche superficiale della corrispondenza di quegli anni evidenzia come l’analisi della gestione del sistema ferroviario, in senso generale, anche al fine di migliorare il servizio fosse per lui significativo16.

Ma è proprio che nel 1876 il Pareto organizza personalmente17 a Genova due incontri, il 2 ed il 3 febbraio, presso la Società di letture e conversazioni scientifiche dal titolo Il riscatto delle ferrovie, incontri dei quali entro il mese sarà pubblicato il resoconto sul “L’Economista”18.

Tema e data non appaiono casuali. Nel 1875 Léon Walras pubblica L’état et les chemins de fer19: in esso l’autore pone alcune questioni rilevanti, non certo ultima, anzi proprio come introduzione, un giudizio al modello liberista inteso come risposta acritica a modelli differenti, un giudizio anche alla sua interpretazione:

Il est positif que, pour certains économistes, l'économie politique et sociale est une science qui tient

tout entière dans ces quatre mots: Laisser faire, laisser passer. Quelle que soit la question qu'on leur pose, et qu'il s'agisse du travail des enfants et des femmes dans les manufactures ou du régime des colonies, du commerce des blés ou de l'industrie des transports, ils n'y voient jamais qu'une seule et unique solution possible: l'initiative individuelle s'exerçant dans la plénitude de sa liberté. Qu'on parcoure l'article: Chemins de fer, de M. Michel Chevalier, dans le Dictionnaire de l'économie politique article, remarquable à bien des égards, et demeuré tel quoique écrit depuis près de vingt-cinq ans, on y verra discutés successivement tous les problèmes que soulèvent ces voies de communication, sauf

13 Cfr. F. Mornati, Bibliografia cronologica di Vilfredo Pareto, in V. Pareto, Ouvres completes, Tome

XXXII, Inédits et addenda. Ecrits retrouvés, transcrits et annotés par Fiorenzo Mornati, Genève-Paris, Librairie Droz, 2005, pp. 299-376.

14 Per un inquadramento anche antologico su questo tema cfr. T. Giacalone-Monaco, Pareto e Sorel. Riflessioni e critiche, 2 V., Padova, Cedam, 1960.

15 “A me l’idea del Bastogi sul riscatto delle ferrovie di persuade abbastanza, ma aspetto le decisioni che prenderà la Società Adamo Smith. Se si delibera che ognuno discorra a modo suo sul riscatto studierò e svilupperò l’idea del Bastogi. Se, invece, si vede che conviene, per ora, unirsi contro il riscatto starò zitto, il che è tutto quello che posso fare poiché, naturalmente non parlerei mai contro la mia opinione.”, V. Pareto, lettera a E. Peruzzi del 4 aprile 1876, in V. Pareto, Lettere ai Peruzzi, 1872-1900, a cura di T. Giacalone-Monaco, 2 V., Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1968, V. I, pp. 580-581.

16 Cfr. in senso generale V. Pareto, Lettere ai Peruzzi, cit. 17 “Aperta la seduta il presidente della Società, dà la parola all’ingegnere Vilfredo Pareto promotore

della conferenza.”, in Il riscatto delle ferrovie alla Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova, Prima riunione, 2 febbraio 1876, in “L’Economista”, 14 febbraio 1876, pp. 165.

18 Il riscatto delle ferrovie alla Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova, Prima riunione, 2 febbraio 1876, in “L’Economista”, 14 febbraio 1876, pp. 165-167; Il riscatto delle ferrovie alla Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova, Seconda riunione, 3 febbraio 1876, in “L’Economista”, 20 febbraio 1876, pp. 201-203. Cfr. anche “La Gazzetta di Genova”, n. 25, 31 gennaio 1876, p. 2 e Idem, n. 26, 1 febbraio 1876, p. 3 con cenni al programma della conferenza. Nel numero del 5 febbraio (“La Gazzetta di Genova”, n. 30, 5 febbraio 1876, p. 2) è riportato un brevissimo resoconto della seduta del 3 febbraio (ringrazio Simona Rossi per le segnalazioni). Anche “La Nazione” di Firenze ne accenna, cfr. Strade ferrate, in “La Nazione, 15 febbraio 1876, p. 1. L’anno successivo, il 4 maggio la Società genovese propone un nuovo incontro sul sistema ferroviario, dove il Pareto ed il Genala vengono invitati, ma il primo declina la partecipazione, cfr. V. Pareto, lettera a E. Peruzzi del 3 maggio 1876, in V. Pareto, Lettere ai Peruzzi, cit., V. I, p. 584.

19 L. Walras, L’État et les chemins de fer, in “Revue de Droit et de Science Politique en France et à l’étranger”, t. 7, 1885, 417-436, t. 8, 1885, pp. 42-61

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un seul: celui de savoir si ce ne serait point à l'État de les construire et de les exploiter. L'auteur ne semble pas mettre en doute un seul instant que cette tâche n'incombe à des compagnies privées. A un certain moment, il nous parle de l'exploitation des chemins de fer telle qu'elle se faisait en Angleterre, vers 1843; il nous apprend que quelques personnes trouvaient cette exploitation “très peu conforme à l'intérêt public”, et demandaient que les chemins de fer anglais “fussent rachetés et exploités par l'État”. Puis il ajoute: “Cette conclusion était forcée. Le gouvernement anglais aurait eu tort de s'emparer des chemins de fer en les rachetant d'autorité. C'eût été une atteinte très sérieuse à l'esprit d'association qui est une des forces vitales de la société anglaise. C'eût été une attaque contre la liberté de l'industrie qui est un des attributs indispensables de la société moderne. Jusque là, dans les chemins de fer, les administrateurs s'étaient mépris, la liberté de l'industrie avait fait un écart. Ce n'était pas une raison pour exercer envers les compagnies des violences et pour entraver systématiquement la liberté de l'industrie en matière de chemins de fer. Les associations étaient accessibles à la raison. La liberté de l'industrie portait en elle-même, le temps aidant, le remède à ses propres excès20. […] On le voit: la construction et l'exploitation des chemins de fer par des compagnies privées et la libre émission des billets de banque sont des applications du principe de la liberté de l'industrie ou de la liberté du travail; et tout homme qui ne sera pas partisan de ces systèmes sera un adversaire du principe de la liberté de l'industrie ou de la liberté du travail, un ennemi de l'économie politique, tranchons le mot, un socialiste. Et pourtant, il ne faut pas creuser beaucoup pour reconnaître que, par des motifs différents, mais également décisifs, l'émission des billets de banque n'a rien de plus à faire avec la liberté du travail que la construction et l'exploitation des chemins de fer avec la liberté de l'industrie21.

Il Pareto nella preparazione dell’incontro si documenta su quanto avveniva in Europa in merito e di questo parla diffusamente a dicembre in una lettera a Emilia Peruzzi22, in tal senso, seppur non lo cita esplicitamente, è ragionevole che conoscesse il lavoro del Walras e le sue posizioni: Carissima Signora Emilia,

Ho ricevuto lettere da Genova23. Accolgono con entusiasmo la proposta della conferenza e lasciano a me di fissarne il giorno purché sia un mercoledì. Io avrei pensato di farla il 26, senta un po’ il Sig.r Ubaldino24 per sapere se gli pare che vada bene ed allora scrivo subito a Genova.

[…] Ora bisogna pensare a muovere la gente e perciò mi permetta di ricorrere un po’ alla sua inesauribile

e benevola attività. Prima di tutto avrei bisogno di una lista di persone da invitare che trasmetterei subito a Genova. Il Genala25 ha promesso di venire; chi altro si può sperare che venga? Non ci sarebbe modo di mettere su il Cini26 che pare avere molta passione a questo argomento? Poi vorrei sapere se il Boccardo è con noi o contro noi per regolarmi nello scrivergli; ella che ha il genio de’ bigliettini non gliene potrebbe scrivere uno per poter poi dalla risposta giudicare della di lui opinione?

Il marchese Salvago27 ha relazioni a Genova e mette conto scrivergli (il che potrei fare io) perché faccia propaganda?

20 Nota originale: “Dictionnaire de l'économie politique, t. I, p. 353”. 21 L. Walras, L’État et les chemins de fer, cit. pp. 417-418. 22 V. Pareto, lettera a E. Peruzzi del 3 dicembre 1875, in V. Pareto, Lettere ai Peruzzi, cit., V. I, pp.

553-554. 23 Ricerche condotte presso l’archivio della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova,

ancora attiva, non hanno dato alcun esito. 24 Ubaldino Peruzzi (1822-1891), ingegnere minerario, deputato, sindaco di Firenze, ministro, figura

di grande rilievo politico e culturale, non ultimo mentore di Vilfredo Pareto durante gli anni toscani. 25 Francesco Genala: si veda oltre. 26 Bartolomeo Cini, (1809 – 1877), imprenditore e deputato. Si occupa attivamente di problemi

ferroviari, compreso la gestione pubblico/privata, cfr. B. Cini, Dell’esercizio delle strade ferrate, in “L’Economista”, Gennaio 1876, poi, idem, Firenze, Tipografia della Gazzetta d’Italia, 1876, con posizioni non dissimili a quelle espresse dal Pareto a Genova (si veda oltre).

27 Paris Maria Salvago (1831-1899) membro di influente famiglia genovese, deputato, presidente del comitato promotore della Società Italiana di Educazione Liberale (1875); in questa veste promuove l’introduzione dell’insegnamento della Scienza delle Finanze nella Scuola di Scienze sociali di Firenze

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Dall’Airoli28 si può sapere se il Conte29 è favorevole o contrario, in ambo i casi è prezioso come alleato, sia come avversario.

Ora pensiamo ai materiali della conferenza. Appena il Cini le avrà restituito gli articoli inglesi e belgi mi farebbe un gran favore mandandomeli a San Giovanni. Ho scritto al Bastogi30 e spero accomodare la faccenda del Franqueville31. Scrivo anche a Franco32 per vedere se c’è il modo di avere il Coquerel33, che Spaventa34 citava in opposizione al Mill35.

Abbiamo postillato in modo approfondito questa lettera per sottolineare come le

personalità segnalate dal Pareto fossero senza dubbio di grande rilievo non solo nel dibattito in merito alla gestione delle ferrovie ma anche più in generale in una discussione sui modelli liberisti, siano essi pro o contro. Alla conferenza di Genova prenderanno poi effettivamente parte solo alcuni di questi, con l’aggiunta di altri: Antonio Ponsiglioni36, Camillo Pallavicini37, Francesco Genala, Virgilio38, Cogorno39. La conferenza stava davvero molto a cuore al Pareto e ne accenna in lettere successive alla Peruzzi, come quella del 24 dicembre 1875: “Venne qui Camillo Fenzi e il capitano Galton, simpaticissimi. Questo ultimo dice che in Inghilterra non vi sono che uomini colla testa per aria che vogliono dare le ferrovie allo stato, e dice che non vi riusciranno mai”40. La data proposta del 26 dicembre non viene approvata e ancora nel gennaio del nuovo anno attivamente progetta e promuove l’incontro.

(1876). Cfr. L’Archivio Salvago Raggi. Registri contabili e filze di documenti, a cura di S. Patrone, Genova, Quaderni del Centro di studi e documentazione di Storia economica “Archivio Doria”, 2004, pp. LIX-LX.

28 Giacomo Filippo Airoli (1831-1905), docente di fisica e storia nei licei; tra i suoi lavori appaiono significativi La logica nella democrazia americana, Firenze, Rassegna Nazionale, 1885, Democrazia americana. Capitoli quattro, Città di Castello, Lapi, 1887. Su di lui in generale cfr. G. Licata, La “Rassegna Nazionale”. Conservatori e cattolici liberali italiani attraverso la loro rivista (1879-1915), Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1968 e G. Massara, Viaggiatori italiani in America (1860-1970), Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1976, in specifico pp. 52-53.

29 Seppur questa figura appaia citata con una certa frequenza nelle lettere ai Peruzzi non siamo stati in grado in individuarla.

30 Pietro Bastogi (1808 – 1899), politico, finanziere e industriale italiano, deputato, ministro delle Finanze nel governo Cavour e nel primo governo Ricasoli, fonda nel 1862 la Società italiana per le strade ferrate meridionali; vota con il gruppo toscano della destra contro la nazionalizzazione delle ferrovie nel 1876.

31 Amable-Charles Franquet conte de Franqueville (1840-1919), giurista, consigliere di stato francese, Secrétaire de la commission centrale des chemins de fer, si occupa soprattutto allo studio delle istituzioni britanniche, con riferimento anche alle gestione pubblica o privata delle ferrovie, analizzata in Du Régime des travaux publics en Angleterre. Rapport adressé à M. le ministre des Travaux publics, Paris, Hachette, 1874.

32 Giulio Franco, in quel momento direttore de “l’Economista”. 33 Athanase Josuè Coquerel (1820-1875), teologo e scrittore francese, figura rilevante dell’Unione

Protestante Liberale, che aveva come scopo di conciliare il pensiero cristiano con la dottrina liberale. 34 Silvio Spaventa (1822-1893), patriota, deputato, dal 1873 Ministro dei Lavori pubblici ed in questa

veste forte fautore del passaggio allo Stato delle linee ferroviarie, aspetto che lo portò a scontrarsi con il gruppo parlamentare toscano del Peruzzi.

35 John Stuart Mill (1806-1873), economista e filosofo britannico. 36 Antonio Ponsiglioni (1842-1907), avvocato, docente, deputato della sinistra (dal novembre 1876),

a febbraio 1876 era professore ordinario di Economia politica all'Università di Genova, cfr. L. Piccinno, Il pensiero economico di Antonio Ponsiglioni, un docente parlamentare (1842 - 1907), Varese, Università degli studi dell’Insubria, 2003.

37 Persona non identificata. 38 Persona non identificata. 39 Persona non identificata. 40 V. Pareto, lettera a E. Peruzzi del 24 dicembre 1875, in V. Pareto, Lettere ai Peruzzi, cit. V. I, p. 557.

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Molto significativo un cenno ad una considerazione di Ubaldino Peruzzi che il Pareto approfondisce:

Ed il Sig. Ubaldino aggiungeva un’ottima osservazione, diceva: noi toscani siamo già scontati, nella

quistione delle ferrovie, bisognerebbe che qualcuno di fuori vi prendesse parte. Io, rimuginando queste cose, pensando all’ardore con quale ella, Signora Emilia, aveva fatto venire e le riviste inglesi, e i numeri del Sole, e i documenti belgi, e dimenticandomi l’adagio: sortout pas de zéle, credetti che il muovere un po’ d’opinione fuori di Firenze sarebbe stato da lei approvato ed alla società Adamo Smith particolarmente gradito.

Invece è tutto l’opposto! […] Io combatto l’esercizio delle ferrovie per parte dello stato perché lo credo una sventura pel mio paese, e sebbene lavori attivamente per lasciarlo e speri riescirvi fra non molto; finché ci sono stimo mio dovere di adoperare le pochissime mie forze per quello che credo giusto e buono41.

Lo “scontro” accennato con la Società Adamo Smith riflette gli attriti in sede governativa tra la maggioranza e la corrente toscana: il 18 marzo 1876, quindi a poco più di un mese dalla conferenza di Genova del 2-3 febbraio, la Destra storica termina l’incarico di governo con le dimissioni di Marco Minghetti, causate come atto estremo dalla messa in minoranza in parlamento proprio sul tema della nazionalizzazione delle ferrovie. Messa in minoranza anche tecnica per l’uscita dalla maggioranza della “consorteria” toscana guidata dal Peruzzi che su questo tema aveva posizioni più moderate. Tra marzo ed aprile 1876 è la Società Adamo Smith, ufficialmente, che promuove a Firenze una serie di incontri sul riscatto delle ferrovie, incontri dei quali si hanno resoconti su “L’Economista”, la stampa nazionale42 e sono poi pubblicati in volume43. Nei giorni stessi della conferenza di Genova il Pareto scrive alcune lettere alla Peruzzi dove la informa dei preparativi e infine dell’esito: “La conferenza andò benissimo e seguita questa sera. Il Genala fece uno splendido discorso e fu felicissimo, l’ho sentito poche volte discorrere con tanto impeto, nemmeno quando si trattava della sua proporzionale. Il Virgilio non diede né tinche né ceci, fu dell’opposizione, ma moderatamente e, al solito, dicendo che in teoria era per la libertà, ma che in pratica bisognava qualche volta discostarsi dai principii”44. La conferenza ha senza dubbio un notevole rilievo nell’esame obbiettivo della questione e il confronto degli interventi presenta una serie di posizioni chiare in merito. Senza dubbio un valore del Pareto è stato quello di invitare e coordinare figure rilevanti, che in altri contesti avrebbero assunto un valore di mero scontro politico più che di esame oggettivo. È necessario riportare nella loro interezza gli interventi del Pareto a Genova.

È una questione, signori lungamente discussa e mai risoluta, quella di sapere a chi conviene meglio che appartenga la proprietà e lo esercizio delle ferrovie, se cioè ai privati, od al Governo. In Inghilterra, il paese classico delle ferrovie, dove assai prima che Roberto Stephenson lanciasse sui regoli di ferro la poderosa macchina a vapore, già erano in uso pei rotabili comuni le vie di ferro, si cominciò dalla libertà assoluta senza restrizioni, senza sottointesi. La società esercente, era libera nel determinare le tariffe, i treni, gli orari, libera di accettare o respingere i veicoli che i terzi chiedevano di far transitare per le sue linee, se essa non credeva suo vantaggio il consentirlo, e parlamento e tribunali piegavano il capo dinanzi a questo assoluto esercizio d’un diritto, ché le leggi inglesi han rispettato sempre e fino allo scrupolo, il diritto di proprietà.

41 Cfr. V. Pareto, lettera a E. Peruzzi del 6 gennaio 1876, in V. Pareto, Lettere ai Peruzzi, cit. V. I, p.

563-564. 42 Cfr. La Società Adamo Smith e la questione delle strade ferrate, in “Gazzetta piemontese”, A. X, n.

78, 18 marzo 1876, p. 1; La Società Adamo Smith e la questione delle strade ferrate, in “Gazzetta piemontese”, A. X, n. 92, 1 aprile 1876, p. 1

43 Società Adamo Smith, Il riscatto e l’esercizio delle strade ferrate. Sei conferenze pubbliche, Firenze, L’Economista, 1876 e Società Adamo Smith, Il riscatto e l’esercizio delle strade ferrate. 1 serie di conferenze pubbliche, Firenze, Tipografia della Gazzetta d’Italia, 1876.

44 Cfr. V. Pareto, lettera a E. Peruzzi del 6 gennaio 1876, in V. Pareto, Lettere ai Peruzzi, cit. V. I, p. 573.

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Più tardi moltiplicati i commerci, i rapporti da paese a paese, il Governo si vide costretto dalla necessità delle cose a transigere alquanto sulle idee prima seguite e un atto del parlamento stabilì sopra ogni linea, treni, di velocità minima, i quali dovessero fermarsi ad ogni stazione ed avere carrozze di ogni classe, ma in compenso determinò, che questi treni andassero esenti da ogni imposta. Così si andò proseguendo nel Regno Unito fino al dì d’oggi, e quando gli accidenti moltiplicati, la complicazione nel servizio causata dal numero stragrande della società, sembrarono richiedere un più diretto intervento del Governo nelle cose ferroviarie, si pose innanzi l’idea del riscatto delle linee, giacché altrimenti non si vedea con qual veste potesse il Governo intervenire in cosa riconosciuta interamente di dominio privato. La idea fu accolta da taluni con favore, da altri, e sono i più, con ripugnanza, sicché fino al dì d’oggi non ha preso ancora una forma concreta. Ma se in Inghilterra il pensiero di riscattare tutte le principali linee ferrate suscitò un turbine di proteste ed assunse le proporzioni d’una vera questione sociale, nel continente la cosa non sarebbe andata bene così, giacché ivi la condizione delle società assuntrici è ben differente. Là le società sono in possesso d’un pieno diritto di proprietà, mentre al di qua della Manica esse non sono concessionarie per un numero d’anni limitato, e allo spirare di quel tempo, perdono tutti i loro diritti, non hanno più esistenza giuridica. Se quindi in Inghilterra il riscatto assumeva l’aspetto di una vera espropriazione forzata, nel continente, e specialmente in Italia, esso non sarebbe che l’abbreviazione d’un contratto d’affitto, sulla cui legittimità in tesi astratta non si può discutere, e che solo puossi giudicare dal punto di vista della opportunità finanziaria. Posta così la questione, l’oratore entra ad esaminare se anche accettato come conveniente ed opportuno il riscatto si debba ammettere che lo esercizio delle linee rimanga allo Stato. A questa domanda, continua l’ing. Pareto, rispondono i più, che lasciare al Governo l’esercizio delle strade ferrate è estremamente pericoloso dal punto di vista economico, sia perché il maggior, o minore introito di esse farà oscillare la rendita, costituendo questo introito medesimo un elemento variabile nel bilancio dello Stato, e sia perché il Governo conosciuto per un cattivo amministratore, non potrà esercitare le linee colla stessa economia della società, e quindi l’aumento di spese produrrà una diminuzione di reddito. I fautori del riscatto osservano per contro, essere bensì vero che il Governo non si mostri sempre oculato amministratore, ma ciò essere specialmente avvenuto in cose e provvedimenti riguardanti la Marina e la Guerra, nei quali il pubblico non potea esercitare il suo sindacato, e i di cui inconvenienti non si rivelano che al momento dell’urto, della mischia, quando cioè ogni riparazione è impossibile: ma in fatto di un esercizio ferrate, la faccenda essere ben differente, e le osservazioni, i reclami del pubblico essere sempre possibili, ed essere quindi certo che l’amministrazione ne farebbe suo pro fino a raggiungere la esattezza desiderabile: che d’altra parte e specialmente in Italia, le società assuntrici di ferrovie hanno fatto tanta cattiva prova che non è a temersi si abbia molto da perdere nel cambio. A queste obbiezioni l’ing. Pareto risponde: essere vero, almeno in parte, che le società tra noi hanno fatto cattivi affari, ma ciò essere in gran parte derivato dai termini assurdi delle loro concessioni, in forza delle quali, l’aumento di lavoro rispondeva per esse ad aumento di perdita. E qui cita esempi desunti dalla storia specialmente della società delle Romane e di quella delle Meridionali, le quali appunto perdevano il giorno in cui il movimento delle linee cominciava a salire e toccava un certo limite, mentre non lavorando scemano almeno l’interesse legale dai loro capitali. L’affidare al governo l’esercizio di tutte le ferrovie della penisola è un aumentare economicamente la sua importanza, il suo potere, la sua influenza, è un dargli una falange di impiegati, una nuova e numerosissima burocrazia, la quale posta così in mano ad un partito, che tale è il Governo nei paesi retti a sistema rappresentativo, può divenire un pericolo ed una minaccia per la libertà delle minoranze. Lo so, che i fautori di quelle teorie che la Germania c’invia rinnovellate non s’impauriscono a questi turbini che s’addensano, giacché essi dicono che il Governo siamo noi, e che quindi è assurdo e ridicolo il temere di noi stessi; ma, malgrado questo ottimismo, io lo ripeto, il governo è la espressione non di tutto il paese, ma di una maggioranza, e le maggioranze nell’epoca nostra sono i soli tiranni che dobbiamo ancora temere, giacché una oligarchia, o l’assoluto governo d’un solo, più non reggerebbero all’impeto demolitore dell’opinione pubblica. Affidiamo dunque l’esercizio di tutte le linee allo Stato, ed esso si troverà per prima cosa costretto per ragioni politiche ad abbassare le tariffe, giacché sulle linee Meridionali, dove oggi pagano quattro, non potrà imporre le tariffe dell’Alta Italia che rispondono a 7½. Poi, le pressioni di gruppi parlamentari lo costringeranno a moltiplicare treni, a stabilire prezzi di favore per i prodotti speciali di un determinato paese e il risultato di tutto questo sarà, che allo stringer dei conti l’introito non avrà pareggiato la uscita e il contribuente dovrà portare il peso del favoritismo governativo.

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Si è detto che ai possibili errori riparerà il sindacato del pubblico, ma quale garanzie abbiamo noi della efficacia di un sindacato siffatto? È nella natura dell’uomo di non voler riconoscere i propri sbagli, e la burocrazia non fa al certo eccezione a questa regola. E quando ciò avvenga a chi ricorrerà il pubblico per avere giustizia? Finché lo esercizio era in mano a società di privati esso aveva nel Governo un tutore, un aiuto; mutiamone la natura, facciamone un intraprenditore e al pregiudicato non resterà che la via poco efficace di un’interpellanza in parlamento. È vero che il Piemonte per molto tempo e con lode esercitò le sue strade ferrate. Ma allora esse abbracciavano una zona ben limitata, erano affidate ad un solo; la cui azione si era in certo qual modo lasciata libera per intero; ma oggi lo esperimento non potrebbe ripetersi. Nelle linee calabro-sicule costruite dal Governo direttamente si ebbero tronchi interi franati, ponti metallici spezzati al momento della prova, mentre non vi è ingegnere ai nostri giorni che non sappia determinare a priori il rapporto tra il peso e la resistenza d’una travata metallica. Sulle romane che oramai sono del governo il direttore dell’esercizio voleva imporre all’ingegnere del materiale assi di ferro invece d’acciaio sotto il pretesto che il primo di questi materiali è più resistente del secondo. E poi il Governo, costrettovi dalle leggi dello Stato, dovrebbe ad ogni momento, per ogni fornitura, servirsi del sistema degli appalti, sempre più gravosi per esso di quello che nol sieno per le società private. Nell’inchiesta industriale l’ing. Cottrau45 ebbe a dire che esso deve chiedere allo Stato dal 30 al 39 per cento di più dei prezzi che fa alla società delle Ferrovie Meridionali, giacché il Governo gli impone il vincolo d’una grossa cauzione, e gli fa attendere lungamente il saldo dei suoi conti, mentre la società non esige deposito, gli paga un terzo all’atto della commissione e il residuo un mese dopo la consegna. Del resto tutti questi inconvenienti si verificano in Francia come in Italia. Non è per colpa dei nostri politici, o dei nostri impiegati, ma sibbene della natura delle cose; l’ente governo ha troppi affari sulle braccia perché possa sbrigarli bene e sollecitamente; e poi esso deve innanzi tutto osservare le regole di giustizia, giustizia nelle aste, giustizia nella scelta degli impiegati; esso deve seguire delle norme inflessibili se vuol adempiere la sua missione di Stato, mentre le società non devono badare che all’utile proprio ed a scegliere quindi quel fornitore, o quell’impiegato che possono produrre meglio ed a miglior mercato. Ed è per tutte queste ragioni che io ha accennate piuttosto che svolte, che parmi poter conchiudere, che anche accettata l’idea del riscatto, le ferrovie debbono venire affidate, mercé un contratto di affitto, a società private onde ne curino l’esercizio a loro rischio e per loro conto. Certo che le condizioni di questo affitto non debbono essere uguali a quelle in vigore attualmente e che, giova il dirlo, sono pessime. Sia positivo e rigoroso il contratto, ma il principio ispiratore ne sia la libertà e la responsabilità dei nuovi enti sociali. Le società siano tenute a indennizzare i privati per lo smarrimento, il ritardo nella consegna delle merci, per i ferimenti, le disgrazie, gli accidenti d’ogni natura; ma che esse possano muoversi, iniziare riforme, vivere insomma di vita autonoma, mentre fino ad oggi furono bambini stretti tra fasce omicide. Soltanto così potranno aversi società veramente responsabili, mentre col sindacato come lo esercita oggi il governo questa responsabilità non esiste che di nome, e mancherebbe del tutto, il giorno in cui lo Stato si assumesse il diretto esercizio delle strade ferrate. La stessa azione giudiziaria sarebbe più incerta e inefficace verso di esso, giacché il postulante impaurito al pericolo di vedersi sorgere dinanzi un conflitto di giurisdizione non saprebbe se rivolgersi per un compenso di danni al Governo amministratore, o al Governo commerciante e vetturale. Nel Belgio, dove lo Stato esercita qualche tronco di ferrovie, si è determinato che il governo fa atto di amministrazione nel trasporto delle persone, e atto di commercio quando trasporta le mercanzie. Ed ora riassumendo quanto dissi, mi pare che di fronte ai molteplici inconvenienti ai quali darebbe luogo lo esercizio delle ferrovie per parte dello Stato si possa stabilire: essere il riscatto una questione di opportunità, ma una volta compiuto, doversi affidare lo esercizio delle linee a compagnie private e regolarlo sulle basi di molta libertà concessa dal governo alle società e di una severissima responsabilità di queste di fronte ai cittadini ai quali sarebbe aperta la via dei tribunali (vivissimi e prolungati applausi).

Come ben si legge le considerazioni del Pareto si muovono su due fronti. Da un lato quello economico che si intreccia con quello della gestione politica e che ne indirizza le valutazioni, tant'è che l’analisi iniziale del Walras per certi aspetti si muove sullo stesso fronte. Il modello

45 Alfredo Cottrau (1839-1898), ingegnere, figura rilevante nella progettazione in strutture in ferro.

Il Pareto lo cita spesso in articoli e corrispondenza.

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liberista stretto tra vincoli ideologici da solo, a priori, non risolve la questione e neppure è in grado di indirizzare una politica governativa. Qui si evidenzia la visione comune oltre un mero slogan, laisser faire, laisser passer, usato in certe occasioni anche a sproposito, del Pareto e del Walras. Un altro aspetto che il Pareto sottolinea, non solo qui ma anche in altri suoi scritti, coevi a Genova46, è la necessità di una corretta gestione tecnica del sistema ferroviario, con una valutazione puntuale e rigorosa della rete, che presenta in alcuni tratti gravi difetti costruttivi non valutabili a priori se figli di una gestione privata o pubblica. La conclusione poi è senza dubbio un rigore di analisi che taglia la testa al toro in merito ad eventuali polemiche, seppur riteniamo che questa proposta non fosse pienamente nelle corde della “consorteria” toscana. Gli altri relatori hanno una impostazione maggiormente politica, a cominciare da Francesco Genala: Risponderò poche parole al socio Pallavicini e mi limiterò a dirgli che trovo un gran salto nella sua argomentazione, quando dal fatto positivo delle disposizioni del nostro statuto, ci tragga la conseguenza che debbasi concentrare nel capo del potere esecutivo il servizio ferroviario. Ma ammessa questa illazione, per voler esser logici converrà dunque affidare pure a questo potere tutti i traffici, tutto il movimento del credito, tutte le manifestazioni della vita economica, il che è semplicemente un assurdo. In quanto alla questione del riscatto e dello esercizio delle strade ferrate, io credo assolutamente si debbano combattere entrambi. Il danno alle finanze dello Stato deriverebbe non meno dall’esercizio che dal riscatto; e per di più riscattando le strade diminuirebbe lo interesse nella società esercente a dare larghi frutti, a migliorare il servizio ed a conservare in buono stato quel capitale fisso, che è costruito dalla linea, dai ponti, dai tunnels. Io combatto la idea del riscatto, anche perché ben m’intendo che i nostri uomini politici una volta operato questo riscatto, si varranno delle ragioni di convenienza da me sopra indicate per esercitare queste strade ferrate, come del resto già hanno detto di voler fare. L’Italia, o signori, è satura d’imposte, eppure mentre Tantalo novello essa agogna al pareggio, che sempre le sfugge dinanzi, il Ministero ci propone senz’altro un affare, che gli Inglesi chiamerebbero un salto nel buio. È uno studio curioso quello del processo mentale con cui si giunse fino a formulare queste audaci ed inconsulte proposte. Dapprima avevamo delle convenzioni colle società esercenti, convenzioni che il mio amico Pareto ben vi ha dimostrato quanto fossero cattive ed assurde. Queste convenzioni non tardarono a portare i loro frutti, e prime le Romane si trovarono al punto di non poter proseguire nel loro esercizio. È allora che si pensò al riscatto e si formulò il pensiero di affidarle ad una nuova società nella quale sarebbero entrate pure le Meridionali. Più tardi, abbandonato il primo concetto, si disse, riscattiamo pure le Meridionali, e un progetto in questo senso fu presentato alla Camera ed ancora si rimane attendendo la discussione. Su questo, ecco che come una bomba scoppia l’annunzio della convenzione di Basilea, e la notizia che il Governo si proponeva di esercitare da per sé tutte, o quasi tutte le linee della penisola. È così che da un fatto logico e naturale quale era quello del riscatto delle Romane verso le quali lo Stato è creditore di molti milioni, si giunse all’assurda idea dello esercizio governativo che io non esito a dichiarare un periodo gravissimo per lo Stato (applausi prolungati).

È impossibile qui tratteggiare anche marginalmente la figura di Francesco Genala (1843-1893), tuttavia va rilevato di come si trattasse di una personalità di grande prestigio: avvocato, volontario garibaldino, dal 1874 alla morte siede in Parlamento, occupandosi di riforme del sistema elettorale e di ferrovie. È membro della Società Adamo Smith sin dalla sua costituzione (1872) e seppur in stretti rapporti anche di amicizia con la Destra fiorentina sarà poi candidato per la Sinistra. Più volte ministro dei Lavori pubblici, fa parte della Commissione d’inchiesta sulle ferrovie e nel 1885 ha un ruolo rilevante nel progetto delle

46 Lo stato italiano industriale considerato specialmente secondo i giudizi della inchiesta industriale.

Lettere al Direttore dell'Economista dell'ing. Vilfredo Pareto, Firenze, Le Monnier, 1876, raccolta di testi già pubblica su “L’Economista” nel febbraio-marzo 1876.

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Convenzioni ferroviarie47, fortemente dibattuto in Parlamento: la sua posizione era per la gestione privata, con un controllo dello Stato, non dissimile da quella del Pareto48.

Il giorno successivo il Pareto fa un altro intervento:

Giammai mi è occorso d’intendere come questa sera sostenute così brillantemente ragionii favorevoli alla mia tesi. La libertà lasciata alle compagnie e che il prof. Cogorno crede un pericolo, è invece un gran bene per il paese, giacché quando esse abusando dello loro libertà, trasgrediscono ai propri doveri, sii erigono in monopolizzatrici, il cittadino che sa le compagnie non essere più protette dall’egida del governo, si rivolgerà più facilmente ai Tribunali ed otterrà più pronta riparazione, che se avesse dovuto correre la via lunga e spinosa dei ricorsi amministrativi. E seguitando i ragionamenti del prof. Cogorno, ammetto con lui che la media abilità del personale governativo sia uguale ed anche superiore a quella del personale al servizio di compagnie private, ma ciò in cui dissento è la illazione che ne trae, che cioè il prodotto utile di queste due classi di lavoratori debba essere uguale. E la ragione di questa disuguaglianza sapete qual è? La ragione si è che il governo non colloca l’individuo in quel posto che gli conviene, per cui incarica un avvocato di lavori pubblici, e un ingegnere di belle arti, per cui si vide un giurisperito preposto alle locomotive e ai vagoni. E poi nella burocrazia governativa manca quell’anima e quello stimolo che si trova in una società bene organizzata in cui ognuno è figlio delle sue opere, e i lucri, le promozioni rispondono, non al grado di anzianità, ma all’intelligenza, al lavoro, alla produzione. E se il governo convinto che col sistema vigente nei suoi uffici, le ferrovie non potrebbero camminar bene, si decidesse a fare di questo esercizio un corpo autonomo, isolato, sottoposto al solo controllo del parlamento forse che si eviterebbero tutti gli inconvenienti lamentati? Io credo di no perché il controllo esercitato dalla Camera sarebbe illusorio e quando il cittadino avesse dei reclami a proporre dovrebbe attendere due o tre anni prima di vedere ad essi fatta giustizia, come accade già oggi ai petizionari.

Il prof. Cogorno ha detto, citando dei fatti, che oggi colle convenzioni esistenti il governo ha fatto dell’aggiunta, o della soppressione d’un treno un’arma elettorale, ed io lo ringrazio di avermi indicato tali fatti, perché essi provano ad evidenza il pericolo al quale si andrebbe incontro affidando l’esercizio al governo. Se col potere indiretto di cui oggi gode ha fatto tanto, che sarà quel giorno in cui i 50/m. impiegati delle ferrovie dipenderanno da lui direttamente? L’unico rimedio sta ancora nella libertà, e le compagnie liberate dalle pressioni governative non si presteranno molto probabilmente a queste manovre che il prof. Cogorno deplora. Del resto io credo che il governo riscattando le linee potrebbe benissimo concederne lo esercizio a qualche nuova compagnia anche senza l’esca della sovvenzione, la quale era accordata onde assicurare ad essa l’interesse ragionevole del capitale impiegato nella costruzione della linea. Dal momento che non si trattasse che dell’esercizio, questo interesse non avrebbe più ragione d’essere ed anzi lo Stato potrebbe domandar lui una somma, come garanzia pel materiale mobile che accorderebbe alla nuova compagnia.

Come si vede il Pareto, seppur sostanzialmente contrario ad una gestione statale nel caso che questa fosse stata attuata, vedeva, come aspetto generale, che il ruolo centrale dovesse essere solo di controllo con l’esercizio ai privati. Si potrebbe dire questa una posizione intermedia rispetto ai liberisti puri, quali per certi aspetti potrebbero essere considerati i toscani e una destra più “conservatrice” che preferiva un intervento dello Stato (e da qui lo scontro parlamentare). Ragionevolmente il nostro era più vicino a Léon Walras, seppur la preferenza andava per una gestione privata, se possibile.

La conclusion des réflexions qui précèdent est assez évidente. L'État peut et doit intervenir dans l'industrie des chemins de fer, et cela à un double titre: 1° parce que le service des chemins de fer, en

47 Cfr. L. Einaudi – A. Cabiati, La politica ferroviaria in Italia, in “La critica sociale”, 1901/11, pp. 170

segg. e idem, Politica ferroviaria dell’avvenire, in “La critica sociale”, 1901/15, pp. 230 segg. 48 “Genala ancora non si è visto, spero giungerà stasera e non posso nemmeno supporre che mi

abbandoni”, V. Pareto, lettera a E. Peruzzi del 2 febbraio 1876, in V. Pareto, Lettere ai Peruzzi, cit. V. I, p. 572.

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ce qui concerne les transports des services ou produits d'intérêt public, est lui-même un service public; 2° parce que le service des chemins de fer, en ce qui concerne le transport des services ou produits d'intérêt privé, est un monopole naturel et nécessaire qui, comme monopole privé, ne serait fondé ni en droit ni en intérêt et qui, par conséquent, doit être érigé en monopole d'État économique. A ce dernier titre, le monopole des chemins de fer devrait être exercé purement et simplement, soit par l'État soit pour son compte, au prix de revient. Mais au premier titre, et vu le caractère particulier de l'industrie des chemins de fer, cette condition doit être entendue dans un sens plus large qu'il ne paraît au premier abord49.

A nostro avviso tuttavia la posizione del Pareto risente più che del dibattito politico-ideologico della sua posizione professionale che vedeva le difficoltà oggettive del sistema ferroviario italiano. Se si legge la sua deposizione negli Atti della Commissione d’inchiesta sull’esercizio delle ferrovie italiane del 188050 si vede come le sue posizioni espresse a Genova, ma anche a Firenze nel marzo 187651, si precisano in una direzione negativa valutazione della gestione pubblica, aspetto come afferma lo stesso Pareto supportato da fatti concreti e non solo da una scelta di campo52. In particolare una domanda specifica fa riferimento ad un possibile passaggio gestionale allo Stato del sistema ferroviario: “Art. 148. – Quali vantaggi e quali danni potrebbe recare l’esercizio governativo al commercio ed ai viaggiatori? Quali vantaggi, danni e pericoli alla finanza ed all’amministrazione dello Stato? Quali vantaggi, danni e pericoli alle libertà dello Stato rappresentativo per l’accrescimento di potenza nelle mani del potere esecutivo?” La risposta del Pareto è molto analitica e non può essere riportata qui nella sua interezza, tuttavia si sottolinea appunto come il Nostro sin dalle battute iniziali esprima in modo chiaro la sua critica al sistema pubblico, critica che circostanzia con una serie di esempi:

Da quanto già ebbi l’onore di esporre a questa onorevole Commissione d’inchiesta, facile è lo scorgere come io sia molto favorevole all’esercizio privato, punto a quello governativo. Ora questo mio convincimento più che con principii generali mi propongo appoggiare qui con fatti, sembrandomi soli opportuni in questa sede. I fatti che noi abbiamo circa all’abilità industriale del Governo in Italia, certo non sono tali da indurre nei cittadini fiducia che possa essere vantaggioso l’esercizio governativo. Né tale fiducia è stata cresciuta dalla prova assai infelice fatta ora dall’amministrazione governativa nelle ferrovie dell’Alta Italia.

La domanda successiva invece insiste sul sistema privato: “Art. 151 – Rimanendo invece fermi nel sistema dell’esercizio privato, qual è il modo migliore di ordinarlo?” Anche qui il Pareto ha le idee chiare, pure supportate da esempi concreti e stimolato dalla commissione approfondisce in modo analitico alcuni temi: Presidente. Secondo il suo modo di vedere le amministrazioni governative sono talmente conservatrici che un esercizio governativo in tutta Italia sarebbe dannoso, poiché con esso ci sarebbe

49 L. Walras, L’État et les chemins de fer, cit. p. 50. Cfr. anche R. Baranzini, Léon Walras: il singolare

socialismo di un marginalista atipico, in Marginalismo e socialismo nell’Italia liberale 1870-1925, a cura di M. E. L. Guidi e L. Michelini, Milano, Feltrinelli, 2001, pp. 35-65, ed in particolare pp. 57-58. Cfr. anche T. Giacalone-Monaco, Pareto-Walras da un carteggio inedito (1891-1901), Padova, Cedam, 1960.

50 Camera dei Deputati. Atti della Commissione d’inchiesta sull’esercizio delle ferrovie italiane, Parte I. Verbali delle sedute pubbliche, vol. III, Roma, Tip. Eredi Botta, 1880, pp. 100-129.

51 Cfr. Società Adamo Smith, Il riscatto e l’esercizio delle strade ferrate, cit. 52 “I nostri avversari sono scissi in vari gruppi i quali muovendo da vari e spesso opposti principii

giungono a quest’unica conclusione: essere conveniente che l’esercizio delle strade ferrate sia affidato allo Stato; e come le ragioni degli uni non sono quelle degli altri, così pure diverse dovranno essere quelle che noi ci contrapponiamo, ma prima non sarà inutile passare in rassegna l’oste nemica.”, il Pareto alla “Seconda conferenza pubblica intorno al riscatto e all’esercizio delle strade ferrate tenuta in Firenze il 6 marzo 1876”, in Società Adamo Smith, Il riscatto e l’esercizio delle strade ferrate, cit. pp. 58-59.

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un tipo solo di vagoni, un tipo solo di locomotive, ecc. Ella ha viaggiato e certamente ha percorso linee esercitate dallo Stato e linee esercitate da società. Ora non le è parso, ad esempio, che nel Belgio lo Stato abbia seguito il progressivo movimento industriale, forse più di quello che non lo abbiano fatto le nostre società? Pareto. Che lo Stato belga tenga più conto dei progressi industriali che non le società italiane debbo riconoscere essere vero, ma bisogna che la mia risposta sia accompagnata da una considerazione, cioè che le società delle ferrovie italiane non si preoccupavano in alcun modo del loro servizio. Dapprincipio abbiamo avute società ferroviarie che si sono molto preoccupate di introdurre dei perfezionamenti, e dirò che l’Alta Italia ha fatto per la prima volta le locomotive a grande potenza così bene studiate dall’ingegnere Frescot che ne fece il progetto, che è stata la prima in Italia ad introdurre i grandi focolari nelle locomotive, e mercé queste ottime locomotive ha potuto fare servizi lodevolissimi anche sopra le linee a forti pendenze; però, va tenuto conto, che mentre questo accadeva nell’Alta Italia altrettanto non accadeva nelle Romane dove lo Stato aveva molta più ingerenza; mentre le ferrovie dell’Alta Italia compravano le macchine di nuovo tipo, le Romane compravano macchine a focolari piccoli.

[…] Presidente. Parlando dell’esercizio governativo, ella ha detto: quelli che chiedono, forse le è sfuggito, e voleva dire: quelli che propugnano, ad ogni modo ella ha detto che lo fanno per ottenere una diminuzione di tariffa, ecc. Crede che questo sia l’incentivo di tutti quelli che propugnano l’esercizio da parte dello Stato? Pareto. Vi possono essere altre ragioni, oltre quelle da me accennate, che credo principali; molte persone saranno anche mosse dall’amore del pubblico bene, che crederanno meglio tutelato con l’esercizio governativo. […] Ogni opinione è rispettabile, ed in materie tanto controverse credo che si debba sempre sostenere la propria, senza dimenticare che si può sbagliare e che gli avversari possono forse essere dalla parte della ragione.

Quando il Pareto nel 1882 si candida alla camera per il Collegio San Marcello – Pistoia – Prato il tema delle ferrovie, inteso come strumento di crescita economica, sarà utilizzato in campagna elettorale53, sottolineando ancora una volta il valore di un sistema privato.

53 Cfr. S. Fagioli, La ferrovia Pracchia-La Lima nei documenti del Fondo Turri (1880-1898), ed anche

F. Mornati, La candidatura di Vilfredo Pareto alle elezioni politiche del 1882 nel collegio di Prato-Pistoia-San Marcello, entrambi in Il Fondo Turri. Industria ed imprenditoria sulla Montagna Pistoiese nella seconda metà dell’Ottocento, a cura di S. Fagioli, Pistoia, Etruria Editrice, 2007, pp. 63-78 e pp. 29-38.

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4. Cenni al dibattito sul riscatto delle ferrovie in Toscana nel secondo Ottocento. Per concludere si danno alcuni cenni sul dibattito che si sviluppa in Toscana in merito ai

temi sino a qui visti e alle convenzione del 1885. Abbiamo preso brevemente in esame tre periodici pubblicati in Toscana: gli “Atti”

dell’Accademia dei Georgofili, “L’Economista”, organo della Società Adamo Smith e la “Nuova Antologia”, che seppur formalmente si occupasse di “scienze, lettere ed arti” indaga anche temi di natura politica ed economica54.

In senso lato in Toscana il dibattito sul ruolo delle ferrovie si sviluppa assai presto, sin dagli anni Venti e Trenta dell’Ottocento e si assiste presto ad una discussione, ed alcune proposte, come quella di Carlo Ginori Lisci del 1826 per il collegamento Firenze-Livorno, su questo nuovo mezzo di trasporto, discussione che tuttavia non porta a nulla di concreto, come la citata proposta. Il Governo toscano si rivela poco interessato a questo mezzo, soprattutto poco interessato a supportare investimenti, per cui l’iniziativa, non senza difficoltà, viene totalmente delegata ad investitori privati, che con una certa titubanza propongono progetti di collegamento tra alcune città del Granducato. L’incertezza è data soprattutto da una valutazione di resa del tipo di investimento e dal fatto che il Governo non aveva preso una posizione certa su questo strumento, per cui spesso i progetti, di natura essenzialmente speculativa, rimasero in un limbo.

L’apertura del tratto Livorno-Pisa il 13 marzo 1844 sembra dare un impulso definitivo allo sviluppo della rete toscana, tuttavia ritardi di natura economica e gestionale rallentano lo sviluppo nel Granducato e si deve giungere solo al 1864, con il nuovo stato unitario, per una rete propriamente matura.

Con l’Unità d’Italia il dibattito ferroviario si sposta appunto più su aspetti legati alla gestione della rete ferroviaria, ovvero sostanzialmente sulla “proprietà” della rete, anche sulla base delle esperienze di altri stati55.

E i periodici toscani ai quali abbiamo accennato registrano prese di posizione di varia natura in tal senso.

La “Nuova Antologia” appare la fonte più analitica in tal senso, con la presenza di molti e rilevanti interventi sin dagli anni Settanta: si segnalano in particolare quelli di Alfredo Cottrau sulle convenzioni ferroviarie del 1885 e più in generale sul sistema ferroviario italiano56, uno di Arturo Jehan De Johannis57, due di Alfonso Audinot58, tutti in linea di critica al sistema ferroviario italiano ed in seno al dibattito tra pubblico e privato, seppur con posizioni differenti. Anche qui va sottolineato come i relatori pongono l’accento soprattutto sui temi tecnici della gestione più che su quelli esclusivamente politici.

Ai Georgofili il tema del trasporto ferroviario è poco dibattuto, tuttavia nell’ambito delle discussioni che abbiamo visto va segnalato un contributo di Ubaldino Peruzzi - che interviene poco negli “Atti” con memorie originali - dal titolo “Intorno al Commercio delle derrate

54 Periodico fondato a Firenze nel 1866 nell’ambito della Firenze Capitale da Francesco Protonotari,

dal 1878 la redazione è a Roma. Dopo una serie di interruzioni la si pubblica ancora. 55 Anche se va osservato che questo tema fu analizzato anche in epoca preunitaria, cfr. a titolo di

esempio B. Poli, Saggi di scienza politico-legale, Milano, Perelli & Mariani, 1841, in specifico pp. 452 segg.

56 A. Cottrau, Appunti sulle Convenzioni ferroviarie del 1885, in “Nuova Antologia”, n. 125, 1 settembre 1892, p. 44 segg. e Idem, n. 125, 16 settembre 1892, p. 227 segg. e Idem, Il problema ferroviario e le sue possibili soluzioni, in “Nuova Antologia”, n. 137, 16 settembre 1894, p. 211 segg. e Idem, n. 137, 16 ottobre 1894, p. 633 segg.

57 (1846-1913), economista, docente universitario, dal 1883 direttore “L’Economista”; A. J. De Johannis, La sospensione delle nuove costruzioni ferroviarie, in “Nuova Antologia”, n. 120, 1 novembre 1891, p. 38 segg.

58 Ingegnere ferroviario; A. Audinot, Le nuove costruzioni ferroviarie e le ferrovie economiche, in “Nuova Antologia”, n. 4, 16 marzo 1879, p. 354 segg; Idem, Le convenzioni ferroviarie, in “Nuova Antologia”, 1 febbraio 1885, p. 488 segg.

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alimentari, e specialmente di esportazione, in relazione con le condizioni del loro trasporto sulle Strade Ferrate”, presentato in un incontro pubblico l’8 febbraio 188559. L’intervento del Peruzzi ed il successivo dibattito che si svolge su questo in Accademia si pone a ridosso della stipula delle citate Convenzioni (marzo 1885), per cui il taglio assume di nuovo un rilevo eminentemente pratico, legato alla libertà dei commerci, in una chiave appunto liberista, con la richiesta di minime tariffe sulle esportazioni ed un controllo sugli “ingordi privilegiati delle amministrazioni ferroviarie”60, seppur anche qui ci siano, nel dibattito, risvolti politici.

Per quanto riguarda “L’Economista” e la Società Adamo Smith le posizioni sono per una critica generale a una possibile gestione statale e anche le Convenzioni sono viste in modo negativo, seppur la rivista e la Società abbiano mostrato una forte liberalità nel discutere anche posizioni avverse: le conferenze organizzate a Firenze tra marzo ed aprile 187661 vedono la presenza oltre che di figure rilevanti della “destra toscana62” quali il Peruzzi, Tommaso Corsi63, Giacomo Sacerdoti64, Tommaso Cini, solo per citarne alcuni, anche di fieri avversari al modello privato come il Genala e Paolo Boselli65 ai quali tuttavia viene data la possibilità di dibattere le loro opinioni. Queste conferenze analizzate nella loro interezza hanno inoltre un significativo valore politico, in quanto si collocano esattamente a cavallo della caduta del Governo Minghetti del 18 marzo 1876, essendosi svolte il 5, il 6, il 12, il 26 marzo ed il 2 ed il 30 aprile 1876.

A margine di esse e per concludere si riporta un giudizio eminentemente politico del Pareto su il Minghetti e la questione ferroviaria: “Bisogna sentire quello che dice il Ronchei66 che costante ed unica occupazione del Minghetti era di piacere al Sella67. E perciò, non preparato, senza convinzione s’imbarcò nel mare magno delle convenzioni ferroviarie e voleva far fare al paese un salto nel buio”68.

59 “Atti della Reale Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze”, Quarta Serie, Vol. VIII,

Disp. 1, Firenze, Cellini, 1885, pp. 1-32. Cfr. a titolo di comparazione Cenni sopra la costruzione delle Vie ferrate in Toscana e sugli effetti loro riguardo all’Agricoltura ed al commercio nazionale. Memoria letta dal socio ordinario ingegnere Rossini nell’adunanza del 6 Febbraio 1848, in “Continuazione degli Atti dell’I. e R. Accademia dei Georgofili di Firenze” Vol. XXVI, Firenze, Galileiana, 1848, pp. 65-86.

60 U. Peruzzi, Intorno, cit., p. 29. 61 Cfr. Società Adamo Smith, Il riscatto e l’esercizio delle strade ferrate, cit. 62 Riteniamo sia tuttavia da chiedersi se il Pareto fosse politicamente qui aderente alla destra o

appunto più interessato agli aspetti tecnici del problema, superandone la dimensione politica. 63 Tommaso Corsi (1814 – 1891), avvocato, deputato all’Assemblea costituente toscana, eletto alla

Camera dal 1860-1861-1865 e 1867, senatore dal 1873, ministro già nel primo Parlamento dello Stato italiano (Agricoltura, Industria e Commercio), socio dei Georgofili dal 1861, membro e vicepresidente della Società Adamo Smith nel settembre 1874

64 Amministratore della Società anonima delle Strade Ferrate Romane. 65 Paolo Boselli (1838-1932), avvocato, docente universitario, ministro, presidente del consiglio

(1916-1917), seppur aderente al liberismo se ne distacca presto avvicinandosi a Crispi. 66 Amos Ronchei (1832-1896), militare in carriera, capitano nelle truppe di Giuseppe Garibaldi nel

1886, onorevole per sei legislature. 67 Quintino Sella (1827-1884), industriale, ingegnere, docente universitario, onorevole, esponente

di rilevo della “Destra storica”, Ministro delle Finanze dal 1862 nel Governo Rattazzi. 68 V. Pareto, lettera a E. Peruzzi del 9 marzo 1876, in V. Pareto, Lettere ai Peruzzi, cit. V. I, pp. 576-

577.

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Firenze e l’Europa liberale. “L’Economista” (1874-81), a cura di M. Poettinger, Firenze, Polistampa – Fondazione Spadolini Nuova Antologia, 2013.

S. Fagioli, Vilfredo Pareto minatore e agricoltore nella Toscana del secondo Ottocento, Firenze, Firenze, Polistampa – Fondazione Spadolini Nuova Antologia, in corso di stampa.

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Simone Fagioli è nato a Pistoia nel 1967. Ricercatore di formazione antropologica collabora con

enti pubblici e privati per ricerche di storia contemporanea, in particolare sui temi della nascita e

sviluppo dell’industria (metallurgica, cartaria, tessile, ceramica), analisi dei processi produttivi

preindustriali e industriali, nonché gestione di archivi d'impresa e privati.

Collabora stabilmente con la cattedra di Storia del Pensiero economico dell’Università di Firenze.

Fa parte del seminario permanente sul lavoro e.labora coordinato dal Dipartimento di Scienze

dell’Educazione dell’Università di Firenze e con docenti e ricercatori di discipline storico-economiche

delle università di Firenze, Modena - Reggio Emilia, Milano, Pisa. È socio dell’European Society for the

History of Economic Thought. È socio e collaboratore dell’Opificio toscano di Economia, politica e storia

di Firenze. È fondatore, segretario e collaboratore dell’Associazione E.S.T. – Economia – Società –

Territorio di Venezia, che si occupa di ricerche sociali ed economiche. È fondatore del Circolo di cultura

politica Tony Blair. È fondatore e vicepresidente dell’Associazione Amici di Israele – Toscana.

Fa parte del gruppo di ricerca su Firenze Capitale (1865-2015) coordinato dal prof. Piero Roggi.

È socio dell’Associazione Nazionale Archivistica Italiana e per la sezione Toscana coordina il Gruppo

di lavoro sugli archivi privati e d’impresa; è curatore degli archivi privati legati alla storia dell’industria

Fondo Turri, Fondo Celso Capacci, Fondo Cartiere del Maglio e di Brodano, tutti notificati dalle

Soprintendenze Archivistiche di Toscana e Emilia Romagna come archivi di notevole interesse storico.

Attualmente sta curando un volume sugli anni toscani di Vilfredo Pareto (con antologia) - Vilfredo

Pareto minatore e agricoltore nella Toscana del secondo Ottocento - che uscirà nel 2014 per la

Fondazione Giovanni Spadolini – Nuova Antologia di Firenze, oltre a condurre ricerche di business

history sulla Manifattura Ginori (in collaborazione con Monika Poettiger) ed il Lanificio di Stia (AR).

Si accenna tra le sue pubblicazioni recenti, Il Fondo Turri. Industria ed imprenditoria sulla Montagna

Pistoiese nella seconda metà dell’Ottocento, Pistoia, Etruria Editrice, 2007 (curatore); La ferrovia

Pracchia - La Lima nei documenti del Fondo Turri (1880-1898), in idem; Italia 150 anni e passa: nuovi

contesti globali/vecchi problemi, Firenze, Opificio toscano di Economia, Politica e Storia, 2013

(curatore); Vilfredo Pareto and the Liberal debate about railways in Tuscany in the mid-nineteenth

century, comunicazione alla 18th Annual Conference of the European Society for the History of

Economic Thought (ESHET), University of Lausanne (Switzerland), 29-31 May 2014, in corso di stampa.

[email protected] - 348 5837300