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Una macchina del tempo per l'archeologia - PARTE 1

Mar 24, 2023

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Insulae DiomedeaeCollana di ricerche storiche e archeologiche

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In copertina: Quattro momenti del viaggio nel tempo con la TimeMachine.Sul retro: Piante di fase tridimensionali.

UnIversItÀ DeglI stUDI DI FoggIa

Dipartimento di Studi Umanisticilettere, Beni culturali, scienze della formazione

Corso di Dottorato in Storia e Archeologia Globale dei Paesaggi

(scuola di Dottorato di ricerca in Le Culture dell’Ambiente, del Territorio e dei Paesaggi)

Insulae DiomedeaeCollana di ricerche storiche e archeologiche

Collegio dei docenti - Comitato scientifico della Collana

giuliano volpe (coordinatore)giuliano De Felice, riccardo Di Cesare, silvia evangelisti, Pasquale Favia, roberta giuliani,

niccolò guasti, Danilo leone, Daniela liberatore, Maria luisa Marchi, vincenza Morizio,giulia recchia, giunio rizzelli, saverio russo, Maria turchiano, Francesco violante (Università di Foggia),

Massimo osanna (Università della Basilicata), Franco Cazzola (Università di Bologna),rossano Pazzagli (Università del Molise), gert-Jan Burgers (Reale Istituto Neerlandese di Roma),

girolamo Fiorentino (Università del Salento), Franco Cambi (Università di Siena)

Comitato scientifico internazionale

Javier arce (Université de Lille 3), gian Pietro Brogiolo (Università di Padova),Michael Crawford (University College London), Francesco D’andria, Francesco grelle (Università del Salento),

richard Hodges (University of East Anglia), Daniele Manacorda (Università di Roma 3), Biagio salvemini (Università di Bari A. Moro), alastair small (University of Edinburgh),

enric tello (Universidad de Barcelona), Maria José strazzulla (Università di Foggia), Domenico vera (Università di Parma), roger Wilson (University of British Columbia)

Segreteria di redazione

Maria turchiano(Dipartimento di studi Umanistici, via arpi 176, 71121 Foggia - [email protected] - http://www.archeologia. unifg.it)

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giuliano De Felice

Una MaCCHIna Del teMPoPer l’arCHeologIa

Metodologie e tecnologie per la ricerca e la fruizione virtuale del sito di Faragola

Bari 2012

Università degli studi di FoggiaDipartimento di studi Umanistici

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© 2012 - Edipuglia srl, via Dalmazia 22/b - 70127 Bari-S. Spiritotel. 080. 5333056-5333057 (fax) - http://www.edipuglia.it - e-mail: [email protected]

Redazione: Valentina NataliCopertina: Paolo Azzella

ISBN 978-88-7228-617-3http://dx.medra.org/10.4475/617

volume pubblicato con il contributodel Dipartimento di studi Umanistici dell’Università degli studi di Foggia

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A Velia, Libero e Marino

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1 la bibliografia sugli scavidi Faragola è assai ampia; si ve-dano, in generale, volpe, tur-chiano 2009, che raccoglie unaserie di saggi, e la guida all’areaarcheologica volpe, turchiano2010; sulle fasi altomedievalicfr. ora volpe et alii 2012.

2 Cfr. la bella guida agli scavipensata per i bambini di Balda-sarre 2011.

3 sibilano 2009.

lo scavo archeologico di Faragola nel territorio di ascoli satriano 1 non harappresentato e non rappresenta ancora soltanto una straordinaria occasione perindagare sistematicamente un sito rurale pluristratificato di grande interessestorico e archeologico, occupato per oltre un millennio, con fasi relative ad unabitato di età daunia preromana, ad una fattoria e una villa romana e, in parti-colare, ad una ricchissima villa tardoantica e, infine, ad un articolato e vitale abi-tato di età altomedievale. Ha rappresentato e rappresenta anche l’opportunità perla formazione di giovani archeologi, per la contestuale analisi dei paesaggi dellavalle del Carapelle, per la sperimentazione di nuove forme di indagini diagno-stiche, di restauro e di valorizzazione in situ, per la realizzazione di innovativestrutture di copertura e di musealizzazione dei resti archeologici, per la crea-zione di supporti didattici destinati anche ai bambini 2 e, infine, per la raccolta,l’elaborazione e la gestione informatizzata di una ingente massa di dati e per lapredisposizione di innovativi sistemi di fruizione e comunicazione digitale. Unapresenza, quella dell’informatica a Faragola, fortemente voluta e pensata per ga-rantire un livello qualitativo più elevato del lavoro archeologico, per porre mi-gliori e diversificate domande storiche ai dati archeologici e per tentare di offrirerisposte più convincenti e articolate, per sostenere un progetto di comunica-zione archeologica ad ampio spettro.

Queste attività, coordinate da giuliano De Felice, hanno visto impegnatimolti giovani archeologi, dottori, dottorandi di ricerca e studenti, come giusysibilano, che a questo tema ha dedicato la sua tesi di dottorato 3, lorenzo Bal-dassarro, andrea Fratta, Fabio gagliardi ed altri ancora.

giuliano De Felice, che nelle prime campagne di scavo tra il 2003 e il 2005è stato co-responsabile delle ricerche sul campo, insieme a Maria turchiano(che segue fin dagli inizi questo progetto, condividendo con me la direzionescientifica dello scavo di Faragola), ha deciso, anche con il convinto sostegnodi chi scrive, di indirizzare sempre più i suoi interessi scientifici all’informaticaapplicata all’archeologia, curando una serie di progetti innovativi e dando vitaad uno specifico laboratorio, il laboratorio di archeologia Digitale, nel qualesi è venuto a creare negli anni un gruppo di entusiasti e abili giovani archeologiche si sono andati specializzando in questo campo, proponendo varie soluzionicreative e innovative.

Da molti anni, peraltro, nella nostra équipe cerchiamo di dedicare grandeattenzione ai temi e alle prospettive dell’informatica applicata all’archeologia,nell’ambito del più generale approfondimento degli aspetti metodologici dellanostra disciplina, nella duplice convinzione che l’innovazione metodologicanon possa prescindere dall’informatica, e che la vera sfida sia prima di tutto diordine metodologico e non tecnologico, diversamente da quanto spesso si ri-tiene e si riscontra in tanti musei, mostre e parchi archeologici. ancora troppospesso, infatti, si attribuisce un’eccessiva importanza all’ultimo ritrovato tec-nologico, all’ultimo software, all’apparecchiatura tanto costosa quanto rapida-mente obsoleta, all’effetto scenografico e schioppettante dal punto di vistacomunicativo, e molto meno ai contenuti, ai bisogni reali, ai risultati, ai me-todi, all’utilità di una ricerca. I computer sono macchine ormai indispensabili,

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Presentazione

di Giuliano Volpe

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ma pur sempre macchine, le cui potenzialità possono realmente essere valoriz-zate solo con buone idee e con la capacità di proporre un racconto storico fon-dato, chiaro e convincente.

Utilizzare un computer di ultima generazione o un laser scanner 3D sofi-sticato non significa necessariamente applicare correttamente l’informatica al-l’archeologia. l’affinamento delle procedure di scavo e, in generale, del lavorosul campo, delle tecniche diagnostiche, delle possibilità di acquisizione di in-formazioni inimmaginabili alcuni anni fa, ha creato situazioni preoccupanti digestione dei dati, dei reperti di origine antropica e naturale, della documenta-zione, che impongono necessariamente il ricorso a trattamenti sistematici me-diante l’informatica e i metodi dell’archeologia quantitativa. si pensi alleapplicazioni informatiche ormai consuete nelle analisi territoriali, nello scavodi grandi insediamenti, soprattutto urbani, ai sistemi GIS, alle tecniche aerofo-tografiche, fotogrammetriche, satellitari, geofisiche, ai rilievi con stazioni in-tegrate e ai sistemi CAD e laser scanner 3D, alle banche-dati, alla gestione direti telematiche, alla realtà virtuale, alle nuove tecniche di ricostruzione 3D, divalorizzazione, fruizione, comunicazione del patrimonio archeologico.

È con questo spirito che si è avviata la sperimentazione i cui risultati sonoillustrati in questo volume, che tiene conto e si inserisce a pieno titolo nel vi-vace dibattito sviluppato a livello nazionale e internazionale. la TimeMachine

è stata concepita come una componente intrinsecamente interna al progetto discavo archeologico, strettamente legata alle domande storiche che hanno ispi-rato le ricerche stratigrafiche, ai problemi legati all’acquisizione, alla gestionee all’interpretazione dei dati, alle esigenze di una comunicazione sempre piùchiara, attiva ed efficace: è parte integrante, cioè, di un approccio globale, fon-dato sull’impiego integrato di fonti, di strumenti e di competenze multidisci-plinari, che oggi non può prescindere anche dall’impiego intelligente e correttodell’informatica in tutte le sue ampie articolazioni.

Il progetto elaborato si caratterizza per significative innovatività e speri-mentalità non solo per i risultati raggiunti ma anche per le stesse modalità chehanno caratterizzato tutte le fasi del lavoro svolto, attraverso un approccio for-temente interdisciplinare, il continuo scambio di informazioni, di dati e di in-terpretazioni tra i vari collaboratori.

sotto il profilo comunicativo, la scommessa principale è stata, infatti, quelladi contribuire a rendere la visita dello scavo, virtuale e reale, piacevole, unavera occasione di crescita personale, di approfondimento, di curiosità, di par-tecipazione attiva: abbiamo potuto verificare sul sito il grande interesse dimo-strato dai visitatori, e non solo dai più giovani, ovviamente più predisposti versostrumenti a loro assai familiari. Questi ultimi, inoltre, hanno subito compresoche la TimeMachine non fosse un semplice ‘videogioco’ ma uno strumento ef-ficace e divertente per ripercorrere la storia dell’insediamento e le fasi del la-voro degli archeologi, le loro ipotesi ricostruttive, i dati in base ai quali quelleipotesi erano state formulate.

giuliano De Felice, avvalendosi dell’apporto di vari collaboratori, ha sa-puto costruire un sistema di facile e piacevole utilizzazione, fortemente inte-

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4 volpe 2012; Dattolo et alii2012.

5 volpe 2008.6 Manacorda 2008, 245.

rattivo e graficamente accattivante, con contenuti scientificamente solidi maresi con ricostruzioni tridimensionali e strumenti comunicativi semplici e im-mediati, senza alcun cedimento alla banalizzazione, continuamente aggiornabilee modificabile, che rappresenta al momento, a nostro parere, uno dei risultati piùinnovativi in questo campo. Un’analoga esperienza positiva abbiamo potuto vi-vere insieme recentemente nella elaborazione di un innovativo progetto di frui-zione multimediale che accompagna il nuovo allestimento della collezionearcheologica della Fondazione sicilia a Palazzo Branciforte splendidamente re-staurato da gae aulenti e restituito alla città di Palermo: una esperienza nellaquale ho potuto verificare ancora la maturità metodologica e le capacità di giu-liano De Felice nel proporre, insieme agli altri collaboratori, nuove interessantisoluzioni 4.

lo scavo di Faragola, le indagini sistematiche nella valle del Carapelle, lostudio dei manufatti, le analisi bioarcheologiche e archeoambientali, e, in que-sto contesto, anche l’approccio digitale e la TimeMachine, sono pezzi di un veroprogetto di archeologia globale dei paesaggi 5, che si pone anche l’obiettivofondamentale di contribuire “all’arricchimento di quella che chiamiamo ‘me-moria sociale’. Ma questi materiali devono tradursi in memoria collettiva, inimmagini che contribuiscano alla conservazione dell’identità dei gruppi sociali.e ciò comporta una maggiore capacità di prenderci le nostre responsabilità nellescelte che inevitabilmente operiamo, quando inevitabilmente selezioniamo, perdare un senso a quella selezione. Per trasmettere l’eredità del passato non ba-stano infatti le soluzioni tecniche, e il supporto di tecnologie sempre più sofi-sticate, occorrono anche strumenti culturali” 6. ecco espresso, in poche denseparole, il senso più profondo di questa articolata operazione scientifica e cul-turale.

sono, quindi, assai felice di salutare la pubblicazione di questo bel volume,prodotto di un impegno metodologico e scientifico ormai ventennale, maturatonell’esperienza di giuliano De Felice fin dagli anni della sua formazione uni-versitaria e della partecipazione ai seminari di metodologia archeologica da metenuti nell’Università di Bari e agli scavi di Herdonia, di san giusto e infine diFaragola, e poi nella costruzione dell’attivo gruppo di ricerca archeologica nellagiovane Università di Foggia, gruppo del quale giuliano è parte integrante eattiva con le sue specifiche competenze, con la sua passione e la sua intelli-genza.

Foggia, ottobre 2012

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Presentazione

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Che le tecnologie digitali costituiscano strumenti eccellenti per veicolaremodalità dense e innovative di fruizione di oggetti culturali non è certo un’af-fermazione che necessita di essere ribadita. le straordinarie potenzialità espres-sive, la possibilità di simulare dimensioni virtuali e di renderle immersive einterattive costituiscono un valore enorme nella restituzione di oggetti fram-mentari e ‘desueti’ e nella descrizione di mondi cronologicamente e cultural-mente lontani.

Quel che appare più incerta è invece la prospettiva di innestare l’utilizzodelle tecnologie nella valorizzazione del grande e invisibile patrimonio di co-noscenza insito nei processi di documentazione e analisi, rendendolo parte in-tegrante dei progetti e dei prodotti di comunicazione. anche dal punto di vistadelle modalità di utilizzo delle tecnologie infatti, ricerca e valorizzazione, puressendo due elementi complementari all’interno di una catena del valore deibeni culturali fortemente unitaria, risultano due ambiti ancora nettamente se-parati: le tecnologie digitali sono diffuse in maniera capillare nei processi di ri-cerca, sia come strumenti per la gestione e l’analisi dei dati nelle fasi di studioche come supporto in quelle di comunicazione e diffusione dei risultati, ma unavisione organica che superi la prospettiva delle ‘applicazioni’ rimane ancoratutta da conseguire.

In ambito archeologico, la mancanza di una visione unitaria risulta partico-larmente evidente nella marcata separazione che si registra fra l’utilizzo delletecnologie digitali funzionali alla classificazione dei dati, alla realizzazionedella documentazione e a supporto dell’interpretazione da un lato e la veicola-zione delle ipotesi ricostruttive dall’altro. ne consegue ad esempio che la com-plessità e la densità delle informazioni raccolte e gestite dagli strumenti dianalisi e documentazione utilizzati sul campo raramente rimangono visibili allafine del processo di ricerca, e contribuiscono solo in minima parte alle fasi dicomunicazione e divulgazione dei risultati. la precisione, o la tridimensiona-lità di un rilievo non costituisce infatti di per sé una garanzia della qualità di unprodotto di comunicazione, ma piuttosto un prerequisito essenziale di validitàscientifica.

Per raccontare in modo coinvolgente e non solo freddamente spettacolareuna realtà distante è necessario spingersi oltre, riappropriarsi delle specificitàdella metodologia e riaffermare il valore della ricerca analitica non solo comestrumento per l’acquisizione di conoscenza o indicatore della qualità di un pro-dotto, ma come parte integrante dei contenuti da inserire in ogni progetto di co-municazione che riguardi l’archeologia. anche il più spettacolare deiritrovamenti, privo di contesto, ha meno cose da dire di un piccolo sito indagatoscientificamente, perché poche cose si potrebbero raccontare del sottile pro-cesso di ricomposizione di tracce che permette di rendere eloquente un insiemedi componenti di per sé muti.

Un racconto al contempo corretto e accattivante può essere scritto solo ad-dentrandosi nell’intricato mondo dei linguaggi, sia quelli di dominio (il lessicoarcheologico, spesso involuto fra esasperati tecnicismi e vezzi esoterici, non ècerto facile da interpretare per il grande pubblico!) sia quelli tecnologici, che,

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Introduzione

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in mancanza di una guida spesso identificano nell’innovatività della tecnologial’obiettivo stesso della comunicazione. ascoltando i suggerimenti delle meto-dologie di dominio piuttosto che confidando in modo aprioristico nelle tecno-logie di comunicazione si può giungere a costruire prodotti più coinvolgenti, incui il ritmo narrativo sia dettato dalla necessità di adattamento alla spettacola-rità dei media e in cui la creatività contribuisca in maniera determinante alladefinizione del racconto e dei linguaggi più adatti ad esprimerlo. Quel che servein definitiva è un avvicinamento fra diversi specialismi, sul terreno comunedella comunicazione: una convergenza non tanto verso una multidisciplinarietàche spesso significa banalizzazione dei risultati, ma piuttosto verso una inte-grazione delle competenze in team specializzati in comunicazione dei beni cul-turali.

Da queste considerazioni preliminari hanno preso le mosse le azioni e lesperimentazioni che si presentano in questo volume, finalizzate alla ricerca diun possibile percorso integrato che collegasse, nel dominio specifico dell’ar-cheologia stratigrafica, l’analisi scientifica alla narrazione, e in cui le tecnolo-gie digitali, e la computer graphic in particolare, potessero costituire un puntodi riferimento costante, in grado di supportare singoli momenti applicativi, invista dell’obiettivo fortemente unitario di valorizzare l’intero processo di ri-cerca, dalle metodologie impiegate ai risultati conseguiti in termini di inter-pretazione e ricostruzione.

la TimeMachine, il prototipo che si presenta in queste pagine, mostra i ca-ratteri di un modello di comunicazione scientifica a carattere divulgativo piut-tosto che un sistema di realtà virtuale fruibile in realtime. Questa definizionespiega il carattere tecnico e tecnologico del prodotto, ma non rende giustiziadel lavoro di analisi realizzato con l’obiettivo di raccontare in tutta la sua com-plessità l’articolato processo di ricerca sotteso ad una indagine archeologicastratigrafica. nel corso della lavorazione è risultato evidente infatti che se la3D computer graphic poteva costituire uno strumento eccellente di narrazioneper un sito archeologico, la validità del suo utilizzo rischiava di risultare pres-soché nulla in assenza di un soggetto e di una sceneggiatura idonee. In parti-colare la scelta di utilizzare il realtime è stata immediata, in linea con la libertàdi fruizione che normalmente connota la visita ad un parco archeologico, e lapossibilità di fornire al pubblico un’esperienza al tempo stesso intensa e per-sonalizzata, caratteristiche ampiamente acquisite da una lunga serie di speri-mentazioni nel settore archeologico. se quindi la scelta della tecnologia difruizione è stata quasi obbligata, l’individuazione del soggetto e la costruzionedi una sceneggiatura è stata un’operazione complessa, dato che una semplice ri-proposizione dell’alternanza stato di conservazione/ricostruzione avrebbe datovita ad un prodotto poco innovativo, inadeguato a trasmettere la componentediacronica e multidimensionale di un bacino stratigrafico e la dialettica ana-lisi/interpretazione/ricostruzione che costituisce l’evidenza più interessantedella metodologia di indagine stratigrafica.

la ricerca di un soggetto e di una sceneggiatura, nonché di temi, contenuti,

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Una macchina del tempo per l’archeologia

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stili narrativi e linguaggi espressivi idonei, ha richiesto la discussione di unaserie di interrogativi mirati all’individuazione dei caratteri salienti e degli spuntinarrativi offerti dall’oggetto-sito.

Quali sono le storie che un sito archeologico permette di raccontare? Qualii linguaggi migliori per dare loro visibilità? Quali le soluzioni tecniche in gradodi valorizzarle e renderle comprensibili?

la ricerca di una risposta a questi interrogativi ha richiesto il compimentodi un itinerario che è partito dalla disamina delle metodologie d’indagine e do-cumentazione sul campo, passando attraverso l’analisi del rapporto fra ICT e ar-cheologia nel processo di ricerca stratigrafica e sfiorando il più ampio temadell’archeografia.

Questo lungo percorso di ricerca ha portato al riconoscimento degli elementicostitutivi di un possibile racconto all’interno dello stesso processo di acquisi-zione della conoscenza e nella prospettiva delle metodologie di documentazione:è nel viaggio che porta i dati grezzi a trasformarsi in documenti e infine in ideeche si nasconde la storia di un sito. Dal punto di vista narrativo è risultato evi-dente che il prototipo dovesse confrontarsi con la sfida di evidenziare il processointerpretativo, e sottolineare il passaggio fra tracce e interpretazione, fra docu-mentazione e ricostruzione. la TimeMachine è stata pertanto progettata non soloper offrire la visita in piena libertà nelle ricostruzioni di ciascuna delle fasi divita del sito di Faragola, ma anche la possibilità di entrare nella dimensione, piùsurreale che virtuale, delle piante di fase, trasportando il fruitore in una realtàalternativa in cui i documenti utilizzati per immaginare le ricostruzioni mostranole fondamenta del processo interpretativo. la libertà di visita garantita dalle tec-nologie digitali lascia il fruitore nelle condizioni di effettuare il ‘salto’ dimen-sionale o cronologico in qualsiasi momento, verificando in prima persona il pas-saggio fra documenti e ricostruzioni, partecipando così al processo deduttivo incui si sussume l’intera analisi, documentazione e interpretazione operate dal-l’archeologo.

In questa prospettiva abbiamo immaginato di avvicinarci alla sfida di di-mostrare che l’impiego delle tecnologie digitali trovi le sue più profonde mo-tivazioni solo nella prospettiva globale di accompagnare l’intero percorso diconoscenza, come supporto per documentare, come sostegno all’analisi, comestrumento per immaginare in fase di sintesi e, solo in ultima istanza, comemezzo di comunicazione. la realizzazione del prototipo è stata in definitivaun viaggio che ha messo in evidenza quanto sia ardua, e appassionante, lascelta di rendere fruibile la complessità della struttura di conoscenza sottesaad un progetto di ricerca sui beni culturali, ben più affascinante del ritualedel mistero che spesso si consuma intorno alla pretesa di valorizzazione delpatrimonio culturale. e’ una complessità straordinaria, normalmente poco vi-sibile, se non completamente nascosta, al pubblico, che invece può divenireprotagonista del racconto digitale, a patto di essere in grado di raccontare nonsolo le conclusioni del percorso di ricerca (nel nostro caso le “ricostruzioni”),ma anche le tappe del processo stesso di acquisizione e costruzione della co-

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Introduzione

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noscenza indispensabili per immaginare, realiz-zare e descrivere le stesse ricostruzioni.

la TimeMachine (fig. 1) è un prototipo, il cuisviluppo è stato portato fino ad un punto ben lon-tano dal poter essere considerato definitivo. al dilà delle caratteristiche tecniche e della qualità delprodotto, condannate, come è destino comune nelmondo della produzione di contenuti digitali, adessere superate in tempi brevi, spero rimanga in-tatto il valore reale della sperimentazione, insitonel legame indissolubile con la ricerca archeolo-gica sul campo, e nel tentativo di sottoporla diret-tamente al giudizio del grande pubblico.

tutto il lavoro descritto, infatti, comprese leriflessioni teoriche e metodologiche, nasce dallasperimentazione di un caso concreto, strettamentelegato all’attività di ricerca archeologica sulcampo, e dai molteplici stimoli che possono es-sere forniti da un progetto articolato e complessoquale è quello di Faragola.

Per una felice coincidenza la sperimentazionee la produzione si sono concluse contestualmentealla realizzazione del Parco archeologico e la Ti-

meMachine è a disposizione dei visitatori diretta-mente sul sito; inoltre il prototipo può essereliberamente scaricato all’indirizzo www.archeolo-giadigitale.it, e fruito da chiunque non possa visi-tare in prima persona il Parco.

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Una macchina del tempo per l’archeologia

1. - La Time Machine sul sito di Faragola.

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Il prototipo è stato ideato e realizzato interamente presso il laboratorio di archeologia Digitale dell’Università di Fog-gia (www.archeologiadigitale.it); la concezione, la grafica, i suoni e le immagini sono frutto di un lavoro comune e for-temente integrato, durato oltre un anno. le illustrazioni che accompagnano il testo, a parte quelle per cui è indicatoespressamente l’autore, sono state realizzate da lorenzo Baldassarro.l’impegno, la dedizione e la passione dei giovani ricercatori coinvolti nel progetto sono stati supportati dalle compe-tenze e dall’amicizia di molti:Mario Brambilla e giancarlo D’Incognito che ci hanno mostrato la strada della creatività digitale e aiutato a muoverei primi passi in questo mondo; eva Pietroni e Claudio rufa, pionieri del realtime per l’archeologia; vito santacesaria,che ci ha insegnato quanto sia al contempo faticoso e gratificante lavorare ai dettagli; giuliano volpe, maestro e ispi-ratore da quasi venti anni, Mariuccia turchiano e tutti gli archeologi dell’Università di Foggia impegnati nelle ricerchein Daunia perché siamo cresciuti insieme, scavo dopo scavo. ernesto ancona e i colleghi della segreteria del Diparti-mento di scienze Umane dell’Università degli studi di Foggia per il costante apporto amministrativo e la proverbialepazienza. giovanna Baldasarre, anna Dattolo, alessandra De stefano, anna Introna, alessandra Moro e Marida Piernoper l’apporto alla gestione del progetto. Fabio gagliardi, la cui competenza nel campo della computer graphic è stataun costante punto di riferimento in tutta la lavorazione del prototipo che si presenta in questo volume, pur non essendoil suo nome presente fra gli autori.

Infine un ringraziamento a velia, e certo non solo per aver pazientemente riletto tutto più volte. naturalmente la re-sponsabilità di quanto scritto è solo mia, ma è suo il merito se la lettura risulterà piacevole.

Le attività descritte in questo volume prendono spunto dai risultati del progetto ITINERA (www.itinera.puglia.it), fi-

nanziato dall’Unione Europea e dalla Regione Puglia, nell’ambito della programmazione regionale per lo sviluppo delle

ICt applicate ai beni culturali (POR Puglia 2000-2006; misura 6.2 azione c), sotto il coordinamento scientifico del prof.

Giuliano Volpe (sul progetto Itinera cfr. De Felice et alii 2007 e De Felice 2008). L’équipe del Dipartimento di Scienze

Umane dell’Università degli Studi di Foggia è stata capofila del progetto, e ha coordinato il lavoro di un vasto parte-

nariato, composto da enti pubblici (Dipartimento di Studi Giuridici Privatistici, Provincia di Foggia e Agenzia per il

Patrimonio Euromediterraneo), enti di ricerca (Scuola Superiore ISUFI, Dipartimento di Scienze Giuridiche Privati-

stiche e Politecnico di Bari) e imprese private specializzate in computer grafica, web management, editoria e comuni-

cazione.

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Introduzione

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An archaeological site is something to be explained

(Barceló 2009, 7)

L’archeologia ha sempre potuto contare su una costante riflessione me-todologica orientata all’affinamento ed al rinnovamento delle proprie pos-sibilità euristiche, perseguite anche attraverso strumenti e tecnicheinnovative, utilizzabili per migliorare i diversi processi di conoscenza. Negliultimi anni non sono mancati importanti apporti che hanno contribuito a de-finire la dimensione globale dell’archeologia del nuovo millennio (Mana-corda 2008, 165). E tuttavia in questo scenario di profondo rinnovamentometodologico, il ruolo attribuito alle tecnologie – e alle ICT soprattutto – ap-pare limitato e circoscritto al miglioramento di alcune procedure operative,quali la gestione di dati e le tecniche di documentazione. Le tecnologie in-formatiche non sembrano ancora dialogare efficacemente con il mondo dellaricerca, relegate come sono, in primis nella didattica universitaria, al ruolodi ‘applicazioni’, quasi come un corpo estraneo che non riesce ad interagirefattivamente nella definizione di un nuovo orizzonte metodologico.

La scarsa maturazione di questo rapporto risalta in modo particolare nelcampo dell’archeologia stratigrafica: se da un lato la nuova visione globaleha ribadito la validità dello scavo stratigrafico, nonché la capacità di analisi,di lettura ed interpretazione delle tracce materiali e della loro ricomposi-zione, dall’altro il contributo delle tecnologie informatiche al miglioramentodelle tecniche di intervento, pur rilevante e innegabile, rimane sostanzial-mente limitato. Ad esse resta di fatto precluso un ruolo attivo in un rinno-vamento più profondo, che coinvolga i processi di indagine, analisi ecomunicazione. È evidente ad esempio come le procedure di intervento sulcampo non siano cambiate di molto, se si escludono i miglioramenti in ter-mini di velocità, reperibilità, accuratezza e sicurezza di dati e informazionie il rinnovamento ‘tecnologico’ che ha interessato ogni équipe di scavo, gra-zie all’uso di strumenti quali i DBMS, i GIS e i CAD che sono ormai il pa-trimonio di base di qualunque archeologo.

Il punto di partenza fondamentale per comprendere i limiti attuali delrapporto fra ICT e archeologia e progettare per il futuro uno scenario di mag-giore interazione è la consapevolezza della necessità di rinnovare i metodioperativi della ricerca, aggiornando anch’essi alla nuova dimensione glo-bale dell’archeologia.

Nel circoscritto orizzonte del metodo della stratigrafia, l’opportunità dirinnovare i processi di analisi e di documentazione archeologica appare ine-ludibile se solo si considera che lo scavo archeologico, nonostante l’evolu-zione dei metodi, delle tecniche e degli strumenti impiegati, rimaneun’operazione eminentemente distruttiva e irreversibile. Non esiste alcunsistema che possa ricreare l’informazione perduta durante lo scavo e ripa-

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1.Lo scavo archeologico

fra archeografia digitale e fruizione virtuale

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rare la distruzione di una sequenza stratigrafica, la cui lettura è sempre con-dizionata dall’ineludibile conseguenza della distruzione del testo stesso (Ca-randini 1991).

È proprio l’impossibilità di riscavare uno strato, riquotare un taglio oripristinare un riempimento, a mostrare quanto sia indispensabile la defi-nizione di una metodologia innovativa di documentazione, capace di ri-durre drasticamente lo spazio vuoto esistente fra il dato stratigrafico e la suaregistrazione. Se infatti si considera il ruolo fondamentale rivestito dal-l’acquisizione dei dati nei processi conoscitivi, non si può non dedurne cheproprio le metodologie e le tecniche di documentazione costituiscono losnodo cruciale nei possibili processi di innovazione dell’archeologia stra-tigrafica.

La documentazione s’impone infatti come il primo livello di astrazionee di ‘alleggerimento’ della realtà materiale, di trasposizione della realtàstratificata in oggetti codificati e in quanto tali comprensibili e confronta-bili. Intervenendo nel processo di documentazione si può ottenere la con-servazione della maggior quantità di informazione, senza stravolgere lametodologia stratigrafica nei suoi principi più profondi. Il problema è chealla così larga condivisione della tecnica di indagine non fa eco un’altret-tanto diffusa e praticata condivisione delle tecniche di documentazione. Gliarcheologi, siano essi specialisti di preistoria e protostoria, classici o me-dievisti, pur concordando con le linee generali di un impianto metodologicoche vede nelle leggi della stratigrafia il minimo comun denominatore delproprio lavoro, si diversificano fortemente nelle metodologie di documen-tazione, in cui invece continua a prevalere largamente una prassi operativa‘artigianale’, particolarmente evidente nelle esperienze di informatizza-zione, spesso autoprodotte e autogestite all’interno delle singole comunitàdi ricerca.

Proprio attraverso il recupero di queste infinite metodologie e la lorocondivisione, resa possibile da reti per la circolazione delle informazioni edall’apertura degli archivi, passa la concreta possibilità di elaborare buonepratiche universali, e di iniziare realmente, dal basso, un percorso di condi-visione che possa portare in futuro alla standardizzazione dei processi didocumentazione (Valenti 2009, 25), magari in maniera meno invasiva e piùefficace rispetto a quanto sperimentato in passato.

È certamente una sfida ampia e problematica, al cui conseguimento èperò legato il futuro della disciplina e la sua capacità di rinnovarsi.

Ma qual è stato il contributo dell’informatica alla definizione e allo stu-dio di possibili soluzioni a questi problemi? E soprattutto, esiste una possi-bilità concreta di immaginare uno scenario futuro diverso, caratterizzato dauna maggiore interazione fra informatica e archeologia?

Se è infatti innegabile che proprio dal rapporto con le tecnologie in-

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formatiche siano scaturite le principali novità metodologiche degli ultimianni, non è tuttavia facile estrarre delle linee di tendenza ed evoluzioneda uno scenario in cui la diffusione dell’informatica riguarda tutti gliaspetti della pratica archeologica, senza che si possano individuare unfilo logico o una guida unitaria. Seguendo l’evoluzione di questo rap-porto dalle sue fasi pioneristiche alla situazione odierna (Djindjian 2009,Orlandi 2009) si coglie il passaggio da una situazione in cui l’applica-zione dell’informatica alla ricerca archeologica ha significato soprattuttoun’attenzione concentrata sulle fasi di raccolta e analisi dei dati versouno scenario caratterizzato da un’‘esplosione’ di sperimentazioni ed espe-rienze applicative.

La fiducia nelle infinite capacità di calcolo delle macchine ha portatoalla creazione di sistemi che hanno facilitato la gestione dei dati e semplifi-cato le attività di documentazione, ma nel contempo l’informatica ha con-tinuato ad essere considerata uno strumento rapido e potente di gestione,archiviazione ed elaborazione, nulla di più. Di recente essa ha iniziato a ri-vestire un ruolo decisamente più ampio dell’aiuto nella catalogazione, purragionata e potente, della massa di dati che la parte analitica del percorso dicreazione di conoscenza tipico dell’archeologia prevede, e ad avere un pesodeterminante nei processi di interpretazione e nei modi di percezione deidati (Forte 2007, 6). Se i sistemi GIS hanno introdotto in campo archeolo-gico la possibilità di generare conoscenza, attraverso processi di sintesi ge-stiti con l’aiuto di tecnologie informatiche, lo sviluppo dell’archeologiavirtuale ha portato alla sperimentazione di nuovi approcci cognitivi semprepiù ‘densi’.

Una caratteristica comune a tutti i sistemi ed esperimenti è tuttavia un so-stanziale disordine metodologico, cui corrisponde quella polverizzazionedelle esperienze visibile nello sviluppo di database, di sistemi GIS e di al-tri strumenti, creati in modo autonomo all’interno di singole équipe o per sin-goli progetti di ricerca, che, lungi dal contribuire a sistematizzare le prati-che di indagine, hanno viceversa contribuito a rendere più complesso il giàarticolato mondo delle metodologie di dominio. L’evoluzione tecnologica hamesso a disposizione del singolo utente/ricercatore una potenza di calcolosempre maggiore, e parallelamente al compattarsi delle macchine si è veri-ficato un ridimensionamento della scala delle applicazioni (Zubrow 2006).In altri termini la disponibilità di elaboratori potenti e la conseguente proli-ferazione di approcci ed esperimenti ha aperto le porte ad un’introduzionemassiccia dell’informatica come supporto alla ricerca, ma ha aggiunto aglistorici problemi di identificazione e adozione di standard di documentazionenuovi problemi legati a nuovi standard (D’Andrea 2006), a livello di formato,metodi di codifica e trattamento dei dati. Paradossalmente le tecnologie in-formatiche hanno contribuito a diversificare e complicare ulteriormente un

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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale

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quadro caratterizzato da un livello già alto di moltiplicazione delle espe-rienze.

Questo contributo intende andare nella direzione di una possibile esten-sione del nesso archeologia-informatica all’intero processo di conoscenza ar-cheologica, verso un progresso metodologico che si possa definire globale.Il punto di partenza di un nuovo approccio, dovrà necessariamente essere ilsuperamento dell’attuale fase di ‘trionfo’ (Orlandi 2009, 18-19) della tec-nologia nei rapporti fra informatica e discipline umanistiche, e la riproposi-zione della centralità del ‘discorso sul metodo’ che ne eviti rischioseemarginazioni a favore della cattiva pratica (Forte 2007, 5-6).

In altre parole la scelta di suggerire riflessioni teoriche e concrete speri-mentazioni in vista di un rinnovamento in chiave tecnologica delle meto-dologie archeografiche, o almeno di parte di esse, vuole esseretestimonianza di un nuovo possibile rapporto fra metodo della stratigrafiae ICT che preveda un “maggiore riguardo agli aspetti metodologici” (Or-landi 2009, 12). Solo attraverso la revisione dei processi di documentazioneattualmente in vigore sui cantieri di scavo sarà possibile rendere l’attivitàarcheografica un supporto sempre più utile alla ricostruzione storica e anuovi paradigmi di percezione, che superi l’attuale modello, creato in pre-valenza per compiti di tipo amministrativo e gestionale, e pertanto privo diuna prospettiva aperta agli aspetti di contestualità, interattività e multivo-calità.

Registrare la distruzione

Nella metodologia stratigrafica corrente, il risultato finale dell’indaginesul campo è costituito da un insieme di documentazione che organizza daticlassificati secondo criteri tipologici e contestualizzati. Questo “primo set diinformazione” (Forte 2006, 29) offre l’input per costruire le principali rela-zioni di spazio e tempo che legano tutti gli elementi raccolti con la sequenzastratigrafica di un intero sito. Il processo di interpretazione, che conduceverso momenti successivi di sintesi storica, non parte infatti soltanto dal-l’analisi dei dati raccolti durante le operazioni di scavo, ma anche e in granparte dalla lettura critica della raccolta dei documenti che li descrive, clas-sifica e contestualizza. Sono infatti i prodotti scritti, grafici e fotografici, acostituire ancora oggi la base dell’operazione di sintesi, in quanto lo svi-luppo di forme innovative di gestione (ad esempio la comunicazione intempo reale tramite tecnologie web), non ha messo in discussione il nessofra metodo stratigrafico e procedure tradizionali di documentazione.

Gli importanti tentativi, mai portati a compimento, di normalizzare e for-malizzare la pratica di documentazione sono stati eseguiti in passato a valle

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1 www.londoncharter.org. Cfr.Beacham, Denard, Niccolucci2006. Il corso di e-learning fi-nalizzato alla realizzazione di do-cumentazione 3D compliant èstato realizzato nell’ottica di re-digere buone pratiche diretta-mente funzionali rivolte a quan-ti operano sul campo. Cfr. infra,Materiali 1.

della definitiva affermazione in Italia della metodologia stratigrafica (Ca-randini 1990, Manacorda 1990, Carandini 1991, 86-99): la stagione della si-stematizzazione, iniziata in epoca predigitale con la redazione di alcuni do-cumenti schedografici, è finita precocemente, né l’avvento dell’informatiz-zazione anche in campo umanistico è riuscito a imporre standard o quanto-meno pratiche condivise nella realizzazione e gestione della documentazione,ma ha avuto piuttosto, come si diceva, l’effetto opposto di moltiplicare le spe-rimentazioni.

L’utilizzo delle tecnologie di gestione dell’informazione ha in fin deiconti fatto risaltare quanto il dominio della conoscenza archeologica sia an-cora (o forse definitivamente?) poco formalizzabile. L’informatizzazionedelle attività di scavo si è tradotta in un aiuto fondamentale nella gestionedi dati e informazioni, esercitando anche una (parziale) spinta all’innova-zione della pratica della documentazione, che continua a rappresentarel’unica immagine delle fonti primarie nell’indagine stratigrafica. Gli stru-menti di gestione informatici hanno migliorato notevolmente la qualità deiprocessi esistenti, ma non hanno modificato in profondità le fasi di indaginee di registrazione dei dati.

Se è vero che i database e i GIS di scavo aiutano nella gestione e sonodi per sé sufficienti a trattare correttamente i dati archeologici (Valenti 2009),è anche vero che la ‘vecchia’ documentazione, sia essa scritta, grafica o fo-tografica, rimane nella maggior parte dei casi il fulcro dell’attività descrit-tiva della stratigrafia.

Nel settore della documentazione grafica, o più in generale di quella vi-suale, le innovazioni riguardano soprattutto la speditività e affidabilità, maanche in questo ambito si è ancora lontani dal definire buone pratiche con-divise per la realizzazione di set di documentazione innovativi. Le principalinovità in questo campo sono legate al progressivo utilizzo di soluzioni peril rilievo, il disegno e la modellazione tridimensionale. Al momento attualela prospettiva di un utilizzo profondo e diffuso del 3D è ancora ferma a fon-damentali ma ancora molto generiche linee guida 1, cui fanno da contraltareuna enorme serie di sperimentazioni. Negli ultimi anni si è discusso mol-tissimo, ad esempio, di uso di nuovi strumenti, misurando la loro innovati-vità in base alla tecnologia di funzionamento, che pure rimane caratteristicaassolutamente astratta e secondaria se considerata dal punto di vista del-l’operatore sul campo.

Le tecnologie di rilievo tridimensionale, a cominciare dalla scansionelaser, hanno avuto l’indubbio merito di portare il 3D nel dibattito metodo-logico, ma una fase di valutazione orientata a importare nella metodologiadi ricerca sul campo le potenzialità di un processo di documentazione tridi-mensionale è solo agli inizi; e questo nonostante risulti evidente una que-stione di fondo, relativa alla sostenibilità dell’utilizzo di strumentazioni quali

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il laser scanner nelle fasi di documentazione stratigrafica (Laurenza, Putzolu2008, Sibilano 2008), legata a problemi di accesso (ed eccesso!) ai dati.

Se si considera ad esempio la mole di dati prodotta da questo tipo di stru-menti per caratterizzare gli oggetti rilevati (le nuvole di punti), balza agliocchi la necessità di una profonda riflessione sui termini di utilizzo, all’in-terno di quel percorso di ‘alleggerimento’ affidato alla documentazione, checonduca verso la sintesi. Gli output prodotti dai sistemi di scansione tridi-mensionale non rappresentano, dal punto di vista stratigrafico, oggetti inte-ressanti in sé, ma necessitano di una lunga fase di adattamento, tale, a volte,da metterne in discussione l’utilità stessa. Poiché il rilievo, in quanto ope-razione funzionale all’intero sistema conoscitivo (Medri 2000; Medri 2003,IX), è una componente fondamentale nei processi archeografici, anche inquesto caso ogni innovazione tecnica e tecnologica deve essere sempre va-gliata dal punto di vista dell’archeologia, e non dell’innovatività fine a sestessa (De Felice et alii 2008a).

Ben consci della natura multidimensionale della stratigrafia e della ne-cessità di una metodologia di documentazione che sia in grado di registrarlaadeguatamente, siamo giustamente attirati dalle possibilità offerte dalle tec-nologie di rilievo che riescono a preservare la fisicità della realtà, evitando icompromessi inevitabili nel processo di ‘compressione’ bidimensionale. Nonsi tratta però di stravolgere una corretta metodologia, che rimane sempre fon-data sulle competenze stratigrafiche degli archeologi e sulla capacità di saperdeterminare le giuste tecniche e i giusti metodi, ma di ampliare i campi di ap-plicazione del 3D andando oltre il rilievo o la modellazione finalizzata allaricostruzione, e porre le basi per lo sviluppo di tecniche di visualizzazionescientifica, profondamente legata alle istanze del dominio.

Le riflessioni metodologiche hanno da tempo messo in piena luce la na-tura multidimensionale della stratigrafia, mostrando quasi profeticamentein un’epoca ancora lontana dalle conquiste della virtualità digitale, come tredimensioni siano del tutto insufficienti a descrivere una realtà densa e com-plessa come una sequenza stratigrafica (Carandini 1991). Ma l’indicazionenon è stata ancora recepita dalle tecniche archeografiche, che continuano afondarsi sulla produzione di elaborati bidimensionali, affidando la profon-dità e il tempo a criteri di rappresentazione ormai obsoleti, che comportanouna drastica riduzione dal punto di vista qualitativo e quantitativo dei datidisponibili.

Per raggiungere un risultato realmente innovativo e significativo sarebbeopportuno stabilire soluzioni universali per la realizzazione di una docu-mentazione complessiva tridimensionale, resa necessaria dalla perdita di in-formazioni che ogni elaborato grafico bidimensionale fatalmente comporta,quasi che le piante, i prospetti e le sezioni rappresentino per gli archeologi

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un insieme di archetipi, oltre i quali non si può risalire, data l’impossibilitàdi riaccedere agli originali.

La realizzazione di forme di documentazione tridimensionale che per-mettano di superare questo limite è ancora nella fase sperimentale, l’atten-zione è più concentrata sull’individuazione della tecnologia più adatta chesul problema globale della gestione dei dati, la cui centralità non è affatto datrascurare. È facile prevedere come le maggiori problematiche che si do-vranno affrontare nel prossimo futuro riguarderanno infatti, più che la sceltadel miglior metodo di misurazione, che rimarrà sempre prerogativa dell’ar-cheologo (Bohler 2005), la gestibilità dei dati e la compatibilità fra differentisorgenti.

L’esigenza che si pone è quella di impostare processi di produzione e ge-stione della documentazione tridimensionale che non siano esclusivamentefini a se stessi, ma realmente innovativi e migliorativi. Affinché essi possanodiventare a tutti gli effetti parte integrante di un nuovo modo di documentaredevono necessariamente risultare impraticabili per tutti, come lo sono le tec-niche e gli strumenti attualmente in uso. Questi processi ad esempio non pos-sono essere legati a tecnologie impraticabili per costo, complessità e onerositàdi gestione, che finirebbero col rendere l’innovazione metodologica scarsa-mente diffusa e quindi ampiamente inefficace; dovrebbero essere consoni allaattività di scavo, speditivi e funzionali affinché non divengano protagonistima affianchino e supportino il lavoro quotidiano; devono infine essere fina-lizzati ad una condivisione libera e aperta dei dati e delle informazioni, evi-tando soluzioni proprietarie e chiuse che vanno nella direzione opposta rispettoalla prioritaria istanza di condivisione del patrimonio culturale.

Si evince chiaramente come questo discorso sia in definitiva solo unaparte di un problema più ampio che coinvolge il complesso di conoscenzalegato ai processi di ricerca archeologica, sia quello accumulato nel corsodelle indagini sia quello – molto più imponente – depositato negli archivi.‘Scavare in archivio’ è infatti un’operazione fondamentale, ed è necessarioche una nuova metodologia preveda opportuni meccanismi di digitalizza-zione, mirati non solo alla preservazione, alla gestione ed all’accesso dellerisorse, ma anche ad una loro predisposizione per l’inserimento in ambientidigitali in cui possano convivere con i documenti digital born.

Ricomporre i frammenti

Nel percorso di acquisizione della conoscenza proprio dell’archeologiastratigrafica gli elaborati, esito delle operazioni di documentazione, sono iprincipali strumenti utilizzabili per l’avvio delle fasi di interpretazione. È in-fatti proprio a partire dall’abbandono della materialità e dalla ‘relativa’ og-

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2. - Ricerca, ricostruzione, ipotesi di interpretazione. Esempio della cenatio di Faragola.

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gettività dei documenti redatti sul campo che prende le mosse un processoteso alla ricostruzione storica, attraverso momenti di sintesi crescente, checondurrà al “racconto delle vicende umane” (Carandini 1991, 138). Ognitappa di questo flusso deduttivo produce interpretazioni e ricostruzioni: im-maginare l’articolazione degli spazi di un insediamento o l’utilizzo del ter-ritorio in una data epoca è infatti un’operazione creativa, costantementeispirata dalla documentazione disponibile, una lenta e laboriosa pratica di ri-composizione condotta a partire da tracce ed elementi parziali, resi eloquentidalla loro collocazione in una sequenza logica e temporale. Radicato nelmetodo di lavoro dell’archeologo, il processo deduttivo di interpretazione di-venta pratica scientifica solo se condotto all’interno di coordinate metodo-logiche precise e se supportato da tecniche di documentazione adeguate.

In questa luce l’imbarazzo dell’impossibilità di ricostruire bene, o inmodo attendibile, finisce con l’essere un problema più apparente che reale,se si considera l’ampio sostrato di interpretazione sotteso ad ogni ricostru-zione: ogni ipotesi è il frutto di una serie di scelte, e non è quasi mai possi-bile scartarle tutte per privilegiarne una (fig. 2).

Quale potrebbe essere il ruolo dell’informatica, ed in particolare dellacomputer graphic, in questo processo, costantemente in bilico fra analisi edimmaginazione? I risultati di un’indagine stratigrafica, frutto di un percorsodi astrazione crescente verso la sintesi e l’interpretazione che trasformatracce labili e apparentemente prive di significato in complesse ipotesi diricostruzione storica, sono destinati a rimanere “verità incerte” (Carandini2012, 25). La natura frammentaria, fragile ed evanescente del dato strati-grafico rende infatti straordinariamente complesso e delicato il processo diinterpretazione e ricostruzione che rappresenta il risultato più importante –e avvincente – del mestiere di archeologo. La possibilità di interpretare, e diconseguenza di rappresentare adeguatamente, un sito archeologico è quindistrettamente connessa con la metodologia applicata nelle diverse fasi di ri-cerca e con le tecniche di documentazione utilizzate per registrare i dati.

Che l’uso della computer graphic nei processi di interpretazione costi-tuisca uno strumento dalle enormi potenzialità risulta evidente se si consi-dera come gran parte del processo deduttivo-ricostruttivo riguarda una realtàtangibile, ma avviene in definitiva in uno spazio virtuale multidimensionalequale è l’immaginazione.

Soprattutto l’introduzione di tecniche di documentazione innovative po-trebbe apportare novità sostanziali, avviando il superamento di una praticaarcheografica bidimensionale e per forza di cose fortemente simbolica qualeè fondamentalmente quella vigente. Si tratta di portare ulteriormente avantiil processo di liberazione dagli artifici della rappresentazione, già iniziatocon l’avvento dei sistemi CAD ed affrancare le tecniche di documentazionedalla necessità di ragionare in ‘spazio carta’ (De Felice 2008, 14).

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3. - Piante di fase tridimensionali elaborate per la costruzione della TimeMachine.

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Solo se abilitate ad intervenire già nella fase di lavoro sul campo, nelmomento cioè in cui le fonti diventano archetipi, le tecnologie di visualiz-zazione tridimensionali possono giocare un ruolo realmente innovativo edeterminante nell’intero processo di ricerca stratigrafica, radicandosi pro-fondamente nel meccanismo di conoscenza in tutte le tappe del lungo per-corso di lavoro dell’archeologo, “dallo scavo all’edizione”. È in unoscenario del genere che le possibilità offerte da una gestione della docu-mentazione di scavo su base tridimensionale e realmente integrata nei pro-cessi archeografici possono portare il ruolo della virtual archaeology oltrel’orizzonte delle ricostruzioni monumentali. Ad esempio, generando elabo-razioni di quei pilastri del ragionamento deduttivo quali sono le piante distrato o le piante di fase che, proprio in quanto tridimensionali siano nonsolo più espressive e comunicative, ma anche più ‘vere’ (fig. 3).

In questa prospettiva le problematiche relative alla pratica del rilievo tri-dimensionale appaiono solo uno degli aspetti legati al più vasto problema didefinire ruolo e finalità della virtual archaeology superandone definitiva-mente la concezione riduttiva che ne fa un sinonimo di ricostruzione di mo-numenti e siti. In un’ottica più ampia, che coinvolga il più completo concettodi visualizzazione e virtualizzazione dell’intera realtà archeologica, anche imodelli ricostruttivi tridimensionali possono svolgere un ruolo fondamen-tale, proponendo ambienti di sperimentazione e di analisi spaziale fondati sunuovi paradigmi di percezione (Forte 2007, 23-31; Stanco, Tanasi 2009;Maschek, Schneyder, Tschannerl 2009).

Nello scenario attuale invece l’interesse verso le tecnologie di com-

puter graphic e la loro applicazione all’archeologia sembra guidato da unavisione obsoleta e riduttiva del principio di ricostruzione, assimilato spessoin modo apodittico al più banale concetto di anastilosi monumentale. A do-minare la scena è soprattutto la ricerca del realismo, che porta inevitabil-mente ad uno stallo fra le lacune di ogni ricostruzione e le potenzialitàrappresentative delle nuove tecnologie, queste ultime pronte a restituire ildettaglio più minimale nel modo più verosimile, anche quando giungere aduna ricomposizione realistica si riveli fin dall’inizio un’impresa utopistica,destinata a confezionare veri e propri falsi.

Sembra di ritrovare spesso, sottesa ai progetti di ricostruzione virtuale,un’idea anacronistica di archeologia, che tende a privilegiare l’aspetto mo-numentale, in contrasto con la realtà di quanti operano quotidianamente sulcampo, in cui non solo la maggior parte dei siti archeologici non restituiscetracce sufficienti a ricostruire in modo organico le sue diverse fasi di vita,ma raramente conserva resti significativi. Il ‘valore’ di un sito archeologiconon è espressione della grandiosità delle sue vestigia, ma va cercato piutto-sto nella possibilità di ricomporre i frammenti di storia nascosti in quelletracce che il metodo stratigrafico è capace di leggere (Manacorda 2007, 76-

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81; De Felice, Sibilano, Volpe, 2008a); sarebbe un errore imperdonabile se-lezionare l’interesse di un sito da analizzare – e ricostruire – solo in virtù del-l’imponenza dei suoi resti, ripristinando, questa volta su basi digitali, quellasorta di ‘ossessione’ di antica memoria verso singoli e predeterminati pe-riodi storici (Manacorda 2004, 112).

Prima che sul virtuosismo realistico, la qualità e attendibilità del modellosi fonda infatti sulle capacità interpretative degli archeologi, filtrate dalladocumentazione realizzata, portatrice dell’informazione necessaria per de-cifrare e ricostruire. Riportato in queste coordinate, il momento della rico-struzione si manifesta in tutto il suo valore di passaggio logico, verso livellidi astrazione crescenti, e, inevitabilmente, crescenti elementi di dubbio.

In definitiva, da un punto di vista prettamente archeologico, la possibi-lità di immaginare un modello ricostruttivo di un sito archeologico, e di rea-lizzarlo in computer graphic, va ricercata nella metodologia impiegatadurante le procedure di indagine, e quindi anche nei dati registrati dalla do-cumentazione. E se nella pratica dello scavo archeologico l’uso di strumentie soluzioni innovative è destinato a modificare il modo di redigere la docu-mentazione, più complessa e tortuosa appare invece la strada verso la loroapplicazione alle fasi di interpretazione e ricostruzione, in cui le tecniche dirilievo e la modellazione tridimensionale non esprimono ancora pienamentela loro aspirazione a divenire la risposta alla ‘sfida’ perenne della ricostru-zione in archeologia.

Raccontare l’incertezza

Le considerazioni espresse finora ci conducono verso il punto centraledel nostro ragionamento, ovvero il problema della fruizione nel settore del-l’archeologia stratigrafica: come conservare intatta e rendere comprensibileall’esterno del mondo scientifico la quantità di informazioni e dati che co-stituisce la ricchezza e la peculiarità del complesso di conoscenze insito inogni processo di indagine stratigrafica?

Diffondere i risultati delle proprie ricerche è più che una possibilità, un do-vere civico dell’archeologo nei confronti della società (Carandini 2000, 149;Vannini 2011) ma anche una delle sfide più complesse e delle ragioni piùprofonde del fare archeologia (Manacorda 2007, 100-105). Lungi dall’essereuna disciplina neutra, l’archeologia ha sempre sviluppato un enorme poten-ziale nella possibilità di costruzione dei rapporti tra una società e il suo pas-sato, conoscendo momenti di altissima divulgazione e anche tragici episodidi manipolazione. Un potenziale che è rimasto a lungo inespresso, a vantag-gio dell’atteggiamento erudito, non ancora totalmente estinto, che per de-

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cenni ha portato a considerare le scoperte archeologiche, ed il bagaglio co-noscitivo ad esse connesso, appannaggio esclusivo degli addetti ai lavori.

Ancora troppo spesso si opera secondo una distinzione del tutto anacro-nistica fra comunicazione scientifica e divulgativa, che paradossalmente fi-nisce per consegnare gli strumenti più innovativi e potenti in mano a‘cacciatori di tesori’ (Carver 2011, 163) e professionisti della comunica-zione, incapaci di garantire anche l’attendibilità dei contenuti (D’Agata2009, 21-22). Si spiega così ad esempio il proliferare in rete, nelle edicolee nelle librerie, di prodotti multimediali fortemente appetibili e tecnicamenteineccepibili, che finiscono con l’alimentare in maniera latente un’idea ‘ro-mantica’ di archeologia e con l’avallare la separazione fra divulgazione e ri-cerca.

Negli ultimi decenni in Italia è cambiato radicalmente il rapporto tra icittadini e l’archeologia: oggi appare scontato che ogni intervento sul patri-monio storico-archeologico sia oggetto di interesse per l’opinione pubblicae venga di conseguenza trattato come un evento da diffondere attraverso ap-propriati modelli e canali di comunicazione. L’atteggiamento del mondodella ricerca rimane su questo versante passivo e colpevole di scarsa atten-zione, quasi che si sia persa la coscienza delle potenzialità culturali, civili,formative dell’archeologia nei confronti della società. Imparare a esprimersiin maniera moderna ed evoluta, senza separare conoscenza e comunicazione(Forte 2007, 23), o dati e interpretazione, può e deve essere invece unanuova frontiera anche per il mondo della ricerca, depositario di saperi chesoli, permettono di trasmettere accanto ai risultati anche il processo funzio-nale ad acquisirli.

Ogni sito archeologico è un oggetto complesso, visitabile in una plura-lità di momenti, ma anche in diversi modi, che possono rappresentare i pre-supposti di molteplici e significativi percorsi di fruizione. Raramente infattiun sito archeologico è ascrivibile ad una sola fase di vita, e ancora più rara-mente il suo stato di conservazione rappresenta uno stadio indicativo dellasua evoluzione. Ogni sito ha vissuto lunghe fasi di vita, accumulando e so-vrapponendo tanti capitoli di una storia, la cui ricostruzione merita di es-sere raccontata pagina per pagina. Le tecnologie di visualizzazione possonosvolgere un ruolo importantissimo nel descriverla, rendendo viva una di-mensione immaginaria che non è possibile cogliere nella realtà. Esse pos-sono essere impiegate non solo per mirare a ricostruzioni più realistiche (manon per questo più ‘vere’), ma piuttosto per una comunicazione coinvol-gente e densa del rapporto fra tracce oggettive e interpretazione soggettivae per la restituzione della sovrapposizione di una molteplicità di fasi in unamedesima unità di luogo.

Ogni sito archeologico è quindi un luogo multidimensionale, caratteriz-

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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale

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zato da una pluralità di evidenze, che può essere decifrato a partire da di-verse chiavi di lettura:

– la documentazione: sempre alla base dei lavori di analisi e di inter-pretazione di ogni fase di vita, a sua volta costituisce una dimen-sione, che, per quanto astratta, rappresenta il punto più vicino aduna realtà materiale non più integralmente esistente;

– la dimensione diacronica, costituita dalla successione di fasi di vitasovrapposte nello stesso luogo, ognuna ricostruita sulla base del-l’interpretazione di tracce parziali;

– le diverse ipotesi formulate, dato che spesso il lavoro di interpreta-zione porta all’elaborazione di vari modelli, senza che sia possibileprivilegiarne alcuno, o validarlo come ‘vero’;

– infine, solo in ultima istanza, i resti che rimangono visibili sul sito.

Ciascuna di queste dimensioni è parte di un multiforme sistema cono-scitivo a cui le moderne tecnologie di visualizzazione possono fornire stru-menti estremamente persuasivi, e la cui complessità reclama una fruizionevirtuale, che consenta di utilizzare livelli di astrazione adeguati alla rappre-sentazione di una materialità diacronica, ipotetica e frammentaria. L’inda-gine stratigrafica implica infatti una continua valutazione di quanto indagare,quanto conservare e quanto occultare o, al peggio, distruggere, e l’obbligoconseguente di attuare una organica strategia di intervento, conservazione evalorizzazione, che tuttavia non potrà che essere selettiva.

Non si tratta di sfruttare i modelli virtuali per poter uscire agevolmentedall’imbarazzo di selezionare cosa preservare, confortati dalla consapevo-lezza che nello spazio virtuale si può conservare tutto e cancellare tutto, mapiuttosto di sfruttare pienamente le tecnologie di visualizzazione per rac-contare con estrema efficacia quella straordinaria complessità che caratte-rizza un sito a continuità di vita, che nessuna strategia di valorizzazione‘fisica’ sarà mai in grado di offrire. Esse permettono infatti di conoscere intempo reale ciascuna delle fasi di vita che hanno interessato un sito, senzaoperare alcuna selezione a priori, ma esaltando nella sua profondità il con-

tinuum temporale che costituisce la quarta dimensione di ogni ricostruzionearcheologica; allo stesso tempo consentono di navigare liberamente in unadimensione astratta e surreale quale è quella della documentazione. Ren-dere chiara, fruibile e affascinante una dimensione come la stratigrafia èquindi una sfida ambiziosa (Manacorda 2007, 102) che richiede un approc-cio ampio, in grado di andare oltre la banale sovrapposizione fra layer vir-tuale ricostruttivo e stato di conservazione, poco efficace non solo perchéselettivo, ma perché rischia di avallare una visione piatta e semplicistica delprocesso analisi/interpretazione.

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Le possibilità offerte dalle tecnologie di computer graphic sono pratica-mente infinite e invitano a immaginare nuovi modelli di fruizione e nuovilinguaggi di narrazione, che possano raccontare l’intera serie di informa-zioni che un sito porta con sé, e che solo in minima parte sono leggibili au-topticamente. Esse reclamano in altre parole la necessità di elaborare unastrategia per la comunicazione, che comprenda la scelta dei temi e dei lin-guaggi più opportuni (Paolini, Di Blas 2009), e che le includa sin dalla fasedi progettazione delle attività di conservazione e valorizzazione. Trascurarele possibilità offerte dai nuovi strumenti e dalle nuove tecnologie, impedirecioè il dialogo fra questi e il sostrato metodologico, rischia di implicare il de-finitivo abbandono delle istanze più profonde della ricerca archeologica.Ben vengano dunque strumenti che possono aumentare le possibilità di com-prendere e di comunicare dati e immaginazione, se è vero che “l’osserva-zione archeologica non può fare a meno di pensare anche a ciò che è statoe non è rimasto, come l’impeto dei cavalli a Waterloo e il lampo della bombache distrusse Hiroshima o gli sguardi stupiti dei nativi d’America verso lecaravelle di Colombo” (Manacorda 2004, 7).

In conclusione, nei modelli ricostruttivi, in cui l’uso delle tecnologie divisualizzazione tridimensionali è ormai una realtà consolidata, ancora tropporaramente si stabilisce un collegamento con le fasi di acquisizione dei datiche costituiscono il fondamento della ricostruzione. Spesso i modelli risul-tano slegati dal processo di ricerca e documentazione che li ha generati,quasi che seguano una logica obsoleta finalizzata allo studio del singolo ma-nufatto piuttosto che di interi contesti e di complessi processi di trasforma-zione. In questo scenario negli ultimi anni alcune soluzioni tecnologiche ealcuni importanti progetti si sono imposti per la loro capacità di trasportareil grande pubblico in quella dimensione virtuale che è il passato, e non sonomancati esempi di forte impatto e grande valenza comunicativa.

La strada su cui proseguire passa obbligatoriamente attraverso il defini-tivo affrancamento dalla ambigua prospettiva di ‘classicità’ dell’antico (Set-tis 2004) e il superamento della semplicistica identificazione fra archeologiae monumento, retaggio di una logica antiquaria che si immaginerebbe tra-montata da secoli. Una disciplina che lavora su frammenti non può non darsicome obiettivo prioritario quello di comprendere, ricostruire, rendere vivoe leggibile il passato. È in questo spazio fra tracce e immaginazione, fra “ri-produzione del mondo e creazione di mondi possibili” (Moscati 2009, 191)che opera l’archeologo, e dove le metodologie trovano il loro vero e pro-fondo significato.

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1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale

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Long ago I had a vague inkling of a machine (...) that shall travel indifferently in any direction of Space and Time,

as the driver determines.

(H.G. Wells, The Time Machine, 1895, c. 1)

Il metodo

La TimeMachine è il prototipo virtuale di un’esperienza archeologica,progettato con lo scopo di rendere fruibile e coinvolgente il sistema di co-noscenza complesso, sotteso ad un processo di indagine archeologica stra-tigrafica.

Le caratteristiche di questo sistema di conoscenza sono molteplici:

– Complessità. Componenti di natura diversa concorrono alla descri-zione di un sistema unitario; diversi tipi di oggetti (stratigrafie di ac-cumulo, negative e murarie, reperti, ecc.) richiedono metodi e tecnichedi elaborazione differenti, che da un lato rispettino il valore scientificoe dall’altro ne permettano la fruibilità.

– Lacunosità. Una forte cesura separa le tracce residue degli oggetti dalloro aspetto e dalla loro funzione originari. Nessun elemento del si-stema di conoscenza è utilizzabile attraverso un semplice rilievo delsuo stato di conservazione, ma richiede una elaborazione ricostruttivamediata fra attendibilità e istanze di comunicazione che ne restituiscaun’immagine comprensibile.

– Astrazione. La lacunosità della base di conoscenza implica l’impossi-bilità di giungere a risultati certi e di proporli per la fruizione. Gli esitidi interpretazione e ricostruzione sono sempre contraddistinti da unacomponente ipotetica che costituisce parte integrante ed ineliminabiledel sistema stesso.

– Diacronia. La sovrapposizione topografica non è di per sé sinonimo diidentità di forma e funzione; la dimensione temporale costituisce unacoordinata imprescindibile e fortemente caratterizzante del sistema diconoscenza, e richiede l’elaborazione di una strategia di comunica-zione in grado di esprimerla in modo adeguato.

– Metodologia. La quantità e la qualità degli elementi che compongonoil sistema di conoscenza è espressione diretta delle metodologie e delletecniche impiegate durante le fasi di analisi ed elaborazione, che co-stituiscono un elemento del sistema stesso. In particolare è il confrontofra fonti e interpretazione a costruire i nessi che collegano le tracce in-dividuate con la ricostruzione delle fasi di vita di un insediamento e arendere il sistema in grado di produrre nuova conoscenza.

La progettazione del prototipo ha inteso espressamente sperimentare lapossibilità di un processo, fondato sul rapporto dialettico fra ricerca e crea-tività, innovativo non solo nelle tecnologie utilizzate ma anche nei contenutidi fruizione erogati.

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2. La TimeMachine

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Le principali sfide che ci si è trovati ad affrontare sono state da un latola definizione di una regia e di uno stile in grado di valorizzare le caratteri-stiche del sistema di conoscenza e dall’altro la determinazione di un rap-porto costantemente vivo e visibile fra fruizione e ricerca, nel tentativo dirispondere alla necessità di raccontare, trasmettere e rendere affascinanti icaratteri che ogni sito archeologico possiede.

Il punto di avvio nella realizzazione del prototipo è stata l’analisi dellaconoscenza formale di dominio e delle tante competenze insite nella ricercaarcheologica, finalizzata a delineare un percorso di creazione di contenuti ra-dicati in questo straordinario patrimonio. Tale percorso si è mosso dall’os-servazione delle metodologie di ricerca sul campo, e soprattutto dall’analisidelle fonti formali – la documentazione stratigrafica – finalizzate a speri-mentare la loro utilizzabilità ai fini della creazione di un prodotto di comu-nicazione digitale.

Ne è risultato un set di fonti elaborate (la documentazione grafica tridi-mensionale) sviluppato a partire da strumenti e soluzioni che garantisserouna integrazione fluida e continua dei dati raccolti e analizzati nelle proce-dure di ricerca scientifica all’interno del prodotto di comunicazione; è statopertanto prioritario assicurarsi che la fonte elaborata da un lato conservassesignificatività e fosse pienamente rappresentativa del suo modello formale,e dall’altro risultasse ottimizzata per una sua implementazione in un pro-cesso di produzione. Il sistema di digitalizzazione della documentazionepermette infatti la conservazione di un significativo rapporto con il suo ar-chetipo formale e la piena compatibilità con le soluzioni tecnologiche scelteper trasformarle in un prodotto di comunicazione efficace.

L’ultima tappa del processo è stata la scelta di un linguaggio narrativoadeguato a supportare un insieme articolato della documentazione e a ren-dere visibili le “infinite prospettive” (Forte 1996) generate da un modello tri-dimensionale, valorizzando un dominio di conoscenza ben più complesso diquanto il dualismo stato di conservazione/anastilosi sia in grado di rappre-sentare.

Nel percorso che conduce l’archeologo dalla ricerca alla ricostruzione diun sito pluristratificato, esiste infatti una componente fortemente virtuale,connessa alla natura multidimensionale della realtà stratigrafica, che emergein ogni momento della ricerca, dalle fasi di indagine sul campo a quelle dianalisi e di documentazione, in particolare quando il procedere delle opera-zioni di scavo genera momenti paradossali, in cui coesistono tracce di statidiversi, non necessariamente ‘vissuti’ insieme. Nei momenti dell’interpre-tazione, della sintesi e della narrazione, l’archeologo spazia fra documenta-zione e segni residui, inseguendo una ricostruzione delle fasi di vita che nonpotranno mai essere percepite integralmente nella realtà.

Il prototipo di TimeMachine intende rispondere alla doppia sfida di ren-

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dere evidenti e fruibili in modo pieno e denso le molteplici componenti chepopolano questa dimensione virtuale: tracce archeologiche, documenta-zione, ipotesi interpretative, modelli ricostruttivi, nonché i nessi stringentiche sussistono fra di essi.

Alla sfida della piena fruibilità si è inteso rispondere utilizzando la tec-nologia del realtime, la cui potenzialità in campo archeologico, ampiamenteacquisita grazie a importanti progetti attuati nel recente passato, risiede nellacapacità di realizzare spazi di simulazione in cui coesistano tridimensiona-lità, immersività e interattività (Forte 2007, 4). La tecnologia di navigazionein realtime è stata scelta nell’intento di stimolare la curiosità del fruitore,predisponendolo cioè ad affrontare una situazione nuova e non prevedibile,corrispondente alla comprensione dei contenuti da erogare: messo nelle con-dizioni di interagire con l’oggetto, egli potrà intraprendere un percorso di co-noscenza interattivo e trasformare la visita in esperienza. Coinvolto in primapersona, il viaggiatore dello spazio e del tempo mantiene in ogni momentola completa libertà di movimento e può costruire il proprio percorso di vi-sita in maniera del tutto autonoma.

Per dare evidenza al rapporto documentazione-ipotesi ricostruttiva si èvoluto dotare il prototipo di una doppia modalità di visita: la prima, rico-

struttiva, in cui il viaggiatore potesse interagire direttamente con le rico-struzioni del sito nelle sue diverse fasi, ed una seconda, documentaria, incui potesse, con altrettanta libertà, muoversi in una dimensione virtuale ditipo diverso, che donasse piena visibilità alle evidenze stratigrafiche. Alledue modalità di visita corrispondono due diversi quadri: le scene rico-

struttive, con i modelli tridimensionali relativi alle anastilosi, e le scene

stratigrafiche, in cui i modelli tridimensionali sono ricavati dalla digita-lizzazione delle piante di fase, strumento basilare per l’elaborazione delleipotesi.

Grazie alla doppia modalità di visita e all’uso del realtime, l’esperienzadi navigazione si configura come un viaggio multidimensionale, in cui, allalibertà di movimento nel tempo attraverso diversi momenti di vita del sito(come lo immaginano gli archeologi?), si unisce la possibilità di toccare davicino i dati alla base del processo dell’immaginazione ricostruttiva (qualisono le tracce residue?), portati al centro del rapporto simbiotico tra strati-grafia e interpretazione.

La costruzione del prototipo

Il caso di studio è costituito da un settore del sito di Faragola (pressoAscoli Satriano, FG), oggetto a partire dal 2003 di ricerche archeologiche si-stematiche, che hanno portato alla scoperta di uno dei più particolari inse-diamenti rurali dell’Italia meridionale, vero e proprio paradigma della storia

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2. La TimeMachine

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delle campagne della Puglia centrosettentrionale per un arco cronologicoche supera i mille anni di vita (cfr. infra, p. 51, nota 3). L’inaugurazione nel2009 del Parco archeologico ha permesso di rendere il sito fruibile e di in-stallare il prototipo, ora a disposizione dei visitatori.

Nella realizzazione della TimeMachine è stato coinvolto un gruppo dicirca 15 persone, organizzate in cinque diversi team, dedicati allo svolgi-mento di specifici task:

– redazione dei contenuti;– documentazione digitale;– realizzazione dei modelli in computer graphic;– costruzione della piattaforma di realtime;– creazione del concept e gestione del progetto.

L’organizzazione in team di lavoro ha facilitato la gestione della com-plessità globale del progetto attraverso un workflow che ha valorizzato ilconfronto fra esperti di diversi settori, dotati di specifiche competenze (fig.4). Caratteristica decisiva del lavoro è il profondo legame fra gli svilup-patori del prototipo (molti dei quali partecipavano in prima persona alleattività sul campo) e gli archeologi impegnati nelle indagini a Faragola,che, a cominciare dalle fasi di progettazione, ha dato vita ad un continuoconfronto fra contenuti e struttura. L’équipe di scavo ha infatti rappresen-tato per tutta la durata delle operazioni di produzione un riferimento co-stante per l’elaborazione dei contenuti del prototipo: la ricostruzione dellasequenza stratigrafica e la periodizzazione dell’insediamento è alla basedell’elaborazione delle scene ricostruttive; l’interpretazione delle strutturemurarie, dei piani pavimentali, delle componenti degli interri e delle traccedi frequentazione delle fasi più tarde sono esempi dei risultati che i teamdi sviluppo hanno potuto utilizzare per l’implementazione del prototipo(fig. 5).

Il team contenuti (responsabili Anna Introna e Alessandra Moro, con ilcontributo di Giovanna Baldasarre, Giovanni De Venuto, Giusy Sibilano,Maria Turchiano, Giuliano Volpe) ha raccolto la base documentaria perl’elaborazione delle piante di fase tridimensionali utilizzate nelle scenestratigrafiche ed ha elaborato, a partire dalla documentazione scientifica edalle pubblicazioni, i contenuti testuali divulgativi implementati nella Ti-

meMachine.Il team documentazione digitale (responsabile Andrea Fratta, con la

collaborazione di Raffaele Fanelli, Mario Lo Muzio, Nancy Mangialardi,Giusy Sibilano e Feliciano Stoico) è stato impegnato nel lavoro di restitu-zione tridimensionale della documentazione grafica e nell’implementazionedi un ambiente di gestione utilizzabile come base dati nei successivi step dimodellazione (fig. 6). Il risultato prodotto dal team è stato quindi un repo-

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4. - I team di lavoro e il workflow di produzione.

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sitory di tutte le unità stratigrafiche raccolte nelle fasi destinate ad essereinserite nel prototipo.

L’attività di digitalizzazione ha stimolato una riflessione sulla possibi-lità di semplificare la tecnica di esecuzione delle piante di strato in vistadella restituzione (cfr. infra, Materiali 1).

Sono state elaborate delle linee guida per la realizzazione di documen-tazione archeologica 3D compliant, il cui obiettivo è quello di estendere lapossibilità di documentare in tre dimensioni anche continuando il lavoro‘tradizionale’, nel caso in cui non siano disponibili sul cantiere strumenta-zioni adatte a realizzare rilievi tridimensionali.

Al team modellazione (responsabile Fabio Gagliardi, con la collabora-zione di Donato Vero e Antonello Fino) è stata affidata l’elaborazione deimodelli tridimensionali da inserire nel prototipo (fig. 7). I suoi compiti sonostati molteplici:

– il disegno delle ipotesi di ricostruzione degli elevati, che è stato allabase della realizzazione dei modelli delle scene ricostruttive e si è gio-vato a questo fine della presenza nel team di esperti di architettura clas-sica;

– la scelta delle procedure più idonee per trasformare le superfici gene-

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5. - Attività di scavo e documentazione (campagna 2004).

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2. La TimeMachine

6. - Il lavoro del team documentazione.

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rate dalla documentazione tridimensionale in oggetti geometricamentevalidi, utilizzabili nei processi di modellazione;

– la realizzazione dei character e dell’avatar;– lo studio e l’implementazione delle modalità stilistiche delle scene e

degli aspetti grafici del prototipo, quali la scelta delle texture, delleluci, nonché le soluzioni tecniche per la produzione delle scene deri-vanti dalla opzione del realtime.

Il team realtime (responsabile Lorenzo Baldassarro, con la collabora-zione di Fabio Gagliardi, Andrea Fratta e Donato Vero) ha curato le diverseoperazioni necessarie all’assemblaggio del prototipo:

– ha definito l’architettura dell’applicazione, le relazioni fra le scene e icomportamenti degli oggetti e dei personaggi presenti in esse (fig. 8);

– ha implementato gli elaborati realizzati dal team modellazione (mo-delli, character e texture);

– ha elaborato i meccanismi di interazione fra viaggiatore e scene, e l’in-terfaccia di navigazione.

Le attività di assemblaggio hanno comportato una lunga elaborazione di

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7. - Il lavoro del team modellazione.

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un grande numero di oggetti realizzati dal team modellazione e dagli altri

team di progetto (cfr. infra, Materiali 2).

Un team di progetto (fig. 9, responsabile Giuliano De Felice, con la col-

laborazione di tutti i componenti degli altri team) ha elaborato il concept

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8. - Il lavoro del team realtime.

9. - Brainstorming.

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1 La realizzazione di un set didocumentazione grafica digitale3D è stata l’obiettivo di nume-rose ricerche portate a terminepresso il Laboratorio di Archeo-logia Digitale negli ultimi anni.Oltre alla descrizione dettagliatadel processo utilizzato per la Ti-meMachine, si rimanda ad al-cuni contributi: De Felice, Sibi-lano, Volpe 2008c; De Felice etalii 2008a. A partire dalle buonepratiche attuate per questo pro-getto è stato realizzato recente-mente un lavoro di più ampiorespiro dedicato integralmentealla redazione di documenta-zione digitale su un cantiere discavo archeologico. Cfr. Sibi-lano 2008 e 2009.

generale del prototipo negli aspetti creativi (stile grafico, ambientazione)e curato nel corso della produzione gli aspetti gestionali (produzione erelazioni fra i team). A cura dello stesso team sono stati prodotti i suonie i rumori che caratterizzano le scene, a partire da librerie presenti in reteliberamente utilizzabili. Anche le musiche di sottofondo che accompa-gnano l’esperienza di visita sono state realizzate appositamente per il pro-totipo.

Il rilievo e la documentazione tridimensionale

La realizzazione del prototipo è iniziata quando le attività di scavo e va-lorizzazione del sito di Faragola erano ormai in corso già da quattro anni, esi avvalevano di un profilo di documentazione caratterizzato dal predomi-nio delle tecniche tradizionali (documentazione schedografica, documenta-zione grafica su base CAD, documentazione fotografica digitale). Lamaggior parte delle fonti era conservata in formato cartaceo e digitale, nondirettamente utilizzabile per la produzione di un prototipo di realtà virtuale.Si è reso pertanto necessario mettere a punto opportuni processi per la digi-talizzazione delle fonti di archivio, finalizzati alla trasformazione dei docu-menti in formati direttamente utilizzabili nel prototipo.

Le procedure di digitalizzazione hanno interessato in maniera partico-lare la documentazione grafica, ma, contestualmente alla definizione dellaTimeMachine, sono state avviate, all’interno del progetto di ricerche a Fa-ragola, una serie di attività finalizzate alla trasposizione su base digitale del-l’intero processo di documentazione (fig. 10). Ad oggi è stato digitalizzatol’archivio delle schede, fruibile attraverso un database fondato su piatta-forma open source, che contiene anche i collegamenti ai dati fotografici(IReMaS: cfr. De Felice et alii 2010).

L’apparato grafico ha richiesto invece la realizzazione di un intero set didocumentazione digitale, sia attraverso la conversione in formato digitaledegli archivi delle campagne di scavo concluse, sia con la creazione ex novo

di percorsi digitali 1 (per un’analisi dettagliata cfr. infra, Materiali 1). Sulla scorta della considerazione che documentare in tre dimensioni im-

plichi un significativo potenziamento conoscitivo del metodo stratigrafico,sono stati infatti definiti e sperimentati alcuni percorsi capaci di preservarela tridimensionalità della realtà indagata durante uno scavo e di suggerirepossibili risultati di una impostazione nuova. La consapevolezza dell’in-compatibilità rappresentativa tra contenuto multidimensionale e contenitorebidimensionale, è stata infatti all’origine di una sperimentazione rivolta al-l’uso di nuove tecnologie di rilievo sul campo, e all’elaborazione di un mo-dello suscettibile di tradursi in più immediati set di documentazione graficatridimensionale (cfr. infra, Materiali 1).

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L’attività è stata condotta a tal fine sul duplice fronte della creazione didocumentazione grafica tridimensionale e della digitalizzazione di quella diarchivio.

Il primo ambito di sperimentazione è stato dedicato al rilievo delle strut-ture murarie e pavimentali esistenti sul sito, in cui è stato testato l’utilizzodel laser scanner per la realizzazione di percorsi di documentazione digital

born (fig. 11).Poiché le operazioni di costruzione del prototipo sono state condotte ‘a

scavo fermo’ e, come si è già accennato, la maggior parte della documenta-zione, sia cartacea che digitale, era in formato esclusivamente bidimensio-nale (fig. 12), si è profilata sin dalle prime fasi del lavoro l’urgenza di

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2. La TimeMachine

10. - Una schermata di IreMaS.

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11. - Fasi del rilievo tramite laser scanner.

12. - Documentazione CAD 2D.

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elaborare processi di restituzione tridimensionale della documentazionepreesistente.

È stato pertanto necessario impostare in tre dimensioni l’intera sequenzastratigrafica emersa in corso di scavo, direttamente sotto forma di docu-mentazione digitale 3D e indipendentemente dalle tecnologie utilizzate infase di rilievo, puntando a realizzare un ambiente tridimensionale unitario,in cui raccogliere i dati per la successiva elaborazione dei modelli da im-plementare nella TimeMachine (fig. 13).

Un ambiente unitario si è rivelato uno strumento molto efficace per lagestione e il controllo della documentazione grafica.

I principali vantaggi di un modello tridimensionale della stratigrafia, ca-pace di documentare in tre dimensioni e di implementare uno scenario or-ganico di gestione, coinvolgono profondamente la metodologia di docu-mentazione, aprendo sviluppi interessanti da molteplici punti di vista. Ilmodello così realizzato:

– si integra perfettamente con le procedure di documentazione, garan-

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2. La TimeMachine

13. - Una vista del modello composto da oggetti provenienti da fonti diverse: piante di strato restituite e rilievo3D delle stratigrafie in situ.

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tendo il pieno sfruttamento delle informazioni contenute negli elabo-

rati grafici;

– non implica la trasformazione delle procedure di documentazione sul

campo, la cui validità come momento di analisi tecnica della strati-

grafia risulta ulteriormente consolidata;

– permette di effettuare operazioni di virtual surveying non limitate

esclusivamente alle strutture documentate in situ, rendendo ad esem-

pio l’esecuzione delle sezioni stratigrafiche non solo un’operazione

semplice e immediata, ma soprattutto una pratica analitica realizzata a

partire dal rilievo, che affranca gli archeologi dai limiti del ragionare

in ‘spazio carta’;

– facilita il controllo degli errori incorsi in fase di rilievo delle piante di

strato sul campo (posizionamento e quotatura), rivelando veri e propri

nonsense stratigrafici grazie alla collocazione univoca nello spazio tri-

dimensionale delle piante di strato (fig. 14);

– permette comunque la produzione di elaborati grafici bidimensionali,

quali piante, sezioni e prospetti (fig. 15);

– consente di far convivere oggetti realizzati a partire da diverse fonti, in-

dipendentemente dalla tecnologia con la quale sono stati prodotti.

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Una macchina del tempo per l’archeologia

14. - Visualizzazione di errori.

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La funzione principale per cui è stato progettato tale ambiente di gestioneè la creazione di piante di fase tridimensionali da utilizzare come base deimodelli delle scene implementate nel prototipo di TimeMachine (figg. 16 e17).

Esse hanno infatti fornito la base documentaria sulla quale impiantaresia le scene ricostruttive che le scene stratigrafiche. In particolare queste ul-time sono direttamente collegate ai dati presenti nel repository creato.

Fra le ‘sfide’ della TimeMachine, lo ricordiamo, c’era quella di imple-mentare nel prototipo, e rendere quindi visitabili in realtime, alcune dimen-sioni virtuali specifiche della realtà stratigrafica, di cui le piante di fase,proiezione astratta di oggetti compositi, costituiscono un esempio fortementecaratterizzante.

Nel processo di conoscenza stratigrafica infatti, esse costituiscono ilprimo distacco dalla ‘oggettività’ della documentazione, verso successivilivelli di sintesi e di crescente astrazione. La straordinaria importanza e lepotenzialità di questi essenziali strumenti di analisi risultano tuttavia for-temente compromesse e mortificate dalla bidimensionalità, che costringea comprimere il ragionamento ricostruttivo in una restituzione forzata-

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2. La TimeMachine

15. - Generazione automatica delle sezioni.

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mente semplificata. La resa tridimensionale non è solo un miglioramentodella leggibilità di questo strumento visuale, ma un rafforzamento del ruolodelle piante di fase nel processo interpretativo. Grazie alla possibilità difar sopravvivere i dati spaziali nella loro interezza e la loro piena utilizza-bilità nel percorso deduttivo e ricostruttivo, un modello tridimensionaledella stratigrafia rappresenta infatti un importante e innovativo elementodi visualizzazione scientifica nel dominio dell’archeologia stratigrafica,perché rende immediatamente e facilmente percepibili i dati e i rapportifra essi.

L’interesse a rendere visibile in un prototipo di realtà virtuale di un sitopluristratificato questo layer astratto nasce proprio dall’idea-guida della Ti-

meMachine: sfruttare appieno le potenzialità comunicative della 3D com-

puter graphic e del realtime, utilizzandole per rendere fruibili le infinitedimensioni possibili proposte da un sito archeologico. Non solo le rico-struzioni, ma anche i documenti, in modo tale che possano parlare diretta-mente al pubblico, trascinandoli in una realtà che non è improprio definireaumentata: se non lo è da un punto di vista tecnico, sicuramente lo è da

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Una macchina del tempo per l’archeologia

16. - Piante di fase tridimensionali. Pianta della fase di ristrutturazione della cenatio; stratigrafia dei pavimentimarmorei e dei lembi di battuto.

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quello archeologico, in quanto non fruibile nella realtà ‘vera’ (Barceló2000; Id. 2001: 240-241; Barceló et alii 2003).

Il mondo virtuale

La sequenza insediativa del sito di Faragola è complessa, articolata, edifficilmente comprimibile. Una delle prime operazioni intraprese è stata laselezione delle fasi su cui iniziare lo sviluppo delle scene da implementare(fig. 18). Dal momento che si è deciso di realizzare il prototipo utilizzandocome input la documentazione scientifico-archeologica prodotta durante si-stematiche indagini sul campo, il problema maggiore è stato quello di defi-nire un punto di partenza consolidato e condiviso, che tenesse conto dimolteplici fattori.

In primo luogo è stato considerato lo stato delle ricerche, escludendoquelle fasi che, pur individuate nei tratti essenziali, apparivano indagate inmodo ancora parziale al momento della modellazione delle scene. Essendole campagne di indagini sul campo in pieno svolgimento, si è deciso di li-

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2. La TimeMachine

17. - Piante di fase tridimensionali. Pianta della fase di abbandono; stratigrafia dei crolli nella cenatio.

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18. -

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2 I primi risultati utili per de-lineare con buona certezza lefasi precedenti all’installazionedella grande villa tardoantica(abitato di età daunia e fattoriadi età romana) e quelle succes-sive all’abbandono sono staticonseguiti quando il prototipoera già in avanzato stadio di ela-borazione e non è stato possibilepertanto prenderli in considera-zione.

3 Su Faragola la bibliografiaè molto ampia e articolata. Sivedano i contenuti raccolti inVolpe, Turchiano 2010.

mitare lo sviluppo ai risultati delle prime quattro (2003-2007), durante lequali erano stati recuperati dati più che sufficienti a delineare in modo pre-ciso i caratteri dell’insediamento di età tardoantica ed altomedievale 2. Comespesso avviene nei progetti di indagine archeologica, il proseguimento dellericerche, oltre a mettere in evidenza le tracce di una periodizzazione piùlunga e dettagliata, ha ovviamente portato a nuove scoperte e di conseguenzaad interpretazioni delle fasi già individuate, in alcuni casi in contrasto conquelle utilizzate per la TimeMachine, la cui validità globale rimane tuttaviainvariata 3.

Si sono dovuti considerare anche aspetti di fattibilità tecnica, selezio-nando le fasi per le quali l’andamento delle ricerche permetteva di delineareipotesi ricostruttive ragionate e per le quali era disponibile una quantità diinformazioni e dati sufficienti a immaginare un percorso di visita virtuale.La selezione ha dovuto inoltre confrontarsi con le esigenze didattiche e co-municative: sono state valutate le potenzialità di ciascuna fase di rappre-sentare momenti significativi nella storia del sito, di permettere diconseguenza lo sviluppo di scene che fossero adeguate a descrivere una se-quenza temporale lunga e articolata e di mostrare le trasformazioni dell’in-sediamento nel corso di un arco cronologico esteso.

Il processo di selezione ha portato all’individuazione di quattro fasi,che costituiscono momenti-chiave, rappresentativi dei principali stadiidi vita del complesso nel periodo tardoantico e altomedievale. Per cia-scuno di questi momenti sono state predisposte una scena ricostruttiva eduna stratigrafica, per un totale di otto scene (fig. 19). Esse non esauri-scono certo la totalità della sequenza insediativa del sito di Faragola, masono relative esclusivamente ad alcuni fra i momenti più tardi, ovvero

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2. La TimeMachine

19. - Le scene della TimeMachine.

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all’impianto e alle trasformazioni della grande villa tardoantica ascrivi-bili ad un arco cronologico che va dalla prima metà del IV fino al VII se-colo d.C.

Le scene ricostruttive

Molti sono gli elementi di incertezza che gravano sulle ricostruzioni dellediverse fasi della villa di Faragola, a cominciare dai dubbi sulla reale con-sistenza delle coperture originarie degli ambienti fino all’interpretazionedelle numerose tracce in negativo evidenti nei battuti e nei livelli di fre-quentazione.

La prima scena ricostruttiva ci trasporta nell’anno 400 d.C., nella primafase tardoantica, in cui fu realizzato il primo impianto della villa (fig. 20).A questo momento risale la costruzione della parte residenziale, con lagrande cenatio ed una serie di ambienti ad essa annessi, fra cui il porticoche la cingeva su tre lati. Le indagini archeologiche hanno permesso di ipo-tizzare la planimetria del vano e hanno raccolto dati sufficienti per procederead una restituzione grafica estensiva del pavimento musivo (cfr. infra, p.

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20. - Vista dall’alto del modello ricostruttivo della villa.

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71), grazie alla scoperta di alcune sue parti al di sotto del successivo pavi-mento marmoreo.

La quantità di dati disponibile sull’impianto originario della villa ha per-messo di estendere la ricostruzione anche al complesso termale (fig. 21),collegato all’area della cenatio tramite un lungo corridoio pavimentato inmattoni.

L’area della cenatio e il complesso termale costituiscono i poli meglioconosciuti della villa. I dati relativi agli altri ambienti si limitano a sug-gerire la presenza di semplici battuti pavimentali nel portico circostante lacenatio.

Il principale problema emerso durante la realizzazione del modello rico-struttivo di questa scena ha riguardato l’ampio triclinium (fig. 22). Se inbase ai dati archeologici è possibile ipotizzare con plausibile certezza la fun-zione del vano, che, come sarà anche successivamente, già in questa fase erauna sala da pranzo, non sono state tuttavia rinvenute tracce sufficienti a ipo-tizzarne un arredo interno. La volontà di mostrare questo spazio in piena at-tività ha portato alla decisione di rappresentare una scena di banchetto, utile

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2. La TimeMachine

21. - Il modello ricostruttivo delle terme.

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a rendere visibile la funzione dell’ambiente. L’inserimento nella scena diun triclinio ligneo contribuisce a rafforzare e a illustrare, attraverso il pas-saggio alla scena successiva, in cui esso sarà sostituito da uno stibadium inmuratura, le diverse consuetudini conviviali dell’aristocrazia romana fra etàclassica e Tardoantico.

La seconda scena rappresenta la villa nel momento del suo massimosplendore, intorno alla metà del V secolo d.C.; a questa fase sono da ascri-vere le modifiche subite dalla cenatio, ed il nuovo assetto della grandesala di rappresentanza, mentre il complesso termale sembra continuare ilsuo funzionamento. I dati archeologici pertinenti a questa fase permettonodi ricostruire in maniera dettagliata il nuovo impianto della cenatio e degliambienti circostanti: il grande vano è caratterizzato dalla messa in operadi un nuovo pavimento marmoreo, articolato su più livelli e ulteriormenteimpreziosito dall’aggiunta di tre pannelli in opus sectile vitreo, mentre

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22. - Alcune viste della scena 1. Il triclinium.

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altri rifacimenti di minore entità interessarono l’ingresso principale alvano, che fu ristretto, e i piani pavimentali del portico rimpiazzati da nuovibattuti.

L’elemento di maggiore attrazione della seconda scena è sicuramente ilsontuoso allestimento della cenatio: il nuovo pavimento, la costruzione dellostibadium e la presenza di giochi d’acqua fanno della cenatio uno straordi-nario esempio di convivialità aristocratica nel Tardoantico (fig. 23). La de-scrizione del funzionamento delle strutture e del sistema di giochi d’acquafra stibadium e pavimento è stata affidata alla messa in scena di un ban-chetto arricchito di personaggi e animazioni.

La terza scena è ambientata nei secoli dell’Altomedioevo (circa 600 d.C.),quando il sito subì modifiche radicali che lo trasformarono in un villaggio ru-rale, e fra i primi crolli delle coperture e delle murature delle antiche strutturesi installarono attività di allevamento di ovini e forgiatura dei metalli (fig. 24).

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2. La TimeMachine

23. - Alcune viste della scena 2. La cenatio e lo stibadium.

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24. - Alcune viste della scena 3. Il villaggio altomedievale.

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25. - Alcune viste della scena 4.

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Tutti gli indicatori archeologici contribuiscono a delineare un quadro diprofonda trasformazione nell’utilizzo degli ambienti: la presenza di ossaanimali negli interri della cenatio, e di tracce di fusione di metalli sono statealla base di una ricostruzione, per forza di cose ipotetica, che desse l’ideadi un uso delle strutture preesistenti in stato di degrado. Nella cenatio e inuna parte del portico circostante sono stati modellati gli strati di crollo e diinterro che obliterano la funzionalità originaria degli ambienti. In un settoredel portico è visibile la traccia del piano in terra battuta che ha restituitouna notevole quantità di reperti ossei, in base ai quali è stata ipotizzata lafunzione di ovile.

Nell’ambiente antistante la cenatio sono visibili le tracce stratigrafichedel piano di terra battuta e di alcune fosse che hanno permesso l’identifica-zione dell’ambiente con un’officina per la fusione dei metalli. Anche in que-sto caso la messa in scena di personaggi ha il compito di rendere piùfacilmente percepibile la funzione delle strutture rinvenute.

La quarta scena è dedicata alla fase dell’abbandono del sito, quando icrolli delle strutture murarie e delle coperture sigillarono completamente lasuperficie del sito (fig. 25). Gli oggetti presenti in scena sono i modelli deicrolli dei muri, estesi su tutta l’area, che spiccano fra lembi di muratura an-cora in situ e che rappresentano l’abbandono. Essa è stata realizzata inse-rendo le superfici degli strati di crollo in un modello delle struttureulteriormente modificato rispetto alla scena precedente.

L’effetto che si intendeva raggiungere è di un’atmosfera straniante, incui le volumetrie dei crolli e le strutture in rovina materializzano e raccon-tano il declino definitivo del sito.

Le scene stratigrafiche

Le quattro scene dedicate alla restituzione grafica delle piante di fasetridimensionali sono state elaborate sulla scorta della documentazione discavo e visualizzano la stratigrafia relativa alla fase corrispondente (figg.26 e 29).

La realizzazione dei modelli ha reso necessario un lavoro di integra-zione fra i dati provenienti dal rilievo tridimensionale di parte delle strut-ture e i modelli tridimensionali del resto delle unità che componevano lasequenza stratigrafica. Questa fase ha previsto un processo di semplifica-zione (decimazione delle mesh), finalizzato a ottimizzare il modello perl’implementazione nel prototipo di realtime. Il rilievo tridimensionale èstato pertanto utilizzato come reference per la costruzione di una geome-tria semplificata e topologicamente coerente con le specifiche di un am-biente di realtime.

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26. - Una vista della scena 6 (stratigrafia relativa all’anno 450 d.C.).

27. - Una vista della scena 8 (stratigrafia relativa all’anno 700 d.C.).

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A sottolineare la natura ‘documentaria’ e non ricostruttiva di queste sceneconcorre l’ambientazione in un cantiere archeologico immaginario (fig. 28),caratterizzato da oggetti e strutture pertinenti all’attività di scavo, che hannola duplice funzione di arricchire la scena e di circoscrivere le aree del sitovirtuale liberamente visitabili (figg. 27 e 30).

I modelli

Come avviene per qualunque progetto di modellazione tridimensio-nale applicata all’archeologia, la ricostruzione delle fasi della villa di Fa-ragola fra Tardoantico e Altomedioevo ha posto problemi complessiriguardanti specifici aspetti, dall’articolazione architettonica alle coper-ture, ai rivestimenti, all’arredo degli ambienti. Sin dall’approccio allamodellazione delle quattro scene ricostruttive è risultato evidente chemolti dettagli non sarebbero potuti essere appropriatamente riproposti.Non solo le ricostruzioni delle coperture e degli elevati, ma anchel’aspetto degli ambienti, le decorazioni, gli arredi, la vita degli edifici

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Una macchina del tempo per l’archeologia

28. - Ricostruzione del cantiere di scavo.

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29. - Dalla documentazione 3D ai modelli ricostruttivi. Le fasi di abbandono; in evidenza i crolli di coperture emurature e la ricostruzione ideale delle strutture murarie.

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hanno posto problemi il cui superamento ha comportato la messa in operadi soluzioni diversificate, che tenessero conto dei dati disponibili, deipossibili confronti, dei messaggi che si intendeva di volta in volta veico-lare (fig. 31).

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30. - Il modello delle scene stratigrafiche (scena 7).

31. - Vista dall’alto del modello della villa (scene 1-2).

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Nelle scene relative alle fasi tardoantiche è stato impossibile proporreanastilosi pienamente convincenti dei corpi di fabbrica della villa. Si è resonecessario pertanto sviluppare, all’interno del team di modellazione, diverseipotesi ricostruttive formulate in base all’analisi stratigrafica e alla perio-dizzazione, nonché allo studio architettonico finalizzato ad una individua-zione delle coperture presumibili (fig. 32).

Se l’articolazione degli ambienti e lo sviluppo degli elevati hanno postoproblemi a volte insormontabili in considerazione dell’assenza di confrontiattendibili, i problemi relativi alla ricostruzione dei rivestimenti, delle de-corazioni e delle altre manifestazioni di lusso, nascevano invece dalla dif-ferente quantità e qualità dei dati disponibili per le ricostruzioni di pavimentie pareti. Da un lato lo stato di conservazione dei rivestimenti pavimentali inmarmo e a mosaico invitava a spingersi nel dettaglio nella resa dell’aspettooriginario, dall’altro l’assenza di dati sugli elevati poneva nell’oggettiva im-possibilità di immaginare la decorazione delle pareti, pur suggerita da fram-

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2. La TimeMachine

32. - Alcuni studi di ricostruzione della copertura della cenatio della villa di Faragola (A. Fino, F. Gagliardi).

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33. - Particolare del modello 3D della scena 1. Il triclinium.

34. - Particolare del modello 3D della scena 2. La cenatio e lo stibadium.

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mentari rinvenimenti d’intonaco dipinto e dalla ricchezza d’ornamento deipavimenti (figg. 33 e 34).

Da un punto di vista operativo, tuttavia, questo ‘silenzio’ totale delle fontimateriali ricorre nella maggior parte dei progetti di ricostruzione monu-mentale, soprattutto dei siti poco conservati, in cui le anastilosi implicano unalto rischio di indulgere troppo alla fantasia e produrre dei falsi, in nome diuna volontà forzata di rappresentazione.

Il problema della oggettiva difficoltà di delineare una realtà per moltiversi sfuggente ha riguardato la lavorazione di tutte le scene ricostrut-tive: da un lato i tentativi di ricostruzione si sono confrontati con la ne-cessità di elaborare modelli contraddistinti da ampie articolazioni di spazie complessi programmi decorativi, caratteristici delle fasi di primo im-pianto e successiva monumentalizzazione della villa nei momenti del suomassimo splendore; dall’altro, nelle scene relative alle fasi altomedievali(scene 3 e 4) le problematiche relative alla mancanza di confronti e allelacune della documentazione si sono sommate alla labilità delle traccestratigrafiche, rappresentate in modo predominante da strati di terra edelementi negativi ascrivibili alla presenza di strutture estemporanee (fig.

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35. - Il modello della cenatio per la scena 3.

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35). I dati a disposizione diminuiscono, gli elementi materiali da cui im-maginare le ricostruzioni si fanno più labili e, almeno per la componentearchitettonica, appaiono inesistenti i confronti. S’impone, dunque, nelleoperazioni di ricostruzione, la necessità di trovare soluzioni in cui la com-ponente di immaginazione divenga prioritaria, e spazi molto più ampi

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36. - Texturing delle ricostruzioni delle fasi di abbandono. Inserimento degli strati di crollo a partire dalla docu-mentazione 3D.

37. - Texturing delle ricostruzioni delle fasi di abbandono. Le strutture.

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vengano lasciati alla fantasia e alla creatività (fig. 36). La maggiore li-bertà d’intervento nella definizione delle ambientazioni relative alle fasidi vita degradata del sito e del suo definitivo abbandono, rende d’altrocanto più difficile caratterizzare adeguatamente il nesso fra le ipotesi pro-poste nei modelli e le fonti che sono all’origine del processo interpreta-tivo (fig. 37).

Data l’impossibilità di procedere ad una restituzione attendibile deglielevati nei modelli relativi alle fasi tardoantiche, le superfici delle muraturesono state lasciate di un colore neutro, corrispondente alla carenza presso-ché totale di dati relativi alla eventuale decorazione parietale.

Nei modelli ricostruttivi delle fasi altomedievali sono state elaborate tex-

ture per la resa delle superfici che rendessero l’idea della villa in un mo-mento di vita degradata o di abbandono.

La resa grafica di battuti e strati di crollo è stata direttamente ispirata alladocumentazione stratigrafica scritta e fotografica, da cui sono stati desunticomponenti e colori, utilizzati in texture appositamente create.

I rivestimenti

Non c’è dubbio che la ricchezza, l’estensione e l’eccezionale stato diconservazione dei rivestimenti pavimentali rappresentino la componente senon più rappresentativa sicuramente più appariscente della villa di Faragolae l’oggetto principale con cui è necessario confrontarsi in ogni narrazione sulsito e la sua storia.

Per poter realizzare i modelli ricostruttivi dei pavimenti è stato utilizzatoun processo che permettesse di generare delle texture di alta qualità in cuifossero preservati gli elementi derivanti dalle attività di analisi e ricerca, ov-vero la complessità dei motivi decorativi, la precisione del rilievo e l’atten-dibilità della ricostruzione.

A seconda delle condizioni di conservazione di ciascun pavimento edelle problematiche legate alla sua documentazione sono state implementatesoluzioni differenti per quanto riguarda la fase di rilievo. Lo studio analiticodella decorazione geometrica del pavimento musivo nella cosiddetta pale-stra delle terme è stato ad esempio supportato dalla realizzazione di un fo-topiano rettificato, necessario per poter avere un riferimento sufficientementedettagliato del piano pavimentale. In alcuni ambienti di dimensioni conte-nute è stato possibile realizzare un singolo scatto fotografico da utilizzarecome reference per il disegno ricostruttivo (amb. 14). In altri casi la difficoltàdi lettura del motivo decorativo, dovuta a incrostazioni della superficie mu-siva o ad altri impedimenti, ha reso necessario realizzare un rilievo a con-tatto in scala 1:1 e successivamente procedere alla digitalizzazione tramitescanner di grande formato.

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In tutti i casi documentazione, confronti e attività di interpretazionehanno reso possibile produrre ricostruzioni attendibili per la maggiorparte dei pavimenti della villa (cfr. De Felice et alii 2008b; sul procedi-mento di disegno e documentazione del mosaico cfr. De Felice 2004 e2005).

Se le procedure di rilievo sono state di volta in volta adattate alle pro-blematiche del singolo mosaico, il workflow per la ricostruzione e la resti-tuzione grafica è stato unitario, e ottimizzato per la realizzazione delletexture delle superfici ai fini dell’implementazione nella TimeMachine.

In un primo momento a partire dalla documentazione è stato realizzatoun bozzetto vettoriale in cui fossero riportate le principali misure del mo-saico e, nel caso di pavimenti grandi o molto complessi, i motivi geome-trici fondamentali, la suddivisione in tappeti, la scansione delle trecce ed iprincipali temi decorativi. L’individuazione delle componenti fondamentalidella decorazione ha permesso, tramite un processo di reverse engineering

applicato ai singoli elementi compositivi, di scomporre i pavimenti in partireplicabili e di ipotizzare in maniera attendibile anche le parti mancanti,giungendo così alla realizzazione di un disegno vettoriale completo dei ri-vestimenti.

In alcuni casi la complessità dei motivi geometrici e il fitto ritmo com-positivo dei singoli elementi ha permesso di ottenere un restauro virtualecompleto (amb. 14, fig. 38), pure in presenza di vaste aree di lacuna (amb.3, fig. 39 e 40). In altri casi la ricostruzione è stata avallata da elementi di

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Una macchina del tempo per l’archeologia

38. - Fotografia, disegno vettoriale, ricostruzione e baking texture dei mosaici dell’amb. 14 delle terme.

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39. - Ortofotografia e disegno vettoriale delle componenti geometriche del mosaico dell’amb. 3 delle terme.

40. - Realizzazione delle immagini bitmap e texture pronta per l’inserimento nel prototipo dopo il baking.

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41. - Fotografia e ricostruzione dei pavimenti a mosaico delle terme.

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minore attendibilità (alcuni ambienti delle terme). In queste circostanze si ècomunque deciso di realizzare un ripristino completo dell’intero rivesti-mento e di generare texture simili a quelle delle superfici meglio conservate(fig. 41). Anche la ricostruzione estensiva del mosaico pavimentale di primafase della cenatio si fonda su elementi solo indiziari ed è stata realizzata apartire dalla documentazione fotografica delle parti del pavimento visibili aldi sotto dello stibadium (fig. 42) o intercettate in alcuni punti di lacuna delpavimento marmoreo successivo.

Le fasi successive del workflow hanno portato alla realizzazione diimmagini bitmap ad alta risoluzione, campite con i colori ricavati dalleimmagini fotografiche. Dopo la sistemazione di tutti gli oggetti di scena,dai character alle luci, le immagini così composte sono state ulterior-mente lavorate, insieme a tutte le altre superfici dei modelli, e, tramite ba-

king, predisposte per poter essere inserite nel sistema di navigazione.La cenatio costituisce il fulcro del sito di Faragola, e anche nella realiz-

zazione del prototipo di navigazione in realtime essa è stata considerata cru-ciale nell’organizzare l’articolazione delle diverse scene e dei contenuti (cfr.infra, Materiali 2).

Il lavoro di ricostruzione analitica del pavimento marmoreo e dei pan-nelli in opus sectile è stato avviato a partire dalla documentazione eseguita

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42. - Rilievo e ricostruzione del pavimento musivo della prima fase della cenatio.

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al momento della scoperta e del primo consolidamento e poi perfezionatocon il progredire delle successive operazioni di pulitura e conservazione(figg. 43 e 44). Il processo di realizzazione delle ricostruzioni è lo stessoimplementato per i pavimenti a mosaico (fig. 45). Nel modello della cena-

tio, la cui pavimentazione è stata ricostruita per intero, è stato possibile in-

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43. - (in questa e nella pagina a fronte) Fotografia, disegno e ricostruzione dei pannelli in opus sectile della cenatio.

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serire infine l’acqua, elemento fortemente caratterizzante la funzionalitàdella grande sala.

Analoga operazione di studio e ricostruzione grafica è stata condottasullo stibadium. In questo caso l’analisi dei resti della decorazione ha per-messo di formulare un’ipotesi attendibile riguardante l’organizzazione deimotivi geometrici della parte frontale, mentre il rinvenimento di parte

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della mensa e di un frammento di oscillum reimpiegato come decorazioneha poi consentito una ricostruzione pressoché completa dell’intera strut-tura (fig. 46).

Da un punto di vista tecnico nell’elaborazione dello stile dei mondi vir-tuali della TimeMachine si è dovuto tenere conto da subito della necessità diimplementare soluzioni finalizzate alla navigazione in realtime. A questoproposito si è sempre tenuta di conto l’esigenza di limitare il numero di po-ligoni, affidando a tecniche di texturing (baking texture) la resa stilistica de-finitiva (fig. 47).

Avatar e personaggi

Per agevolare la comprensione dei messaggi veicolati dalle ricostru-zioni, sono stati aggiunti venti personaggi (character, figg. 48 e 51), lacui ideazione è stata orientata dalla volontà di animare la scena e renderenon solo esplicite, ma anche più vitali e dinamiche le esigue tracce delleattività svolte in quei luoghi nelle diverse fasi.

Nella prima e nella seconda scena i character sono impegnati in unbanchetto (fig. 49). È proprio attraverso il confronto fra esse che divienepossibile cogliere i diversi modi di svolgimento del banchetto e dare va-

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Una macchina del tempo per l’archeologia

44. - Pianta del pavimento marmoreo e digitalizzazione. Dalla documentazione di scavo alla realizzazione delletexture.

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45. - Dalla documentazione di scavo alla realizzazione delle texture.

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46. - Lo stibadium. Vista ricostruttiva (elaborazione F. Gagliardi).

47. - Baking texture. I piani pavimentali della scena 3.

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48. - I character della TimeMachine (elaborazione F. Gagliardi).

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lore alle strutture che lo ospitano, ren-dendo ad esempio immediatamente com-prensibile il funzionamento dellostibadium in sostituzione del tricliniodella scena precedente.

Nella terza scena ai character è affidatoil compito di rendere vive le attività ricreatea partire da labili tracce stratigrafiche, dif-ficilmente comprensibili per un pubblicodi non addetti ai lavori. In quest’ottica la ri-costruzione di un mantice e del suo opera-tore intento a soffiare aria nel crogiolo perla fusione dei metalli rende immediata-mente chiaro il funzionamento della strut-tura (fig. 50); il passaggio alla corrispon-dente scena stratigrafica (scena 7) mette inevidenza le tracce archeologiche sottese al-l’ipotesi ricostruttiva.

Lo stesso ragionamento ha portato,nella medesima scena, a sviluppare il cha-

racter del fabbro, a ricostruire gli steccatinel corridoio e a inserire alcuni character

di animali, cui è demandato il compito ditradurre visivamente le tracce archeozoo-logiche documentate durante le operazionidi scavo.

Il prototipo limita il viaggio temporalee dimensionale al settore della cenatio edegli ambienti annessi. L’area delle termeè invece visitabile solo in modalità rico-struttiva. Anche in questo caso l’esperienzadi visita è stata arricchita dall’inserimentodi character impegnati in alcune attivitàche esplicano il funzionamento degli edi-fici termali.

L’avatar che impersona il viaggiatoreè stato disegnato con l’intenzione speci-fica di operare in contrasto con lo stile

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49. - Uno dei character della scena 2.

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dell’ambiente, in modo da rendere subito evidenti la sua estraneità almondo virtuale con il quale interagisce. L’abbigliamento da aviatore e lostile con cui è stato definito vogliono essere un omaggio alla figura diJohn Bradford e al ruolo di pioniere delle ricerche archeologiche in Dau-nia (fig. 52).

Le luci, i suoni e lo stile

Modelli, texture e character contribuiscono a rendere visibili e com-prensibili i messaggi di cui le singole scene sono portatrici. Il compito di ren-dere omogenea e significativa la somma delle varie componenti è statoaffidato all’individuazione di uno stile unitario, che accrescesse nel viag-giatore la sensazione di immersione nel mondo virtuale della TimeMachine.

L’elemento che si è costantemente dovuto tenere in considerazione è statola necessità di coniugare una qualità grafica di buon livello, portatrice dicoinvolgimento, esperienza e ricordo (Forte 2007, 217-218), con i dati stra-tigrafici disponibili. Questa mediazione è stata attuata grazie a precise sceltedi stile e di regia orientate a dare unitarietà all’intero complesso di scene eal percorso di visita virtuale, ovviando nel contempo alla lacunosità delle

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50. - Il mantice (scena 7).

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fonti e della documentazione, che non ha consentito di proporre ricostru-zioni sempre filologicamente corrette. Lo stile visuale unitario ha svolto ilcompito di affiancare le scelte effettuate in fase di modellazione, texturing

e animazione, contribuendo a collegare i diversi elementi di ogni singolascena in un insieme unico e indirizzando l’attenzione del viaggiatore versoi punti di maggior interesse.

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51. - La modellazione dei character.

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Nelle scene stratigrafiche l’unitarietà di stile è affidataall’ambientazione in un cantiere di scavo (fig. 53), men-tre in quelle ricostruttive (fig. 57) le scelte stilistiche sonostate dirette a sottolineare i contenuti più rappresentativi,valorizzando le testimonianze monumentali residue e me-glio documentate, enfatizzando personaggi e azioni ca-paci di spiegare le attività presenti nella scena e cercandodi distogliere l’attenzione da quanto è stato impossibilericostruire.

Nelle scene relative alle fasi tardoantiche si è prestataparticolare attenzione alla disposizione delle luci, al loroorientamento e alla loro tipologia (fig. 57). La colloca-zione in prossimità dei pavimenti, il direzionamentoverso il basso e infine l’impostazione di valori di coloree intensità molto caldi contribuiscono ad enfatizzare glielementi principali dell’ambiente e a distogliere nel con-tempo l’attenzione dagli elevati (figg. 54 e 55). Si è intesocosì ottenere un effetto che da un lato valorizzasse i pa-vimenti e i rivestimenti e dall’altro mantenesse in se-condo piano pareti e coperture, il cui aspetto neutro nondisturba la navigazione né distoglie dal senso di immer-sione intensificato dalle scelte estetiche.

Nelle scene ricostruttive delle fasi altomedievali l’uti-lizzo esclusivo della luce solare sottolinea lo spazioaperto prodotto dal crollo delle coperture e delle mura-ture, contribuendo a diffondere un’atmosfera di desola-zione e abbandono (fig. 56).

Per aumentare l’effetto immersivo sono stati elabo-rati suoni ambientali, atti a dare realismo alle scene e alleanimazioni dei character. Nella prima scena la naviga-zione è accompagnata dai rumori di un banchetto, a cui,nella seconda, si aggiungono i suoni funzionali a renderevitale l’animazione del getto d’acqua che scaturisce dallostibadium. Nella terza scena sono i rumori delle greggidi ovini e degli artigiani al lavoro a far percepire piena-mente il nuovo assetto della villa nell’Altomedioevo ead indurre il viaggiatore a cercarne nei vari ambienti laprovenienza. Il messaggio del definitivo abbandononella quarta scena è invece affidato al rumore del ventoche risuona nello spazio desolato e privo di elementi ani-mati.

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52. - L’avatar.

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53. - Alcune viste delle scene stratigrafiche.

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54. - Lo stile delle scene ricostruttive. La cenatio nella prima fase tardoantica.

55. - Lo stile delle scene ricostruttive. La cenatio nella seconda fase tardoantica.

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56. - Lo stile delle scene ricostruttive. Gli ambienti limitrofi alla cenatio nell’Altomedioevo.

57. - Lo stile delle ricostruzioni. La cenatio.

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La navigazione

I modelli e i personaggi realizzati sono gli elementi costitutivi di unmondo virtuale che è possibile esplorare in prima persona, sperimentandodirettamente il passaggio interpretativo dai dati alle immagini ricostrut-tive.

Guidato solo dagli stimoli visivi e sonori proposti, nonché dalla pura cu-riosità della scoperta, il viaggiatore ha la possibilità di navigare in assolutalibertà nello spazio virtuale e di rendersi protagonista di una esperienza divisita ogni volta unica. Un articolato gioco di livelli e di scene lo conduce,attraverso un continuum spazio-temporale, a vivere in prima persona alcunimomenti della vita di un sito archeologico e a costruire da sé il proprio iti-nerario di conoscenza (cfr. infra, Materiali 2).

Il percorso a ritroso nel tempo che il viaggiatore è in grado di compieresi snoda lungo una traiettoria, attraverso variazioni di forma, dimensione,consistenza e collocazione spazio-temporale, soffermandosi sulle disconti-nuità rappresentate dalle diverse fasi di vita e di abbandono (Barceló 2009,334-335).

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2. La TimeMachine

58. - Il pannello di controllo della TimeMachine.

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Gli itinerari che si possono costruire sono molteplici:

– spaziali: attraverso la navigazione, il prototipo suggerisce l’idea dellacomplessa articolazione degli spazi e dei livelli. La natura tridimen-sionale dei modelli porta il fruitore a compiere movimenti sia nellaprospettiva orizzontale del passaggio fra i vari ambienti che in quellaverticale della variazione di quota dei piani pavimentali e delle strati-grafie;

– temporali: la navigazione attraverso le fasi più significative della vitadel complesso archeologico, sia da un punto di vista stratigrafico chericostruttivo, permette di cogliere la sovrapposizione di momenti di-versi nella stessa porzione di spazio, evidenziando la dimensione dia-cronica di una sequenza stratigrafica;

– modali: il parallelismo del riscontro, attraverso il passaggio fra scenericostruttive e stratigrafiche, permette al viaggiatore di assistere inprima persona alla trasformazione delle tracce in ipotesi ricostruttiveelaborate per ciascuna fase di vita del sito;

– plurali: attraverso l’incrocio di più tipi di itinerari.

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59. - (in questa e nella pagina a fronte) Alcuni momenti del viaggio dell’avatar nel tempo.

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L’interazione fra il viaggiatore e il mondo virtuale avviene medianteun pannello di controllo (fig. 58) in cui sono raggruppati tutti i comandi ele informazioni utili durante la visita. Tramite il pannello il viaggiatorepuò controllare l’andamento del suo percorso e interagire con il mondovirtuale, cambiando in ogni momento scena oppure utilizzando diversistrumenti di controllo. Un quadrante contiene informazioni sull’epoca incui ci si trova e sulla modalità di visita (ricostruttiva o stratigrafica). Unaserie di pulsanti, disposti su due colonne, permette la selezione immediatadelle scene, mentre la finestra del navigatore permette di controllare la po-sizione del proprio avatar (fig. 59). Conclude la serie di funzionalità ungruppo di tre pulsanti dedicati all’attivazione di altrettanti strumenti (ri-torno alla home, visualizzazione della schermata di aiuto, visualizzazionedei credits).

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Il regno dello spazio tridimensionale è quello dell’inevitabile compromesso,

non potendo stare due cose nello stesso luogo e non essendo la materia trasparente.

(Carandini 1991, 18)

Affascinati dalle tecnologie

Al principio di questo volume si era ragionato su quanto in questi ultimianni si siano sviluppate le riflessioni sull’archeologia, i suoi metodi e i suoistrumenti, e su come l’affermarsi della dimensione globale della disciplinasia stata supportata da nuovi modelli di conoscenza e nuove tecnologie.L’apporto di queste ultime, soprattutto quelle informatiche, a questa nuovastagione di riflessione rimane in secondo piano, e si può ancora ribadirecome, malgrado la nutrita schiera di tecnologie a disposizione della ricercasul campo, il “mestiere di archeologo” non sia cambiato di molto negli ul-timi anni (D’Andrea 2006). Sebbene numerosi contributi scientifici anchesul versante tecnico e applicativo abbiano concorso a rafforzare le intera-zioni fra tecnologie informatiche e pratica archeologica nelle sue diverse de-clinazioni (Gabucci 2005, Mascione 2006, Limoncelli 2012), la situazionenon è cambiata in profondità, come sarebbe stato lecito aspettarsi conside-rando le premesse con cui il binomio archeologia/informatica si era impo-sto sul finire degli anni ’90. Se strumenti nuovi e tecnologicamente avan-zati sono oggi il corredo abituale dell’archeologo che opera sul campo inun ampio spettro di applicazioni, dalla documentazione al restauro, dalla ge-stione dei dati e degli archivi alla ricostruzione, rimane ancora tutta da pro-porre una metodologia che sfrutti a fondo le capacità delle nuove soluzioninon solo per accelerare e rendere più preciso, affidabile e incisivo il propriolavoro, ma per riscrivere a fondo le pratiche operative, e costruire in defi-nitiva una tecnica di indagine che ne supporti validamente la nuova di-mensione globale.

Soprattutto nell’orizzonte dell’archeologia stratigrafica rimangono for-temente esposti alcuni punti nodali la cui soluzione è necessaria per potergiungere ad una fase di vero e diffuso rinnovamento metodologico, che ri-sulti utile e condiviso da tutta la comunità degli operatori. Basti pensare allostato in cui versano interi settori come quello della tutela o della valorizza-zione, il primo condizionato da una atavica carenza di risorse che raramentepermette di uscire dalla fase di gestione a favore di una seria programma-zione, il secondo ammaliato dalle tecnologie di comunicazione, ma legatoad una radicata tendenza ad ignorare il mondo della ricerca, le sue preroga-tive, le sue istanze. Anche il settore della ricerca e della didattica stenta a re-cepire le innovazioni metodologiche che arrivano dalle nuove tecnologie,considerandole poco più di un utile accessorio, sulla scorta di una recondita

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3.Verso un’archeologia digitale

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diffidenza verso i cambiamenti ad un modus operandi ormai consolidato.La conseguenza di questo stato di isolamento fra i principali attori dello sce-nario porta ad una scarsa innovazione dell’intero settore e ad uno stallo dif-ficilmente superabile senza un atteggiamento nuovo, al punto da risultareesaurita la spinta al cambiamento da parte delle ‘applicazioni’ informaticheall’archeologia, e definitivamente superata la fase positivista di valorizza-zione di questo approccio.

Le motivazioni più profonde del mancato rinnovamento sono sicura-mente da ricercare nell’incompiutezza della stagione di normalizzazione estandardizzazione solo abbozzata negli anni ’70 del secolo scorso, in pienaera predigitale: le applicazioni informatiche non hanno contribuito più ditanto, intervenendo piuttosto a complicare ulteriormente le cose (D’Andrea2006, 79). A questo forse si aggiunge anche la sostanziale impermeabilità delmondo dell’archeologia italiana ai saperi tecnici (Giuliani 1991, 11-17).Concentrandosi per lo più sulla sperimentazione di singoli casi le ICT hannoportato a indubbi avanzamenti su specifiche criticità, dalla documentazionealla gestione dei dati. Entrate a pieno titolo a far parte della “borsa degli at-trezzi” dell’archeologo con indubbi benefici (Daly, Evans 2006, 3), nonhanno tuttavia innescato alcun effetto di sistema che contribuisse a moder-nizzare la pratica della ricerca stratigrafica sul campo, ancora sostanzial-mente legata a procedimenti ‘artigianali’ di acquisizione e gestione dellaconoscenza, e pertanto autoprodotta, autogestita e spesso gelosamente cu-stodita (De Felice 2011).

Negli ultimi decenni l’archeologo ha imparato ad usare tecnologie qualii DB, i GIS (e il CAD) per la gestione dei propri dati, a essere più ordinato,rapido e preciso (D’Andrea 2001). Ha imparato dai tecnici come usare sta-zioni totali e software a corredo, e li ha usati per i suoi scopi. Ha imparatoa servirsi di software di modellazione 3D e ha ricostruito i suoi siti. In de-cenni di interazione fra umanisti e tecnologi e nello specifico fra archeologie informatici, l’approccio dominante è stato sostanzialmente technology dri-

ven, con le discipline umanistiche in buona parte semplici ricettori. Finchéil rapporto fra archeologia e tecnologie rimarrà guidato da queste ultime piùche dalle istanze del dominio di conoscenza, la creazione di una nuova me-todologia costruita su basi condivise rimarrà un obiettivo distante sul per-corso verso una matura archeologia digitale per il terzo millennio (Forte,Beltrami 2000, 297-298).

Questi decenni fortemente guidati dalla tecnologia, secondo una filoso-fia di gestione che ha preferito importare soluzioni già disponibili ed ela-borate per altri specifici scopi piuttosto che collaborare all’analisi dei bisognie allo sviluppo di soluzioni innovative condivise, hanno lasciato però in ere-dità alla cultura umanistica una nuova apertura di orizzonti nei confronti ditecniche e metodi utili per la ricerca, la tutela e la valorizzazione del patri-

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monio culturale, da cui è possibile che si avvii un’ulteriore fase di evolu-zione.

La conseguenza della mancata condivisione è che se l’archeologia e isuoi metodi sono divenuti globali, la stessa cosa non si può ancora dire perle tecniche della ricerca: strumenti e tecnologie innovative continuano adessere usati in modo solo parzialmente organico ai processi di acquisizionedei dati, di interpretazione e di comunicazione e ancora oggi non esiste unprocesso codificato e standardizzato che colleghi il recupero dei dati conl’interpretazione e la diffusione dei risultati. Questa mancanza non riguardasoltanto l’archeologia stratigrafica, ma l’intero ‘ventaglio delle metodolo-gie’, ivi comprese le molteplici archeologie nate e cresciute in anni recenti,‘senza lo scavo’ o piuttosto ‘oltre lo scavo’, in cui il recupero dei dati è le-gato ad altre attività di indagine, dalle tecnologie di telerilevamento al sur-

vey nel territorio. Nel caso specifico della metodologia di indaginestratigrafica, la componente pratica è affidata a manuali ormai esemplari,ad alcune linee guida fondamentali e ad un diffuso e artigianale fai-da-te, chegoverna il processo di conoscenza.

Ad esempio, nel contesto della documentazione grafica (ma lo stesso di-scorso si potrebbe fare per altri settori dell’archeografia), le soluzioni dicomputer graphic sono utilizzate come supporto alla ricerca, alla gestionedei dati, al restauro grafico, alla comunicazione e alla divulgazione. Ampiospazio viene dato alle tecnologie di visualizzazione in diversi momenti delprocesso di indagine, ma raramente in un’ottica strutturale.

Un punto di svolta importante è la diffusione di interessanti esperimentiper la realizzazione di set di documentazione tridimensionale digital born,fondati sull’utilizzo di tecnologie di acquisizione e gestione dei dati diffe-renti (laser scanning, fotomodellazione, ecc.), mentre procedure più sem-plici quali la vettorializzazione (manuale o semiautomatica) vengonoimpiegate per la digitalizzazione e la restituzione in 3D di elaborati graficidi archivio e più in generale di legacy data (cfr. supra, cap. 1). Affinché leesperienze a carattere sperimentale possano però dare un contributo di ampiorespiro è necessario avviare una fase di condivisione prima ancora che di re-golamentazione che ne permetta l’integrazione in un nuovo processo ar-cheografico, in cui la documentazione tridimensionale divenga speditiva,semplice, non legata a tecnologie o piattaforme specifiche per la realizza-zione, e caratterizzata da costi sostenibili di gestione. È in altre parole indi-spensabile liberarsi dal ‘fascino’ di una peculiare soluzione tecnologica(come è avvenuto più volte negli ultimi anni, dal GIS al laser scanner) eproseguire lo studio nonché promuovere la condivisione di buone praticheper la realizzazione di documentazione grafica tridimensionale, che prevedal’uso di soluzioni tecnologiche avanzate ma anche di procedure semplici, fa-cilmente replicabili e standardizzabili. Non è infatti escluso che una proce-

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3. Verso un’archeologia digitale

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dura di rilievo diretto condotta con cura e con accorgimenti utili alla tra-sformazione in 3D possa risultare efficace quanto un rilievo effettuato tra-mite costose attrezzature!

Guidati dalle metodologie

L’obiettivo di più ampio respiro verso cui tendere è la realizzazione diambienti digitali in cui possano confluire ed essere gestiti efficacemente datiprovenienti da dataset di tipologia differente. È possibile raggiungerlo, maa condizione di avviare una stagione di riflessione metodologica vitale, fon-data sulla ricerca di “metodi comuni e comunemente accettati” (Valenti2009, 9) che renda la documentazione archeografica non solo più accuratae precisa, ma soprattutto più direttamente significativa. Se è vero che non sipuò fare archeologia senza fare archeografia (Mannoni 2000), solo una ar-cheografia globale può sostenere una vera archeologia globale.

Il bisogno di una fase di condivisione, a superamento della visione informa di applicazioni del rapporto fra informatica e archeologia, è evidentead esempio nel sostanziale fraintendimento che caratterizza il settore del-l’archeologia virtuale, in continuo stallo fra le richieste degli archeologi di unapproccio ampio, se non olistico e complessivo, e l’imbarazzo che nasce dallainadeguatezza delle soluzioni attualmente offerte dalle tecnologie di visua-lizzazione. In altri termini, gli archeologi oggi partecipano della fiorente sta-gione del 3D, chiedendo agli strumenti di computer graphic da un lato disviluppare modelli articolati e di qualità eccezionale (magari da fruire in re-

altime), dall’altro di gestire la complessità della documentazione stratigrafica.Anche in questo settore l’approccio è in sostanza guidato dalle tecnolo-

gie, che impongono soluzioni tecniche particolari, orientate alla gestione dimoli di dati tanto enormi quanto inutili per la documentazione, l’interpreta-zione e la ricostruzione della sequenza stratigrafica di un sito archeologico(rilievi 3D da laser scanner), oppure alla spettacolarizzazione dei risultati(ricostruzioni virtuali).

Si pensi alle procedure di rilievo sul campo, in cui l’uso dei sistemi sta-zione totale/CAD rappresenta ormai la norma, tanto che la stragrande mag-gioranza delle équipe di ricerca utilizza questi strumenti e i vantaggi dellapossibilità di ragionare in termini di modello sono evidenti a tutti. Ebbenetutti utilizziamo software in grado di gestire il 3D eppure i tentativi di do-cumentare in tre dimensioni sono ancora esperimenti e non esiste una con-divisione dei metodi capace di rendere confrontabili i risultati conseguiti(fig. 60).

In mancanza di una prospettiva metodologica unitaria la pratica del ri-lievo tridimensionale continua invece ad essere declinata in chiave quasi

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Una macchina del tempo per l’archeologia

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esibizionistica. Essa non sfrutta se non in minima parte le possibili, enormiimplicazioni insite nella possibilità di registrare e far fruire la complessitàdi una stratigrafia archeologica secondo modalità nuove; nonostante, comeabbiamo già avuto modo di dire, la natura multidimensionale di una realtàstratificata sia stata affermata ben prima che le macchine ne permettesserola restituzione (cfr. supra, p. 22).

Sottrarre alla naturale distruzione della stratigrafia archeologica, inevi-tabile in ogni procedimento di indagine, quella derivante da un processo didocumentazione parziale, nonché prestare uguale attenzione tanto ai datinuovi che a quelli di archivio è solo parte di una più ampia esigenza di co-dificare un atteggiamento nuovo nei confronti delle tecnologie, in cui esse,dall’essere semplici ‘applicazioni’ (Forte 2007, 31-32), vengano studiate,sezionate, piegate e modificate per divenire parte di un sistema. Sembra in-fatti che mentre l’archeologia diventa globale, le sue tecniche rimanganoindietro, affascinate e un po’ disorientate da apporti di strumenti nuovi e ap-

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3. Verso un’archeologia digitale

60. - Documentazione tridimensionale (dis. F. Gagliardi).

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1 L’esempio più importante elongevo nel nostro paese èsenza dubbio il movimento ar-cheofoss che ogni anno dal 2006organizza un workshop e prov-vede alla pubblicazione degliatti (www.archeofoss.org).

parentemente risolutori di ogni genere di problemi. Solo superando l’atteg-giamento di soggezione nei confronti degli strumenti si potrà aprire unanuova stagione in cui le tecnologie informatiche entrino nella metodologia

in maniera programmatica e il più possibile estesa e in cui la digital archae-

ology non sia più qualcosa di esoterico e isolato (Daly, Evans 2006, 7), ‘dinicchia o di confine’ (Valenti 2009, 9) ma risulti invece fortemente integratae inscindibile da quella che sarà l’archeologia del nuovo millennio (Forte,Beltrami 2000, 290 e 297-298). In mancanza di un deciso passo in questa di-rezione sarà molto difficile arrivare alla nascita di una disciplina che sia glo-bale non tanto nelle sue prospettive di conoscenza, ma nella sua naturasociale e condivisa.

In tal senso è indispensabile porre su basi nuove il problema della pro-prietà intellettuale e dell’apertura dei dati, che ancora costituisce un osta-colo enorme al raggiungimento di questo essenziale obiettivo. I temi degliopen data, del software libero e open source, della didattica aperta sonooggi proposti sulla scena del rinnovamento metodologico grazie a progettie movimenti sviluppatisi in maniera spontanea, su iniziativa di giovani ar-cheologi professionisti e attraverso la costituzione di esperienze indipen-denti che stanno cambiando, dal basso, il volto dell’archeologia 1. Intornoa questi temi, al problema dell’apertura degli archivi, della creazione di retiper la circolazione delle informazioni e della salvaguardia e condivisionedella conoscenza ruota il futuro della nostra disciplina, a condizione che im-portanti ambiti quali la ricerca, la tutela e la didattica superino l’atteggia-mento difensivo legato al sovraccarico di informazioni che ormai pervadetutti i settori della vita digitale (Kansa, Whitcher Kansa, Watrall 2011) eaderiscano da protagonisti a questi movimenti. Oltre ad essere sperimentatenei luoghi della ricerca è indispensabile che le tecnologie digitali siano nonpiù solo argomento di specifici corsi universitari, spesso sacrificati nei pianidi studio (Valenti 2009, 9), ma il fulcro di più ampi percorsi di formazione,in modo da diventare pratica universale per le nuove generazioni e da nonlasciare che il dibattito metodologico resti una prerogativa degli addetti ailavori.

Un nuovo approccio orientato alle metodologie è a nostro avviso in gradodi rimettere insieme le parti di un sistema di conoscenza che oggi appaionoinvece fortemente frazionate a causa di un imperante atteggiamentotechnology driven. Osservando infatti i processi di ricerca archeologica dalpunto di vista del loro esito, ovvero comunicazione e valorizzazione, il so-stanziale scollamento fra le prime e le ultime fasi risulta oltremodo evidente(fig. 61). Quello che dovrebbe essere il punto di arrivo di ogni percorso diindagine rimane invece una fase isolata, spesso gestita da soggetti esterni alpercorso stesso (Gianolio 2012, 178) nella quale gli esperti di dominio as-sumono un ruolo marginale.

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D’altronde comunicare i beni culturali,l’archeologia in particolare, è un’operazionecomplessa, che mai dovrebbe essere sepa-rata dai processi di ricerca. Siti e museisono luoghi ‘distanti’, che contengono og-getti ‘desueti’ e le difficoltà di riuscire araccontare attraverso tracce una storia inte-ressante sono acuite dalla distanza, crono-logica e culturale, che ci separa da esse.Quello stesso distacco che affascina, checrea il valore di tutto ciò che è passato erende il rapporto fra fruitore e patrimoniomagico e irripetibile, rappresenta anche ilmotivo principale di questa difficoltà. Re-perti, strati, monumenti, siti sono solo ar-chetipi; indizi di qualcosa che si coglie conmolta difficoltà e altrettanto difficilmente siricostruisce e si racconta. Narrare il pas-sato a partire dalle tracce materiali è un po’come spiegare la poesia antica, la societàletteraria, la cultura classica avendo a di-sposizione solo le copie dei manoscritti me-dievali. Copie, distanti, di originali che nonesistono più, essendo stati soggetti nel corsodella loro vita a trasformazioni indotte dafattori culturali e naturali dalla loro oblite-razione fino al momento della scoperta. Nel-l’impossibilità di scavare tutto, ma anche didocumentare tutto (Carver 1990), la meto-dologia di indagine, le tecniche e i ragiona-menti che permettono di capire e immagi-nare sono quindi importanti almeno quantole tracce stesse, e racchiudono un poten-ziale informativo che merita di essere rac-contato insieme ad esse.

Le attività che hanno portato alla realiz-zazione della TimeMachine vogliono essereil suggerimento di un possibile approccio ingrado di raccontare la complessità di un sitopluristratificato utilizzando un linguaggioche sappia coniugare tecnologie, tecniche,metodologie e saperi diversi e valorizzare

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3. Verso un’archeologia digitale

61. - Dalla documentazione tridimensionale alla ricostruzione.

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le specificità di ciascuna di queste componenti. Una macchina del tempoapplicata ad un sito archeologico dovrebbe infatti evidenziarne la se-quenza cronologica (fig. 62), piuttosto che le singole componenti materiali,siano esse pietre, muri, edifici, frammenti di ceramica o carcasse di ani-mali (Barceló 2009, 334-335). Dovrebbe in altre parole mettere in evidenzai nessi interpretativi che portano a cogliere i fenomeni nascosti dietro que-gli oggetti e spiegare il processo di deduzione che è la vera e unica rico-

struzione di un sito archeologico, ovvero più una “reinvenzione verisimilee formale della realtà” che una sua riproduzione (Carandini 1991, XVII).

Lo scopo ultimo del prototipo di TimeMachine è la sperimentazione diprocessi innovativi per la produzione di contenuti emozionali collegati airisultati della ricerca in uno dei settori dei beni culturali in cui è particolar-mente intenso il fascino generato dal dominio di conoscenza, e più pres-sante la necessità di interazione fra innovazione tecnologica e metodologica,fra esigenze di comunicazione e istanze di scientificità.

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62. - Il continuum temporale (dis. F. Gagliardi).

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Il workflow di produzione ha inteso testare su un caso concreto un nuovoapproccio che cercasse coerenza fra soluzioni tecnologiche e oggetto delracconto, attraverso lo sviluppo di alcuni elementi:

– la condivisione della ‘conoscenza formale’ nel campo dell’archeolo-gia stratigrafica, utile a definire i processi di selezione ed elabora-zione delle fonti e quindi a modellare i fabbisogni narrativi di unpossibile prodotto di comunicazione;

– la formalizzazione dei correnti processi di trattamento delle risorse inrelazione alle esigenze di creazione di prodotti di comunicazione cul-turale e progettazione di innovativi approcci metodologici in grado divalorizzare la disponibilità delle tecnologie e le peculiarità del do-minio di conoscenza;

– la creazione di ‘fonti elaborate’, ovvero di un modello ottimizzatodelle fonti formali con riferimento agli obiettivi di comunicazione inessere. Nel prototipo sono da considerare tali non solo i brevi conte-nuti esplicativi erogati attraverso i totem informativi, ma anche glioggetti 3D realizzati, a cominciare dalle unità presenti nelle scenestratigrafiche fino ai modelli ricostruttivi di pavimenti, muri, coper-ture;

– la progettazione di un prodotto di comunicazione in grado di valo-rizzare la ‘fonte elaborata’ attraverso un approccio creativo coerentecon i linguaggi associati alle tecniche e alle tecnologie di interesse.

In questa luce la scelta del realtime come linguaggio intorno a cui co-struire la TimeMachine è stata dettata dalla considerazione delle caratteri-stiche di multidimensionalità e diacronia della conoscenza nel campodell’archeologia stratigrafica.

Le problematiche emerse e le soluzioni escogitate riflettono le tappe dellaproduzione di un sistema di fruizione di contenuti culturali elaborati a par-tire dalle fonti materiali. Le criticità del percorso raccontato offrono dunqueuno spaccato della specifica problematicità di un settore della ricerca ar-cheologica, rappresentativo del più vasto scenario dei beni culturali, in cuida un lato i meccanismi ed i linguaggi di fruizione più moderni non trovanoancora un saldo legame con le metodologie di acquisizione della cono-scenza, dall’altro queste ultime risultano lontane dall’essere impiegate nellafase di fruizione.

Quel che emerge in definitiva è la necessità per l’archeologia di definireun nuovo paradigma di comunicazione che tenga conto, accanto alle ovvieistanze legate alla volontà di rendere accattivante il prodotto finale, anche esoprattutto dell’immenso (e poco sfruttato) potenziale narrativo implicitonelle metodologie di ricerca.

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3. Verso un’archeologia digitale

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Non si tratta di ribadire lo scarso coinvolgimento del mondo della ricercao più in generale degli esperti di dominio nella produzione di contenuti didivulgazione, ma di immaginare un nuovo, più vasto scenario, in cui si rin-novi sia il rapporto fra conoscenza e divulgazione sia l’interazione fra i prin-cipali attori che lo animano, dalle Università agli altri organismi di ricerca,alle Soprintendenze, alle imprese e ai tanti archeologi professionisti.

Non si tratta peraltro nemmeno di reclamare la correttezza scientifica deicontenuti di comunicazione e divulgazione – che dovrebbe essere un prere-quisito – ma piuttosto di spingere a valorizzare l’intero meccanismo ricerca-interpretazione come unico elemento in grado di rendere i beni culturali unmondo avvincente, ricco di fascino e fecondo di emozioni.

Si tratta in ultima analisi di definire modelli di comunicazione, in cui,contemporaneamente al raggiungimento di standard tecnici sempre più raf-finati, si punti al cambiamento dei linguaggi, e non si trascurino, ma piut-tosto si valorizzino, le prerogative del dominio di conoscenza, ottenendoin questo modo contenuti corretti, interessanti e innovativi allo stessotempo.

Pronte a creare oggetti dall’enorme potenziale comunicativo, le tecno-logie di produzione e di fruizione digitali risultano invece poco efficaci inmancanza di regia, stile e contenuti. Nel nostro ambito possono essere uti-lizzate per coniugare dati e immaginazione, per gestire e visualizzare ildubbio, l’incerto e il probabile che avvolge ogni manufatto, sito, o fram-mento. E chi meglio di un archeologo potrà trovare il linguaggio giustoper narrare l’ampio e difficilmente visibile sostrato di interpretazione efarne il vero oggetto di una comunicazione che possa definirsi davveroemozionale?

Nello specifico dell’archeologia virtuale si potrebbe sostituire o quan-tomeno affiancare all’obiettivo di tendere a ricostruzioni più ‘vere’, o me-glio verosimili, quello di narrare le diverse possibilità interpretative, lametodologia che sostiene il ragionamento, le tracce e gli indizi su cui sifonda ogni ricostruzione, dando così risalto al continuo scambio fra gliaspetti oggettivi della ricerca e la soggettività delle interpretazioni. Lo svi-luppo di linguaggi nuovi potrà dunque contribuire efficacemente a modi-ficare, ad esempio, la diffusa prospettiva di assoluta unitarietà dell’oggettoculturale, che conduce spesso, nelle fasi di ricostruzione, ad un vero e pro-prio ‘classicismo virtuale’ volto a prediligere manufatti preziosi, monu-menti imponenti, capolavori dell’arte, con il risultato di banalizzare ilconcetto stesso di reperto.

Mezzo secolo di archeologia stratigrafica ci ha insegnato a considerareil senso vero del termine ricostruzione nel suo più profondo significato di ri-composizione di frammenti di storia più che di ripristino o restauro (anchevirtuale) di un fantomatico aspetto originario e a superare il “timore para-

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lizzante e autodistruttivo” dell’errore (Carandini 1991, 146) che nell’ar-cheologia italiana per tanti anni ha condizionato il rapporto fra ricerca e di-vulgazione.

La vera sfida da raccogliere è quindi quella di individuare un linguaggioadatto a narrare in maniera al contempo attendibile e avvincente il fascinoe l’emozione di quella ‘archeologia quotidiana’ che rappresenta la norma-lità per tanti ricercatori, volontari e archeologi professionisti, distogliendol’attenzione del grande pubblico dal culto del mistero e dalla liturgia dellascoperta.

Passato e futuro

Interpretare, ricostruire e comunicare è una sfida trasversale all’interosettore dei beni culturali. Data la complessità e la quantità di temi e di attoriimplicati risulta difficile che possa essere vinta da un singolo soggetto, siaesso ricercatore, tecnologo o comunicatore: i punti di vista, le necessità e lecompetenze che entrano in gioco sono estremamente variegate e, se consi-derate singolarmente, scarsamente significative.

I ricercatori, in assenza di un momento di diffusione dei risultati a tutti ilivelli, dalla comunicazione scientifica alla divulgazione, rischiano di isolaree svuotare di significato la conoscenza di dominio.

D’altra parte gli esperti di tecnologie e i comunicatori, che negli ultimianni hanno rapidamente conquistato un ruolo leader nella produzione dicontenuti per i beni culturali continuano ad identificare l’innovazione delsettore con l’adozione di tecnologie avanzate e il raggiungimento di standardvisuali sempre più sofisticati.

Questa mancanza di relazioni fra attori del medesimo scenario finiscecol sacrificare lo sviluppo di tutte le potenzialità del settore, in quanto laraffinatezza tecnologica dei prodotti di comunicazione e l’impatto che nederiva non solo non sono bilanciati da una congrua attendibilità sul pianoscientifico, ma non attingono alle potenzialità espressive e narrative di cuila conoscenza e la metodologia di dominio sono portatrici, finendo col tra-scurare alcuni elementi, quali la soggettività e l’interpretazione, veri oggettidella comunicazione emozionale sui beni culturali.

Il mondo della ricerca e la conoscenza formale di dominio sono infatti cu-stodi di competenze che normalmente non trovano spazio nei processi in-dustriali di creazione di contenuti, perlopiù orientati a considerare i beniculturali in modo simile a qualunque oggetto di comunicazione. Anche ilmito della supremazia quantitativa e qualitativa italiana riguardo ai beni cul-turali, storicamente non ha certo giovato alla formazione di una consape-volezza autonoma sul loro valore comunicativo, favorendo invece la

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3. Verso un’archeologia digitale

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concezione dei beni culturali come un ‘tesoro’ cui attingere in modo acriticosenza considerare le competenze e le conoscenze degli operatori del settore.

La prospettiva è quella di giungere alla definizione di una strategia va-lida nell’intero settore dei beni culturali, che promuova lo sviluppo di pro-tocolli condivisi da tecnologi, esperti di dominio e imprese per produrrecontenuti che sfruttino, accanto alle tecnologie più innovative, anche le com-petenze dei produttori della conoscenza, liberandoli dal ruolo restrittivo difornitori di certezze (fig. 63).

È possibile che la realizzazione di prodotti di comunicazione culturale ingrado di coniugare conoscenza, creatività e potenzialità delle tecnologie diaccesso costituisca un punto di incontro delle aspettative del mondo acca-demico, delle imprese e degli enti preposti a tutela e valorizzazione. La com-binazione di tecniche, tecnologie, dominio, linguaggi e creatività potrebbedeterminare un’efficace sinergia in grado di spostare l’attenzione dalle tec-nologie in quanto tali alla definizione di obiettivi finalizzati a favorire la cu-riosità e l’interazione fra patrimonio e fruitori.

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63 - Una proposta di workflow di produzione nel campo della comunicazione dei Beni Culturali (elab. G. De Fe-lice, V. Santacesaria).

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L’intesa fra imprese specializzate, ricercatori di dominio, tecnologi e co-municatori potrebbe generare uno scenario innovativo in cui la conoscenzaarcheologica si combini con la creatività per innovare i contenuti e le mo-dalità di erogazione, all’interno di una nuova catena del valore culturale chepossa fornire nuove risorse ad un settore costantemente alle prese con lamancanza di mezzi.

L’esperienza maturata nella realizzazione della TimeMachine e più ingenerale nelle attività del Laboratorio di Archeologia Digitale ci spin-gono a indicare proprio nel mondo della comunicazione dei beni culturaliun possibile ambito di crescita, culturale, occupazionale ed economica, incui molti archeologi potrebbero trovare il giusto riconoscimento al va-lore delle proprie conoscenze e competenze, mortificate in un settore icui sbocchi tradizionali in termini di lavoro e sviluppo sono ormai datempo atrofizzati.

Lo spazio che si apre è quello della sinergia fra tecnologia, cultura ecreatività che tenga collegate le risorse più avanzate, i linguaggi più inno-vativi e le enormi potenzialità espressive del dominio. Questo spazioaspetta di essere colmato da un’intesa fra i diversi attori che oggi operanoin maniera sconnessa e autonoma: formatori, ricercatori, professionisti, entipubblici.

Al mondo della formazione e della ricerca spetta il ruolo difficile e fon-damentale di aggiornarsi, nei piani di studio, nell’offerta formativa, nei col-legamenti con il mondo imprenditoriale, e di guardare con maggiore fiduciaalle tante professionalità presenti nel territorio spingendosi oltre il mero per-seguimento delle indagini scientifiche.

Alle imprese di settore spetta un salto di qualità orientato a comprendereil valore nascosto nel patrimonio di contenuti, stili, linguaggi e idee che è cu-stodito dalle Università, dagli Enti di ricerca e dai tanti professionisti, chia-mandoli a svolgere un ruolo ben più pregnante rispetto a quello di‘consulenti’, cui sono normalmente ridotti.

Agli enti pubblici, alla politica e alle amministrazioni spetta il duplicecompito di avallare questa possibile sinergia attraverso la promozione di op-portune misure di finanziamento e la vigilanza sul reale valore delle opera-zioni culturali.

In conclusione la TimeMachine è stata progettata con l’intento di mo-strare, pur limitatamente al mondo dell’archeologia stratigrafica, un pos-sibile nuovo scenario, in cui le operazioni di divulgazione siano radicatenelle metodologie scientifiche, e prevedano, accanto ed insieme all’uso ditecnologie innovative, un’attenzione maggiore al dominio della disciplinaed al delicato processo conoscitivo, dalle fasi preliminari a quelle di rac-colta analitica, fino ai momenti di sintesi, interpretazione e comunica-zione.

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Se il prototipo risulterà senz’altro superato già nel momento della pub-blicazione, spero rimanga valido l’invito a convergere verso una fase in cuila comunità dei ricercatori e degli archeologi possa assumere un precisoruolo di guida e indirizzo nella narrazione in forme inedite di quelle ‘storiedalla terra’ la cui scrittura è in definitiva il fine del proprio mestiere.

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Appendice

materiali

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L’attività del team di documentazione si è tra-dotta in un percorso volto a realizzare un modellotridimensionale in grado di descrivere ‘ciò che resta’di un sito archeologico pluristratificato, e di raccon-tarne la vicenda cronologica tramite la rappresenta-zione della sequenza stratigrafica. Per raggiungeretale obiettivo è stata sperimentata una procedura me-todologica articolata su più livelli. Difatti, se per il ri-lievo delle strutture della villa è stato possibileavvalersi di un sistema di scansione laser 3D, la mo-dellazione delle singole unità stratigrafiche ha ri-chiesto un particolare trattamento che consentisse ditrasformare le informazioni spaziali da una formaanalogica ad una digitale. Da questa impostazionesono scaturite alcune significative domande:

– è possibile convertire la rappresentazione gra-fica di un overlay in un oggetto 3D digitale?Con quali conseguenze?

– quali vantaggi si hanno grazie all’integrazionedi dati spaziali acquisiti secondo tecniche di ri-levamento totalmente diverse?

Prima di analizzare le singole fasi di questo la-voro, ci piace sottolineare come le soluzioni adot-

tate in corso d’opera si siano rivelate significati-ve ai fini della costituzione di alcune good practi-

ces, che dopo essere state inserite nel programmadi e-learning previsto dal progetto Itinera (raggiun-gibile all’indirizzo www.itinera.puglia.it), sono en-trate a pieno titolo nelle attività di rilievo archeo-logico delle équipe dell’Università degli Studi diFoggia.

Il rilievo con laser scanner

La documentazione topografica dell’esistente, inparticolare dell’area della cenatio di V sec. d.C., èstata realizzata tramite laser scanning 1, con l’obiet-tivo di creare un modello delle strutture che rappre-sentasse il ‘contenitore’ della sequenza stratigrafica.

Ad una fase di rilievo sul campo, in cui sono stateeffettuate diverse scansioni della cenatio e del por-tico circostante, è seguita una lunga elaborazionedelle nuvole di punti (fig. 1), suddivisa nei passaggidi registrazione, pulizia e meshing.

1. Il set di documentazione digitale, le procedure di rilievo e di digitalizzazione

1 È stato utilizzato uno scanner Leica HDS3000 a tempo divolo, con una precisione di 6mm a 50 metri.

1.Il set di documentazione digitale,

le procedure di rilievo e di digitalizzazionedi Andrea Fratta

1. - Nuvola di punti della cenatio.

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La mesh ottenuta è stata sottoposta ad ulterioriprocedimenti per correggere errori dovuti alle irre-golarità del set di punti iniziale. Sono stati appli-cati filtri di smoothing per ridurre, se non eliminaredel tutto, la caratteristica ruvidezza dovuta a unanon perfetta coerenza dei vertici dei triangoli; inol-tre sono stati colmati i vuoti causati da assenza diinformazioni spaziali fra zone regolarmente scan-sionate.

Ricomporre la stratigrafia. Dalla carta allo schermo

Uno degli obiettivi del prototipo è stato quello diriprodurre virtualmente alcune delle fasi della villa diFaragola. L’apporto della documentazione di scavo,sia grafica che scritta, è stato fondamentale per larappresentazione digitale delle singole unità strati-grafiche e per la loro suddivisione in gruppi crono-logicamente ordinati.

Pertanto la premessa all’intero workflow svilup-pato è stata una revisione del materiale cartaceo a di-sposizione, concretizzatasi nello specifico nellaselezione degli overlay e delle relative schede.

La procedura adottata può essere dunque sche-matizzata in una serie di azioni (fig. 2):

Fase “raster”

– Acquisizione digitale degli overlay

– Miglioramento della leggibilità

Fase “vettoriale”

– Vettorizzazione in ambiente CAD

Fase “modellazione”

– Creazione delle superfici NURBS

La procedura descritta finalizzata al trattamentodella documentazione cartacea pregressa prescindedal tipo di software utilizzato e per questo motivo puòessere applicata su qualunque piattaforma.

Fase raster

Una volta selezionati, gli overlay da elaboraresono stati regolarmente scansionati utilizzando unarisoluzione di 300dpi. Tramite programma di fotori-tocco sono state apportate tutte quelle modifiche chepermettono di migliorare la leggibilità di un docu-mento con l’obiettivo di uniformare ciascun disegno.

Ai tratti dei singoli disegni è stato dato maggiorrisalto grazie a opportune regolazioni del contrasto edella luminosità, mentre si è preferito intervenire‘manualmente’ con appositi pennelli per eliminaresbavature della matita o tracce di cancellazione.

È stato adottato uno standard per tutti quegli ele-menti grafici e testuali maggiormente utilizzati daidisegnatori. Pertanto è stata creata una matrice pergli elementi comuni quali le bandierine per indicareil punto di quota, la loro numerazione, la freccia delnord e la formattazione testuale dell’intestazionedegli overlay e della tabella con i valori numerici re-lativi ed assoluti.

Ciascun file è stato successivamente inserito neldatabase Iremas per la rapida consultazione delladocumentazione archeologica del sito di Faragola 2.

Andrea Fratta

2. - Pianta di strato. Dal raster al 3D.

2 Cfr. supra, p. 43.

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Fase vettoriale

Le immagini raster realizzate sono state impor-tate in un ambiente CAD per la successiva vettoria-lizzazione. Una volta importata, l’immagine è statarototraslata e scalata in modo da rivestire la suaesatta collocazione rispetto al sistema di coordinatedella planimetria generale, dopodiché il contornodell’unità stratigrafica è stato ricalcato con una poli-linea tridimensionale, mentre sono stati inseriti deipunti in corrispondenza delle varie bandierine diquota. Il valore sull’asse z di ciascun vertice dellapolilinea e di ciascun punto di quota è stato modifi-cato inserendo le informazioni assolute misurate sulcampo tramite livello ottico.

Questa operazione ha creato non pochi problemi

nell’interpretazione dei rapporti stratigrafici poiché inmolti casi è stato complicato assegnare valori z ai li-miti delle singole US. La ragione di tutto questo varicercata nelle comuni pratiche di rilievo adoperatesul campo. Infatti i disegnatori tendono maggiormentead acquisire le quote dell’interno degli strati trala-sciando quelle sui bordi; ciò comporta una perdita diinformazioni trascurabile nel caso di unità stratigrafi-che caratterizzate da limiti netti (ad esempio quelleche si appoggiano a strutture murarie), ma molto pro-blematica qualora il bordo abbia un andamento irre-golare e sia adagiato al di sopra di uno o più strati.

Nel primo caso è risultato sufficiente assegnarealle quote dei vertici della polilinea i valori dei puntidi quota più vicini, mentre nel secondo si è cercatodi assegnare ai bordi i valori delle quote degli strati

1. Il set di documentazione digitale, le procedure di rilievo e di digitalizzazione

3. - Sovrapposizione delle unità stratigrafiche.

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sottostanti. Sebbene la soluzione proposta sia fruttodi una deduzione soggettiva, è stata ritenuta soddi-sfacente per aver consentito tuttavia un grado di ap-prossimazione accettabile.

Fase modellazione

L’ultimo step ha riguardato la modellazione dellesingole unità stratigrafiche. Ciascun disegno vetto-riale è stato importato in un programma di modella-zione NURBS 3 tramite il quale è stato possibilecreare delle superfici che avessero come limiti ibordi delle unità stratigrafiche e che passassero peri punti di quota posizionati precedentemente in CAD.

La possibilità di infittire le suddivisioni bidi-mensionali U e V ha permesso di migliorare la qua-lità delle superfici nonché l’aderenza agli elementivettoriali originari (polilinea 3D e punti di quota).

Nella stessa scena è stata importata anche la mesh

triangolare della cenatio rilevata tramite laser scan-

ner, con l’obiettivo di monitorare i rapporti fra stratidi terra e unità murarie.

Da subito è emersa l’utilità che la visualizzazionetridimensionale offre come strumento diagnostico.Infatti, la semplice possibilità di muoversi in tutte ledimensioni spaziali - e quindi di superare la costri-zione bidimensionale degli elaborati cartacei qualiplanimetrie e sezioni - consente di cogliere in ma-niera più agevole i rapporti stratigrafici, così come lasuddivisione in layer permette di ripetere virtual-

Andrea Fratta

4. - Sezioni.

3 In questo caso è stato utilizzato Rhinoceros 4.0.

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mente le operazioni di scavo e dunque di compren-dere meglio la lettura diacronica del sito o, meglioancora, di renderla fruibile a terzi (fig. 3).

Grazie a questo processo di ottimizzazione delladocumentazione grafica di scavo è stato possibilerealizzare delle vere e proprie piante di fase 3D dellavilla di Faragola, che sono state successivamente ela-borate dal team di modellazione per essere imple-mentate nella TimeMachine.

In questo approccio la documentazione graficariveste un ruolo fondamentale, soprattutto quandoè l’unica testimonianza rimasta di quel processo ir-reversibile che è lo scavo stratigrafico. Ogni sin-golo overlay può dunque essere la base di partenza

per creare un tassello di una struttura ordinata chepuò senza dubbio ricomporre, seppur nel ‘vir-tuale’, quella irrimediabile perdita di informazioniche un’azione distruttiva come lo scavo comporta.Inoltre la conversione di un elaborato grafico dallacarta ad un formato 3D compliant interattivo puòfavorire l’integrazione di dati acquisiti tramite tec-niche di rilievo diverse dando vita ad uno stru-mento di lettura dei rapporti stratigrafici.

I vantaggi possono essere molteplici: dalla pos-sibilità di ispezionare il modello (virtual surve-

ying) alla creazione di output grafici come lesezioni stratigrafiche (fig. 4), alla verifica della do-cumentazione pregressa.

1. Il set di documentazione digitale, le procedure di rilievo e di digitalizzazione

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L’interazione fra viaggiatore e ambiente virtuale sirealizza guidando l’avatar nello spazio virtuale ed in-teragendo con un pannello di controllo, sempre pre-sente nella finestra di navigazione, dal quale è possibileeffettuare la selezione della scena da visitare, ed uti-lizzare una serie di strumenti di ausilio alla visita (pul-santi help, home, credits).

La realizzazione dell’applicazione ha richiestodiverse fasi di sviluppo, distribuite lungo una road-

map che ha previsto la definizione dell’architetturadell’applicazione, l’implementazione del mondo vir-tuale e infine lo studio dei meccanismi di coinvolgi-mento e delle dinamiche di interazione fra fruitore emondo virtuale (fig. 1).

L’architettura dell’applicazione è stata disegnatain maniera da rispondere all’obiettivo di ottenere unorganismo digitale capace di gestire e rendere fruibiliin realtime dati stratigrafici ed anastilosi virtuali. Lasoluzione individuata è consistita nella costruzionedi un insieme di scene, corrispondenti a diverse espe-rienze di visita virtuale del sito, in grado di garantiresemplicità di gestione sia nell’ingegnerizzazionedella piattaforma di realtà virtuale, che nella rende-rizzazione finale del motore grafico. L’ambiente tri-dimensionale risulta pertanto suddiviso in un livelloprincipale e in dieci scene subordinate, in cui sonocontenuti tutti gli oggetti di scena.

Oltre alle otto scene fondamentali, suddivise

nelle due modalità ricostruttiva e stratigrafica, sonostate realizzate due scene accessorie che garanti-scono l’ingresso (intro) e l’uscita (outro) dall’appli-cazione 1. La prima contiene la sequenza iniziale dislide e il filmato di introduzione, mentre la secondacontiene il trailer di chiusura dell’applicazione.

La definizione dell’architettura della piattaformacon la conclusione del primo step progettuale ha co-stituito la base indispensabile per l’implementazionedel modello virtuale. In seguito, la lunga digitaliz-zazione del record archeologico condotta attraversogli ambienti di sviluppo più diversi, si è tradotta nellamodellazione di tutte le entità digitali differenti, con-fluenti nella redazione dell’apparato scenografico fi-nale del mondo virtuale, per un totale complessivo di3217 oggetti ascrivibili a diversi tipi:

– modelli architettonici tridimensionali: tutti glioggetti che compongono l’ambientazione ar-chitettonica dell’applicazione, come l’edificioe le suppellettili afferenti all’arco cronologicoprescelto (il world environment), il paesaggio ei totem informativi;

– stratigrafia archeologica;– character: 20 personaggi NPC (not player cha-

1 Cfr. supra, p. 51.

2.Il level design

di Lorenzo Baldassarro

1. - le scene dell’applicazione.

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racter), gestiti direttamente dall’applicazionee 1 PC (player character) guidato dall’utente;

– metadati multimediali: le immagini raster peri pannelli informativi e il pannello di controllo,il filmato per il trailer di chiusura, il sound e glieffetti ambientali;

– oggetti di scena quali le camere virtuali.

Disegnata la scenografia del modello virtuale, illavoro successivo è stato scandito dalla definizionedegli attributi comportamentali sia da un punto divista grafico che relativamente all’evento di gioco. Inparticolare tutti gli oggetti importati (ad eccezione deimetadati) sono stati ottimizzati con l’applicazionedegli shader, con l’attribuzione di comportamenti par-ticellari, con la creazione di un sistema dinamico diilluminazione e con il conferimento di particolari con-dizioni quali ad esempio la collisione.

Nella fase di ottimizzazione grafica è stato pos-sibile introdurre più sfumature, e impostare un ap-parato grafico realistico. Attraverso la programma-zione degli shader sono state caratterizzate le qualitàfisiche dei materiali che compongono gli oggetti tri-dimensionali. Si pensi ad esempio ai lembi d’into-naco presente sui muri perimetrali della cenatio nellascena 3, al legno delle porte delle scene 1 e 2 o piùsemplicemente alle vesti indossate dai character

nelle varie scene ricostruttive. Attraverso l’attribu-zione di comportamenti particellari sono stati inveceanimati gli eventi legati a particolari oggetti, come lefiamme delle lucerne, il prodotto dell’attività di com-bustione per il crogiolo della scena 3, il sottile stratodi vapore acqueo che caratterizza il caldarium, l’ac-qua nel piano centrale della cenatio della scena 2 equella presente in alcuni vani delle terme. Infine la re-dazione di un sistema dinamico di illuminazione haconsentito l’ottimizzazione dell’avatar con l’ombrarelativa, conferendo ‘veridicità’ ai movimenti e un re-lativo realismo percettivo.

Terminata l’ottimizzazione grafica, si è confe-rita agli oggetti destinati all’interazione con l’ava-

tar la particolare condizione della collisione, chesottende agli specifici comportamenti prodotti dalloscontro tra due entità nello spazio, in base a para-metri quali posizione, massa, velocità ecc. A talproposito il sistema è stato utilizzato per la sola de-

finizione delle superfici soggette all’urto con l’ava-

tar, ottenendo di conseguenza il naturale design deipercorsi esplorabili dall’utente. L’implementazionedel modello tridimensionale è stata ultimata conl’inserimento e il posizionamento delle camere vir-tuali nelle scene.

Un’applicazione di realtà virtuale, in quanto ‘ri-proposizione’ del reale, sottintende l’emulazione ditutte le dinamiche relazionali fra esseri animati e ina-nimati riconducibili al principio guida di causa ed ef-fetto: sono gli eventi, ovvero tutto ciò che poten-zialmente potrà realizzarsi nel mondo virtuale.Questo principio ha guidato l’intera progettazionesia architettonica che strutturale della piattaforma.Una volta determinata l’architettura della piatta-forma, la parte più impegnativa dell’intera fase del-l’implementazione è consistita infatti nella defini-zione di tutte le dinamiche che scaturiscono nelmondo virtuale. Si è realizzato uno scene-graph

unitario, capace di gestire attivamente tutti gli eventi,da quelli generali che si determinano dal livelloprincipale dell’applicazione a quelli specifici di ognisingola scena. All’avvio dell’applicazione si attivauno script di livello, detto start, che inviando leistruzioni allo script di scena (intro) lancia la scenarelativa e il sound di sottofondo. Quest’ultimo, nelcontrollare la sequenza delle slide, rimane inattivofino a quando l’utente risponde agli input video (ov-vero i clic sui pannelli di introduzione); a questopunto si attiva il secondo script di scena (rendering

video), che avvia il controller dell’avatar e dà inizioalla riproduzione della sequenza filmica introduttiva,proiettando l’utente nella scena 2. Da questo mo-mento la consequenzialità verticale dello script la-scia il posto all’attivazione orizzontale di tutti icomportamenti collegati agli oggetti presenti nellascena stessa. Si attiveranno quindi lo script per ilcontrollo delle collisioni, per il controller dell’ava-

tar e delle sue animazioni interne ed esterne (ad es.l’ombra), per il funzionamento dell’interfaccia di na-vigazione (lo switch temporale), per la gestione de-gli eventi connessi ai totem e alle camere, e infinedegli effetti particellari. L’ultimo modulo di con-trollo generale (scene-graph outro), richiamabile daqualsiasi punto della navigazione, prevede la chiu-

Lorenzo Baldassarro

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sura dell’applicazione con l’interruzione del sound

attivato e della navigazione, e l’avvio del trailer, alcui termine riprenderà il macro evento ciclico delloscene-graph start.

La maggior parte dei microeventi che consentonoil funzionamento della TimeMachine sono ricondu-cibili ad una sola istruzione, come per i sistemi par-ticellare o fluidodinamico.

Pannello di navigazione

Presente nelle due modalità di visualizzazione,l’interfaccia agisce grazie ad una serie di script legatialle aree interattive (pulsanti) e a quelle statiche (di-

splay e minimap di navigazione). Lo switch temporale si basa sull’evento lineare,

secondo cui al clic del pulsante relativo corrispon-dono una serie di istruzioni che consentono il ri-mando automatico alla scena prescelta. Inparticolare viene lanciata la scena e attivati gli og-getti basilari all’esplorazione dell’ambiente come lacamera di navigazione (follow cam) che accompa-gna l’avatar e l’audio, mentre, simultaneamente,viene inviato al display il comando di loading dellatexture che sintetizza graficamente l’anno e la mo-dalità di visualizzazione. Questa logica guida ancheil tasto credits, la cui azione si concretizza nell’in-terruzione dei processi in atto (audio, navigazioneecc.) e nell’invio alla scena pertinente con il carica-mento del trailer.

Un sistema analogo, ma con specifiche varianti,è stato adottato per il funzionamento del tasto home.Esso è stato concepito per garantire all’utente, incaso di perdita dell’orientamento, il ritorno allascena iniziale del viaggio.

Al contrario il tasto help si fonda sul dualismo lo-gico di ‘mostrare - nascondere’ un oggetto; nel no-stro caso, la scheda di guida in linea o aiuto, chefisicamente è sempre presente in tutte le scene navi-gabili, pur non essendo visibile.

La minimap di ausilio alla navigazione è compo-sta da una camera virtuale posta perpendicolarmenteall’avatar, che proietta in tempo reale sul display dinavigazione gli spostamenti del personaggio nel-l’ambiente.

Totem e camere virtuali

Nel mondo virtuale i totem assolvono alla du-plice funzione di attivare le schede informative e ilsistema di camere virtuale, attraverso il semplicecontatto con l’avatar. Nel caso delle schede,l’evento riprende il dualismo logico che contraddi-stingue il tasto help, con le istruzioni ‘aggiungere’e ‘rimuovere’ l’oggetto dalla scena, accompagnatoda un apposito comando per la rotazione del totem

su se stesso. In alcuni casi l’evento di apertura dellascheda innesca l’attivazione di una camera speci-fica. Per evitare inutili ridondanze lo scene-graph

del totem è stato integrato con l’istruzione di avviodella cam.

Controller e animazione dell’avatar

La gestione dei comportamenti dell’avatar pre-suppone l’esecuzione di molteplici eventi, chevanno dalle animazioni cicliche proprie del perso-naggio al controllo tramite le periferiche più diversee all’esecuzione della follow cam. Uno scene-

graph, principale regola le istruzioni fondamenta-li del ciclo di animazione, quali lo spostamento nel-lo spazio, il riconoscimento delle superfici, l’om-bra, il controllo da tastiera e da joystick, la defini-zione dei tasti per la navigazione. All’interno del-lo stesso blocco, una serie di comandi distinti ge-stisce l’evento del sound dei passi, sincronizzandoloal movimento dell’avatar, e il richiamo dello sce-

ne-graph per l’uso esclusivo del joystick. Sebbenenon gestito direttamente dallo scene-graph del-l’avatar, va menzionato il funzionamento della fol-

low cam, ossia della camera virtuale principale chesegue il personaggio dalle sue spalle, consentendoall’utente, difatti, la navigazione nel modello vir-tuale.

Lo scene-graph ideato gestisce il comportamentodella camera, che si sposta nello spazio, seguendo laschiena dell’avatar, a cui è collegata, mantenendosi aduna distanza costante da esso. Infine una serie di istru-zioni distinte regola l’effetto della transizione nel pas-saggio da una scena all’altra.

2. Il level design

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Animazione dei character

I character implementati sono animati general-mente da una sola istanza che ripropone ciclicamentele dinamiche definite in fase di modellazione. Visono casi, tuttavia, in cui la realizzazione di un par-ticolare evento (come il passaggio periodico deglianimali nella scena 3) ha richiesto la redazione diuno scene-graph più articolato.

Interfaccia utente e pannello di controllo

L’interazione fra il viaggiatore e l’applicazioneavviene principalmente attraverso l’uso della tastierae del mouse. Nella scelta del controller, le periferi-che di navigazione presenti sul mercato (tastiere,mouse, control pad, joystick) offrono sicuramente unventaglio di possibilità tale da permettere la realiz-zazione di sistemi di esplorazione sempre più arti-colati. Se da un lato questa caratteristica giova a chiè abituato a interagire con i sistemi di realtà virtuale,dall’altro nega la possibilità di interazione a chi taleesperienza non l’ha mai maturata o a cui è stata ne-gata a causa di deficit fisici. Queste riflessioni hannoindotto alla progettazione di un sistema di naviga-zione che risultasse il più fluido possibile, cercandoallo stesso tempo di soddisfare gli utenti più esigenti.

La navigazione è garantita, a discrezione del-l’utente, da due differenti moduli, che sottintendonodiversi device. Nel primo modulo è previsto l’uti-lizzo della tastiera con le sue frecce direzionali per ilcontrollo dell’avatar, e il mouse per l’interazionecon il pannello di controllo, mentre nel secondo tuttii comandi di gioco sono sintetizzati in un solo con-

trol pad a 10 tasti. La visuale in terza persona è stataintegrata con l’articolazione di un sistema di regia,realizzato in modo tale da conservare una semplicitàdi accesso alle diverse vedute, e da evitare il ricorsoalla macchinosa combinazione di tasti o a sistemi dinavigazione complessi.

La visita viene assistita da un pannello di con-trollo bidimensionale, vero cuore dell’applicazione(fig. 2). Posto sulla sinistra del monitor è idealmentediviso in quattro aree con diverso grado di interatti-vità: dall’alto verso il basso si riscontra un piccolo di-

splay in nero che fornisce le indicazioni cronologi-che e le modalità di visualizzazione. La parte centralepresenta i pulsanti che consentono l’accesso allequattro fasi cronologiche divise nelle due modalità ri-costruttiva e stratigrafica. Subito al di sotto unamappa di navigazione aggiorna in tempo reale laposizione dell’utente nell’ambiente, favorendo il suoorientamento. Infine tre piccoli pulsanti rettangolari,posti nell’area inferiore del pannello di controllo,permettono al viaggiatore di uscire dall’applicazione(e di visionare il filmato sui credits), di accederealla guida in linea, e infine di ritornare in qualsiasimomento all’inizio del viaggio, all’ingresso dellavilla nel 450 d.C.

L’intero viaggio è scandito da 38 totem (fig. 3),disseminati secondo un disegno preciso nel mondovirtuale, che forniscono lenozioni indispensabili perguidare il viaggiatore nelsuo itinerario di apprendi-mento. Collocati in puntistrategici, i totem possonoessere considerati entità deltutto decontestualizzate ri-spetto al mondo virtuale incui sono immersi, caratte-rizzati da una forma e unostile non riconducibile aimodelli presenti nella villa.Essi attirano l’attenzionedell’utente, spingendolo adavvicinarsi ad essi, e con ilsolo contatto innescanol’apertura di schede infor-mative di approfondimento,assolvendo alla duplice fun-zione di informare e guidareidealmente il viaggiatore neipossibili percorsi realizza-bili, soprattutto per le scenepiù complesse (1 e 2).

La navigazione, consen-tita attraverso una camerain terza persona, è stata ar-ricchita da un articolato si-

Lorenzo Baldassarro

2. - il pannello di con-trollo.

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stema di 28 virtual cam (fig. 3), che guidanol’utente nella percezione spaziale del mondo vir-tuale, assistendolo simultaneamente nel tracciare ilsuo percorso.

Collocate in punti strategici delle scene (fig. 4),

selezionati in base a precise valutazioni sul messag-gio che si intende comunicare, azionate in manieradinamica attraverso il contatto dell’avatar con unpiano o con un totem, il loro reticolo riflette la vo-lontà di realizzare una linea di regia ideale che ga-

2. Il level design

3. - i totem.

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rantisca all’utente la piena fruizione dei modelli intutti i loro dettagli.

Le diverse vedute che si riscontrano nelle scene ri-costruttive focalizzano l’attenzione del viaggiatoresugli aspetti architettonici più interessanti, traduconovisivamente le schede informative presenti lungo ilpercorso, e permettono di leggere più facilmente l’ar-ticolazione del complesso rurale, con i suoi spazispesso estremamente angusti, come nel caso del quar-tiere termale, o dell’area produttiva innestata nell’alanord nel portico della cenatio del 600 d.C (scena 3).

Nella modalità stratigrafica, al contrario, le ca-mere permettono di cogliere il cantiere archeologico

in tutta la sua interezza, mettendone in risalto la se-quenza stratigrafica, così come è stata evidenziatadurante la ricerca archeologica sul campo. Il viag-giatore, infatti, mantenendo la stessa ubicazione spa-ziale e attraverso lo switching temporale, potràosservare la nascita e l’evoluzione del deposito ar-cheologico.

Navigazione

L’applicazione si avvia con la sequenza di slide

che accolgono l’utente al suo arrivo nel mondo vir-tuale, finalizzata a sintetizzare la storia del contesto

Lorenzo Baldassarro

4. - alcuni esempi dei punti di vista delle camere.

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2. Il level design

archeologico e fornire indicazioni utili relative ai co-mandi della TimeMachine. L’ultima schermata in-troduttiva lascia il posto ad un breve filmato,realizzato attraverso la tecnica del tracking-camera,che introduce l’osservatore nella scena 2. Con unaplongée dall’alto, la camera lentamente plana sullavilla, inquadrando in tutta la sua estensione l’edificioe il paesaggio agrario circostante. Con la fine del fil-mato introduttivo inizia la vera e propria esperienzadi visita; da questo momento in poi, l’utente è arte-fice del proprio percorso conoscitivo e interpreta-tivo.

Suoni

Nell’esplorazione delle scene la partecipazionedell’utente non è assicurata solamente dagli stimolivisivi. Difatti, un’applicazione di VR consente mo-dalità diverse di approccio percettivo e interattivocon i contenuti di un’opera comunicativa. Nel casospecifico si è tentato di ‘trasportare’ il più possibilel’esploratore nel suo viaggio virtuale, coinvolgendosensi diversi dalla vista, come l’udito.

L’implementazione del sound all’interno delmondo virtuale ha seguito una duplice via:

– una musica di sottofondo accompagna costan-temente il viaggiatore durante la navigazione,adattandosi naturalmente alle diverse espe-rienze riscontrabili nelle relative fasi cronolo-giche;

– un’architettura sonora multidirezionale gestiscegli effetti ambientali, garantendo all’utente unadifferente percezione del suono rispetto allasua fonte acustica. Questa tecnologia permetteuna immersività maggiore, e facilita la rievo-cazione di aspetti del vivere quotidiano, e lapercezione di tutte quelle ‘sfumature di vita’ re-lative all’arco cronologico visitato. Si pensi, adesempio, al ruscellare delicato che accompagnail cammino dell’acqua presente nella cenatio ri-costruita del 450 d.C., al cinguettio esterno chemodera l’incessante brusio conviviale del 400e del 450 d.C., al costante tintinnio metallicodel lavoro del fabbro che si alterna al belare os-sessivo degli animali dell’ovile nel 600 d.C. oal vento assordante nella scena del 700 d.C.Essi rappresentano tutti casi in cui il suono di-venta più chiaro o più sfumato a seconda dellaposizione assunta dall’avatar rispetto alla fontestessa.

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Presentazionedi Giuliano Volpe 7

Introduzione 11

1. Lo scavo archeologico fra archeografia digitale e fruizione virtuale 17

Registrare la distruzione, 20

Ricomporre i frammenti, 23

Raccontare l’incertezza, 28

2. La TimeMachine 33

Il metodo, 33

La costruzione del prototipo, 35

Il rilievo e la documentazione tridimensionale, 42

Il mondo virtuale, 49

Le scene ricostruttive, 52

Le scene stratigrafiche, 58

I modelli, 60

I rivestimenti, 67 - Avatar e personaggi, 74 - Le luci, i suoni e lo stile, 79

La navigazione, 85

3. Verso un’archeologia digitale 89

Affascinati dalle tecnologie, 89

Guidati dalle metodologie, 92

Passato e futuro, 99

Appendice: Materiali 103

1. Il set di documentazione digitale, le procedure di rilievo e di digitalizzazionedi Andrea Fratta 105

2. Il level design

di Lorenzo Baldassarro 111

Bibliografia 119

Indice

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Finito di stampare mel mese di ottobre 2012da ARTI GRAFICHE FAVIA SRL in Modugno (BA)

per conto di EDIPuGLIA SRL, Bari-S.Spirito

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1 TecnoLogIA dI LAVorAzIone e IMPIeghI deI MAnufATTI

Atti della 7a giornata di archeometria della ceramica (Lucera, 10-11 aprile 2003)

a cura di Bruno Fabbri, Sabrina Gualtieri, Giuliano Volpe

Ed. 2005, f.to 21x30, pp. 156, ill. b/n, bross. € 40,00

2Le cAnAL d’oTrAnTe

eT LA MédITerrAnée AnTIque eT MédIéVALeédité par Elizabeth Deniaux

Ed. 2005, f.to 21x30, pp. 108, ill. b/n, bross. € 30,00

3Daniela LiberatoreALBA fucenS

Studi di storia e di topografia Ed. 2005, f.to 21x30, pp. 184, ill. col. e b/n., bross. € 42,00

4PAeSAggI e InSedIAMenTI rurALI

In ITALIA MerIdIonALe frA TArdoAnTIco e ALToMedIoeVo

Atti del Primo Seminario sul Tardoantico e l'Altomedioevo in Italia meridionale (foggia 12-14 febbraio 2004)

Ed. 2006, f.to 21x30, pp. 720, ill. b/n., bross. € 80,00

5STudI In onore dI frAnceSco greLLe

a cura di Marina Silvestrini, Tullio Spagnuolo Vigorita,

Giuliano Volpe

Ed. 2006, f.to 21x30, pp. 352, ill. col. e b/n., bross. € 50,00

6Daniela Liberatore, Maria José Strazzulla

fucInoStudi sulla cultura figurativa

Ed. 2007, f.to 21x30, pp. 134, ill. col. e b/n., bross. € 50,00

7SuBurBIo dI roMA

unA reSIdenzA ProduTTIVA Lungo LA VIA corneLIA

a cura di Maria Luisa Marchi, Fiorenzo Catalli

Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 150, ill. b/n. e col., 1 Tav., bross. € 50,00

8STorIA e ArcheoLogIA deLLA dAunIA

In ricordo di Marina MazzeiAtti delle giornate di Studio (foggia, 19-21 maggio 2005) a cura di Giuliano Volpe, Maria José Strazzulla, Danilo Leone

Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 516, ill. b/n., bross. € 65,00

9Maria Aprosio

ArcheoLogIA deI PAeSAggI A BrIndISIdALLA roMAnIzzAzIone AL MedIoeVo

Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 384, ill. b/n., bross. € 50,00

10 ordonA XI.

rIcerche ArcheoLogIche A herdonIAa cura di Giuliano Volpe, Danilo Leone

Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 608, ill. b/n e 8 tavv. col., bross. € 70,00

11L’InforMATIcA e IL MeTodo deLLA STrATIgrAfIA

Atti del Workshop (foggia 6-7 giugno 2008)a cura di Giuliano De Felice, Maria G. Sibilano, Giuliano Volpe

Ed. 2008, f.to 21x30, pp. 188, ill. b/n., bross. € 40,00

12fArAgoLA 1

un InSedIAMenTo rurALe neLLA VALLe deL cArAPeLLe.

rIcerche e STudIa cura di Giuliano Volpe e Maria Turchiano

Ed. 2010, f.to 21x30, pp. 334, ill. col. e b/n., bross. € 50,00

13Riccardo Di Cesare

INTERAMNA PRAETUTTIANORUMScuLTure roMAne e conTeSTo urBAnoEd. 2010, f.to 21x30, pp. 232, ill. col. e b/n., bross. € 50,00

14PAeSAggI e InSedIAMenTI urBAnI

In ITALIA MerIdIonALefrA TArdoAnTIco e ALToMedIoeVo

Atti del Secondo Seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia Meridionale (foggia - Monte Sant'Angelo 27-28 maggio 2006)

a cura di Giuliano Volpe e Roberta Giuliani

Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 382, ill. b/n., bross. € 55,00

15VIe degLI AnIMALI, VIe degLI uoMInI

Transumanza e altri spostamenti di animali nell’europa medievale

Atti del Secondo Seminario Internazionale di Studi “Gli animali come culturamateriale nel Medioevo” (Foggia, 7 ottobre 2006)

a cura di Giuliano Volpe, Antonietta Buglione e Giovanni De Venuto

Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 148, ill. b/n., bross. € 40,00

16Roberto Goffredo

AUFIDUS STorIA, ArcheoLogIA e PAeSAggI

neLLA VALLe deLL'ofAnToEd. 2011, f.to 21x30, pp. 350, ill. b/n., bross. € 55,00

17VAgnArI

Il villaggio, l’artigianato, la proprietà imperialeThe village, the industries, the imperial property

a cura di Alastair M. SmallEd. 2011, f.to 21x30, pp. 488, ill. b/n., bross. € 60,00

18LA cAPITAnATA e L’ ITALIA MerIdIonALe neL SecoLo XI

dA BISAnzIo AI norMAnnIAtti delle II giornate Medievali di capitanata

(Apricena, 16-17 aprile 2005)a cura di Pasquale Favia e Giovanni De Venuto

Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 296, ill. b/n., bross. € 40,00

19ArcheofoSS

open source, free software e open formatnei processi di ricerca archeologica

Atti del V Workshop (Foggia, 5-6 maggio 2010)a cura di Giuliano De Felice e Maria Giuseppina Sibilano

Ed. 2011, f.to 21x30, pp. 192, ill. b/n., bross. € 40,00

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