Uso sostenibile del suolo in Italia: analisi e proposte 1 Ivan Faiella, Banca d’Italia 22 marzo 2013 Sommario – La vulnerabilità al rischio idrogeologico del territorio del nostro paese è testimoniata dalla frequenza annua degli eventi alluvionali e franosi (65 nella media del periodo 1950-2011) con un danno diretto stimabile in 2,7 miliardi di euro all’anno. Il consumo di suolo negli ultimi vent’anni ha reso ancora più vulnerabile il nostro territorio già soggetto a tali fenomeni per ragioni legate alla morfologia e all’elevata densità abitativa. I mutamenti climatici in atto possono accrescere la frequenza e l’intensità dei fenomeni alluvionali e franosi contribuendo ad aumentare ulteriormente il rischio idrogeologico del paese. È quindi necessario attuare politiche sostenibili di gestione del territorio e realizzare una più attenta pianificazione dove le azioni locali siano coerenti con una strategia nazionale che andrebbe integrata nel piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. La scarsità di risorse pubbliche e private rende necessario un quadro regolatorio che incentivi le azioni di adattamento autonomo ad esempio attraverso il ricorso al mercato assicurativo e a soluzioni innovative per il reperimento di fondi da destinare all’attuazione di politiche di gestione del territorio, in particolare nelle aree a maggior rischio. Introduzione Nel nostro paese la superficie delle aree ad alta criticità idrogeologica si estende per il 9,8 per cento del territorio, di cui il 4,1 soggetto al rischio di alluvioni e il 5,2 a rischio di eventi franosi (MATTM, 2008). Questi eventi si manifestano per la conformazione del territorio e la densità della popolazione ma la loro intensità e gli effetti che producono su persone e cose dipendono anche dalle scelte dell’uomo in particolare quelle che accrescono eccessivamente il consumo di suolo. In Italia la porzione del territorio destinata ad aree edificate è andata accrescendosi: un valore compreso tra i 75 e i 100 ettari di superficie di territorio è ogni giorno soggetto a fenomeni di impermeabilizzazione (soil sealing) che attualmente caratterizzano oltre il 7 per cento dell’intero territorio. Una crescita eccessiva della copertura superficiale del territorio condiziona molti servizi direttamente e indirettamente forniti dal suolo al suo stato naturale e implica costi sociali rilevanti per una minore produzione agricola, una ridotta regolazione climatica, un aumento della franosità del territorio, la mancata alimentazione delle acque di falda e il dilavamento superficiale degli inquinanti che implica una minore quantità e qualità dei corpi idrici. In sintesi “in un’area impermeabilizzata le funzioni produttive sono inevitabilmente compromesse, così come la possibilità di assorbire CO 2 o di fornire supporto e 1 Ringrazio Matteo Bugamelli per i suggerimenti. Le opinioni espresse non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia.
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Uso sostenibile del suolo in Italia: analisi e proposte
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Uso sostenibile del suolo in Italia: analisi e proposte1
Ivan Faiella, Banca d’Italia
22 marzo 2013 Sommario – La vulnerabilità al rischio idrogeologico del territorio del nostro paese è testimoniata dalla frequenza annua degli eventi alluvionali e franosi (65 nella media del periodo 1950-2011) con un danno diretto stimabile in 2,7 miliardi di euro all’anno. Il consumo di suolo negli ultimi vent’anni ha reso ancora più vulnerabile il nostro territorio già soggetto a tali fenomeni per ragioni legate alla morfologia e all’elevata densità abitativa. I mutamenti climatici in atto possono accrescere la frequenza e l’intensità dei fenomeni alluvionali e franosi contribuendo ad aumentare ulteriormente il rischio idrogeologico del paese. È quindi necessario attuare politiche sostenibili di gestione del territorio e realizzare una più attenta pianificazione dove le azioni locali siano coerenti con una strategia nazionale che andrebbe integrata nel piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. La scarsità di risorse pubbliche e private rende necessario un quadro regolatorio che incentivi le azioni di adattamento autonomo ad esempio attraverso il ricorso al mercato assicurativo e a soluzioni innovative per il reperimento di fondi da destinare all’attuazione di politiche di gestione del territorio, in particolare nelle aree a maggior rischio.
Introduzione
Nel nostro paese la superficie delle aree ad alta criticità idrogeologica si estende per
il 9,8 per cento del territorio, di cui il 4,1 soggetto al rischio di alluvioni e il 5,2 a rischio di
eventi franosi (MATTM, 2008). Questi eventi si manifestano per la conformazione del
territorio e la densità della popolazione ma la loro intensità e gli effetti che producono su
persone e cose dipendono anche dalle scelte dell’uomo in particolare quelle che accrescono
eccessivamente il consumo di suolo.
In Italia la porzione del territorio destinata ad aree edificate è andata accrescendosi:
un valore compreso tra i 75 e i 100 ettari di superficie di territorio è ogni giorno soggetto a
fenomeni di impermeabilizzazione (soil sealing) che attualmente caratterizzano oltre il 7 per
cento dell’intero territorio.
Una crescita eccessiva della copertura superficiale del territorio condiziona molti
servizi direttamente e indirettamente forniti dal suolo al suo stato naturale e implica costi
sociali rilevanti per una minore produzione agricola, una ridotta regolazione climatica, un
aumento della franosità del territorio, la mancata alimentazione delle acque di falda e il
dilavamento superficiale degli inquinanti che implica una minore quantità e qualità dei corpi
idrici. In sintesi “in un’area impermeabilizzata le funzioni produttive sono inevitabilmente
compromesse, così come la possibilità di assorbire CO2 o di fornire supporto e
1 Ringrazio Matteo Bugamelli per i suggerimenti. Le opinioni espresse non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia.
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sostentamento per la componente biotica dell’ecosistema, di garantire la biodiversità o la
fruizione sociale” (Munafò et al., 2011).
L’urgenza di arrestare la tendenza di questo fenomeno e di mitigarne gli effetti è
resa ancor più pressante dal recente amplificarsi di eventi meteorologici estremi, legati ai
mutamenti climatici già in atto nel nostro paese. Ciò suggerisce di adottare politiche che
ripristino la sostenibilità del territorio nel contesto di una più ampia strategia di
adattamento ai cambiamenti climatici. Il ricorso a strumenti economici potrebbe aiutare sia
a fornire il corretto segnale di prezzo sul costo sociale di un consumo di suolo eccessivo sia
a reperire le risorse necessarie alla mitigazione del rischio idrogeologico.
Il rischio idrogeologico in Italia
Catania nel 2013, Umbria e Toscana nel 2012 (5 morti), Lunigiana e Genova nel
2011 (19 morti), Veneto nel 2010 (3 morti), Messina nel 2009 (31 morti e 6 dispersi) e poi
Soverato nel 2000 (13 morti e 1 disperso) e Sarno e Quindici nel 1998 (159 vittime). Luoghi
e date che indicano la frequenza e l’impatto degli eventi idrogeologici nel nostro paese in
cui l’80 per cento del territorio è a rischio idrogeologico e il 10 per cento ad alta criticità.
Manifestazioni di tipo idrogeologico sono le frane, le alluvioni, le erosioni dei tratti
costieri e i fenomeni di subsidenza. Concentrandoci solo sulle frane e sulle alluvioni è
possibile stimare che negli ultimi sessant’anni (dal 1950 al 2011) si sono verificati oltre
4.000 manifestazioni idrogeologiche (una media di 65 eventi per anno, 38 frane e 27
alluvioni) (Tav. 1).
Tavola 1 – Eventi idrogeologici, popolazione coinvolta e vittime: 1950-2011
Numero di eventi Popolazione coinvolta Vittime Eventi medi per anno Vittime per anno Vittime per evento
Fonte: Per il periodo 1950-2008 ci si riferisce alla tavola 1 di Salvati et al. (2010) e per il periodo 2009-2011 (da novembre 2009 a novembre 2011 per le frane) all’Annuario dei dati ambientali di ISPRA (capitolo 14 - Pericolosità di origine naturale) (2010 e 2011a).
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Ma la contabilità degli eventi di per sé non è informativa se non si guarda ai loro
effetti sulla popolazione: nello stesso periodo frane e alluvioni hanno causato 5.459
vittime, mediamente 88 morti all’anno, 67 per le frane e 21 per le alluvioni.
Più difficili sono da valutare i danni alle cose anche se la loro rilevanza è
testimoniata dalle prime stime ISPRA per il periodo 2009-2011: oltre due milioni di
persone coinvolte e danni materiali diretti per oltre 5 miliardi di euro.
Alcune identità possono essere utili per individuare i fattori che influenzano il
rischio idrogeologico. La pericolosità degli eventi idrogeologici dipende in primo luogo
dalla frequenza e dall’intensità degli eventi potenzialmente dannosi per cose e persone in
una certa area del territorio. Seguendo Giuntini (2005) e Ubertini (2009), il rischio
idrogeologico può essere espresso come funzione degli elementi a rischio (E – la
popolazione e le infrastrutture dell’area esposte all’evento) e della loro vulnerabilità (V – la
percentuale di danno cui è esposto un elemento a rischio nel caso si verifichi un fenomeno
di una certa intensità). Dati questi elementi il rischio specifico, ossia la perdita per l’i-esimo
evento idrogeologico, può essere espressa come Di=Ei*Vi e in un periodo di t anni in cui si
verificano Nt eventi il danno complessivo è pari a
tN
iiit VED
1
. Il rischio idrogeologico cui
mediamente è esposto ciascun elemento in un intervallo dato è invece stimabile come
ttt HVER dove gli elementi visti in precedenza sono moltiplicati per una misura di
probabilità espressa in relazione al tempo di ritorno dell’evento T2: t
t TH
111 .
L’aumento della superficie nazionale a copertura artificiale ha accresciuto, a parità
di frequenza degli eventi (Ht), gli elementi a rischio (E) e la loro vulnerabilità (V): la
crescente dispersione urbana e la conseguente riduzione degli spazi ecologici tra nuclei
abitati, la realizzazione di abitazioni abusive in aree soggette a fenomeni franosi o
alluvionali, il disboscamento e l’abbandono delle colture agricole sono tutti elementi che
hanno contribuito a un aumento di entrambi i fattori.
Il valore degli elementi a rischio inoltre include non solo le abitazioni private ma
anche insediamenti industriali, edifici pubblici, infrastrutture e importanti ecosistemi
naturali che, se danneggiati in caso di eventi calamitosi, accrescono i danni a persone o
cose. Secondo l’indagine Ecorischio 2011 il 56 per cento dei comuni intervistati dichiara di 2 Il tempo di ritorno T indica l’intervallo di tempo in cui, mediamente, un dato evento si realizza almeno una volta.
4
avere insediamenti industriali localizzati in aree a rischio che, in caso di eventi calamitosi,
potrebbero inquinare le acque e i terreni circostanti. Nel 20 per cento dei comuni sono
invece presenti, sempre in aree a rischio, strutture sensibili come scuole e ospedali3, e nel 26
per cento infrastrutture turistiche o commerciali.
Poiché l’impatto degli eventi idrogeologici su persone e cose dipende in particolare
dalle modalità di utilizzo del suolo è utile analizzare come questo è cambiato nel corso degli
ultimi anni.
Il consumo di suolo in Italia
Il consumo di suolo del paese è cresciuto costantemente: dal secondo dopoguerra
ad oggi è stata cementificata una superficie di 1,5 milioni di ettari pari a quella della regione
Calabria (Rondinone et al., 2012). Le valutazioni più recenti segnalano che in Italia oltre il 7
per cento del territorio risulta essere soggetto a impermeabilizzazione4 con importanti
differenze a livello territoriale (valori maggiori si riscontrano nei comuni del nord): in
alcune aree urbane la quota di terreno impermeabilizzato si estende per oltre la metà delle
superfici complessive (come ad esempio nei comuni di Milano e Torino).
La crescita del territorio coperto da aree artificiali è legata in particolare
all’espansione dei centri abitati la cui superficie è aumentata di oltre il 7 per cento rispetto al
2001. In alcuni comuni si sono verificati fenomeni di dispersione urbana associati a un
aumento dell’impermeabilizzazione media procapite. La tendenza alla dispersione urbana
(sprawl urbano) riduce la sostenibilità ambientale perché consuma in modo non efficiente
una risorsa scarsa e in quanto accresce i costi (privati e sociali) legati alla domanda di
maggiore mobilità per gli abitanti di questi nuclei insediativi che vogliano accedere ai servizi
offerti da centri urbani.
Nel confronto europeo il territorio italiano è tra quelli con la maggiore incidenza
del territorio artificiale: la quota di territorio con copertura artificiale risulta di quattro punti
percentuali superiore alla media della UE, un valore più elevato quand’anche si tenga conto
della maggiore densità abitativa del nostro paese (Giovannini, 2012) (Fig. 1).
3 Il 30 per cento degli ospedali e il 26 per cento delle scuole è localizzato in aree ad elevato rischio idrogeologico (ANCE-CRESME, 2012). 4 L’impermeabilizzazione del suolo (soil sealing) indica il fenomeno per cui il suolo naturale viene coperto con materiali (ad es. cemento, metallo, vetro, asfalto, plastica) che ne condizionano la permeabilità in tal modo da comprometterne la funzionalità ecologica.
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Figura 1 – Percentuale di territorio impermeabilizzato in alcuni paesi dell’UE: anno 2009
Fonte: Eurostat.
Se i tassi di copertura artificiale del suolo naturale proseguissero ai ritmi registrati
nell’ultimo decennio (fino a 100 ettari al giorno secondo i dati ISPRA) nel giro di mezzo
secolo verrebbe impermeabilizzata una superficie di oltre 18.000 km2, pari a quella del
Veneto, quasi raddoppiando la percentuale di territorio impermeabilizzato del paese.
L’uso del suolo e le conseguenze dell’impermeabilizzazione
La crescente impermeabilizzazione del territorio ha un impatto in diversi ambiti.
Influisce sull’attività del settore agricolo, sugli utilizzi energetici (per la maggior domanda di
energia legata alle esigenze di mobilità o alle altre inefficienze legate alla dispersione
urbana), sulla stabilità dei suoli e degli assetti idraulici, sulla capacità di regolazione climatica
e di assorbimento delle emissioni5, sull’integrità degli habitat naturali e sulla loro capacità di
fornire i loro servizi in generale minando la resilienza ecologica totale (Romano, 2012).
Molti di questi impatti non sono però riflessi nel valore economico del suolo,
determinato solo in base alla sua valenza come input produttivo delle attività agricole o, in
alternativa, di quelle edilizie (edifici residenziali, commerciali e infrastrutture). In entrambi i
casi, le caratteristiche del suolo naturale vengono modificate ma solo nel secondo caso i
cambiamenti risultano per la maggior parte irreversibili.
5 1 metro quadrato di suolo allo stato naturale consente ogni anno l’evapotraspirazione di 600 litri d’acqua e custodisce 20 kg di gas serra che altrimenti sarebbero emessi in atmosfera (Brenna, 2011).
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L’aumento del rischio idrogeologico è una delle conseguenze
dell’impermeabilizzazione del suolo e gli eventi ad esso associati si manifestano per la
conformazione del territorio e la densità della popolazione ma la loro intensità e gli effetti
che producono su persone e cose dipendono anche dalle scelte dell’uomo: la crescita del
numero di abitazioni, l’abbandono dei terreni agricoli e i fenomeni di disboscamento,
l’abusivismo edilizio e un’inadeguata manutenzione dei corsi d’acqua.
La crescita del numero di abitazioni. Negli ultimi vent’anni la popolazione italiana è
cresciuta di poco meno del 7 per cento ma il numero di abitazioni è aumentato del 16 per
cento con una crescita di 47 abitazioni per mille abitanti tra il 1991 e il 2011. Stante la forte
crescita del numero di famiglie, conseguente alla continua riduzione della loro dimensione
media, sono invece diminuite le abitazioni per unità familiare che comunque sono risultate
di più del numero di famiglie (da 1,257 abitazioni per famiglia nel 1991 a 1,181 nel 2011)
(Tav. 2)6. Alla crescita del numero di abitazioni edificate si è accompagnata la dispersione
urbana: dal 2001 un terzo delle località italiane ha accresciuto la propria superficie
adottando modelli di espansione diffusa dei centri urbani (Giovannini, 2012).
Tavola 2 – Abitazioni, popolazione e famiglie: anno 2011
Abitazioni occupate
Abitazioni non occupate
Totale Abitazioni occupate
Abitazioni non occupate
Abitazioni
per abitante per famiglia Nord-Ovest 0,430 0,076 0,506 0,982 0,173 1,155
L’abbandono dei terreni agricoli. Un recente rapporto commissionato dal Ministero
delle politiche agricole alimentari e forestali evidenzia come l’avanzamento delle aree
edificate, insieme all’abbandono dell’attività agricola, abbia causato una rilevante perdita di
superficie agricola utilizzata (SAU): dal 1971 la SAU si è ridotta di oltre un quarto con una
perdita complessiva di 5,1 milioni di ettari, pari alla somma di Liguria, Lombardia ed Emilia
Romagna (Rondinone et al., 2012). La sottrazione di terreno all’uso agricolo non influisce
6 Secondo l’indagine sui consumi delle famiglie erano 18,3 milioni le famiglie proprietarie dell’abitazione di residenza (erano 16 nel 2000).
7
solo sulla produzione agricola nazionale (comunque sostenuta dai forti aumenti di
produttività) ma anche sul ruolo di queste attività nel limitare il degrado del territorio.
L’abusivismo edilizio. Secondo le stime del CRESME, tra il 2003 e il 2011 sono state
edificate circa 2,5 milioni di abitazioni e di queste oltre il 10 per cento in modo abusivo. La
massima percentuale di abitazioni abusive si è avuta nel 1994 con la realizzazione in un solo
anno di 83.000 unità pari a quasi il 30 per cento del totale (Mostacci e Polci, 2012) mentre
l’incidenza minima è stata registrata nel 2007 (8 per cento delle abitazioni edificate) a
quattro anni dal terzo e ultimo condono edilizio. Questo fenomeno accresce il rischio di
impatto di eventi franosi o alluvionali sia in quanto gli edifici sono realizzati in zone a
rischio7 sia a causa del ciclo abusivo delle costruzioni che include anche quello
dell’estrazione illegale del materiale di costruzione da cave abusive che può influire sulla
stabilità dei territori circostanti8.
Opere di difesa idraulica. Secondo un’indagine di Legambiente su 1.121 comuni italiani
il 30 per cento dichiara di non provvedere con regolarità alla manutenzione delle sponde
dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica o alla messa in sicurezza dei corsi d’acqua
(Legambiente, 2011a). Inoltre in alcuni comuni (segnatamente in quello di Reggio Calabria)
si continua a consentire la costruzione negli alvei delle fiumare, corsi d’acqua caratterizzati
da afflussi di acqua improvvisi e abbondanti nei mesi autunnali e invernali.
Una stima dei costi del dissesto idrogeologico
Come accennato in precedenza gran parte del territorio italiano è soggetto a rischio
idrogeologico per ragioni di tipo morfologico e l’elevata vulnerabilità è legata all’elevata
densità abitativa. La probabilità che occorra un evento alluvionale o franoso (che come
vedremo più avanti può aumentare a causa dei cambiamenti climatici) si può considerare
data mentre le altre componenti del rischio (gli elementi esposti e il loro grado
vulnerabilità) dipendono dall’azione dell’uomo. È su queste componenti che si può
7 Secondo un sondaggio di Legambiente su 1.121 comuni, in quasi un terzo erano stati costruiti interi quartieri in zone a rischio idrogeologico (industrie in oltre la metà dei casi) (Legambiente, 2011a). 8 Secondo Legambiente in Italia ci sarebbero oltre 15 mila cave (per la maggior parte dismesse) e nove regioni sono prive di un Piano Regionale delle Attività Estrattive (PRAE) che disciplinano e controllano il prelievo di materiale e i suoi effetti sul territorio (Legambiente, 2011b).
8
concentrare l’azione di prevenzione e di mitigazione del danno. Agendo su queste leve è
possibile incrementare la resilienza degli insediamenti umani al verificarsi di eventi franosi o
alluvionali limitando i danni a persone e cose.
I danni possono essere diretti, indiretti o immateriali (Tav. 3). I primi sono
conseguenti alla perdita, totale o parziale, degli elementi dell’area colpita: la popolazione, gli
edifici (residenziali, commerciali, pubblici, industriali), le infrastrutture (per il trasporto delle
persone o delle merci, per energia o telecomunicazioni), i beni ambientali (terreni coltivati,
riserve naturali, edifici di valore storico e artistico)9. Computarne il valore non è cosa
semplice (soprattutto per i beni ambientali) anche se in prima approssimazione è possibile
ricorrere al costo di ripristino. I danni indiretti e quelli immateriali sono invece più
complicati da stimare anche perché spesso si manifestano in momenti successivi all’evento,
come nel caso dell’impossibilità di utilizzare le infrastrutture (ad es. le interruzioni
nell’erogazione di energia elettrica o di acqua) o gli edifici che forniscono servizi pubblici10.
Il danno economico legato all’impossibilità per le aziende di riprendere l’attività è valutabile
con la perdita della produzione attesa ma sono più complesse le stime dei disservizi per le
perdite dell’uso di infrastrutture che erogano servizi pubblici come scuole o ospedali o
quelli legati all’abbandono dell’area colpita.
Tavola 3 – Classificazione dei danni
Danni diretti Ad es. danni agli edifici e al loro contenuto, vetture, infrastrutture, beni ambientali,
persone, ripristino del territorio, bonifica e smaltimento
Danni indiretti Ad es. danni derivanti da interruzione di esercizio delle attività, interruzione di
energia elettrica, acqua e trasporto, assistenza, alloggi emergenziali
Danni immateriali Ad es. deviazioni o code sul percorso casa-lavoro, menomazioni psicologiche,
abbandono delle zone a rischio
Fonte: Adattato da Swiss RE (1998).
Non esiste una metodologia condivisa per la stima dei costi legati al dissesto
idrogeologico in Italia. In uno studio realizzato dal CRESME per il Consiglio Nazionale dei
Geologi è stata ricostruita la dinamica dei costi del dissesto idrogeologico in Italia tra il
1944 e il 2009: secondo queste analisi il valore dei danni causati da eventi franosi e
alluvionali dal dopoguerra ad oggi è stimabile in circa 52 miliardi di euro (euro 2009).
9 Ad esempio le frane registrate negli ultimi anni hanno provocato danni per la maggior parte alle infrastrutture di trasporto e ai terreni agricoli mentre danni al patrimonio sono stati registrati in cerca un quinto dei casi (ANCE-CRESME, 2012). 10 Sono circa 7.000 gli edifici pubblici strategici (in maggioranza scuole) in zone ad elevato rischio idrogeologico per la maggior parte localizzate nel Nord-Est e nel Mezzogiorno (ANCE-CRESME, 2012).
9
Mediamente, si tratta di circa 800 milioni di euro all’anno, una cifra che nell’ultimo
ventennio sarebbe però aumentata, assestandosi intorno al miliardo e 200 milioni annui
(CRESME, 2010). Secondo il Ministero dell’Ambiente il valore medio annuo dei costi legati
al dissesto idrogeologico degli ultimi 20 anni ammonterebbe a circa 2,5 miliardi (ANCE-
CRESME, 2012).
In questo lavoro si vuole ottenere una stima indipendente che includa una
valutazione di mercato degli immobili privati a rischio e un esame delle perdite umane. La
valutazione che segue si concentra sui soli danni diretti e per tale ragione andrebbe
considerata come un’indicazione minima del danno effettivo.
Le perdite umane. Per la valutazione delle vittime tra la popolazione si può ricorrere
allo studio di Salvati et al. (2010) che rileva per il periodo 1950-2008 2.204 eventi franosi e
1.654 eventi alluvionali (mediamente 37 e 28 all’anno) che hanno causato 5.201 vittime, 116
dispersi e oltre 3.500 feriti. Secondo l’analisi di Salvati et al. (2010) una frana ha causato in
media oltre 6 fatalities (morti e dispersi), mentre un’alluvione 2; per queste ultime i valori
salgono a oltre 4 se si considerano anche le casualties (fatalities + feriti)11. Nostre elaborazioni
su dati ISPRA (2010 e 2011a) per il periodo 2009-201112 indicano che nel triennio si sono
verificate 133 frane e 31 eventi alluvionali con 2,3 milioni di persone coinvolte e 142
vittime, valori che nella media del periodo, e considerando solo gli eventi con vittime,
risultano non troppo diversi da quelli del periodo precedente (circa 4 vittime per evento).
Trascurando i feriti e i danni alla salute e attribuendo a tali decessi un valore statistico di
una vita umana perduta13 pari a 3,1 milioni di euro, il valore della perdita di queste vite a
causa di frane e alluvioni sarebbe mediamente pari a circa 150 milioni di euro per
anno (valori 2009).
I danni a infrastrutture e a edifici privati. Per la stima dei danni alle infrastrutture è stata
applicata l’incidenza dei costi sostenuti per il ripristino delle opere pubbliche nel caso
11 I valori medi riportati sono condizionati agli eventi con un numero di vittime conosciuto (1.583 di cui 967 frane e 616 alluvioni). 12 Dati da novembre 2009 a novembre 2011 per le frane. 13 Il valore della vita statistica rappresenta la disponibilità a pagare per evitare che avvenga un decesso. Il valore preso a riferimento si basa sulla rivalutazione del valore medio riportato in Biasque (2010) del range di stime di Alberini et al. (2007) (3,6 milioni di dollari 2005, pari a 3,12 milioni di euro 2009).
10
dell’alluvione del Veneto del 201014 alle stime di ISPRA circa le risorse necessarie per la
ricostruzione delle aree colpite da frane o alluvioni nel triennio 2009-2011 pari a 5,2
miliardi di euro (circa 1,7 miliardi di euro all’anno in euro 2009). I costi di ripristino delle
infrastrutture ammonterebbero a circa 1 miliardo di euro all’anno (euro 2009).
Per i danni materiali agli edifici privati si deve ricorrere a più fonti di informazione.
Secondo uno studio dell’ANIA il danno annuo atteso per il patrimonio abitativo italiano
ammonterebbe a 230 milioni l’anno. Tale valore è una stima per difetto in quanto si
riferisce solo ai danni che gli eventi alluvionali (escluse quindi le frane) provocano ai piani
bassi delle abitazioni (il valore non include gli oggetti di arredamento ma considera il solo
costo di ricostruzione). Per ottenere una stima alternativa sul valore del patrimonio
immobiliare privato a rischio è possibile incrociare le informazioni sullo stock nelle aree ad
elevato rischio idrogeologico con quelle sui valori medi di mercato delle abitazioni e degli
edifici non residenziali a livello provinciale. Le abitazioni presenti nelle aree ad elevato
rischio idrogeologico sono nel 2011 quasi 2,8 milioni, gli edifici interessati circa 1,6 milioni
di cui 162 mila a uso non residenziale (ad es. capannoni, ad uso produttivo) (ANCE-
CRESME, 2012). È possibile stimare che il patrimonio complessivo localizzato nei
6.473 comuni ad alto rischio idrogeologico ammonterebbe a 600 miliardi, perlopiù
fatto di abitazioni e solo in piccola parte determinato dal valore dei fabbricati ad uso
produttivo (13 miliardi)15. Utilizzando la relazione vista in precedenza ttt HVER è
possibile derivare un intervallo di stima del valore del patrimonio a rischio ogni anno
ipotizzando diversi valori circa la vulnerabilità (V) e la frequenza attesa (H). La Figura 2
riporta il danno atteso per diversi livelli di V e H (che varia a sua volte con il tempo di
ritorno). Ipotizzando un livello di vulnerabilità compreso tra l’1 e il 10 e per cento e un
tempo di ritorno tra i 5 e i 50 anni (quello che definisce le aree ad alto rischio alluvionale è
inferiore ai 50 anni), si deriva un intervallo del patrimonio immobiliare a rischio che va
dagli 0,36 e ai 3,6 miliardi di euro annui e un valore medio di 1,6 miliardi annui (euro
2009) che viene assunto come stima del danno annuo atteso per il patrimonio
immobiliare privato italiano.
14 Le risorse stanziate per l’alluvione del Veneto del 2010 ammontavano a 372 milioni di euro e di queste circa il 57 per cento sono state destinate al ripristino delle opere pubbliche (tabella 9 di Regione Veneto, 2011). 15 Per le abitazioni sono stati utilizzati i valori medi provinciali calcolati sui dati dall’ultima Indagine sui bilanci delle famiglie italiane (anno 2010); per gli edifici ad uso non residenziale si è ricorso ai valori medi provinciali delle stime sulla ricchezza detenuta in capannoni, uffici, negozi e laboratori nel 2010 elaborate dalla Banca d’Italia utilizzando i prezzi dell’Agenzia del territorio (in casi limitati disponibili solo a livello regionale).
11
Figura 2 – Il patrimonio immobiliare privato a elevato rischio idrogeologico (euro 2009)
Fonte: Elaborazioni a livello provinciale su immobili privati (abitazioni e altri edifici). Lo stock a rischio è tratto da ANCE-CRESME (2012); i valori sono calcolati utilizzando per le abitazioni i dati delle’indagine sui bilanci delle famiglie italiane (archivio storico versione 7.0) e per gli altri edifici le stime sull’archivio della ricchezza della Banca d’Italia.
Aggregando le stime delle diverse componenti, il danno annuo legato al rischio
idrogeologico ammonterebbe a circa 2,7 miliardi (in euro 2009), un valore che non
include i danni di tipo indiretto che colpiscono famiglie e imprese. La stima di questi
ultimi risulterebbe, secondo alcuni studi, di un ordine simile a quella dei danni
diretti (Sterlacchini et al., 2007).
La protezione del suolo nell’ambito di una strategia di adattamento dei
cambiamenti climatici
Tra le determinanti del rischio idrogeologico la frequenza degli eventi di tipo
alluvionale o franoso (la grandezza Ht) è normalmente considerata data. Tale frequenza
potrebbe però aumentare a causa dei cambiamenti climatici. Nel nostro paese i
cambiamenti climatici sono già in atto: nel periodo 2000-09. la temperatura media annua è
risultata più alta di 0,8 gradi rispetto al 1971 - 2000.
In tutti gli anni del decennio, ad eccezione del 2005, le temperature medie, massime
e minime hanno registrato valori superiori a quelli di riferimento. L’anno 2003 è stato il più
caldo degli ultimi dieci anni in particolare per gli elevati massimi registrati nel corso
dell’anno, più alti di 2,1 gradi rispetto ai valori climatici di riferimento (Fig. 3). Nel 2007,
l’anno più caldo dopo il 2003, l’aumento della temperatura media è stato di 1° C a causa
delle elevate temperature massime (Istat, 2010).
12
Figura 3 – Anomalia della temperatura in Italia e nel mondo: 1961-2010
Fonte: ISPRA (2011c).
Nel mondo tra il 1970 e il 2010 le catastrofi naturali sono più che triplicate (Swiss
Re, 2012). Benché ad oggi non sia disponibile un riscontro di un aumento tendenziale degli
eventi alluvionali e franosi in Europa (Barredo, 2009; EEA, 2010), si moltiplicano le
evidenze che all’innalzamento delle temperature medie sia possibile associare una serie di
effetti che possono danneggiare gli ecosistemi, le rese delle colture agricole e la salute
umana (EEA, 2008; IPCC, 2012). Per quello che riguarda il rischio idrogeologico, i
cambiamenti climatici sarebbero associati a una maggior frequenza di fenomeni
meteorologici estremi, come piogge torrentizie alternate a periodi di siccità intensa, la
riduzione delle superfici innevate delle zone alpine, l’indebolimento del permafrost, con
conseguenze sulla stabilità geologica dei territori. Nelle zone costiere aumentano i fenomeni
di infiltrazione di acqua salmastra nelle acque di falda e vengono perse superfici di terreno
coltivabile cosa che amplifica il citato fenomeno di riduzione del suolo agricolo. Alcuni
effetti possono essere indiretti come la maggior probabilità di territorio a rischio incendio
nei mesi estivi che, riducendo la superficie boschiva, accresce il rischio di eventi franosi nei
mesi autunnali e invernali.
Il nostro paese ha già adottato, soprattutto sulla spinta della strategia di Europa
2020, una serie di politiche di mitigazione delle emissioni di gas serra: con la partecipazione
delle imprese energivore al sistema di scambio dei permessi di emissione; incentivando le
fonti rinnovabili e gli investimenti per migliorare l'efficienza energetica del settore
residenziale e dell'industria; riducendo lo smaltimento dei rifiuti urbani in discarica
(responsabili di quasi il 4% delle emissioni).
13
Non è però ancora stato predisposto un piano di adattamento ai cambiamenti
climatici16, reso oggi ancora più urgente dal sostanziale stallo dei negoziati internazionali sul
clima che non garantirà la riduzione di emissioni necessaria a contenere entro due gradi
l'aumento delle temperature superficiali. Il processo di adattamento ai mutamenti climatici,
la cui rilevanza è sottolineata anche nel Settimo Programma Quadro dell’Unione Europea,
comporta strategie di azione locale e mira a migliorare la capacità degli ecosistemi, delle
tecniche di coltivazione e delle infrastrutture di resistere agli eventi climatici estremi legati
all'innalzamento delle temperature superficiali (siccità, piogge torrentizie) e a quello dei mari
(infiltrazioni delle acque costiere nelle falde, perdita di aree di terreno coltivabile).
Un programma articolato di messa in sicurezza del territorio, delle infrastrutture
strategiche (reti di trasporto di elettricità e gas, reti idriche) nell'ambito di un piano di
adattamento nazionale potrebbe non solo ridurre l'impatto dei cambiamenti climatici nel
medio termine, ma nel breve contribuirebbe ad attivare la produzione dei settori coinvolti
nella manutenzione del territorio con un impatto positivo sull’occupazione locale. Come
sottolineato in Serva et al. (2006), non sempre la messa in sicurezza del territorio necessita
di grandi opere ma piuttosto di un adeguato numero di occupati per la realizzazione e la
manutenzione delle opere di difesa e per il controllo capillare del territorio fondamentale
anche per la repressione dei comportamenti illegali.
Proposte per una gestione sostenibile del territorio
In un recente documento della Commissione Europea (“Tabella di marcia verso
un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse”, settembre 2011) viene posto l’anno 2050 come
termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica
che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove superfici si riduca. Secondo
alcune valutazioni la frequenza e la severità degli impatti degli eventi idrogeologici sul
territorio del nostro paese suggeriscono che tale impegno venga recepito al più presto
anche a livello nazionale con una moratoria sulla nuova edificazione (FAI e WWF, 2012).
16 Nelle proposte preparate per la crescita presentate nell’agosto 2012 (Politiche e misure per la crescita sostenibile dell'Italia) il Ministero dell’ambiente annunciò che il piano avrebbe dovuto essere approvato entro la fine del 2012. http://94.86.40.85/home_it/showitem.html?lang=&item=/documenti/comunicati/comunicato_0438.html. A marzo 2013 non risultava ancora approvato.
14
Una decisione così radicale andrebbe soppesata con le esigenze di domanda
abitativa per evitare che situazioni locali di eccesso di domanda accrescano eccessivamente
il valore degli immobili esistenti.
Si potrebbe poi attuare una progressiva delocalizzazione degli insediamenti
residenziali e industriali dalle aree più rischiose una pratica che ancora incontra molte
resistenze: secondo l’indagine Ecorischio 2011 solo il 4 per cento dei comuni italiani ha
adottato azioni in tal senso (Legambiente, 2011a).
Inoltre andrebbero adottate politiche di contrasto all’abusivismo edilizio non
temendo di ricorrere alla demolizione degli edifici: queste misure sono previste dalla legge17
e forniscono un chiaro segnale che le autorità hanno l’intenzione di perseguire una politica
sostenibile di gestione del territorio senza compromessi18. Un ulteriore motivo per
contrastare l’abusivismo è legato al fatto che, soprattutto nelle aree a maggior rischio, il
mantenimento delle costruzioni abusive può impedire di intraprendere le azioni di
mitigazione ottimali in termini di riduzione della vulnerabilità ripiegando su opere di messa
in sicurezza che snaturano ulteriormente il territorio.
Le misure di repressione andrebbero accompagnate da un governo più ordinato del
processo di edificazione che deve in primo luogo rispondere alle esigenze delle comunità
residenti cercando di superare le difficoltà di coordinamento tra i diversi livelli di governo
verificatesi nel passato19.
Lo sviluppo territoriale dovrebbe incentrarsi sulla ridefinizione del tessuto urbano
che recuperi l’esistente piuttosto che costruire il nuovo e ponendo attenzione a non
incrementare il consumo di suolo (come prescritto dall’articolo 135 comma 3 lettera b) del
citato codice del paesaggio)20 e a valorizzarne l’uso agricolo21.
17 Secondo il testo unico per l’edilizia (d.p.r. n. 380/01) la costruzione in assenza di permesso di costruire è punita a due livelli, la sanzione penale (che in base all’art. 44 può prevedere anche l’arresto) e quella amministrativa, ossia l’ordinanza di demolizione (art. 31). 18 Nel 1983 un ministro del Governo dichiarava alla stampa che il condono “era l’occasione per affrontare seriamente il problema dell’abusivismo edilizio stabilendo un anno zero nella tutela del territorio attraverso precise norme per evitare l’abusivismo futuro e instaurando meccanismi che impediscano domani il proliferare di costruzioni illegali” (La Stampa, mercoledì 5 ottobre 1983). Il numero di abitazioni abusive non ha invece subìto alcuna flessione in seguito ai tre condoni edilizi che si sono susseguiti negli ultimi tre decenni (uno nel 1985, uno nel 1995 e uno nel 2003). 19 Ad esempio i piani paesistici regionali non sono ancora stati approvati (con l’eccezione di Puglia e Sardegna) e il codice dei beni culturali e del paesaggio rimane perlopiù inapplicato, anche per lo scarso coordinamento tra enti centrali e locali. 20 Alcune idee per la rivisitazione del tessuto urbano sono fornite dal Piano nazionale per la rigenerazione urbana sostenibile, proposto dal Consiglio Nazionale degli Architetti e promosso da ANCI, Regioni, ANCE e LEGAMBIENTE e le cui indicazioni si basano su di un rapporto del CRESME (CRESME, 2012). 21 In questa direzione va il provvedimento sulla valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo del suolo discusso in Consiglio dei Ministri nel settembre del 2012. Il testo presentato ha l’obiettivo
15
Dal ripristino alla mitigazione: proposte per il reperimento delle risorse
Gli eventi passati mostrano come le risorse pubbliche impegnate a seguito di eventi
alluvionali e franosi siano state limitate e comunque destinate più alla reintegrazione dei
danni piuttosto che ad attività di prevenzione. Stime basate sui piani stralcio per l’assetto
idrogeologico22 indicano in oltre 40 miliardi di euro il fabbisogno a livello nazionale (27 per
il Centro-Nord e 13 per il Sud e Isole) per la messa in sicurezza delle situazioni di dissesto
idrogeologico (Giannella e Guida, 2010).
L’ammontare di risorse destinato alla prevenzione è largamente inferiore al
fabbisogno indicato dai piani stralcio per l’assetto idrogeologico e anche al valore dei danni
cumulati nel tempo.
Nel periodo 1999-2011 sono stati stanziati dallo Stato 4,5 miliardi di euro – 375
milioni l’anno – per finanziare 4.869 interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico;
poco più della metà delle risorse stanziate era destinata a lavori ultimati o in via di
esecuzione23. All’inizio del 2012 il CIPE ha deliberato stanziamenti per oltre 680 milioni di
euro a favore di interventi di difesa del suolo per le aree del Mezzogiorno a maggio rischio
idrogeologico (deliberazione CIPE del 20 gennaio 2012). Secondo valutazioni ANCE-
CRESME negli ultimi 10 anni (2002-2012) i bandi di gara per lavori di sistemazione e
prevenzione del dissesto idrogeologico hanno rappresentato, rispetto all’intero mercato
delle opere pubbliche, il 5 per cento del numero degli interventi e il 2 per cento degli
importi messi a gara (ANCE-CRESME, 2012).
Ad esempio per l’alluvione che ha colpito il Veneto nell’autunno del 2010 sono stati
stanziati da Governo ed enti locali circa 370 milioni di euro che per oltre la metà sono
andati a finanziare la realizzazione di opere infrastrutturali del genio civile e dei servizi
forestali. Quanto sarebbe costato investire in opere per mitigare gli effetti di quelle
alluvioni? Secondo la Regione Veneto gli interventi di mitigazione del rischio idraulico
dell’area colpita richiedono oltre 2,7 miliardi, sette volte il valore di quanto stanziato per il
ripristino dei danni (Regione Veneto, 2011). Queste cifre vanno valutate alla luce della
di riequilibrare le aree occupate da terreni agricoli e da zone edificate o edificabili stabilendo un limite al consumo di suolo e incentivando l’utilizzo delle zone già urbanizzate (http://governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/testo_int.asp?d=69146). 22 I Piani stralcio per l'assetto idrogeologico (PAI), previsti dall’articolo 67 del codice dell’ambiente, sono lo strumento giuridico che disciplina le azioni riguardanti la difesa idrogeologica del territorio e della rete idrografica di un’area di bacino. 23 Dati tratti dal sito del Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo (ReNDiS), www.rendis.isprambiente.it.
16
frequenza con cui ci si attende che la zona venga colpita da eventi di tipo idrogeologico: in
Veneto si sono verificati nel periodo 1950-2011 circa 40 eventi alluvionali (più di un evento
alluvionale ogni due anni) e ciò parrebbe indicare che la mitigazione del rischio
idrogeologico sia la scelta migliore dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse e ciò anche in
considerazione che i fondi stanziati coprono solo in parte i danni diretti24 a persone e cose e
non rifondono in alcun modo per i danni indiretti subiti.
Rimane il problema di come, soprattutto dati i vincoli di finanza pubblica, reperire
le risorse necessarie ad attuare le azioni di mitigazione del rischio idrogeologico e di
ripristino del territorio. È importante in quest’ottica distinguere tra interventi ex-ante, quelli
che mitigano il rischio, e interventi ex-post ossia le risorse necessarie ad affrontare i costi
successivi al verificarsi dell’evento. Le risorse per gli interventi ex-post sono comunque
necessarie in quanto il rischio non può essere completamente rimosso. Inoltre la
predisposizione di strumenti per coprire i costi degli interventi ex-post ed ex-ante limiterebbe
l’impatto sul livello e la volatilità delle finanze pubbliche.
Una prima misura per liberare risorse pubbliche è quello di riconoscere il principio
per cui i costi di ripristino delle strutture private non dovrebbero essere a carico di
Governo o enti locali gravando sulla fiscalità generale.
Vi sono diverse alternative con cui reperire le risorse e incentivare un utilizzo più
sostenibile del suolo: 1) la copertura assicurativa obbligatoria contro le calamità naturali dei
beni immobili di famiglie e imprese; 2) gli incentivi fiscali e il ricorso ad altri strumenti di
mercato; 3) l’utilizzo di fondi europei (eventualmente con compartecipazione tra pubblico
privato); 4) il ricorso ai mercati finanziari per la copertura dei rischi.
Assicurazione obbligatoria contro le calamità naturali. In teoria l'assicurazione è il modo
più pratico ed efficace di gestire il rischio idrogeologico: assicurandosi gli individui
distribuiscono il rischio e ciascun soggetto esposto limita il valore massimo (ad es. tramite
la franchigia) dei danni monetari conseguenti al verificarsi dell’evento calamitoso. Con
questo sistema i costi di ripristino dei danni causati da fenomeni idrogeologici a strutture
24 Per le alluvioni del 2008 la Protezione Civile ha risarcito il 30 per cento dei danni alle attività produttive (Giarola, 2010). Inoltre nel caso del Veneto solo una frazione delle persone danneggiate ha fatto richiesta di accedere ai fondi per la riparazione dei danni. “[…] solo un terzo delle famiglie vicentine colpite dall’inondazione ha presentato domanda per il rimborso dei danni. L’amministrazione comunale ha ricevuto meno di 2mila richieste a fronte delle quasi 6mila prospettate.” www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/14/ora-il-veneto-abbandonato-si-aiuta-da-solo.
17
private non sarebbero, come accade ora, a carico di Governo o enti locali senza quindi
richiedere il reperimento delle risorse attraverso la fiscalità generale. Allo stesso tempo in
presenza di premi determinati dal mercato il segnale di prezzo fornito dal premio orienta le
scelte di localizzazione degli edifici e i criteri di costruzione. Inoltre la diffusione di
meccanismi assicurativi costituirebbe uno strumento di contrasto all’illegalità in quanto
nessuna assicurazione coprirebbe i danni occorsi a manufatti edificati illegalmente.
Nonostante i molti vantaggi che presenta, la copertura assicurativa contro i rischi di
calamità naturale è sostanzialmente assente nel nostro paese: secondo uno studio
dell’ANIA mentre il 44 per cento delle abitazioni ha una polizza contro gli incendi
solo lo 0,03 per cento ha una polizza contro gli eventi alluvionali (ANIA, 2011). Lo
scarso ricorso al mercato assicurativo dipende da una serie di ragioni: la bassa probabilità
dell'evento, l’elevato impatto economico in caso questo si realizzi, la forte correlazione tra i
rischi individuali (il rischio idrogeologico è concentrato in alcune aree), che induce un
problema di selezione, e il moral hazard indotto dalle aspettative dei privati che lo Stato
contribuisca a ripianare le perdite subìte. Questa combinazione di fattori mantiene alti i
prezzi di riserva degli assicuratori e bassi quelli dei potenziali assicurati impedendo lo
sviluppo di un mercato assicurativo.
L’obbligatorietà di un’assicurazione sulle calamità naturali (magari
complementare a quella contro gli incendi) e l'istituzione di un Fondo pubblico di
assicurazione, che intervenendo come riassicuratore di ultima istanza potrebbe agire per
rendere uniforme il peso del premio assicurativo sostenuto dai vari soggetti,
consentirebbe di superare i difetti del sistema attuale che risarcisce i danni subiti dai
privati con un intervento a posteriori che distrae risorse alla fiscalità generale ed è incerto
sui tempi, modi ed ammontare delle risorse. I costi per i sottoscrittori potrebbero essere
abbattuti attraverso qualche forma di detrazione fiscale il cui costo sarebbe comunque
inferiore al beneficio che ne trarrebbero le finanze pubbliche25.
In tal modo si avrebbe una diversificazione intertemporale del rischio e verrebbero
ridotti i costi di screening legati alle attività di selezione dei rischi delle imprese di
assicurazione private (Baglioni e Grillo, 2009)26.
25 Se le tariffe fossero differenziate secondo il rischio di calamità naturale (incluso il rischio sismico) di ogni provincia, i premi per assicurare 100 mila euro di patrimonio varierebbero tra i 240 e gli 0,38 euro annui. La presenza di una franchigia consentirebbe di abbattere sostanzialmente tali valori (ANIA, 2011). 26 Un esempio di questo sistema è quello della Francia in cui le polizze incendio obbligano anche la copertura dei rischi di catastrofi naturali pagando un premio che è una percentuale fissa. Nei contratti stipulati deve essere inclusa una clausola per cui gli indennizzi dovuti debbano essere erogati entro tre mesi a partire dalla
18
L’introduzione di una forma di assicurazione di questo tipo, già suggerita nel 1995
dalla Commissione tecnica per la spesa pubblica, è stata proposta nel 2005 con la legge
finanziaria (Porrini, 2009) ma è fallita probabilmente per una mancanza di un supporto
politico forte27. Nel riproporre una misura del genere sarebbe quindi importante sia fornire
un quadro informativo esaustivo alla popolazione sui rischi che corre sia sottolineare come
il precario stato delle finanze pubbliche possa ridurre i margini di supporto pubblico ex-post.
Strumenti di mercato. Il valore di mercato del suolo è stabilito in base ai suoi utilizzi in
agricoltura o per la realizzazione di edifici (residenziali, commerciali, infrastrutture). Non
viene considerato il suo valore sociale in termini di servizi ecologici forniti come ad es. la
termoregolazione, la stabilità del terreno e l’alimentazione delle acque di falda. Questa
differenza potrebbe essere colmata facendo riflettere nei prezzi del suolo quegli utilizzi che
accrescono una o più componenti del rischio idrogeologico. Il ricorso all’imposizione
locale può disincentivare l’impermeabilizzazione del suolo e al contempo reperire
risorse da utilizzare per gli investimenti di ripristino del territorio naturale: ad
esempio i canoni di concessione pagati per l’estrazione dei materiali da cava sono in media
solo il 4 per cento del prezzo di vendita degli inerti contro circa il 20 per cento di quanto
registrato nel Regno Unito; l’adeguamento di questi canoni al livello di quelli inglesi
accrescerebbe gli introiti delle regioni di 231 milioni di euro (Legambiente, 2011b). Inoltre
potrebbero essere introdotte agevolazioni fiscali, come succede per la manutenzione e il
miglioramento energetico degli edifici, per consentire di detrarre dalle imposte le spese
finalizzate al miglioramento dell’assetto idrogeologico e alla gestione del territorio. Questi
interventi andrebbero a contrastare quelle norme fiscali che in alcuni casi hanno invece
incentivato un’eccessiva occupazione di suolo (Tempesta, 2007)28. Infine si potrebbe
ricorrere a strumenti innovativi come i permessi di costruzione negoziabili (Küpfer et al.,
2010), le compensazioni per le modifiche dell’utilizzo del suolo (sealing fees) che varino in
data di ripristino dei beni danneggiati o delle perdite subite, salvo disposizioni contrattuali più favorevoli. Un’agenzia pubblica (Caisse Centrale de Reassurance per cui lo Stato è riassicuratore di ultima istanza) funge da riassicuratore consentendo anche la copertura dei rischi ritenuti non assicurabili dal solo settore privato. Un meccanismo simile opera anche in Spagna (ANIA, 2011). Una tavola sinottica della situazione dei principali paesi europei è disponibile all’indirizzo http://www.lavoce.info/binary/la_voce/articoli/Tabella_assicurazioni.1240311938.pdf. 27 Come afferma l’OCSE It is politically more difficult to induce or require people to take potentially costly protective measures ex ante than to provide financial assistance following a disaster (OECD, 2010). 28 Analizzando il caso del Veneto, Tempesta (2007) attribuisce l’elevata dinamica delle costruzioni agli incentivi della legge 18 ottobre 2001 n.383 (la cosiddetta Tremonti-Bis) che prevedeva la detassazione del reddito d'impresa reinvestito in azienda anche per la realizzazione d’immobili (capannoni) funzionali all'attività dell'azienda.
19
base alla quota di territorio impermeabilizzato (Prokop et al., 2011), la distribuzione di
permessi di emissione – da negoziare sul mercato EU ETS – alle realtà locali che adottino
politiche di riforestazione e di ripristino dei terreni di particolare importanza per preservare
la biodiversità (come le zone umide).
Fondi europei e partnership tra pubblico privato. L’ammontare delle risorse nazionali
destinato alla prevenzione del rischio idrogeologico dovrebbe ove possibile essere integrato
attraverso politiche attive per il reperimento di risorse europee (come il fondo europeo di
sviluppo regionale, il fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, i fondi del programma
Life+). Andrebbero poi incentivati meccanismi di compartecipazione tra pubblico e privato
simili a quelli sostenuti dallo European Energy Efficiency Fund in cui la Cassa depositi e prestiti
e altre istituzioni pubbliche europee catalizzano fondi di investitori privati (www.eeef.eu).
Si potrebbe poi richiedere agli operatori sul mercato assicurativo di versare un
contributo a un Fondo nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico. In
questo modo la maggiore disponibilità di fondi ridurrebbe i danni attesi a beneficio della
collettività e conterrebbe il futuro onere di rimborso delle assicurazioni.
Ricorso a strumenti finanziari innovativi. Qualunque siano le azioni preventive che
verranno intraprese rimane comunque un rischio residuo che non è possibile ridurre
ulteriormente. Il settore pubblico si trova quindi a far fronte agli effetti di tale rischio. In
presenza di vincoli stringenti di finanza pubblica il governo centrale o locale ha tre opzioni:
rinunciare al ripristino completo delle zone colpite dall’evento, utilizzare strumenti
assicurativi tradizionali oppure ricorrere a strumenti alternativi per il trasferimento del
rischio (alternative risk transfer – ART). Questi sono meccanismi finanziari che trasferiscono
il rischio di un'organizzazione o di un paese utilizzando i mercati finanziari internazionali
come sistema di riassicurazione. Una classe di questi strumenti è costituita dai c.d. catastrophe
bonds, titoli che prevedono che al verificarsi di un evento (ad esempio un’alluvione o un
evento franoso) i sottoscrittori eroghino all’emittente un ammontare di risorse che dipende
dalle sue caratteristiche (ad es. la sua intensità misurata attraverso un certo parametro)
20
anche se non direttamente correlato con i danni a questo associati (una descrizione
schematica del loro funzionamento è riportata nella Fig. 3)29.
Figura 3 – Come funzionano i cat(astrophe) bonds
Fonte: Michel-Kerjan et al. (2011).
29 Il Messico, ha emesso per il periodo 2009-2012 catastrophe bonds per 290 milioni dollari così trasferendo a investitori specializzati nei mercati finanziari parte della propria esposizione ai rischi legati al verificarsi di uragani e terremoti (Michel-Kerjan et al., 2011).
21
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