Una ricerca lunga un anno Partecipazione e immaginazione nell’esperienza dei Laboratori di Quartiere del Comune di Bologna Sintesi dei dati di un anno di lavoro dei Laboratori di Quartiere e riflessioni sulla partecipazione a Bologna Bologna 22 Febbraio 2018 a cura di Ces.Co.Com Centro Studi Avanzati su Consumi e Comunicazione Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna
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Una ricerca lunga un anno
Partecipazione e immaginazione nell’esperienza dei
Laboratori di Quartiere del Comune di Bologna
Sintesi dei dati di un anno di lavoro dei Laboratori di Quartiere e
riflessioni sulla partecipazione a Bologna
Bologna 22 Febbraio 2018
a cura di Ces.Co.Com Centro Studi Avanzati su Consumi e Comunicazione
Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna
1
Una ricerca lunga un anno
Partecipazione e immaginazione nell’esperienza dei
Laboratori di Quartiere del Comune di Bologna
Sintesi dei dati di un anno di lavoro dei Laboratori di Quartiere e
riflessioni sulla partecipazione a Bologna
1. Introduzione ……………………………………………………...pag. 3
2. Nota metodologica………………………………………………..pag. 4
3. Fasi della ricerca ………………………………………………....pag. 5
4. Partecipazione, governance e quartieri: situare e leggere la
sperimentazione e l'innovazione nel quadro dei processi di
5. I Laboratori di quartiere: il disegno del processo ………………..pag. 11
6. I dati quantitativi della partecipazione nei Laboratori di Quartiere:
una fotografia dei Laboratori …………………………………....pag. 15
7. Il primo bilancio partecipativo a Bologna, le sue caratteristiche
salienti e l’analisi quantitativa del voto attraverso il profilo
dei votanti …………………………………………………..........pag. 17
8. Elementi di lettura del processo dei laboratori di quartiere…….......pag. 24
9. Conclusioni e piste di riflessione per il futuro ………………..........pag. 34
Bibliografia
Allegati
2
1. Introduzione
Il documento che si presenta in questa sede è la sintesi delle elaborazioni quali-
quantitative dei dati, esito dell’osservazione partecipante, nonché dell’analisi e del
monitoraggio della esperienza avviata a marzo e conclusa a dicembre 2017, dal
Comune di Bologna, dei Laboratori di Quartiere, intesi come “spazio” di relazione e
interazione con i cittadini, e strumento per attivare e gestire processi strutturati e
continuativi di cura delle comunità, anche attraverso il nuovo istituto di
partecipazione introdotto dal Comune, ossia il Bilancio Partecipativo.
Si tratta di un processo complesso che va nella direzione di attuazione di “politiche
collaborative” a scala cittadina, dando al contempo risalto alle specificità dei diversi
contesti territoriali, e adottando diversi strumenti di partecipazione.
Il processo è stato dal team dell’Ufficio Immaginazione Civica di Urban Center
Bologna1, che ha attivato un gruppo multi professionale di coordinamento, a cui è
attribuito il compito di supportare i percorsi, individuando gli strumenti per dialogare
e coprogettare, insieme ai cittadini e in collaborazione con i Quartieri.
Il primo anno di avvio dei Laboratori si è prefigurato come una sperimentazione, che
vede la collaborazione del Centro di ricerca Ces.Co.Com. del Dipartimento di
Sociologia e Diritto dell’Economia dell'Università di Bologna 2 , attraverso la
partecipazione costante nel gruppo di coordinamento di due ricercatori del Centro di
ricerca a cui è data la supervisione metodologica, per monitorare il processo,
supportarlo dal punto di vista metodologico e produrne una complessiva riflessione e
analisi.
Questo documento, redatto dal Ces.com, ha un duplice scopo, da una parte presentare
l’analisi quanti-qualitativa del processo, dall’altra fornire un quadro concettuale e di
riflessione, al cui interno collocare il cambiamento istituzionale in atto e al
1 Per le funzioni dell’ufficio si veda http://www.urbancenterbologna.it/ 2 La ricerca si colloca nell’accordo collaborazione attivata tra il Ces.co.com dell’Università di Bologna ed il Comune di
Bologna per attività di supporto nell’ambito del progetto 5.2. 1b- Collaborazione e Partenariato civico istituzionale
dell’asse 5 del PON Città Metropolitana 2010-2014. Codice CUP: F39G1600030007 per la realizzazione della ricerca
“I laboratori di quartiere del Comune di Bologna: una ricerca – azione”. Il report è stato redatto da Giulia Allegrini e
Umberto Mezzacapo ricercatori Ces.co.com dell’Università di Bologna, la supervisione scientifica è stata a cura di
Roberta Paltrinieri, responsabile scientifica Ces.co.com.
apprendimento nel confronto con tecnici del comune e del quartiere e con altri
cittadini - e decisione attraverso il bilancio partecipativo, chiamano in causa, con
diverse modalità, lo sviluppo di capacità.
Riconducendo questa dimensione nel processo dei Laboratori di Quartiere possiamo
in sintesi evidenziare alcuni aspetti; relativi al voto del bilancio partecipativo, alla
coprogettazione, alla complessità del processo.
• Il voto del Bilancio partecipativo
Per capire il valore del voto del Bilancio Partecipativo, occorre ricordare alcune
caratteristiche del BP bolognese: la durata complessiva delle fasi di ascolto ed
elaborazione di proposte è stabilita in un termine massimo di 6 mesi, mentre le
proposte ammesse al voto sono oggetto di ampia e organica pubblicizzazione, per un
periodo minimo di 30 giorni, e le operazioni di voto possono durare al massimo 20
giorni e avvengono secondo modalità telematiche, con la possibilità di postazioni per
il voto assistito. Rispetto invece ai soggetti che hanno diritto di voto il regolamento
stabilisce: che oltre ai cittadini elettori possono partecipare i cittadini residenti nel
Comune, non ancora elettori, che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età; i
cittadini non residenti, ma che nel Comune esercitino la propria attività prevalente di
lavoro e di studio; gli stranieri e agli apolidi residenti nel Comune di Bologna o che
comunque vi svolgano la propria attività prevalente di lavoro e di studio.
Proprio per la valenza che il BP ha assunto, come abbiamo visto, nell'incidere sulle
motivazioni a mobilitarsi e sul piano della fiducia istituzionale, e alla luce di quanto
riportato sul profilo e l'ingaggio dei partecipanti, risulta importante mettere a fuoco
come tale strumento entra in gioco nel processo di capacitazione.
In questa prospettiva va evidenziato che, se per un verso il voto online ancora
esclude quelle persone che non hanno competenze digitali, per altro ha assunto, come
emerso nelle fasi di pubblicizzazione sul territorio, attraverso quella comunicazione
di prossimità cui abbiamo fatto cenno, un ruolo fondamentale il voto assistito e il
lavoro nei quartieri, dei diversi centri sociali, culturali sportivi, tramite i Quartieri e il
supporto di UC.
Altro aspetto da sottolineare sul voto è che se da un lato i gruppi/ associazioni/
comitati più strutturati e con maggiori competenze sulla comunicazione digitale sono
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forse partiti più avvantaggiati nel dare visibilità e voce ai progetti da loro sostenuti
sul territorio, dall'altro è interessante notare, in termini di sviluppo di capacitazioni,
come sia emersa una creatività espressa da alcuni soggetti proponenti, soprattutto da
quelli “meno formalmente organizzati”, nel riappropriarsi e riformulare il messaggio,
i valori che sottendono il progetto, anche attraverso inedite modalità comunicative,
attente spesso anche alle differenze culturali.
• La co- progettazione
Un secondo “banco di prova” su cui misurare e valutare la dimensione di
capacitazione è quello relativo alla fase di co-progettazione.
Se per un lato è stata indicata da più parti come possibilità per “concretizzare le idee”
e come occasione di confronto e scambio con altre persone, nonché un'occasione,
non scontata, di “sedere allo stesso tavolo” di figure tecniche con cui difficilmente si
ha la possibilità di confrontarsi, emerge allo stesso tempo come la fase forse più
delicata.
Un ruolo significativo, su cui riflettere in futuro, concerne su questo piano proprio il
ruolo della facilitazione nel riequilibrare proprio quelle asimmetrie di capacità da un
lato e dall'altra nello operare una “mediazione e traduzione” tra saperi “esperti”, dei
tecnici, e quello “situato” degli abitanti- cittadini. Più in generale il ruolo dei tecnici
del Comune di Bologna necessita di una più precisa configurazione all’interno del
processo, proprio in virtù del ruolo chiave che essi hanno avuto nel processo, così
come sottolineato dai cittadini intervistati.
• La complessità del processo
In termini più generali emerge una complessità del processo che non sempre ha
trovato adeguata comprensione. Alcuni elementi che vale la pensa ricordare in sintesi
sono: la molteplicità di temi (BP; PON) in uno stesso incontro ha creato a volte
confusione tra gli “oggetti” del percorso; un linguaggio a volte poco accessibile, per
il quale occorrono “competenze” per comprendere contenuti a volte considerati
troppo tecnici, così come la difficoltà a comprendere le analisi dei costi effettuata dai
settori di competenza; la difficoltà a comprendere da parte dei cittadini l’esistenza di
eventuali piani/progetti/ che impattano e/o sono vincoli di contesto rispetto alla
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elaborazione di loro proposte, da cui la percezione di una mancanza di chiarezza sui
progetti bocciati a causa della sovrapposizione di questi con strumenti pianificatori
e/o progetti in itinere.
In ultimo, risalendo su un piano più generale, possiamo evidenziare che la sfida più
complessa, nella prospettiva delle capacitazioni, si gioca in un passaggio dalla
dimensione “quotidiana” verso quella “futura”, sul piano quindi di visione. L'invito
ultimo è quello infatti ad immaginare una città. Lo sviluppo di capacità- capabilities
nella declinazione di Sen (1992, 1999), sono parte di questo processo di “diventare
cittadini”, e lo sono ancora di più nella prospettiva sia di un processo istituzionale di
capacitazione (Nussbaum 2012), sia di un farsi sociale e collettivo delle capacità,
nella prospettiva di ciò che Appadurai definisce come capacità di aspirare (Appadurai
2004, 2011; de Leonardis, Deriu 2012), una meta-capacità che concerne il modo in
cui gli esseri umani mettono in gioco il loro stesso futuro (2011, p.48).
Profondamente intrecciate allo sviluppo di capacità di aspirare sono due altre
dimensioni: l'ambiente civico, inteso come ambiente in grado di “strutturare le
possibilità di partecipazione”, e infine le culture civiche come risorse culturali.
Seguendo Dahlgren (2013) infatti: “Le persone per andare oltre la sfera privata e
partecipare agli spazi pubblici debbono anche disporre di un insieme di risorse
culturali, che faciliti il loro impegno come cittadini”.
La prospettiva delle culture civiche si focalizza sui processi attraverso i quali gli
individui diventano cittadini, su come essi si considerano membri e partecipanti
potenziali nello sviluppo sociale e su come venga mantenuto tale senso accresciuto
del se . In altre parole le culture civiche includono quelle risorse culturali cui i
cittadini possono attingere per poter partecipare (Dahlgren, in Bartoletti, Faccioli
2013, p.30).
8.2.3 Il capitale sociale
Ulteriore fattore abilitante che incide sulla partecipazione è il capitale sociale
(Putnam 2001). Il capitale sociale inteso nella sua declinazione collettiva, non come
stock individuale, ma come reti di relazioni basate su norme di reciprocità e fiducia,
è risultato fondamentale per i soggetti già inseriti nelle reti relazionali del territorio
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che hanno potuto non solo riprodurre il loro capitale sociale come dotazione di
partenza, ma a partire da questo “fattore abilitante” hanno potuto “produrre CS”
attraverso il coinvolgimento nei laboratori e nella coprogettazione. Non dobbiamo
dimenticare, come sottolinea Robert Putnam, che il CS può avere tuttavia una
duplice funzione: essere bridging, ossia aprire alla produzione di nuovo capitale
sociale che bounding, da confine, teso a rafforzare reti “chiuse”. Come abbiamo
potuto già evidenziare anche rispetto all'ingaggio e alla comunicazione, il rischio di
ricreare reti chiuse è chiaramente un elemento su cui riflettere nei processi
partecipativi.
Anche durante la fase di pubblicizzazione del voto, e della campagna di
comunicazione portata avanti dai promotori dei progetti, in alcuni casi sono emersi
gruppi fortemente omogenei dal punto di vista dell'organizzazione degli interessi
“chiusi” in una logica a volte molto competitiva. Tuttavia nei casi in cui si è riusciti
ad integrare maggiormente le proposte tra loro lavorando su un obiettivo condiviso
l'esito è stato un positivo allargamento della rete di relazioni tra partecipanti, con una
conseguente riduzione del rischio di “frammentazione” di bisogni se non addirittura
di contrapposizione tra bisogni di un territorio. Inoltre, in alcuni casi soggetti
appartenenti a gruppi già esistenti hanno rappresentato dei legami deboli che hanno
messo in connessione più gruppi aggregandosi ad una stessa proposta progettuale.
Si comprende come alla luce di quanto appena evidenziato, proprio gli elementi
prima discussi, della fiducia, delle capacità, del ruolo della facilitazione come
elemento capacitante, interagiscono tra loro richiedendo un lavoro, come si diceva su
più livelli, e assumendo questi elementi come aspetti chiave della progettazione
stessa dei processi partecipativi.
8.3 La dimensione spaziale della partecipazione
La dimensione spaziale assume una valenza fondamentale in ogni processo
partecipativo. Nel caso dei Laboratori di Quartiere e del Bilancio Partecipativo entra
in gioco sia nella scelta delle aree che sul piano della scala del processo.
Un aspetto da evidenziare, rispetto al tema delle aree, riguarda il fatto che la
dimensione dell’area talvolta ha costituito una criticità sul piano del coinvolgimento
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e dell'ampliamento della partecipazione. Da questo punto di vista la dimensione ha
prodotto sia un rischio di moltiplicazione di progetti tra loro simili in un'area
circoscritta, con una conseguente eccessiva polarizzazione e/o frammentazione di
bisogni, sia la non considerazione in generale di progetti, che ricadono in aree
distanti da quello dove si vive/lavora, nel resto del quartiere. Incide infatti su questo
piano la prossimità come fattore determinante ai fini del coinvolgimento, agendo dal
punto di vista del senso di appartenenza a un luogo. La dimensione dell'area si
intreccia a quella della scala del processo su cui i cittadini sono chiamati a decidere
con il Bilancio Partecipativo. La sfida si gioca sulla possibilità di rendere la
dimensione locale (area) connessa con temi e bisogni che concernono la scala di
quartiere fino a quella di città, facendo emergere una dimensione più progettuale e
meno frammentata e facendo in modo che i cittadini possano riconoscersi in proposte
del Bilancio a prescindere dal loro grado di prossimità, nell’ottica del bene comune.
9. Conclusioni e piste di riflessione per il futuro
In questa ultima parte del report riteniamo utile mettere in luce quelli che sono gli
elementi più salienti utili sia per la lettura del processo in atto che per proporre piste
future di lavoro e di ulteriore riflessione. Questi elementi sono organizzati lungo due
macro ambiti di questioni. Il primo ambito concerne sia le forme della partecipazione
che in un processo di questo tipo trovano spazio, che osservazioni sul disegno del
processo partecipativo in senso stretto. Il secondo ambito concerne il modello di
istituzionalizzazione che emerge e che impatta sulla stessa politica tesa a promuovere
una nuova forma di rapporto tra PA e cittadini. Quindi un livello “macro” che
riguarda il piano del cambiamento culturale ed istituzionale.
9.1 Forme e dimensioni della partecipazione, sviluppate nei Laboratori di
Quartiere, e criticità del disegno del processo.
Nei paragrafi precedenti abbiamo messo in luce il disegno del processo, quindi le
metodologie, così come le potenzialità e le criticità secondo alcune dimensioni
specifiche di analisi, ossia il profilo di partecipanti, l'ingaggio, le condizioni
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materiali, e i fattori abilitanti che nell'insieme impattano sull'accesso al processo e sui
suoi esiti e ricadute positive.
Proviamo ora a ripercorre il percorso nella prospettiva, invece, delle forme di
partecipazione, poiché è in tale prospettiva che è possibile cogliere dove si gioca il
più alto livello di innovazione e cambiamento. In letteratura, per leggere i processi
partecipativi, possono essere rintracciate alcune variabili che aiutano a leggere la
partecipazione. In particolare, secondo una nostra rielaborazione, proponiamo quattro
possibili scale e relative dimensioni della partecipazione:
I Informazione: come momento che non si esaurisce in una iniziale azione
informativa, ma che dovrebbe accompagnare l'intero processo, poiché dare le
informazioni cruciali a chi normalmente non ne dispone è un modo per dotarlo di un
potere analogo (Bobbio 2004). Non solo, diventa il processo stesso di costruzione di
conoscenza un campo di confronto, in cui più “saperi” entrano in dialogo e in cui
avviene un riconoscimento e valorizzazione delle capacità, delle competenze degli
abitanti di un territorio visti come attori di cambiamento, non come beneficiari di un
progetto. Conoscenza, apprendimento, riflessività diventano in quest'ottica le basi per
garantire una sostenibilità dei progetti anche nei termini di un senso di appartenenza
ad un progetto e ai suoi risultati (ownership).
II Consultazione: è qui prevalentemente in gioco un ascolto di tipo passivo, per cui si
ascoltano opinioni, si presentano alternative già in parte definite.
III Partecipazione: è qui in gioco sia un ascolto di tipo attivo, teso alla co-
costruzione di conoscenza, per la definizione di un problema, di un tema di lavoro,
da più punti di vista, sia una co-progettazione intesa come definizione comune delle
azioni e delle possibili soluzioni, infine una dimensione decisionale in senso stretto.
IV Collaborazione: oltre agli elementi richiamati fin qui si aggiunge una dimensione
legata anche alla sfera del “fare” e alla possibilità di sperimentare pratiche di
condivisione (Sennet 2012) basate su forme di responsabilità reciproche e condivise
(Offe 2011; Paltrinieri 2012) e forme di governance collaborativa. La seguente
tabella esemplifica quanto descritto:
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Le possibili scale e dimensioni in gioco in un processo partecipativo e collaborativo
Diffusione e
condivisione
informazioni
Ascolto Co-progettazion:
definizione
comune delle
azioni e soluzioni
Co- decisione
Co-
implementazi
one:
assunzione di
potere e
responsabilit
à reciproche
I
Informazione
X Può essere a
seconda degli
strumenti più o
meno attivo e
interattivo
II
Consultazione
X Passivo- si
ascoltano
opinioni; si
presentano
alternative già
in parte definite
III
Partecipazione
X Attivo-
costruzione di
conoscenza, per
la definizione di
un problema, di
un ambito o
tema di lavoro,
di possibilità, di
soluzioni
X X
IV
Collaborazione
X Attivo-
costruzione di
conoscenza, per
la definizione di
problemi, di un
ambito o tema
di lavoro,
possibilità,
soluzioni
X X X
Le scale e le dimensioni appena richiamate dipingono un continuum in cui il
passaggio decisivo si ha da una “discussione informata”, e da una consultazione che
si limita a raccogliere opinioni, ad una partecipazione e ad una collaborazione che
prevedono una progressiva assunzione di potere e responsabilità reciproche. Potere e
responsabilità reciproche diventano quindi due dimensioni in gioco su cui si misura
l'apertura di un percorso partecipato, ma anche la possibilità di una pratica di
democrazia che chiama in causa quel “pensare per sé e vivere per gli altri”, un
individualismo altruista e cooperativo messo in luce da Beck (2000), il quale implica
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una dimensione centrale rispetto ai processi di scelta e quindi alle forme di
attivazione e partecipazione, quella dell'interdipendenza, contemplando assieme
«reciprocità e mutuo riconoscimento» (Paltrinieri 2012, p. 77), in un processo
relazionale, e di reciprocità appunto, che si basa su forme di responsabilità sociale
condivisa (Offe 2011) e su un fare collaborativo (Sennet, 2012).
Provando a leggere l'esperienza dei Laboratori e del Bilancio Partecipativo alla luce
di queste scale e dimensioni possiamo rilevare come si tratti di un processo che
modula assieme diversi elementi e forme di partecipazione.
Nel caso, infatti, della definizione delle azioni relative al PON Metro 2014-2020
prevale una dimensione consultiva, e il coinvolgimento dei cittadini può giocarsi sul
piano “alto” di elaborazione delle politiche solo a patto che si rendano leggibili,
visibili e rendicontabili, i diversi principi di risposta ad un ascolto di questo tipo.
Nel percorso invece del Bilancio Partecipativo la dimensione “decisionale” è più
pregante. Come evidenzia Allegretti12 il Bilancio Partecipativo può essere definito
come «un processo decisionale che consiste in un'apertura della macchina statale alla
partecipazione diretta ed effettiva della popolazione nell'assunzione di decisioni sugli
obiettivi e la distribuzione degli investimenti pubblici» 13 . Si caratterizza come
processo partecipativo di discussione sulle proposte di Bilancio (Circoscrizionale,
Municipale, Provinciale, Regionale, ma - al limite - anche di impresa, ecc.) che si
snoda durante tutto l'anno fino a disegnare una proposta articolata di Bilancio per
ogni anno di gestione successiva, sulla base delle richieste della cittadinanza”. Nella
ormai ampia sperimentazione e sedimentazione di esperienze anche in Europa
(Sintomer, Allegretti 2009), possono essere individuate due grandi famiglie di BP.
Nella prima rientrano quelle che si pongono come obiettivi la “democratizzazione dei
poteri istituzionali locali, e prevede margini maggiori di autonomia nella decisione
per i cittadini partecipanti ai processi di discussione dei bilanci”, mentre nella
seconda quelli che hanno un carattere più “consultivo” e perseguono primariamente
obiettivi di messa in trasparenza e di gestione efficiente delle risorse pubbliche.
12
http://portugalparticipa.pt/. Si veda inoltre tra tanti, Sintomer, Y., Allegretti, G. (2009). 13
Come evidenziano Sintomer e Allegretti (2009) possono essere individuate due grandi famiglie di Bilancio Partecipativo. Nella
prima rientrano quelle che prevedono margini maggiori di autonomia nella decisione per i cittadini partecipanti, mentre nella seconda quelli che hanno un carattere più “consultivo” e perseguono primariamente obiettivi di messa in trasparenza e di gestione efficiente
L'autore evidenzia che tuttavia entrambi i tipi di processo collocano il proprio
intervento a monte dei momenti decisionali per legge riservati alla sottoscrizione
delle scelte da parte dei Consigli Comunali (Regionali, ecc.), sui quali la cittadinanza
è chiamata ad esercitare pressione e controllo perché le indicazioni fornite dai
cittadini non vengano disattese, senza spiegazioni, dai rappresentanti eletti.
In particolare, nel caso bolognese, come all’inizio ricordato, il coinvolgimento è stato
relativo ad una parte di risorse del Bilancio (1.000.000 di euro), ed ha previsto
diverse fasi di una procedura pubblica che non ha coinciso quindi con la sola
consultazione, ma che si è sviluppata in diverse fasi: una fase di informazione e
ascolto teso alla raccolta di priorità e proposte, la co-progettazione delle proposte
attraverso un confronto con tecnici comunali e con il supporto di facilitatori, per poi
essere sottoposte ad ulteriori approfondimenti e verifiche di fattibilità da tavoli
tecnici del Comune, infine il voto delle proposte ammesse e pubblicazione dei
risultati, con la successiva presa in carico delle proposte e loro realizzazione.
La dimensione decisionale, tuttavia non ha coinciso solo con il voto, ma va
rintracciata ancora prima nelle attività di co-progettazione, nelle quali si gioca infatti
la possibilità di incidere nelle scelte e di generare apprendimento reciproco,
diventando il terreno in cui si sperimenta il cambiamento istituzionale.
Nel complesso inoltre si possono evidenziare alcuni principi di fondo che guidano il
percorso. L'attenzione alla valorizzazione delle risorse, conoscenze e saperi, capacità
che le diverse comunità possono esprimere; infine una precisa attenzione all'uso dei
dati al fine di creare una base informativa, tesa a garantire non solo una interazione
informata, tra cittadini e tra questi e l'amministrazione, ma anche più in generale per
facilitare una messa in visibilità, tramite i dati elaborati sia con un costante lavoro di
mappatura, analisi socio territoriale, sia via via elaborati grazie al percorso stesso, di
problemi, questioni, temi critici e prioritari, secondo un processo incrementale di
conoscenza che si arricchisce nel processo stesso a avviando uno scambio di saperi e
conoscenze sia internamente all'amministrazione stessa nelle sue diverse
articolazioni settoriali e tra comune e quartieri, ma anche verso l'esterno tra cittadini
ed amministrazione e tra cittadini. La messa quindi a disposizione di dati via via
raccolti ed elaborati, così come di strumenti di interazione e spazi di rendicontazione
di tutti i processi, è quindi in ultimo il tratto di questo approccio.
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Quindi, il processo avviato dai Laboratori di quartiere e il Bilancio partecipativo, sul
piano delle forme e delle idee di partecipazione fa emergere un tentativo di coniugare
tra loro una idea di partecipazione ancorata a quella di una sussidiarietà orizzontale e
circolare (Cotturi 2013), e alla collaborazione tra cittadini e istituzioni nei termini
dell'amministrazione condivisa (Arena 2006), con processi di partecipazione
pubblica e di empowerment di comunità nel quadro di un più ampio processo di
definizione di politiche, dove l'elemento collaborativo e partecipativo assieme
diventano centrali. La sfida su questo piano si gioca sui seguenti aspetti così
riassumibili: a) rendere visibile e leggibile ai cittadini l’innovazione in atto ed il
senso ultimo che la partecipazione assume; b) partecipazione e collaborazione come
metodo trasversale e condiviso; c) la sfida della dimensione pubblica del processo.
a) Rendere visibile e leggibile ai cittadini l'innovazione in atto e il “senso ultimo”
che la partecipazione assume.
Come ben emerge nelle parole di chi ha guidato il processo, il Team dell’Ufficio
Immaginazione Civica, a sfida, è così riassumibile: «Bisogna far capire che non stai
semplicemente “performando” un prestazione nella quale sei coinvolto per
aggiustare un marciapiede ma sei all’interno di un sistema che cambia sia gli
strumenti di decisione pubblica, sia gli attori, sia le procedure»; “Quei 12 punti che
abbiamo fatto, quelle priorità sono secondo me una cosa incredibile perché sono 12
priorità di fatto, trasversali, che hanno un valore politico, inteso come collettivo,
importantissimo». Rientrano su questo piano quegli elementi di complessità cui
abbiamo fatto cenno nei precedenti paragrafi: il lavoro mirato sulla facilitazione nella
fase di co- progettazione, l'incontro tra saperi esperti e non e soprattutto il facilitare
l'emergere di una visione che passa dal quotidiano al futuro, dal “locale” alla città.
b) Partecipazione e la collaborazione come metodo trasversale e condiviso. Come
abbiamo evidenziato il processo si inserisce in una complessiva riorganizzazione che
non riguarda solo l'istituzione di nuovi uffici, ma anche, da un lato un lavoro sul
piano della governance che metta progressivamente sempre più a sistema politiche,
settori, ruoli, dall'altro la definizione di un metodo di lavoro, di intervento nei
territori, e di coinvolgimento dei cittadini, che deve diventare per il futuro sempre più
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condiviso dai diversi attori in gioco- Quartieri- Comune- Urban Center. La portata
innovativa di questo processo risiede proprio in questo ridisegnare il processo di
produzione delle politiche, che può fare emergere anche nuovi modi di osservare,
definire, nominare, temi, questioni, problemi sociali e costruendo nuovi significati
operativi e culturali.
c) La sfida della dimensione pubblica del processo
L'intero processo che abbiamo analizzato si gioca, infine, sul piano dell'emersione di
una dimensione pubblica, nei termini di una resa pubblica. Una dimensione, che
rinvia ad una molteplicità di temi, sui quali riflettere (Donolo, 1997; Bifulco, de
Leonardis 2005, pp. 197- 199) per poter cogliere le ricadute, dal punto di vista della
pratica di una democrazia urbana (Allegrini 2016; 2016a), che tale processo può o
meno avere. La dimensione pubblica chiama in causa in primo luogo il tema della
messa in visibilità di temi e questioni che uscendo dalla sfera privata diventano
oggetto di confronto in una potenziale molteplicità di prospettive. Questo aspetto
riguarda il “chi accede al processo” e quali temi quindi riescono a diventare visibili e
legittimati ad entrare nel confronto. Su questo punto il processo dei laboratori
bolognesi, abbiamo visto che da un lato devono lavorare per un coinvolgimento di
soggetti come giovani e migranti, dall'altro abbiamo potuto anche osservare il grande
potenziale che un processo di questo tipo assume nell'avvicinare chi non ha mai
preso parte a processi partecipativi. Rientra nel tema della “visibilità” anche ciò che
abbiamo evidenziato rispetto al ruolo, delicato e complesso, che viene affidato nella
coprogettazione ai cittadini che siedono ai tavoli di confronto con i tecnici e sul ruolo
affidato ai facilitatori, così come l'uso dei dati. Durante il percorso è stato fatto un
costante lavoro di mappatura e sono stati elaborati e resi pubblici diversi dati socio
territoriali. La sfida aperta tuttavia è quella di accompagnare l'uso dei dati per una
interazione informata, tra cittadini e tra questi e l'amministrazione, con un vero
processo incrementale di conoscenza, quale campo di confronto e scambio di saperi,
sia internamente all'amministrazione stessa nelle sue diverse articolazioni settoriali e
tra comune e quartieri, ma anche verso l'esterno tra cittadini ed amministrazione e tra
cittadini.
Il secondo tema a cui rinvia la dimensione pubblica è la generalizzazione, per cui i
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diversi soggetti coinvolti si confrontano su argomenti di cui si rende riconoscibile un
collegamento con interessi generali e beni comuni. Sulla generalizzazione rientrano a
pieno titolo le considerazioni che abbiamo svolto sull’incidenza dei meccanismi della
fiducia e della reciprocità, così come le dimensioni spaziali – area e scala del
processo.
Il terzo tema concerne il riconoscimento di beni in comune. Va in proposito
sottolineato che davvero molte sono le proposte che lavorano in questa direzione
andando a ridisegnare spazi inclusivi, accessibili, che siano luoghi di incontro tra
culture, generazioni, diverse abilità, e in alcuni casi, rispetto agli edifici, in cui sia
possibile sperimentare anche forme di gestione collaborativa lontano da logiche
“proprietarie” ed esclusive.
L'ultimo tema da considerare è quello dell’istitution building, ossia la «generazione
di un tessuto normativo relativamente comune e condiviso» (Bifulco, de Leonardis
2005 p. 201). E' in questo terreno di incontro e di possibile mutuo apprendimento tra
istituzioni e i cittadini che possono fiorire le innovazioni più significative.
9.2 Il Modello di istituzionalizzazione, verso una continuità e stabilità della
partecipazione
Il secondo piano di analisi e riflessione per poter cogliere e analizzare l'innovazione
di processo in atto, riguarda il modello emergente di istituzionalizzazione (Borghi
2006, Pellizzoni 2005). In questa prospettiva, sintetizzando, l'attenzione va posta su
due principali variabili. La prima concerne il processo di definizione dell'agenda e su
cosa e come i cittadini sono chiamati a partecipare. Possono quindi essere individuate
arene di confronto e deliberazione del tipo “single issues”, quindi focalizzate su
singoli ambiti o temi . Sono spazi attivati ad hoc su specifici temi e la partecipazione
tende ad essere temporalmente limita. Per contro invece le arene “generaliste”
(Bobbio, Pomatto) non attivate su specifici temi, sono proprie di un approccio
deliberativo diffuso (Borghi) che prevede di dare stabilità e continuità alla
partecipazione, “come forma ordinaria di governo” (Magnaghi 2006). Come già
quanto detto fa intuire, la seconda distinzione è relativa al dove si svolgono i
processi. Si può quindi individuare un modello di istituzionalizzazione forte, quando
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vengono attivati spazi partecipativi dentro un quadro istituzionale ad hoc più o meno
formalizzato, mentre nei modelli di istituzionalizzazione debole la partecipazione e i
processi deliberativi avvengono in contesti istituzionali non specificatamente dedicati
(Pellizoni, 2005 p. 18). Sul piano della attivazione di spazi di partecipazione, i
Laboratori e il Bilancio partecipativo si situano in un processo teso a creare una
struttura delle possibilità di partecipazione. Il Comune di Bologna adotta infatti, nel
2014, il “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e Amministrazione per la
cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani”14, seguito dal processo Collaborare è
Bologna, che l'amministrazione definisce come «la politica del Comune di Bologna
per favorire la collaborazione civica», al fine di creare un «nuovo modello di
coinvolgimento dei cittadini». È in questa cornice che è stata creata “Comunità”,
un’area della Rete civica Iperbole per «partecipare alla vita pubblica, promuovere la
collaborazione e la cura dei beni comuni». Infine è stata realizzata una consultazione
nei quartieri - “Disegniamo la nostra città” - per mappare le priorità da inserire nelle
attività finanziabili dai fondi Europei, regionali e comunali.
I Laboratori raccolgono queste esperienze pregresse e strutturano ulteriormente gli
spazi dedicati al processo di coinvolgimento dei cittadini dando vita ad una
produzione di una vera e propria “sintesi” che coniuga partecipazione pubblica,
processi di co-progettazione, empowerment di comunità e sviluppo locale territoriale,
per lo sviluppo di “territori capaci” (Donolo 2008). In questa prospettiva la
sperimentazione bolognese prefigura quindi un modello orientato ad una
istituzionalizzazione forte. Considerando inoltre che gli obiettivi vengono rinnovati
ogni anno su più ambiti di policy in un approccio integrato, così come delineato dallo
stesso piano dell'innovazione urbana, essa sembra aprire la strada ad un approccio
deliberativo diffuso.
Ricucendo quanto qui sottolineato con quanto invece messo in evidenza sul piano dei
fattori abilitanti la partecipazione possiamo evidenziare che se da un lato un modello
di tipo forte aiuta, come si diceva a dare continuità e stabilità alla partecipazione e
potenzialmente “struttura” le possibilità di partecipazione, dall'altra appare
14
Il regolamento dà attuazione agli art. 118, 114 comma 2 e 117 comma 6 della Costituzione, mettendo al centro l'autonoma iniziativa dei cittadini in vista di un interesse generale. Lo strumento previsto per dare vita a questa collaborazione, è il patto di collaborazione. Non è un atto autoritativo, e non si tratta né di un contratto e nemmeno di un accordo amministrativo, si configura piuttosto come «strumento di soft accountability» (Iaione 2015 p.52).
42
necessario avviare una riflessione sulle difficoltà di coinvolgimento di fasce spesso
escluse e sul come un modello di questo tipo possa correre a volte il rischio, come
evidenzia Pellizzoni (2005), di incorporare quei valori e rapporti di potere propri del
contesto sociale e politico in cui si collocano i setting istituzionali creati, in sostanza
diventando meno inclusivi. In ultimo è quindi importante riflettere sul come processi
di questo tipo, tramite un lavoro territoriale, di comunità, coniugato a momenti di
partecipazione pubblica che hanno una profonda valenza di pratica di democrazia,
possono incidere sulla creazione di condizioni per rendere più permeabile il sistema
politico all'influenza della società civile.
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