UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTÀ DI MEDICINA VETERINARIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA VETERINARIA DIPARTIMENTO DI PRODUZIONI ANIMALI, BIOTECNOLOGIE VETERINARIE, QUALITÀ E SICUREZZA DEGLI ALIMENTI SEZIONE DI BIOCHIMICA VETERINARIA NEOSPORA CANINUM: STUDIO DELLA TRASMISSIONE VERTICALE NELLA VACCA DA LATTE NEOSPORA CANINUM: STUDY OF A VERTICAL TRANSMISSION IN DAM Relatore: Chiar.ma Prof.ssa LAURA HELEN KRAMER Correlatore: Prof.ssa SILVIA CLOTILDE CABASSI Laureanda: ELISA VALERUZ ANNO ACCADEMICO 2006-2007
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA
FACOLTÀ DI MEDICINA VETERINARIA
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA VETERINARIA
DIPARTIMENTO DI PRODUZIONI ANIMALI, BIOTECNOLOGIE
VETERINARIE, QUALITÀ E SICUREZZA DEGLI ALIMENTI
SEZIONE DI BIOCHIMICA VETERINARIA
NEOSPORA CANINUM:
STUDIO DELLA TRASMISSIONE VERTICALE NELLA
VACCA DA LATTE
NEOSPORA CANINUM:
STUDY OF A VERTICAL TRANSMISSION IN DAM
Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa LAURA HELEN KRAMER
Correlatore:
Prof.ssa SILVIA CLOTILDE CABASSI
Laureanda:
ELISA VALERUZ
ANNO ACCADEMICO 2006-2007
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A Dana
Kalikos e Micia.
Per il loro amore.
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Ringraziamenti
I miei primissimi ringraziamenti vanno sicuramente alla Prof.ssa Laura Helen Kramer per
l’infinità disponibilità e l’inimitabile professionalità. È solo grazie hai suoi preziosi consigli
che questa tesi è diventata realtà. Un grazie anche alla prof.ssa Silvia Clotilde Cabassi, a
Francesca Ghedini e Chiara Piancastelli (Istituto di Malattie Infettive) per la disponibilità e
per il meticoloso lavoro svolto.
Un grazie di cuore ad Antonio Olivieri e alla sua stupenda famiglia, per avermi permesso di
approfondire il grande mondo della Neosporosi. Un grazie anche a tutti i loro animali, che
hanno dovuto sopportarmi in ogni mio “prelievo”!
Un ringraziamento affettuoso va sicuramente a tutta la mia famiglia. A mamma Margherita,
a papà Eugenio e ai miei piccoli grandi fratelli, Giacomo e Gianmatteo. Il loro
incoraggiamento ed ammirazione sono stati la forza che mi ha permesso di giungere fino a
qui. A mio marito Sandro ed alla nostra splendida bimba Mariavittoria per la pazienza, la
fiducia, la grinta e l’amore che ogni giorno mi avete donato (ossigeno per il mio cuore e la
mia mente!). Sono orgogliosa di voi!
A Bruno ed Idelma per la stima e l’affetto.
Ai miei nonni che da lassù mi vegliano.
Un grazie a tutti i medici veterinari (ormai colleghi!) che mi hanno seguita, aiutata e spinta
al raggiungimento del mio obiettivo; in particolare il prof. Enrico Parmigiani, il dott.
Valentini, il dott. Pretto, il dott. Buniotto, il dott. Brisighella, il dott. Alborali, il dott.
Fiocco, il dott. Fanini e il sign. Gabriele Vallani. Grazie infinite per i vostri preziosi
insegnamenti.
Ed infine, ma non per ultimi, un grazie di cuore a tutti i miei amici di Parma e Verona. Ad
Alessia, Alice, Chiara e Sara, per avermi sempre rallegrata nei giorni più tristi, dove tutto
sembrava perduto; a Nadia, per le sue preziose traduzioni.
Grazie infinite a tutti!!
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Abstract
Neospora caninum is a protozoan parasite that has been identified as a major
cause of abortion in dairy and beef cattle. Vertical transmission from mother
to fetus is an important mode of maintaining the parasite within a herd.
This thesis is aimed at evaluating the frequency of vertical transmission of N.
caninum in an Italian dairy herd. Pre-colostral serology in calves showed
100% efficiency in transplacental infection from N. caninum-positive cows.
These results confirm those of others and indicate that control and
management of N. caninum infection must take into account the high
IFAT indirect fluorescent antibody test (immunofluorescenza indiretta)
Ig immunoglobulina
Iscom immunostimulating complex
LEB Leukosis Enzootic Bovine
LT Linfocita T
LTC Linfocita T-citotossico
MAb monoclonal antibody
Nc Neospora caninum
Nh Neospora hughesi
pc plasmide combination
PCR polymerase chain reaction
PBS Phosphate Buffered Solution
SAG surface antigen
SRS surface-antigen related sequenze
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INTRODUZIONE
Neospora caninum, è un parassita protozooario strettamente correlato con
Toxoplasma gondii, responsabile di aborto nella bovina e di patologie nervose
nei vitelli.
È stato isolato per la prima volta nel 1984 in Norvegia in cani colpiti da
encefalite e miosite (Bjerkås, Mohn, Presthus, 1984); successivamente, nel
1988, questa ed altre segnalazioni vennero identificate come causate da un
unico agente eziologico, denominato appunto come Neospora caninum
(Thilsted et al., 1989; Dubey et al., 1988).
Da alcuni studi epidemiologici si ritiene che N. caninum, in alcune zone come
ad esempio la California, l’Australia, la Nuova Zelanda, l’Olanda, il Regno
Unito, rappresenta dal 20% al 43% di tutte le cause di aborto (Pfeiffer et al.,
1997; Dubey et al., 1999); l’infezione potrebbe coinvolgere oltre il 20% degli
allevamenti. È stata descritta come importante causa di aborto perfino nelle
regioni della Scandinavia (Petersen et al.,1999) (Fig. 1).
I danni economici sono legati sostanzialmente all’aborto che avviene
generalmente tra il IV ed il VII mese di gestazione con la conseguente perdita
del vitello e mancata produzione lattea, nonché i conseguenti costi veterinari;
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è stata osservata anche una diminuzione del 5% della produzione di latte
durante la prima lattazione nelle bovine infette che non hanno abortito (French
et al., 1999).
Inoltre si hanno sicuramente costi legati alla diagnosi, al ripristino della
riproduttività degli animali, che comprende inseminazione artificiale,
l’acquisto di animali per la rimonta, se necessario, e, infine, il costo per
l’eventuale eliminazione di bovini sieropositivi e per l’acquisto di animali
sieronegativi (Dubey et al., 2003).
Fig. 1. Distribuzione geografica dei diversi casi di Neosporosi riscontrati sino ad oggi. (Marquer et al., 1999)
- 11 -
Per quanto concerne una classifica dei costi, la Neosporosi, si pone
immediatamente dopo l’infezione da virus della diarrea virale bovina
(BVDV), ma prima della paratubercolosi e della leucosi bovina enzootica (Chi
et al., 2002).
Sporadicamente, nei vitelli possono manifestarsi, alla nascita, turbe di tipo
neurologico con incoordinazione dei movimenti e paralisi degli arti.
Oltre che nel bovino, l’esistenza di infezioni da N. caninum è stata individuata
in numerose altre specie animali, quali cane, pecora, capra, cavallo, cervo,
nonché in camelidi e mammiferi marini (Dubey et al., 2007).
Per quanto riguarda la situazione nel Nord Italia, N. caninum appare
ampiamente diffusa nell’allevamento della vacca da latte con danni ingenti
soprattutto negli allevamenti dove l’evento aborto assume un andamento
epidemico (gli autori anglosassoni utilizzano il termine “abortion storm” per
indicare appunto l’improvvisa insorgenza e l’intensità del fenomeno) (Dubey
et al., 1999; Yaeger et al., 2004;).
La via principale di trasmissione dell’infezione è quella verticale, tra madre e
feto, ma può verificarsi anche per via orizzontale attraverso l’ingestione da
parte del bovino di oocisti emesse con le feci da cani infetti.
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È ancora in corso di accertamento l’eventuale trasmissione per via sessuale o
attraverso il latte (Anderson, Reynolds et al., 1997).
Il lavoro che ho effettuato ha avuto l’obiettivo di valutare la sieroprevalenza di
N. caninum nel sangue precolostrale di vitelli nati nell’arco di 15 mesi (03/04-
06/05) in un allevamento nel veronese, nel quale è stata più volte riscontrata la
presenza di N. caninum come causa dominante di aborto.
L’obiettivo è stato quindi di confermare ulteriormente come N. caninum venga
trasmessa direttamente dalla madre infetta al prodotto del concepimento
durante la vita intrauterina (trasmissione verticale), e come questo importante
evento possa venir evidenziato attraverso la rilevazione di anticorpi contro N.
caninum effettuata sul sangue del vitello, ancora prima che questo abbia
assunto colostro dalla madre (prelievo precolostrale).
L’eventuale riscontro di sieropositivà nel vitello in esame, deriva quindi da
un’attivazione dell’immunità attiva umorale dello stesso vitello, dovuta al
passaggio transplacentare dei tachizoiti, e non dall’immunità passiva
colostrale eventualmente appresa dalla madre sieropositiva.
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La tesi è stata suddivisa in due parti:
• Nella prima, di carattere generale, dopo una descrizione delle
caratteristiche di N. caninum e del suo ciclo vitale, prendo in
considerazione l’epidemiologia, la patogenesi e la sintomatologia della
Neosporosi nella vacca da latte, nonché le tecniche diagnostiche più
utilizzate e quelle ancora in via di sperimentazione ed infine i sistemi di
terapia e profilassi che possono venir adottati all’interno di un
allevamento;
• nella seconda parte, di carattere sperimentale, descrivo i risultati
sierologici ottenuti con la ricerca di anticorpi contro N. caninum
attraverso metodica IFAT ed ELISA su un campione di 106 vacche da
latte e sui propri vitelli nati nell’arco dei 15 mesi, mettendo in evidenza
la trasmissione verticale (trasmissione transplacentare) di N. caninum
tra le madri ed i rispettivi vitelli.
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PPAARRTTEE
GGEENNEERRAALLEE
- 15 -
-- CCaappiittoolloo 11111111 --
CCCCARATTERISTICHE GENERARATTERISTICHE GENERARATTERISTICHE GENERARATTERISTICHE GENERALI ALI ALI ALI
DI DI DI DI NNNNEOSPORA CANINUMEOSPORA CANINUMEOSPORA CANINUMEOSPORA CANINUM
La Neosporosi bovina è una patologia a carattere abortigeno sostenuta da
Neospora caninum; è emersa in tutto il mondo come un’importante causa di
patologia riproduttiva che colpisce sia bovine da latte che da carne (Dubey et
al., 1996; Anderson et al., 2000).
Neospora caninum è un parassita intracellulare obbligato a prevalente
localizzazione intracitoplasmatica, correlato morfologicamente e
antigenicamente con Toxoplasma gondii.
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� TASSONOMIA
Regno: Protista
Phylum: Apicomplexa
Classe: Sporozoa
Sottoclasse: Coccidia
Ordine: Eucoccidiorida
Sottordine: Eimeriorina
Famiglia: Sarcocystiidae
Genere: Neospora
Specie: Caninum
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La prima descrizione di Neospora caninum risale al 1984, in Norvegia, dove
Bjerkås et al. (1991) isolarono un parassita strutturalmente assimilabile a
Toxoplasma gondii, dal cervello (Fig. 2) e dal tessuto muscolare di cani affetti
da una forma clinica di encefalopatia, senza però che gli animali avessero
logicamente anticorpi contro T. gondii.
Nel 1988, in USA, si isolò un parassita di caratteristiche simili in 10 cani che
soffrivano di alterazioni neurologiche, dimostrando, con l'utilizzo di tecniche
sierologiche e immunoistochimiche, che si trattava di un parassita differente a
Toxoplasma gondii, e per questo venne dato il nome di Neospora caninum
(Dubey et al., 1988).
Attraverso studi biologici e molecolari è stata confermata l’esistenza di
un’ulteriore specie di Neospora, isolata esclusivamente negli equini, agente
eziologico di turbe a carattere neurologico (mieloencefalite equina; EPM).
Marsh et al. (1999) proposero il nome di Neospora Hughesi, parassita molto
simile strutturalmente a N. caninum, oltre che a Sarcocystis neurona, altri
agenti eziologici di EPM: la loro differenziazione da un punto di vista
Fig. 2. Encefalite di tipo non purulento da Neospora caninum nel cane. (freccia: cisti contenente bradizoiti).
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sierologico è molto difficile, l’unico test con alta specificità e sensibilità
risulta essere solo la PCR (Fenger et al., 1997; Schock et al., 2001; Dubey et
al., 2003).
Solo poi con l’identificazione e la sequenziazione amminoacidica di
particolari antigeni di superficie comuni del genere Neospora, si è potuto
comprendere al meglio le differenze specifiche tra N. caninum e N. hughesi.
Esiste infatti, tra N. caninum (Nc) e N. hughesi (Nh), fino ad un 6% di
variabilità nella sequenza amminoacidica dell’antigene di superficie SAG1,
proteina antigenica di 29-36 kDa, localizzata solo sulla superficie dei
tachizoiti, con funzione di adsorbimento durante la penetrazione nella cellula
ospite, e fino ad un 9% di differenza tra le due sequenze amminoacidiche di
SRS2, un antigene di 35-43 kDa esposta sia sulla superficie di tachizoiti che
bradizoiti (Dubey et al., 2002).
I polimorfismi di questi geni e della loro struttura proteica offrono un’ulteriore
sistema di differenziazione per distinguere appunto N. caninum da N. hughesi
(Marsh et al., 1999).
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� CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE E
DIFFERENZIALI DI N. CANINUM
Recenti studi su N. caninum sono stati effettuati per dimostrare le differenze
strutturali e morfologiche con Hammondia heydorni, un’altro protozoo
intestinale del cane, causa di diarrea in animali immunodepressi; l’obiettivo
era quello di definire come i due parassiti fossero effettivamente due specie
differenti (Nishikawa et al., 2002).
È stato inoltre eseguito uno studio con l’utilizzo della PCR, alla quale segue
un’elettroforesi in gel di agarosio che, in caso di positività, permette di
evidenziare in maniera amplificata il frammento genomico specifico di N.
Caninum (Nc5) (Müller et al., 2001) (Fig. 3). Questa sequenza nucleotidica,
specifica del genoma di N. caninum NC-1, è stata però riscontrata anche in H.
Heydorni, quindi i due protozoi risulterebbero indistinguibili (Ellis et al.,
1999; Mugridge et al., 1999; Schares et al., 2002). Solo nel 2002, Dubey et al.,
attraverso una nuova descrizione morfologica, ultrastrutturale e genetica,
riconobbero i due protozoi come due generi e specie distinte.
Fig. 3. Elettroforesi su gel di agarosio dei frammenti Nc5-PCR amplificati di: 1) H. heydorni; 2) controllo positivo per N. caninum Nc-1; 3) controllo negativo privo di DNA. Le bande di migrazione misurano approssimativamente 337 bp (freccia).
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Il problema epidemiologico e diagnostico permane ancora per quanto riguarda
le oocisti di Neospora caninum ritrovate nelle feci di cane, le quali al
microscopio risultano morfologicamente e strutturalmente identiche alle
oocisti di Hammondia heydorni rinvenute nelle feci di cane (McAllister et al.,
1998; Reichel et al., 2007) (Fig. 4).
Esistono strutturalmente e chimicamente molte analogie tra T. gondii e N.
caninum, sostenute da diverse specifiche ricerche.
Xiao-lin, Grigg et al. (2002) rilevarono come la superficie di Toxoplasma
gondii fosse rivestita da glicosilfosfatidilinositolo, una peculiare proteina di
superficie (SRS), di cui SAG1 ne è il prototipo (dimensioni 1.7 Å). Le
proteine SRS hanno la funzione di regolare la virulenza del parassita stesso, in
quanto modulano il meccanismo dell'adsorbimento a livello di cellule
bersaglio: questo è sicuramente un parametro del successo della capacità
infettante di T. gondii.
Toxoplasma utilizza un vasto repertorio di proteine di superficie d’adesione
per penetrare nelle cellule bersaglio, responsabili anche dell’attivazione della
risposta immunitaria dell’ospite.
Fig. 4. Oocisti di Neospora caninum (sinistra) ed Hammondia heydorni (destra).
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Oggigiorno si pensa che la famiglia proteica SRS funzioni come un set di
recettori capace di dar luogo ad una cascata di interazioni che permettono
appunto l’entrata del parassita nelle cellule bersaglio. Ad esempio, durante la
malattia acuta, SAG1 e SAG2 sono immunodominanti all'interno della
superfamiglia SRS, e in particolare SAG1 ha un ruolo critico per quanto
concerne la risposta immunitaria osservata durante le fasi iniziali di infezione.
SAG1 probabilmente ha addirittura un duplice ruolo, ossia di adesina e di
target per la risposta immunitaria.
Fig. 5. Allineamento delle sequenze della superfamiglia SRS (glicosilfosfatidilinositolo: antigene di 35-43 kDa). Differenze nella sequenza tra quello di Neospora caninum (NcSAG1; seconda riga) e gli altri geni che appartengono a Toxoplasma gondii. ROSSO: cisteina, legami disolfuro; GIALLO: parti di sequenze geniche maggiormente simili tra N. caninum e T. gondii.
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Questo è avvalorato dal fatto che i bradizoiti di T. gondii, nei quali manca
naturalmente SAG1, non vengono attaccati dal sistema immunitario
dell’ospite e riescono così a persistere indisturbati all’interno delle cisti
tessutali nei quali sono contenuti.
Per il rilevamento di queste particolari proteine sono stati messi a punto degli
anticorpi marcati (mAb) che riconoscono nello specifico un epitopo di 36 kDa,
chiamato appunto P36 (Tomavo et al., 1991). Da allora mAb-P36 è usato
come marker per la ricerca di bradizoiti di Toxoplasma gondii e nello
specifico per la diagnosi differenziale da Neospora caninum, tra le quali
strutturalmente vi sono numerose proteine di superficie simili (Chahan et al.,
2003) (Fig. 5).
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� STADI MORFOLOGICI
Gli Apicomplexa costituiscono un Phylum di protozoi che include alcune
migliaia di specie, caratterizzate dall’assenza di organi di movimento (ciglia o
flagelli). Il ciclo di riproduzione di questi parassiti è costituito dall’alternanza
di una fase asessuata (schizogonia) e una fase sessuata (gametogonia) che
porta alla formazione di forme infettanti dette sporozoiti (Fig. 6).
Sono aploidi durante tutto il ciclo vitale, salvo che nella fase di zigote, che
comunque è di brevissima durata.
N. caninum si presenta in vari stadi evolutivi:
1. stadio di tachizoita;
2. stadio di bradizoita;
3. stadio di oocista.
Fig. 6. Struttura generale di tachizoita e ciclo generale del Phylum Apicomplexa.
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• STADIO DI TACHIZOITA
I tachizoiti sono di forma allungata o a semiluna, di dimensioni variabili dai 3
ai 7 µm per 1-5 µm (Dubey e Lindsay, 1988) (Fig. 7 e 10).
In questo stadio evolutivo di tipo asessuato il parassita è nettamente infettante,
si moltiplica rapidamente e quindi invade molti distretti e tessuti
dell’organismo dell’ospite intermedio.
Questo fenomeno prende il nome di
endodiogenesi e porta alla
formazione di due zoiti; consiste
sostanzialmente in un processo di
gemmazione interna (budding
process) col quale si formano appunto
2 cellule figlie (zoiti) all’interno della
cellula madre (Dubey e Lindsay,
1996).
I tachizoiti di N. caninum sono stati rinvenuti
in molte cellule tra le quali: neuroni,
macrofagi, miociti, epatociti, fibroblasti,
fibrocellule muscolari, nelle cellule degli
endoteli vasali e nell’epitelio tubulare renale
(Dubey e Lindsay, 1999); inoltre hanno la
capacità di attraversare la barriera placentare
ed essere così un’importante causa di
infezione del prodotto del concepimento.
Fig. 8. Vacuolo parassitofori (freccia) con tachizoiti di N.
caninum.
Fig. 7. Rappresentazione schematica di tachizoiti di N. caninum all’interno di una cellula ospite.
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Il parassita può essere libero nel citoplasma o all’interno di vacuoli
parassitofori che possono essere anche più di uno in una cellula (Dubey e
Lindsay, 1996) (Fig. 8).
Una cellula può contenere anche fino a 100 tachizoiti e la penetrazione del
tachizoita nella cellula avviene in tempi molto ristretti (Dubey et al., 1996).
La struttura microscopica del tachizoita è caratterizzata da:
o nucleo;
o nucleolo;
o un complesso apicale costituito da:
� 2 anelli polari;
� rhoptrie;
� moltissimi micronemi (circa 150);
� il conoide;
o pochissimi granuli di aminopectina (granuli densi);
o 22 microtubuli sottopellicolari;
o un mitocondrio;
o apicoplasto;
o il plasmalemma;
o il reticolo endoplasmatico denso;
o apparato di Golgi (Dubey et al., 1988; Dubey e Lindsay, 1996).
- 27 -
Nel processo di invasione della cellula ospite, svolge un ruolo fondamentale il
complesso apicale, un insieme di strutture citoscheletriche e vescicolari
presente in tutti gli stadi invasivi degli Apicomplexa.
La componente citoscheletrica è costituita dal conoide, che è in grado di
estroflettersi durante l’invasione, mentre la componente vescicolare è
costituita dai micronemi e dalle rhoptrie, organelli che secernono il proprio
contenuto apicalmente.
Le rhoptrie sono strutture elettrondense quindi particolarmente visibili, anche
per le loro dimensioni decisamente superiori a quelle di altre strutture interne
del tachizoita (Dubey et al., 2002) (Fig. 9).
Il processo di invasione richiede 15-20 secondi, culminando nella formazione
di un vacuolo parassitoforo all’interno del quale il parassita si moltiplica.
Fig. 9. Struttura schematica di un tachizoite del phylum Apicomplexa (foto sopra). A sinistra la stessa cellula ripresa al microscopio elettronico a trasmissione (C= conoide; DG= granuli densi; MN= micronemi; N= nucleo; R= rhoptrie; barra=1 µm)
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I micronemi contengono un corredo di proteine adesive le quali, esposte sulla
superficie del tachizoita (SAG1, MIC1, MIC4), contribuiscono alla
formazione della cosiddetta “giunzione mobile”.
Questa struttura, che crea un contatto tra la membrana di N. caninum e quella
della cellula ospite, dipende dall’interazione specifica tra domini adesivi delle
proteine dei micronemi e ligandi espressi sulla membrana della cellula
bersaglio. La secrezione del contenuto dei micronemi è un processo stimolato
dalla mobilizzazione delle riserve di Ca++ intracellulare del parassita, con
conseguente aumento della concentrazione intracellulare di questo ione.
Successivamente ai micronemi, sono le rhoptrie a rilasciare il proprio
contenuto di proteine (ROP2), per lo più coinvolte nella modificazione del
vacuolo parassitofori.
L’apicoplasto, infine, è un organello da molti considerato come una traccia di
un rapporto simbiotico mutualistico atavico tra i parassiti del Phylum
Apicomplexa e un’alga. Non
si conosce ancora del tutto la
sua funzione ma molto
probabilmente ha un ruolo
fondamentale nel
metabolismo del parassita
(Ajioka et al., 2001).
Fig. 10. Tachizoiti di N. caninum al microscopio elettronico (x7500).
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• STADIO DI BRADIZOITA
Sono la forma latente del parassita e ne permette la notevole e durevole
resistenza nell’ospite intermedio.
Si localizzano all’interno di cisti tissutali, le quali si rinvengono soprattutto a
livello di sistema nervoso centrale (cervello, midollo spinale, nervi periferici)
e di retina (Dubey et al., 1988) (Fig. 11).
Una singola eccezione riguarda una cisti solitaria rinvenuta nel muscolo
oculare di un puledro (Lindsay et al., 1998). Più recentemente, cisti contenenti
bradizoiti sono state osservate anche a livello di muscolo in alcuni bovini
(Peters et al., 2001).
Le cisti tissutali di N. caninum possono raggiungere un diametro di 107 µm e
possono essere di forma ovale o rotonda (Dubey e Lindsay, 1996) e contenere
dai 20 ai 100 bradizoiti (Speer et al., 1999); lo spessore della parete può
variare dai 0,5 ai 4 µm: lo spessore varia in base all’età della cisti stessa
(Speer et al., 1999).
Fig. 11. Cisti tissutali contenenti bradizoiti.
- 30 -
Mediante l’uso dell’esame immunoistochimico e del microscopio è possibile
distinguere i bradizoiti di Neospora caninum dai tachizoiti (Peters et al.,
2001). Infatti i bradizoiti presentano un numero minore di rhoptrie e un
numero maggiore di granuli PAS-positivi rispetto ai tachizoiti (Fig. 12).
I bradizoiti hanno dimensioni variabili: 5,2 (±0,6) x 1,6 (±0,3) µm (Peters et
al., 2001).
Il nucleo lo si può rinvenire nella zona subterminale. (Peters et al. 2001).
Possono essere infestanti per via orale sia per l’ospite intermedio (Dubey e
Lindsay, 1988) che per quello definitivo (McAllister et al., 1998).
Nell’ospite intermedio, in particolare se parzialmente immunodepresso, in
corso ad esempio di una gravidanza, i bradizoiti si riattivano e si trasformano
rapidamente in tachizoiti, forma infettante attiva, capace di invadere
agevolmente il feto e causare aborto.
Fig. 12. Confronto tra tachizoiti di N. caninum (A) e bradizoiti (B) coltivati in vitro (Microscopio elettronico). Notare la parete della cisti di spessore maggiore (B) rispetto alla struttura contente tachizoiti (A). (barre: (A)=1,3 µm; (B)=0,8 µm)
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Nel cane (ospite definitivo), che si infetta ad esempio ingerendo carne infetta
contenente bradizoiti, Neospora giunge a livello intestinale dove ha inizio la
fase sessuata del ciclo vitale del parassita, attraverso la quale si ha l’origine
delle oocisti non sporulate che possono venir disseminate nell’ambiente
esterno attraverso le feci.
I bradizoiti si formano a partire dai tachizoiti stessi i quali, nel momento in cui
si attiva la risposta immunitaria dell’ospite, reagiscono incistandosi. In questo
modo il parassita riesce a sottrarsi dall’azione del sistema immunitario e può
quindi resistere anche degli anni all’interno dell’organismo (Dubey et al.,
2002).
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• STADIO DI OOCISTA
Lo stadio di oocisti, è lo stadio in cui il parassita, potenzialmente infettante,
viene eliminato dall’ospite definitivo. Il cane, infatti, elimina con le feci le
oocisti nella forma non sporulata, altamente resistenti nell’ambiente esterno
(McAllister et al., 1998; Lindsay et al., 1999). Solo all’esterno dell’ospite
definitivo e dalle 24 alle 72 ore dalla loro espulsione, le oocisti di Neospora
sporulano, diventando appunto oocisti sporulate, forma infestante, che
possono così venir ingerite dall’ospite definitivo od intermedio (Lindsay,
1998) (Fig. 13).
Fig. 13. Oocisti di Neospora caninum: (A) oocisti non sporulata; (B) oocisti sporulata (freccia grande: sporocisti; frecce piccole: sporozoiti.
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Ogni oocisti contiene due sporocisti, che a loro volta contengono quattro
sporozoiti (Dubey, 1999) (Fig. 14). Le oocisti hanno forma ovoidale o sferica,
sono costituite da una doppia parete e le dimensioni variano da 11,3 a 11,7 µm
(McAllister et al., 1998; Dubey, 2002).
Gli sporocisti contenuti all’interno dell’oocisti sporulata, sono di forma
ellissoidale e possiedono un nucleo posizionato centralmente o nella parte
posteriore (Lindsay et al., 1999).
Fig. 14. Oocisti di Neospora
caninum contenente i due sporocisti.
- 34 -
-- CCaappiittoolloo 22222222 --
CCCCICLO VITALE DI ICLO VITALE DI ICLO VITALE DI ICLO VITALE DI NNNNEOSPORA CANINUMEOSPORA CANINUMEOSPORA CANINUMEOSPORA CANINUM
Il ciclo vitale di N. caninum richiede la presenza di due ospiti:
� ospite intermedio;
� ospite definitivo.
Il ciclo ha inizio con l’ingestione, da parte di un animale (ospite intermedio o
definitivo), delle oocisti sporulate (contenenti 8 sporozoiti) emesse
Nell’ospite definitivo, gli sporozoiti, arrivati a livello intestinale ad esempio
con l’alimento contaminato, escono dalla spora e penetrano ciascuno in una
cellula della mucosa intestinale, utilizzando il complesso apicale (1a).
Nella cellula si trasformano in trofozoiti che si nutrono della cellula stessa,
aumentando di dimensioni (2).
A questo punto prende il via la fase di riproduzione asessuata (schizogonia)
caratterizzata dalla moltiplicazione del nucleo dei trofozoiti, senza la
contemporanea suddivisione citoplasmatica. Da questo processo deriva una
forma multinuleata, denominata schizonte (3).
- 35 -
Successivamente segue la divisione cellulare con la formazione di numerosi
merozoiti, che escono dalla cellula ospite ormai distrutta e penetrano in altre
cellule intestinali vicine per ripetere tutto il processo di schizogonia (4).
Il numero di fasi di schizogonia non è conosciuto, molto probabilmente è
variabile ed in funzione dell’attivazione più o meno immediata della risposta
immunitaria dell’animale stesso.
A questo punto i merozoiti prodotti nell’ultimo ciclo di schizogonia, penetrano
ulteriormente in un enterocita dando inizio alla fase di riproduzione sessuata
di N. caninum. Una parte dei merozoiti dà origine a gameti “femminili”,
singoli, mononucleati ed ancora endocellulari (macrogameti) (5); un’altra
parte dà invece origine ai gameti “maschili”, mobili ed extracellulari
(microgameti) (6), che individuano le cellule contenti il gamete “femminile”,
vi penetrano fondendosi col macrogamete e dando origine all’unica fase
diploide (zigote) del parassita (7). Lo zigote quindi comincia a ricoprirsi di
una parete di protezione ed abbandona la cellula della mucosa intestinale,
cadendo nel lume intestinale e raggiungendo l’ambiente esterno con le feci
(oocisti non sporulata) (8). All’esterno avviene la fase di sporulazione
dell’oocisti (9), la quale, dopo circa 24-72 ore, si trasforma in una oocisti
sporulata costituita al suo interno da due sporocisti contenenti ognuno 4
sporozoiti (10).
L’ospite definitivo, può inoltre infettarsi attraverso l’ingestione di tessuti
contenenti cisti parassitarie di N. caninum (12). I bradizoiti, presenti nelle
cisti, similmente agli sporozoiti, si liberano nel lume intestinale e si
trasformano in tachizoiti i quali danno inizio alla fase di replicazione
asessuata, per terminare con la formazione dello zigote e quindi dell’oocisti
non sporulata (13).
- 36 -
Quando invece le oocisti sporulate sono ingerite dall’ospite intermedio
(bovino, cavallo, ovi-caprini...), i trofozoiti, dopo essersi liberati della parete
cistica, vengono rilasciati nel lume intestinale e divengono tachizoiti.
I tachizoiti si dividono rapidamente e diffondono in tutto l’organismo,
invadendo le cellule di numerosi organi (fegato, reni, cuore, polmoni, muscoli,
derma e SNC) nelle quali avviene la moltiplicazione asessuata (scissione
binaria): lo stadio di tachizoite è associato ad infiammazione e necrosi nel sito
d’invasione. Nelle bovine gravide, i tachizoiti possono nel giro di poco tempo,
invadere il feto passando attraverso la placenta, ed essere così causa di aborto.
A seguito della risposta immunitaria dell’animale, i tachizoiti si “rifugiano”
all’interno di una cisti, trasformandosi in bradizoiti (1b).
Le cisti tissutali sono circondate da una parete cistica molto spessa e
resistente, e sono reperibili principalmente nei tessuti neuronali (cervello,
midollo spinale). I tessuti cistici inducono una reazione infiammatoria minima
e possono persistere nel bovino per lunghi periodi di tempo senza
manifestazioni cliniche. Si presume che, in corso di una gravidanza, i
bradizoiti latenti in queste cisti vengano attivati, e si differenzino nello stadio
di tachizoite, infettivo e mobile, che raggiunge, attraverso i tessuti, il sangue
e/o sistema linfatico, la placenta e il feto ed essere così causa di aborto (11).
Come risultato di questa "riattivazione" dei parassiti, ripetute infezioni fetali
possono verificarsi nella stessa madre infetta, nelle gravidanze successive.
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Fig. 15. Ciclo vitale di Neospora caninum nell’ospite definitivo e intermedio.
- 38 -
� OSPITE INTERMEDIO
L’ospite intermedio, comprende il bovino, la capra, la pecora, il suino, il
cavallo, il cervo, la volpe, i roditori (topi, ratti...) e volatili da cortile
(Tabella 1.). In questi animali ha luogo il ciclo asessuato del parassita, che
comprende lo stadio di tachizoita e lo stadio di bradizoita (endodiogenesi).
Tra gli ospiti intermedi, sono da aggiungere la lontra di mare che vive in
Alaska (Enhydra lutris) e il delfino (Tursiops truncatas), nei quali sono stati
messi in evidenza anticorpi anti-Neospora (Dubey et al., 2007). Inoltre il DNA
del protozoo è stato isolato nel lama (Lama glama) e nell’alpaca (Vicugna
pacos) da un’equipe ispano-cilena. La sieroprevalenza in questi due camelidi è
importante, varia dal 30 al 40% (Pèreira-Bueno et al., 2000; Serrano-Martìnez
et al., 2004).
In un recente studio epidemiologico, anche l’esposizione a volpi rosse (Vulpes
vulpes) e volpi grigie (Urocyon cinereoargenteus) è stata identificata come un
fattore di rischio per l’infezione da N. caninum per i bovini al pascolo (Barling
et al., 2000), ma non è ancora chiaro come, essendo canidi, riescano ad
eliminare nell’ambiente esterno le oocisti: per questo motivo sono da
considerare ancora come ospiti intermedi (Schares et al., 2002).
In Belgio e Spagna, anticorpi anti-Neospora caninum sono stati dimostrati in
più del 17% delle volpi rosse (Vulpes vulpes) testate (Buxton et al., 1997;
Almeria et al., 2002), mentre nessuna sieropositività è stata rilevata in Svezia
nelle volpi saggiate (Jakubek, 2001). Questi animali sono da considerare
anch’essi ospiti intermedi.
- 39 -
Negli ultimi anni è stata riscontrata una significativa sieroprevalenza da N.
caninum anche nel lupo grigio (Canis lupus), nell’orso bruno (Ursus arctos)
e nel tasso (Meles meles) oltre che in diversi ruminanti selvatici come il cervo
a coda bianca (Odocoileus virginianus), il cervo rosso (Cervus elaphus), il
capriolo (Capreolus capreolus) e l’alce (Alces alces) (Gondim et al., 2004).
Tabella 1. Ospiti intermedi di Neospora caninum e loro distribuzione geografica; positività all’infezione dimostrata attraverso immunoistochimica (IHC) o PCR. (Dubey et al., 2007)
- 40 -
Una importante sorgente di infezione, soprattutto negli allevamenti, potrebbe
essere rappresentata dalla potenziale implicazione, nel ciclo domestico, dei
roditori (topo, ratto...), attraverso una trasmissione diretta, mediante cioè
l’ingestione di carne con cisti contenenti bradizoiti. Tuttavia, al momento,
l’infezione naturale del topo è stata dimostrata solo da un’equipe a Taiwan
(Huang et al., 2004). Questa rivelazione può essere una solida evidenza di
come il ciclo di Neospora caninum possa collegarsi al di fuori dei carnivori e
dei ruminanti.
Anche se i ratti probabilmente non sono ospite definitivi, essi in ogni modo
hanno la potenzialità di trasmettere N. caninum al bestiame!! Basti solo
pensare quando vengono effettuati i carichi per costituire l’unifeed attraverso i
carri trinciamiscelatori.
Non è di raro riscontro la presenza tra il fieno, la paglia, i mangimi, gli insilati,
della libera circolazione di topi e ratti, i quali possono involontariamente
essere caricati assieme agli alimenti, venir frantumati con l’unifeed e
distribuiti tranquillamente al bestiame in stalla.
I roditori, poi, vengono anche cacciati dai canidi (volpi, lupi, cani domestici...)
aumentando così indirettamente il rischio di infezione del bestiame
(McAllister et al., 2000).
Ci sarebbe inoltre necessità di eseguire una più approfondita indagine per
valutare l’eventuale implicazione nell’elenco di ospiti intermedi, degli uccelli
(piccioni, galline, anatre...). Due indagini epidemiologiche hanno comunque
riscontrato che la presenza di pollame negli allevamenti di vacche da latte, è
associata con un incremento del rischio di Neosporosi tra gli animali.
- 41 -
Sembrerebbe comunque improbabile che il pollame possa trasmettere
Neospora caninum direttamente al bestiame; ma se le galline e altri volatili da
cortile sono ospiti intermedi, allora potrebbero trasmettere l’organismo agli
eventuali cani presenti in allevamento (Otranto et al., 2003).
Non è ancora del tutto esclusa la possibilità di trasmissione di N. caninum
all’uomo. In uno studio condotto in Svezia da Petersen, Lebech, Jensen et al.
(1999) su 76 donne (dai 19 ai 41 anni di età) che accusavano ripetuti aborti o
morte intrauterina del feto, vennero eseguiti degli esami sierologici per
valutare la sieroprevalenza di N. caninum. I test utilizzati (ELISA, IFAT)
erano comunque basati su metodi usati per la ricerca anticorpale di T. gondii
(agente abortigeno nell’uomo): i risultati però esclusero la presenza di Ac-anti
N. caninum in queste donne testate. L’equipe giunse alla conclusione che
molto probabilmente l’infezione da N. caninum nell’uomo è potenzialmente
possibile, soprattutto in quei pazienti più sensibili perché ad esempio
immunodepressi. Quello che si deve continuare a fare, è ricercare sicuramente
un più valido ed attendibile test per la diagnosi indiretta di N. caninum
nell’uomo.
Tra questi certamente si annovera la PCR e l’immunoistochimica, effettuate su
biopsie od eventualmente su tessuti prelevati in corso di autopsie di feti
abortiti.
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� OSPITE DEFINITIVO
Nell’ospite definitivo si ha il completamento del ciclo vitale di Neospora
caninum, attraverso le fasi della riproduzione sessuata, che porta alla
produzione di oocisti non sporulate, che solo nell’ambiente esterno, in adatte
condizioni di temperatura ed umidità, sporulano e divengono così infettanti.
Ancora prima della completa conoscenza del ciclo vitale di Neospora, ci si è
resi conto che la presenza di cani in allevamento aumentava il rischio di
aborto nelle bovine (Parè et al., 1998; Wouda et al., 1999).
Il cane (Canis familiaris), il dingos (Canis dingos) ed il coyote (Canis
latrans) eliminano le oocisti nelle feci dopo essersi alimentati con tessuti di
bovini o topi infetti da N. caninum; essi sono da considerare quindi come
ospiti definitivi di N. caninum (McAllister et al., 1998; Basso et al., 2001;
Gondim, Gao, McAllister, 2002).
Sino ad ora sono stati riportati tre casi di cani che eliminano naturalmente
oocisti di N. caninum. Uno di questi studi però riporta che cani alimentati con
feti bovini infetti da N. caninum non hanno eliminato oocisti (McAllister et
al., 1998; Lindsay et al., 1999).
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� CICLO DOMESTICO E CICLO SELVATICO
Fig. 16. Ciclo selvatico e ciclo domestico di Neospora caninum.
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La presenza del coyote e del dingos come animali selvatici eliminatori di
oocisti di Neospora caninum (ospite definitivo) e dei grandi erbivori selvatici
come ospiti intermedi, lascia intravedere un ciclo selvatico autonomo e molto
probabilmente interconnesso al ciclo domestico mantenuto dal cane: a
sostegno di ciò vi è una dimostrazione di come i giovani coyote (Canis
latrans) e i dingos australiani (Canis dingos), possono eliminare oocisti
nell’ambiente esterno, in seguito a ingestione sperimentale di tessuti
contaminati da Neospora caninum (Barling et al., 2000; Ferroglio, Rossi,
2001).
In questo ciclo, come in quello domestico, l’ospite definitivo elimina le oocisti
non sporulate all’esterno attraverso le feci, contaminando così l’ambiente in
cui pascolano i ruminanti selvatici, come cervi, gazzelle, alci...
Si è riscontrata, dai prelievi eseguiti, un indice di sieropositività più alto nei
cervi a coda bianca, rispetto alle alci. Ciò potrebbe essere il risultato della
diversa tipologia di alimentazione. Le alci, infatti, si cibano principalmente di
foglie e ramoscelli, mentre i cervi pascolano, mangiando più vicino al suolo
dove vi è un maggiore rischio di contaminazione fecale da parte di coyote o
cani randagi eventualmente presenti (Gondim et al., 2004).
Questi stessi ospiti definitivi selvatici possono essere fonte di infezione anche
per gli eventuali bovini “domestici” presenti al pascolo. D’altra parte sarà poi
possibile che gli eventuali feti abortiti in corso di Neosporosi al pascolo
possono venir ingeriti dai carnivori selvatici, i quali si infettano a loro volta
(Fig. 16).
La trasmissione fra animali selvatici e domestici è stata rilevata anche
attraverso studi sperimentali.
- 45 -
Nello specifico si è notato come il coyote sia in grado di eliminare oocisti non
sporulata nell’ambiente esterno, dopo essere stato alimentato con tessuti infetti
di vitello (Gondim et al., 2004), e come lo stesso evento accada in cani
alimentati con tessuti infettati da N. caninum di capriolo (Gondim et al.,
2002).
Questo studio è quindi a sostegno di un effettivo collegamento tra ciclo
trasmissione di Neospora caninum trasmissione di Neospora caninum trasmissione di Neospora caninum trasmissione di Neospora caninum
nella vacca da lattenella vacca da lattenella vacca da lattenella vacca da latte
I bovini possono acquisire l’infezione da N. caninum mediante trasmissione
orizzontale (post-natale) o verticale (pre-natale).
� TRASMISSIONE ORIZZONTALE
La trasmissione orizzontale avviene per ingestione di alimenti o acqua
contaminati con oocisti eliminate dalle feci dell'ospite definitivo.
Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che l’infezione post-natale, per
via orizzontale, è molto probabilmente responsabile per le c.d. “tempeste
d’aborto” (abortion storm).
Per esempio, Dijkstra et al. (2002) hanno riportato la sieroconversione per N.
caninum di bovine da latte di razza Holstein in un periodo di 6 mesi.
- 47 -
In questa mandria, la presenza di anticorpi a bassa avidità (indice di una
recente infezione) e la mancanza di correlazione tra lo status sierologico delle
figlie e quello delle madri erano compatibili con un’infezione primaria per via
orizzontale.
E’ interessante rilevare che, l’elevata percentuale di sieroconversione non era
associata ad un aumento di aborti, indicando che una sieroconversione di
massa in mandrie di vacche da latte può passare inosservata (Dijkstra et al.,
2002).
In mandrie con infezione endemica che sono state testate in modo più esteso,
vi è evidenza sierologica che possa verificarsi un livello basso di infezione
post-natale da fonti ignote. Questo dato è in accordo con i risultati originati da
studi di modelli matematici che suggeriscono che l’infezione da N. caninum
scomparirebbe col tempo dalle mandrie bovine se la trasmissione orizzontale
fosse l'unica via di diffusione dell’infezione (Parè et al., 1996; Davison, Otter,
Trees, 1999; Hietala, Thurmond, 1999; Bergeron et al., 2001;Schares et al.,
2003).
- 48 -
� TRASMISSIONE VERTICALE
La trasmissione verticale comporta la trasmissione transplacentare di
tachizoiti dalla madre infetta al feto durante la gravidanza.
Si riconoscono 2 tipi di trasmissione verticale nel bovino:
1. trasmissione transplacentare esogena, caratterizzata dall’ingestione da
parte della vacca in gestazione, di oocisti non sporulate presenti
nell’ambiente, attraverso l’alimento o l’acqua da bere;
2. trasmissione transplacentare endogena, caratteristica delle vacche con
infezione cronica latente (cisti tessutali) e costituita da una riattivazione
e trasformazione dei bradizoiti di N. caninum in tachizoiti, i quali
possono attraversare la barriera placentare ed essere causa di aborto; la
quota di infezione transplacentare endogena decresce con le gravidanze
successive, indicando l’attivazione di un’immunità protettiva (Anderson
et al., 1995; Dijkstra et al., 2003; Romero e Frankena, 2003).
Le infezioni latenti, presenti nella vacca in gestazione, possono essere state
acquisite attraverso una trasmissione verticale (dalla propria madre)
(Anderson et al., 1997) o essere di origine post-natale (orizzontale), per
l’eventuale presenza in allevamento di cani eliminatori di oocisti (Moen et al.,
1998). Il meccanismo col quale queste infezioni latente si riattivano è davvero
ancora poco conosciuto. L’eventualità che un’immunosoppressione, dovuta ad
esempio ad infezioni concomitanti o per la presenza di micotossine
nell’alimento, possa essere la causa di questa recrudescenza dell’infezione per
la riattivazione dei tachizoiti, è tuttora in discussione e non supportata da dati
certi (Wouda et al., 1998; Bartels et al., 1999; Pfeiffer et al., 2002).
- 49 -
È di poco tempo fa la rilevazione, ad esempio, di come, con un’inoculazione
di progesterone durante la gravidanza, si abbia un aumento del rischio di
aborto nelle vacche infettate (sieropositive) da N. caninum (Bech-Sabat et al.,
2007).
La trasmissione verticale sembra essere la via di trasmissione predominante
d’infezione in Europa e negli Stati Uniti, con una percentuale di efficienza tra
l’65 ed il 95%, mentre percentuali più basse (23,5-60%) sono state rilevate in
Nuova Zelanda (Parè, Thurmond, Hietala, 1996; Wouda, Moen, Schukken,
1998; Davison, Otter, Trees, 1999; Sanderson et al., 2000).
In allevamenti con infezione endemica, la maggioranza dei vitelli nati da
vacche sieropositive sono sieropositivi. Inoltre, la percentuale di
sieropositività nella mandria non è correlata all'età delle bovine, il che
suggerisce che la percentuale d’infezione post-natale sia bassa.
Per di più, i vitelli congenitamente infetti hanno un'infezione persistente
cronica che può essere trasmessa per via transplacentare alla loro discendenza.
- 50 -
� ALTRE FONTI DI TRASMISSIONE
Uggla et al. (1998) hanno riportato che vitelli inoculati per via orale con
tachizoiti aggiunti al colostro, sono diventati sieropositivi a circa 5 settimane
post-infezione. Tuttavia, non sono state osservate lesioni da N. caninum, ne
positività immunoistochimica; il parassita non è stato, inoltre, isolato in
seguito all’inoculo di tachizoiti in animali da laboratorio. Il DNA di N.
caninum è stato però ritrovato nel cervello, attraverso PCR. I dati, confermati
anche da Davison et al. (2001), suggeriscono che il colostro potrebbe essere
un fonte di infezione post-natale.
Moskwa et al. (2003) recentemente hanno
descritto il ritrovamento di DNA di N. caninum
nel latte prodotto da bovine infette. Se questo
evento venisse confermato come fonte di
tachizoiti vivi e vitali, sarebbe da considerare
un’ulteriore pericolosa sorgente di infezione di
tipo orizzontale, tra madre e vitello, oltre che per l’uomo.
Dubey et al (2007) hanno riportato comunque che non esistono segnalazioni in
natura dell’infezione di N. caninum con colostro, latte, etc.
Altri ricercatori hanno ipotizzato, infine, come l’ingestione di placenta o
liquido amniotico espulso dalle bovine infette fosse un’ulteriore fonte di
trasmissione orizzontale tra bovini (Ho et al., 1996; Bergeron et al., 2001;
Dijkstra, 2001). Questo non è stato finora verificato da Davison et al. (2001).
- 51 -
È stata inoltre ipotizzata l’eventualità della trasmissione di Neospora caninum
per via genitale. Un’equipe madrilena (Serrano et al., 2006) ha contaminato,
in via sperimentale alcune giovenche, inseminandole con sperma addizionato
con 1x107 tachizoiti. Le manze hanno subito una sieroconversione e la
presenza del parassita è stata dimostrata (il DNA di Neospora caninum è stato
riscontrato nel loro sangue).
Tuttavia, quando il DNA di N. caninum è stato quantificato nello sperma di
tori naturalmente infettati, questi stessi ricercatori hanno ritrovato solo
l’equivalente di 5-10 parassiti per millimetro di sperma (Caetano da Silva et
al., 2004; Ferre et al., 2005; Ortega-Mora et al., 2003).
Inoltre, non si conosce ancora del tutto il destino del parassita in caso di
congelamento dello sperma, anche se è molto probabile che perda
completamente la virulenza (Canada et al., 2006).
- 52 -
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PPPPATOGENESI E ATOGENESI E ATOGENESI E ATOGENESI E SSSSINTOMATOLOGIAINTOMATOLOGIAINTOMATOLOGIAINTOMATOLOGIA
Nelle vacche che abortiscono in conseguenza dell’infezione da N. caninum,
non si rilevano segni clinici di malattia. I feti abortiti sono in preda ad autolisi,
senza lesioni macroscopiche e di solito non si ha ritenzione placentare (Fig.
17).
Fig. 17. Feto mummificato (sinistra) e feto abortito (destra) nati da vacche sieropositive per N. caninum.
- 53 -
L’aborto può derivare da tre processi patogenetici potenzialmente
concomitanti (Dubey et al., 2006):
1. una perturbazione dell’equilibrio delle citochine placentari, che
determina lo sviluppo di un processo infiammatorio locale;
2. una somma di microscariche di prostaglandine conseguenti al
passaggio placentare di Neospora caninum, che determinano una lisi del
corpo luteo;
3. un’infestazione incontrollata del giovane feto, quindi fatale per il
prodotto del concepimento.
Fig. 18. Distribuzione temporale delle principali cause di aborto in base allo stadio di gestazione.
- 54 -
Gli aborti avvengono a partire dai 3 mesi di gestazione fino alla fine della
gravidanza, ma la maggioranza degli aborti da N. caninum avviene nel
secondo trimestre di gravidanza.
Questo modello che prevede l’aborto a metà gestazione è fattore di diagnosi
differenziale nei confronti di altre cause diagnosticate di aborto infettivo nelle
bovine da latte, che tendono a verificarsi più tardi nel corso della gestazione
(Fig. 18).
Non è noto se l’infezione da N. caninum possa provocare problemi riproduttivi
nel primo trimestre di gestazione; comunque sono stati riscontrati casi di
mummificazione fetale associati a focolai di Neosporosi (Fig. 17).
Gli aborti da N. caninum avvengono durante tutto l'anno e sono stati riportati
sia in bovine da latte che da carne.
Gli aborti da Neospora caninum si osservano quindi più frequentemente tra il
V ei VII mese di gravidanza (Anderson et al., 1991; Thurmond, 1995; Sager,
Fischer, Furrer, 2001; Wouda et al., 1997).
L’influenza della fase di gestazione potrebbe essere legata a una maggiore
recettività fetale; si tratta di un’ipotesi avvalorata anche da studi istologici e
sierologici. In effetti, prima del VI mese di gravidanza, il feto bovino può
essere considerato totalmente non immunocompetente. Inoltre, esami
istologici hanno evidenziato lesioni più gravi nei feti giovani, rispetto a feti di
età maggiore (Ogino et al., 1992). L’infezione del feto nel primo trimestre di
gravidanza sfocia sistematicamente in aborto, mentre nel corso del secondo
trimestre l’infezione non causa necessariamente un processo abortivo, poiché
il feto è in grado di contrastare l’infezione parassitaria.
- 55 -
Trees et al. (2002) hanno infatti dimostrato sperimentalmente come
l’importanza del periodo di gestazione durante il quale avviene la l’infezione
da N. caninum sia fondamentale. Nello studio, l’inoculazione, ad esempio, di
una dose di 7x105 tachizoiti di Neospora caninum a 70 giorni di gestazione,
causa aborto nella totalità delle vacche; se l’inoculazione, invece, avviene
dopo il 160° giorno di gestazione, le vacche danno alla luce vitelli
clinicamente sani, ma sieropositivi.
Le manze con infezione congenita possono a loro volta trasmettere l'infezione
alla futura progenie. Ricordiamo, infatti, che questo meccanismo di
trasmissione verticale è il fattore principale di mantenimento dell’infezione da
N. caninum nella mandria.
Le bovine sieropositive, inoltre, hanno un rischio di aborto aumentato. In uno
studio condotto in California, vacche sieropositive con infezione congenita
avevano un rischio di aborto aumentato di 7,4 volte nel corso della loro prima
gravidanza. Il rischio alla seconda gravidanza era notevolmente più basso,
anche se questo dato potrebbe essere stato influenzato, in qualche modo,
dall’eliminazione selettiva di vacche che hanno abortito alla prima gravidanza
(Thurmond e Hietala, 1997).
Nei Paesi Bassi, un aumento di 3 volte del rischio di aborto, comparato a
quello di fattrici sieronegative, era associato alla presenza di vacche
sieropositive (Wouda et al., 1998).
Un aumentato rischio di aborto e di nascita di feti morti o disvitali, un elevato
tasso di riforma per inefficienza riproduttiva, un ridotto accrescimento post-
svezzamento e un ridotto tasso di trasformazione dell’alimento è stato
riscontrato anche in bovine da carne (Barling et al., 2001).
- 56 -
Oltre all’aborto ed all’infezione congenita, l’infezione da N. caninum può
provocare una riduzione della produzione di latte ed un accorciamento della
vita produttiva, come evidenziato da uno studio nel corso del quale vacche
sieropositive hanno prodotto meno latte e sono state eliminate più
precocemente delle fattrici sieronegative (Thurmond e Hietala, 1996 e 1997).
� ABORTO NELLA BOVINA: modelli epidemiologici
Sono stati descritti due modelli di aborto da N. caninum nella vacca da latte:
l’aborto endemico e l’aborto epidemico.
• ABORTO ENDEMICO
Nel modello caratterizzato dall’aborto endemico, la mandria è colpita da una
percentuale di aborto superiore al 5% annuo, percentuale che persiste per anni.
Nel corso di indagini effettuate in due allevamenti da latte in California che
presentavano aborti endemici da N. caninum, la percentuale di aborto annuale
attribuibile alla Neosporosi in questi allevamenti è stata valutata pari al 10,6%
e al 17,3% (Thurmond et al., 1995).
• ABORTO EPIDEMICO
Il modello di aborto epidemico è meno comune ed è caratterizzato da aborti in
un gran numero di bovine gravide distribuiti su un periodo di tempo
relativamente breve.
- 57 -
In alcuni casi, più del 30% delle bovine gravide ha abortito per Neosporosi nel
giro di alcuni mesi (Thornton et al., 1994). Un insieme di questi modelli può
essere osservato in alcune mandrie che hanno sperimentato una storia
prolungata di casi sporadici di aborto da N. caninum e focolai occasionali di
aborti attribuibili a N. caninum.
Infezioni primarie sono molto probabilmente la causa di focolai di aborto
indotto da N. caninum nei bovini (Fig. 19), mentre un aumento della
percentuale di aborto annuale può essere una conseguenza della trasmissione
verticale.
In molti casi, le bovine che abortiscono un feto infetto da N. caninum
andranno incontro sia ad aborti che a infezioni fetali ulteriori alle gravidanze
successive (Barr et al., 1993; Anderson et al., 1995; Dubey et al., 1996). Le
conseguenze cliniche in queste gravidanze successive sono variabili, ma una
bovina sieropositiva che presenta un aborto, avrà un rischio di aborto
aumentato di 5,7 volte alla gravidanza successiva (Thurmond e Hietala, 1997).
Fig. 19. Feto abortito. Non sono visibili particolari lesioni.
- 58 -
� SINTOMATOLOGIA NEL VITELLO
Una manifestazione non comune d’infezione fetale da N. caninum è la nascita
di un vitello a termine clinicamente colpito da infezione, che mostra diversi
segni neurologici, che si manifestano come disfunzioni limbiche, che variano
da lievi deficit propriocettivi sino alla completa paralisi.
Microscopicamente si rileva un’encefalomielite multifocale protozoaria, che
può essere localizzata in particolare nella materia grigia del midollo spinale
(Barr et al., 1993; Dubey et al., 1996) (Fig. 20).
La maggioranza dei vitelli che contraggono un'infezione da N. caninum
durante la gestazione nasce clinicamente normale. Questi vitelli avranno un
titolo anticorpale precolostrale alto per N. caninum, utile per rivelare
un’infezione uterina.
Fig. 20. Feto bovino abortito: miocardio con accumulo di tachizoiti di N. caninum tra le fibrocellule muscolari (sinistra); area di necrosi nel SNC (destra).
Considerando la sieroprevalenza della Neosporosi in allevamento e l’elevato
tasso di trasmissione verticale, è importante poter dimostrare l’esistenza di
lesioni parassitarie (con o senza oggettivazione del parassita) o far ricorso a
tecniche in grado di mettere in evidenza le lesioni caratteristiche per
confermare che l’evento abortivo sia dovuto a N. caninum.
I prelievi fetali principali vanno effettuati nel tessuto nervoso centrale e a
livello di cuore, fegato e placenta. Le condizioni di consegna al laboratorio
variano in base alla tipologia di metodica diagnostica.
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Una diagnosi accurata dell'aborto da N. caninum si può ottenere se il
diagnostico prende in esame, prima di stabilire quale infezione sia la causa di
aborto:
1. il periodo di gestazione e le condizioni post-mortem del feto (autolisi);
2. la presenza di lesioni infiammatorie disseminate e compatibili;
3. la presenza di parassiti rilevabili con immunoistochimica o del DNA del
parassita con la PCR;
4. l’assenza di altri agenti abortivi.
La diagnosi diretta di infezione da N. caninum si effettua attraverso metodiche
diverse che comprendono l’esame istologico ed immunoistochimico, la
cultura cellulare e l’inoculo in animali da laboratorio e l’applicazione di
metodiche molecolari, quale la PCR.
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• ESAME ISTOLOGICO
L’esame istologico è ancora considerato come la tecnica di riferimento
(Kramer et al., 2007). Consiste nell’osservazione di lesioni di tipo
infiammatorio, necrotico non suppurativo. Inoltre, è importante determinare se
le lesioni possono essere responsabili della morte del feto e se, per l’aborto, va
ricercata un’altra causa.
Alcuni studi riferiscono che le lesioni sono più gravi e più numerose nei feti
provenienti da focolai epidemici rispetto a feti provenienti da focolai endemici
e nei feti a meno di 6 mesi di gestazione (Collantes-Fernandez et al., 2006).
L’osservazione di parassiti all’interno delle lesioni non è sistematica, tanto più
se nel feto sono iniziati fenomeni autolitici e la distribuzione per
microrganismo non è omogenea all’interno dell’organo (Collantes-Fernandez
et al., 2006). In tal caso, può essere utile effettuare due serie di sezioni
istologiche a diversi livelli del tessuto esaminato.
Le lesioni più caratteristiche si trovano a livello di tronco encefalico e
peduncoli cerebellari, e consistono in aree di encefalite multifocale di tipo non
purulento. Queste aree infiammatori sono caratterizzate da una zona centrale
di necrosi che in alcune occasioni si presentano con fenomeni di calcificazione
(González et al., 1999).
Le altre lesioni istologiche che si rinvengono costantemente includono
epicarditi e/o miocarditi non suppurative, miositi focali non suppurative ed
epatiti portali non suppurative, frequentemente con necrosi epatica focale e
polmonite interstiziale focale non suppurativa.
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Le lesioni al cuore, fegato e tessuto muscolare scheletrico, normalmente sono
di difficili rilevazione per la precoce comparsa di fenomeni autolitici
(Anderson et al., 1994; Barr et al., 1991).
Le lesioni istopatologiche offrono una diagnosi presuntiva della malattia.
L'assenza di lesioni nel cervello non esclude la diagnosi di Neospora; bisogna
tenere in considerazione che tale negatività può essere dovuta per l'esame di
zone prive di lesioni specifiche o che tali lesioni si trovino in altri organi, ad
esempio la placenta.
Per confermare la diagnosi istologica si impiegano tecniche di
immunoistochimica, che ci permettono di evidenziare la presenza di tachizoiti
tra le aree di proliferazione microgliare o nell'infiltrato infiammatorio che
circonda la zona necrotica.
Grande specificità ma bassa sensibilità, dovuta alla scarsa presenza del
parassita nelle lesioni, è la rilevazione e la relativa osservazione delle cisti
tessutali contenenti bradizoiti di Neospora caninum (Gonzales et al., 1999).
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• IMMUNOISTOCHIMICA
L’immunoistochimica, basata sul riconoscimento del parassita grazie ad
anticorpi specifici, consente una maggiore sicurezza in termini di
identificazione, ma necessita anche dell’analisi di diversi campioni e della
disponibilità di un laboratorio specializzato.
La specificità della tecnica dipende dall’anticorpo utilizzato. I sieri
iperimmuni, policlonali, possono presentare delle reazioni di cross-reattività
con Toxoplasma gondii (Dubey et al., 2007).
Con l’impiego degli anticorpi monoclonali di topo (mAb 6G7) che reagiscono
selettivamente contro i tachizoiti di N. caninum (NC-1) alla prova IFAT, Cole
et al. (1993) constatarono che questi stessi anticorpi non reagivano con
tachizoiti e bradizoiti di T. gondii, H. hammondi, sporozoiti di Isospora suis e
merozoiti di Eimeria bovis, schizonti e merozoiti di Sarcocystis cruzi, S. canis,
S. neurona, oocisti di Cryptosporidium parvum, amastigoti di Leishmania spp,
e molti altri parassiti. Questa osservazione fu un’ulteriore conferma dell’alta
specificità del test immunoistochimico nei confronti di tessuti con lesioni
compatibili a Neospora caninum. Infatti, secondo van Maanen et al (2004), ad
esempio, l’immunoistochimica ha bassa sensibilità (40%), ma altissima
specificità (93%) nel confermare la diagnosi di aborto da N. caninum.
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• CULTURA CELLULARE E INOCULO IN ANIMALI DI
LABORATORIO
Sono state descritte numerose linee
cellulari , anche di origine murina (es. linea
primaria di astrociti murini) (Figg. 21-22).
Queste tecniche attualmente sono riservate
ai laboratori di ricerca, in ragione della
lunghezza intrinseca della tempistica per la
risposta e delle difficoltà di realizzazione,
soprattutto con feti in autolisi.
Inoltre, considerando il passaggio verticale
quasi sistematico nella specie bovina, l’isolamento di un ceppo non consente
sempre di attribuire l’aborto a Neospora caninum. Sarebbe necessario quindi
abbinare questa metodica
diagnostica all’esame istologico.
L’isolamento di N. caninum in
coltura cellulare resta comunque un
metodo di diagnosi diretta molto
indaginoso e che non trova
applicazione routinaria in
laboratorio poiché spesso il parassita
perde la propria vitalità in seguito
all’autolisi degli organi fetali.
Fig. 21. Coltivazione in vitro di oocisti di Neospora caninum (Prof.
Dr. Andrew Hemphill, Universität
Bern, 2003)
Fig. 22. Tachizoiti di Neospora caninum coltivati in cellule Vero.
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Ne è prova l’esiguo numero di ceppi del protozoo che sono stati finora isolati
nel mondo in laboratori specializzati degli Stati Uniti, Svezia, Gran Bretagna,
Giappone ed Italia.
Hemphill A. e Vonlaufen N. dell’Istituto di Parassitologia dell’Università di
Berna (2005), in molti loro esperimenti, utilizzarono comunque la metodica
della cultura su monostrato cellulare di N. caninum, con lo scopo di studiare
ed approfondire, ad esempio, la capacità di conversione morfologica da
tachizoita a bradizoita, sotto particolari condizioni di stress, condizioni che si
possono poi riscontrare nell’ospite dove Neospora può albergare.
Sotto queste particolari condizioni di stress, si è potuto notare che il parassita
ferma di proliferare ed esprime antigeni bradizoiti-specifici che conducono al
suo incapsulamento in una cisti tissutale.
Gli esperimenti effettuati applicavano alla cultura cellulare varie condizioni di
stress:
1. modifiche della temperatura di incubazione;
2. variazione della concentrazione in CO2;
3. variazioni di pH;
4. esposizione ad immunomodulatori come IFN-γ e TNF-α;
5. reazione con anticorpi anti-Neospora caninum;
6. trattamento con ossido nitrico (nitroprussito di sodio (SNP).
Ad esempio, in un esperimento, una cultura cellulare di cheratinociti
epidermici di topo venne infettata con tachizoiti di Neospora caninum, e la
cultura infetta fu trattata con una dose elevata (70 µm) di nitroprussito di sodio
per 8 giorni.
Come stimato da PCR in tempo reale, la proliferazione del parassita nella
cultura cellulare sotto particolari condizioni di stress era notevolmente ridotta.
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Una up-regulation dell'espressione di antigeni bradizoiti-specifici era
evidenziabile attraverso un’immunofluorescenza diretta (Fig. 23) utilizzando
nello specifico anticorpi marcati, diretti contro l'antigene bradizoita-specifico
NcBAG1, ed in parallelo, si otteneva una down-regulation dell'espressione di
antigeni tachizoiti-specifici come NcSAG1 o NcSRS2. Dopo 8 giorni con
trattamento della cultura cellulare con SNP, l'antigene di superficie della cisti
di Neospora caninum NcCC2 fu celato dal parassita stesso (Nishikawa et al.,
2001; Min Liao et al., 2005).
Al microscopio elettronico a trasmissione si ottenne la rivelazione che
Neospora caninum si era localizzata all’interno di compartimenti intracellulari
chiamati vacuoli parassitofori, e che la maggioranza dei parassiti presenti
all'interno dei vacuoli parassitofori erano in grado di costituire una parete
cistica, tipica dello stadio del bradizoita.
Fig. 23. Conversione in vitro di Neospora caninum analizzate attraverso la doppia-immunofluorescenza diretta. Notare nella figura C la progressiva down-regulation dell’espressione degli Ag NcSAG1 espressi dallo stadio di tachizoita e la progressiva up-regulation degli Ag NcBAG1 espressi dai bradizoiti, dovuta alla reazione di Neospora caninum a particolari condizioni di stress..
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• BIOLOGIA MOLECOLARE
Le tecniche di amplificazione genica (PCR) del DNA di Neospora caninum
sono sempre più utilizzate.
Sono stati descritti e utilizzati numerosi geni bersaglio. Attualmente, si è
concordi nell’amplificazione del gene pNc-5 presente in tutti gli stipiti, ma la
cui funzione non è ancora stata completamente chiarita (Gottstein et al., 1998).
Questa metodica può essere impiegata per mettere in evidenza tutte le forme
del parassita attualmente descritte: negli organi, nelle feci dell’ospite
definitivo e nello sperma.
Nonostante queste tecniche siano molto sensibili, si raccomanda di estrarre il
DNA a partire da un omogenato di tessuto, piuttosto che da un campione di
piccole dimensioni, in ragione dell’eterogenicità della distribuzione del
parassita.
Considerando il passaggio verticale di N. caninum, un risultato positivo non
consente da solo di concludere sulla reale responsabilità del parassita
nell’aborto. Tuttavia, uno studio condotto in Svizzera, ha evidenziato una
correlazione pari a circa l’85% tra i risultati positivi ottenuti in PCR e le
lesioni compatibili con un aborto attribuibile a Neospora caninum. Questa
tecnica sembra dunque ben adattarsi a una diagnosi di Neosporosi in prima
intenzione (Sager, Fischer, Furrer et al., 2001).
La scelta della PCR come metodica routinaria per la diagnosi diretta di
infezione è soprattutto per la sua praticità, in quanto l’esame può essere
eseguito anche su campioni di tessuti fetali congelati o fissati in formalina e
consente di disporre di un esito in tempi brevi (l’esecuzione completa della
prova richiede 2 giorni).
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I materiali che è opportuno esaminare di preferenza, quelli dove esami
immunoistochimici hanno rivelato che più spesso è rinvenibile Neospora
caninum, sono il cervello, il cuore, il rene e il fegato.
Timothy, Baszler et al. (1999) ottimizzarono la tecnica di PCR per la ricerca e
amplificazione del gene pNC-5, utilizzando due coppie di primers: Np4-Np7 e
Np6-Np7. Studi preliminari utilizzando sangue e tessuto nervoso bovino
mostrarono che la coppia di primers Np4-Np7, quando usata in una procedura
standard o quando usata prima della coppia di primers Np6-Np7, fornisce
ottimi risultati sui tessuti bovini testati. La coppia di primers Np4-Np7
amplifica un frammento di DNA di 275 bp, mentre la coppia Np6-Np7
amplifica un frammento di 227 bp. La PCR effettuata sfruttando prima la
coppia di primers Np4-Np7 seguita dalla coppia Np6-Np7 aumenta
notevolmente la sensibilità del test.
Per escludere eventuali, ma rari, falsi-negativi, dovuti soprattutto alla scarsa
qualità del DNA da testare (tessuti con spiccati fenomeni di autolisi), si può
ricorrere alla PCR multipla, che utilizza, oltre alle coppie di primers di N.
caninum, una coppia di primers relativa al gene della prolattina bovina (PRL)
espresso appunto dalle cellule di origine bovina. La coppia di primers PRL
HL033-HL035 amplifica un frammento di 156 bp di DNA (Fig. 26).
La sensibilità della PCR è del:
1. 77% per tessuto nervoso fresco (Fig. 24).
2. 100% se effettuata su tessuti fissati in formalina e per quelli allestiti con
paraffina (Fig. 25);
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La specificità, invece, è del:
1. 94% per tessuti fissati in formalina o allestiti con paraffina;
2. 100% per cervello fresco.
Un ulteriore metodica PCR allestita è diretta all'amplificazione di una parte
del gene che codifica la subunità 18S del ribosoma di N. caninum, un gene del
quale è nota la bassa variabilità intraspecifica, con l'intento di poter rilevare
qualsiasi ceppo riferibile alla specie N. caninum. Il prodotto della reazione
PCR, nel caso di presenza di coccidi nel campione esaminato, è un frammento
di DNA che viene rilevato agevolmente mediante una elettroforesi su gel di
agarosio. Successivamente all’amplificazione, la digestione enzimatica del
prodotto della reazione ad opera dell'endonucleasi permette di identificare i
protozoi del genere Neospora differenziandoli nel contempo da altri protozoi
di interesse veterinario (T. gondii e Sarcocystis spp.) che possono essere
rilevati nei feti bovini.
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Fig. 24. PCR effettuata su DNA di tachizoiti di Neospora caninum isolato da cervello di bovino infetto. Il DNA è stato analizzato con l’impiego della coppia di primers Np4-Np7 per l’amplificazione del gene pNC-5. È stata quindi effettuata un’elettroforesi su gel di agarosio.
� CAMPIONE 1: massa molecolare conosciuta (100kb);
� CAMPIONI 2-9: cervello di bovino infettato sperimentalmente con 5000, 500, 50, 40, 30, 20, 10, 0 tachizoiti di N. caninum rispettivamente;
� CAMPIONE 10: controllo positivo (DNA estratto da tachizoiti di N. caninum coltivati in cultura di cellule Vero;
� CAMPIONE 11: controllo negativo (acqua distillata);
� freccia a sinistra: prodotto della PCR da parte della coppia di primers Np4-Np7 di 275 kb, che si riscontra a livello dei campioni dal 2 al 7 e campione 10.
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Fig. 25. PCR effettuata su tessuti infetti da Neospora caninum appartenenti a feti abortiti, fissati in formalina e allestiti con paraffina. L’amplificazione del gene pNC-5 è stata ottenuta utilizzando la coppia di primers Np4-Np7.
� CAMPIONE 1: massa molecolare conosciuta (100kb);
� CAMPIONE 2: controllo positivo (DNA di Neospora caninum);
� CAMPIONE 3: rene (positivo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 4: cervello (positivo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 5: fegato (negativo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 6: controllo negativo (paraffina);
� CAMPIONE 7: rene (negativo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 8: polmone (negativo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 9: fegato (negativo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 10: cuore (positivo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 11: cervello (positivo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 12: controllo negativo (paraffina);
� CAMPIONE 13: tessuto cerebrale (negativo per la ricerca di N. caninum) di feto abortito per infezione della madre da IBR;
� CAMPIONE 14: cervello (positivo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 15: cuore (negativo per la ricerca di N. caninum) di feto infetto;
� CAMPIONE 16: controllo negativo (acqua distillata).
� Freccia sinistra: prodotto della PCR da parte della coppia di primers Np4-Np7 di 275 kb.
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Fig. 26. PCR multipla effettuata su DNA di tachizoiti di Neospora caninum e PRL di tessuti fetali fissati in formalina ed allestiti con paraffina derivati da feti abortiti. Il DNA è stato analizzato con l’impiego della coppia di primers Np4-Np7 per l’amplificazione del gene pNC-5 e l’impiego della coppia di primers HL033-HL035 per l’amplificazione del gene che codifica la PRL bovina. È stata quindi effettuata un’elettroforesi su gel di agarosio.
� CAMPIONE 1: massa molecolare conosciuta (100kb);
� CAMPIONI 2-4: rispettivamente fegato, cuore e cervello di feti negativi per N. caninum, analizzati solo con primers per PRL;
� CAMPIONI 5 e 6: rispettivamente cervello e rene di feti negativi per N.
caninum e PRL;
� CAMPIONI 7 e 8: rispettivamente cervello e polmone di feti negativi per N.
caninum e PRL;
� CAMPIONE 9: cervello di feto positivo per Neospora caninum analizzato con primers per DNA Neospora e PRL;
� CAMPIONI 10-14: controllo negativo per PRL bovina (cultura di cellule Vero infettate da Neospora caninum);
� CAMPIONI 15 e 16: controllo negativo (acqua distillata);
� freccia a sinistra: prodotto della PCR da parte della coppia di primers Np4-Np7 di 275 kb, che si riscontra a livello dei campioni dal 9 al 14 e prodotto della PCR da parte della coppia di primers HL033-HL035 di 156 kb, che si riscontra a livello dei campioni dal 2 al 4 e campione 9.
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� DIAGNOSI INDIRETTA
• RISPOSTA ANTICORPALE NEL BOVINO
Tutti i bovini infettati da Neospora caninum producono specifici anticorpi che,
durante la vita dell’animale subiscono continue fluttuazioni nel titolo, sia per
quanto riguarda animali infettati sperimentalmente che naturalmente.
In particolare durante la gravidanza, l’interazione tra il sistema immunitario
dell’ospite e il parassita causa il rapido picco e il progressivo calo del livello
anticorpale. Questo evento fa si che la concentrazione sierica anticorpale arrivi
ad un livello inferiore al cut-off dei più comuni test sierologici utilizzati
(Stenlund et al., 1999; Guy et al., 2001; Sager et al., 2001; Maley et al., 2001;
Trees et al., 2002).
I vitelli alimentati con colostro proveniente da madri sieropositive ricevono
anticorpi colostrali di Neospora caninum. Hietala e Thurmond (1999)
mostrarono che, dopo un mese, tale trasmissione passiva di anticorpi può
essere ancora rilevata nel 50% dei sieri di vitelli non infettati. Comunque nella
maggior parte dei vitelli, anticorpi colostrali non vengono più riscontrati dopo
due mesi.
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• TEST SIEROLOGICI
Per la diagnosi indiretta della Neosporosi, il sangue o altri liquidi corporei
(liquor, versamenti cavitari, latte) degli animali infetti vengono esaminati per
ricercarvi anticorpi specifici verso N. caninum. La prima metodica messa a
punto è stata l’immunofluorescenza indiretta (IFAT), una tecnica
caratterizzata da buona sensibilità e specificità e che non rileva anticorpi
diretti verso altri protozoi che possono infettare il bovino (Sarcocystis spp.,
Toxoplasma gondii); a questa hanno fatto seguito diverse metodiche
immunoenzimatiche (ELISA) che si differenziano tra loro per la tecnica di
preparazione dell’antigene. Tra metodiche ELISA e IFAT si osserva una
buona concordanza in termini sia di sensibilità sia di specificità, anche se la
prova IFAT appare più affidabile; in ogni caso la praticità delle metodiche
ELISA potrebbe farle preferire sempre più in futuro per l’applicazione
routinaria.
Per un significativo risparmio di tempo e di costi di esecuzione e ai fini
dell’identificazione delle aziende infette, è stato inoltre proposto l’utilizzo di
una metodica ELISA anche per l’esame del latte di massa: in questo caso, la
prova riesce a rilevare gli anticorpi nei confronti di N. caninum se alla
costituzione del campione esaminato ha concorso il latte di bovine
sieropositive in una proporzione di almeno il 10-15% del totale dei soggetti
munti (Varcasia et al., 2006).
La sierologia comprende un insieme di tecniche diagnostiche i cui principali
vantaggi sono: la possibilità di realizzazione ante-mortem e il costo limitato.
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Nel caso di patologie come la Neosporosi, in cui l’agente patogeno permane
nell’ospite (cisti cerebrali), gli anticorpi persistono.
Il titolo anticorpale può tuttavia variare, in particolare in funzione della fase di
gravidanza, scendendo anche al di sotto della soglia di rilevamento dei metodi
correttamente utilizzati.
Inoltre, attualmente, non esiste un test sierologico che consenta di distinguere
tra animali con infezione naturale e bovini vaccinati (Reichel et al., 2006).
La sierologia può essere utilizzata
sulle madri e sui fluidi fetali (Fig. 27),
con diverse interpretazioni. Si è ormai
concordi sull’utilità della sierologia
materna come strumento nella
diagnosi di aborto. Un risultato
sierologici negativo esclude quasi con
certezza l’ipotesi eziologica di
Neospora caninum come causa di
aborto. Al contrario, tenendo in considerazione la prevalenza dell’infezione in
allevamento e la trasmissione verticale del patogeno, un risultato positivo
viene interpretato solamente come un sospetto e non consente in alcun caso di
stabilire una diagnosi di certezza.
In tal caso può essere utile effettuare analisi sierologiche e analisi statistiche
negli animali a rischio (vacche in gravidanza), per stimare se gli aborti sono
significativamente associati ad animali sieropositivi.
L’analisi sierologica dei fluidi fetali dà luogo a un’interpretazione opposta. Un
risultato positivo va considerato come un forte sospetto, mentre un risultato
sierologici fetale negativo non consente di escludere un aborto da Neospora
caninum.
Fig. 27. Feto abortito: prelievo di fluidi fetali dalla cavità cardiaca (prelievo endocardiaco).
- 76 -
In effetti, il sistema immunitario del feto bovino è immaturo, soprattutto nei
primi 2/3 della gravidanza, e il lasso di tempo tra un’infezione fetale e la
morte del prodotto del concepimento è breve (Wouda, Dubey, Jenkins, 1997).
La sierologia può essere anche utilizzata all’atto dell’acquisto di un animale o
nel quadro di uno screening d’allevamento. È necessario in questi casi
ricercare la presenza di linee familiari di bovini infetti. Il veterinario di campo
non deve esitare nel testare nuovamente un animale caratterizzato da risultati
non coerenti rispetto alla genealogia o ai risultati complessivi del gruppo di
animali.
La valutazione sierologica dell’allevamento consente di:
1. stimare l’importanza della contaminazione di gruppo;
2. definire la modalità principale di contaminazione (verticale od
orizzontale);
3. fornire un aiuto nella scelta delle tecniche da mettere in atto per
combattere l’infezione (eliminazione selettiva, scelta delle femmine
riceventi o da incrociare per far nascere vitelli da carne, ecc.).
I test utilizzano tachizoiti di N. caninum o specifici antigeni derivati. I
laboratori che utilizzano uno qualsiasi dei test sierologici per N. caninum,
dovrebbero stabilire appropriati valori di “cut off”, utilizzando sieri da bovini
infetti e non infetti. Un solo campione di siero, proveniente da una singola
bovina, può non riflettere in modo accurato il suo stato d’infezione, dato che i
titoli degli animali positivi possono fluttuare e possono scendere sotto il valore
soglia per un certo periodo di tempo (Björkman, Uggla, 1999).
- 77 -
L’impiego della sierologia per Neospora caninum è anche un efficace metodo
per rilevare elevati livelli di anticorpi nel siero di vitelli con infezione
congenita, o in feti infetti abortiti a 6 o più mesi di gestazione (Barr et al.,
1995; Wouda et al., 1997).
I principali test utilizzati sono:
� IFAT: indirect-fluorescent antibody test;
� ELISA: enzyme-linked immunoassay;
� Avidity test;
� Immunocromatografia (ICT).
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1. IFAT
L’IFAT si basa essenzialmente sull’utilizzo di tachizoiti interi di N. caninum
fissati su appositi vetrini. Il siero in esame, correttamente diluito, viene
applicato sul vetrino ed, in seguito, viene aggiunto un anticorpo anti-IgG di
bovino coniugato ad un fluorocromo. La positività sierologica è rilevata al
microscopio a fluorescenza (Dubey et al., 1996).
Le principali sostanze utilizzate come
fluorocromo, sono la fluorescina, che
emette luce verde in caso di positività del
test (Fig. 28), e la rodamina che invece
emette luce rossa.
Uno svantaggio della metodica IFAT è il
fatto che il risultato che si ottiene è di
tipo soggettivo, in quanto valutato
dall’occhio più o meno esperto di un
tecnico di laboratorio, a differenza del
test ELISA, per il quale la risposta si ottiene attraverso una diagnosi
strumentale (spettrofotometro) di tipo oggettivo, standardizzabile e quindi
costante nel tempo. L’approccio che si deve assume in un laboratorio è quindi
di far leggere quando possibile allo stesso tecnico addetto i vetrini di IFAT, in
modo da ottenere un risultato più coerente possibile.
L’impiego di IFAT nella sierologia per Neospora caninum è un metodo
efficace ed accurato nel rilevare elevati livelli di anticorpi nel siero di vitelli
con infezione congenita (esame precolostrale), o in feti infetti abortiti nella
seconda metà di gravidanza.
Fig. 28. IFAT. In verde sono visibili i tachizoiti di Neospora caninum evidenziati attraverso anticorpi marcati con fluorescina.
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Ciò nonostante, un titolo IFAT negativo per N. caninum nei fluidi fetale non
esclude la possibilità d’infezione, ed un titolo positivo non dimostra che
questa infezione fosse l’effettiva causa di aborto.
Il test IFAT (specificità: 97%; sensibilità: 97%; Wapenaar et al., 2007), si è
comunque dimostrato un esame affidabile ed accurato e sicuramente, rispetto
al test ELISA, ha una maggiore specificità: IFAT infatti viene molto spesso
utilizzato come test di riferimento per la valutazione dell’affidabilità di altri
test sierologici (golden test).
2. ELISA
Il test ELISA può essere utilizzato nella valutazione dello status sierologico
della mandria, oltre che nelle indagini di routine nei casi individuali di aborto.
A differenza di IFAT, gli antigeni utilizzati in ELISA possono essere diversi:
tachizoiti interi; antigene crudo di tachizoiti sonificati; antigeni di superficie,
ad esempio una proteina immunodominante di 65 kDa (p65) esposta sulla
superficie dei tachizoiti di Neospora caninum.
L’esame viene preparato ponendo l’antigene di Neospora caninum sul fondo
di particolari pozzetti; viene aggiunto il siero in esame e quindi, in un secondo
tempo, gli anticorpi anti-IgG di bovino (isotipo IgG1), coniugati con un
enzima perossidasi. Successivamente viene aggiunto il substrato per l’enzima
(perossido di idrogeno) coniugato al cromogeno (tetrametilbenzidine) e si
lascia incubare per circa 20 minuti.
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Si aggiunge quindi la soluzione che blocca la reazione enzimatica (acido
fosforico) e si passa immediatamente alla lettura con spettrofotometro dei vari
pozzetti occupati dai sieri in esame (specificità: 99%; sensibilità: 96%; VMRD
Inc.).
Negli ultimi tempi sono state messe a punto nuove metodiche ELISA, come
ELISA-competitiva (CI-ELISA) e l’ISCOM-ELISA, nel tentativo di
aumentare la specificità e la sensibilità.
Il primo test utilizza, insieme al siero da analizzare, un anticorpo monoclonale
(isotipo IgM), specifico contro la proteina 4A4-2 (65 kDa) presente sulla
superficie dei tachizoiti di Neospora caninum (questi anticorpi sono specifici
in quanto non reagiscono con T. gondii e S. spp.).
Il legame specifico tra mAb 4A4-2 e gli antigeni presenti sulla superficie dei
tachizoiti di Neospora caninum, viene inibito dai sieri dei bovini infetti da N.
caninum (siero positivi) e non inibito dai sieri degli animali non infetti (siero
negativi). Dunque, il valore di densità ottica in caso di positività sierologica
sarà inferiore al valore ottenuto con sieri da animali non infetti. Il vantaggio
principale della tecnica è l’utilizzo del solo anticorpo secondario anti-topo
contro l’mAb. Dunque, è un test che può essere utilizzato per diverse specie
animali (Baszler et al., 2004).
L’ISCOM-ELISA, invece, utilizza come antigene i tachizoiti di N. caninum
sonificati e successivamente incorporati in complessi immunostimolante
(ISCOM). Gli Iscom permettono che gli antigeni esposti sul fondo del
pozzetto siano per la maggior parte proteine di superficie di N. caninum
(Björkman, 1997; Frössling, 2003).
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In generale, il test ELISA per la ricerca degli anticorpi contro N. caninum
offre un semplice, rapido e versatile, ma accurato, metodo per
l’identificazione dello status di infezione in un allevamento bovino.
Oltre che sul siero, il test ELISA può essere utilizzato anche per la ricerca
indiretta di Neospora caninum nel latte di eventuali bovine infette (Björkman,
Holmdahl, Uggla, 1997; Schares et al., 2004). È particolarmente indicato
l’utilizzo dell’ISCOM-ELISA. Infatti, recenti studi hanno dimostrato che le
vacche con elevati livelli sierici di anticorpi, hanno poi anche una significativa
positività al test ELISA effettuato sul latte. Inoltre, lo stesso test può essere
effettuato sul latte di massa con buoni risultati (Niskanen et al., 1993;
Björkman et al., 1997; Sargeant et al., 1997; Kramps et al., 1999; Nylin,
Stroger, Ronsholt, 2000; Beaudeau et al., 2001; Chanlun et al., 2002).
In quanto economico e di rapida esecuzione questo test ELISA sul latte di
massa può certamente essere considerato un valido esame per controlli
programmati negli allevamenti, al fine di valutare la sieroprevalenza e
l’eventuale circolazione di N. caninum (Frössling et al. 2002; Schares et al.,
2003).
Tuttavia, nel pool di latte prelevato ed esaminato non sono compresi animali
non in lattazione (animali giovani, tori, vacche in asciutta) e vacche per le
quali il latte viene escluso, in quanto affette da mastiti o perché sotto terapia
farmacologica. Per ovviare a questo problema ciò che si può fare è effettuare
ripetuti prelievi nel tempo.
Infine, la sensibilità del test ELISA sul latte di massa è ovviamente influenzata
dal tasso di infezione dell’allevamento. Varcasia et al. (2006) hanno riportato
che i casi di siero-prevalenza inferiore a 10-15%, il rischio di falsi negativi
non è trascurabile.
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3. AVIDITY TEST
L’accertamento dell’indice di “avidità” degli anticorpi contro N. caninum, ha
reso possibile differenziare gli eventi abortivi in seguito alle infezioni recenti
(bassa avidità) da quelle in seguito alla riattivazione di un’infezione cronica
(avidità alta). Gli anticorpi prodotti all’inizio dell’infezione da Neospora
caninum, infatti, hanno una bassa affinità (potere legante) rispetto agli
anticorpi prodotti più tardi; si possono così differenziare gli animali infettatisi
di recente, da bovini che si sono contaminati da tempo.
Attraverso opportuni test sierologici (ELISA) si può misurare questa
differenza di affinità degli Ac-anti Neospora caninum, definita appunto come
avidità (avidity test) (Björkman et al., 1999; Schares et al., 2002; Sager et al.,
2001).
Björkman et al. (2003), hanno seguito un allevamento di vacche da latte per 3
anni dall’insorgenza dell’aborto endemico (introduzione di N. caninum per via
orizzontale). Gli autori hanno riportato come l’avidità delle IgG negli animali
sieropositivi aumenti da un valore di 30, all’inizio del periodo di osservazione,
fino a valori di 74 anche dopo 3 anni.
In particolare si è scoperto che il valore dell’avidità delle IgG può subire
queste variazioni nell’arco di tempo:
1. 21-40: periodo immediatamente successivo all’introduzione di N.
caninum in allevamento (minore avidità);
2. 41-60: dopo 1 anno;
3. 61-80: dopo 2-3 anni (maggiore avidità).
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Concludendo, l’analisi dell’avidità di queste specifiche IgG rispecchia la
durata dell’infezione di N. caninum nei bovini. In particolare, l’avidità
aumenta durante il corso dell’infezione e rimane consistentemente alta negli
animali con infezione cronica (Björkman et al., 1999; Björkman et al., 2006).
4. IMMUNOCROMATOGRAFIA
Per la rapida ricerca di anticorpi nei bovini infetti da Neospora caninum può
essere impiegato il test di immunocromatografia (ICT) che utilizza un
antigene ricombinante di superficie di Neospora caninum (NcSAG1). L’ICT è
utilizzata soprattutto per discriminare i bovini sieropositivi dai bovini
sieronegativi al test IFAT.
Rispetto ai normali antigeni di superficie, gli antigeni ricombinanti utilizzati
per l’ICT hanno diversi vantaggi: sono di facile produzione, se ne producono
in grande quantità e possono essere facilmente e rapidamente standardizzati
per l’utilizzo. L’antigene NcSAG1 fatto esprimere da Escherichia coli, è
risultato un affidabile antigene per la diagnosi indiretta di Neospora caninum,
anche se utilizzato con test ELISA. L’ELISA rimane comunque un esame
laborioso, che richiede materiali ed attrezzature speciali per la sua
realizzazione. Al contrario il test ICT, è un test rapido che lo rende adatto alla
diagnosi in campo (Dubey, 2003).
Xuan, Zhang et al. (2004) sperimentarono questa tecnica mettendo a contatto
le strisce ottenute, con siero di animali siero positivi per l’infezione da
Neospora e con siero di animali positivi per l’infezione da T. gondii ma
negativi per Neospora caninum.
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Le strisce si positivizzarono nel primo caso, mentre negli altri sieri testati non
si ottenne nessuna banda colorata sulle strisce (Fig. 29). Questi risultati
definirono L’ICT come un valido test per la ricerca di anticorpi contro N.
caninum, ma anche un valido test per discriminare in modo indiretto
l’infezione da Neospora da quella da Toxoplasma, infezioni che possono
naturalmente colpire cani, bovini, pecore, cavalli (Lindsay, Dubey et al.,
1999).
Fig. 29. ICT: campioni 1, 4 e 6 sono positivi per la ricerca di anticorpi anti-Neospora
caninum.
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E’ stata osservata in vitro la sensibilità del parassita a diversi principi attivi,
fra i quali i sulfamidici potenziati con gli inibitori della diidrofolato reduttasi
e alcuni farmaci anticoccidici (ionofori e non); occorre però ricordare che il
ciclo vitale del protozoo in vivo prevede lo sviluppo di stadi parassitari (le
cisti tissutali) resistenti, dati i loro caratteri fisici, all’azione dei farmaci
(Magnino et al., 2001).
I presidi farmacologici potrebbero dunque rivelarsi efficaci solo nei confronti
delle forme circolanti del parassita (tachizoiti), quando esso è in fase di
mobilitazione prima di infettare il feto e prima di raggiungere i tessuti nervosi
dove si insedierà in forma di cisti; al riguardo, non si dispone però di rilievi
oggettivi in base ai quali sia possibile consigliare tempi e durata di un
eventuale trattamento preventivo nei riguardi delle manifestazioni cliniche
della Neosporosi.
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Peraltro, nonostante l’efficacia in vitro di alcuni farmaci, occorre anche
ricordare che il ciclo vitale di N. caninum non è assimilabile a quello dei
coccidi intestinali, che colonizzano le sole cellule dell’intestino e in quella
sola sede esplicano la loro azione patogena. In questo senso, soltanto studi
clinici accerteranno se i farmaci utilizzati per la terapia e profilassi delle
coccidiosi intestinali siano efficaci anche per il controllo della Neosporosi.
L’orientamento generale della comunità scientifica è peraltro di pronunciato
scetticismo, se non addirittura di radicale opposizione, nei riguardi di ogni
ipotesi di trattamento farmacologico della Neosporosi, anche perché non si
ritiene che alcun farmaco possa garantire la completa guarigione degli animali
infetti.
Anche se vari agenti antimicrobici sono stati testati, in vitro, contro N.
caninum, non c'è al momento un approccio terapeutico in grado di guarire una
bovina infetta.
Nel corso di uno studio effettuato da Kritzner, Sager et al. (2002) attraverso
l’utilizzo di vitelli infettati sperimentalmente con tachizoiti di N. caninum
(metà dose per via intravenosa e metà per via sottocutanea) e trattati con
Toltrazuril-sulfone (Ponazuril) per 6 giorni consecutivi, a partire dal primo
giorno successivo all’infezione, si sono ottenuti i seguenti risultati:
A) non è stato rilevato DNA del parassita (PCR) in tessuti potenzialmente
infettati da N. caninum, in vitelli sacrificati;
B) si è avuto un picco febbrile di minor intensità e durata (T° max 39,5),
rispetto agli animali non trattati nei quali si sono raggiunti anche i 40°
di temperatura rettale;
C) è stato rilevato un livello significativamente inferiore di anticorpi
verso N. caninum, rispetto ai controlli non trattati.
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Infine, in un ulteriore esperimento, venne valutata la sensibilità in vitro di N.
caninum alla Nitazoxanide benzamide (2-acetolyloxy-N-(5-nitro 2-tiazolo)
(Esposito et al., 2004).
La Nitazoxanide è stata in origine utilizzata soprattutto come antielmintico ad
uso veterinario; oggigiorno se ne conosce invece l’ampio spettro d’azione
contro ad esempio parassiti intestinali, parassiti tessutali ed enterobatteri, che
possono infettare sia l’uomo che gli animali.
L’applicazione di questo farmaco include il trattamento in pazienti umani
affetti in particolare da Criptosporidiosi (Cryptosporidium spp.), parassita di
tipo intestinale, appartenente al Phylum Apicomplexa; per questa caratteristica
se ne studiò l’effetto in altri generi dello stesso Phylum, come Neospora
caninum e Toxoplasma gondii.
L’esperimento iniziò con l’infezione in vitro di un monostrato cellulare di
fibroblasti umani, inoculandolo con tachizoiti di N. caninum da una parte, e T.
gondii dall’altra. Venne in un secondo tempo aggiunta la Nitazoxanide; questo
trattamento durò per 8 giorni.
L’effetto del trattamento farmacologico sulla proliferazione dei tachizoiti fu
rilevata con PCR in tempo reale; si ebbe la dimostrazione di una distinta
inibizione della proliferazione di N. caninum, ma non dei tachizoiti di T.
gondii.
Il farmaco induceva nello specifico un’alterazione ultrastrutturale di N.
caninum, dimostrabile attraverso il microscopio elettronico a trasmissione,
come un’inibizione dell’attitudine da parte di N. caninum di penetrare e
colonizzare le cellule del monostrato. Il parassita non era infatti più in grado di
costituire una membrana intatta a livello di vacuoli parassitofori.
L’esperimento permise di definire la Nitazoxanide un farmaco ad effettiva
azione parassitocida per Neospora caninum.
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PPPPROFILASSIROFILASSIROFILASSIROFILASSI
� IGIENICO-SANITARIA
Allo stato attuale, non c'è un metodo efficace di controllo della Neosporosi
bovina. Occorre, dunque, in definitiva orientarsi a interventi di profilassi
diretta quali:
a) impedire ogni possibile contatto tra animali esterni o interni
all’allevamento e feti abortiti, invogli fetali o vitelli morti;
b) smaltimento controllato di feti abortiti e invogli fetali;
c) divieto di accesso dei cani stessi e a tutti gli altri animali estranei (volpi,
lupi, volatili, roditori...) alle aree adibite al deposito degli alimenti per i
bovini, per evitarne la contaminazione;
d) interventi che si devono comunque associare a quelli miranti alla
ricostituzione di un effettivo aziendale non infetto;
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Il principale modo di trasmissione di N. caninum nella mandria è attraverso
l'infezione di feti in bovine cronicamente infette (trasmissione verticale).
Queste vacche cronicamente infette possono essere identificate sulla base dei
loro titoli sierologici o per una storia precedente di aborto da N. caninum o
d’infezione congenita (Moen, Wouda, Mul et al., 1998).
Sulla base di queste conoscenze, il controllo dell'infezione potrebbe
concentrarsi sulla riduzione del numero di vacche infette nella mandria e sulla
limitazione dell’introduzione di bovine da rimonta infette nella mandria.
La decisione di riformare anticipatamente vacche che hanno avuto una
diagnosi certa di aborto da N. caninum può essere presa sulla base del dato che
c'è un rischio più elevato di aborto ripetuto in questi animali (Thurmond,
1997).
Vacche sieropositive hanno anche un maggior rischio di aborto, e vi è una
probabilità molto alta d’infezione congenita nei vitelli nati da queste vacche