UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di laurea di 1° livello dell’area sanitaria C.L. in FISIOTERAPIA LE LESIONI MUSCOLARI TRAUMATICHE DELL’ARTO INFERIORE DELLO SPORTIVO: IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO Relatore Prof. Tesi di Sandro Cortini Alberto Marcheselli ANNO ACCADEMICO 2005-2006
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Medicina e ... · • Classificazione delle lesioni ... vari recettori periferici situati un po ... Nel connettivo interposto tra
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di laurea di 1° livello dell’area sanitaria
C.L. in FISIOTERAPIA
LE LESIONI MUSCOLARI TRAUMATICHE DELL’ARTO
INFERIORE DELLO SPORTIVO: IL TRATTAMENTO
RIABILITATIVO Relatore Prof. Tesi di
Sandro Cortini Alberto Marcheselli
ANNO ACCADEMICO 2005-2006
INDICE Pagina RIASSUNTO 2 INTRODUZIONE
• Anatomia del muscolo scheletrico 3 • Fisiologia e biomeccanica del muscolo scheletrico 8 • Fibre muscolari e unità motorie 13 • Eziologia e patogenesi delle lesioni muscolari 16 • Epidemiologia 23 • Classificazione delle lesioni muscolari 24
LE TERAPIE FISICHE 36 LA RIEDUCAZIONE FUNZIONALE 44 LE COMPLICANZE 60 LA PREVENZIONE 63 BIBLIOGRAFIA 72
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RIASSUNTO
Il muscolo scheletrico non deve essere concepito come un organo estrapolato
dall’apparato locomotore ed indipendente dai complessi meccanismi di controllo
motorio. Possiamo considerarlo come un motore in grado di trasformare energia
chimica in energia meccanica. Tale motore supportato dalla leva scheletrica
produce un lavoro che controlla la postura e promuove il moto del corpo e delle
sue parti rispetto all’ambiente esterno. Questa attività è determinata da stimoli che
provengono dal Sistema nervoso centrale e sono integrati da altri provenienti dai
vari recettori periferici situati un po’ dappertutto e che forniscono le informazioni
necessarie per eseguire un determinato compito motorio.
In ambito sportivo le lesioni muscolari acute sono di frequente riscontro in tutte
le discipline sportive e la loro incidenza è calcolata tra il 10 ed il 30% di tutti i
traumi da sport.
Il trattamento delle patologie muscolo-tendinee comprende una prima fase in cui è
necessario favorire una “restitutio ad integrum” anatomica del tessuto lesionato
seguita da una fase successiva di recupero della funzione.
E’ quindi fondamentale l’approccio multidisciplinare dove il ruolo della terapia
fisica strumentale costituisce un valido supporto alle tecniche manuali e
all’esercizio terapeutico senza tralasciare l’importanza della prevenzione.
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INTRODUZIONE
Anatomia del muscolo scheletrico
Macroscopicamente il muscolo scheletrico si presenta costituito da una parte
carnosa (ventre muscolare), che può assumere diverse forme, e da una parte
tendinea, in continuità con esso, che si inserisce col suo lato terminale sul tessuto
osseo (Non tutti i muscoli scheletrici si inseriscono effettivamente con i loro
tendini sui segmenti ossei; ad esempio i muscoli pellicciai, che consentono i
movimenti della pelle, presentano formazioni tendinee che si inseriscono sulle
strutture profonde della cute e su fasce connettivali). Ogni muscolo è avvolto da
una fascia di connettivo denominata epimisio sotto al quale è possibile notare
‘pacchetti’ di fibre muscolari chiamati fasci tutti avvolti da connettivo che prende
il nome di perimisio. Si arriva poi alla fibra muscolare rivestita di una sua
membrana connettivale l’endomisio.
Nei setti connettivali posti tra i fasci muscolari decorrono i vasi ematici, che
formano a livello dell’endomisio, una rete capillare attorno alle singole
fibrocelllule muscolari. Le strutture vascolari presentano la caratteristica di
adattarsi alla lunghezza del muscolo, per questo sono di aspetto tortuoso nel
muscolo contratto ed allungate nel muscolo disteso. Il distretto circolatorio della
muscolatura scheletrica è, infatti, uno dei più estesi di tutto l’organismo. Il flusso
sanguigno che vi fluisce è però ampiamente variabile, è regolato sulla base di
esigenze funzionali, da arteriole terminali, provviste di innervazione simpatica
vasomotoria. Ciò spiega l’elevata frequenza di versamento ematico in caso di
lesione traumatica della massa muscolare.
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Nel connettivo interposto tra le fibre decorrono quindi anche i nervi, costituiti da
fibre motorie e sensitive.
I muscoli possono essere classificati secondo vari criteri, quali la forma(fusiformi,
orbicolari, ecc.), il numero dei capi di origine (bicipiti, tricipiti, quadricipiti),
oppure secondo la differente modalità d’inserzione delle fibre muscolari sul
tendine (a fibre parallele o pennati). Esistono inoltre classificazioni che si basano
su criteri funzionali, quali il tipo di movimento effettuato rispetto ad un piano di
riferimento (flessori, adduttori, ecc.) oppure il numero di articolazioni che
possono essere mosse direttamente (monoarticolari, biarticolari, pluriarticolari).
Microscopicamente il tessuto muscolare striato è costituito da cellule
plurinucleate, di forma cilindrica e allungata, denominate fibre muscolari. Ogni
fibra muscolare può avere un diametro compreso tra 10 e gli 80 micrometri.
Come ogni cellula la fibra muscolare è circondata da una membrana cellulare
denominata sarcolemma. Ciò che caratterizza la cellula muscolare scheletrica, è il
suo alto contenuto di proteine, organizzate in strutture fibrillari, denominate
miofibrille che si presentano fittamente stipate all’interno della fibra muscolare.
La sostanza gelatinosa che occupa lo spazio tra le miofibrille è il sarcoplasma,
ossia il costituente fondamentale della cellula muscolare, contiene, disciolti in
soluzione, proteine, minerali, glicogeno, lipidi e differenti organuli necessari alla
vita cellulare. All’interno del sarcoplasma, tra le miofibrille, è presente un sistema
tubulare, che deriva da invaginazioni del sarcolemma e che permette all’onda di
depolarizzazione di propagarsi, senza latenze, all’interno della fibra. Tale sistema
è in stretto contatto con il reticolo sarcoplasmatico costituito da una rete di canali
membranari che sono disposti parallelamente ed intorno alle miofibrille con la
funzione di contenere gli ioni calcio, i quali sono essenziali durante il meccanismo
della contrazione muscolare.
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Figura 1. Miofibrilla e sarcomero.
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La miofibrilla, che rappresenta l’elemento contrattile della fibra muscolare, può
essere suddivisa in numerose sub-unità denominate sarcomeri. Al microscopio
elettronico, il muscolo scheletrico presenta delle classiche alternanze di zone
chiare e di zone di aspetto più scuro. Per questo è anche chiamato muscolo striato.
Questa striatura è dovuta all’alternanza di bande chiare, chiamate bande I
(isotrope) e di bande scure, chiamate bande A (anisotrope). Ogni banda A
presenta al centro una regione meno densa, denominata zona H e visibile solo nel
muscolo rilassato. Anche le bande I presentano al centro una stria scura, detta
linea Z. La porzione di miofibrilla compresa tra due strie Z costituisce il
saromero, il quale è considerato la più piccola unità funzionale del muscolo
scheletrico.
Sempre con il microscopio elettronico sono visibili due tipi di filamenti all’interno
del sarcomero: filamenti spessi, all’interno della banda A e filamenti sottili che
originano dalla linea Z e si vanno ad inserire tra due filamenti spessi adiacenti,
verso la zona H. I filamenti spessi sono costituiti da miosina, proteina ad alto peso
molecolare che a sua volta costituisce circa i due terzi del contenuto proteico
totale del muscolo scheletrico. Un filamento di miosina è formato da circa 400
molecole di miosina intrecciate tra loro, ognuna delle quali è suddivisa in due
subunità, dette di meromiosina leggera e di meromiosina pesante. Quest’ultima
contiene numerose terminazioni globulari (le teste della miosina), che
costituiscono la subunità S1, dotata di attività ATP-asica e che contiene il sito di
legame con l’actina. Al momento della contrazione, le teste della miosina che
protrudono verso le molecole di actina andranno a formare i ponti tra i filamenti
spessi e quelli sottili. I miofilamenti sottili sono composti da molecole di actina,
una proteina globulare, avvolta a doppia elica, che origina dalle linee Z, che a loro
volta sono costituite da una forma di actina detta actinina. Ogni molecola di actina
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contiene un sito di legame per la testa della miosina che, in condizioni di riposo, è
bloccata da altre due proteine, la tropomiosina e la troponina. Altre proteine
presenti nel muscolo sono: la titina, la nebulina e la connettina; la loro funzione è
quella di stabilizzazione e centraggio del sarcomero nel corso della contrazione
stessa.
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Fisiologia e biomeccanica del muscolo scheletrico
Il muscolo scheletrico può essere paragonato ad un motore, che trasforma
l’energia chimica in esso contenuta come adenosintrifosfato (ATP), in energia
meccanica, agendo sul sistema di leve scheletriche. Il lavoro meccanico così
prodotto, è utilizzato per promuovere il moto del corpo e delle sue parti rispetto
all’ambiente esterno e per l’attività posturale.
L’attività del sistema muscolare è determinata da una componente centrale, o
nervosa, e da una componente periferica o muscolare.
L’impulso nervoso, originato centralmente e trasportato dai motoneuroni,
perviene a livello della placca motrice e si propaga all’interno della fibra
muscolare grazie al sistema tubolare membranoso. Il potenziale d’azione e la
conseguente depolarizzazione della membrana della fibra muscolare, determinano
la liberazione degli ioni calcio dal reticolo sarcoplasmatico. Questi, interagendo
con il sistema di regolazione troponina-tropomiosina, provocano la liberazione del
sito attivo sull’actina e conseguentemente la formazione dei ponti actomiosinici.
Una volta stabilito il contatto tra l’actina e la testa della miosina, questa
immediatamente ruota nella direzione che provoca un accorciamento del
sarcomero (contrazione concentrica), attraverso lo scorrimento dei filamenti di
actina sui filamenti di miosina. E’ interessante notare che ciascun sarcomero può
accorciarsi per non più del 50% della sua lunghezza di riposo.
Durante la contrazione muscolare, i ponti sono continuamente formati e scissi a
patto che sia disponibile una certa quantità di ioni calcio e di ATP. Anche il
rilassamento, una volta cessato lo stimolo nervoso che ha provocato la contrazione
muscolare, avviene attraverso un meccanismo attivo che necessita di ATP per
riportare gli ioni calcio all’interno del reticolo sarcoplasmatico, ripristinando
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l’effetto inibitorio del sistema troponina-tropomiosina, e soprattutto per la
scissione dei ponti actomiosinici. E’ evidente quindi, che i deficit di risintesi di
ATP (tipici dell’affaticamento) e le condizioni che impediscono il reuptake del
calcio, implicano una difficoltà a rilassare il muscolo in esercizio.
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Figura 2. Fisiologia del muscolo scheletrico.
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Dal punto di vista biomeccanico, la forza muscolare è il risultato della somma
delle forze prodotte dai ponti actomiosinici di un determinato muscolo, in un
determinato momento. Queste dipendono dai rapporti che si vengono ad
instaurare tra i filamenti di actina e di miosina nell’ambito del sarcomero, che a
loro volta dipendono dalla lunghezza del sarcomero, dalla sua velocità di
contrazione e dal numero di sarcomeri in parallelo.
Per sarcomeri in serie si intendono i sarcomeri situati uno dopo l’altro, per una
certa lunghezza, che non è altro che la lunghezza della fibra muscolare. Per
sarcomeri in parallelo si intendono i sarcomeri situati uno sopra l’altro ed
appartenenti a fibrille diverse, cosicché il numero di sarcomeri in parallelo
determina la superficie di sezione del muscolo.
Prendendo in considerazione la tensione prodotta in condizioni isometriche e la
lunghezza del sarcomero si può affermare che esiste una lunghezza ottimale alla
quale il sarcomero è in grado di esprimere la sua tensione massimale. Con
lunghezze maggiori o minori della lunghezza ottimale, lo stesso sarcomero
esprime sempre tensioni inferiori, poiché il massimo numero di ponti che può
essere formato è sempre minore rispetto alla lunghezza ottimale. Anche la forza
muscolare in vivo, dipenderà quindi dalla possibilità di formare ponti
actomiosinici.
La forza massima del muscolo dipende in sintesi dalla superficie di sezione
muscolare(cioè dai sarcomeri in parallelo), mentre la velocità di accorciamento
dipenderà dalla lunghezza del muscolo(cioè dai sarcomeri in serie). Dal punto di
vista funzionale, l’ipertrofia muscolare andrà intesa principalmente come un
aumento dei sarcomeri in parallelo, ma anche un aumento dei sarcomeri in serie
può essere considerato una forma di ipertrofia.
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Per avere un’idea quantitativa della massa muscolare in relazione alla sua capacità
di generare forza, i fisiologi muscolari sono soliti parlare di tensione specifica. E’
questa una grandezza che deriva dal rapporto tra la forza esercitata da un muscolo
e la sua superficie di sezione fisiologica. Per superficie di sezione fisiologica si
intende l’area di sezione muscolare condotta ortogonalmente all’asse
longitudinale delle fibre ed indicativa del numero di sarcomeri in parallelo. Essa è
maggiore nei muscoli nei quali le fibre non si continuano direttamente nel tendine,
ma formano con esso un certo angolo, denominato angolo di pennazione, per
questo questi muscoli sono detti pennati.
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Fibre muscolari ed unità motorie
Le fibre muscolari vengono distinte in fibre rosse o del I tipo, e fibre bianche, o
del II tipo, sulla base dell’aspetto assunto in relazione all’attività ATP-asica
posseduta dalla miosina. Dal punto di vista funzionale si è osservato che a questa
elevata la viscosità muscolare e tendinea, pregiudica la coordinazione e comporta
un precoce intervento del metabolismo anaerobico, con aumento del debito di
ossigeno.
Un particolare aspetto del difetto di allenamento riguarda la flessibilità.
Un’insufficiente flessibilità comporta un eccessivo stiramento dell’unità muscolo-
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tendinea che diventa evidente negli esercizi di velocità, che necessitano di ampie
escursioni articolari, da percorrere velocemente. La flessibilità inoltre può essere
compromessa dalla fatica che tende ad indurre una maggior rigidità muscolare.
La fatica
La fatica può essere definita come l’incapacità di mantenere nel tempo una
determinata prestazione. Tale incapacità deriva in parte dall’impossibilità di
risintetizzare l’ATP alla stessa velocità con cui viene utilizzato per fornire energia
per gli esercizi intensi, ed in parte dall’accumulo di lattato. In realtà l’acidosi
durante l’esercizio, è sempre tamponata e solo in alcuni casi, provoca l’inibizione
di alcuni enzimi necessari per l’utilizzo delle vie metaboliche glicolitiche, che
sono deputate a fornire, in breve tempo, elevate quantità di energia. L’aumento
della lattacidemia oltre i valori di normalità, è indicativo di un ricorso ai
meccanismi energetici anaerobici. Tali meccanismi sono caratterizzati da
un’elevata potenza, ma da una scarsa capacità. Di conseguenza un ricorso precoce
a queste vie metaboliche, provocherà uno stato di affaticamento generale, e
soprattutto localizzato, che può divenire il terreno favorente una lesione
muscolare. In questi casi il meccanismo di azione viene fatto risalire ad un deficit
energetico, che si esplica nell’incapacità di fornire l’ATP necessario per staccare i
ponti actomiosinici. Il muscolo o una porzione del muscolo, rimane rigido e non è
più utilizzabile durante i normali cicli stiramento-accorciamento e accorciamento-
stiramento.
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Condizioni atmosferiche
Possono avere rilevanza come fattori favorenti le lesioni muscolari, anche le
condizioni atmosferiche, soprattutto il freddo, che determina un’azione
vasocostrittrice, responsabile di una minor irrorazione muscolare e di un minor
apporto energetico, con conseguente precoce insorgenza della fatica, soprattutto
nei soggetti non adeguatamente allenati e non adeguatamente alimentati. Lo stato
del terreno cui non si è abituati (fango, ghiaccio), può favorire fenomeni di
incoordinazione motoria che predispongono alla lesione muscolare.
Velocità di movimento
Un fattore predisponente sembra essere in tutti i casi la velocità elevata del
movimento ed in particolare la rapidità di accelerazione. Ciò è confermato
dall’osservazione che spesso le lesioni muscolari si producono negli atleti
ipertrofici, ricchi di fibre muscolari rapide, e comunque nei muscoli che
presentano un’elevata percentuale di fibre rapide(Garrett, 1984; Jonhagen, 1994).
Tali muscoli sono in genere più superficiali ed hanno la caratteristica di essere bi-
o pluri-articolari. Inoltre, un muscolo rapido utilizza prevalentemente il
metabolismo anaerobico e quindi risulta più facilmente affaticabile.
Condizioni patologiche post-infettive
Notevole importanza nella predisposizione alle lesioni muscolari è attribuita
anche ai fenomeni flogistici. E’ stato osservato che le lesioni muscolari si
verificano con una certa frequenza in atleti che tornano all’agonismo dopo
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un’assenza, anche breve, per malattia infettiva batterica o virale. In tali casi si
produrrebbero nel muscolo alterazioni metaboliche legate alla diminuzione
dell’ATP o del glicogeno, all’aumento dei radicali liberi, oppure allo scadimento
della forma fisica con conseguente maggior affaticamento generale e localizzato.
Fattori articolari
Una situazione del tutto particolare è quella dei muscoli bioarticolari. Infatti,
quando un muscolo bioarticolare produce tensione, vengono generati momenti di
forza attorno ad entrambe le articolazioni sulle quali il muscolo agisce, tali
momenti di forza differiscono a seconda delle diverse distanze che li separano
dalle inserzioni prossimale e distale dei rispettivi assi di rotazione. È chiaro che
esiste un’interazione tra le varie strutture, cosicché ogni articolazione risponde
con il massimo momento di forza esprimibile per un dato livello di tensione
muscolare. Tuttavia, durante il movimento varia sia la lunghezza del muscolo che
il braccio di leva, per cui si vengono a creare situazioni nelle quali la forza
generata risulta insufficiente per sostenere il carico. Tali evenienze possono
diventare estremamente pericolose se una porzione del muscolo si contrae
concetricamente e un’altra eccentricamente.
Squilibri muscolari
Gli squilibri muscolari interessano le lesioni traumatiche indirette dell’apparato
locomotore, possono essere a carico di: gruppi muscolari antagonisti (es. estensori
e flessori del ginocchio), gruppi muscolari sinergici (es. catena muscolare
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estensoria arto inferiore), gruppi muscolari controlaterali (es. ischio peroneo
tibiale di destra e di sinistra). Tali squilibri possono riguardare la forza
concentrica la forza eccentrica, il rapporto tra forza concentrica ed eccentrica
nell’ambito di uno stesso gruppo muscolare o di gruppi muscolari antagonisti
(Jonhagen, 1994). Lo squilibrio muscolare inoltre può riguardare le capacità di
esprimere forza massima, oppure la resistenza e quindi l’affaticabilità.
L’età
L’età è sicuramente una delle condizioni che predispone alle lesioni muscolari da
trauma indiretto, essa determina modificazioni del tessuto muscolare nell’ambito
del quale le unità motorie subiscono un riarrangiamento, che consiste nella
reinnervazione delle fibre muscolari nelle quali il processo di invecchiamento ha
determinato la denervazione. Le unità motorie superstiti risultano costituite da un
maggior numero di fibre muscolari, con conseguente maggior difficoltà a
graduare l’intensità della forza.
2) Condizioni determinanti
Traumi contusivi
Il meccanismo che produce la lesione indica sempre un’azione pressoria violenta,
di intensità variabile. Walton e Rothwell (1996) ritengono che il trauma
contusivo, agendo nella sola area di applicazione della forza traumatica, determina
la lesione di un numero di fibre muscolari proporzionale sia all’entità della forza
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agente, sia al flusso ematico presente nel muscolo al momento del trauma.
Kouvalchouck (1992) sostiene, che in condizioni di rilasciamento, il muscolo
sarebbe meno vulnerabile agli insulti traumatici, mentre, in stato di contrazione
massimale, si realizzerebbero lesioni più gravi, sino alla rottura totale del ventre
muscolare. In particolare lo stato del muscolo influenza l’entità della lesione,
quando la contusione colpisce la giunzione muscolo-tendinea.
Traumi indiretti
I fattori determinanti le lesioni muscolari da trauma indiretto sono varie e spesso
di difficile identificazione, anche se in tali meccanismi sembra essere sempre
implicata un’azione muscolare eccentrica(Garrett, 1998). Considerando che
l’azione eccentrica viene effettuata per controllare il movimento e soprattutto per
frenare, è ipotizzabile che gran parte delle lesioni muscolari derivino da un
controllo inadeguato del movimento, ed in particolare della fase di decelerazione.
Si parla di contrazione eccentrica quando la tensione espressa dal muscolo è
minore della resistenza esterna, il muscolo viene forzatamente allungato.
La rottura si verifica per un’azione dinamica passiva cioè per un mancato
rilasciamento del muscolo antagonista, oppure per un’azione dinamica attiva cioè
per eccesso di contrazione del muscolo agonista.
L’aumento di tensione che provoca la rottura varia secondo lo stato funzionale e
trofico del muscolo. A volte la causa determinante è data da un ‘falso
movimento’, cioè dall’esecuzione errata di un dato movimento o gesto atletico.
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Epidemiologia
Le lesioni muscolari sono tra gli eventi traumatici più frequenti nella pratica
sportiva agonistica e amatoriale. Tuttavia è difficile tracciare una mappa
epidemiologica, perché nella maggior parte dei casi lo sportivo ricorre alle cure
dello specialista solo in caso di lesioni importanti o in fase tradiva, dopo la
comparsa di complicanze post-traumatiche. Crisco e coll. (1994) riportano
un’incidenza delle lesioni muscolari fino al 90% rispetto ad altri traumi in alcuni
tipi di sport; tale elevata percentuale sarebbe da correlare ad una inadeguata
metodologia di allenamento, ad errori tecnici, all’uso scorretto di attrezzature e/o
accessori. In un recente studio, Volpi e coll. (2004) hanno riscontrato
un’incidenza del 30% dei traumi muscolari nei calciatori professionisti e la
lesione si verifica con maggiore frequenza a carico dei muscoli: quadricipite e
bicipite femorale. Nella maggior parte dei casi sono interessati muscoli bi o poli-
articolari, che contengono grandi quantità di fibre bianche (Noonan et al, 1999).
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Classificazione delle lesioni muscolari
La classificazione si limita a prendere in considerazione le contusioni muscolari e
le altre lesioni muscolari che sono di più frequente riscontro nella pratica sportiva
senza descrivere lesioni muscolari conseguenti a ferite da taglio, punta ecc.
Un primo elemento da considerare nelle classificazioni è rappresentato dalla
natura diretta o indiretta del trauma (Craig, 1973). Distinguiamo:
• Lesioni muscolari da trauma diretto, che secondo l’interpretazione
classica, implica l’esistenza di una forza agente direttamente dall’esterno.
• Lesioni muscolari da trauma indiretto, che presuppongono l’azione di
meccanismi più complessi, chiamano in causa forze lesive intrinseche, che
si sviluppano nell’ambito del muscolo stesso o dell’apparato locomotore.
Riguardo alla diversa localizzazione delle lesioni muscolari si deve precisare che,
pur nella varietà delle sedi muscolari interessate, l’azione contusiva si esplica, di
fatto, preferibilmente sulle masse carnose dei muscoli. Per contro, nelle modalità
traumatiche indirette, la via lesiva si estrinseca più spesso in prossimità della
giunzione muscolo- tendinea, pur essendo possibili anche localizzazioni a livello
del ventre muscolare. In ogni caso, la conseguenza anatomo-patologica dei traumi
muscolari tranne che per la contrattura e lo stiramento, è rappresentata sempre da
un danno anatomico della fibra muscolare, con frequente coinvolgimento della
parte connettivale ed eventualmente tendinea e delle strutture vascolari. La
diversità delle espressioni anatomo-patologiche e cliniche è data, quindi,
dall’entità del danno strutturale prodotto dal trauma.
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Lesioni da trauma diretto(contusione)
Grado lieve Grado moderato Grado severo
Lesioni da trauma indiretto
Contrattura Stiramento Strappo
Strappo di primo grado Strappo di secondo grado Strappo di terzo grado(rottura parziale o totale)
Tabella1. Classificazione delle lesioni muscolari (Craig, 1973).
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Classificazione delle lesioni da trauma diretto
Le lesioni muscolari da trauma diretto sono di natura contusiva. Spesso queste
lesioni sono considerate come condizioni patologiche di secondaria importanza
destinate a guarire in tempi brevi, senza lasciare reliquati. Tuttavia dal punto di
vista anatomo-patologico la rottura muscolare prodotta da tali traumi non
differisce sostanzialmente da una lesione muscolare dovuta ad altro meccanismo.
Poiché dal punto di vista funzionale, lo stato di contrazione muscolare
conseguente al trauma provoca una limitazione dell’escursione articolare, dovuta
ad una ridotta estensibilità muscolare, in accordo con Reid (1992), si classificano
le lesioni muscolari da trauma diretto in tre gradi, secondo la gravità,
indirettamente indicata dall’arco di movimento effettuabile:
1. lesione muscolare di grado lieve: è consentita oltre la metà dello spettro di
movimento;
2. lesione muscolare di grado elevato: è concessa meno della metà, ma più di
1/3 dello spettro di movimento;
3. lesione muscolare di grado severo: è permesso uno spettro di movimento
inferiore ad 1/3.
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Figura 3. Scansione longitudinale del muscolo retto femorale. Lesione muscolare
da trauma diretto III° grado.
Classificazione delle lesioni muscolari da trauma indiretto
Vi è una certa confusione nella classificazione delle lesioni muscolari da trauma
indiretto, soprattutto a causa dei diversi termini utilizzati dai vari autori anche
come sinonimi. Si parla, infatti, di: contrattura, elongazione, stiramento,
distrazione, strappo, rottura, lacerazione. Tali termini si riferiscono in ogni caso a
gradi diversi di gravità, identificabili dalle diverse manifestazioni anatomo-
patologiche e cliniche della lesione.
Una delle classificazioni più accreditate presso gli autori di scuola francese
(Kouvalchouk, 1992) propone una suddivisione particolarmente dettagliata:
1. contrattura o lesione di grado ‘0’. E’ la forma più benigna, senza lesioni
anatomiche. L’evento traumatico responsabile è poco definito. Tale
condizione è attribuita ad uno stato di fatica muscolare che, per
modificazioni metaboliche, determina un’alterazione del tono muscolare.
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2. elongazione o stiramento o lesione di 1° grado. In questo caso, pur non
sussistendo interruzioni delle fibre muscolari microscopicamente rilevabili
sono evidenziabili alcune anomalie biochimiche ben definite identificate
come modificazioni metaboliche intra-citoplasmatiche, disorganizzazioni
miofibrillari, lesioni mitocondriali.
3. distrazione o lesione di 2° grado. E’ caratterizzata da un’effettiva lesione
anatomica con interruzione di un numero variabile di fibre muscolari.
Questo tipo di lesione presenterebbe poi quattro stadi:
I. stadio: rottura completa di qualche fibra muscolare senza
interessamento del connettivo di sostegno;
II. stadio: rottura di un numero maggiore di fibre muscolari, con iniziale
interessamento della struttura connettivale, senza un significativo
versamento ematico;
III. stadio o rottura parziale, caratterizzata dall’interessamento di un
elevato numero di fibre, associata a lesione del connettivo e delle
strutture vascolari e nervose, con formazione di abbondante ematoma
intramuscolare;
IV. stadio o rottura muscolare completa, in cui si interrompe la
continuità del ventre muscolare.
Jenoure (1991) distingue, nell’ambito delle lesioni muscolari acute, due tipi
differenti di lesioni, che vengono a loro volta distinte in benigne e severe. Le
lesioni benigne comprendono: il crampo, l’indolenzimento, la contrattura,
l’allungamento, la contusione e lo stiramento minore. Le lesioni severe
comprendono: lo stiramento maggiore, la lacerazione, la rottura parziale, il
distacco osseo e l’ernia muscolare.
Reid (1992) suddivide le lesioni muscolari in tre tipi come illustrato in tabella 2.
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1. lesioni muscolari da esercizio fisico (dolore muscolare ritardato)
2. strappo di cui riconosce tre gradi (I, II, III): I^ grado (livelli): -danno strutturale minimo; -piccola emorragia; -guarigione in tempi brevi II^ grado (moderato): -entità del danno variabile; -rottura parziale; -significativa perdita funzionale precoce III^ grado (severo) –rottura completa; -occorre aspirare l’ematoma; -può essere necessario l’intervento chirurgico
3. contusione (lieve-moderata-severa)
Tabella 2. Classificazione delle lesioni muscolari (Reid, 1992).
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Muller-Wolfart (1992), distingue diversi gradi di lesione, a seconda dell’unità
strutturale interessata:
1) stiramento muscolare
3) strappo della fibra muscolare
4) strappo del fascio muscolare
5) strappo muscolare
Secondo quest’autore, la differenza fra stiramento e strappo sarebbe di tipo
qualitativo e non quantitativo; in pratica, nello stiramento non c’è mai rottura,
anche se piccola di fibre muscolari.
Come si può notare nelle proposte di classificazione che sono citate a puro titolo
esemplificativo gli elementi differenziali sono costituiti da alterazioni anatomo-
patologiche ben definite. Le terminologie utilizzate hanno per lo più significati
analoghi, e in tutte le classificazioni, vengono definiti gradi crescenti di gravità
delle lesioni.
Nanni et al. (2000) propone una classificazione che ha la pretesa di essere chiara,
pratica e semplice, e che al tempo stesso tiene conto dei vari contributi presenti in
letteratura. Tale classificazione distingue i traumi muscolari che originano da un
meccanismo indiretto, in cinque livelli di gravità che vengono definiti:
1) contrattura
2) stiramento
3) strappo di primo secondo e terzo grado
I criteri adottati per distinguere i cinque livelli di gravità sono
contemporaneamente di ordine anamnestico, sintomatologico ed anatomo-
patologico.
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Contrattura
Si manifesta con dolore muscolare che insorge quasi sempre a distanza
dall’attività sportiva, con una latenza variabile (dopo qualche ora o il giorno
dopo), mal localizzato, dovuto ad un’alterazione diffusa del tono muscolare(criteri
anamnestico e sintomatologico), imputabile ad uno stato di affaticamento del
muscolo, in assenza di lesioni anatomiche evidenziabili macroscopicamente o al
microscopio ottico (criterio anatomo-patologico).
Stiramento
E’sempre conseguenza di un episodio doloroso acuto, insorto durante l’attività
sportiva, il più delle volte ben localizzato, per cui il soggetto è costretto ad
interrompere l’attività, pur non comportando necessariamente un’impotenza
funzionale immediata, e del quale conserva un preciso ricordo anamnestico (criteri
anamnestico e sintomatologico). Poiché dal punto di vista anatomo-patologico
non sono presenti lacerazioni macroscopiche delle fibre, il disturbo può essere
attribuito ad un’alterazione funzionale delle miofibrille, ad un’alterazione della
conduzione neuro-muscolare oppure a lesioni sub-microscopiche a livello del
sarcomero. La conseguenza sul piano clinico è rappresentata dall’ipertono del
muscolo, accompagnato da dolore.
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Strappo
Si manifesta con dolore acuto, violento che compare durante l’attività sportiva
(criteri anamnestico e sintomatologico comuni a tutti gli strappi), attribuibile alla
lacerazione di un numero variabile di fibre muscolari. Lo strappo muscolare è
sempre accompagnato da uno stravaso ematico (criterio anatomo-patologico
comune), più o meno evidente a seconda dell’entità e della localizzazione della
lesione e dell’integrità o meno delle fasce. La distinzione in gradi viene riferita
alla quantità di tessuto muscolare lacerato (criterio anatomo-patologico) e
comprende:
strappo di I grado: lacerazione di poche miofibrille all’interno di un fascio
muscolare, ma non dell’intero fascio;
strappo di II grado: lacerazione di uno o più fasci muscolari, che coinvolge meno
dei ¾ della superficie di sezione anatomica del muscolo in quel punto;
strappo di III grado: rottura muscolare, che coinvolge più dei ¾ della superficie di
sezione anatomica del muscolo in quel punto e che può essere distinta in parziale
(lacerazione imponente, ma incompleta della sezione del muscolo) o totale
(lacerazione dell’intero ventre muscolare).
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Figura 4. Scansione longitudinale del muscolo bicipite femorale. Lesione
muscolare da trauma indiretto (strappo di II° grado).
Figura 5. Scansione longitudinale del muscolo grande adduttore. Lesione
muscolare da trauma indiretto (strappo di II° grado).
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Figura 6. Scansione longitudinale del muscolo vasto laterale. Lesione muscolare
da trauma indiretto, (strappo di III° grado).
E’ importante sottolineare che, sul piano clinico, il confine tra stiramento e
strappo muscolare di I grado è molto sfumato, specialmente in fase precoce,
quando un eventuale stravaso ematico può non risultare ancora evidente. In tal
caso, la diagnosi deve fondarsi, oltre che sulle caratteristiche cliniche della
lesione, anche sulle risultanze dell’indagine ecografiche, eseguita dopo 48-72 ore
dal momento del trauma. E’ altresì importante sottolineare che la distinzione in tre
gradi di gravità degli strappi muscolari non può essere che arbitraria, data la
difficoltà pratica di quantizzare l’entità della lesione. Per semplicità vengono
utilizzati solo tre gradi di gravità, ed il criterio adottato in questa circostanza, può
essere definito come anatomo-patologico-funzionale. Infatti, l’entità dello strappo
di primo grado può essere facilmente apprezzata mediante l’ecografia, così come
la rottura muscolare completa risulta facilmente identificabile. I problemi sorgono
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quando è necessario stabilire la gravità di una lesione ‘intermedia’, che coinvolge
più di un solo fascio muscolare, ma meno dell’intero muscolo. In questo caso si
adotta un criterio definito anatomo-patologico-funzionale, che identifica lo
strappo di secondo grado, come una lesione che coinvolge più di un solo fascio
muscolare ma meno dei ¾ dell’intera superficie di sezione anatomica del
muscolo. Ciò significa che, nonostante la lesione, una buona parte del muscolo è
ancora integra, il deficit funzionale è presente, ma non assoluto, ed il processo di
guarigione può avvenire nell’ambito di un tessuto la cui funzionalità non è
completamente compromessa. D’altra parte, quando il danno anatomico coinvolge
approssimativamente più dei ¾ della superficie di sezione anatomica del muscolo,
la lesione è sicuramente imponente, il deficit funzionale è praticamente assoluto
ed il processo di guarigione si deve instaurare nell’ambito di un tessuto la cui
funzionalità è da considerarsi completamente compromessa.
E’ interessante notare a questo proposito che è stato dimostrato che quando la
lesione muscolare si estende per più del 50% della superficie di sezione
anatomica, la riparazione avviene in non meno di 5 settimane (Pomeranz, 1993).
E’ chiaro che l’entità della lesione, cioè la distinzione tra strappo di primo,
secondo e terzo grado, può essere stabilita con buon’approssimazione, solo grazie
all’indagine ecografia o alla RMN.
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LE TERAPIE FISICHE
Nel corso degli ultimi anni la tecnologia è venuta incontro al riabilitatore,
proponendo una serie di interessanti innovazioni che hanno fornito risultati
incoraggianti dopo i primi lavori sperimentali. Le energie fisiche prese in
considerazione sono l’ipertermia a microonde, T.E.C.A.R. terapia e la laserterapia
a neodimio-Yag. E’ bene precisare che alcune terapie fisiche solo apparentemente
superate, tra cui la crioterapia e gli ultrasuoni trovano ancora e a buon diritto il
loro spazio nei protocolli riabilitativi delle affezioni muscolo-tendinee.
Per terapia ipertermica o ipertermia clinica si intende l’induzione nei tessuti
biologici di temperature di poco superiori a quella fisiologica. Il riscaldamento dei
tessuti realizzato tramite campi elettromagnetici.
Le microonde diffondono molto facilmente attraverso i tessuti poveri di acqua
(adiposo e osseo) nei quali è poca l’energia elettromagnetica che si trasforma in
calore. Al contrario perdono energia attraverso tessuti ricchi di acqua (tessuto
muscolare) nei quali avviene la trasformazione dell’energia elettromagnetica in
calore. In definitiva è principalmente nel tessuto muscolare che l'energia delle
microonde si trasforma in calore. Il calore prodotto diffonde nei tessuti circostanti
per conduzione, ma soprattutto attraverso il sistema circolatorio (Olmi et al,
1997). Proprio per queste caratteristiche l’ipertermia elettromagnetica è utilizzata
in fisioterapia con diversi dispositivi che, usando diverse frequenze del campo
elettromagnetico (13, 27, 434 e 2450 MHz) o consentendo, attraverso particolari
antenne maggiormente focalizzate e munite di bolus termostatato, il riscaldamento
in profondità, hanno dato il nome a diverse modalità terapeutiche (marconiterapia,
radarterapia, ipertermia) fondamentalmente coincidenti nell’effetto indotto, cioè
Il sistema TECAR (terapia a trasferimento energetico per contatto capacitivo e
resistivo) consiste in un generatore di radiofrequenza (500.000 Hz-0,5Mhz) che
attiva energia nei tessuti sfruttando il principio fisico del condensatore.
Sfruttando la qualità conduttrice del substrato biologico, il sistema Tecar agisce
mediante l’attrazione e repulsione alternativa delle cariche elettriche proprie del
tessuto biologico generando in un’area geometricamente definita correnti
capacitive di spostamento. Le principali caratteristiche sono:
-Focalità d’azione in quanto l’effetto biologico viene risvegliato solo là dove
esiste indicazione terapeutica. -Azione sedativa delle terminazioni nervose nocicettive, sintomatiche del dolore -Vascolarizzazione ed irrorazione sanguigna superficiale ed in profondità -Rigenerazione tissutale -Stimolazione naturale del drenaggio venoso e linfatico -Riequilibrio dell’attività metabolica -Gestione/aumento della temperatura corporea -Maggior ossigenazione dei tessuti a livello profondo e superficiale -Azione a livello energetico -Riequilibrio della conducibilità elettrica-nervosa -Modificazione tessuto connettivo da fase gel a fase sol -Reidratazione tessuti profondi.