Università di Caserta – Dipartimento di Psicologia – CFU MODULO - PEDAGOGIA SOCIALE Pietro Boccia 1 Università di Caserta - Dipartimento di Psicologia - Modulo (6 CFU)– Pedagogia sociale (docente: Pietro Boccia) Struttura del MODULO Lezione 1 Unità di apprendimento/1 Legge n. 107/2015, riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia d’istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017) e modalità per l’acquisizione dei 24 CFU (D.M. n. 616/2017) Unità didattica/1 Analisi della Legge n. 107/2015 Unità didattica/2 Il riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia d’istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017) Unità didattica/3 Le modalità per l’acquisizione dei 24 CFU (D.M. n. 616/2017) Lezione 2 Unità di apprendimento/2 Il processo di globalizzazione, la secolarizzazione, la pedagogia sociale e la teoria della società complessa Unità didattica/1 Il processo di globalizzazione e la secolarizzazione Unità didattica/2 La pedagogia sociale Unità didattica/3 La teoria della società complessa Lezione 3 Unità di apprendimento/3
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Università di Caserta – Dipartimento di Psicologia – CFU MODULO - PEDAGOGIA SOCIALE Pietro
Boccia
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Università di Caserta - Dipartimento di Psicologia - Modulo (6 CFU)– Pedagogia sociale
(docente: Pietro Boccia)
Struttura del MODULO
Lezione 1
Unità di apprendimento/1
Legge n. 107/2015, riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia
d’istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017) e modalità per l’acquisizione dei 24 CFU (D.M.
n. 616/2017)
Unità didattica/1 Analisi della Legge n. 107/2015
Unità didattica/2 Il riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia
d’istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017)
Unità didattica/3 Le modalità per l’acquisizione dei 24 CFU (D.M. n. 616/2017)
Lezione 2
Unità di apprendimento/2
Il processo di globalizzazione, la secolarizzazione, la pedagogia sociale e la teoria della società
complessa
Unità didattica/1 Il processo di globalizzazione e la secolarizzazione
Unità didattica/2 La pedagogia sociale
Unità didattica/3 La teoria della società complessa
Lezione 3
Unità di apprendimento/3
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2
La complessità e l’autonomia delle istituzioni (famiglia e scuola)
Unità didattica/1 La complessità
Unità didattica/2 L’autonomia delle istituzioni: la famiglia
Unità didattica/3 L’autonomia delle istituzioni: la scuola
Lezione 4
Unità di apprendimento/4
La pedagogia, la pedagogia sociale e dimensioni sociali dei modelli educativi nella storia della
civiltà occidentale
Unità didattica/1 La pedagogia e le scienze dell’educazione
Unità didattica/2 La pedagogia sociale: analisi e commento dei capitoli primo e secondo del libro
Pedagogia sociale di Sergio Tramma
Unità didattica/3 Le dimensioni sociali dei modelli educativi nella storia della civiltà occidentale
Lezione 5
Unità di apprendimento/5
Cultura e territorio, socializzazione, dinamiche di esclusione/inclusione
Unità didattica/1 La cultura e il territorio: analisi e commento del capitolo terzo del libro
Pedagogia sociale di Sergio Tramma
Unità didattica/2 La socializzazione
Unità didattica/3 Le dinamiche di esclusione/inclusione
Lezione 6
La pedagogia sociale e la progettazione educativa territoriale come argine alle devianze (bullismo
e cyberbullismo)
Unità didattica/1 La pedagogia sociale e la progettazione educativa territoriale come argine alle
devianze: analisi e commento dei capitoli quarto e quinto del libro Pedagogia sociale di Sergio
Tramma
Unità didattica/2 La pedagogia sociale come argine alle devianze (bullismo)
Unità didattica/3 La pedagogia sociale come argine alle devianze (cyberbullismo)
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LEZIONE 5
Cultura e territorio (analisi e commento del capitolo
terzo del libro Pedagogia sociale di Sergio
Tramma), socializzazione, dinamiche di
esclusione/inclusione
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Il concetto antropologico di cultura
La cultura, in senso antropologico, è un insieme di norme,
di concezioni e di valori che si riscontrano all’interno di
una società.
Le diversità culturali spesso creano conflitti.
Gli antropologi e i sociologi, attraverso la teoria del
conflitto, ritengono che il cambiamento, all’interno delle
società, sia il prodotto di forme di tensione tra interessi
sociali in continua lotta gli uni contro gli altri.
Il conflitto è una condizione di conflittualità e di disagio
tra forme di sollecitazioni contraddittorie per compiere
azioni sociali contrastanti o opposte.
Esso è, pertanto, un processo sociale normale.
Si manifesta, talvolta, come uno strumento, nelle mani di
alcuni soggetti sociali, per realizzare valori e per acquisire
status in contrapposizione, anche violenta, ad altri attori
sociali.
Il conflitto non deve, però, essere confuso con la
competizione. Questa non si prefigge, per raggiungere
alcuni risultati, di demolire un avversario.
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Al fine di uscire da situazioni di conflitto, le azioni sociali
vengono organizzate diversamente da una società a
un’altra.
Esse hanno, però, significato univoco sia per chi le
compie sia per chi le subisce.
Émile Durkheim ne ha fatto notare, nel libro Le regole
del metodo sociologico, gli aspetti oggettivi; Max
Weber, invece, in Economia e società ha posto l’accento
sugli aspetti soggettivi.
Il sociologo americano Talcott Parsons ha, nel capolavoro
Il sistema sociale, proposto una forma d’interazione tra
le due posizioni precedenti.
Egli ha sostenuto che le azioni sociali si presentano, nella
coscienza collettiva, come rapporti sociali, e, nel singolo
individuo, come motivazione psicologica, tendendo a
stabilizzarsi, in forme definite, soltanto nelle istituzioni e
nei sistemi socioculturali.
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La cultura come complesso di modelli e le dinamiche di
gruppo
L’uomo, vivendo in società, acquisisce, a differenza
degli altri animali, la capacità di produrre forme di
cultura e di modificarne, attraverso il processo
d’interazione, i contenuti in funzione dei suoi bisogni e di
quelli del gruppo, in cui vive.
All’interno dei gruppi e delle società si possono realizzare
uguaglianze (processo, tramite il quale, gli individui, che
fanno parte di una determinata società o di un gruppo
hanno uguale accesso a tutte le risorse disponibili),
segmentazioni (collocazione socio/culturale in cui è posto
un individuo) e dinamiche sociali e di gruppo (fitta rete di
interrelazioni che si strutturano all’interno della società o
di un gruppo).
In tal modo, pur appartenendo a una società segmentata
o a un gruppo, si concepisce, da un lato, la libertà, come
liberty (libertà personale) e, dall’altro, l’uguaglianza,
come equality (uguaglianza sociale).
Ognuno assume, agendo, comportamenti articolati e
complessi.
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Le dinamiche più agevolmente interpretabili sono quelle
di gruppo.
I gruppi possono essere primari e secondari.
Nei primi gli uomini, interagendo con gli altri,
determinano anche dinamiche di gruppo.
I soggetti, che compongono un gruppo primario,
interagendo ordinatamente e percependosi nello stesso
tempo vicendevolmente, hanno le stesse aspettative e,
spesso, svolgono le stesse attività.
I membri di un gruppo primario si trovano, poi, nella
situazione di essere fisicamente e a livello psicologico
vicini.
Essi non devono essere considerati come una somma di
unità individuali, ma come un complesso rapporto di
relazioni tra tali unità.
Ogni membro del gruppo è caratterizzato da
irripetibili e inconfondibili forme di differenze individuali,
che sussistono durevolmente.
Tali forme, pur nella difficoltà di trovarne una
spiegazione, scientificamente attendibile, sono state
studiate soprattutto dalla psicologia sociale.
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Le forme delle differenze individuali possono essere, in
ogni modo, meglio analizzate, mettendo in relazione un
individuo con il gruppo o con le segmentazioni della
situazione socio/culturale, in cui vive.
Tra l’individuo e il gruppo si forma una fitta rete di
interrelazioni.
La struttura del gruppo non è altro che la rete di tali
interrelazioni.
Anche nei gruppi artificiali, composti di soggetti con ruoli
differenziati e gerarchici, si forma, fra tutte le unità del
gruppo, una rete di relazioni.
I minimi cambiamenti di tale struttura influenzano,
perciò, i comportamenti e le dinamiche, che si realizzano
all’interno di un gruppo.
Nei gruppi vi sono una struttura manifesta e una
affettiva; la prima è oggettiva, mentre la seconda è
costituita da legami di simpatia, di antipatia e
d’indifferenza.
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Soltanto la comunicazione, come modello di scambi
d’informazione all’interno del gruppo, appartiene tanto
alla struttura manifesta quanto a quella affettiva.
Bisogna, inoltre, considerare che, nei gruppi artificiali, i
modelli di comunicazione assumono tradizionalmente una
forma piramidale di tipo gerarchico; in tale situazione, gli
scambi d’informazione si realizzano, attraverso gli ordini,
dall’alto verso il basso e, attraverso i resoconti, dal basso
verso l’alto.
Oggi, si applicano in pratica i modelli di comunicazione di
tipo circolare o quelli di tipo radiale.
Nel modello di tipo circolare, ogni membro del gruppo
ha la stessa possibilità sia di ricevere sia di trasmettere
informazioni; nel modello di tipo radiale, emerge al centro
del gruppo un leader che assume la funzione di
coordinatore.
Per ogni soggetto, è importante appartenere a un gruppo;
l’individuo non potrebbe essere compreso senza collocarlo
nella segmentazione della società e senza considerare la
sua interazione con il sociale.
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E’ nel gruppo o nel sociale che egli non solo soddisfa il
bisogno di socializzazione, ma anche quello di autostima.
I gruppi primari sono costituiti da soggetti, che
interagiscono in modo diretto e con un coinvolgimento
profondamente emotivo; i gruppi secondari si
costituiscono, invece, quando alcuni soggetti si mettono
insieme per raggiungere scopi pratici.
I membri del gruppo secondario, generalmente, non sono
legati dal punto di vista emotivo.
Essi, al contrario dei gruppi primari, possono anche essere
vicini psicologicamente, perché hanno, in un determinato
momento, gli stessi scopi da realizzare o gli stessi bisogni
da soddisfare o manifestare, ma fisicamente distanti sia
nella stratificazione sociale sia nello spazio geografico.
Essi, in tal caso, diventano organizzazioni sociali o
associazioni di persone.
I gruppi secondari, che diventano organizzazioni sociali
o associazioni, sono di vaste dimensioni.
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Un discorso a parte meritano i gruppi dei pari (costituiti
da soggetti che hanno le stesse caratteristiche e gli stessi
interessi) e i gruppi di riferimento (costituiti da soggetti
spesso immaginari, ai quali alcuni individui fanno
continuamente riferimento).
La società moderna è, nel complesso, costituita da una
diffusa articolazione di gruppi, di associazioni e di
organizzazioni sociali.
Tutta la vita sociale, nelle società tradizionali, si svolgeva
in famiglia oppure partecipando ai riti religiosi, alle
attività di bottega e alle riunioni della comunità.
Nella società attuale, essa è, invece, dominata dalle
organizzazioni informali, che regolano e controllano la
vita dell’uomo, sin dalla nascita.
Alcune delle organizzazioni informali, nelle società
democratiche, sono volontarie e altre obbligatorie; sono
volontarie, per esempio, le organizzazioni dei partiti
politici, delle associazioni culturali, religiose e
professionali, mentre sono obbligatorie l’organizzazione
militare, la scuola dell’obbligo e le strutture carcerarie.
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Alle prime ognuno può aderirvi o allontanarsene
liberamente; alle seconde l’individuo è “obbligato” o
costretto dallo stato a farne parte.
Negli ultimi anni, soprattutto in Italia, si sono diffuse
anche numerose associazioni di volontariato di piccola e
media dimensione, che si dedicano alla promozione,
attraverso il valore della solidarietà, di alcune finalità
sociali.
b. La dinamicità culturale e la creatività
L’uomo ha una predisposizione innata a socializzare.
Tale predisposizione, però, senza un ambiente adeguato,
non riuscirebbe a svilupparsi.
L’essere umano interiorizza il proprio ambiente e, in tal
modo, s’incultura.
La cultura non è soltanto forma d’idealità, di linguaggio,
di comunicazione, di progresso tecnologico, di fatto
storico e di ogni espressione artistico/letteraria ma, intesa
in senso antropologico, è anche un insieme di valori, di
norme e di concezioni, che ognuno, socializzando,
acquisisce, attraverso il processo di apprendimento.
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I valori sono rappresentazioni astratte e collettive,
attinenti a considerazioni più o meno trasparenti e
manifeste di ciò che è buono o giusto; le norme sono,
invece, aspettative in base alle quali tutti si attendono
che, in una determinata società, i comportamenti degli
uomini si svolgano in un certo modo.
Gli uni e le altre sono di fondamentale importanza per la
convivenza umana.
L’essere umano si socializza ai modelli culturali
dell’ambiente in cui vive direttamente e indirettamente.
S’incultura, apprendendo valori, norme e concezioni del
proprio ambiente, e si accultura, recependo i fenomeni
culturali non autoctoni.
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La cultura, infine, si apprende e si trasmette
diffusamente, comunicando e interagendo su tre
dimensioni:
- nel tempo, quando viene trasmessa e lasciata in eredità
da una generazione a un’altra;
- nello spazio geografico, quando è trasmessa e diffusa da
una società a un’altra, da una città a un’altra, dalla città
alla campagna e viceversa;
- nello spazio sociale, quando è trasmessa e diffusa
nell’ambito della stratificazione sociale.
I valori e la cultura hanno la possibilità di trasformarsi
in dispositivi ad hoc, per costruire una società, eretta non
solo sulla convivenza democratica, ma anche sulla
consapevolezza che la diversità etnica e culturale, quando
non supera la soglia di contaminazione, diventa, per
tutti, una ricchezza e una risorsa per la crescita
individuale e per la maturazione sociale.
Ognuno avrebbe, così, l’opportunità di condividere o di
fondare valori e di acquisire sempre maggiori conoscenze.
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Le une e gli altri rappresentano i pilastri per vivere, con
equilibrio, nella complessa società di oggi, conflittuale e
soggetta a veloci trasformazioni.
I valori sono punti di riferimento e tracciano la rotta alla
quale tendere; le conoscenze, ottenute attraverso
l’applicazione allo studio e l’esperienza, sono, invece, la
strada maestra, non solo per trasformare, gradualmente,
in meglio ma anche per migliorare, in maniera continua,
l’intero corpo sociale.
I primi non devono porsi in contrapposizione alle
seconde; i valori, quando non si avvalgono delle
conoscenze, generano mostri (nel Medioevo, ad esempio,
gli uomini, anche se in possesso di saldi valori, come la
solidarietà, la carità cristiana e l’amore per il prossimo,
erano ignoranti e per questo motivo si trasmettevano tra
loro facilmente malattie contagiose).
Se le società tradizionali avessero conosciuto
scientificamente le cause di tali patologie, la peste, ad
esempio, non avrebbe potuto mietere tante vittime.
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Anche le conoscenze senza i valori producono mostri.
Nel Novecento, per esempio, la coltissima Germania ha
prodotto le mostruosità del nazismo.
Il tedesco era un popolo di filosofi, di scienziati e di
artisti, ma ha prodotto una delle nefandezze del secolo
XX, perché nel periodo del nazismo sono mancati i valori
della libertà, della pace, della solidarietà tra i popoli,
della giustizia sociale e, soprattutto, della consapevolezza
che l’essere umano è limitato e, per tale motivo, non
possiede verità da imporre agli altri.
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Lo status e il ruolo sociale nella
differenziazione/stratificazione della cultura
In ogni società gli uomini, comunicando e interagendo,
socializzano e, di conseguenza, assumono posizioni sociali
che, dopo averli acquisiti e interiorizzati, sono costretti,
talvolta anche senza rendersi conto, a recitare.
Una posizione sociale è circoscritta al posto che uno
occupa in un gruppo o nella società in rapporto agli altri.
L’uomo, quando entra in rapporto con gli altri, cerca di
capire, per presupporne l’eventuale comportamento, la
loro posizione sociale.
Se un soggetto conoscesse la posizione sociale di un suo
interlocutore, non solo potrebbe prevederne il
comportamento, ma anche stabilire quale atteggiamento
assumere nei suoi confronti.
Numerose sono, poi, oggi, le posizioni sociali che un
soggetto potrebbe occupare simultaneamente.
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Al progredire della società aumenta anche il numero delle
posizioni da occupare.
Una posizione, quando è valutata in un certo modo
dagli altri, diventa status; lo status è un concetto relativo
e rappresenta, nel linguaggio sociologico, il livello di
valutazione di ogni posizione.
Esso può essere ascritto oppure acquisito; è ascritto,
quando è predisposto e non potrà mai essere modificato.
Alcuni status (maschio o femmina) sono fissati dalla
nascita.
Nelle società tradizionali, quasi tutti gli status erano
ascritti.
Lo status, quando è ascritto, viene imposto all’individuo
dalla stessa società.
Gli status acquisiti comportano, invece, l’opportunità di
compiere delle scelte e di essere, in maniera consapevole,
protagonisti delle proprie azioni (per esempio, scegliere di
laurearsi in Psicologia o in Sociologia significa acquisire lo
status di psicologo o di sociologo).
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Lo status acquisito, come indica lo stesso nome, si basa su
una scelta individuale.
Un soggetto, in tal modo, acquisisce il proprio lavoro
sulla base delle proprie capacità e delle proprie attitudini.
Ogni status sociale è, poi, sempre accompagnato da un
ruolo; questo è una norma specifica, che può essere
definita come un’aspettativa di un comportamento,
collegata alla posizione che è occupata all’interno della
società.
Il ruolo è, quindi, un comportamento istituzionalizzato;
esso, come norma specifica, è un’aspettativa bilaterale:
ognuno deve comportarsi in maniera corrispondente a
una certa posizione sociale; tale comportamento è
soggetto a una continua verifica.
Il ruolo è un’aspettativa di un certo comportamento, che
si pone come passaggio tra il punto di vista sociologico e
quello psicologico.
L’uomo assume, in modo chiaro, comportamenti non
conformi e li manifesta anche all’esterno (per esempio,
vestendosi in un certo modo o portando con sé
determinati oggetti).
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Ognuno, soltanto così, riesce a mettere in pratica il
proprio ruolo e a integrarsi nelle istituzioni sociali.
Se tendono tali caratteristiche a persistere nel tempo, si
può parlare anche di attributi di ruolo; nel caso che esse
siano soggette a mutare e a diventare qualcosa di diverso,
si dovrà parlare di simboli di status.
Un attributo di ruolo individua la differenza di posizione
tra chi occupa un posto in una determinata società e gli
altri; i simboli di status indicano, al contrario, la
differenza di posizione.
Nella vita sociale, l’uomo non occupa una sola posizione,
ma un set di posizioni; possono, così, sorgere tensioni e
conflitti di non facile soluzione.
Dai conflitti di posizione si sviluppano, dunque, altri tipi
di conflitto non facilmente sostenibili.
Questi si verificano, quando s’incuneano in uno stato di
conflitto ruoli diversi dello stesso set di posizione e di altri
set di un individuo.
Il conflitto di ruolo è una situazione di conflitto, che un
soggetto, svolgendo contemporaneamente più ruoli,
subisce.
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In alcune circostanze, ci si trova nella situazione
d’interpretare ruoli incompatibili tra loro, attivando una
forte situazione di stress, come, per esempio, in una
donna, il conflitto tra il ruolo di madre e quello
d’insegnante; la donna, che si trova a occupare entrambe
le posizioni, è, spesso, in una posizione di disagio, giacché
i due ruoli comportano impegni contrapposti e
alternativi.
Per la madre, l’attenzione è rivolta al figlio e alla
famiglia; per l’insegnante, l’interesse principale è, invece,
rivolto all’alunno, alla scuola e al lavoro.
E’ opportuno che tali conflitti siano risolti subito oppure
bisogna, quando non ci si riesce, diluirli nel tempo;
altrimenti potrebbero trasformarsi in disagi psicologici o
in stress di ruoli.
L’uomo potrebbe, in parte, attenuare i conflitti di
ruolo, tramite la socializzazione.
Ognuno, attraverso tale processo, potrebbe, interagendo
con gli altri e comprendendo le loro posizioni sociali,
assumere opportunamente i propri status nei gruppi e
nelle organizzazioni sociali, acquisendone e svolgendone,
in maniera attiva ed efficace, i ruoli.
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Analisi e commento del capitolo terzo (Il territorio) del
libro Pedagogia sociale di Sergio Tramma
Lo spazio vissuto
Le precedenti considerazioni sulla complessità dei
soggetti, la descolarizzazione, l’educazione permanente,
l’animazione e le dimensioni comunitarie, hanno sempre
enfatizzato il territorio intendendolo come quotidiano e
complesso sistema di vita dei soggetti, e, in quanto tale,
l’ambito di riferimento teorico e operativo per le
riflessioni e le azioni riguardanti la pedagogia sociale.
Se il termine territorio, da una parte, registra la realtà, e
dall’altra la crea, si pone allora la questione di concordare
preventivamente ciò che all’incirca è possibile intendere
come territorio.
Va innanzitutto detto che si tratta di un termine
ampiamente usato nelle politiche educative, ma non è
certo di esclusiva pertinenza della pedagogia sociale,
poiché è usato in
molte discipline così come dal linguaggio militare e
dall’ordine pubblico.
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Vanna Iori, nell’affrontare il tema dello spazio educativo,
approfondisce la distinzione tra lo spazio ritenuto
omogeneo e astratto e quello ritenuto vissuto e concreto.
Il primo è affrontato, concettualizzato e sistematizzato
dal pensiero scientifico e filosofico allo scopo di
razionalizzarlo e di controllarlo cognitivamente; il
secondo è uno spazio vissuto diversamente da ogni
soggetto, elaborato differentemente da ogni società classe
sociale e cultura in relazione alle loro diverse concezioni,
immagini, rappresentazioni, e in relazioni agli intenti
trasformativi rispetto a esso.
Per il progettista lo spazio è astratto, è mediato dal
progetto, è concettuale, abitato da entità umane
prevedibili nelle loro aspirazioni e nei loro
comportamenti, lo spazio è quello euclideo, razionalmente
divisibile, geometricamente configurabile.
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Per l’utilizzatore di quegli spazi, per colui che li
frequenterà quotidianamente in tutte le loro sfumature e
contraddizioni, in tutte le loro aperture e chiusure, lo
spazio organizzato è concreto, costituisce una sfera
all’interno della quale egli si muove e che in certo modo si
muove con lui, si modifica nel corso e a causa dei suoi
spostamenti, è una dimensione esistenziale.
L’ambiente dunque non può essere considerato soltanto
un insieme di elementi fisici, in parte neutrali e in parte
artificiali, ma è un contesto nel quale si realizzano le
esperienze vive delle persone.
Il comportamento umano si costruisce, si esplica, si pensa in
uno spazio esistenziale più che geometrico e quindi è influenzato
più che dallo spazio in sé, dalle rappresentazioni simboliche che
di tale spazio si è dato, durante la storia, il gruppo che lo vive.
Concepire il territorio come un luogo vissuto più che come
spazio geometrico-architettonico implica che, come per molte
altre questioni affrontate, la pedagogia sociale sia costretta ad
assumere faticosamente in sé molti sguardi, definizioni e usi
parziali, per produrre una sintesi teorica e operativa che tenga
conto degli intrecci tra le diverse dimensioni del territorio nelle
quali i soggetti vivono al fine di cogliere l’insieme dei processi
educativi che vi sono ospitati per delineare percorsi d’intervento
pedagogicamente pensati e impostati.
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La conoscenza del territorio
La conoscenza del territorio diventa un requisito
essenziale per qualsivoglia intenzione educativa che in
esso si collochi, ma nello stesso tempo, tale processo di
conoscenza, se non considerato una mera operazione
tecnica di raccolta e catalogazione d’informazioni, può
divenire, se opportunamente governato, un’efficace
modalità di coinvolgimento, partecipazione e formazione
dei soggetti cui il lavoro educativo è rivolto.
La riflessione rispetto alla conoscenza del territorio
ripropone ovviamente la questione riguardante il come,
con quali strumenti e con quanta attendibilità sia
possibile cogliere oggettivamente una data situazione da
parte di un osservatore, cioè come sia possibile attivare
una conoscenza esatta, derivante soprattutto da
misurazioni di tipo quantitativo, indipendenti dalle
interpretazioni di chi osserva.
Il processo di conoscenza dunque include chi conosce, il
quale è o dovrebbe essere consapevole di promuovere
operazioni di descrizione e comprensione di ciò con cui è
in relazione.
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Nell’interazione soggetto-spazio è il primo che dà senso, e
quindi fa esistere lo spazio che è spazio per l’uomo, spazio
vitale, intrinsecamente legato alle possibilità
dell’esistenza, parcellizzato in una molteplicità di micro-
spazi dell’esperienza quotidiana.
Il territorio è da intendersi dunque come uno spazio in cui
sono presenti diversi elementi, materiali e immateriali,
antichi e recenti, modificabili e non, che interagiscono tra
di loro.
Pertanto il territorio, per la sua stessa natura, non può
che essere letto sistematicamente, cioè come un insieme
costituito dalle relazioni tra le sue componenti, non
scomponibile, se non per utilità operativa.
Il territorio è sì una complessità, ma una complessità che
in pedagogia sociale non può essere solo dichiarata e
contemplata, bensì deve essere praticata attraverso
azioni tendenti a cambiarne parti e relazioni tra le parti.
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Le mappe del territorio
La conoscenza del territorio è infatti:
- analisi da parte del soggetto conoscente delle proprie
teorie e rappresentazioni del territorio e degli altri
soggetti direttamente o indirettamente coinvolti;
- conoscenza astratta, concettuale del territorio inteso
come ambiente di vita ed educativo, e al contempo
conoscenza concreta, riferita al qui e ora di quel
territorio;
- inquadramento generale di un dato territorio,
indipendentemente dal particolare intervento che
s’intende ideare e realizzare, e al contempo conoscenza
particolare che si pone riguardo allo specifico progetto
educativo che s’intende realizzare;
- acquisita sia preventivamente a qualsiasi attuazione
pratica, sia continuamente nel corso dell’operare.
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