1 Università di Roma ‘La Sapienza’ FACOLTA’ DI INGEGNERIA Tesi di Dottorato di Ricerca in Energetica XXIV ciclo ‘ Analisi degli impianti di digestione anaerobica alimentati a biomasse ed effetti dell’ozono sulla digestione anaerobica di fanghi e reflui zootecnici’ Candidato Enrico Giovanni Facci Coordinatore Relatore Prof. Maurizio Cumo Prof. Vincenzo Naso Luglio 2012
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UniversitadiRoma
‘LaSapienza’
FACOLTA’DIINGEGNERIA
TesidiDottoratodiRicercainEnergeticaXXIVciclo
‘Analisi degli impianti di digestione anaerobica alimentati
È la frazione di sostanza organica che si può volatilizzare ed è circa il
70/80% della sostanza organica. Operativamente si assume che la Sostanza
Volatile sia uguale alla Sostanza Organica e si definisce anche substrato.
Figura 2.4 – Composizione della biomassa
Riferite ad un singolo substrato la sostanza secca e la sostanza organica
secca forniscono quindi una prima indicazione della sua qualità e degradabilità.
Riferite ad un digestato all’interno del processo, invece, indicano se l’atmosfera
all’interno del digestore è sufficientemente umida.
I microrganismi metanogeni necessitano di un ambiente
sufficientemente umido per la loro crescita. Per questo il processo di digestione
può essere completamente compromesso se il contenuto di sostanza secca nel
digestore sale al di sopra del 40%. Inoltre il substrato deve essere mantenuto
sufficientemente liquido anche per agevolarne il pompaggio e la miscelazione.
Un contenuto di sostanza secca dell’ 8-9% è considerato ottimale; al di sopra
del 10% il rilascio di biogas dal substrato può risultare già scarso.
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• Contenuto di azoto – Rapporto C/N
Il contenuto di azoto è fondamentale per il corretto svolgimento dei
processi biologici. In particolare, il rapporto ottimale tra carbonio e azoto per la
digestione anaerobica deve essere minore di 30. Un contenuto di azoto
insufficiente rispetto al carbonio (C/N>30) rallenta il tasso di crescita microbica
e tutte le reazioni di trasformazione del substrato in biogas.
• Contenuto di fosforo e potassio – Rapporto C/P e rapporto C/K
La richiesta di fosforo e potassio è più limitata rispetto a quella di azoto.
Il range ottimale C/P (carbonio/fosforo) è indicato tra 120 e 150.
Il rapporto ottimale C/K ( carbonio/potassio) è indicato tra 45 e 100.
• COD: domanda chimica di ossigeno
È la quantità di ossigeno consumato per ossidazione della sostanza
organica, determinata tramite l’immissione di un forte agente chimico
ossidante per due ore a caldo in ambiente acido.
• BOD5: domanda biologica di ossigeno
Rappresenta la quantità di ossigeno consumata in 5 giorni in condizioni
controllate per l’ossidazione biologica della sostanza organica presente nel
campione.
• BOD: domanda biologica di ossigeno a venti giorni • TOC: carbonio organico totale
È la quantità di carbonio che si ottiene per combustione del campione in
presenza di un catalizzatore e rilevamento della CO2 prodotta.
2.4.1 Velocità di degradazione del substrato
La velocità della degradazione è influenzata da parametri tecnici come
l’agitazione del substrato, la dimensione delle particelle di biomassa e la
temperatura. I vari componenti del substrato mostrano differenze nella
degradazione, legate alla complessità delle molecole ed alla stabilità dei legami
chimici.
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Figura 2.5 – Velocità di degradazione di diverse classi di sostanze organiche
Gli zuccheri e l’amido hanno una struttura relativamente semplice,
pertanto vengono degradati molto velocemente. Al contrario, le emicellulose e
la cellulosa, essendo lunghe catene polimeriche di carboidrati, sono molecole
complesse e più difficili da scindere in molecole semplici.
La percentuale dei singoli componenti nel substrato influenza
direttamente il “tempo di ritenzione idraulica”. Le strutture più difficili da
degradare richiedono un tempo di ritenzione maggiore, che spesso è al di fuori
dei limiti tecnici ed economici degli impianti a biogas. In questi casi un
pretrattamento (chimico, biologico [enzimatico] o termico [vapore]) può
rendere questi materiali più adatti per l’utilizzazione in un digestore a
fermentazione WET.
2.4.2 Resa e composizione di biogas in funzione del
substrato
La composizione di un substrato (contenuto di proteine, lipidi e
carboidrati) determina la resa e la composizione del biogas. Poiché il metano è
la sola componente utilizzabile a fini energetici, i substrati che producono le più
alte rese in biogas con elevata concentrazione di metano sono i più
economicamente vantaggiosi.
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La resa maggiore in termini di biogas e di metano deriva dai lipidi, 1250
litri di biogas di cui 850 litri di metano per kg di sostanza organica secca; ciò
equivale ad una concentrazione di metano del 68%.
Questi sono seguiti dalle proteine che permettono di ottenere 490 litri
di metano per Kg di sostanza organica secca da una resa di biogas pari a 700
litri; pertanto le proteine, rispetto ai lipidi, generano una concentrazione
maggiore di metano nel biogas (71%).
Per ultimo, i carboidrati producono circa 790 litri di biogas per Kg di
sostanza organica secca ma solo 395 litri di metano.
Secondo questi dati, è preferibile usare substrati con alto contenuto di
proteine e di lipidi.
2.4.3 Metabolismo e fasi della degradazione
Durante il processo di degradazione le diverse categorie di composti
sono convertite negli stessi metaboliti; tuttavia esistono differenze nelle fasi
intermedie e nella velocità di processo.
I lipidi, una miscela di diversi trigliceridi, vengono ridotti ad acidi grassi e
glicerina. Un apporto eccessivo di lipidi può causare un’accumulazione di acidi
grassi; il risultato può essere una diminuzione del valore di pH ed una
conseguente inibizione della produzione di acido acetico e metano.
Le proteine sono grandi strutture molecolari, composte di aminoacidi.
Oltre agli elementi contenuti nei lipidi e nei carboidrati, le proteine contengono
anche azoto, zolfo e fosforo.
I substrati ad alto contenuto proteico possono causare l’inibizione del
processo di fermentazione a causa della produzione di ammoniaca.
Anche la produzione di acido solfidrico (tossici) dipende dall’apporto di
zolfo, contenuto in substrati proteici.
Il gruppo dei carboidrati può essere suddiviso secondo la degradabilità
dei monosaccaridi (come il glucosio), degli oligosaccaridi (es. lattosio) e dei
polisaccaridi (es. cellulosa).
I carboidrati vengono scissi in acidi grassi a catena corta (acido acetico,
acido butirrico ed acido propionico). La quantità ed il rapporto fra i vari acidi
generati dipende dalla composizione dei carboidrati. I substrati ricchi di amido
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e di zuccheri generano un aumento di acido butirrico e propionico, mentre la
cellulosa e la fibra grezza producono acido acetico. Inoltre, i substrati ricchi di
amido e zuccheri provocano un abbassamento temporaneo del valore di pH,
perché queste sostanze sono degradate molto velocemente e provocano un
accumulo di acidi poco dopo la loro immissione nel digestore.
2.5 Parametri di gestione del reattore
I parametri di gestione del reattore definiscono l’esercizio in termini di
tempi di rese di produzione di biogas in relazione al volume del reattore, alla
permanenza della biomassa nel reattore, alla concentrazione dei microrganismi
ed alle caratteristiche del substrato trattato.
2.5.1 Tempo di ritenzione
Importante per la riuscita del processo di metanizzazione è il “tempo di
ritenzione”, o tempo di residenza, definito come il tempo di permanenza,
valutato in giorni di permanenza, della massa organica nel digestore.
La produzione di biogas aumenta con il tempo di ritenzione e presenta
un andamento a campana: inizialmente nulla, nel giro di pochi giorni raggiunge
il massimo per poi diminuire più lentamente con un andamento a campana
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Figura 2.6 – Produzione di biogas in funzione del tempo di ritenzione
Come anche esposto nel paragrafo riguardante la temperatura, il tempo
di ritenzione ottimale è funzione della temperatura all’interno del digestore e
diminuisce all’aumentare della stessa.
Temperatura (°C) Tempo (giorni)
minimo massimo
20 11 28
25 8 20
30 6 14
35 4 10
40 4 10
Tabella 3 – Tempo di ritenzione in funzione della temperatura all’interno del digestore
Si deve distinguere tra un tempo di ritenzione idraulico (HRT) ed un
tempo di ritenzione dei solidi (SRT).
• Tempo medio di ritenzione idraulico (HRT)
Questo parametro è dato dal rapporto tra il volume utile del reattore e
la portata idraulica di alimentazione al reattore.
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Esso rappresenta, nel caso di reattori plug-flow, il tempo di
permanenza, valutato in giorni di permanenza, di ogni elemento fluido
all'interno del reattore, mentre nel caso di reattori CSTR (digestori
completamente miscelati) rappresenta la media dei tempi di permanenza
(valutati sempre in giorni di permanenza) nel reattore dei singoli elementi
fluidi.
HRT(g)= ��������(��)
�(��� )
• Tempo medio di ritenzione dei fanghi (SRT)
Si consideri un reattore alimentato con un'influente contenente una
concentrazione di solidi sospesi trascurabile rispetto a quella contenuta nel
reattore e funzionante in condizioni stazionarie. In tali condizioni la
concentrazione di microorganismi nel reattore è costante, ovvero la quantità di
fanghi prodotti è uguale alla quantità di fanghi smaltiti. In questo caso si
definisce il tempo medio di ritenzione dei fanghi, valutato in giorni di
permanenza, come segue:
SRT(g) = ����∗��(������� )
��(������ )
In cui:
- QS è la portata dei solidi sospesi in uscita dal reattore;
- V è il volume utile di reattore;
- SS è la concentrazione di solidi sospesi nel reattore.
2.5.2 Carico Organico Volumetrico (OLR)
Il carico organico volumetrico di substrato applicato al reattore è
definito come la quantità di substrato entrante nel reattore riferita all’unità di
volume del reattore stesso ed al tempo.
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OLR" KgSVm()*++,()� ∗ g- = Q 1m�
g 2 ∗ S(Kgm�)V(m�)
dove:
V è il volume del reattore
Q è la portata influente
S è la concentrazione di substrato nella portata influente
OLR è il fattore di carico organico volumetrico
2.5.3 Carico organico di biomassa o di solidi volatili nel
reattore (CF)
Viene definito come la quantità di substrato entrante nel reattore
riferita alla quantità di sostanza volatile presente nel reattore nell’unità di
tempo.
Cioè:
CF 1 KgSVKgTVS ∗ g2 = Q 1m�
g 2 ∗ S(KgTVSm� )V(m�) ∗ X(KgTVSm� )
dove:
Q è la portata influente
S è la concentrazione di substrato nella portata influente
V è il volume del reattore
X è la concentrazione dei solidi volatili all’interno del reattore
CF è il fattore di carico organico in termini di substrato (riferito alla
biomassa o a i solidi volatili all’interno del reattore)
Questo parametro è di difficile uso nella comparazione delle prestazioni
dei diversi processi di digestione anaerobica, in quanto è molto complesso
distinguere il contenuto della sostanza volatile nel reattore associabile alla
biomassa attiva rispetto al substrato.
2.5.4 Produzione specifica di gas (SGP)
Questo parametro rappresenta la quantità di biogas che viene prodotta
per quantità di sostanza volatile immessa nel reattore; tale parametro e’ molto
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utilizzato per definire le rese dei processi di digestione anaerobica ed è
strettamente correlato alla biodegradabilità del substrato trattato piuttosto
che alle proprietà del processo adottato.
Dal punto di vista analitico è espresso con la seguente formula:
SGP(789:;<=�>;?� ) =
@ABCDEF(G�D )
@1G�D 2∗H(IDJKG� )
dove:
Qbiogas è la portata di biogas prodotto
Q è la portata influente
C è la concentrazione di substrato nella portata influente
2.5.5 Velocità di produzione del biogas (GPR)
E’ definita come la portata di biogas prodotto rispetto al volume del
reattore ed al tempo.
GPR(789:;<=�
7LM<NN:LM� ∗;) =�OP����(��
� ) (��)
dove:
Qbiogas è la portata di biogas prodotto
V è il volume del reattore
GPR è la velocità di produzione del biogas
2.5.6 Efficienza di rimozione del substrato
Vengono utilizzati diversi metodi per quantificare l’efficienza di
rimozione del substrato, in quanto è molto difficile valutare la sua riduzione
all’interno dei bilanci di massa relativi al processo.
In generale, la relazione più semplice è la seguente:
Q% =S ∗ T − S ∗ TVS ∗ T
dove:
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Q è la portata influente ed effluente [W�X ]
S è la concentrazione di TVS nella portata influente [YXZ[\W� ]
Se è la concentrazione di TVS nella portata effluente calcolata come
differenza tra la massa entrante ed il biogas prodotto [YXZ[\W� ]
η% rappresenta la percentuale di TVS rimossi
Allo stesso modo è significativo il calcolo dell’efficienza di rimozione in
termini di sostanza secca totale, o della sua frazione volatile. Nel secondo caso
si fa riferimento alla percentuale di sostanza volatile che caratterizza l’influente
e l’effluente del reattore:
Rimozione VS%= [ �^_� �`a� �^_�( �^_∗ �`a�)]
dove:
VSIN è la percentuale della frazione volatile nell’influente
VSOUT è la percentuale della frazione volatile nell’effluente
2.5.7 Tossicità dell’ambiente di reazione
L’ottimizzazione del processo di digestione anaerobica deve considerare
alcuni fattori che possono inibire o limitare sia la crescita del consorzio
batterico che la resa di trasformazione del substrato nel prodotto finale. A
causa della loro bassa velocità di crescita, i batteri metanigeni sono quelli che
maggiormente risentono degli eventi di tossicità.
I parametri che possono avere un’influenza negativa possono essere
rappresentati sia dal substrato stesso, quando troppo abbondante o molto
reattivo, sia da eventuali elementi inibenti quali metalli pesanti, sali, azoto
ammoniacale, residui di pesticidi e prodotti farmaceutici, detergenti e
disinfettanti, solventi, inibitori da trattamenti chimici per la conservazione di
cibi, ecc.
La digestione anaerobica
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Tra gli elementi tossici figurano solamente i composti solubili. Gli ioni
minerali (Na+, K+, Ca2+, Mg2+, NH4+, S2-) sono indispensabili per la costruzione
della membrana delle cellule e devono essere presenti nella massa organica.
Un loro eccesso è però dannoso: infatti, per la loro proprietà di passare da una
soluzione più concentrata ad una meno concentrata, essi tendono ad
attraversare la membrana delle cellule arrestando, a causa della loro tossicità,
l’attività dei batteri.
Anche gli ioni dei metalli pesanti sono necessari al metabolismo delle
cellule, ma un loro eccesso oltre 1 mg/l è dannoso.
Tra gli elementi tossici bisogna annoverare i composti chimici di sintesi,
tra questi bisogna prestare attenzione ai detergenti, che in concentrazioni
superiori a 15 mg/l possono bloccare la fermentazione; inoltre, per le deiezioni
animali di allevamenti zootecnici, è necessario accertarsi che i residui di
trattamenti disinfettanti non entrino nel digestore.
2.6 Fenomeni di natura chimico fisica del biogas
prodotto
Il biogas prodotto durante la digestione anaerobica è costituito, come
già avuto modo di dire più volte nei paragrafi precedenti, principalmente da
metano, biossido di carbonio e idrogeno molecolare.
Il metano è praticamente insolubile nella fase liquida e passa perciò alla
fase gassosa, mentre il biossido di carbonio raggiunge un equilibrio dinamico
tra le due fasi. L’idrogeno, prodotto in piccole quantità rispetto al metano e al
biossido di carbonio, pur essendo insolubile non riesce a lasciare la fase liquida,
perché è rapidamente convertito in metano dai microbi idrogenotrofi.
In generale la velocità di trasferimento di massa dalla fase liquida a
quella gassosa è esprimibile attraverso relazioni generali del tipo:
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dSdt = Ke ∗ a ∗ (S − PhH)
dove:
S è la concentrazione di gas disciolto nella fase liquida [YXW�]
KL è il coefficiente di trasferimento di massa globale [W�Wj∗X]
a è la superficie specifica della bolla di gas [WjW�]
PP è la pressione parziale del gas [YX
W∗Xj]
H è la costante di Henry [YX
Wk∗Xj∗YX]
In base all’equazione riportata, la velocità di trasferimento del gas dalla
fase liquida alla fase gassosa dipende, attraverso un coefficiente caratteristico
KL, dalla superficie di scambio adella bolla e dalla forza motrice, espressa
quest’ultima dal termine(S − hlm ).
Le bollicine di metano, dopo il deassorbimento dal substrato,
raggiungono la fase gassosa con una velocità che dipende dalle loro dimensioni
e dalla differenza di densità rispetto alla fase liquida.
Il tempo di risalita di bolle sferiche di diametro compreso tra 3 e 9 mm è
dato dall’equazione:
θ) ≈ [opo
dove:
Vb è la velocità di risalita della bolla [WWq ]
Db è il diametro della bolla [mm]
2.6.1 Cinetiche di reazione
Nel dimensionamento di un impianto di digestione anaerobica si adotta
un approccio cosiddetto cinetico, che tiene conto della velocità alla quale una
biomassa cresce su un dato substrato e della velocità con cui lo utilizza. Infatti,
la maggior resa produttiva derivante dal raggiungimento dello stato d’equilibrio
non sarebbe compensata dai maggiori costi dovuti alla necessità di un
maggiore volume del digestore.
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Pertanto, sulla base di queste premesse, nella presente trattazione
saranno considerate le reazioni cinetiche, poiché l’interesse principale è quello
di studiare l’efficienza del processo in termini di formazione dei prodotti finali.
Dal punto di vista cinetico un sistema microbiologico è caratterizzato
attraverso due differenti processi:
• la velocità di crescita netta dei microrganismi (la biomassa) su un dato
substrato, che tiene conto del decadimento endogeno (dato dal
prodotto KdX), è data dall’espressione generale:
dXdt = YdSdt −kpX
con: ptp+ : velocità di crescita dei microrganismi [ YX
W�X]
Y: coefficiente di rendimento di crescita [YXGBuCvDEwBFGBxCvGEyBYXFzoFyvEyCzyB{B||EyC ]
p\p+: velocità di utilizzazione del substrato da parte dei microrganismi[
YXW�X]
Kd : coefficiente di decadimento dei microrganismi [g�}] X: concentrazione di microrganismi [
YXW�]
La velocità d’utilizzazione del substrato è determinabile facendo
riferimento a diversi modelli, sostanzialmente dipendenti dal percorso
metabolico di utilizzazione.
E’ frequente il ricorso al modello cinetico di Michaelis-Menten o di
Monod (l’uno derivato teoricamente sulla base di alcune assunzioni inerenti le
cinetiche enzimatiche e l’altro osservato sperimentalmente) relativi all’utilizzo
di substrato secondo un modello saturazionale ed esprimibile analiticamente
attraverso la relazione generale:
dSdt = K~X S
K\ + S
con: p\p+: velocità di utilizzazione del substrato da parte dei microrganismi [
YXW�X]
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KM: massima velocità di utilizzo substrato per unità di massa di
microrganismi [g�}] X: concentrazione di microrganismi [
YXW�]
S: concentrazione del substrato a contatto con i microrganismi [YXW�]
KS: coefficiente di semisaturazione, corrispondente alla concentrazione di
substrato S alla quale la velocità di utilizzo del substrato per unità di massa di
microrganismi è pari alla metà della velocità massima [YXW�].
Data l’espressione matematica della cinetica si può osservare che la
velocità tende al suo massimo, per valori di concentrazione del substrato S
grandi o per valori di KS piccoli.
Riportando in diagramma la velocità di reazione in funzione della
concentrazione di substrato S si ha una curva asintotica al valore massimo da
cui si deduce che aumentando la concentrazione di substrato è possibile
avvicinarsi alla massima velocità possibile.
Figura 2.7 - Rappresentazione grafica della cinetica di reazione biologica
La maggior o minor celerità con cui, al crescere della concentrazione di
substrato, la velocità tende al suo massimo, espressa graficamente dalla
pendenza del primo tratto della curva, dipende dall’affinità tra lo specifico
enzima deputato alla degradazione ed il substrato. Tale affinità è quantificata
dal termine KS.
Dalla combinazione delle due equazioni cinetiche di crescita dei
microrganismi e di utilizzo del substrato esposte si ricava:
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1XdXdt = K~Y S
K\ + S −Kp
dove, definendo con μ la velocità specifica di crescita dei microrganismi:
μ = }tptp+
e con μMAX la massima velocità specifica di crescita dei microrganismi
secondo la μMAX = KMY si potrà scrivere:
μ = μ~�tS
K\ + S −Kp
Nel caso in cui si abbia un eccesso di substrato, cioè per valori di S molto
maggiori di KS (S>>KS), l’espressione di Monod si può semplificare con
l’equazione di una cinetica di ordine zero rispetto al substrato S, e pertanto si
avrà:
μ = μ~�t −Kp
Qualora ci si trovi in condizioni di substrato limitante, con valori di KS
non trascurabili (scarsa affinità tra substrato ed enzima specifico), il modello di
Monod diviene una cinetica di primo ordine e pertanto assume la forma
μ = μ~�t \YJ −Kp
2.6.1.1 Effetto della temperatura sulle cinetiche di
reazione
L’espressione per quantificare l’effetto delle variazioni di temperatura su
di una cinetica di reazione è derivata dall’equazione di Arrhenius ed è
esprimibile nella forma:
VZ =V�e�(Z�Z�) dove:
VT è la velocità di reazione ad una certa temperatura T
V0 è la velocità di reazione alla temperatura di riferimento T0
Φ è il coefficiente sperimentale, che, nelle usuali intervalli di temperatura
di esercizio dei digestori, può essere assunto costante.
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Figura 2.8 - Influenza della temperatura sulla cinetica biologica
2.7 Le matrici utilizzabili per la digestione anaerobica
Al fine di poter esprimere valutazioni sulle opportunità di sfruttamento
del contenuto energetico delle biomasse attraverso la digestione anaerobica, è
utile cercare di qualificare le matrici utilizzabili in un impianto per la produzione
di biogas; in linea di principio, tutta la sostanza organica è adatta ad essere
utilizzata come substrato. Le differenti biomasse utilizzabili come input per un
digestore anaerobico possono essere raggruppate in classi omogenee. La
suddivisione, qui effettuata principalmente sulla base della provenienza delle
diverse matrici, è arbitraria ma funzionale allo scopo di poter confrontare in
modo più chiaro le diverse biomasse. Si sono individuate le seguenti cinque
macro classi di matrici, ciascuna delle quali comprensiva di un numero variabile
di prodotti, talvolta disomogenei per opportunità ed efficienza di impiego:
• biomasse agroindustriali;
• reflui zootecnici;
• fanghi di depurazione;
• frazione organica dei rifiuti urbani da raccolta differenziata;
• frazione organica dei rifiuti urbani da selezione meccanica.
La scelta di una matrice rispetto ad un’altra dipende da differenti fattori. Ricordiamo i principali:
• resa potenziale di produzione di biogas;
La digestione anaerobica
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• reperibilità della matrice rispetto alla localizzazione geografica dell’impianto;
• valore economico della matrice (concorrenza con altri mercati di collocazione);
• lavorabilità e facilità di gestione della matrice (necessità di pretrattamenti, potenziali produzioni di composti tossici o schiume in fase di digestione, etc).
Di seguito viene eseguita un’analisi delle caratteristiche generali delle
matrici finalizzata ad una più consapevole analisi delle opportunità e
problematiche relative all’uso di queste biomasse.
2.7.1 Biomasse agroindustriali
La classe delle matrici agroindustriali comprende tutti quei prodotti,
sottoprodotti e scarti che derivano dalle attività agricole e dai processi
industriali che trattano materiali organici. Sono inclusi anche gli scarti verdi di
origine privata o pubblica come ad esempio residui di potature o sfalci d’erba.
Si possono distinguere quattro gruppi principali a seconda delle caratteristiche
o dall’origine della matrice:
1. colture dedicate; 2. residui colturali; 3. sottoprodotti industriali; 4. sottoprodotti di origine animale.
1 - Colture dedicate
Appartengono a questa categoria tutte quelle colture che vengono
prodotte al solo scopo di ottenere una biomassa utilizzabile per la digestione
anaerobica. Si tende a coltivare piante con bassi contenuti di lignina e con alti
contenuti in amido, proteine e grassi che portano a produzioni unitarie di
biogas maggiori. Le colture più diffuse a questo scopo sono quelle cerealicole
come ad esempio mais, sorgo zuccherino, colza, segale, frumento etc.
Spesso la biomassa viene inizialmente insilata per velocizzare la fase di
idrolisi (che viene in parte condotta da microrganismi fermentanti durante
l’insilaggio).La reperibilità di queste matrici non presenta particolari
problematiche, salvo nei paesi del nord dove la produttività dei suoli e quindi le
La digestione anaerobica
Pagina 123
quantità prodotte annualmente, sono limitate dal clima. In termini più generali,
il valore economico di questo tipo di matrice è elevato; queste colture sono
destinabili all’industria alimentare e al settore zootecnico, quindi reperire
colture dedicate a prezzi economicamente vantaggiosi potrebbe essere
difficoltoso. In genere questo tipo di matrice è caratterizzata da un’elevata
purezza e pulizia del materiale, non presentando significative contaminazioni
da inerti, plastiche, metalli o altri materiali non digeribili. Nel caso di una
digestione monomatrice o in combinazione con reflui zootecnici, il digestato
ottenuto può essere efficacemente utilizzato comeammendante per gli stessi
terreni si provenienza delle colture impiegate. Per una corretta valutazione
della reale sostenibilità nell’utilizzo di queste matrici, è necessario considerare
alcune criticità quali l’aumento nell’uso di sostanze chimiche per un’agricoltura
che, non essendo a scopo alimentare, pone meno limiti di legge.
2 - Residui colturali
Tutte le lavorazioni e le produzioni agricole generano una grande
quantità di scarto vegetale che può essere sfruttato come matrice per un
impianto di digestione anaerobica. Queste biomasse possono derivare da
colture erbacee e/o arboree; in questo caso le parti da sfruttare sono quelle
non edibili o trasformabili. Spesso si riutilizzano derrate alterate dalla presenza
di micotossine, prodotti del metabolismo secondario di alcune specie fungine
in grado di colonizzare le colture in campo e le derrate stoccate, che,
presentando un’elevata tossicità per uomini e animali, non sono destinabili a
nessun uso diretto. La digestione anaerobica permette di trarre energia e di
igienizzare nel contempo dei prodotti altrimenti inutili.
Considerando i residui colturali propriamente detti, le rese sono
inferiori rispetto alle colture dedicate; le parti di scarto contengono, in genere,
più lignina e più cellulosa che, essendo meno degradabili, portano a produzioni
di biogas inferiori. Per quanto riguarda le derrate contaminate da micotossine
o muffe, i valori di resa possono essere assimilabili a quelli relativi alla coltura
non contaminata.
La reperibilità di queste matrici può essere maggiore poiché, trattandosi
di scarti, le competizioni con altre colture è meno evidente. In particolare, l’uso
di matrici vegetali contaminate da micotossine è diffuso e utile in Italiadove
l’elevata concentrazione di colture cerealicole e le condizioni ambientali,
La digestione anaerobica
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consentono la diffusione dei miceti responsabili. Tutti i residui verdi prodotti in
agricoltura, come paglie, colletti di barbabietole etc, ancorchè
vantaggiosamente digeribili, presentano una grande varietà di altri utilizzi.
Ad esempio gli scarti vegetali possono essere sovesciati, compostati,
utilizzati come mangime o bruciati come combustibile. Anche queste matrici,
trovando collocazione sul mercato, possiedono un valore economico, seppur
minore rispetto alle colture dedicate.
3 - Sottoprodotti agroindustriali
L’agroindustria è un settore estremamente vario nel quale si producono
moltissimi scarti e reflui organici che possono essere destinati alla digestione
anaerobica. Tra i prodotti e sottoprodotti più utilizzati vi sono il siero di latte,
contenente proteine e zuccheri dall’industria casearia, i reflui dall’industria che
processa succhi di frutta o che distilla alcol e gli scarti dell’industria olearia.
Anche la resa in biogas, come il ventaglio di matrici, è molto varia; alcuni tipi di
sottoprodotto, se contengono proteine, grassi o amido, hanno una buona resa
in biogas, altri invece, come il siero di latte, portano a produzioni di biogas
molto modeste.
La reperibilità generale di queste biomasse è buona, ma risulta
particolarmente vincolata alla vicinanza geografica dell’impianto ad una linea
industriale che generi un sottoprodotto utilizzabile.
Spesso l’impiego di matrici a bassa produzione specifica di biogas (siero
di latte o residui ortofrutticoli) è preferito in ragione della maggiore
produzione.
Anche il valore economico di questa tipologia di matrice è molto vario:
ad esempio, alcuni scarti dell’agroindustria (scarti del pane o dei biscotti),
essendo utilizzabili come mangimi nel settore zootecnico, possono diventare
economicamente non sfruttabili. È spesso difficoltosa la gestione in impianto di
queste biomasse; se utilizzate pure o miscelate in modo scorretto si possono
presentare problemi al digestore. Ad esempio, il siero di latte può dare
problemi di acidità; prodotti troppo zuccherini portano alla formazione di
schiume.
La digestione anaerobica
Pagina 125
3- Sottoprodotti di origine animale
In questa categoria si possono elencare tutti i residui dei macelli quali
sangue, pelle, contenuti stomacali e ossa e gli scarti dell’industria ittica. Gli alti
valori di resa che le contraddisitnguono rendono queste biomasse,
generalmente ricche di proteine e grassi ad elevata digeribilità, utili matrici da
inviare a digestione anaerobica. La reperibilità di queste matrici è decisamente
inferiore rispetto a tutte le altre biomasse vegetali. In primo luogo le quantità
prodotte sono inferiori; inoltre, la vicinanza dell’impianto può essere
determinante nella scelta dell’utilizzo di un sottoprodotto di origine animale.
C’è, almeno in Italia, una forte competizione con altri settori per lo
sfruttamento di alcune di queste matrici; tutte le fonti di proteine e grassi
animali sono ambiti dall’industria mangimistica e dalla ditte che producono
concimi, limitandone la convenienza economica.
Per questa tipologia di biomassa le problematiche maggiori si
riscontrano nella lavorabilità e nella gestione. A tal proposito ricordiamo
l’obbligo di costosi pretrattamenti come indicato nel Regolamento CE
1774/2002 “Norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non
destinati al consumo umano. Come controindicazione, il grande contenuto
proteico di questa tipologia di matrice potrebbe portare a dannosi accumuli di
azoto nel digestore.
2.7.2 Reflui Zootecnici
Tutti i tipi di refluo zootecnico sono adatti alla digestione anaerobica;
possiamo distinguere quattro tipi principali di refluo zootecnico, i liquami
bovini e suini, letami bovini. Problemi di inibizione microbica e
congestionamento dei digestori possono essere creati dall’utilizzo delle
deiezioni avicole; i reflui ovicaprini, considerato l’alto contenuto di sali,
possono creare particolari problemi di concentrazione di cloruro di sodio. I
reflui prodotti da altri animali domestici non sono sufficienti dal punto di vista
quantitativo per poter avere un’importanza rilevante su scala nazionale.
1 - Liquame suino
Il liquame suino è caratterizzato da un contenuto di sostanza secca che
varia dell’1 al 6% e una concentrazione di sostanza organica o solidi volatili
La digestione anaerobica
Pagina 126
estremamente variabile. Questa grande variabilità è imputabile alle differenti
metodologie di allevamento comunemente presenti sul territorio nazionale.
Una stabulazione su grigliato con rimozione delle deiezioni tramite lavaggio
delle fosse sottogriglia, produce un liquame molto diluito. Al contrario una
rimozione delle deiezioni tramite raschiamento meccanico delle fosse consente
di limitare la diluizione del liquame. La tipologia ed una corretta gestione degli
abbeveratoi consente di ridurre ulteriormente gli apporti di acqua nel refluo.
2 - Liquame bovino
Questo refluo ha un contenuto di sostanza secca maggiore, tra l’8 e il
15%, dovuto alla differente gestione degli allevamenti (aggiunta di paglia o
altre lettiere). L’effetto di diluizione è minimo rispetto a quello che si ha con le
deiezioni suine, anche a causa del fatto che normalmente le zone calpestate dal
bestiame vengono pulite e lavate con basse quantità di acqua. Dal liquame
prodotto da una mucca da latte di circa 500 kg di peso vivo, si possono
ottenere produzioni di 0,75 m3 di biogas al giorno.
3 - Letame bovino
Un letame per essere definito tale, deve essere palabile, quindi con un
contenuto di sostanza secca ancora più elevato rispetto ai liquami, tra il 15 e il
35%, a seconda del tipo di allevamento e alla gestione attuata. La maggior
differenza tra un letame e un altro, a parte l’alimentazione del bovino, è data
dal tipo di lettiera utilizzato (paglie, trucioli, foglie etc). La tipologia di lettiera
impiegata può far variare le caratteristiche chimiche del letame; ad esempio
utilizzando trucioli di conifere si potranno avere accumuli di resine e oli
essenziali.
4 - Deiezioni avicole
Tra le varie deiezioni avicole possiamo ricordare la pollina di galline
ovaiole allevate in gabbia e la pollina di avicoli allevati a terra su lettiera. Le
deiezioni asportate fresche hanno un contenuto in solidi totali del 60-70% e un
alto contenuto in azoto inorganico.
Nella digestione anaerobica la resa in biogas di un refluo zootecnico è,
in generale, non molto alta. La reperibilità di questa matrice è estremamente
facile negli stati e nelle regioni ad alta vocazione zootecnica (Germania, Olanda
La digestione anaerobica
Pagina 127
e in Italia in Lombardia ed Emilia Romagna). Al contrario in alcune regioni del
sud Italia dove il settore zootecnico non è molto sviluppato la reperibilità di
queste biomasse è minore. Il valore economico di questa tipologia di matrice è
decisamente basso facendo di essa una delle biomasse d’eccellenza per la
digestione anaerobica.
Gli allevamenti che producono liquami devono stabilizzare grandi
quantità di refluo e controllare l’emissione di odori. I letami, che si possono
spandere agronomicamente senza pretrattamenti, diventano una buona
matrice da utilizzare a fronte della possibilità di un ritorno economico. L’azoto
inorganico è una delle problematiche gestionali delle deiezioni avicole, questo
elemento in presenza di acqua, si trasforma in ammoniaca che può inibire il
processo di digestione. Inoltre l’alto contenuto di materiali inerti può
provocare problemi di sedimentazione che causano problemi operativi non
trascurabili. Più in generale i problemi che si possono riscontrare sono relativi
alle concentrazioni di azoto, alla presenza di metalli, come ad esempio il rame
utilizzato come promotore della crescita , di ormoni e antibiotici somministrati
agli animali.
2.7.3 Fanghi di depurazione
I fanghi di depurazione sono il residuo del processo di depurazione delle
acque reflue urbane e industriali. Sono costituiti da biomassa batterica e
sostanza inerte organica ed inorganica. L’origine dei fanghi prodotti da un
impianto di trattamento delle acque reflue è funzione del tipo di impianto in
esame e dei processi di trattamento da essi adottati. Generalmente i fanghi
utilizzati, come matrice per un digestore anaerobico, provengono da impianti a
fanghi attivi a biomassa sospesa con un contenuto di sostanza secca che varia
tra 70 e 100 g/m3. Il fango utilizzato può derivare da sedimentazione
secondaria, in processi a biomassa sospesa (con sedimentazione primaria
0,5/1,5 %SS, senza sedimentazione primaria 0,8/2,5 %SS), o da ispessimento a
gravità (fanghi primari e fanghi secondari 2/8 %SS). Le caratteristiche dei fanghi
variano in funzione del tipo di processo che li ha generati, del tempo intercorso
tra la loro produzione e il successivo trattamento nonché dei trattamenti già
subiti. In tabella 3 sono riportati alcuni dati di composizione media di fanghi
non trattati o digeriti. La verifica di caratteristiche salienti quali il pH,
La digestione anaerobica
Pagina 128
l’alcalinità, i nutrienti, e la concentrazione di acidi organici, risulta importante ai
fini della corretta conduzione di processi quali la digestione anaerobica.
Parametro Fanghi primari
non trattati
Fanghi primari
digeriti
Fanghi attivi non
trattati
Solidi totali ST (%) 5-9 2-5 0,8-1,2
Solidi volatili SV (% ST)
60-80 30-60 59-88
Oli e grassi (%ST) 6-35 5-20 5-12
Proteine (% ST) 20-30 15-20 32-41
Azoto N (% ST) 1,5-4 1,6-3 2,4-3
Fosforo (% ST) 0,8-2,8 1,5-4 2,8-11
Potassio (% ST) 0-1 0-3 0,5-0,7
Cellulosa (% ST) 8-15 8-15 -
Ferro (esclusi solfuri) 2-4 3-8 -
Silice (% ST) 15-20 10-20 -
pH 5-8 6,5-7,5 6,5-8
Alcalinità (mg/l come CaC03)
500-1.500 2.500-3.500 580-1.100
Acidi organici (mg/l come HAc)
200-2.000 100-600 1.100-1.700
Potere calorifico (kJ/kg ST)
23.000-29.000 9.000-14.000 19.000-23.000
Tabella 3–Caratteristiche chimiche di varie tipologie di fanghi di depurazione
In generale gli obiettivi primari della digestione anaerobica dei fanghi di
depurazione sono la stabilizzazione della sostanza organica, la riduzione della
carica patogena di questa matrice e la facilitazione per lo smaltimento finale. La
resa in biogas di questa matrice è una delle più basse, considerata la scarsità di
sostanza organica utile e le numerose inibizioni dovute alle alte concentrazioni
di metalli pesanti, antibiotici, e altre sostanze chimiche dannose. In particolare
le concentrazioni medie di alcuni metalli pesanti sono riportate in tabella 4.
Metallo mg/kg SS
Arsenico 1,1-230
Cadmio 1-3.410
Cobalto 11,3-2.490
Cromo 10-99.000
La digestione anaerobica
Pagina 129
Ferro 1.000-154.000
Manganese 32-9.870
Mercurio 0,6-56
Molibdeno 0,1-214
Nichel 2-53.000
Piombo 13-26.000
Rame 84-17.000
Selenio 1,7-17,2
Stagno 2,6-329
Zinco 101-49.000
Tabella 4–ontenuto medio di metalli nei fanghi di depurazione
La reperibilità di questo tipo di matrice è buona anche se, considerati gli
alti costi di trasporto di una matrice così diluita, è opportuno prevedere la
digestione dei fanghi in prossimità di impianti di depurazione di acque civili. In
quanto rifiuto da avviare al circuito di recupero o smaltimento, i fanghi non
rappresentano un costo ma una potenziale fonte di reddito per l’impianto di
digestione anaerobica. Pur non essendoci particolari pretrattamenti da
applicare a questa matrice, le scarse rese in biogas e i problemi di inibizioni non
fanno dei fanghi di depurazione una matrice di conveniente utilizzazione,
soprattutto in impianti di piccola scala.
2.7.4 Frazione organica da raccolta differenziata –
Forsu
La cosiddetta frazione organica dei rifiuti urbani rappresenta la
principale frazione merceologica dei nostri scarti domestici, generalmente fino
al 40-45% del rifiuto prodotto annualmente. Nella prospettiva di ottemperare
agli obiettivi di raccolta differenziata previsti dalla revisione della Direttiva
Quadro sui rifiuti e, a livellonazionale, dal D.lgs 152/2006, l’intercettazione
dell’organico e la sua valorizzazione rappresenta un elemento fondamentale
nelle strategie di gestione.
C’è una buona correlazione tra la purezza della FORSU e la modalità di
raccolta (regolamenti locali sui rifiuti conferibili, sistema di raccolta, etc). La sua
composizione, invece, è estremamente eterogenea, e dipende da moltissimi
La digestione anaerobica
Pagina 130
fattori come la stagionalità, la collocazione geografica del bacino di riferimento,
le abitudini alimentari della popolazione.
Le rese in biogas della FORSU, paragonate ad altre matrici utilizzate, non
sono particolarmente elevate, e la reperibilità di questa matrice è dipendente
dall’attivazione della raccolta differenziata.
In Italia nel 2006 sono state prodotte e raccolte circa 2.702.500
tonnellate di FORSU e verde. Secondo una stima di APAT, nello stesso anno
solo lo 0,4 % dei rifiuti è stato trattato tramite la digestione anaerobica.
Per poter gestire correttamente e vantaggiosamente la FORSU
mediante digestione anaerobica, il ricorso a pretrattamenti è, nella maggior
parte dei casi, obbligato. In particolare risulta necessario eliminare materiali
indigeribili come plastiche, metalli ed inerti che, in modi differenti, possono
provocare problemi e danneggiamenti alle parti meccaniche dell’impianto. Uno
dei maggiori problemi nell’utilizzo delle frazioni organiche dei rifiuti è la
successiva gestione del digestato che, secondo la legislazione vigente,
rappresenta un rifiuto dagli utilizzi limitati e vincolati ad autorizzazione. Dal
punto di vista ambientale, la grande quantità di azoto, principalmente
minerale, presente nei digestati può creare delle difficoltà durante l’utilizzo
agronomico di questo output di processo. In questi casi risulta utilissimo
l’accoppiamento della digestione anaerobica con una linea di compostaggio del
digestato.
2.7.5 Frazione organica da selezione meccanica – Fo
Si tratta del rifiuto derivante dalla vagliatura del rifiuto urbano; nel
recente passato la cosiddetta frazione di sottovaglio (o frazione organica) è
stata protagonista nel nostro Paese di tentativi fallimentari di produzione di
compost, che hanno condizionato a lungo la diffusione dell’applicazione di
ammendanti di qualità da rifiuti selezionati alla fonte. La presenza diffusa di
impurità merceologiche (vetri, inerti, plastiche, etc) oltre che di
contaminazione da metalli pesanti e composti xenobiotici costituisce un limite
tecnico di problematica soluzione che ne ha dissuaso nel tempo applicazioni
“nobili”, confinando gli impieghi, dopo stabilizzazione biologica, alla copertura
infrastrato o finale per discariche o alla realizzazione di operazioni di ripristino
ambientale.
La digestione anaerobica
Pagina 131
Nel settore della digestione anaerobica, la frazione organica da
selezione meccanica ha trovato diffuse applicazioni in Italia e all’estero;
tuttavia, la scarsa qualità della matrice rispetto alla FORSU ha creato non pochi
problemi di gestione, legati soprattutto a danni di natura meccanica ai reattori
e agli impianti di pretrattamento, alla bassa efficienza di produzione di biogas e
agli elevati costi di gestione.
In questi ultimi anni si sta assistendo, almeno in Italia, alla progressiva
conversione degli impianti di digestione anaerobica inizialmente destinati al
trattamento del rifiuto da selezione meccanica ad impianti per la digestione di
matrici di qualità.
La reperibilità delle frazioni organiche dei rifiuti urbani dipende dalla
combinazione delle quantità prodotte (in costante crescita in Europa) e della
tipologia e diffusione delle raccolte differenziate (figura 9).
Figura 2.9–Andamento della produzione di FORSU (anni 1996-2005)
La raccolta differenziata (finalizzata a raggruppare i rifiuti urbani in
frazioni merceologiche omogenee) svolge un ruolo primario nel sistema di
gestione integrata dei rifiuti in quanto consente, da un lato, di ridurre il flusso
dei rifiuti da avviare allo smaltimento e, dall'altro, di condizionare in maniera
positiva l'intero sistema di gestione. Un ruolo di particolare importanza è
ricoperto dalla raccolta differenziata delle frazioni organiche dei rifiuti solidi
urbani che, oltre a garantire flussi di materiale fortemente vocati alla
valorizzazione agronomica, migliora la qualità del rifiuto secco residuo (RSR), il
La digestione anaerobica
Pagina 132
cui destino può essere individuato nel pretrattamento finalizzato alla
produzione di combustibili da rifiuti (CDR) o alla messa in discarica.
Alcune matrici, pur avendo potenziali di produzione molto elevati, sono
scarsamente utilizzate a causa di alcuni problemi intrinseci, principalmente per
i costi elevati o la scarsa reperibilità, ad esempio gli scarti di macellazione e di
lavorazione del pesce, oltre a richiedere pretrattamenti obbligatori che
risultano onerosi, spesso se non sono reperibili perché hanno già altri numerosi
canali di utilizzo (produzione mangimi e/o concimi), risultano troppo costosi
per essere sfruttati con un guadagno. Ci sono casi in cui queste matrici vengono
largamente impiegate; la Norvegia ad esempio utilizza i numerosissimi scarti
dell’industria ittica come substrato perla digestione anaerobica e addirittura
vende parte della produzione di queste matrici a stati come la Danimarca; sono
però realtà locali influenzate da particolari condizioni ambientali ed
economiche. Ad esempio è dimostrato che nel periodo estivo, quando nella
FORSU le percentuali di rifiuto verde, proveniente dallo sfalcio di giardino e dal
verde pubblico, aumentano, le rese di impianti che trattano FORSU si riducono
drasticamente: da 320 a 170 m3/kgVS con una riduzione di sostanza volatile dal
75% al 40%. La causa della flessione di produttività è da ricercarsi
nell’incremento nel contenuto in lignina e cellulosa nel substrato trattato. Nel
caso di altre biomasse, come le materie grasse di origine vegetale (oli di palma,
colza, girasole etc) la competizione con i circuiti di produzione di biocarburanti
(biodiesel) è molto elevata, portando così ad un aumento del costo unitario di
questi prodotti.
Spesso il mais è la biomassa vegetale di origine agricola più utilizzata per
le buone rese di produzione di biogas, la grande reperibilità e la sua relativa
economicità. Il mais è uno dei cereali coltivati più diffusamente, può essere
prodotto come coltura dedicata, pratica diffusa ad esempio in Germania; le
produzioni contaminate da aflatossine, gli insilati alterati o gli scarti di
lavorazione sono ottime fonti di biomassa da sfruttare in una linea di
digestione anaerobica. Di seguito si riporta una confronto di costi per
tonnellata di matrice tal quale; il grafico di figura 10 può essere utile per
paragonare l’effettiva accessibilità economica delle differenti classi di matrici. I
valori relativi alla categoria “Rifiuti” sono negativi, per indicare il valore medio
di una tariffa di conferimento in impianto, in questo caso l’acquisizione di
queste matrici rappresenta un introito per l’azienda.
La digestione anaerobica
Pagina 133
Figura 2.10–Costi unitari per classe di matrice
2.8 La Codigestione
La codigestione di effluenti zootecnici con altri scarti organici al fine di
aumentare la produzione di biogas è pratica standard in Europa ormai da
diversi anni. L’interesse che spinge gli operatori del settore verso la
codigestione è costituito principalmente dall’opportunità di produrre, e quindi
vendere, una maggior quantità di elettricità; nondi meno la possibilità di
smaltire, ad esempio, produzioni agricole avariate o inesubero rappresenta un
vantaggio e un interesse. Il principio della codigestione siadatta anche al
trattamento anaerobico della FORSU; infatti, la combinazione dibiomasse
eterogenee permette di ottenere una matrice da digerire che rispondameglio
alle caratteristiche chimico-fisiche desiderate. Ad esempio, una corretta
edattenta miscelazione di matrici differenti può aiutare a risolvere problemi
relativi al pH o alle fonti azotate (carenze o eccessi). E’ opportuno ricordare che
gli introiti derivanti dalle tariffe di conferimento dei rifiuti possono risultare
come un’interessante opportunità per i produttori che scelgono di attuare la
codigestione per ottenere così guadagni maggiori. La miscelazione di diversi
prodotti consente di compensare le fluttuazioni di massa stagionali dei rifiuti, di
La digestione anaerobica
Pagina 134
evitare sovraccarichi o al contrario carichi inferiori alla capacità stessa del
digestore e di mantenere quindi più stabile e costante il processo. Un utili zzo
non congruo delle matrici può causare problemi di diverso tipo all’impianto;
un’aggiunta incontrollata di oli e grassi contenuti nello scarto, ad esempio, può
determinare un’eccessiva formazione di schiume, un quantitativo eccessivo di
deiezioni avicole può causare tossicità alla flora metanigena a causa di una
concentrazione eccessiva di ammoniaca. L’impiego di biomasse contenenti
considerevoli quantità di inerti, quali sabbia, pietre e terra, possono favorire la
formazione di sedimenti nel digestore, l’accumulo di questi materiali indigeribili
può portare ad una riduzione del volume attivo del reattore o ad un blocco di
valvole e tubazioni. Le matrici attualmente più utilizzate nella codigestione
sono gli effluenti zootecnici, gli scarti organici agroindustriali e le colture
energetiche. Gli scarti organici da utilizzare come co-substrati provengono dalle
più svariate fonti e possiedono quindi forti differenze nella composizione
chimica e nella biodegradibiltà.
Alcune sostanze (quali percolati, acque reflue, fanghi, oli, grassi e siero)
sono facilmente degradabili mediante digestione anaerobica senza richiedere
particolari pretrattamenti, mentre altre (scarti di macellazione e altre biomasse
ad elevato tenore proteico) necessitano di essere fortemente diluite con il
substrato base, in quanto possono formare metaboliti inibitori del processo (ad
esempio l’ammoniaca).
Una vasta gamma di matrici richiede step vari di pretrattamento quali,
ad esempio, il rifiuto organico da raccolta differenziata, gli alimenti avanzati
e/o scaduti, gli scarti mercatali, i residui agricoli e gli scarti di macellazione . La
codigestione, se gestita correttamente, è una buona pratica per migliorare la
gestione e le rese di un impianto di digestione anaerobica; in particolari
situazioni la possibilità di utilizzare biomasse differenti può evitare eventuali
problemi legati al mancato conferimento delle matrici.
2.9 Rese di produzione di Biogas
La produzione specifica di biogas è un parametro essenziale, che viene
generalmente assunto quale indice di confronto tra differenti tipologie di
processo, ma che risente fortemente delle caratteristiche del substrato
trattato. Il rendimento in biogas del processo di digestione anaerobica si può
La digestione anaerobica
Pagina 135
esprimere secondo differenti unità di misura (m3/t SV, m3/t tq, m3/t sostanza
organica); in quanto funzionale ad una migliore comprensione dell’effettiva
opportunità di impiego a livello industriale, di seguito le rese verranno espresse
in termini di m3/t di matrice tal quale.
I valori di produzione sono molto variabili, e dipendono da differenti
fattori che concorrono alla resa finale. La quantità e la qualità della frazione
biodegradabile del substrato (non tutta la sostanza organica presente nel
digestore viene convertita in biogas) è un parametro importante.
Le scelte gestionali operate negli impianti possono o meno prevedere lo
sfruttamento spinto dei potenziali di produzione delle matrici utilizzate;
indipendentemente dalle scelte gestionali di ogni singolo impianto, è utile
riportare dei valori di riferimento per quanto riguarda le rese indicative in
biogas per diversi substrati organici. La convenienza economica e la facilità di
reperimento di singole matrici sono altri fattori che concorrono ad orientare le
scelte impiantistiche. Ovviamente i valori sono indicativi e potrebbero variare a
seconda di particolari realtà locali (vicinanza ad altri impianti di lavorazione,
capacità di stoccaggio o produzione delle varie matrici). Per comodità, si
possono suddividere le varie matrici in sette macrocategorie:
• rifiuti urbani e fanghi di depurazione
• reflui zootecnici
• scarti e sottoprodotti di origine animale
• scarti vegetali dell’agroindustria
• scarti vegetali provenienti da residui colturali
• prodotti e colture dedicate – amidacee
• prodotti e colture dedicate – oleaginose e proteiche.
Di seguito si riportano gli esiti dell’elaborazione di dati di letteratura e
sperimentali relativi alle rese di produzione attese, accorpati per
macrocategoria. In ciascun grafico si evidenzia, in un istogramma di differente
colorazione, il valore medio di produzione relativo alla macrocategoria indicata.
La digestione anaerobica
Pagina 136
Figura 2.11–Rese medie di biogas m
3/t tq - Rifiuti
In figura 11 si osserva come la produttività della FORSU sia decisamente
più alta rispetto ai valori relativi ai fanghi. Il maggior contenuto percentuale di
solidi volatili e un minor contenuto in metalli pesanti consente di ottenere
quantitativi maggiori di biogas. Analogamente si riscontrano differenze, in
termini di produzione potenziale di biogas, quando si tratta rifiuto organico
separato alla fonte rispetto a quello separato meccanicamente. Il secondo
infatti è molto più ricco di materiali non biodegradabili o lentamente
biodegradabili e pertanto la produzione di biogas risulta inferiore.
Nel grafico seguente (figura 12) sono confrontati alcuni valori di
produzione relativi a differenti tipologie di refluo zootecnico. I valori più alti
sono relativi alla pollina, peraltro caratterizzata da un più elevato contenuto di
sostanza secca e solidi volatili per unità di peso. La sua particolare ricchezza in
azoto rende questa matrice interessante per applicazioni in codigestione con
matrici ad elevato C/N; d’altra parte, la digestione in purezza deve far
considerare i potenziali effetti inibitori conseguenti alla massiva produzione di
ammoniaca. I colaticci e i liquami producono poco biogas, in parte per i
modesti contenuti in solidi volatili, in parte per problemi relativi ad acidità e
metalli pesanti: mediamente la resa si attesta sui 65 m3/t tq.
La digestione anaerobica
Pagina 137
Figura 2.12–Rese medie di biogas m
3/t tq – Reflui zootecnici
Tra gli scarti di origine animale (figura 13) rientrano matrici con alto
contenuto proteico e lipidico che portano a produzioni con valori medi
abbastanza elevati (circa 200 m3/t tq). Le produzioni maggiori sono imputabili
alle farine animali, alle farine di sangue e al grasso; rese così elevate si spiegano
con il basso tenore di umidità che contraddistingue tali matrici. Nel grafico
viene compreso, in quanto di origine animale, anche il siero di latte,
caratterizzato altresì da modeste produzioni potenziali.
Figura 2.13–Rese medie di biogas m
3/t tq – Scarti di origine animale
La digestione anaerobica
Pagina 138
Le produzioni relative agli scarti vegetali dell’agroindustria (figura 14) si
attestano su valori medi di circa 250 m3/t tq. I due valori più elevati sono
imputabili agli scarti di frantoio, ricchi in materie grasse, agli scarti del pane,
composti prevalentemente da amido, e agli scarti di biscotti ricchi in proteine,
grassi e zuccheri.
I valori relativi agli altri scarti sono decisamente più bassi; la scarsa
degradabilità o l’alto contenuto di umidità di queste matrici, giustificano rese
unitarie modeste.
Figura 2.14–Rese medie di biogas m
3/t tq – Scarti vegetale/agroindustria
Tra gli scarti vegetali da residui colturali (figura 15) sono incluse le parti
di piante coltivate che residuano da un processo produttivo e che non
costituiscono un prodotto. Nella stessa classe si è incluso anche il verde urbano
e l’erba da sfalci privati.
La variabilità che si riscontra nei valori di resa di questa categoria di
matrici è imputabile principalmente alle differenze di contenuto di sostanza
secca delle differenti biomasse. Le rese medie si attestano su valori di circa 260
m3/t tq, paragonabile alle produzioni relative agli scarti vegetali
dell’agroindustria.
La digestione anaerobica
Pagina 139
Figura 2.15–Rese medie di biogas m
3/t tq – Scarti vegetale/residui colturali
In figura 16, si confrontano le rese in biogas di prodotti e colture
dedicate a base amidacea. A differenza delle altre matrici, queste biomasse
sono dei prodotti con un proprio mercato, per ottenere i quali,si consuma
energia (coltivazione di colture dedicate e/o raffinazione di produzioni vegetali
nobili). Le rese in biogas sono decisamente più elevate, con un valore medio di
circa 390 m3/t tq. In questa categoria le matrici meno produttive sono quelle
con tenori di umidità, cellulosa e lignina più elevati e valori di solidi volatili
inferiori (è il caso degli insilati già parzialmente degradati). La produzione di
molte di queste biomasse, caratterizzate da rese specifiche di biogas elevate in
quanto ricche di amido e con un basso contenuto di umidità, richiede un
grande impiego di energia; ne consegue un aumento nel costo unitario con una
riduzione nei vantaggi del loro impiego.
La digestione anaerobica
Pagina 140
Figura 2.16–Rese medie di biogas m
3/t tq – Biomasse amidacee e colture dedicate
Infine le rese in biogas indicate di figura 17 relativo alle colture
oleaginose e proteiche sono tra le più elevate, con produzioni medie di 660
m3/t tq e valori di punta (per l’olio di cocco) che rasentano i 1200 m3/t tq.
Valgono, naturalmente, le valutazioni condotte in precedenza sui costi
energetici relativi alle colture amidacee.
Figura 2.17–Rese medie di biogas m
3/t tq – Biomasse oleaginose e proteiche
La digestione anaerobica
Pagina 141
Il valore di potenziale produttivo delle differenti matrici prese in analisi
è, in genere, misurato da prove sperimentali di laboratorio dove le condizioni
chimico fisiche per il corretto sviluppo delle colonie batteriche sono le migliori.
Ciò comporta una potenziale discrepanza fra i valori di resa teorici e quelli
misurati a scala reale. I problemi che concorrono alla riduzione nelle produzioni
sono relativi principalmente a:
1. sbalzi termici 2. bassi tempi di permanenza 3. eventuali problemi di inibizioni chimiche.
In conclusione si riporta un confronto fra le medie delle rese medie
delle sette categorie di matrici individuate (figura 18).
Figura 2.18–Confronto tra le medie delle rese medie di biogas
A conclusione dell’analisi condotta sulle potenzialità di sviluppo di
energia da matrici organiche, si evidenziano in prima istanza interessanti
opportunità di impiego della digestione anaerobica per una corretta gestione
delle frazioni organiche dei rifiuti solidi urbani, degli effluenti zootecnici e di
tutti gli scarti e sottoprodotti organici. Se la digestione di soli fanghi di
depurazione è consigliabile quando venga realizzata direttamente sul luogo di
produzione, dall’altra si segnala la necessità di riflettere sulle implicazioni
La digestione anaerobica
Pagina 142
ambientali legate alla produzione di biomasse dedicate ad alta efficienza di
recupero energetico (colture dedicate).
Per far si che il processo si svolga correttamente, considerate le
caratteristiche intrinseche, si presentano alcune criticità di cui tenere conto.
Variando la tipologia di matrice si potranno avere tempi di degradazione
della sostanza organica e quindi di crescita (periodo di start-up) della biomassa
metanigena più o meno lunghi. Utilizzando biomasse ricche in azoto è
necessario tener conto che la rimozione dei composti azotati è ridotta a causa
dell’impossibilità di far avvenire la nitrificazione (necessita di ossigeno). Il
processo risulta essere abbastanza sensibile alla presenza di sostanze tossiche:
anche in questo caso un’analisi preventiva delle matrici in ingresso consente di
evitare o ridurre eventuali problemi di inibizione; la degradazione metabolica
delle sostanze xenobiotiche richiede concentrazioni di substrato primario
relativamente alte. Esiste a volte la necessità di aggiungere reagenti di sintesi
per eliminare effetti inibenti dovuti, ad esempio, alla elevata acidità della
biomassa in digestione (ad esempio siero di latte). In definitiva, si può
affermare che un attento controllo sui fattori che influenzano i processi
anaerobici, una giusta scelta delle matrici in ingresso e un uso ragionato della
codigestione, possono far si che la digestione anaerobica diventi, non solo la
soluzione di alcuni problemi legati ai biorifiuti, ma anche un’opportunità vera
per produrre efficientemente energia da fonti rinnovabili.
La digestione anaerobica
Pagina 143
2.10 Tecnologie per la digestione anaerobica
Una prima classificazione dei processi di digestione anaerobica viene
fatta in base al numero di fasi presenti nel processo (una o due).
Secondo tale classificazione si possono distinguere:
• processo monostadio (processo a fase unica), in cui le fasi di idrolisi,
fermentazione acida e metanigena avvengono contemporaneamente in
un unico reattore;
• processo bistadio (processo a fasi separate), nel quale l’idrolisi e la
fermentazione del substrato organico avvengono in un primo reattore,
mentre la fase metanigena viene condotta separatamente in un
secondo digestore.
I diversi processi a fase unica di digestione anaerobica vengono, poi,
distinti in funzione del tenore di sostanza secca contenuta nel substrato
alimentato al reattore.In base a ciò è possibile individuare due principali
categorie di processi:
• processi di digestione ad umido (wet),che si utilizzano quando il
substrato in digestione ha un contenuto di sostanza secca inferiore al
10%; tipico è l’utilizzo di questa tecnologia per il trattamento di liquami
zootecnici;
• processi di digestione a secco (dry), che invece si applicano con
substrati aventi un contenuto di sostanza secca superiore al 20%.
Si hanno in realtà anche dei processi a semisecco (semi–dry), molto meno
comuni, che operano con substrati aventi un contenuto di parti solide
intermedio ai valori precedentemente visti (quindi tra il 10% e il 20%).
Inoltre i processi di digestione anaerobica possono essere suddivisi,
come anche visto in precedenza, in funzione delle temperature di esercizio del
reattore (processo psicrofilo – processo mesofilo – processo termofilo) le quali
influenzano anche il tempo di residenza della biomassa.
Un’ulteriore distinzione tra le diverse tecnologie può essere fatta
considerando sia la tecnica di alimentazione, che può essere in continuo o in
discontinuo, che la modalità con la quale la biomassa si dispone all’interno del
reattore; in quest’ultimo caso infatti è possibile avere o un substrato
completamente miscelato, oppure un substrato, in movimento lungo l’asse
longitudinale, che attraversa fasi di processo via via diverse (flusso a pistone).
La digestione anaerobica
Pagina 144
I digestori discontinui (o batch) rappresentano la tecnologia più
semplice, ma anche la meno comune. Il reattore viene alimentato in un’unica
soluzione con il substrato (ed eventualmente con l’inoculo), ed il processo
prosegue fino all’esaurimento del substrato. Il reattore viene poi interamente
svuotato e successivamente riempito. In un fermentatore con flusso a pistone, si ha il movimento della
biomassa soltanto verso l’uscita (movimento lungo l’asse longitudinale). Le tre
fasi di digestione risultano essere distinte all’interno del fermentatore, ed
avvengono una dopo l’altra. Eventuali miscelamenti avvengono in direzione
normale a quella del flusso, ma all’interno di una stessa sezione di
avanzamento.
Figura 2.19–Schema di un fermentatore con flusso a pistone
In un fermentatore completamente miscelato, che è la tipologia più
diffusa di reattore, il mescolamento avviene indipendentemente dal senso del
flusso e dal processo di metanizzazione.
Figura 2.20–Schema di un fermentatore completamente miscelato
A titolo chiarificativo, riportiamo la seguente tabella.
CRITERI CARATTERISTICHE
Fasi biologiche
Unica (l’intera catena microbica mantenuta in un
singolo reattore)
Separate (fase idrolitica e fermentativa sono
La digestione anaerobica
Pagina 145
separate da quella metanogenica)
Regime termico
Psicrofilia ( <20°C ) poco utilizzato
Mesofilia ( 32-42 °C )
Termofilia ( 50-57 °C)
Contenuto di
sostanzasecca nel
reattore
Processo umido (sostanza secca <10%)
Processo semi-secco (sostanza secca 10-20%)
Processo secco (sostanza secca >20%)
Tecnica
dialimentazione
Digestori discontinui
Digestori continui
Introduzione
della
carica nel
reattore
Digestori con flusso a pistone
Digestori completamente miscelati
Tabella 5–Classificazione delle tecnologie di digestione anaerobica applicabili
2.10.1 Processi di digestione a fase unica
Come appena esposto, i diversi processi a fase unica di digestione
anaerobica sono distinguibili in base alla concentrazione di sostanza secca che
caratterizza il rifiuto trattato ed in base a quest’indice si distinguono le
tipologie di digestione a fase unica in regime wet, in regime dry e in regime
semi-dry.
2.10.1.1 Digestione ad umido (wet)
La digestione ad umido, sfruttando le conoscenze acquisite in decenni di
attività nel processo di digestione anaerobica dei fanghi di supero negli
impianti di trattamento delle acque reflue, è stata la prima modalità di
digestione per organico.
Nei processi ad umido, la biomassa, prima di essere caricata nel reattore
anaerobico, subisce un trattamento finalizzato al raggiungimento del giusto
tenore di solidi totali (inferiore al 10%) e di un buon grado di
omogeneizzazione.Tale trattamento consiste principalmente in una diluizione
La digestione anaerobica
Pagina 146
effettuata mediante aggiunta di acqua (liquami vari e/o acqua di processo,
ricircolata dal digestore stesso) e in una rimozione sia di eventuali schiume che
di eventuali plastiche, inerti e altri materiali grossolani potenzialmente dannosi
per la meccanica dell’impianto.
L’alimentazione così ottenuta è introdotta all’interno di un classico reattore
completamente miscelato (CSTR – Completely Stirred Reactor –) dove si
realizza in un solo stadio e a ciclo continuo la conversione della biomassa in
biogas.
Questo reattore, realizzato a forma di silos in acciaio e cemento armato, lavora
o in condizioni di mesofilia o di termofilia; esso pertanto è munito di un sistema
di riscaldamento a scambiatore di calore e di coibentazione perimetrale per
limitare le dispersioni termiche. Al suo interno il materiale da digerire viene
miscelato mediante agitatori meccanici a basso regime di rotazione (15–50
rpm), oppure, nei casi in cui il rischio di formazione di schiume è limitato,
attraverso sistemi di tipo idraulico (gaslifter) che consistono nel ricircolo dello
stesso biogas compresso all’interno del reattore.
Nella figura sottostante si riporta lo schema di un processo in continuo
monostadio ad umido, che rappresenta oggi la tecnologia più diffusa
nell’ambito della digestione ad umido.
Figura 2.21 – Schema di un impianto con digestione ad umido
La produzione di biogas dipende sensibilmente anche dalla tipologia di
biomassa trattata; infatti a causa delle caratteristiche fisiche disomogenee di
La digestione anaerobica
Pagina 147
quest’ultima non è solitamente possibile ottenere una buona
omogeneizzazione dell’alimentazione e pertanto si osserverà all’interno del
reattore una stratificazione di materiali in funzione dei loro diversi valori di
densità.La frazione più pesante tenderà ad accumularsi sul fondo del reattore e
può determinare danni nel sistema di miscelazione se il rifiuto trattato non è
sufficientemente pulito, mentre materiali leggeri e schiume si accumulano nella
parte superiore del reattore con conseguente formazione di croste superficiali.
La zona centrale del digestore è quella in cui avvengono per lo più le effettive
reazioni di degradazione con conseguente produzione di biogas.
Per limitare questi inconvenienti si realizza una rimozione periodica sia dello
strato più pesante, presente sul fondo del reattore, che di quello leggero.
Un altro problema che può essere connesso con la digestione
anaerobica ad umido consiste nella corto-circuitazione idraulica del reattore: il
flusso di materiale entrante, non perfettamente miscelato con il materiale già
presente nel reattore, fuoriesce con tempi di ritenzione ridotti rispetto a quelli
previsti da progetto. Questo, oltre a determinare una minore degradazione del
substrato trattato, e quindi una minor produzione di biogas, può determinare
problemi di igienizzazione dei fanghi effluenti; proprio per quest’ultimo motivo
alcune soluzioni brevettate prevedono una sezione di pastorizzazione all’uscita
del digestore al fine di igienizzare totalmente l’effluente.
Nei processi ad umido si opera generalmente con carichi organici compresi tra
2 e 5 kg SV/m3 giorno,in quanto l’esperienza su quantitativi maggiori ha
evidenziato cali nella produzione di biogas; la completa miscelazione che si ha
in questi digestori potrebbe essere annoverata tra le possibili cause in quanto,
se da un lato risulta essere assolutamente necessaria per un buon esito del
processo, dall’altro favorisce lo stretto contatto tra biomassa ed eventuali
sostanze inibenti formatesi con conseguenti effetti negativi.
E’ chiaro che i reattori completamente miscelati tenendo sempre la biomassa
totalmente dispersa in un mezzo liquido sono particolarmente soggetti a
problemi di inibizione, dal momento che biomassa e sostanze inibenti sono in
intimo contatto e che masse maggiormente digerite entrano in contatto con
masse ancora non in fase di metanizzazione.
La digestione anaerobica
Pagina 148
Essendo lo schema di funzionamento di questa tecnologia piuttosto semplice,
spesso è facile porre rimedio ad inconvenienti di questo tipo grazie alla
semplice aggiunta d’acqua, con conseguente diluizione.
Nelle successive due tabelle vengono riportati, rispettivamente i principali
vantaggi-svantaggi e le principali caratteristiche prestazionali dei processi di
digestione ad umido.
Tabella 6 – Vantaggi/svantaggi e prestazioni del processo di digestione ad umido
Criterio Vantaggi Svantaggi
Tecnologico
Processo sperimentato ed affidabile
Applicabilità in co-digestione con rifiuti
liquidi ad alto contenuto in sostanza organica
Corto circuitazione idraulica
Fasi separate di
materiale galleggiante e pesante
Abrasione delle parti
meccaniche dovuta alla presenza di sabbie e
inerti
Pre-trattamento di preparazione del rifiuto
complesso
Biologico
Diluizione dei picchi di concentrazione di
substrato e/o sostanze tossiche inibenti il
reattore
Forte sensibilità a picchi di concentrazione di
sostanze inibitorie e di carico organico
Perdita di sostanza
volatile biodegradabile nel corso dei
pretrattamenti
Economico ed ambientale
Spese ridotte per i sistemi di pompaggio e
miscelazione
Elevati costi di investimento iniziale,
dovuti agli
La digestione anaerobica
Pagina 149
equipaggiamenti utilizzati per i
pretrattamenti ed alle elevate volumetrie dei
reattori
Elevate quantità di acque di processo
Parametri
Carico organico (OLR) 2 – 5 �������
Temperatura reattore 37°C(mesofilia) o 55°C(termofilia)
Tenore di sostanza secca nel rifiuto
trattato inferiore al 10%
Tempo di residenza idraulico 10 - 15 fino a 30 giorni
Produzione di biogas 100 – 150 ��
�����������
Produzione specifica di biogas 0,4 – 0,5 ������
Contenuto in metano 50 – 70%
Di seguito verranno elencate e descritte alcune applicazioni industriali del
processo wet a fase unica.
• Il processo Bima
Sviluppato dalla società austriaca EnTec Umwelttechnik GmbH il sistema
Bima consiste in un particolare reattore anaerobico progettato per il
trattamento di rifiuti organici solidi, fanghi di depurazione ed acque ad elevato
contenuto di sostanza organica.
Il processo prevede una fase iniziale di triturazione grossolana del rifiuto,
seguita da diluizione e trattamento di separazione idraulico meccanico
mediante hydropulper. L’effluente viene così epurato dalle plastiche, dalla
La digestione anaerobica
Pagina 150
carta, dal vetro e dagli inerti. Al digestore viene in genere inviato un effluente
melmoso con tenore di solidi totali TS generalmente al 10%.
Il reattore è suddiviso in due comparti, uno superiore di modesta capacità ed
uno inferiore più grande; le due parti sono collegate da apposite tubature per il
trasporto del biogas. Chiudendo una particolare valvola lungo queste condotte
si isola il comparto inferiore, causandone quindi la messa in pressione dovuta
all’accumulo del biogas. Grazie all’aumento di pressione parte del substrato si
sposta nel comparto superiore; raggiunto un certo livello l’apertura di una
valvola automatica consente il rilascio del biogas accumulato, che causa
successivamente la re-immissione del substrato del comparto superiore in
quello inferiore. Grazie alla particolare conformazione idraulica del reattore e
del percorso di re-immissione,si garantisce un’ottimale miscelazione tra
substrato fresco ed eventuali schiume e sedimenti presenti. L’alimentazione
avviene tramite lance disposte in un apposito tubo al centro del reattore,
mentre il biogas passa direttamente dal compartimento superiore al
gasometro.
Applicazioni su scala reale di questa tecnologia vengono effettuate
generalmente per impianti di piccole dimensioni, tipicamente 1000-2000 m3,
operanti su rifiuti organici civili, zootecnici e agroindustriali, con OLR pari a
circa 2-4 ��� ��⁄ � e con HRT di circa 30 giorni.
• Il processo Linde
Ideato e brevettato dalla tedesca Linde KCA Dresden GmbH, il brevetto
Linde prevede digestione anaerobica ad umido, con reattori operanti sia in
regime mesofilo che termofilo su bassi carichi organici, con possibilità
impiantistiche ad uno o a due stadi.
Il rifiuto subisce vari trattamenti preliminari mediante vagli e pulpers al fine di
liberarlo dagli inerti come plastica e carta; il reattore viene miscelato tramite
insufflazione del biogas da un apposito tubo posto al centro del digestore.
Come residuo solido si ottiene un ottimo materiale da inviare a compostaggio.
Attualmente gli impianti realizzati a scala reale operano soprattutto co-
digestione di rifiuti organici di varie provenienze: civili, zootecnici e
agroindustriali.
• Il processo Waasa
La digestione anaerobica
Pagina 151
Questo sistema è stato progettato dalla finlandese Citec Environment
International Ltd. L’alimentazione dei digestori è costituita prevalentemente da
frazione organica selezionata meccanicamente, con contenuto di solidi TS al
10-15%. L’HRT varia generalmente tra i 10 giorni del processo operato in
regime termofilo ai 20 giorni previsti per il mesofilo. Chiaramente sono previsti
pretrattamenti di omogeneizzazione del rifiuto entrante mediante
hydropulper.
La prima applicazione su scala reale risale al 1989, quando si realizzò un
impianto con questa tecnologia nell’omonima cittadina Waasa, in Finlandia. La
sua capacità è di 20.000 t/a di fanghi e rifiuti solidi urbani.
La realizzazione ad oggi più significativa è quella di Groningen, in Olanda,
dimensionata per trattare 85.000 t/a di frazione organica proveniente da
raccolta differenziata selezionata meccanicamente, con OLR di 5 ��� ��⁄ �.
Nella seguente immagine viene raffigurato uno schema di parte del processo
Waasa.
Figura 2.22 – Processo Waasa
Generalmente per questo tipo di processi la produzione attesa di biogas si
attesta sui 100-150 m3/t di rifiuto alimentato, con rimozione della sostanza
volatile del 60-70%.
• Il processo Wabio
Questa tecnica di digestione è stata sviluppata da una società
finlandese, la EcoTech. Il sistema prevede la co-digestione di frazione organica
La digestione anaerobica
Pagina 152
da RU e fanghi provenienti dalla depurazione biologica delle acque, accoppiata
ad una sezione di compostaggio per il digestato.
Il processo si è largamente diffuso in Europa, con installazioni di capacità
variante tra le 14.000 t/a dell’impianto di Kiel in Germania e le 54.000 t/a di
uno stabilimento polacco, ripartite in 37.000 t/a di frazione organica da RU e
17.000 di fanghi. E’ stato realizzato un impianto anche a Berlino, che tratta
rifiuto organico da raccolta differenziata con una capacità di 30.000 t/a. Ad
esso generalmente arriva un rifiuto con TS al 18-25%, poi diluito sino al 10-15%;
opera in regime mesofilo con OLR variabile tra 3-7 ��� ��⁄ � e con HRT di
circa 15-17 giorni; la sua produzione di biogas è compresa nell’intervallo tipico
100-150 m3/t di rifiuto, con percentuale di metano del 50-70%.
2.10.1.2 Digestione semi-dry
A metà strada tra i processi wet e dry si collocano i sistemi semi–dry, in
cui si lavora con un contenuto di sostanza secca in digestione intorno al 12–
18%.
Questi sistemi dal punto di vista tecnologico presentano indiscutibili vantaggi
tra i quali spiccano ad esempio, la semplicità dei sistemi di pompaggio e
miscelazione e la possibilità di trattare la frazione organica proveniente da
raccolta differenziata dei rifiuti urbani senza pretrattamenti particolarmente
impegnativi.
Infatti, se il rifiuto organico proviene da raccolta differenziata dei rifiuti urbani,
esso presenta caratteristiche che sono generalmente ottimali per l’applicazione
diretta del processo, ricorrendo solamente a semplici pretrattamenti di pulizia
del rifiuto con eliminazione dei materiali ferrosi e di materiali inerti grossolani
seguita da triturazione e miscelazione
Qualora invece si abbia a che fare con rifiuti urbani indifferenziati con
un elevato contenuto di sostanza solida, si rende indispensabile una
separazione meccanica dell’organico, con successiva fase di pre-trattamento di
pulizia del rifiuto piuttosto spinto e sua diluizione con acqua, che potrà essere,
di volta in volta, acqua di processo riciclata o acqua fresca. In questo tipo di
impianti, sarà necessaria, quindi, una filiera di pre-trattamento per la
separazione della frazione organica da inviare al reattore; lo schema di
pretrattamento prevede diversi passaggi e può essere anche complesso. Ciò
La digestione anaerobica
Pagina 153
comporta, inevitabilmente, la perdita di materiale organico biodegradabile, che
può arrivare sino al 15-25% in termini di sostanza volatile.
Negli stadi successivi della linea di pretrattamento si provvede poi alla
rimozione dei materiali inerti quali metalli, sassi, vetro, e sabbie, al fine di
evitare danni agli organi meccanici dell’impianto e per evitare eccessive
sedimentazioni.
Il reattore maggiormente utilizzato rimane quello completamente
miscelato (CSTR), operante in regime sia mesofilo che termofilo, all’interno del
quale la miscelazione del materiale viene effettuata principalmente attraverso
sistemi meccanici coadiuvati talvolta anche da sistemi di miscelazione a
ricircolo di biogas per incrementare l’efficienza di miscelazione.
Anche in questo processo, come nei processi di tipo wet, si osserva
all’interno del reattore una stratificazione di materiali in funzione dei loro
diversi valori di densità, anche se, in generale, il fenomeno è meno accentuato.
Sarà comunque necessario prevedere, di tanto in tanto, lo svuotamento e la
pulizia del fondo del reattore.
Il principale vantaggio economico di questa tecnologia consiste nella possibilità
di installare mezzi di pompaggio e miscelazione ampiamente diffusi sul
mercato, e quindi ad un prezzo conveniente.
Per contro, devono essere previsti maggiori costi di investimento per le fasi di
pre-trattamento, soprattutto nel caso in cui il rifiuto venga conferito tal quale
all’impianto.
Il volume dei reattori è normalmente inferiore rispetto a quello dei digestori
wet; tuttavia, la necessità di diluire rifiuti aventi una concentrazione di sostanza
secca maggiore del 20–25%, può comportare un significativo aumento delle
dimensioni dei reattori stessi, oltre ad un aumento dell’utilizzo di acque di
processo e quindi dei costi di esercizio per il mantenimento della temperatura
ottimale di digestione. In virtù di ciò le volumetrie in gioco risultano essere
maggiori dei sistemi a secco.
Prestando attenzione al progetto del sistema si raggiungono facilmente
condizioni di autosostentamento energetico del reattore, grazie all’energia e al
calore prodotti dalla combustione del biogas.
Nelle due successive tabelle vengono riportati i vantaggi e gli svantaggi insieme
alle principali caratteristiche prestazionali dei processi semi-dry.
La digestione anaerobica
Pagina 154
Tabella 7 – Vantaggi/svantaggi e prestazioni del processo di digestione semi-secco
Criterio Vantaggi Svantaggi
Tecnologico
Semplicità dei sistemi di pompaggio e miscelazione
Possibilità di trattare la frazione
organica proveniente da raccolta differenziata senza particolari pretrattamenti
Accumulo di materiali inerti sul fondo del reattore e necessità di
scaricarli
Abrasione delle parti meccaniche
Pretrattamenti complessi per RSU indifferenziato
Biologico
Diluizione dei picchi di concentrazione del substrato
e/o di sostanze tossiche inibenti il reattore
Forte sensibilità a picchi di concentrazione di sostanze
inibitorie e di carico organico
Perdita di sostanza volatile biodegradabile nel corso dei
pretrattamenti del rifiuto indifferenziato
Economico ed ambientale
Spese ridotte per i sistemi di pompaggio e miscelazione
Elevati costi di investimento iniziale, dovuti agli
equipaggiamenti utilizzati per i pretrattamenti ed alle volumetrie
dei reattori
Elevate quantità di acque di processo
Parametri
Carico organico (OLR) 8 - 12 �������
Temperatura reattore 37°C(mesofilia) o 55°C(termofilia)
Tenore di sostanza secca nel rifiuto trattato
12 – 18%
Tempo di residenza idraulico 10 - 15
Produzione di biogas 100 – 150 ��
�����������
Produzione specifica di biogas 0,3 – 0,5������
Contenuto in metano 50 – 60%
La digestione anaerobica
Pagina 155
L’unica applicazione rilevata a piena scala del processo semidry è situata a Cà
del Bue, in provincia di Verona.
L’impianto ha capacità di 150.000 t/a di RU (500 t/g), da inviare alle sezioni di
pretrattamento necessarie alla selezione della sola frazione organica. Opera in
regime termofilo, con OLR di 8 ������� e HRT di 13 giorni.
I digestori sono quattro, con volume utile di 2000 m3, e vengono alimentati per
12 ore al giorno 6 giorni a settimana: in essi vengono trattati 428 m3/g con
tenore di solidi TS al 20-25%.La produzione specifica di biogas è di 0,48 ������,
con contenuto di metano al 66%.
2.10.1.3 Digestione a secco (dry)
La digestione di tipo a secco è stata sviluppata per consentire il
trattamento della biomassa senza necessità di diluizioni, operando con tenori
di sostanza secca superiori al 20% fino ad un massimo anche del 40%; pertanto
solamente particolari rifiuti con elevato tenore di solidi (maggiore del 50%)
necessitano di essere diluiti con acqua per poter essere convenientemente
trattati. Ciò non comporta significative variazioni dal punto di vista biochimico
e microbiologico nel processo anaerobico; ma essendo il materiale organico
digerito in questo tipo di sistema molto più concentrato e viscoso di quello
utilizzato negli impianti ad umido, è evidente che proprio per questo motivo, la
tecnologia dei reattori e dei sistemi di trasporto, pompaggio e miscelazione
deve essere adattata alle caratteristiche di un’alimentazione meno diluita.
Difatti, a causa dell’elevata viscosità e densità del flusso trattato, non è
possibile utilizzare reattori completamente miscelati (CSTR); per cui il tipo di
reattore che comunemente viene utilizzato in questi casi è il reattore
cosiddetto plug–flow (a pistone) in cui la biomassa viene fatta scorrere
orizzontalmente da un’estremità all’altra.
Questa tipologia di reattore è semplice a livello meccanico, ma comporta
problemi di miscelazione tra il rifiuto organico fresco e la biomassa
fermentante. La risoluzione di questo problema è fondamentale per evitare
fenomeni localizzati di sovraccarico organico ed eventuale acidificazione che
porterebbe ad inibizione del processo metanigeno.
La digestione anaerobica
Pagina 156
Sempre a causa delle sue particolari caratteristiche reologiche (elevata
viscosità ed elevata densità) il flusso trattato deve essere trasportato su nastri
e pompato con speciali pompe appositamente progettate per fluidi ad elevata
viscosità. Ciò rappresenta un elemento molto incisivo sui costi di realizzazione
dell’impianto. I vantaggi sono dati invece dalla possibilità di operare con
materiali ad alte concentrazioni; resistenza a possibili inceppamenti e danni
dovuti a sassi, vetro o legna.
L’unico pretrattamento che in questo caso viene normalmente realizzato sulla
biomassa, prima dell’ingresso nel digestore, è una vagliatura grossolana che
consenta di rimuovere le frazioni con dimensioni superiori ai 40 mm.
Ciò è ottenuto grazie a vagli circolari a tamburo nel caso di rifiuto organico
separato meccanicamente; mentre è ottenuto mediante trituratori nel caso di
rifiuto organico raccolto separatamente alla fonte.
Il fatto di limitare i pretrattamenti sul materiale fresco rappresenta un indubbio
vantaggio in quanto consente di contenere la perdita di sostanza organica
biodegradabile utile alla produzione di biogas.
Il fatto di operare con flussi molto densi porta, inoltre, al superamento del
problema della stratificazione di materiali con diverse densità all’interno del
reattore, inconveniente tipico dei processi wet e semi-dry.
Sulla base di quanto detto sui processi di tipo dry si deduce che, dal
punto di vista economico, gli elevati costi di investimento iniziale sono dovuti
alla particolarità dei sistemi di trasporto e pompaggio; si ha invece un notevole
risparmio in virtù del fatto che non sono necessari trattamenti particolarmente
raffinati e per via delle minori volumetrie richieste per i reattori.
La ridotta dimensione del reattore si ripercuote poi favorevolmente in fase di
esercizio sul bilancio energetico del reattore, attraverso un contenimento delle
spese necessarie per il riscaldamento del reattore.
Inoltre i processi dry permettono di avere un notevole risparmio d’acqua,
grazie alla riduzione delle diluzioni.
La digestione a secco è applicata in particolare alla frazione organica dei rifiuti
urbani.
Nelle successive due tabelle vengono riportati i principali vantaggi - svantaggi e
le principali caratteristiche prestazionali dei processi di digestione a secco.
La digestione anaerobica
Pagina 157
Tabella 8 – Vantaggi/svantaggi e prestazioni del processo di digestione a secco
Criterio Vantaggi Svantaggi
Tecnologico
Nessun bisogno di miscelatori interni al reattore Robustezza e resistenza ad inerti pesanti e plastiche Nessuna corto circuitazione idraulica
Rifiuti con basso tenore in sostanza solida(<20%) necessitano di trattamenti ad hoc
Biologico
Bassa perdita di sostanza organica biodegradabile nei Pretrattamenti Elevati carichi organici(OLR) applicabili Resistenza a picchi di concentrazione di substrato o sostanze tossiche
Minima possibilità di diluire sostanze inibitorie e carichi organici eccessivi con acqua fresca
Economico/
ambientale
Pretrattamenti minimi ed economici Ridotti volumi dei reattori Ridotto utilizzo di acqua fresca Minime richieste di riscaldamento del reattore
Elevati costi di investimento a causa degli equipaggiamenti utilizzati per il trattamento
Parametri
Carico organico (OLR) 8 – 10 �������
Temperatura reattore 37 – 40°C
Tenore di sostanza secca nel rifiuto trattato superiore al 20%
Tempo di residenza idraulico 25 – 30 giorni
Produzione di biogas 90 - 150 ��
�����������
Produzione specifica di biogas 0,2 – 0,3 ������
Contenuto in metano 50 – 60%
La tecnica di digestione anaerobica a secco trova oggi applicazione in
diversi processi distinguibili essenzialmente per le caratteristiche
fluidodinamiche del reattore utilizzato. Tre sono quelli maggiormente diffusi:
La digestione anaerobica
Pagina 158
• Processo Dranco
Questo sistema, sviluppato in Belgio, opera con substrati ad alto tenore
di solidi e in regime di temperatura termofilo.
Può essere utilizzato per trattamenti di co-digestione anaerobica su vari
substrati biodegradabili, quali ad esempio rifiuti organici separati alla fonte e
fanghi di depurazione opportunamente ispessiti e pressati.
La materia organica viene introdotta giornalmente dall’estremità superiore del
reattore mentre il materiale digerito viene contemporaneamente rimosso dalla
parte inferiore.
Quest’ultimo poi viene in parte ricircolato, reintroducendolo all’interno del
digestore (cosi da avere una miscelazione tra rifiuto influente e biomassa), e in
parte sottoposto ad ulteriori trattamenti (ad es. disidratazione) al fine di
ottenere un prodotto utile sotto il profilo agronomico.
Una particolarità del sistema Dranco è che all’interno del reattore la biomassa
non è agitata da nessun sistema meccanico e la sola miscelazione che avviene è
quella naturale che si origina dal movimento a pistone verso il basso del
materiale in digestione.
Il contenuto di solidi totali dei substrati comunemente utilizzati varia
nell’intervallo 20–40%, i tempi di ritenzione tra 15 e 30 giorni, la temperatura
d’esercizio tra 50 e 58 °C e le rese in biogas dichiarate tra 100 e 200 m3/t di
substrato alimentato.
Figura 2.23 – Processo Dranco
La digestione anaerobica
Pagina 159
Impianti full scale sono presenti e operativi in Belgio, Germania, Svizzera e
Austria; hanno capacità medio bassa, solitamente nell’intervallo 12.000-20.000
t/a di rifiuto trattato. Tipicamente si ha a che fare con OLR variabili tra 10-15 ������� con contenuto in TS del 30%.
• Il processo Kompogas
Questo sistema, sviluppato in Svizzera, utilizza substrati ad alto tenore
di solidi che vengono trattati, in regime termofilo, all’interno di un reattore
cilindrico orizzontale dove, grazie ad un movimento a pistone, la sostanza
organica, introdotta giornalmente da una estremità, viene rimossa dopo circa
venti giorni dall’estremità opposta sotto forma di materiale digerito.
Prima di essere inviata al digestore è prevista una fase di separazione degli
inerti dall’organico ed una successiva fase di sminuzzamento del materiale.
All’interno del reattore è presente un sistema di agitazione a basso regime di
rotazione che mescola la massa in modo intermittente, favorendo così la
liberazione del biogas formatosi e la risospensione del materiale inerte
grossolano depositatosi sul fondo.
L’esperienza accumulata con questa tecnologia ha dimostrato che la massima
efficienza di conversione si realizza con l’impiego di substrati aventi un tenore
di solidi intorno al 25%; concentrazioni inferiori favoriscono infatti la
precipitazione verso il fondo del reattore delle frazioni più pesanti, mentre con
concentrazioni maggiori viene generalmente ostacolato il flusso orizzontale del
materiale all’interno del reattore.
Anche in questo caso poi il materiale digerito viene in parte ricircolato e in
parte disidratato e ulteriormente trattato per fini agronomici.
A livello impiantistico solitamente si provvede all’approntamento di più
reattori operanti in parallelo, ciascuno dotato di capacità di trattamento
compresa tra le 15.000-25.000 t/a. Il tempo necessario al trattamento
completo è di circa un mese, ripartito sequenzialmente in circa 3 giorni per la
preparazione e la macinazione del rifiuto, 20 giorni circa di HRT per la vera e
propria digestione e circa 10 giorni per i trattamenti necessari per rendere
l’effluente del digestore utilizzabile a fini agronomici.
La produzione di biogas si attesta generalmente sugli 80-140 m3/t di rifiuto
trattato.
La digestione anaerobica
Pagina 160
Figura 2.24 – Processo Kompogas
Il processo Kompogas ha trovato larga applicazione su scala reale
soprattutto in Svizzera, con alcune installazioni anche in Germania. Sul
territorio svizzero al 2008 sono state censite 37 unità operative, con capacità
complessiva di 43.500 t/a; si tratta quindi di piccole installazioni, dimensionate
per servire piccoli bacini di utenza.
• Il processo Valorga
Si tratta di un sistema sviluppato in Francia nel quale, substrati ad alto
contenuto di sostanza secca (25–35%) rimangono per circa 18–25 giorni,
all’interno di reattori di forma cilindrica in cui il flusso a pistone del materiale è
di tipo circolare e la miscelazione avviene grazie all’introduzione in pressione e
ad intervalli di tempo prestabiliti (ogni 15 minuti circa) di parte del biogas
prodotto operata mediante appositi iniettori posizionati sul fondo del reattore.
Generalmente la miscelazione viene effettuata in modo soddisfacente
mediante ricircolo di solo biogas e non dell’effluente anche se, dato il
posizionamento degli iniettori sul fondo del reattore, esiste la possibilità che si
verifichino problemi di intasamento degli stessi.
Come nel processo precedente è necessaria l’iniezione di acqua affinché si
mantenga una concentrazione in TS al 30% circa; per contro, concentrazioni più
basse, fino al 20% in TS determinerebbero problemi di accumulo di materiali
inerti sul fondo del digestore.
La digestione anaerobica
Pagina 161
Figura 2.25 – Processo Valorga
Il primo impianto su scala reale fu realizzato ad Amiens in Francia nel
1988.Successivamente altre installazioni vennero effettuate a Tilburg in Olanda
e Engelskirchen in Germania. Su questi tre impianti vennero condotte
rilevazioni ed analisi che contribuirono notevolmente all’approfondimento
della conoscenza del legame presente tra le diverse tipologie di substrato
alimentato e la quantità di biogas prodotto. Tipicamente si ha una buona
conversione per substrati poveri in cellulosa.
Nei primi anni del 2000 si costruirono altri impianti a Friburgo, Cadiz, Hanovre,
Ginevra e Barcellona; proprio quest’ultimo rappresenta una delle installazioni
più significative con le sue 100.000 t/a di frazione organica da raccolta
differenziata, sorpassate solamente dalle 142.000 t/a dell’impianto di
Corregne in Francia.
Analizzando i vantaggi e gli svantaggi dei tre tipi di processo umido, semi-secco
e secco, risulta che al momento attuale le tre tecnologie sostanzialmente si
equivalgono. Occorre valutare di volta in volta la tecnologia da preferirsi in
relazione alle matrici da trattare ed alla capacità di ottenere ottime rese in
termini di produzione di biogas e riduzione dei volumi di fanghi da smaltire.
2.10.2 Processi di digestione a due fasi
Negli impianti a due stadi di vecchia concezione venivano realizzati due
digestori simili dimensionalmente, ma con compiti differenti; ad un primo
La digestione anaerobica
Pagina 162
digestore ad alto carico a miscelazione completa seguiva un secondo stadio di
sola stratificazione.
Attraverso questo sistema non si ottennero risultati soddisfacenti in termini di
rendimenti; questo elemento, insieme ai notevoli costi di realizzazione dovuti
al raddoppio dei volumi di digestione, ha fatto si che la ricerca si indirizzasse
verso altre soluzioni.
Oggi per processo a due stadi si intende invece una tecnica di digestione che
prevede la separazione fisica della fase idrolitica e fermentativa dalla fase
metanigena. I processi avvengono in due digestori distinti posti in successione
logica.
Nella prima fase si osservano quindi l’idrolisi e l’acidogenesi secondo cinetiche
del primo ordine limitata dalla presenza di cellulosa; mentre nella seconda fase
invece si verificano l’acetogenesi e la metanogenesi, con fattore limitante
dovuto alla velocità di crescita della biomassa metanigena.
Dal momento che i processi vengono separati ed avvengono in condizioni
ottimali, le rese del processo in termini di degradazione della sostanza
biodegradabile e di produzione di biogas sono ottimizzate.
Si è comunque osservato che, nonostante i maggiori sforzi in termini
tecnologici e di investimenti, molto spesso i sistemi a due fasi non consentono
incrementi delle rese in termini di produzione di biogas, rispetto ai sistemi a
fase unica, tali da giustificare i maggiori costi di investimento e di gestione.
Il maggior vantaggio consiste nella capacità di trattare alcuni tipi particolari di
rifiuto organico che vengono in genere evitati nei sistemi a fase unica, quali ad
esempio residui agro-industriali o zootecnici che presentano rapporti C/N
inferiori a 20.
I processi a due stadi possono operare con o senza ritenzione della biomassa
nel secondo stadio del processo; a seconda di questa particolarità costruttiva si
hanno diverse rese del processo.
2.10.2.1 Sistemi senza ritenzione della biomassa
In questo caso le configurazioni possibili sono quelle di due reattori miscelati in
serie, oppure reattori con flusso a piste sempre in serie.
Nel primo caso si deve procedere a triturazione e diluizione del rifiuto fino ad
ottenere un contenuto di solidi circa del 10%; nel secondo si può operare
invece, chiaramente in entrambi i digestori, con processi wet o dry.
La digestione anaerobica
Pagina 163
Anche rifiuti organici ad alta biodegradabilità come frutta e verdura possono
essere trattati con sistemi a fasi separate, senza che ne risentano le condizioni
ambientali della digestione. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che la rapida
idrolizzazione ed acidificazione, la quale potrebbe causare un abbassamento
del pH e quindi inibire la biomassa metanigena, avvengono nel primo reattore,
preservando il secondo da questi problemi. Questa configurazione ha
consentito di operare con OLR anche pari a 8 ������� mentre reattori a singola
fase operanti sullo stesso tipo di substrato non erano capaci di trattare OLR
maggiori di 3,3 ������� .
Il primo reattore si comporta quindi come un tampone, essendo capace di
sopportare significative variazioni dell’OLR in ingresso. Alcune volte può
capitare che si verifichino problemi di rallentamento nello step metanigeno,
soprattutto qualora il digestato sia carente in cellulosa. In molti altri casi
l’elemento limitante del processo è l’idrolisi.
Le applicazioni industriali maggiormente conosciute per processi a due stadi
senza ritenzione della biomassa sono due.
• Il processo BRV
Questo processo è registrato dalla tedesca Linde; prevede un trattamento di
tipo dry nei due reattori caratterizzati da flusso a piste. Al primo digestore
viene alimentato solitamente un rifiuto con TS al 35%, il quale viene mantenuto
ed idrolizzato in circa 2 giorni. Successivamente è inviato al reattore ad asse
orizzontale dove avviene la conversione a biogas; la temperatura di esercizio è
pari a 55°C e il tempo di ritenzione è di circa 25 giorni. E’ comunque prevista la
possibilità di operare anche con regime mesofilo.
L’avanzamento del materiale all’interno del reattore è ottenuto per mezzo di
agitatori meccanici posti lungo l’asse orizzontale.
A scala reale gli impianti più significativi sono quelli di Heppenheim in
Germania, con capacità di trattamento di 33.000 t/a di FORSU da raccolta
differenziata e OLR pari a 8 ������� , e quello di Lerngo, sempre in Germania, con
capacità di 38.000 t/a di organico da raccolta differenziata.
La digestione anaerobica
Pagina 164
• Il processo Schwarting-Uhde
Anche questo processo sfrutta reattori con flusso a piste in serie operanti in
regime termofilo, in cui il rifiuto separato alla fonte viene triturato e diluito fino
ad avere tenore di solidi totali TS pari al 12%, ricadendo comunque nel campo
di digestione ad umido.
La sospensione liquida risale dal fondo dei due reattori, passando attraverso
dei setti perforati, grazie all’azione pulsante di apposite pompe temporizzate
poste alla base del digestore. Queste pulsazioni indotte favoriscono sia la
pulizia dei setti attraversati dalla miscela, sia la fuoriuscita del biogas dal
secondo reattore.
Figura 2.26 – Processo Schwarting-Uhde
Gli impianti che operano con tale tecnologia possono operare con OLR
compresi tra 3,8-6 ������� con un massimo pari a 7,7
������� .
Complessivamente il tempo di ritenzione è di circa 11-18 giorni; la produzione
specifica di biogas è collocabile nell’intervallo 0,83-0,88 ������.
2.10.2.2 Sistemi con ritenzione della biomassa
Per poter accrescere il rendimento del processo e la resistenza a
repentine variazioni del carico organico e di sostanze tossiche o inibenti sono
state sviluppate soluzioni che prevedono dei sistemi appositi per la ritenzione
della biomassa.
La digestione anaerobica
Pagina 165
Un metodo classico per ottenere ritenzione è il disaccoppiamento del tempo di
ritenzione idraulica (HRT) dal tempo di ritenzione dei solidi (SRT) attraverso
accrescimento della biomassa nel reattore metanigeno; ottenuto, quest’ultimo,
grazie al ricircolo dell’effluente del digestore, opportunamente miscelato con
rifiuto fresco. La separazione dei due tempi può essere effettuata anche
mediante un decantatore interno al secondo stadio, oppure attraverso una
membrana per la separazione dell’effluente liquido dalla biomassa che viene
ricircolata nel reattore.
Altro metodo utilizzato consiste nell’approntamento di appositi supporti per
facilitare la crescita e la colonizzazione delle biomasse. Una parte del secondo
digestore viene riempita di particolari supporti ad alta superficie specifica, i
quali favoriscono l’accrescimento della densità della biomassa e dei tempi di
residenza cellulare.
Chiaramente questa tipologia di impianto deve essere alimentata con substrati
il più possibile liberi da materiale sospeso, che tenderebbe a ricoprire le colonie
ostacolandone il contatto con i substrati solubili. Risulta quindi indispensabile
un affinamento dell’effluente del primo stadio, così da ripulire la soluzione dai
solidi non utili al processo.
Sul mercato sono presenti due tipologie di brevetti operanti con tecnologie a
ritenzione della biomassa:
• il processo BTA
• il processo Biopercolat
In questo tipo di sistemi, grazie all’elevata densità delle colonie metanigene nel
secondo reattore, si osserva una resistenza notevole alla presenza di sostanze
inibenti. Se dovessimo operare su rifiuti agro industriali ad esempio, laddove un
sistema monostadio lavorerebbe con OLR massimo a 8 �������e massima
concentrazione di ammoniaca tollerabile pari a 5 g/l, i sistemi a due fasi con
ritenzione potrebbero applicare OLR fino a 10-15 ������� sul reattore metanigeno.
E’ tuttavia necessario sottolineare come, a causa del fatto che il materiale da
digerire deve subire innumerevoli pre-trattamenti, si verifica una riduzione del
particolato biodegradabile da inviare al secondo stadio, la quale comporta una
produzione di biogas inferiore anche del 20% rispetto alle previsioni degli altri
processi.
La digestione anaerobica
Pagina 166
• Il processo BTA
Il sistema BTA opera attraverso due reattori in regime umido. E’ prevista una
prima sezione di pre-trattamento al fine di separare la sostanza organica
digeribile da quella non degradabile biologicamente; i rifiuti sono alimentati nel
BTA Waste Pulper dove vengono miscelati con acqua.
All'uscita si ottiene una sospensione organica omogenea, pompabile, con un
tenore di solidi compreso nell’intervallo 2-10%, facilmente trattabile e
digeribile.
I materiali inquinanti come plastica, tessili, pietre, ossa e metalli sono
efficacemente eliminati tramite uno scarico posto sul fondo del pulper e
tramite un rastrello che pesca la frazione leggera galleggiante sulla superficie
della sospensione.
Per liberare la sospensione così ottenuta anche dagli inerti fini la si invia al BTA
Grit Removal System: in esso un particolare ciclone permette di eliminare le
sabbie, che altrimenti provocherebbero usure eccessive e intasamenti nei
macchinari a valle della sezione di pre-trattamento. Nella suddetta sezione è
necessario l'utilizzo di acqua, sia essa fresca o di processo.
Figura 2.27 – Processo BTA
La digestione anaerobica
Pagina 167
L’effluente viene mandato alla sezione di pastorizzazione, dalla quale saranno
separate due fasi: una solida da inviare al reattore di idrolisi, l’altra liquida da
inviare direttamente al metanizzatore.
L’effluente liquido in uscita dall’idrolizzatore viene poi mandato al digestore
mesofilo, mentre il flusso solido in uscita si invia a vari circuiti di ricircolo. La
parte organica solida residua alla fine della digestione generalmente viene
ulteriormente stabilizzata attraverso trattamenti di compostaggio.
Per soddisfare le molteplici richieste del mercato la tecnologia BTA si è
sviluppata in differenti soluzioni impiantistiche, contraddistinte da particolari
accorgimenti nelle fasi biologiche.
Per impianti piccoli si utilizza normalmente un processo monofasico, che
combina il pre-trattamento a umido con un processo di digestione anaerobica,
mesofila o termofila, condotto in un reattore completamente miscelato (CSTR).
All'uscita della sezione di ciclonatura la sospensione viene alimentata
direttamente nel digestore senza alcun passaggio intermedio.
Per impianti di potenzialità superiore alle 100.000 t/a, si utilizza in genere un
processo multifasico: la sospensione viene centrifugata per separare la frazione
liquida da quella solida. La prima, contenente sostanza organica disciolta, viene
alimentata direttamente nel metanizzatore, dove rimane 2 giorni; la fase
solida, contenente sostanza organica non disciolta, viene miscelata con l'acqua
di processo e alimentata al reattore di idrolisi. Dopo 4 giorni la sospensione
viene nuovamente centrifugata e la frazione liquida viene inviata al
metanizzatore. La separazione delle diverse fasi biologiche di acidificazione,
idrolisi e metanizzazione su reattori diversi permette di operare in condizioni di
crescita ottimali per i diversi microrganismi; il risultato è un processo più rapido
ed efficace, con conseguente maggiore resa in termini di biogas prodotto.
Ulteriore possibilità è il processo bifasico, utilizzabile per impianti di media
potenzialità. Il concetto è lo stesso del processo multifasico, ma non c'è fase di
separazione solido/liquido. La sospensione viene alimentata a un reattore di
idrolisi completamente miscelato cui è collegato, in serie, un altro reattore
completamente miscelato. Per assicurare condizioni di idrolisi ottimali parte del
contenuto del digestore viene ricircolato nell'idrolizzatore e l'acqua in eccesso
viene mandata a una sezione per il trattamento apposito. Viene di seguito
riportato uno schema descrittivo del processo BTA bifasico.
La digestione anaerobica
Pagina 168
Figura 2.28 – Processo BTA bifasico
Dal punto di vista costruttivo il sistema è caratterizzato da una notevole
complessità impiantistica, inevitabilmente quindi la sua realizzazione richiede
forti investimenti, proporzionali al numero delle fasi richieste.
Analizzando i rendimenti del processo, generalmente si verificano conversioni a
biogas del 55-65% della sostanza volatile trattata, con contenuto di metano
abbastanza elevato e pari a circa il 60-65% del biogas prodotto. La produzione
specifica di biogas si attesta attorno allo 0,5-0,55������� negli impianti a due fasi.
La Germania è il paese europeo in cui questa tecnologia si è diffusa
maggiormente.
Tra quelli che operano su frazione organica da raccolta differenziata il più
grande attualmente operativo è quello di Newmarket in Canada: ha
potenzialità annua pari a 150.000 t/a, con trattamento combinato di frazione
organica da rifiuti urbani, rifiuti organici agricoli e fanghi. Attualmente in Italia è
operativo un impianto con tecnologia BTA per il trattamento di circa 54.000 t/a
di frazione organica e fanghi a Villacidro, presso Cagliari.
• Il processo Biopercolast
Il processo Biopercolast prevede un primo stadio operante in regime dry; al
fine di accelerare il processo di idrolisi si può provvedere al ricoprimento del
rifiuto con percolato ricircolato con acqua di processo. La miscela risultante
presenta concentrazioni di circa 100 gCOD/l e costituisce l’alimentazione del
La digestione anaerobica
Pagina 169
digestore anaerobico con flusso a piste dotato di materiale per il supporto delle
colonie batteriche. L’HRT complessivo è di 7 giorni.
La produzione di biogas, a causa della parziale degradazione della sostanza
volatile durante l’idrolisi, è leggermente inferiore rispetto agli altri processi di
digestione e tipicamente si attesta attorno agli 85 m3/t di rifiuto trattato.
2.10.3 I processi batch
Nei processi batch il reattore di digestione viene riempito con materiale
organico ad elevato tenore di sostanze solide (30-40% in TS), in presenza o
meno di inoculo, e viene quindi lasciato fermentare ad elevate temperature.
Il percolato che si produce durante il processo degradativo, viene
continuamente ricircolato.
Attualmente i processi batch non sono diffusi sul mercato, ma, data la loro
economicità e semplicità, potrebbero in futuro trovare applicazione.
Uno dei problemi che affliggono maggiormente questi reattori è la possibilità di
intasamenti al fondo, laddove sono presenti i fori per il ricircolo del percolato.
Dal punto di vista biologico il processo risulta affidabile, sebbene si riesca ad
operare con carichi organici piuttosto bassi, compresi tra i 3-5������� ; mentre in
genere la produzione di biogas è circa di 70 m3/t di rifiuto.
L’applicazione industriale maggiormente conosciuta è rappresentata dal
brevetto olandese Biocell che prevede il ricircolo del percolato in testa al
reattore.
Su scala reale opera un impianto di digestione anaerobica a processo
discontinuo e mesofilo a Lelystad, in Olanda, da 50.000 t/a di rifiuti organici
provenienti da raccolta differenziata.
Operando con carico organico di 3,6 ������� si possono raggiungere produzioni di
biogas di 70 m3/t di rifiuto, valore questo inferiore del 40% rispetto ai processi
di tipo continuo.
2.11 I post trattamenti
Con il termine post-trattamenti si intendono le operazioni destinate a
modificare le caratteristiche del prodotto, in uscita dall’unità di digestione
anaerobica, in funzione degli utilizzi finali.
La digestione anaerobica
Pagina 170
2.11.1 Depurazione del biogas
Nel biogas, in uscita dal digestore, sono presenti piccole quantità di
alcuni composti che, a causa delle loro proprietà ossidanti o di incombustibilità,
devono essere eliminati per favorire un buon processo di combustione. Prima
dell’utilizzo a fini energetici il biogas deve essere, quindi, sottoposto ad
opportuni trattamenti di depurazione.
Ad esempio la presenza di anidride carbonica, azoto ed acqua provoca
l’abbassamento del potere calorifico della miscela, mentre sostanze come
l’idrogeno solforato ed i componenti organici alogenati, che possono essere
presenti nel biogas, si comportano da agenti corrosivi, causando sensibili danni
agli impianti di utilizzazione.
In virtù di tale carattere corrosivo da parte dell’idrogeno solforato e dei
componenti organici alogenati, tutte le tubazioni e le apparecchiature devono
essere realizzate con opportuni materiali.
La scelta del trattamento o dei trattamenti più opportuni dipende, sia dalle
caratteristiche del biogas, che dalle modalità di utilizzo previste.
Di seguito sono descritti i principali trattamenti a cui è necessario sottoporre il
biogas prima dell’alimentazione ai gruppi di produzione di energia. Tali
trattamenti sono finalizzati ad ottenere un sensibile abbassamento dei costi di
conduzione e manutenzione delle macchine, un funzionamento ottimale ed
una maggiore affidabilità, oltre alla garanzia del rispetto dei limiti di emissione
imposti dalla legge.
Filtrazione
All’uscita dal digestore deve essere prevista un filtrazione (<10 μm) per
eliminare le particelle liquide o solide che potrebbero essere trascinante dal
biogas. Questo semplice sistema permette di proteggere le soffianti o i
compressori che verranno utilizzati per l’alimentazione del gas ai successivi
utilizzi.
Deumidificazione
La temperatura del biogas in uscita dal digestore è di almeno 35°C con
un grado di umidità elevato che porta il vapore acqueo presente a condensare;
per cui si predispongono lungo le tubazioni pozzetti di raccolta e spurgo delle
condense.
La digestione anaerobica
Pagina 171
Tuttavia, per evitare la formazione di condense in camera di
combustione occorre eliminare in modo drastico l’umidità, utilizzando ad
esempio un impianto di condensazione composto da un frigorifero ad
espansione diretta, uno scambiatore a fascio tubiero acqua/biogas ed un filtro
a coalescenza ove viene condensato il vapore che viene poi estratto mediante
scarico automatico o manuale.
Desolforazione
Quando i livelli di idrogeno solforato sono elevati è necessario
prevedere dei sistemi di abbattimento integrativi, ad umido o a secco, della
sola deumidificazione.
Per quanto riguarda i sistemi ad umido, questi possono essere assimilati alle
torri di lavaggio (scrubber) normalmente utilizzate per la depurazione delle
emissioni gassose. Tali sistemi devono essere installati prima della sezione di
deumidificazione.
Un primo sistema utilizza una reazione chimica, generalmente, in condizioni di
pressione e temperatura ambiente.Il trattamento consiste nel lavaggio con una
soluzione basica, che neutralizza l’H2SO4, composto altamente corrosivo e
quindi pericoloso per gli impianti di utilizzazione, formato dall’H2S. Una
successiva fase di lavaggio acido permette di neutralizzare l’eccesso di base
prima dello scarico della soluzione.
Il principale vantaggio di questo sistema è la semplicità, ma il costo dei reattori
e del trattamento dell’acqua scaricata ne riduce l’impiego industriale.
Un altro sistema, poco diffuso, consiste nel lavaggio con acqua sotto
pressione che mette in soluzione l’H2S insieme con la CO2; tale miscela viene
poi rilasciata in una successiva fase di stripping.
Il sistema di desolforazione a secco prevede un processo di trattamento
di tipo chimico e consiste nel far passare il biogas attraverso una soluzione
adsorbente.
Una prima opzione consiste in un sistema che utilizza un adsorbente
contenente ossidi di ferro in grado di interagire con l’acido solfidrico e captarlo
in modo da separarlo dal biogas.
Un'altra opzione prevede l’utilizzo del carbone attivo.
Il volume della massa desolforante dipende dai seguenti parametri:
• concentrazione dell’H2S nei gas da trattare;
La digestione anaerobica
Pagina 172
• pressione e temperatura (normalmente condizioni ambiente);
• velocità di attraversamento del gas nella massa adsorbente;
• tempo di contatto massa-gas;
• ciclo di sostituzione dell’adsorbente.
I due sistemi si differenziano in quanto la rigenerazione dell’ossido di ferro è
più facile rispetto a quella del carbone attivo. Infatti, l’ossido di ferro si riforma
dalla reazione con l’aria e con l’acqua in cui si libera lo zolfo solido che viene
trascinato via. Una semplice filtrazione permette la sua eliminazione.La
sostituzione della massa di ossido di ferro si deve effettuare solo dopo molti
cicli di rigenerazione.
Nel caso del carbone attivo, invece, la rigenerazione richiede l’utilizzo di
solventi e, anche se viene condotta a regola d’arte, il carbone rigenerato perde
parte della sua efficacia rispetto a quello di partenza, pertanto il costo della
rigenerazione e la sostituzione frequente del carbone attivo rendono questa
soluzione applicabile solo nei casi in cui si ha una concentrazione molto ridotta
in H2S.
Un terzo sistema consiste nell’utilizzo di un biofiltro nel quale risiedono
numerose specie di microrganismi in grado di degradare i composti solforati, in
questo caso, la depurazione del gas dipende principalmente da porosità,
temperatura, pH, umidità e dalla concentrazione di H2S nella fase gassosa.
Nonostante i costi di gestione siano contenuti, questo sistema non è ancora
molto utilizzato a livello industriale.
Processi di rimozione o riduzione della CO2
In alcun casi può essere utile effettuare anche dei trattamenti per la rimozione
o riduzione del contenuto di CO2, finalizzati ad aumentare il tenore di metano
nel biogas.I processi più utilizzati, che devono essere eseguiti solo dopo la
rimozione dell’ H2S sono:
• assorbimento della CO2 in acqua con successivo strippaggio ed
emissione in atmosfera (il più semplice e meno costoso a parte il costo
di compressione);
• impiego di membrane semipermeabili, in grado di lasciare passare la
CO2 e di trattenere il CH4.
La digestione anaerobica
Pagina 173
2.11.2 Disidratazione dei fanghi
Durante la fase di digestione anaerobica la materia secca volatile si
trasforma in biogas e quindi fuoriesce dal digestore, mentre nella massa
rimane un fango, più liquido che all’ingresso, con valori di sostanza secca
dell’ordine del 20-25% per i processi a secco e del 5-10% per i processi liquidi,
costituito dalla materia non digerita e dalla maggior parte dell’acqua.
Tale fango deve essere sottoposto ad un trattamento di disidratazione, al fine
di ottenere un prodotto più concentrato (circa 45% di materia secca), avente
caratteristiche fisiche compatibili con la successiva fase di stabilizzazione
aerobica.
A seconda della qualità dei rifiuti trattati, del tipo di processo (secco,
semisecco, umido) e del destino della materia stabilizzata, il sistema di
disidratazione dei fanghi digeriti può essere realizzato mediante pressa a vite,
centrifuga o nastro pressa, oppure mediante una opportuna combinazione di
queste apparecchiature.
La scelta deve essere fatta in funzione della granulometria delle particelle dure,
del tenore in materia secca del materiale da inviare alla stabilizzazione aerobica
e del tenore in materia secca dell’acqua di processo in relazione con il suo
destino.
Pressa a vite
E’ generalmente utilizzata per la disidratazione di fanghi provenienti da
processi di digestione anaerobica a secco; è l’unica macchina in grado di
disidratare un fango derivante dal trattamento dei rifiuti urbani con particelle
solide aventi dimensioni superiori ai 20-30 mm.
Centrifuga
Questa macchina, utilizzata nel trattamento dei fanghi e nel
trattamento dei rifiuti (più comunemente utilizzata nel primo caso), può essere
utilizzata direttamente per la disidratazione del materiale in uscita dal
digestore, sia come trattamento complementare del liquido proveniente da
una pressa a vite.
Nastro-pressa
Questo filtro, diffuso nel trattamento dei rifiuti urbani e nel trattamento
dei fanghi, può essere utilizzato sia direttamente per la disidratazione del
materiale in uscita da un digestore funzionante con un processo di tipo umido,
La digestione anaerobica
Pagina 174
sia per il trattamento complementare del liquido dopo una pressa a vite o dopo
una centrifuga, al fine di ottenere un refluo con caratteristiche migliori.
2.11.3 Stabilizzazione aerobica e raffinazione del
fango digerito
Il fango digerito prodotto dalla fase di metanizzazione risulta in genere
non completamente stabilizzato, a causa del ridotto tempo di residenza dei
rifiuti all’interno del reattore.
A tale scopo deve essere prevista una successiva fase di stabilizzazione
aerobica, finalizzata al completamento della degradazione della materia
organica, più difficilmente degradabile ed all’ottenimentodell’igienizzazione del
materiale.
Il grado di maturazione richiesto dipende dall’utilizzo finale del prodotto
stabilizzato.
Generalmente il fango digerito viene sottoposto ad un trattamento di
stabilizzazione che si sviluppa in due fasi:
� biossidazione accelerata;
� post-maturazione.
Poiché il materiale organico ha già subito una parziale degradazione, i tempi di
permanenza nel reparto di stabilizzazione aerobica potranno essere contenuti
entro i 30-45 giorni.
A seconda del destino finale del materiale stabilizzato può essere richiesta una
raffinazione del materiale, da realizzare dopo la fase di biossidazione accelerata
o, in alternativa, dopo post-maturazione.
2.12 Utilizzo del biogas
Una volta estratto dal digestore il biogas prodotto viene raccolto,
essiccato, purificato da sostanze non desiderate, compresso ed immagazzinato
per poi essere utilizzato come combustibile in uno svariato numero di
applicazioni.
Essendo la produzione di biogas continua, tutti i sistemi di raccolta ed utilizzo
devono essere automatici.
La digestione anaerobica
Pagina 175
La produzione di biogas avviene alla pressione del digestore,
generalmente vicina alla pressione atmosferica. Dal momento che lo stoccaggio
ed il trasporto richiedono una compressione importante e quindi costi non
trascurabili, si cerca in genere di utilizzarlo per la produzione di una forma di
energia direttamente utilizzabile sul sito di produzione.
Parte del biogas prodotto viene quindi utilizzato per gli autoconsumi
dell’impianto, mentre la restante parte può essere utilizzata per la produzione
di energia da cedere alla rete elettrica.
In particolare, per quanto riguarda gli usi interni, una parte del biogas
prodotto può essere utilizzata per il riscaldamento dei digestori, in modo tale
da mantenere in temperatura il digestore e consentire quindi un corretto
svolgimento del processo e per coprire interamente e/o parzialmente il
fabbisogno di energia elettrica dell’impianto (cogenerazione di calore ed
elettricità).
L’utilizzo del biogas per il riscaldamento è, ovviamente, variabile in funzione
della stagione.
La trasformazione del biogas in energia utile può avvenire in diversi modi:
• Combustione in cogeneratori per la produzione di energia elettrica e di
energia termica;
• Combustione in caldaia, per la produzione di sola energia termica;
• Utilizzo come carburante per autotrazione.
La produzione esclusiva di energia elettrica mediante gruppi elettrogeni,
senza il recupero del calore, è una soluzione diffusa soprattutto negli impianti
di biogas da discarica. Ma a parte questo caso specifico, si preferisce
normalmente la produzione cogenerativa di elettricità e calore. Il processo di
digestione, infatti, necessita di un apporto costante di calore, che può essere
ricavato dalla cogenerazione del biogas stesso, anzichè prodotto da un'altra
fonte di energia esterna all'impianto.
Cogenerazione per la produzione contemporanea di energia elettrica e calore
La combustione del biogas in un motore cogenerativo, per la
produzione combinata di elettricità e calore, rappresenta, come appena
esposto, la soluzione ideale.
La digestione anaerobica
Pagina 176
Tale sistema di produzione di energia permette un notevole risparmio
energetico rispetto al caso di produzione separata delle stesse quantità di
calore e di energia elettrica.
Si utilizzano due differenti tipologie di macchine:
• motori endotermici alternativi;
• microturbine.
Per la cogenerazione conmotori endotermici alternativi si usano motori
funzionanti a ciclo otto, costituiti dai seguenti componenti:
� motore endotermico alternativo, che oltre a produrre l’energia
meccanica è anche il componente dove viene prodotta l’energia
termica;
� alternatore, solitamente asincrono per la produzione di corrente
elettrica alternata trifase;
� recuperatore di calore, composto da uno scambiatore di calore che
recupera il calore prodotto da tutto il sistema, sia dai gas di scarico sia
dal circuito di raffreddamento del motore e dall’olio di lubrificazione;
� sistema di parallelo con la rete, che permette l’utilizzo dell’energia
elettrica prodotta e l’interfacciamento con la linea elettrica nazionale.
Per la cogenerazione conmicroturbine si utilizzano turbomacchine a gas
innovative di derivazione aereonautica di piccole dimensioni, con i seguenti
componenti principali:
� turbina a gas e recuperatore;
� sistema elettrico generatore di corrente;
� scambiatore di calore sui fumi di scarico;
� sistema di gestione e controllo.
I cogeneratori possono funzionare secondo le seguenti modalità:
� in parallelo alla rete elettrica: viene ceduta alla rete aziendale in
collegamento alla rete esterna tutta l’energia prodotta dal motore che
funziona a regime costante al massimo della potenza. L’energia
magnetizzante è totalmente assorbita dalla rete, non esistono problemi
su eventuali carichi di punta ed i controlli sull’energia elettrica prodotta
sono relativi solamente alla tensione ed alla frequenza che devono
essere mantenute costanti. Un inconveniente di tale sistema si verifica
La digestione anaerobica
Pagina 177
in caso di mancanza di corrente elettrica nella rete elettrica, in quanto
si spegne anche il cogeneratore
� in isola indipendentedalla linea elettrica, tipico in luoghi in cui non vi è
la rete elettrica, oppure nel caso in cui vengono individuate utenze
separabili dalla rete aziendale, ad esempio impianti di depurazione. È
necessario avere un generatore autoeccitato con motorino di
avviamento collegato a delle batterie. Tale soluzione ha il vantaggio di
garantire la corrente elettrica in caso di mancanza di tensione nelle rete
pubblica, ma presenta due inconvenienti ovvero la necessità di
sovradimensionare il cogeneratore in quanto deve vincere gli spunti di
avviamento delle varie utenze e la necessità di predisporre dei gruppi di
continuità nel caso di presenza di circuiti elettronici o di
apparecchiature che non possono essere spente in quanto
all’avviamento viene a mancare la corrente per alcuni istanti.
� in stand-by:nel caso di funzionamento normale il cogeneratore è
collegato in parallelo alla rete elettrica, in caso di mancanza di tensione
il cogeneratore non si spegne ma continua a girare garantendo la
corrente elettrica su linee privilegiate, sganciandosi automaticamente
dalla rete, ma fornendo l’energia a seconda della richiesta dell’utenza;
al momento della riattivazione della rete il sistema torna a connettersi
tornando al funzionamento in parallelo.
Si sono appena visti i motivi per cui la scelta della cogenerazione sia quella che
permetta di ottenere i maggiori vantaggi; si vedranno ora in base a quali
considerazioni, viene fatta, invece, la scelta del sistema di cogenerazione
ottimale.
Le turbine a gas, per quanto riguarda i loro rendimenti elettrici, inferiori nella
media di circa 10 punti percentuali rispetto ai motori alternativi, non sembrano
costituire la soluzione ottimale. Inoltre il loro utilizzo è stato fino ad oggi
limitato dal fatto che non esistono sul mercato turbine di piccola capacità, in
grado di accettare ampie variazioni di quantità e qualità del combustibile.
La soluzione più conveniente consiste nella scelta di motori alternativi a ciclo
Otto. Le taglie dei cogeneratori, misurate in kW elettrici di potenza, dipendono
La digestione anaerobica
Pagina 178
ovviamente dalle dimensioni dell'impianto di digestione e dalla quantità di
biomassa trattata. La maggior parte dei cogeneratori a biogas presenti in Italia
possiede potenze elettriche inferiori a 1 megawatt (1.000 kW); di questi, circa
la metà non supera i 100 kW.
Con un m3 di biogas è possibile, tramite cogenerazione, produrre,
generalmente, circa 1.8-2kWh di energia elettrica e circa 2-3kWh di energia
termica.
Combustione per la sola produzione di calore
È sufficiente un comune generatore di calore a gas costituito da un
bruciatore, nel quale affluiscono combustibile e comburente ed esce energia
termica sotto forma di fiamma, e dallo scambiatore di calore, nel quale i
prodotti della combustione cedono il calore prodotto ad un fluido
termovettore.
Il biogas viene trattato come il gas metano, mentre vengono realizzate
modifiche al bruciatore per l’introduzione del gas, la miscelazione del
combustibile con il comburente e l’utilizzo di materiali più resistenti alla
corrosione per lo scambiatore di calore e il bruciatore stesso.
In Italia, soltanto pochi impianti di biogas producono esclusivamente calore
attraverso la combustione in caldaia. Infatti, fare a meno della produzione
elettrica significa rinunciare all'importante beneficio economico che deriva
dalla cessione in rete dell'elettricità prodotta, allungando così i tempi di ritorno
dell'investimento.
Produzione di biometano per autotrazione
Il biogas, come visto nel paragrafo riguardante i post-trattamenti, può
essere sottoposto ad un apposito processo di purificazione dalla CO2 e dal
vapore acqueo, in modo da aumentare la percentuale di metano presente dal
50-80% fino al 95-98%.
In questo caso non si parla più di biogas ma di "biometano": un gas dalle
caratteristiche analoghe a quelle del comune gas naturale e quindi adatto sia
per essere utilizzato come combustibile nei normali veicoli a metano che per
l'immissione nella rete di distribuzione del gas.
La digestione anaerobica
Pagina 179
L'utilizzo di biometano nei motori dei veicoli, come carburante
alternativo al petrolio, rappresenta un'interessante ipotesi sul medio-lungo
termine, ma che in Italia purtroppo non trova ancora alcuna applicazione
pratica. Molti paesi europei, in particolare Svizzera, Svezia e Germania, stanno
investendo molte risorse nel biometano per autotrazione.
Anche l'immissione di biometano nelle reti urbane del gas, al posto del
metano "tradizionale", rappresenta una grande sfida energetica. In Germania
sono già diversi i casi in cui è stata dimostrata la fattibilità tecnica di reti di
biometano al servizio di piccoli centri abitati.
2.13 Sistemi di accumulo del biogas
Per rendere compatibili le cinetiche di produzione di biogas con quelle
di utilizzo è necessario installare un sistema di accumulo.
Il volume e la pressione devono essere determinati in funzione di una
valutazione costi-benefici, cercando una soluzione di compromesso tra il costo
d’investimento e di gestione, principalmente dovuto alla compressione del
biogas, ed il beneficio derivante dalla vendita dell’energia prodotta.
Per non arrivare a volumi e a costi troppo sostenuti, lo stoccaggio deve essere
limitato alla quantità necessaria per ammortizzare le punte di produzione (per
esempio volume uguale ad un’ora di produzione), e deve essere realizzato a
bassa pressione.
Tutte le tubazioni ed i serbatoi di stoccaggio del biogas devono essere realizzati
a perfetta tenuta, in modo da evitare possibili infiltrazioni d’aria.
2.14 Torcia di sicurezza
In tutti gli impianti con produzione di biogas è necessario prevedere la
presenza di una torcia di emergenza che garantisca la combustione del biogas
prodotto.
La digestione anaerobica
Pagina 180
Il dimensionamento della torcia deve essere fatto in modo tale da consentire
non solo la combustione della portata normale del biogas, ma anche dei
quantitativi provenienti dall’eventuale svuotamento rapido di tutti gli
stoccaggi.
La torcia di sicurezza deve consentire la combustione del biogas in condizioni di
emergenza assicurando:
� il mantenimento di valori di temperatura adeguati a limitare l’emissione
di inquinanti e la produzione di fuliggine;
� l’omogeneità della temperatura all’interno della camera di
combustione;
� un adeguato tempo di residenza del biogas all’interno della camera di
combustione;
� un sufficiente grado di miscelazione tra biogas ed aria di combustione;
� un valore sufficientemente elevato della concentrazione di ossigeno
libero nei fumi effluenti.
Al fine di conferire al sistema una maggiore affidabilità, la torcia di
sicurezza deve essere dotata di sistemi automatici di accensione e controllo
della fiamma.
Il tempo di funzionamento deve essere calcolato tenendo conto dei tempi di
manutenzione dei gruppi.
Pretrattamento della biomassa
Pagina 181
Pretrattamentodella3.
Biomassa
Il processo di digestione anaerobica in sé può essere accompagnato da
una fase di preparazione della biomassa che comprende una serie di azioni
note come processi di pretrattamento della biomassa.
I vari pretrattamenti hanno diverse funzioni ed obiettivi che possono
andare da quelli di facilitare la movimentazione e l’omogenizzazione della
biomassa, di separare alcune sostanze dannose o che creerebbero problemi di
gestione dell’impianto, fino a quelli di modificare la successiva digestione
incidendo su alcuni sottoprocessi per variarne la cinetica, favorire alcune
colonie batteriche, aumentare la quantità di materiale organico utilizzabile e, in
generale, migliorare l’efficienza della produzione di biogas.
In particolare è importante sottolineare che l’idrolisi del substrato è la
fase ci nematicamente limitante l’intero processo. L’idrolisi comporta sia la
solubilizzazione della sostanza particolata, sia la decomposizione biologica dei
polimeri organici a monomeri o dimeri. Le pareti cellulari presenti soprattutto
nel fango biologico rappresentano un substrato relativamente poco
degradabile e, per questo motivo, le tradizionali tecniche di digestione
biologica richiedono lunghi tempi di ritenzione, dell’ordine di 20-30 giorni, e
consentono modesti abbattimenti della frazione volatile dei solidi avviati a
digestione. La maggior parte delle tecniche di potenziamento oggetto della
presente relazione mirano a incrementare l’efficienza del processo di idrolisi e
la conversione della sostanza organica lentamente biodegradabile e particolata
in composti rapidamente biodegradabili e a basso peso molecolare,
aumentando così la quantità di biogas producibile e anche la velocità di
produzione del biogas stesso [10, 11].
Pretrattamento della biomassa
Pagina 182
La disintegrazione dei fanghi può avvenire per via meccanica, biologica,
termica, o chimica.
3.1. Pretrattamenti fisici o meccanici
Le biomasse possono dover subire numerosi trattamenti di tipo
meccanico prima di essere inviate al digestore. Si tratta per lo più di processi
piuttosto semplici ed economici ed in taluni casi si rendono assolutamente
necessari per rendere la particolare biomassa utilizzata adatta alla digestione
anaerobica.
Un tipico esempio in cui non si può prescindere dall’utilizzare operazione
di tipo meccanico è quando si intende realizzare impianti che digeriscono la
parte organica dei rifiuti solidi urbani (RSU). Hanno tuttavia necessità di questo
genere di lavorazioni anche i rifiuti organici provenienti dai mattatoi, i residui
contenenti lignina e cellulosa ed in generale i substrati e cosubstrati aventi
dimensioni caratteristiche troppo elevate e tali da rendere difficoltoso e poco
efficace il ‘lavoro’ dei batteri metanigeni che potrebbero infatti avere difficoltà
ad attaccare parte della materia organica teoricamente sfruttabile.
La scelta delle operazioni da eseguire, la loro sequenza ed il tipo di
apparecchiature da utilizzare, deve essere effettuauta in relazione a:
• natura e caratteristiche del rifiuto in ingresso all’impianto
• tipo di processo di digestione anaerobica adottato
• qualità e destino dei materiali in uscita dall’impianto
Quest’ultimo aspetto riveste un’importanza particolare, in quanto il
destino dei materiali prodotti dall’impianto influenza direttamente le scelte di
processo ovvero il grado di raffinazione richiesto.
Ciò vale in particolar modo per la frazione secca, che può essere
termovalorizzata in impianti dedicati di trattamento dei rifiuti o, in alternativa,
trasformata in un combustibile ad elevato grado di purezza, avente requisiti tali
da poter essere utilizzato in impianti industriali.
Tra le svariate tipologie di rifiuti che vengono trattate preliminarmente si
può effettuare, in funzione dell’intensità dei processi di pretrattamento ai quali
Pretrattamento della biomassa
Pagina 183
i rifiuti vengono sottoposti, una semplice classificazione in due classi; è infatti
possibile distinguere fra rifiuti con pretrattamento limitato e rifiuti che
prevedono, invece, un pretrattamento molto più spinto .
Tra le matrici più facilmente trattabili sono da evidenziare i resti del
processo alimentare, vari oli e avanzi alimentari, mentre tra i rifiuti che
prevedono un pretrattamento più esteso troviamo quelli provenienti da
raccolta indifferenziata e/o differenziata e alcuni rifiuti industriali.
Vediamo ora alcuni dei più diffusi tra i trattamenti meccanici:
Dilacerazione
Lo scopo della dilacerazione è quello di aprire i contenitori di raccolta nei
quali vengono conferiti i rifiuti e di ridurre la pezzatura del materiale più
voluminoso per permettere una selezione corretta.
Tale operazione viene effettuata attraverso apparecchiature aprisacchi, le
quali consentono di raggiungere l’obiettivo fissato senza provocare una
frantumazione spinta del rifiuto, che potrebbe compromettere i successivi
trattamenti per la commistione di materiali fini inerti triturati alla rimanente
parte del rifiuto.
Questa operazione viene di norma eseguita con mulini ad alberi lenti, a
dischi o a coltelli, oppure con mulini a coclee o con cilindri rompisacchi.
Tale operazione di pretrattamento riveste particolare importanza nel caso
la biomassa utilizzata sia costituita da rifiuto proveniente da raccolta
indifferenziata e/o da raccolta differenziata.
Separazione metalli
Tale operazione viene condotta con il duplice obiettivo di recuperare
materie prime e di proteggere da abrasione ed eccessiva usura le
apparecchiature successivamente utilizzate; la separazione dei metalli si
ottiene impiegando separatori magnetici per metalli ferrosi e separatori a
correnti indotte per metalli non ferrosi.
Pretrattamento della biomassa
Pagina 184
Figura 3.1 – Tamburo magnetico rotante per la separazione di metalli ferrosi
Separazione inerti e plastiche
Lo scopo della separazione degli inerti e delle materie plastiche è quello di
rimuovere dalla biomassa le frazioni non biodegradabili e di ridurre il rischio di
abrasione e di blocchi o intasamenti durante il processo. Tale operazione viene
effettuata attraverso l’utilizzo di varie apparecchiature, singolarmente od in
sequenza tra loro, quali vagli rotanti, vagli a dischi, vagli vibranti, separatori
densimetrici, balistici o separatori ad umido.
Figura 3.2 – Vista dell’interno di un vaglio rotante
Pretrattamento della biomassa
Pagina 185
Controllo pezzatura
Di norma è necessario sottoporre il flusso di rifiuti organici diretti al
reparto di preparazione del substrato ad una riduzione delle dimensioni allo
scopo di rendere la pezzatura compatibile con il processo e con le
apparecchiature utilizzate per la movimentazione della miscela.
Figura 3.3 – Trituratore industriale
Infatti, come anche esposto in precedenza a proposito delle condizioni
favorevoli per i microrganismi della digestione anaerobica, la granulometria del
substrato influenza direttamente le rese di processo, in quanto da essa dipende
la superficie di contatto tra i microrganismi ed il materiale da digerire. Il
controllo della pezzatura viene effettuato tramite fasi di vagliatura e
triturazione eseguite prima delle operazioni di miscelazione del substrato.
Omogeneizzazione (tramite miscelazione) e regolazione del contenuto di
umidità
I materiali organici disponibili devono inoltre essere sottoposti ai
trattamenti necessari all’ottenimento di una miscela avente le caratteristiche
chimico-fisiche ottimali per poter essere introdotta nei digestori. Tale
preparazione si rende necessaria al fine di garantire il corretto funzionamento
del processo e al fine di ottimizzare le rese di metanizzazione.
Le biomasse devono essere diluite in modo da regolare l’umidità della
miscela al valore ottimale, prima dell’invio all’unità di digestione. Tale valore
Pretrattamento della biomassa
Pagina 186
dipende dal tipo di processo utilizzato (ad umido, a secco, semi-secco) e dal
materiale da sottoporre al trattamento. L’obiettivo può essere raggiunto
tramite l’aggiunta di fanghi oppure di acqua di ricircolo proveniente dalla
sezione di disidratazione.
Oltre alla regolazione del contenuto d’acqua è anche necessario
provvedere all’omogeneizzazione della miscela prima dell’introduzione nel
digestore.
I tipi di miscelatori maggiormente utilizzati sono:
• miscelatori a coclee per processi a secco o semi-secco
• idropolpatori per processi ad umido o semi-secco
Figura 3.4 – Esempio di miscelatore a clocea
I dispositivi di agitazione o miscelazione devono essere realizzati in
materiale resistente all’azione abrasiva o corrosiva dei materiali costituenti i
rifiuti. L’unità di miscelazione deve essere facilmente accessibile ed
ispezionabile, al fine di consentire lo svolgimento delle operazioni di pulizia e di
manutenzione ordinaria e straordinaria.
Pretrattamento della biomassa
Pagina 187
3.2. Pretrattamenti Termici
Il pretrattamento termico può avvenire in un intervallo di temperature
molto variabile, generalmente tra i 60 e i 180°C. Naturalmente, all’aumentare
della temperatura aumenta anche la pressione a cui è necessario portare la
biomassa, anche in funzione del contenuto di acqua della stessa per evitarne
l’ebollizione. Il meccanismo con cui agisce il trattamento termico varia a
seconda dell’intervallo termico [12]:
• per temperature inferiori ai 100°C prevalgono i meccanismi disgregativi
del fiocco e la parziale lisi dei batteri; pertanto un’elevata
solubilizzazione della sostanza organica particolata può essere ottenuta
solo con trattamenti di lunga durata;
• per temperature più elevate, tra i 100°C e i 200°C, si ha una forte
destabilizzazione della struttura del fango e la lisi delle cellule
batteriche.
I principali effetti dell’idrolisi termica sono:
1. lisi delle cellule (mediante la fluidificazione delle membrane)
2. variazione dell’equilibrio chimico dei polimeri esocellulari (con la
trasformazione dei polimeri in frammenti più rapidamente
biodegradabili)
3. Idrolisi termica dei componenti intra o extra cellulari (con
denaturazione ed idrolisi delle proteine)
L’utilizzo del pretrattamento di idrolisi termica produce diversi effetti sul fango:
a) solubilizzazione del COD, proporzionale alla temperatura del processo,
almeno fino a 200°C
b) solubilizzazione di parte dei solidi sospesi: all’aumentare della
temperatura di idrolisi, oltre al rapporto VSS/TSS diminuisce anche il
rapporto TSS/TS
c) aumento di concentrazione di acidi grassi volatili, dovuta alla
degradazione dei lipidi (le lunghe catene di acidi grassi possono venire
ridotte) o anche alla degradazione delle proteine.
Pretrattamento della biomassa
Pagina 188
Il pretrattamento termico apporta anche delle modifiche alle caratteristiche
fisiche dei fanghi:
1. all’aumentare della temperatura, i valori di pH prima aumentano (in
seguito al de-assorbimento delle proteine e della volatilizzazione dei
composti acidi) e poi diminuiscono (in seguito alla degradazione delle
macromolecole in composti acidi)
2. fino a 150 °C, la viscosità apparente del fango (a parità di sforzo di
taglio) diminuisce con l’aumento della temperatura [13]
3. aumento nella sedimentabilità del fango: ciò è dovuto [14] alla
solubilizzazione degli EPS, generalmente molto idratati, che rilasciano
gran parte dell’acqua legata
4. la filtrabilità del fango digerito subisce variazioni in funzione della
temperatura del pretrattamento. Si rileva inoltre un peggioramento
della filtrabilità del fango digerito per temperature del pretrattamento
inferiori a 130°C (dovuta alla solubilizzazione del fango e all’aumento
delle particelle di piccole dimensioni) e un netto miglioramento della
filtrabilità (sempre dopo digestione anaerobica) per temperature
superiori ai 150°C dovuto alla modifica strutturale del fango e dal
rilascio dell’acqua;
5. Il pretrattamento termico consente anche di ridurre le schiume in modo
efficace, al contrario di altri metodi di disintegrazione dei fanghi
(disintegrazione meccanica, enzimatica e termica a 121 °C [15].
3.3.1 Effetti della temperatura
I trattamenti termici vengono divisi in due gruppi [13], in funzione del
range di temperatura a cui operano e degli effetti sulla produzione di biogas:
• i trattamenti a basse temperature (70-120 °C), che generalmente
portano ad un limitato incremento della produzione di biogas, attorno
al 20-30 %
• i trattamenti a temperature più elevate (160-180 °C), che portano ad un
aumento variabile ma comunque più consistente della produzione di
biogas, tra il 40 e il 100%.
Pretrattamento della biomassa
Pagina 189
L’energia corrispondente alla maggiore produzione di biogas
conseguibile con digestione mesofila di fanghi biologici di supero pretrattati ad
alta temperatura è generalmente superiore al dispendio energetico per il
riscaldamento, mentre la differenza tra resa e spesa energetica è minore nel
caso di pretrattamenti termici a bassa temperatura. Esiste comunque un limite
superiore di temperatura (intorno a 180-200°C), oltre il quale l’efficienza di
idrolisi termica non solo inizia a calare [16, 17] ma, anzi, comporta la
produzione di composti difficilmente degradabili dai microrganismi metanigeni.
Diversi studi a scala pilota indicano il range tra 165°C e 180°C come ottimale
per la biodegradabilità del fango e la produzione di biogas [13, 16, 18, 19].
3.3.2 Effetti della durata del pretrattamento e della tipologia
di biomassa
Di norma, il tempo di contatto è significativo per idrolisi alle basse
temperature [20], mentre lo è meno per i processi ad alta temperatura.
Generalmente, dai dati (quasi tutti riferiti a test su scala pilota) risulta che i
tempi di contatto più lunghi, dell’ordine delle ore o anche giorni, si riferiscono
ai trattamenti alle temperature più basse. Per contro, nei processi alle
temperature più alte, superiori ai 150°C, le massime solubilizzazioni si
raggiungono dopo 30-60 minuti [21] e in questi casi trattamenti troppo
prolungati portano a una riduzione della biodegradabilità [13].
La tipologia del fango digerito costituisce un elemento importante per la
determinazione dell’efficacia dell’applicazione del pretrattamento di termolisi.
A parità delle altre condizioni operative, infatti, l’utilizzo di fanghi con
composizione diversa può dare risultati anche molto variabili tra di loro. Diversi
studi hanno confermato che il maggiore incremento di produzione di biogas si
ottiene nel trattamento dei fanghi biologici di supero [20, 17, 10].
Studiando le correlazioni tra l’incremento di produzione di biogas e la
concentrazione di solidi volatili nel fango non pretrattato termicamente si
conclude che:
• l’efficacia del pretrattamento termico è tanto maggiore quanto minore
è il contenuto di SV nel fango non pretrattato;
Pretrattamento della biomassa
Pagina 190
• per i fanghi con un elevato contenuto di SV, che in ogni caso hanno alte
produzioni di biogas, l’applicazione di un pretrattamento termico
potrebbe non essere utile.
L’effetto del tipo di fango sull’aumento della produzione di biogas viene
valutato mediante un’analisi ai minimi quadrati parziali (un’estensione
multivariata del modello di regressione lineare multipla) che prende in
considerazione la correlazione tra diverse variabili: la temperatura, la
solubilizzazione di COD, ST, SV, proteine, carboidrati e la biodegradabilità del
fango non trattato (Bo). Come atteso, tutti questi fattori (ad eccezione della
biodegradabilità del fango non trattato) sono risultati tra loro correlati. Per
questo motivo la solubilizzazione del COD (SCOD) è stata mantenuta quale
parametro generale rappresentativo della degradazione della sostanza
organica. Una relazione, valida in prima approssimazione per la stima
dell’incremento della produzione di biogas, che tenga conto dei parametri
appena citati è la seguente.
Incremento della produzione di biogas = 2.156 + 1.1155 SCOD – 2.348 Bo
Per temperature inferiori ai 170°C, l’effetto dei pretrattamenti termici sulla
digestione anaerobica in batch può essere quindi stimato considerando
semplicemente il COD solubilizzato e la biodegradabilità iniziale del fango non
trattato. In particolare, l’aumento della produzione di biogas è tanto maggiore
quanto più alta è la solubilizzazione del COD e quanto più bassa è la
biodegradabilità iniziale del fango. Inoltre, quest’ultimo parametro non è
correlato alla composizione dei campioni di fango (ovvero fanghi con la stessa
concentrazione iniziale di sostanza organica presentavano biodegradabilità
iniziali diverse tra di loro).
A seguito del pretrattamento dei fanghi a temperature tra 150°C e 200°C, si è
riportato un maggiore aumento di produzione di biogas per digestioni di tipo
mesofilo rispetto a digestioni in regime termofilo, mostrando che l’impatto del
pretrattamento è più significativo nei sistemi a minor velocità di processo.
Pretrattamento della biomassa
Pagina 191
Figura 3.5 – Confronto tra gli incrementi produttivi di biogas per pretrattamenti termici a
bassa e alta temperatura
Nella precedente figura sono riportati i risultati ottenuti da alcuni studi
in cui viene valutato l’effetto del pretrattamento termico sul potenziamento
della produzione di biogas.In generale, negli studi effettuati da diversi autori il
pretrattamento di tipo termico o termochimico consente di ottenere un
incremento maggiore della produzione di biogas rispetto ai pretrattamenti di
tipo meccanico o ossidativi.
Inoltre anche se le rese del pretrattamento termochimico sembrano
essere maggiori o confrontabili rispetto a quelle ottenute dall’idrolisi termica, il
trattamento termico a temperature elevate è stato valutato vantaggioso
rispetto al trattamento termochimico in quanto l’uso di sostanze chimiche
implica un costo aggiuntivo sul trattamento e determina la presenza di
sostanze non biodegradabili nei fanghi [21].
Nella seguente tabella si può osservare una forte eterogeneità dei
miglioramenti osservati nella produzione di biogas (o metano). È ormai noto,
infatti, che il processo di idrolisi termica dipende da diversi fattori oltre alla
temperatura di processo, quali il tempo di contatto, la composizione del fango
e la tipologia di digestione anaerobica (mesofila o termofila) che segue il
pretrattamento.
Pretrattamento della biomassa
Pagina 192
Tabella 3.1 – Incrementi della produzione di biogas per diversi pretrattementi termici
• disinfezione di superfici destinate al contatto con gli alimenti;
• disinfezione dell'aria da spore di muffe e lieviti;
• disinfezione di frutta e verdura da spore di muffe e lieviti;
• ossidazione di inquinanti chimici dell'acqua (ferro, arsenico, acido
solfidrico, nitriti e complessi organici);
• ausilio alla flocculazione di fanghi attivi nella depurazione delle acque;
• pulizia e sbiancamento dei tessuti;
• abrasione superficiale di materie plastiche e altri materiali per
consentire l'adesione di altre sostanze o per aumentarne la
biocompatibilità;
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 213
• invecchiamento accelerato di gomme e materie plastiche per
verificarne la resistenza nel tempo.
I principali vantaggi che derivano dall’uso di questo gas sono dovuti a:
• forte potere ossidante;
• mancata produzione di fanghi o concentrati;
• capacità di degradare inquinanti;
• assenza di inquinamenti secondari;
• capacità di migliorare le caratteristiche generali delle acque,
aumentandone la biodegradabilità;
• annullamento della salinità dell’acqua trattata;
• possibilità di ottenere anche un refluo disinfettato (nei trattamenti che
hanno come obiettivo l’ossidazione di sostanze organiche);
• capacità di evitare fenomeni corrosivi e fermentativi grazie alla forte
azione disinfettante e ossigenante;
• flessibilità di dosaggio e semplicità impiantistica, che minimizzano i costi
di gestione e il controllo operativo.
Le prospettive future dell’impiego dell’ozono sono legate
principalmente al suo utilizzo nei processi di ossidazione avanzata (AOP) e
come inibitore della crescita dei fanghi biologici negli impianti di trattamento
dei reflui con sistema a fanghi attivati. Negli ultimi 20 anni sono stati fatti
numerosi progressi nell’ambito della depurazione delle acque reflue e, in
particolare, nella gestione dei fanghi biologici. Tuttavia, i costi attuali per il
trattamento dei fanghi rappresentano ancora una voce economica
particolarmente rilevante nell’ambito della gestione delle acque reflue,
raggiungendo in taluni casi il 50%, e talvolta anche il 60%, dei costi totali di
trattamento delle stesse.
Relativamente allo smaltimento finale dei fanghi, le soluzioni
attualmente praticate (confinamento in discarica controllata, incenerimento in
impianti di termodistruzione per rifiuti o cementifici e l’impiego in agricoltura),
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 214
devono rispettare limiti restrittivi imposti dalla normativa vigente in materia,
che comporta costi elevati. Pertanto, la gestione dei fanghi di depurazione può
essere considerata a ragione un problema tutt’altro che risolto. Un utile
contributo alla risoluzione di tale problema è dato sicuramente dallo studio di
tecnologie di trattamento alternative che risultino più efficienti e meno
costose, ma al contempo anche dall’applicazione di quelle strategie che
consentano la riduzione della produzione di fango e in particolare di quello
biologico, alcune delle quali già utilizzate con successo in applicazioni
impiantistiche reali. Tali strategie possono essere raggruppate in due classi
principali: quelle che operano per disintegrazione e quelle finalizzate alla
diminuzione del rendimento di crescita batterico.
Nell’ambito della prima classe, diverse esperienze sono state
effettuate, principalmente in scala pilota o di laboratorio, sull’impiego
dell’ozono per la parziale ossidazione del fango biologico prelevato dalla
corrente di ricircolo dal sedimentatore secondario o direttamente dalla vasca di
ossidazione della linea acque o anche della linea fanghi. L’applicazione di tale
tecnologia ha consentito di ridurre la produzione di fango biologico in
percentuali significative (dal 30 al 70% in media), variabili in relazione alla
condizioni operative dell’impianto ed al dosaggio di ozono. Al contempo, sono
stati riscontrati apprezzabili miglioramenti nelle caratteristiche di
sedimentabilità del fango, con particolare riferimento alla riduzione del
problema del bulking filamentoso e delle schiume biologiche.
L’effetto dell’ozono sulla biomassa è, in primo luogo, uno stress chimico
a livello cellulare che porta alla lisi dei batteri più deboli o già parzialmente
danneggiati a formare substrato organico per gli organismi più forti o di classe
superiore. Inoltre, i batteri danneggiati hanno la necessità di rigenerare le
proprie strutture cellulari funzionali (per esempio RNA e DNA); l’energia
necessaria per tale ricostruzione è attinta dall'ossidazione delle materie
organiche con conseguente diminuzione di quella disponibile per la
duplicazione. Tale stress chimico si esplica più intensamente nei riguardi di
alcune popolazioni batteriche a struttura maggiormente ramificata
(filamentosi). Questo genera una conseguente riduzione dei fenomeni di
bulking e un miglioramento della qualità dei fanghi residui. La selezione di
colonie batteriche a struttura più compatta (fiocco), migliora lo SVI (Sludge
Volume Index), quindi la sedimentabilità e la disidratabilità dei fanghi residui
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 215
prodotti. Una parte dei fanghi di supero o di ricircolo viene sottoposta ad un
breve ma intenso trattamento ad ozono. L’alto potenziale ossidativo dell’ozono
porta alla rottura del materiale cellulare, che viene quindi metabolizzato dalla
popolazione batterica più forte.
Nel complesso, l’attività depurativa biologica non viene intaccata da
questo processo, poiché esso ha il preciso scopo di rimuovere la frazione più
debole dei fanghi biologici e rendere quindi più efficiente la frazione realmente
attiva nella rimozione degli inquinanti. Dato che il materiale cellulare
proveniente dalla lisi dei batteri ossidati viene reso disponibile come substrato
organico, bisogna comunque tenere in conto un leggero aumento del carico
organico in ingresso alla fase biologica, normalmente compensato dalle migliori
performance dell’impianto.
L’uso dell’ozono permette quindi di:
• danneggiare le strutture cellulari degli organismi più forti in modo che
l’energia derivata dal consumo dei nutrienti venga utilizzata per il
ripristino della cellula e non per la riproduzione;
• provocare una lisi negli organismi più deboli;
• favorire la sopravvivenza dei “predatori” (protozoi - metazoi) che
metabolizzino le cellule lise o danneggiate.
Pertanto, l’uso mirato della tecnologia con ozono per la degradazione
chimico-biologica del fango secondario comporta i seguenti benefici:
• riduzione delle quantità di fango da smaltire;
• migliore caratteristiche drenanti;
• riduzione dei costi dei prodotti chimici;
• eliminazione dei batteri filamentosi;
• migliore sedimentabilità.
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 216
4.3. Il pretrattamento della biomassa con ozono
Come detto, l’ozono è un potente agente ossidante capace di ossidare
un ampio spettro di componenti organici e inorganici, ha una forte attività di
scissione cellulare ed è in grado di eliminare i microrganismi presenti nella
biomassa da trattare, oltre ad ossidare successivamente le sostanze rilasciate
dalle cellule [32]. Possiede infatti la capacità di scindere le macromolecole in
composti più piccoli come acidi carbossilici, acidi idrofili, carboidrati,
amminoacidi. Ad esempio il legame doppio carbonio – carbonio e le strutture
ad anello non chiuso sono particolarmente suscettibili alla degradazione da
ozono.
Di base, accade che una mole di O3 reagisce con la sostanza ossidata
nella misura per cui, in linea teorica, 48 grammi di ozono possono decomporre
16 grammi di COD (chemical oxigen demand), mentre in pratica tale processo
di mineralizzazione avviene con quantitativi superiori.
Un parametro fondamentale per descrivere il processo di
pretrattamento con ozono è la dose utilizzata nel processo. Questa può essere
espressa tramite differenti unità di misura, come [g O3/g TSS], [g O3/g TS] oltre
a [g O3/g COD]. Per comparare differenti studi occorre certamente dare
innanzitutto una definizione univoca di dose di ozono impiegato. Un’unità di
misura appropriata può essere allora [g O3/g TSS]. I possibili utilizzi del
trattamento di ozonizzazione all’interno di un impianto di trattamento delle
acque reflue è di seguito schematizzato.
I principali fattori che influiscono sulla performance dell’ozonizzazione
della biomassa da trattare sono il pH, la tipologia e la concentrazione dei vari
componenti organici ossidabili, la dose di ozono adoperata. Tuttavia, anche
altri parametri si sono rivelati fondamentali. Questi sono la competizione tra
componenti organiche refrattarie e biodegradabili, la presenza di agenti
ossidanti solubili e l’efficienza del fenomeno di trasferimento di massa
dell’ozono. E’ stata inoltre sottolineata [33] l’importanza dei fenomeni di
competizione tra particolato organico (ad esempio, microrganismi) e le specie
chimiche dissolte per aver reagito con i radicali OH° causati dalla
decomposizione dell’ozono durante il trattamento. Poiché tali radicali OH°
reagiscono molto rapidamente con la maggior parte delle categorie delle
specie dissolte, queste non sono facilmente individuabili. Questo può verificarsi
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 217
anche con le varie particelle costituenti la frazione organica del fango attivo in
esame. In un tale miscuglio, una grande quantità di specie sotto forma di
particolato può facilmente reagire con i radicali idrossilici, o con ozono
molecolare, in modo che non sarà disponibile altro ozono per distruggere il
particolato inerte prefissato. Di conseguenza, un sistema di trattamento
ottimale di ozono dovrebbe tentare di ridurre questo inconveniente il più
possibile.
In sistemi bifase liquido/gas, si considera di solito [34] che non vi è alcun
limite al trasferimento di massa nella fase gassosa durante il trasferimento di
un gas con una bassa solubilità, come è il caso dell’ozono. Poiché questo ozono
trasferito al liquido viene consumato principalmente attraverso rapide reazioni
con le varie sostanze organiche disciolte, queste reazioni avranno
effettivamente luogo proprio solo nell’interfaccia gas/acqua (la zona
corrispondente è di solito definita come “ film liquido” e ha uno spessore di
pochi centesimi di millimetro) e questo si traduce in una totale assenza di
ozono dissolto all'interno del liquido sfuso [34].
Questo è il cosiddetto ''fast kinetic regime” (regime di cinetica rapida)
dove l’apparente tasso di trasferimento di massa di ozono può superare il
massimo tasso fisico di trasferimento di massa gas-liquido. Tale accrescimento
del tasso di trasferimento di massa è caratterizzato dal fattore di
accrescimento, E, definito nelle equazioni seguenti.
� = �����. � ∙ ��∗
δEFF = δ / Ε
In cui:
- δ è lo spessore teorico del film liquido;
- NO3,flusso effettivo di ozono trasferito al liquido; solitamente tale
parametro viene valutato misurando il flusso del gas in tutto il reattore
e la concentrazione di ozono in entrata e in uscita dal contenitore;
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 218
- ��∗, flusso massimo corrispondente all’assorbimento fisico, che dipende
dall'equilibrio del valore della concentrazione di ozono nel liquido;
- kL·a, coefficiente di trasferimento di massa complessivo. Nella maggior
parte delle situazioni, la sperimentazione procede con l’utilizzo
dell’ossigeno e dell’acqua purificata; in tal caso è possibile applicare dei
metodi di correzione analitica, per potersi riferire al modello qui
proposto.
In figura 2 viene rappresentato il profilo dell’ozono dissolto nel
cosiddetto “film liquido” in funzione del valore di E, precedentemente definito.
Senza alcuna interazione con le reazioni chimiche presenti, ovvero per E = 0, lo
spessore del film liquido, δ, assume un valore massimo, mentre la
concentrazione di ozono diminuisce linearmente dalla concentrazione di
equilibrio ��∗, fino a zero. In presenza di composti organici causanti un
aumento dei fenomeni di trasferimento, l’andamento della concentrazione di
ozono corrisponde alla linea tratteggiata. Si nota come questa sia nulla già per
un valore pari a δEFF , che è minore dello spessore totale, ed è pari proprio a
δ/E.
Figura 4.2 – Rappresentazione schematica del massimo e dell’effettivo spessore del film liquido
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 219
Di solito il componente più rapido a reagire, a causa della sua maggior
concentrazione o della sua alta reattività, viene attaccato dall’ozono in forma
“preferenziale” e determina il valore del parametro E e di conseguenza, anche
il valore dello spessore effettivo del film liquido δEFF, oltre il quale non è
presente alcun quantitativo di ozono dissolto. Questo fenomeno va
considerato quando, in sede di progetto, va scelto il sistema di contatto
gas/liquido da adoperare per il trasferimento dell’ozono, oltre alla
determinazione delle dimensioni ottimali.
Con particolare riferimento ai fanghi, l’efficienza del trattamento con
l’ozono in termini di riduzione della loro produzione in eccesso è stata
verificata in una sperimentazione durata 6 anni in scala di laboratorio e in scala
pilota ([35], [36], [37]) in cui il trattamento fa riferimento all’opzione 1 del
seguente schema.
Figura 4.3 – Varie modalità operative associate al processo di ozonizzazione per la disintegrazione dei
fanghi
Le acque di scarico cittadine della città di Tolosa (Francia) sono state
utilizzate per alimentare il sistema. Si riporta di seguito la produzione di fango
organico in funzione del COD degradato durante un esperimento di 3 mesi.
Nella linea di controllo, trattata esclusivamente con fanghi attivi, l’andamento
della produzione di fanghi organici è descrivibile con una funzione lineare del
tipo 0.33±0.06 g VSS/(g CODrimosso). L’andamento della stessa grandezza per il
campione trattato con ozono presenta invece valori del tipo 0.07 g VSS/(g
CODrimosso).
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 220
Figura 4.4 – Produzione di fango organico in eccesso: confronto tra una linea di trattamento
convenzionale ed una in cui si impiega ozono.
Per quanto riguarda la riduzione della produzione di fanghi in eccesso, è stato
trovato nell’ambito della stessa ricerca che con una dose di ozono compresa tra
0.07 e 0.08 g O3/(g CODrimosso) è possibile conseguire riduzioni di fanghi in
eccesso prossime al 100%.
Figura 4.5 – Relazione tra il dosaggio specifico di ozono e la percentuale di riduzione di ESR
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 221
4.3.1. Effetti dell’ozono sulle proprietà dei fanghi
Numerose ricerche internazionali sono state condotte per rilevare le
differenze tra le caratteristiche chimico-fisiche dei fanghi prima e dopo il
trattamento con ozono. Considerato un fango grezzo composto nella quasi
totalità da residui (99.2%) e da particelle solubili (0.8%), con una dose di 0.05 g
O3/g TSS la parte di residui, SCOD (COD solubile), microparticelle e minerali
sono giunte rispettivamente al 63.9%, 19.6%, 13.8%, e 2.7% [38]. Prolungando
il tempo di contatto con l’ozono, le parti di COD solubile e di microparticelle
aumenta ulteriormente, mentre aumentando la dose di ozono si ha una forte
crescita della percentuale di minerali. In particolare, con una dose di 0.06 –
0.16 g O3/g TSS le quantità di residui, SCOD, microparticelle e minerali sono
risultate essere rispettivamente pari al 43-15 %, 15-31%, 25-34% e 16-21% [39].
Durante il trattamento con ozono, aumentano le concentrazioni di azoto
solubile, fosforo e COD. Inoltre, diminuiscono sia il pH che il rapporto VSS/TSS.
Si è verificato che, con una dose di 0.16 g O3/g TS (Total Solid) tale rapporto
cala dal 78% al 73% [40] mentre con una dose di 0.5 g O3/g TS il pH è calato da
6.2 a 3.0 [41]. Inoltre, il contenuto d’acqua nel fango esaminato decresce
all’aumentare della dose di ozono [42]. Infatti la disgregazione causata dal
pretrattamento va a modificare la distribuzione dell’acqua nella biomassa
attraverso il rilascio dell’acqua che era contenuta all’interno degli agglomerati.
Il contenuto di acqua decresce rapidamente, per poi livellarsi, per dosi di ozono
maggiori di 0.5 g O3/g TS [40]. Un'altra caratteristica che varia a causa del
trattamento è la granulometria delle particelle e degli agglomerati organici ed
inorganici. Con una dose di 0.16 O3/g TS il diametro medio delle particelle è
passato da 36.3 a 32.6 μm, mentre altre volte [42] il diametro delle stesse è
sceso da 6 μm a 4 μm con una dose di 0.5 g O3/g TSS. Ancora, con dosi di 0.5 g
O3/g TSS il diametro medio delle particelle è calato da 70 μm a 40 μm [43]. E’
stato inoltre verificato che con dosi ancora maggiori, la distribuzione della
granulometria si sposta sempre più verso valori più piccoli : con 5 g O3/g TSS la
granulometria media è stata pari a 5 μm .
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 222
4.3.2. Effetti sull’attività biologica e meccanismi di
diffusione
E’ stato documentato come la presenza di ozono inibisca la vitalità dei
batteri eterotrofi, la cui attività decresce esponenzialmente all’aumentare del
grado di solubilizzazione della biomassa trattata. Circa il 70% dell’attività
microbiologica dei fanghi è stata inibita con dosi di 0.03 – 0.04 g O3/g TSS [44].
E’ stato riportato [45, 46] come quantitativi di ozono pari a 0.05 g O3/g TSS
siano in grado di inattivare il 97% dei microrganismi eterotropi e l’80% dei
batteri azotanti. Inoltre l’ozono potrebbe avere un ruolo nell’attività di de-
idrogenasi dei fanghi se la dose è maggiore di 0.04 g O3/g TSS [47]. E’ stato
trovato inoltre che dosi di ozono maggiori di 0.02 g O3/g TSS portano alla
rottura e al successivo rilascio di frammenti di DNA dei microbi, mentre per
dosi maggiori di 0.06 g O3/g TSS gli unici batteri a sopravvivere sono della
famiglia dei Rhodocyclaceae, in particolare il genere Azonexus e il
Ferribacterium. Con dosi ancora superiori, pari a 0.08 – 0.10 g O3/g TSS i fanghi
così trattati perdono ogni attività microbiologica [48].
Di seguito, viene mostrato come cambia la composizione
granulometrica degli agglomerati presenti nei fanghi trattati successivamente
all’azione dell’ozono. In particolare, oltre a venir eliminati i batteri filamentosi,
responsabili della formazione della schiuma, ritenuta dannosa ai fini di un
corretto processo di digestione anaerobica [49], si nota come i fiocchi si
presentino molto più compatti dopo il contatto dell’ozono.
Figura 4.6 – Confronto tra le strutture dei “fiocchi” non trattati con O3 (a sinistra) e le strutture
sottoposte a processo di ozonolisi (a destra)
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 223
Si è verificato che, durante il contatto con l’ozono, la frazione attiva
della biomassa non ne viene attaccata; al contrario, questo probabilmente
reagisce prevalentemente con il particolato inerte proveniente dalle acque
reflue di alimentazione o dalla biomassa durante il processo di degradazione
biologica. Come mostra la figura seguente, il tasso di inattivazione di diversi
fanghi (tutti provenienti da acque reflue urbane) è pari circa ad 1/10 di quello
trovato per una coltura di escherichia coli; si ipotizza, quindi, che la materia
organica protegga in qualche modo le cellule eterotrofe della biomassa
dall’azione dell’ozono. Quindi, l’azione dell’ozono è diretta specificatamente al
materiale organico e minerale inerte presente nel fango trattato.
Figura 4.7 – Tasso di inattivazione per 4 diversi tipici di fango a confronto con una coltura di Escherichia
coli
Lo spessore del film liquido in cui hanno luogo i fenomeni di diffusività è
espresso dall’equazione δ=DO3/KL,in cui la diffusività dell’ozono è pari a DO3=
1.74 · 10-9 m2/s ed il coefficiente di trasferimento del film, nel caso in esame, è
pari a KL= 10-4 m/s. Si ha quindi δ ≈ 15÷20 μm, per cui, considerato il fattore E,
si ottiene δEFF≤ 10μm. Come si evince dalla figura seguente, le particelle
reagenti migrano verso il limite del film effettivo quando reagiscono con
l’ozono, producendo specie solubili associate con colloidi di piccole dimensioni,
che vengono ossidati parzialmente dall’ozono in prossimità dell’interfaccia
gas/liquido, che tuttavia migrano soprattutto verso la parte liquida per poi
degradarsi ulteriormente.
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 224
Figura 4.8 – Spessore effettivo del film liquido in relazione alla grandezza delle particelle
Nei processi biologici, le cellule sono organizzate in macro-agglomerati,
come indicato nella figura seguente. Tali agglomerati hanno tipicamente un
diametro variabile tra i 100 e i 150 μm. Sono composti da particelle più piccole,
le quali il più delle volte costituiscono la parte attiva della biomassa,
organizzate in colonie “intrappolate” in esopolimeri aventi dimensioni tipiche
tra i 10 e i 15 μm. Si suppone che la maggior parte del materiale inerte in forma
di particelle sia posto al di fuori dei micro-agglomerati.
Figura 4.9 – Rappresentazione schematica della struttura della biomassa e relative dimensioni
caratteristiche
L’ozono ha la capacità di rompere i macro-agglomerati con facilità
ottenendo così particelle più piccole, di circa 5 μm. Diversamente, le particelle
più piccole contenenti prevalentemente biomassa eterotrofa non vengono
distrutte dall’azione ossidativa dell’ozono a causa della stabilità conferita loro
dagli esopolimeri. Come si illustra in figura 10, queste particelle, relativamente
larghe, raggiungono la zona soggetta a reazione chimica con difficoltà. Tale
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 225
fenomeno può spiegare perché la parte attiva della biomassa risulta protetta
durante l’ozonizzazione, a differenza della frazione inerte.
Figura 4.10 – Le particelle contenenti biomassa eterotrofa non vengono intattate dall’azione ossidante
dell’O3
4.3.3. Effetti sulla biodegradabilità di fanghi e acque
di scarico industriali: industria del lievito
Si è avuta conferma dell’aumento della biodegradabilità dei fanghi
trattati con ozono, verificando che il 60% circa del COD solubile generato
dall’ozonizzazione è in una forma biodegradabile [38]. Nel caso di fanghi non
trattati, sono stati necessari 24 giorni per produrre 300 mL di biogas per
grammo di COD, mentre lo stesso materiale pretrattato con dosi di 0.10 – 0.16
g O3/g TSS ha impiegato 15–18 giorni per produrre la stessa quantità di biogas
[34]. E’ stato inoltre evidenziato come con dosi di 0.10 g O3/g TSS i fanghi
trattati abbiano raggiunto livelli di biodegradabilità raddoppiati, anche
triplicati, rispetto al materiale non trattato, sia in condizioni aerobiche che
anaerobiche, mantenute per 5 giorni. In particolare, in condizioni aerobiche, la
biodegradazione dei fanghi ozonizzati dopo 15 giorni è stata misurata pari al
45.4%, 63.0% e 77.1% con rispettive dosi di ozono di 0.02, 0.05 e 0.10 g O3/g
TSS, comparate col valore di 36% dei fanghi non trattati, posti nelle medesime
condizioni.
Nel caso di digestione anaerobica la biodegradazione aumenta
all’aumentare del dosaggio di ozono fino a valori di 0.2 g O3/g TSS, superato
questo valore tale caratteristica non presenta più variazioni. Questo poiché
l’ozono svolge anche una funzione di ossidante nei confronti dei prodotti
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 226
biodegradabili presenti, per cui non si è consumato ulteriormente per
trasformare la materia organica refrattaria residua.
Ulteriori ricerche sono state effettuate nell’ambito dell’ozonizzazione di
acque di scarico industriali, per ridurne la quantità e migliorarne le proprietà
organolettiche, ottenendo così un processo finale di purificazione del materiale
di scarico. Ad esempio, i risultati di trattamenti di questo tipo hanno
confermato come l’ozono possa essere impiegato nella lavorazione finale delle
acque di scarico dell’industria del lievito, riducendo colore, odore e
contaminanti. Durante il trattamento, la biodegradabilità delle acque trattate è
aumentata, ma non ci sono stati effetti particolarmente positivi per quanto
riguarda una possibile successiva digestione anaerobica da parte di batteri
mesofili, questo probabilmente a causa della particolarità della biomassa in
questione.
I risultati di tale ricerca in termini quantitativi sono indicati in tabella 1.
Gli esperimenti indicano che l’efficienza della ‘post-ozonizzazione’ in termini di
riduzione del COD è compresa tra il 30% e il 49%, con un quantitativo di ozono
utilizzato (misto ad aria ed inoculato tramite diffusore in ceramica) variabile tra
1.2 e 2.5 mg/mg COD rimosso.
n.
Parametri del fango trattato
Dosaggio di O3
dn/ΔCOD, mgO3/mgCO
D
Efficienza post
ozonolisi ΔCOD %
Parametri del fango post ozonolisi
COD
tot mg/l
BOD
mg/l
BOD/COD
COD
tot mg/l
BOD
mg/l
BOD/COD
1 205
5 161 0.08 2.45
30 1460
317 0.22
2 212
0 579 0.27 2.47
31 1470
381 0.26
3 148
0 204 0.14 2.2
34 970 310 0.32
4 186
0 308 0.17 1.2
49 940 297 0.32
5 194
0 147 0.08 1.6
30 1430
250 0.17
Tabella 1 – Risultati del trattamento con ozono di acque industriali di scarto di un industria del lievito
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 227
Nelle figure che seguono viene invece espressa la dipendenza di CODtot,
CODsol, BOD e BOD/COD (biodegradabilità dell’acqua di scarico) con la dose di
ozono utilizzata, espressa in mg di ozono per litro di materia trattata. La dose di
ozono per ridurre considerevolmente il COD residuo è risultata pari a circa
1000 – 1500 mg/L e sia il CODtotche il CODsolsono diminuiti.
Questo indica come durante la post-ozonizzazione il particolato
organico presente sia stato solubilizzato e la materia solubile ossidata.
Figura 4.11 – L’effetto dell’ozono sul CODTOT e il BOD (run 1)
Figura 4.12 – L’effetto dell’ozono sul CODTOT, CODsol, BOD (run 2)
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 228
Come regola si ha che i risultati della post-ozonizzazione dell’acqua di
scarico della lavorazione dei lieviti dipendono dalla composizione dell’acqua
stessa. Il valore di BOD e il rapporto BOD/COD dell’acqua trattata sono
aumentati durante il trattamento. Nella figura 12 invece, il BOD è diminuito: ciò
è da attribuire alla bassa efficienza del trattamento biologico precedente
all’ozonizzazione. L’acqua trattata biologicamente contiene un gran
quantitativo di componenti biodegradabili, con un CODtot di 2120 mg/L e un
valore di BOD pari a 580 mg/L. Anche in questo caso, la biodegradabilità è stata
inizialmente migliorata dall’ozonizzazione (con una dose di 300 mg/L) per poi
decrescere. In figura 13 si può notare come la biodegradabilità, a dosi
relativamente elevate di ozono, risenta fortemente sia dell’aumento del BOD
che della diminuzione del COD.
Figura 4.13 – L’effetto dell’ozono sul CODTOT, CODsol, BOD (run 3)
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 229
Figura 4.14 – L’effetto dell’ozono sul CODTOT, CODsol, BOD (run 4)
Figura 4.15 – L’effetto dell’ozono sul CODTOT, CODsol, BOD (run 5)
In genere, durante l’ozonizzazione il pH diminuisce a causa della
formazione di acidi carbossilici. Tuttavia, negli esperimenti qui descritti, questo
è accaduto solo in un caso (run 2), mentre negli altri casi il pH è aumentato. Un
motivo plausibile potrebbe essere che gli acidi scaturiti dall’ossidazione
biochimica siano stati degradati dall’ozono. In ogni caso, il trattamento ha
rimosso colore e odore dell’acqua trattata, oltre ad aumentarne la
biodegradabilità.
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 230
4.3.4. Effetti sui materiali legnosi
Il trattamento di materiali lignei può essere utilizzato sia in processi di
preparazione di mangimi per animali a partire da scarti del legno che in
processi riguardanti l’industria della carta. Sono di particolare interesse gli
effetti dell’azione ossidante dell’ozono sulla lignina e sulla cellulosa. I primi
esperimenti condotti nel 1963 hanno riportato [50] una certa resistenza alla
diffusione dell’ozono attraverso le strutture del legno all’interno della pasta, a
cui si contrappone il fatto che le reazioni più rapide in assoluto sono quelle
riguardanti i casi di contatto tra gas e solido. La cinetica chimica è stata
migliorata ponendo l’impasto di legno in pre-ammollo con una quantità di
acqua pari alla sua massa e applicando dei cicli a pressione variabile, ottenendo
così una riduzione sia della cellulosa che della lignina.
E’ stato inoltre posto a contatto l’ozono con legno di cedro [51]
evidenziando che le pareti cellulari vanno incontro ad una progressiva de-
lignificazione. Questo anche perché il legno in oggetto era stato sottoposto ad
un pretrattamento ad alta umidità e ciò ha predisposto le cellule rendendole
più accessibili agli effetti dell’ozono. Studiando la reazione tra ozono e α-metil
glucosio [52] si è avuta conferma come la difficoltà maggiore risieda nella
resistenza alla diffusione all’interno delle cellule di emicellulosa. Una parte
significativa di resistenza all’ozono persiste nelle fibre del legno anche dopo
che queste siano state attaccate in modo estensivo [53]. Questa osservazione
conferma ancora una volta come i trasferimenti diffusivi della massa di ozono
controllino la cinetica di reazione tra ozono e biomassa. Adoperando degli
enzimi per trasformare la cellulosa contenuta nella paglia in zuccheri più
semplici, si è riscontrata una conversione del 75% della cellulosa per il
campione pre-trattato con ozono contro il 20% della biomassa non trattata. E’
sempre necessario un certo tasso di umidità per permettere la dilatazione della
struttura interna del legno e renderlo più accessibile all’ozono, tuttavia troppa
acqua potrebbe portare a reazioni indesiderate con l’ozono stesso generando
perossidi e idrossili.
Nel seguente grafico si mostra la digeribilità della biomassa con una
dose di ozono pari a 50 ppm in aria, in caso di umidità del 10% e del 50%.
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 231
Figura 4.16 – Aumento della digeribilità all’aumentare del tempo di contatto con ozono
E’ stato osservato come il progressivo attacco dell’ozono causa una
diminuzione del pH da 7.0 a 2.0 dopo 2 ore di contatto. Questo porta a dei
fenomeni di scissione della cellulosa in zuccheri. La temperatura deve essere
più bassa possibile per prolungare il tempo di vita dell’ozono, anche se ne
consegue una diminuzione dei processi di diffusione; tuttavia questa scelta
aumenta le probabilità di contatto tra molecole di ozono e biomassa. Nel caso
si utilizzi acqua come solvente, la temperatura minore utilizzabile dipenderà
dalle caratteristiche fisico-chimiche della soluzione, quindi circa 0°C.
Figura 4.17 – Confronto tra la digeribilità in funzione del tempo di contatto per 0 °C e 25 °C
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 232
Durante il contatto tra ozono e biomassa sono stati analizzati i gas in
uscita tramite gascromatografo; anche se non si tratta di misure esatte, si può
affermare che viene prodotta poca CO2e che le tipologie dominanti sono solo
tre: azoto, ossigeno ed anidride carbonica.
Componente Mole %
N2 77,5 ± 2
O2 18,7 ± 2
CO2 5,1 ± 0,5
C1Hna 1,3
C2Hma 0,2
C3Hra 0,2
a- Si sono osservati solo i picchi
Tabella 2 – Gas prodotti al contatto con ozono
Vengono inoltre riportati i valori di emicellulosa e lignina prima e dopo il
trattamento con 50 ppm di O3 in una miscela O3-O2 alla temperatura di 0°C per
2h, in condizioni di pressione fluttuante. La tabella indica che sia la cellulosa
che la lignina sono attaccate dall’ozono, ma la lignina è maggiormente
vulnerabile: subisce un calo del 51% contro il 15% della cellulosa.
Componente Biomassa legnosa non
trattata
Biomassa legnosa trattata con
O3
Emicellulosa 48,60 % 41,05 %
Klason lignina 22,91 % 12,10 %
Dioxane lignina
9,41 % 4,61 %
Tabella 3 – Confronto tra i valori di lignina ed emicellulosa pre e post trattamento
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 233
4.4. Confronto fra pretrattamenti di natura termica,
meccanica e chimica
Dopo aver approfondito i principali pre-trattamenti della biomassa per
migliorare il processo di digestione anaerobica, si riportano i risultati di alcune
ricerche in cui è stato effettuato un confronto diretto tra questi, in termini di
resa di biogas, solubilizzazione, efficienza economica globale.
4.5. Confronto tra ozono e microonde – acque di
scarico industria alimentare
Si prenderà ora in esame la variazione di BOD, COD, la produzione di
metano e si procederà con un’analisi costi-benefici in merito al processo di
digestione anaerobica di acque di scarico dell’industria alimentare pretrattate
con ozono, con microonde o con microonde e acidificazione a pH 2.
I processi termici, chimici, biologici e meccanici e le loro possibili
combinazioni sono stati studiati come tecniche di trattamento per accelerare
l’idrolisi e la solubilizzazione dei fanghi. Tali trattamenti causano la scissione o
la degradazione delle cellule dei fanghi, di conseguenza la materia organica
diviene più accessibile ai microrganismi anaerobici. Questo comporta
solitamente una maggior produzione di metano e una riduzione dei tempi di
digestione. L’efficienza del pretrattamento viene comunemente valutata in
termini di biodegradabilità o di produzione di biogas.
L’ozonizzazione è un promettente processo di pre-ossidazione capace di
controllare efficacemente il livello di sostanze organiche inquinanti presenti
nell’acqua: come detto, l’ozono è un forte agente ossidante e disinfettante ed
agisce in modo tale che i componenti composti da macromolecole tendono a
decomporsi in molecole più piccole.
L’uso delle microonde è un trattamento alternativo per raggiungere la
disintegrazione dei fanghi attraverso un rapido riscaldamento interno dei
materiali trattati. Tale metodo risulta anch’esso molto promettente: le pareti
cellulari dei microrganismi vengono distrutte e le sostanze organiche vengono
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 234
così rilasciate e digerite dai batteri, contribuendo così anche al processo di
degradazione biologica.
Si riporta a titolo di esempio il processo di digestione anaerobica su
fanghi a base di acque di scarico di un impianto industriale che tratta
l’inscatolamento del mais. Il COD iniziale della biomassa trattata è pari a 136
mg/l, mentre la biodegradabilità in 5 giorni (BD5%) è stata calcolata con
l’espressione BD5% = (BOD5/COD0)·100.
Il trattamento con l’ozono è stato effettuato in soluzioni con agitatore
continuo, diluite al 6% di contenuto di materia secca. L’ozono è stato generato
a partire da ossigeno e inoculato attraverso un diffusore di ceramica nei 180
cm3di soluzione, mentre la concentrazione di ozono nel gas insufflato è stata
pari a 32 mg/dm; il tempo di contatto è stato pari a 30 e a 60 minuti, con un
flusso di gas in ingresso pari a 1 L/min.
Il trattamento con microonde è stato effettuato con due potenze
differenti, pari a 250 W e 500 W. Per le misure, sono stati diluiti 200 g di fango
in 200 ml di acqua distillata e poi irradiati per 5 min.
Infine, si è provveduto ad eseguire un pretrattamento in cui sono stati
utilizzati sia ozono sia microonde: in particolare, si è ozonizzata la biomassa per
30 minuti e si è utilizzato un flusso di microonde della potenza di 250 W per 5
minuti.
I test di produzione di biogas sono stati effettuati in modalità continua e
condizioni mesofile, a 30° C per 30 giorni, in un digestore anaerobico dotato di
misuratore di pressione, alimentato con fanghi provenienti dall’impianto di
trattamento dei fanghi reflui cittadini. La composizione del biogas è stata
determinata con un gascromatografo e uno spettrometro di massa. La
produzione netta di energia (NEP) di un processo che comprende l’uso di
microonde può essere calcolata tramite la semplice equazione :
NEP = qcomb · mCH4 - Pm ·τ
in cui:
qcombè il potere calorifico del metano [J/kg], mCH4 è la massa del metano
prodotto [kg], Pm è la potenza elettrica assorbita dal generatore di microonde
[W], τ è la durata del trattamento [s].
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 235
Per quanto riguarda il trattamento con ozono, è stata applicata la stessa
espressione, con la sostituzione di Pm con la potenza elettrica assorbita dal
generatore di ozono.
La prima serie di misure riguarda i valori di COD e BOD, ed è riportata
nelle figure seguenti.
Figura 4.18 – Confronto tra il COD ottenuto con i diversi di pretrattamento in esame
Si è potuto verificare come i vari trattamenti eseguiti hanno comportato
una diminuzione del valore del COD, ed un aumento del BOD. Da notare come
la diminuzione del COD nel caso dei due trattamenti combinati non giustifichi la
maggior complessità del sistema, anche se si impiega meno tempo, risultando
molto simile all’esito avuto con 60 minuti di ozono. In ogni caso è stato
riscontrato un aumento della biodegradabilità in termini di BD5.
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 236
Figura 4.19 – Confronto tra il BOD ottenuto con i diversi di pretrattamento in esame
Figura 4.20 – Confronto tra il BOD5 ottenuto con i diversi di pretrattamento in esame
Il pretrattamento di 30 minuti di ozono ha aumentato la
biodegradabilità di un fattore prossimo a 3, mentre quello a 60 minuti ha
ottenuto risultati ancora migliori, raggiungendo una biodegradabilità BD5%
prossima al 100 %, così come la combinazione dei due trattamenti.
La serie di risultati seguente si riferisce invece alla produzione di biogas.
Le misure effettuate con lo spettrometro di massa e il gascromatografo
mostrano come dopo 30 giorni di fermentazione siano presenti sia CH4 che
CO2in fase gassosa. Il fango non trattato è stato preso a riferimento: la sua
produzione è stata pari a 18.0 ml/g di materia secca. Il pretrattamento
effettuato esclusivamente con microonde non ha conseguito un significativo
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 237
aumento della produzione di biogas, a differenza del trattamento con ozono
(figura 21).
Figura 4.21 – Confronto tra la produzioni di metano ottenute
Non si denunciano inoltre forti differenze tra la produzione di metano
con il trattamento a 60 minuti di O3 e il trattamento combinato
ozono/microonde. I migliori risultati sono ottenibili attraverso un ulteriore
pretrattamento che prevede l’uso di microonde (applicate per 5 minuti)
associato ad un’acidificazione della biomassa a pH 2 con una soluzione 1 M di
HCl. E’ stato poi misurato il tasso di produzione di biogas specifico in termini di
dm3/kg al giorno considerando la quantità di biogas prodotta nei primi 10
giorni del test.
Pretrattamento Durata del
pretrattamento
BOD5%
(BOD5%/COD)*100
Produzione
di biogas
[cm3/g
giorno]
Non trattato - 26 1,037
Ozono 30 63 3,77
Ozono 60 94 7,40
Ozono/microonde 30+5 96 9,52
Microonde/acidificazione (pH 2)
5 95 25,75
Tabella 6 – Sunto tra i risultati ottenuti con i diversi pretrattamenti
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 238
I risultati mostrano come la totalità dei trattamenti effettuati ha
migliorato di molto il tasso di produzione iniziale di biogas. Volendo fare,
invece, un bilancio complessivo dell’energia impiegata nei trattamenti, si ha
che il trattamento con 30 minuti di ozono e quello con microonde e pH 2 hanno
i migliori risultati, mentre gli altri richiedono più energia di quanta non ne
ottenga poi con l’incremento di biogas prodotto.
Figura 4.22 – Produzione netta di energia (NEP) per i diversi tipi di pretrattamento esaminati
In conclusione, si ribadisce come il trattamento con microonde, da solo,
non comporti un aumento della produzione di biogas a partire dalla biomassa
in esame, poiché non modifica a sufficienza la biodegradabilità del contenuto
amidaceo, mentre l’ozono e le microonde abbinate a un pH fortemente acido
sono in grado di migliorare la biodegradabilità e la produzione di biogas. Il
contatto con l’O3 per 30 minuti e le microonde con pH 2.0 portano ad ottimi
risultati in termini di bilancio energetico.
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 239
4.6. Confronto tra ozono, ultrasuoni e alte
temperature – fanghi attivi
Si riportano i risultati ottenuti in un processo di digestione anaerobica di
fanghi attivi per una durata complessiva di 50 giorni, pretrattati con ozono (0,1
gO3/gTS0), con alte temperature (40°C, 60°C, 90°C, 120°C) e con ultrasuoni (200
MJ/kg TS0), confrontando poi i risultati.
I fanghi attivi trattati fanno riferimento ad un impianto di depurazione
delle acque reflue della città di Limoges, Francia. Prima del trattamento, tali
fanghi sono stati concentrati fino a raggiungere i 14,26 g/l di TS (Total Solids)
con deviazione standard σ = 2.18 g/Le un contenuto di solidi volatili pari al
72.82% del TS.
L’apparecchiatura necessaria al trattamento con ultrasuoni assorbe una
potenza elettrica pari a 50 W e induce una radiazione elettromagnetica a 20
kHz. L’energia specifica applicata al fango così trattato è pari a 2·105 kJ/kgTS,
ed è definita dall’equazione :
SE = h∙+
[∙Z\� dove P è la potenza del dispositivo ad ultrasuoni [W], t il tempo del
trattamento [s], V il volume trattato [dm3] e TS0 è la concentrazione iniziale di
TS [g/L].
Il dispositivo per l’ozonizzazione opera consumando una potenza di 180
W e garantisce una portata di 600 Nl/h ad una pressione di 0.7 bar, in
condizioni di temperatura ambiente, con l’ozono insufflato direttamente nel
test. Poiché l’ozonizzazione porta ad una diminuzione del pH, questo è stato
riportato a 7 ÷ 7.2 usando NaOH (1N). Per ogni ozonizzazione, si è lavorato con
prove da 700 ml per la durata di 60 minuti. La dose di ozono adoperata è stata
pari a 0.1 gO3/gTS.
Il trattamento termico è stato applicato una volta con un’autoclave e
una volta con un termostato a diverse temperature. L’autoclave ha mantenuto
il fango (un campione di 700 ml) alla temperatura di 121 °C e alla pressione di 1
bar per 15 minuti, mentre il reattore munito di termostato ha mantenuto il
fango a 40°C, 60°C e 90°C per 60 minuti. Le potenze necessarie a mantenere
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 240
tali temperature sono state pari a 400W, 600W, 900W e 6000W per le tre
temperature indicate, rispettivamente, e per l’autoclave.
Il bilancio energetico dei vari trattamenti è stato valutando secondo
l’espressione :
ET = EPRETREATMENT+ EMIXING + EHEATING - EBiogas(kWh)
L’agitatore utilizzato ha una potenza di 40 W, mentre il sistema di
riscaldamento, utilizzato per mantenere la biomassa a 35-37°C, assorbe una
potenza di 640 W. Viene considerata anche l’energia derivante dalla
combustione del metano prodotto e contenuto nel biogas, considerando una
percentuale in volume del 65% sul totale, pari a 35.95 J/ml di CH4.
Innanzitutto sono stati analizzati gli effetti dei differenti pretrattamenti
sulla solubilizzazione dei fanghi trattati. I risultati sono esposti nella seguente
tabella.
Ultrasuoni
Termico
(40 °C)
Termico
(60 °C)
Termico
(90 °C)
Autoclave
(121 °C) Ozono
SE (kJ/kgTS0)
200 144 216 558,62 665,02 46,28
SCOD 46 3,8 8 16,8 15,7 10
BOD5/COD5 58 67 69 40 45 75
SPROTEINE 97,7 0,5 8,8 45 44 9
SCARBOIDRATI 33 0,3 4 37,6 33,6 7,1
STSS 46,5 5 8,8 15,8 4,2 15
SVSS 55 6,5 11,7 21,2 4,8 19,2
Tabella 7 – Risultati ottenuti con i diversi tipi di pretrattamento
Si nota come il livello di solubilizzazione raggiunto sia più dipendente
dal tipo di trattamento effettuato che dal valore di energia specifica utilizzata. Il
trattamento ad ultrasuoni ha portato i risultati migliori in termini di
solubilizzazione di TSS e VSS (rispettivamente del 47% e del 55%) ma anche
buoni effetti sulla solubilizzazione della materia organica (SCOD 46%, Sproteins
98%, Scarbohydrates 33%). Il trattamento termico a 90°C e l’ozonizzazione
hanno anch’essi portato a buoni risultati (solubilizzazione del TSS pari al 15% e
al 16% rispettivamente), mentre a temperature più basse (40°C, 60°C) o con
l’autoclave (121°C, a 1 bar) si sono raggiunti risultati non particolarmente
positivi.
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 241
La tabella seguente mostra invece i contributi dati dal pretrattamento e
dalla digestione anaerobica, separatamente, sulle caratteristiche di
solubilizzazione dei fanghi trattati.
Pretrattamento Contol
1 Ultrasuoni
Termico
(90°C) Autoclave
Control
2
Termico
(40°c)
Termico
(60°C) Ozono
Condizioni anaerobiche
Rendimento rimozione TSS
72 86,2 76,5 76,9 66 69,5 73 78,5
Miglioramento resa rimozione/rimozione
1,2 1,06 1,07 1,05 1,1 1,2
% imputabile al pretrattamento
0 53,5 19,8 4,4 0 7,2 12 19,1
% imputabile alla digestione
100 46,5 80,2 95,6 100 92,8 88 80,9
Valore iniziale di rimozione di TSS (gTSS/L giorno)
0,81 0,14 0,69 0,74 0,58 0,6 0,58 0,76
Tabella 8 – Contributo della digestione anaerobica e del pretrattamento
Si può anzitutto notare come il trattamento ad ultrasuoni consegua di
per sé il 53.5% della solubilizzazione totale e quindi della riduzione dei fanghi in
eccesso, mentre con l’ozono la gran parte della solubilizzazione (circa l’81%)
avviene durante la successiva fase della digestione. Dunque mentre gli
ultrasuoni attuano una buona riduzione delle dimensioni medie dei
conglomerati organici ed inerti già durante il pretrattamento stesso, l’ozono
predispone lo stato microbiologico dei fanghi rendendo più efficace il
successivo lavoro dei batteri protagonisti della digestione anaerobica stessa.
Una situazione analoga a quest’ultima descritta si presenta nel caso di
trattamenti termici, che però non hanno risultati altrettanto interessanti in
termini di resa globale, come si può notare anche dal seguente grafico,
riportante l’andamento della concentrazione di TSS durante il processo di
digestione anaerobica.
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 242
Figura 4.23 – Pretrattamenti termici: concentrazione di TSS durante la digestione anaerobica
L’analisi dell’efficienza globale di un trattamento, intesa come bilancio
economico complessivo, si basa sul costo energetico dello stesso comparato ai
possibili benefici derivanti da una migliore digestione da parte dei batteri
mesofili. L’energia necessaria al pretrattamento, ES, rapportata all’energia
totale applicata sia durante il pretrattamento che durante il processo di
digestione è risultata essere pressoché trascurabile, come si nota dalla
seguente tabella alla voce Epretrattamento/ET.
Control
1 Ultrasuoni
Termico
(90 °C) Autoclave
Control
2 Ozono
Termico
(40 °C)
Termico
(60 °C)
Epretrattamento/ET (%)
- 0,10 1,10 2 - 0,18 0,39 0,61
EB (kWh/kg TSSRIMOSSO)
4655 2601 3665 3381 3212 2496 2958 2682
Riduzione dei costi
- 44 21 27 - 22 8 16,5
Tabella 9 – Resa energetica globale dei processi di pretrattamento
Si va infatti da valori dello 0.1% per gli ultrasuoni al 2% dell’autoclave.
La voce “riduzione dei costi” si basa su un prezzo medio del kWh pari a 0.11€;
non considera inoltre tutte le voci di costo presenti in un impianto reale, quali
possono essere il costo del personale, il costo dell’impianto stesso, i costi di
manutenzione, etc: in questa sede si considera esclusivamente il costo dovuto
allo sfruttamento di un determinato sistema di pretrattamento della biomassa.
Pretrattamento della biomassa con O3
Pagina 243
Si conclude ribadendo come i migliori risultati si abbiamo con il pretrattamento
ad ultrasuoni e con l’ozonizzazione, i quali conferiscono riduzione di costi (44%
e 22% rispettivamente) oltre a un netto miglioramento in termini di riduzione
dei fanghi in eccesso (del 20% circa) e alla diminuzione del TSS (dell’86% e del
79% rispettivamente). Il trattamento ad ultrasuoni riduce il tempo di digestione
ma è costoso in termini energetici, mentre l’ozono è più economico ma, come
visto, pone in evidenza il periodo di permanenza nel digestore della biomassa
così trattata.
Laboratorio e risultati sperimentali
Pagina 244
Laboratorioerisultati5.
sperimentali
L’utilizzo dell’ozono ha dunque una lunga storia nel trattamento delle acque
reflue in particolare per la sua capacità di ossidare dei componenti altamente
inquinanti e pericolosi scindendoli in molecole più semplici. Come visto nel
capitolo precedente sono stati anche eseguiti alcuni studi sull’effetto che il
trattamento con ozono può avere sulla digestione aerobica di acque reflue e
fanghi; tali lavori hanno evidenziato un miglioramento dell’efficienza del
processo di digestione sia in termini di quantità di fanghi residui sia in termini
di cinetica del processo.
Si è quindi cercato di verificare se l’ozono può portare a simili vantaggi anche
per quanto riguarda i processi di digestione anaerobica di vari tipi di biomassa.
L’ipotesi da cui siamo partiti è che questo pretrattamento abbia il duplice
effetto positivo di velocizzare la fase di idrolisi e di scindere alcune molecole
complesse e stabili che non riuscirebbero ad essere digerite in tempi accettabili
dai classici batteri metanigeni.
Per poter effettuare la sperimentazione è stato necessario innanzitutto definire
i contorni dell’esperimento che si voleva portare a termine al fine di
comprendere quali fossero le attrezzature e gli strumenti di misura necessari.
E’ stato subito evidente la necessità di coinvolgere un laboratorio di ricerca
eterno al DMA per avere a disposizione degli strumenti di misura piuttosto
costosi ed indispensabili alle analisi. Per tale motivo è stato stretto un accordo
di collaborazione con il DICEA della ‘Sapienza’.
5.1. Descrizione dei componenti acquistati
All’interno del presente paragrafo sarà descritto il piccolo laboratorio di
misura allestito: in figura 1 si riporta una foto complessiva, mentre nel seguito
saranno illustrate in dettaglio le caratteristiche tecniche dei vari componenti. In
sintesi, quest’ultimi sono:
- due piastre termiche da 4 postazioni ciascuna per complessivi otto
digestori anaerobici;
Laboratorio e risultati sperimentali
Pagina 245
- otto digestori anaerobici;
- otto eudiometri, ognuno collegato al corrispondente digestore
anaerobico.
Figura 5.1 – Catena sperimentale
� Piastra VELP SCIENTIFICA modello AM4 (Multiple Heating
Magnetic Stirrer)
Le piastre VELP SCIENTIFICA AM4 sono piastre con agitatore magnetico
riscaldante a quattro, ognuno comandabile separatamente. Tali piastre sono
costruite in lega d’alluminio e rivestite con una speciale protezione nera che
assicura un’uniforme distribuzione del calore su tutta la superficie ed un’ottima
resistenza all’aggressione dei reagenti chimici corrosivi.
Figura 5.2 – Piastre Velp AM4
Le sue caratteristiche tecniche generali sono:
Laboratorio e risultati sperimentali
Pagina 246
• Struttura:lega di alluminio con verniciatura epossidica
• Piastra riscaldante: lega di alluminio con speciale protezione
• Diametro della piastra riscaldante: 155 mm
• Numero di posizioni di agitazione: 4
• Potenza: 2550 W
• Alimentazione: 115 o 230 V / 50-60 Hz
• Peso: 8.3 Kg
• Dimensioni (L*H*P): 715*115*220 mm
Prestazioni:
• Regolazione elettronica dei giri: fino a 1200 rpm per ogni piastra
• Regolazione della temperatura: da temperatura ambiente a 370°C per
ogni piastra
Figura 5.3 – Regolazione termica e dei giri/minuto
• Volume d’acqua agitabile: fino a 5 litri per ogni piastra
• Sistema di agitazione: magnete trascinatore adeguato anche per lavoro
in continuo.
Accessori opzionali
• Calotta sferica per palloni 250 ml
• Calotta sferica per palloni 500 ml
• Calotta sferica per palloni 1000 ml
• Ancoretta magnetica 6*35 mm (è l’oggetto di color bianco, all’interno
del digestore, nella foto)
• Ancoretta magnetica 9.5*60 mm
• Asta di sostegno
� I reattori
Laboratorio e risultati sperimentali
Pagina 247
La sperimentazione è stata eseguita in 8 reattori miscelati costituiti da
bottiglie in vetro pyrex aventi una capacità volumetrica pari ad 1 litro. Tali
digestori sono dotati di un apertura attraverso la quale il biogas prodotto
fuoriesce dal reattore ed è convogliato all’eudiometro con una valvola ed un
tubicino in tygon. Allo stesso modo, sul fondo di ciascun reattore è presente
un’apertura per il campionamento del materiale in digestione.
L’agitazione della miscela all’interno di ciascun reattore è effettuata,
come detto in precedenza, sfruttando l’azione di un’ancoretta magnetica
controllata dalla piastra VELP.
Figura 5.4 – Ancoretta magnetica per agitazione della biomassa
Al fine di isolare termicamente i reattori è stata applicata, a ciascun
reattore, una camicia termica in poliuretano visibile in figura 5.5.
Figura 5.5 – Camicia in poliuretano per isolamento termico dei digestori
La temperatura del sistema viene controllata tramite apposito
termometro inserito tra la camicia termica ed il reattore.
Laboratorio e risultati sperimentali
Pagina 248
Ciascun reattore, coibentato con la camicia termica, viene riscaldato e
portato ad una temperatura costante grazie al calore originato dalla piastra.
Quindi la piastra provvede alla somministrazione di calore e alla miscelazione
della biomassa in digestione all’interno del reattore. Nel nostro caso, come è
possibile vedere da quanto riportato in figura 3, la prova è stata eseguita ad
una temperatura della piastra scaldante di circa 50°C e con una velocità di
miscelazione pari a 100 rpm. La scelta di tali valori ha permesso di mantenere
la temperatura dei digestori costante intorno ai 39 °C ottimale per la
proliferazione dei batteri mesofili. L’importanza del mantenimento, all’interno
del reattore, di una temperatura costante ed ottimale, e l’importanza di una
buona agitazione della miscela è stata ampiamente discussa nei capitoli
precedenti.
Ciascun reattore è collegato al proprio eudiometro attraverso un tubo
in tygon, impermeabile ai gas nelle condizioni operative testate, mentre per il
sistema di campionamento del digestato sono stati utilizzati tubi in pvc chiusi
con pinze di Hoffman, come visibile in figura 5.6.
Figura 5.6 – Pinze Hoffman sul ramo di prelievo della biomassa di campionamento
Laboratorio e risultati sperimentali
Pagina 249
� L’eudiometro
L’eudiometro è il componente della catena di misura che permette la
misurazione del volume di biogas prodotto. È costituito da una colonna
cilindrica graduata e da un imbuto separatore connessi idraulicamente.
All’interno di ciascun eudiometro è presente una soluzione acida e
salina ottenuta mediante saturazione di acqua deionizzata con cloruro di sodio
(NaCl) e con successiva aggiunta di acido cloridrico (HCl) per creare condizioni
di pH (circa 2) tali da minimizzare la solubilizzazione dell’anidride carbonica
presente nel biogas. Tale soluzione ha, infatti, il ruolo di “liquido barriera” in
quanto impedisce lo scioglimento dei composti gassosi prodotti nel processo di
digestione nella soluzione stessa.
Figura 5.7 – Collegamento tra digestore anaerobico ed eudiometro per la misurazione del biogas
prodotto
Laboratorio e risultati sperimentali
Pagina 250
La misura del biogas si basa proprio sullo spostamento, dovuto alla
pressione del gas prodotto, di questa soluzione acida salina dal cilindro
graduato all’imbuto separatore: il biogas prodotto nel reattore durante il
processo di digestione si accumula nel cilindro graduato dove è presente la
soluzione acida salina. Visto che il biogas è insolubile in tale liquido, causa (per
il principio dei vasi comunicanti) un travaso della soluzione stessa dalla colonna
all’imbuto. Si assiste quindi ad una variazione del livello del liquido all’interno
del serbatoio e ad un contemporaneo abbassamento del livello del liquido
all’interno della colonna.
L’imbuto separatore, nel quale sfoga la soluzione acida salina, si trova a
pressione atmosferica e deve essere mantenuto in posizione fissa e sempre più
alto rispetto alla colonna cilindrica.
La scala graduata dell’eudiometro viene tarata ad ogni ciclo facendo
combaciare, nelle condizioni di riposo iniziali, la parte inferiore del menisco con
lo 0. Misurando l’abbassamento del livello del liquido nel cilindro graduato
attraverso le apposite tacche di graduazione e noto il diametro interno
dell’eudiometro (6 cm), si è in grado di calcolare quanto biogas è stato
prodotto.
Figura 5.8 – Accumulo del biogas prodotto all’interno dell’eudiometro
Nella parte alta dell’eudiometro è presente un’uscita a T, ogni ramo
della quale è dotata di apposita valvola, mentre una seconda uscita è presente
Laboratorio e risultati sperimentali
Pagina 251
sul fondo per il collegamento con l’imbuto separatore. Una delle due uscite
della T è connessa al rispettivo reattore, mentre l’altra uscita viene utilizzata
per i flussaggi e per i prelievi del biogas. La scala graduata, invece, consiste in
una fascetta bianca sulla quale è stata fatta una graduazione in millimetri.
Figura 5.9 – Valvole di regolazione dei flussi presenti sull’eudiometro
La parte inferiore di ciascuna colonna è collegata al proprio imbuto
separatore mantenuto, come già detto, in posizione fissa e sempre più alto
rispetto alla colonna.
In conclusione possiamo dire che l’eudiometro non è un separatore di
gas ma un sistema a spostamento di liquido, basato sul principio dei vasi
comunicanti, nell’ipotesi che la soluzione acida salina non permetta al biogas
prodotto di sciogliersi nella soluzione stessa.
5.2. Materiali parametri e strumenti di misura
La biomassa scelta per il primo ciclo sperimentale sono stati i fanghi di
depurazione. Tale scelta è dovuta sia alla facilità di reperimento sia al fatto che
i fanghi possono essere usati, in alternativa alle deiezioni animali, come inoculo
in tutti i digestori.
Valvola di collegamento
eudiometro-digestore
Valvola per il prelievo di
biogas prodotto
Valvola per lo svuotamento
dell’eudiometro
Laboratorio e risultati sperimentali
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Per determinare quale fosse il dosaggio di ozono tale da massimizzazre
la produzione di metano ed aumentare la sedimentabilità del fango sono state
eseguite le seguenti prove batch:
- prova senza dosaggio di ozono (di seguito indicata con D0);
- prova con dosaggio 0,05 mg/l (di seguito indicata con D05);
- prova in doppio con dosaggio 0,1 mg/l di seguito indicate con D1A e D1B);
- prova con dosaggio 0,15 mg/l (di seguito indicata con D15);
- prova in doppio con dosaggio 0,2 mg/l (di seguito indicate con D2A e D2B).
- Il processo di ozonizzazione
Il dosaggio di ozono è avvenuto tramite un generatore di ozono che mediante
effetto corona trasforma le molecole di O2 in molecole di O3. Il dosaggio
dell’ozono nel fango è avvenuto all’interno di una colonna di scambio di forma
cilindrica, di diametro di circa 10 cm e di altezza di circa 1 m. I diversi dosaggi si
sono ottenuti variando il tempo di contatto tra fango ed ozono all’interno della
colonna in base alla portata del generatore che è di 5 mgO3/h.
Figura 5.10 – il processo di ozonizzazione
-I parametri monitorati
Di seguito sono riportati i parametri di processo monitorati durante la
sperimentazione in accordo con l’APHA-AWWA Standard Methods:
-Produzione biogas
Monitorizzata con eudiometri precedentemente tarati.
-Percentuali di composizione del biogas
Ozonizzatore
Colonna contenente fango in
cui gorgoglia O3
Laboratorio e risultati sperimentali
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Analisi eseguite con un cromatografo Varian STAR 3600 CX equipaggiato con un
thermal conductivity detector (TCD) ed una colonna Restek micro-impaccata (2
m lunghezza, 1 mm diametro interno).
-ST, SVT
Con muffola a 105°C per i solidi totali e 550°C per i solidi volatili totali.
-VFA
Analisi eseguite con un cromatografo Varian STAR 3600 CX equipaggiato con un flame ionization detector (FID) ed una colonna capillare Teknokroma (30 m di lunghezza, 0.53 mm di diametro interno). -IC,TC,TOC (della fase liquida).
Analisi eseguite con un analizzatore di TOC Shimadzu.
-pH, ORP.
Misure effettuate con pH-metro/conduttimetro Hanna.
-Il fango di depurazione
Il fango di depurazione utilizzato nella sessione sperimentale è proveniente
dall’impianto di depurazione di Sabaudia, provincia di Latina. Le condizioni
iniziali dei parametri monitorizzati successive al dosaggio di ozono sono
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