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325 La raccolta di epigrafia romana, della quale Maurizio Buora e Christof Flügel ci propongono una significativa scelta, è custodita a San Martino al Tagliamento in un edificio che risale al XVII secolo. Esso rappresenta la foresteria d’un complesso (in origine ben più vasto) che apparteneva ai Cernazai, facoltosa famiglia udinese di origine carnica arricchitasi con il commercio del legname. La conservazione della collezione, ora murata nella raccolta penombra di un piccolo portico, si deve a don Alberto Cassini (1848-1932), sacerdote dai versatili interessi, la sua formazione invece a Francesco Cassini (1758- 1834), gentiluomo colto ed eclettico. Ambedue coltivarono quell’amore per l’antico che fin dal Rinascimento fu palestra privilegiata per ogni vera formazione intellettuale. Sia pure da una specola provinciale s’accomunavano a tanti raffinati “connaisseurs”, artisti ed intellettuali che da secoli (ma soprattutto nel Settecento) solcavano l’Italia in una sorta di viaggio iniziatico alle fonti del sapere e della bellezza. Conosciamoli più da vicino. Parroco di Sedrano per oltre cinquant’anni, don Alberto Cassini riuscì a secondare in «orgogliosa solitudine» i suoi interessi di vorace collezioni- sta. Tessé una fitta trama di rapporti epistolari: era legato da cordiale con- suetudine a Ernesto Degani (1841-1922) canonico del capitolo della catte- drale di Concordia, eminente figura di prelato e di storico. Sua è un’esau- stiva opera sulla diocesi di Concordia, compendio di tante lunghe e labo- riose ricerche archivistiche. Appassionato bibliofilo pré Alberto tenne corrispondenza con Vincen- zo Joppi (1824-1900) singolare figura di erudito al quale è dedicata la Bi- blioteca Civica di Udine e con lo storico Giuseppe Vale (1877-1950). Fu anche un convinto divulgatore delle nuove tecniche agrarie che sperimen- tava anzitutto nei propri fondi. Negli anni Ottanta dell’Ottocento recuperò a Zoppola queste iscrizio- ni dal dismesso oratorio di San Marco in Villa Romana. Le aveva murate sessant’anni prima lungo il perimetro esterno di quell’edificio un altro membro della famiglia, Francesco Cassini. UNA IMPORTANTE COLLEZIONE PRIVATA DI EPIGRAFI ROMANE DA AQUILEIA Maurizio Buora, Christof Flügel, Fernanda Puccioni
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Una importante collezione privata di epigrafi romani da Aquileia

Jan 23, 2023

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Roland Linck
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La raccolta di epigrafia romana, della quale Maurizio Buora e Christof Flügel ci propongono una significativa scelta, è custodita a San Martino al Tagliamento in un edificio che risale al XVII secolo. Esso rappresenta la foresteria d’un complesso (in origine ben più vasto) che apparteneva ai Cernazai, facoltosa famiglia udinese di origine carnica arricchitasi con il commercio del legname.

La conservazione della collezione, ora murata nella raccolta penombra di un piccolo portico, si deve a don Alberto Cassini (1848-1932), sacerdote dai versatili interessi, la sua formazione invece a Francesco Cassini (1758-1834), gentiluomo colto ed eclettico.

Ambedue coltivarono quell’amore per l’antico che fin dal Rinascimento fu palestra privilegiata per ogni vera formazione intellettuale. Sia pure da una specola provinciale s’accomunavano a tanti raffinati “connaisseurs”, artisti ed intellettuali che da secoli (ma soprattutto nel Settecento) solcavano l’Italia in una sorta di viaggio iniziatico alle fonti del sapere e della bellezza.

Conosciamoli più da vicino.Parroco di Sedrano per oltre cinquant’anni, don Alberto Cassini riuscì

a secondare in «orgogliosa solitudine» i suoi interessi di vorace collezioni-sta. Tessé una fitta trama di rapporti epistolari: era legato da cordiale con-suetudine a Ernesto Degani (1841-1922) canonico del capitolo della catte-drale di Concordia, eminente figura di prelato e di storico. Sua è un’esau-stiva opera sulla diocesi di Concordia, compendio di tante lunghe e labo-riose ricerche archivistiche.

Appassionato bibliofilo pré Alberto tenne corrispondenza con Vincen-zo Joppi (1824-1900) singolare figura di erudito al quale è dedicata la Bi-blioteca Civica di Udine e con lo storico Giuseppe Vale (1877-1950). Fu anche un convinto divulgatore delle nuove tecniche agrarie che sperimen-tava anzitutto nei propri fondi.

Negli anni Ottanta dell’Ottocento recuperò a Zoppola queste iscrizio-ni dal dismesso oratorio di San Marco in Villa Romana. Le aveva murate sessant’anni prima lungo il perimetro esterno di quell’edificio un altro membro della famiglia, Francesco Cassini.

una ImPortante collezIone PrIvata dI ePIgraFI romane da aquIleIa

Maurizio Buora, Christof Flügel, Fernanda Puccioni

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Era questi un singolare personaggio: sedotto dapprima dal “new deal” illuminista e quindi acceso fautore della meteora napoleonica. Resta di lui un bel ritratto opera dell’udinese Odorico Politi.

Ebbe spesso occasione, ospite di amici, di recarsi ad Aquileia, accom-pagnato talora dal nipote don Nicolò Aprilis (1802-1885) che poi diverrà arciprete del duomo di Pordenone (il suo busto è collocato sopra la porta laterale del transetto). Fu lì che, tramite il vicario di San Martino di Terzo, recuperò un piccolo corredo di reperti, che trasferì nella Villa Romana di Zoppola.

Pre’ Alberto incrementò la collezione con altri pezzi provenienti da Concordia ove manteneva amichevoli rapporti con le famiglie Perulli e Muschietti.

Sicuramente dal sepolcreto Perulli proviene il coperchio acroteriato di sarcofago tuttora conservato a San Martino.

Questi versatili interessi collezionistici traspaiono da un codicillo testa-mentario del 14 giugno 1929, con cui legò al nipote avvocato Augusto «il nostro compendietto di antichità: monete, bronzi, marmi epigrafi et varia fictilia».

Un cippo lo ricorda nella tomba di Zoppola come «memorialista e bibliofilo» accanto al fratello Francesco «fervido cospiratore negli anni del patrio riscatto».

Augusto Cassini (1886-1969) trasferì quel corredo archeologico – come ricorda una lapide del 1954 – nella casa di San Martino al Tagliamento dove fu inventariato da Giuseppe di Ragogna (1902-1970).

Timido, appartato, scontroso il conte di Ragogna era uno di quegli uomini spigolosi ed amari vocati alla solitudine, che non inducono alla confidenza. La fama, non il successo sempre avaro con gli uomini di cultu-ra, non lo aveva ancora consacrato.

Batteva il territorio alla spasmodica ricerca delle «più antiche testimo-nianze» e ne ricavò anche un libro. Se ne veniva dunque spesso a San Martino a curiosare nel piccolo lapidario dei Cassini o a rovistare fra i ruderi di vecchi edifici.

Da una parete dell’antico oratorio di Sant’Antonio ad Arzenutto recu-però l’affresco di San Rocco, presumibile opera di Pietro da San Vito, che tuttora si conserva murato nell’androne del castello di Torre.

Fu sempre lui, quando sbucciarono le pareti dell’antica chiesetta di San Filippo e Giacomo, a scoprirvi parecchi laterizi frammentati d’età romana, come d’epoca tardoromana era il sepolcreto emerso lì nei pressi qua-rant’anni or sono.

Dell’antichità di quei luoghi restano numerose tracce: fra queste l’an-

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tico sacello triviale di Santa Fosca, che come quello di Sant’Elena a Valva-sone, segnava una tappa d’obbligo per chi percorreva le strade della centu-riazione. Oggi, ricollocato a poca distanza lungo il perimetro di casa Cassi-ni, accoglie un affresco del sanvitese Agostino Pantaleoni, una Madonna col Bambino dalla fresca e rustica intonazione tiepolesca.

Nella campagna intorno al paese, nascoste da una vegetazione inselva-tichita e affossate rispetto al piano dei coltivi, le strade della centuriazione romana (spesso semplici tratturi) costituiscono superstiti testimonianze – non sempre immediatamente leggibili, ma pur sempre ancor rilevabili – della bimillenaria colonizzazione di queste terre.

Fernanda Puccioni

1. Iscrizione su blocco calcareo probabilmente appartenente a un monumento a dado, alto cm 80x93, spessore almeno 8 cm (murata) (fig. 1).Lettere alte nella riga 1: 9,5 cm; T longa 11,5 cm; riga 2: 8,5 cm; riga 3: 7,5 cm; riga 4: 8,0 cm; I longa 9,5 cm; riga 5: 8,0 cm.Materiale: calcare di Aurisina.Testo: Sex(tus) Cloatius / G(ai) f(ilius) Maec(ia tribu) / Gracchus, / primip(ilus) leg(ionis) / XIIX.Nella prima riga T longa e nella quarta I longa.Provenienza: da Aquileia.Datazione: seconda metà del I sec. a.C. (ante 9 d.C.)

1.

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L’iscrizione di cinque righe con lettere regolari si trova su una lastra di calcare fossilifero di Aurisina, che dal primo terzo del I secolo a.C. nell’Ita-lia settentrionale fu utilizzato anche per sculture1.

Il testo non ha punti separativi. Il nome del defunto compare al nomi-nativo, come nelle più antiche iscrizioni funerarie di Aquileia. Degno di nota il cognomen Gracchus nella forma con la H che compare ad es. anche nei noti termini Gracchani2. Da notare la presenza della lettera G per indi-care il prenome Gaius, che non ha per ora altre attestazioni in Aquileia. Il testo, dunque, pur nella sua semplicità, presenta elementi di arcaismo.

Il gentilizio Cloatius sarebbe originario dell’Italia meridionale, come in-dica anche la tribus Maecia, tribus rustica fondata nel 332 a.C.. Il Mommsen cita una forma greca Klovatios con digamma che richiama il gentilizio Clova-tius presente a Pompei nella Casa del Labirinto3. Per lo Schulze sarebbe di origine campana o capuana4. Il gentilizio, che trova confronti con forme pre-senti dell’Umbria, pare affine ad altri che compaiono nelle forme Clovatius, Cloventius, Cluatius (ad es. a Canosa), Cluatius, Cluentius, Cluventius5. È noto il grammatico Cloatius Verus che pare sia vissuto nella prima età augustea6.

Troviamo un Numerius e un Marcus Cloatius nella Laconia, precisamente a Gythion, impegnati nel 74-71 a.C. in operazioni di prestito all’esercito di Mar-co Antonio nel corso della sua guerra contro i pirati. Tuttavia non è sicuro se la gens Cluatia attestata a Knossos sia identica a quella indicata a Gythion7.

1 S. voGT, Kalksteinskulpturen in Norditalien, in Romanisation und Resistenz in Plastik, Architektur und Inschriften der Provinzen des Imperium Romanum. Neue Funde und Forschungen, Akten des VII Internationalen Colloquiums über Probleme des Provin-zialrömischen Kunstschaffens (Köln, 2-6 maggio 2001), a cura di P. noeLke, f. nau-mann-STeCkner, b. SChneider, Mainz 2003, 669-678.

2 Editi in ILLRP, 467-475.3 T. mommSen, Die unteritalischen Dialekte, Leipzig 1850, 270; F. münZer, Cloatius, in

Realencyclopädie der Classischen Altertumswissenschaft, IV.1, Claudius mons bis Cor-nificius a cura di a.f. von PauLy, rev. G. wiSSowa, München-Stuttgart,1900, 61. Sulla Casa del Labirinto cfr. V.M. STroCka, Casa del Labirinto, München 1991 (“Häuser in Pompeji”, 4); f. PeSando, M.P. GuidobaLdi, Gli ozi di Ercole. Residenze di lusso a Pompei ed Ercolano, Roma 2006, 87-96.

4 W. SChuLZe, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlin 1904 (=Hildesheim 1991), 483.

5 M.V. baLdwin bowSky, Of two tongues: acculturation at Roman Knossos, in Colonie romane nel mondo greco, a cura di G. SaLmeri, a. raGGi, a. baroni, Roma 2004, 94-150: 110.

6 Cit. da auLuS GeLLiuS, Noctes Atticae, XVI, 2 e A.T. maCrobiuS, Saturnalia, III, 19.6. Cfr. Prosopographia imperii romani saec. I, II, III, II, Berlin-Leipzig 19362, 273, n. 1150.

7 M.V. baLdwin bowSky, Of two tongues, 110.

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Dei Clovatii compaiono a Capua tra la popolazione preromana fin dal IV secolo a.C.8 e altri della stessa gens vivono a Pompei prima dei Romani, in epoca augustea e anche dopo: alcuni qui sono considerati mercanti di vino9.

Degna di nota la menzione della tribù Maecia. Essa deriva, forse, il suo nome dal castrum Maeciae di cui parla Festo10, che sembra concordare con una notizia di Livio. Comprendeva le città di Lanuvio, Napoli, Reggio, Brindisi, Canosa, Paestum, il territorio dei Praetutii, Hatria e Libarna11.

La forma abbreviata primip(ilus) non ha in sé valore cronologico, in quanto compare anche alla metà del III secolo d.C.12.

Storia della diciottesima legione

Ci furono più legioni che portarono il nome di XVIII, fin dal tempo di Cesare13. Non è ben chiaro come funzionasse il sistema di numerazione delle legioni nel periodo tardo repubblicano e vi è chi ha supposto che il numerale che le indicava potesse cambiare ogni anno oppure che i numeri delle legioni procedessero in senso antiorario, con i primi quattro riservati ai consoli, i numeri più bassi alla parte occidentale e i più alti a quella orientale del mondo romano14. Una legione XIIX combatté con Publio

8 G. d’inSanTo, Capua romana: ricerche di prosopografia e storia sociale, Roma 1993, 107.9 M. CébeiLLaC-GervaSoni, Les magistrats des cités italiennes de la seconde guerre

Punique à Auguste: le Latium et la Campanie, Roma 1998, 113, 147, 185.10 Maecia tribus a quodam castro sic appellatur. Sembra che esso fosse nell’agro romano

tra Praeneste e Tibur.11 E. TodiSCo, I veterani in età imperiale, Bari 1999, 42. Per Libarna cfr. CIL, V, 7425,

7430.12 Cfr. Inscriptiones Hispaniae Latinae, a cura di a. hubner, Berlin 1869, n. 1167. 13 Questi trascorse l’inverno del 59/58 presso Aquileia con tre legioni, come riportato

nel De bello gallico, I, 10: (Caesar legiones) tres quae circum Aquileiam hiemabant ex hibernis educit; cfr. A. CaLderini, Aquileia romana. Ricerche di storia e di epigrafia, Milano 1930, 28-29. Esse furono probabilmente la VII, la VIII e la IX (L.J.f. kePPie, The Making of the Roman Army from republic to Empire, London 1998, 81). Lo stesso Cesare è presente in Aquileia anche nell’inverno 57-56 come attesta un’ora-zione di Cicerone (In Vatinium, 38: C. Caesarem nuper Aquileiae; cfr. A. CaLderini, Aquileia romana, 29). Il 3 marzo del 56 egli riceve ad Aquileia una delegazione invia-ta da Issa, come attesta una famosa iscrizione salonitana, su cui rimane fondamenta-le D. rendić-miočević, Ricordi aquileiesi nelle epigrafi di Salona, in Studi aquileiesi offerti a Giovannni Brusin, Aquileia 1953, 67-81.

14 L.J.f. kePPie, The Making of the Roman Army, 78. Sulla numerazione delle legioni romane si veda A. PaSSerini, Legio, in Dizionario epigrafico di antichità romane, a cura di e. de ruGGiero, IV, Roma 1949, 549-692.

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Cornelio Lentulo Spintere o in Spagna nel 59 a.C. (quand’egli era procon-sole là) o in Cilicia quando egli fu governatore di quella provincia dal 56 al 54. Lo documenta un’iscrizione ateniese15, posta sulla tomba al Ceramico di un soldato che poi combatté con la legione II di Pompeo e morì intorno al 48 a.C. Nel 49 a.C. con una leva generale furono reclutate da Cesare le legioni dal n. XV al n. XXXIII16. Ma legioni XVII-XIX furono con Pompeo già prima del 4917.

Una legione XVIII – o anche XIIX – Libica di Marco Antonio è men-zionata nelle sue monete nell’anno 32-31 a.C. ma non ha nulla a che fare con quella che si trovava in Europa centrale.

La legione XVIII dopo Filippi, nel 41-40 a.C., rimase in occidente 18; fu inviata in Germania a Xanten (Vetera) dopo il 15 a.C., probabilmente nel 13/12 e fu annientata, insieme con le legioni XVII e XIX, durante la batta-glia della selva di Teutoburgo (9 d.C.) che è da localizzare a Kalkriese presso Osnabrück19. Il più famoso soldato della diciottesima legione è il centurione Marcus Caelius, caduto nella battaglia di Varo, che è menziona-to in un’iscrizione di Xanten (CIL, XIII, 8648 = ILS, 2244)20. L’uomo era originario di Bologna e apparteneva alla tribù Lemonia.

Un altro soldato della XVIII legione era originario di Praeneste, pre-cisamente un Domitius L. f. Fabius che apparteneva alla tribù Fabia (CIL, XIV, 2950).

La terza iscrizione che nomina la legione viene da Este e appartiene a T. Atidius T. F. Porcio, miles legionis XIIX (CIL, V, 2499 = ILS 2268) (data-ta al 30 o al 14 a.C.?)21.

15 CIL, III, 6541 a; cfr. E. riTTerLinG, Legio, in Realencyclopädie der Classischen Alter-tumswissenschaft, XII, 1, München-Stuttgart, 1925, 1329-1829: 1768; CIL, I2 791 = ILS, 2224= ILLRP, 502.

16 L.J.f. kePPie, The Making of the Roman Army, 200.17 L.J.f. kePPie, Legiones XVII, XVIII, XIX: exercitus omnium fortissimus, in id., Le-

gions and veterans: Roman army papers 1971-2000, Stuttgart 2000, 161-165.18 L.J.f. kePPie, The Making of the Roman Army, 211.19 G. mooSbauer, S. wiLberS-roST, Kalkriese und die Varusschlacht. Multidisziplinäre

Forschungen zu einem militärischen Konflikt, in 2000 Jahre Varusschlacht, [2]. Konflikt, Catalogo della mostra a cura della varuSSChLaChT im oSnabrüCker Land Gmbh muSeum und Park kaLkrieSe, Stuttgart 2009, 56-67; A. roST, Das Schlachtfeld von Kalkriese. Eine archäologische Quelle für die Konfliktforschung, in 2000 Jahre Varus-schlacht, [2]. Konflikt, 68-76.

20 Marcus Caelius. Tod in der Varusschlacht, Catalogo della mostra (Xanten-Bonn 2009-2010) a cura di h.-J. SChaLLeS, S. wiLLer (“Kataloge LVR-Römermuseum im Archäo-logischen Park Xanten” 3 = “Kataloge LVR Landesmuseum Bonn” 11), Köln 2009.

21 L.J.f. kePPie, The Making of the Roman Army, 202.

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La quarta viene da Roma e reca il nome del tribuno C. Pompeius C. f. Ter(entina) Proculus (CIL, VI, 3530) di età augustea.

Diversamente da quanto si verifica per la legione XVIII, menzionata sulla lapide funeraria di Cloatius, la storia della legione XIX, parimenti an-nientata nel 9 d.C., si può seguire completamente dal punto di vista archeo-logico nei decenni precedenti la battaglia di Varo22. Essa apparteneva alla armata di occupazione al comando di Tiberio, che in seguito sarebbe divenu-to imperatore; essa, a partire dall’accampamento legionario di Dangstetten sull’alto Reno (Germania), dove si è trovato un pendente in piombo del palafreniere (calo) Privatus con la menzione del legato della legione Publius Quinctilius Varus23, ebbe una funzione importante nel corso dell’occupazione della Rezia, cui si riferisce anche un dardo da catapulta con il marchio della XIX legione dal colle Döttenbichl presso Oberammergau (Baviera)24. Negli anni immediatamente precedenti la battaglia di Varo distaccamenti della XIX legione erano di stanza ad Haltern (Vestfalia) come mostra un graffito con l’indicazione della XIX legione colà rinvenuto, su una barra di piombo del peso di 64 kg (203 libbre)25.

Le iscrizioni finora note con la menzione di soldati delle legioni augu-stee XVII(?), XVIII e XIX26 indicano che i soldati che appartenevano loro erano stati reclutati prevalentemente dall’Italia centrale e settentrionale durante la formazione delle cinque nuove legioni XVI-XX dopo la perdita della legio V Gallica27. La menzione della tribus Maecia sull’iscrizione

22 K.H. LenZ, Die 19. Legion auf ihrem Weg nach Kalkriese. Zu den Feldzügen zur Zeit des Augustus nördlich der Alpen, in Menschen-Zeiten-Räume. Archäologie in Deutschland, Catalogo della mostra (Berlino 2002-2003) a cura di W. menGhin, d. PLanCk, Stuttgart 2003, 243-249; a. reiS, Wege in den Untergang. Die Varuslegionen, in marCuS CaeLiuS: Tod in der Varusshlacht, a cura di H.-J. SChaLLeS, S. wiLLer, Darmstadt 2009, 63-72.

23 h.u. nuber, P. Quinctilius Varus, Legatus legionis XIX. Zur Interpretation der Bleischeibe aus Dangstetten, Lkr. Waldshut, «Archäologisches Korrespondenzblatt» XXXVIII, 2 (2008), 223-232; id., P. Quinctilius Varus siegte … als legatus Augusti in Süddeutschland, in 2000 Jahre Varusschlacht, [1]. Imperium, Catalogo della mostra a cura del LWL-Römermuseum in Haltern am See, Stuttgart 2009, 106-113.

24 W. Zanier, Eine römische Katapultpfeilspitze der 19. Legion aus Oberammergau, «Germania» LXXII, 2 (1994), 587-596.

25 2000 Jahre Römer in Westfalen, Catalogo della mostra a cura di B. Trier, Mainz 1989.

26 Cfr. la stele funeraria di Lucius Artorius, Veteranus Leg(ionis) XIX da Cervia (Ra-venna) per cui J. boneTTo, Veneto. Archeologia delle Regioni d’Italia, Roma 2009, 433 fig. 6,53; a. reiS, Wege in den Untergang, 67 fig. (Torcello, Museo Provinciale).

27 a. reiS, Wege in den Untergang, 65 seg.; A. von domaSZewSki, Die Rangordnung des

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funeraria di Sextus Cloatius, che indica un’origine dall’Italia meridionale, costituisce finora il dato più meridionale relativo alla tribù di un soldato delle successive legioni di Varo.

Cenni sulla vita di Sextus Cloatius Gracchus

Come primus pilus e comandante della prima cohors Sextus Cloatius Gracchus possedeva il grado più alto tra i centurioni della XVIII legione28 e prese parte come ufficiale di stato maggiore aggiunto al legatus legionis alle riunioni dello staff del legato29. Grazie alla menzione della legione dopo quella del suo grado di primipilus è sicuro per Sextus Cloatius che egli rive-stì il grado più alto del primo primipilato, poiché il secondo grado del pri-mipilato usualmente non era menzionato vicino all’indicazione del reparto militare30: in ogni legione vi erano infatti due primipili. Poiché il grado del primo primipilus era affidato solo a centurioni esperti31, possiamo ricavare da ciò senza bisogno di ulteriori prove che Sextus Cloatius aveva dimostrato la sua capacità in più gradi, qui non menzionati, nel suo cursus honorum nella carriera militare. Un primus pilus come Sextus Cloatius guadagnava nel 13 a.C. 13.500 denari l’anno, molto di più in proporzione rispetto al sa-lario annuale di un semplice legionario (225 denari)32. Sextus Cloatius do-vette come cittadino romano originario dell’Italia meridionale e come sol-dato di professione essere stato accolto tra i centurioni, tra i quali veniva scelto il primus pilus, a circa 35 anni di età. L’età in cui si arrivava a questo grado, che era limitato a un anno, era solitamente in età imperiale compre-sa tra i 50 e i 60 anni33. Dopo il loro congedo come primus pilus a coloro che in precedenza avevano avuto questo grado e che si denominavano primipi-

römischen Heeres, a cura di B. dobSon, Köln-Graz 19813, 177.28 A. von domaSZewSki, Die Rangordnung, 93.29 Y. Le boheC, Die römische Armee. Hamburg 2009, 46; A. von domaSZewSki, Die

Rangordnung, 114.30 Ivi, 112-114.31 Ivi, 115.32 M.A. SPeideL, Sold und Wirtschaftslage der römischen Soldaten, in Kaiser, Heer und

Gesellschaft in der römischen Kaiserzeit. Gedenkschrift für Eric Birley, a cura di G. aLföLdy, b. dobSon, w. eCk (“Heidelberger althistorische Beiträge und Studien” 31), Stuttgart 2000, 65-96: 84. Nel I sec. d.C. il salario crebbe a 15.000 denari (Y. Le boheC, Die römische Armee, 242).

33 B. dobSon, The primipilares in army and society, in Kaiser, Heer und Gesellschaft, 139-152: 145-147.

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lares, erano accessibili altri servizi di elevato rango, tanto militari quanto civili, come il ruolo di praefectus castrorum o un posto come procurator in una delle province imperiali. Primipilares con speciale qualificazione milita-re erano assegnati in servizio al quartier generale dell’imperatore e in caso di guerra incaricati dal comando militare per particolari missioni34.

Il personaggio reca un gentilizio dell’Italia meridionale: non sappiamo se possa essere appartenuto ai primi coloni ed egli fosse eventualmente nato in Aquileia, come suggerisce Yann Le Bohec. In ogni caso egli trovò la morte ad Aquileia, presumibilmente dopo il congedo; nel testo assai stringato non compare il cursus.

Il tipo di monumento funerario, molto costoso, pare adeguato al suo stipendio di primus pilus. Le dimensioni della lastra sono superiori a quel-le di analoghi monumenti, che in genere misurano due piedi x due, mentre qui si arriva a tre di larghezza. Il gentilizio, nella forma completa, non è altrimenti attestato in Aquileia, ove però vi è un’iscrizione frammentaria che il Brusin giudica litteris vetustis, in cui compare il gentilizio Clo[--- che tra le altre possibili ipotesi, ad es. Clo(dius), si potrebbe integrare anche in Clo(atius)35. Il frammento, posto per la tomba di un pa]ter o fra]ter Clo[atius? viene dalla zona di Ponte Rosso, lungo la via Annia, a nordovest di Aquileia. Il tipo di supporto e le sue misure portano a pensare che il nostro blocco provenga da un monumento a dado, tipologia che si diffuse in Italia settentrionale ad Aquileia e lungo la via Postumia a partire dalla seconda metà del I secolo a.C36.

La presenza di questo documento conferma il giudizio del Pavan, per il quale Aquileia fu necessaria base operativa militare, ricevendo quindi ininterrotto afflusso di pretoriani, legionari, ausiliari, con permanenze di una certa durata37. Come abbiamo visto, quattro diverse legioni XVIII sono note dai documenti epigrafici e numismatici per la durata di poco più di un sessantennio. In una di queste il nostro Cloatius prestò servizio.

Non è escluso che il nostro personaggio sia stato congedato dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), quando alcuni veterani della medesima legione furono inviati nelle città dell’Italia settentrionale come T. Atidius T.f. Porcio

34 A. von domaSZewSki, Die Rangordnung, 116.35 IA, 1017.36 Cfr. La via Postumia da Genova a Cremona, a cura di L. QuiLiCi, S. QuiLiCi GiGLi,

Roma 2000, 149.37 M. Pavan, Presenze di militari nel territorio di Aquileia, in Dall’Adriatico al Danubio,

Padova 1991, 159-200: 160 (già pubblicato in Il territorio di Aquileia nell’antichità, Atti della IX Settimana di studi aquileiesi, II, Udine 1979, 461-513).

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di Este o addirittura nel 14, prima che la legione fosse trasferita a Xanten-Vetera, se a quell’anno dobbiamo attribuire il medesimo testo atestino. Sextus Cloatius trovò la morte ad Aquileia al culmine della sua carriera, visto che il rango militare di primus pilus si otteneva solo da circa 50 anni in su.

Per la nostra iscrizione suggeriamo una datazione agli ultimi decenni del I secolo a.C., data cui conviene la forma delle lettere e l’impaginazione del testo, come appare da altri esempi aquileiesi.

2. Cippo di C.R.S. Cippo in calcare con parte superiore stondata, alto cm 233 (128 lo specchio epigrafico); largh. 44; foro inferiore del diametro di 17 (fig. 2). Lettere di altezza decrescente 10 (prima riga); quindi 8; 6,5 e 5,3.Testo: L(ocus) m(onumenti) / C(ai) R(---) S(---) / in fr(ronte) p(edes) C / in ag(ro) p(edes) CL.Provenienza: da Aquileia.Datazione: fine I-II sec. d.C.

Il cippo era infisso nel terreno per più di un metro (esattamente per cinque piedi romani) e inoltre fissato con un sostegno orizzontale, affinché non cadesse.

Degno di nota il fatto che il recinto era di dimensioni enormi. La peda-tura indica una superficie di 15.000 piedi quadrati, pari a m 29,64x44,46 ov-vero poco più di 1317 mq: la misura è di circa 30 volte superiore a quella di una “normale” area di piedi 16x32, che costituisce la pedatura più comune-mente attestata in loco. Ciò rende probabile che la tomba si trovasse all’in-terno di una proprietà privata oppure in un’area alquanto lontana dalla città in cui le tombe non erano molto fitte. A questa misura si può accostare quel-la del recinto di Maticia Lampedo(n) e di suo marito, Veleius Parides, che è di poco inferiore (IA, 2409) o quella del collegio dei cultores Fortis Fortunae (IA, 684). Nel nostro caso sembra di poter escludere la presenza di un colle-gium, mentre pare plausibile che le iniziali alludano ai tria nomina.

Ai fini della datazione potrebbe essere significativa è la forma della R con coda molto ampia che troviamo attestata più volte ad Aquileia, ad es. in altre iscrizioni datate dalla fine del I a tutto il II sec. d.C. (ad esempio IA, 1270 o 1287 e molte altre). Per l’Hübner questo carattere appare pro-prio del periodo dai Severi a Diocleziano38.

38 A. hübner, Exempla scripturae epigraphicae latinae a Caesaris dictatoris morte ad aetatem Iustiniani, Berlin 1885, LXV.

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3. Cippo di C. Cornelius Pilonius. Cippo in calcare con parte superiore rettili-nea, alto cm 102, pari a circa 3 piedi e mezzo (27 lo specchio epigrafico); largh. 36; spessore 15,5 (fig. 3). Lettere di altezza varia nelle medesime righe: prima riga C cm 5, O 5, R 7, E 7,5. La L dell’ultima riga misura cm 7.Testo: C(ai) Corneli / C(ai) l(iberti) Piloni / Locu(s? m?). Legamento NE.Provenienza: da Concordia.Datazione: terzo quarto del I sec. a.C.

Il liberto appartiene a una gens che è nota a Iulia Concordia da altre due epigrafi, una delle quali è la famosa stele dei Cornelii, datata al II quarto del I secolo d.C. forse all’età claudia39. L’altra è un’urna a cassetta trovata lungo la via Annia, posta per sé e per Galata dal liberto C. Cornelius C.l. Anthus40 e datata dal Lettich alla fine del I secolo d.C.

39 G. LeTTiCh, Iscrizioni romane di Iulia Concordia (sec. I a.C.-III d.C.), Trieste 1994, 144-147.

40 Ivi, 164-165.

2. 3.

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Il nostro documento epigrafico sembrerebbe la più antica attestazione concordiese della gens. Esso pare appartenere a un periodo in cui il formu-lario epigrafico locale non è ancora standardizzato: infatti la parola locu(s?) è posta alla fine anziché all’inizio, come in genere consueto. Inoltre le let-tere appaiono incise in maniera alquanto irregolare, non però senza qual-che elemento di ricercatezza, come la volontà di includere, in qualche modo la O entro l’angolo della L o il nesso RNE. In una iscrizione più tarda di almeno un secolo da Aquileia (IA, 1038) troviamo il nesso NE e una resa grafica delle lettere lio con nesso LI, alquanto simile.

Da notare tuttavia la formula con il nome al genitivo, come è più con-sueto a partire dal I secolo d.C. e la presenza dei tria nomina. Se si accoglie una datazione alla fine del I secolo a.C. i Cai Cornelii sarebbero tra i più antichi coloni di Iulia Concordia venuti qui o inseriti in questo status al tempo della fondazione triumvirale. Il prenome Caius non è molto frequen-te tra i numerosi Cornelii di Aquileia.

Il cognomen Pilonius potrebbe avere qualche relazione con la gens Pilonia. I Pilonii sono ben noti in Italia meridionale, ad es. a Pompei e un Pilonius Felix (liberto?) produceva bronzi in Campania41. Un Sex Pilonius Modestus, centurione nel II secolo d.C., da Benevento è noto per essere stato presente in Dacia 42, infine un C. Pilonius C. f. Primasius è attestato in Africa. È nota tuttavia, fin da età repubblicana, la forma Pilonicus per liberti e servi43. Nel nostro caso, stanti gli arcaismi nell’impaginazione, si potrebbe intendere anche una P non aspirata al posto della F di un even-tuale Filonius.

4. Frammento di cippo sepolcrale. Cippo in calcare privo della parte superiore, alto cm 80; largh. 43,5; spessore 23. Lettere nella prima riga cm 7,3, nella seconda fino a 8,5 (fig. 4).Testo: [--- / in f(ronte) / p(edes) (---)] / in agr(o) / p(edes) XL.Provenienza: da Aquileia.Datazione: fine II-fine III sec. d.C.

41 Cfr. S. TaSSinari, Il vasellame bronzeo di Pompei, II (“Soprintendenza archeologica di Pompei, Cataloghi” 5), Roma 1993, 124.

42 Cfr. i. PiSo, An der Nordgrenze der römisches Reiches: ausgewählte Studien (1972-2003), München 2005, 408.

43 Cfr. ILLRP, 947 (Rimini, fine II-inizio I sec. a.C.); 107 c (Palestrina); 240 (Spoleto); 989 (British Museum).

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Rimangono solo le due righe finali di un cippo che doveva avere un testo di almeno sei righe, con le probabili iniziali del proprietario dell’area. Il disegno delle lettere non è molto curato: da notare la forma della L con andamento obliquo dell’asta orizzontale, che secondo l’Hübner non appare prima della fine del II secolo d.C.44.

Sono quasi una trentina i recinti aquileiesi di cui conosciamo la profon-dità pari a 40 piedi: essi costituiscono poco più dell’8 per cento del materia-le finora pubblicato. In linea di massima i recinti di notevole profondità erano disposti in aree periferiche, lontane dal centro cittadino. La riprova viene da un cippo murato nella chiesetta di San Proto a San Canzian d’Ison-zo, appartenente a un recinto di 70 piedi per almeno 110 (forse 120, dato che la pietra è spezzata) verso l’interno45. Vi è una certa concentrazione

44 A. hübner, Exempla scripturae, LX.45 Iscrizione di M. Flami[us] Sami[us] per cui CIL, V, 1208; cfr. A. CaLderini, Aquileia

romana, 497.

4.

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nella zona della Casa Bianca, a est di Aquileia, ove evidentemente le aree funerarie si disponevano in parte secondo una lottizzazione preordinata. Ma non vi è alcuna certezza che il nostro cippo venga da quella zona.

5. Parte del recinto funerario di Claudia [---Parte superiore di tabula in marmo, alta cm 14; largh. 78 (specchio 69); spes-sore non determinabile; nella parte superiore dente sopraelevato. Sopra e a sinistra cornice formata da listello piano (cm) 3 e gola per un totale di 7 cm (fig. 5). Lettere alte 10 cm.Testo: Claudia [---.Provenienza: da Aquileia.Datazione: metà I sec. d.C.

Si tratta di una lastra che doveva essere murata (forse nella facciata del recinto funerario?), come lascia supporre l’appendice superiore, adatta a un inserimento in un’opera muraria. Ad Aquileia è attestata la sepoltura di una Claudia Caesaris (liberta) Secunda (IA, 467), cui forse potrebbe appartenere questa iscrizione, che si distingue per il materiale impiegato, per le dimensioni e per la bellezza delle lettere.

6. Sarcofago di Caecilia. Parte superiore della fronte di un sarcofago, alta cm 43; largh. 69; spessore 6. A sinistra campo entro cui doveva trovarsi un erote. Cornice formata da listello piano e gola per un totale di 8 cm (fig. 6). Lettere alte 7 (prima riga), 6,5 (seconda riga) e 6 (terza riga).Testo: Caec(iliae) [---] / Sever[---] / Philu[menae ---.Provenienza: da Aquileia.Datazione: inizio III sec. d.C.

Il sarcofago doveva essere in origine lungo circa un paio di metri, sic-ché possiamo pensare che lo specchio epigrafico si estendesse per almeno 120-130 cm. La parte conservata arriva dunque a circa un terzo, cosicché possiamo escludere che Severa o Severus faccia parte dell’indicazione ono-mastica della defunta. Forse potrebbe indicare un o una parente o liberto/liberta. La medesima incertezza vale per il cognome Philu(men?-, più fre-quente nella forma femminile Philumena.

Di grande interesse il fatto che il riquadro a sinistra non è finito. Non solo non fu scolpito l’erote, ma addirittura il semplice listello della cornice si

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5.

6.

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interrompe. Forse si può pensare che per l’urgenza dell’utilizzo sia stato scelto in officina un sarcofago già quasi pronto, in cui sia stato solo inciso il nome della defunta e degli eventuali eredi e/o dedicanti. Come in altri casi (ad esem-pio parte di un sarcofago posto nel patriarcato, presso la basilica) questa è una ulteriore prova dell’attività di fabbricazione di questi sarcofagi in Aquileia.

Il gentilizio Caecilius è ben attestato da una ventina di casi in Aquileia. Un frammento di sarcofago dello stesso tipo con l’iniziale Ca[---] che tut-tavia potrebbe essere sciolto anche diversamente, come ad esempio Caedi-cius, Caelius, Caesernius, Caesius, Caesilius, Caetronius e via dicendo, si trova nel museo di Aquileia (IA, 929).

7. Sarcofago di M. Stlaccius. Parte superiore della fronte di un sarcofago, alta cm 21,5; largh. 60; spessore non determinabile. Cornice formata da listello piano e gola per un totale di 5,8 cm (fig. 7).Lettere alte 6 (prima riga) e 5,5 (seconda riga).Testo: M(arci) Stlacci [---] / (a)nn(orum) VII m(ensium)[---] / paren(tes)[pos(uerunt)].Provenienza: da Aquileia.Datazione: fine II-inizio III sec. d.C.

7.

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341

Data la giovane età, il defunto doveva essere sepolto in un sarcofa-go di lunghezza inferiore a due metri, come quello di Q. Terentius Vale-rianus, di sette anni e otto giorni, che è lungo m 1,68 (IA, 1528). Una qualche idea della lunghezza è data dai resti della terza riga con la con-sueta formula parentes posuerunt. Pertanto appare probabile che dopo il gentilizio fosse indicata la filiazione e aggiunto il cognome. Da ciò possiamo ricavare che presumibilmente il sarcofago era del tipo più semplice a cassa, con semplice cornice ai bordi, usato specialmente per i bambini (cfr. recinto degli ateti).

Il gentilizio Stlaccius finora non era attestato ad Aquileia, ma lo è ad esempio sul Magdalensberg e nel Norico46, per cui è da pensare che vi fos-se un contatto già nella prima metà del I secolo d.C. tra gli agenti di questa famiglia nel Norico e quelli allora residenti ad Aquileia.

8. Stele di Coelia Verecunda. Parte mediana di una stele, alta attualmente cm 23; largh. 56,5; spessore non determinabile (fig. 8).Cornice laterale formata da listello piano e gola larga 7,5 cm. Lettere alte 6 (prima riga); 4,6 (seconda riga) e 4,2 (terza riga).Testo: ---] Coeliae / Verecundae/ uxori [---].Provenienza: da Aquileia.Datazione: pieno II sec. d.C.

La stele, priva della parte superiore e di quella inferiore, appartiene al tipo più semplice. Essa ripropone la facciata di alcune are ossuario, come ad esempio IA, 1038 di identica larghezza. La definizione di uxor presup-pone che il rapporto matrimoniale fosse stipulato tra liberi o per lo meno liberti, ancorché non compaia la filiazione.

Il gentilizio Coelius è attestato ad Aquileia da una dozzina di persone, mentre il cognomen Verecunda nella forma femminile è presente una sola volta (IA,1038, già citata per la vicinanza morfologica). Il gentilizio sembra

46 CIL III, 11599 = ILLPRON0281 = H0056872, Cfr. G. aLföLdy, Noricum, London 1974, 306. Q. Stlaccius L.f. Bassus, in Inscriptionum Lapidariarum Latinarum Provin-ciae Norici usque ad annum MDCCCLXXXIV repertarum, Judices a cura di M. hainZmann, P. SChuberT, 3 voll., Berlin 1986-1987, 281, n. 15 e L. Stlaccius Secundus L. f. su una tessera nummularia del Magdalensberg, per cui K. GoSTenčnik, Beinfun-de als Schriftträger: die Befunde aus der Stadt auf dem Magdalensberg und ihre Klein-Klein-inschriften, in Instrumenta inscripta latina, II, Akten des 2. Internationalen Kollo-quiums (2005), Klagenfurt 2009, 165-179: 170.

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8.

9.

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originario dell’Italia meridionale. Infatti è attestato a Ordona (HD001537), a Benevento (HD00369) e a Ercolano (HD004813).

9. Cippo di C. Tettidius Primus e Q. Lucilius Florus. Cippo con terminazione superiore stondata, alto cm 132; largh. 38; spessore 15 (fig. 9). Lettere alte 8 (prima riga); 6 (seconda riga); 6 (terza riga); 6,1 (quarta riga); 5.5 (quinta riga); 4,5 (sesta riga); 4 (settima e ultima riga).Testo: L(ocus) m(onumenti) / C(ai) Tettid(i) / Primi / et Q(uinti) Lucil(i) / Flori / in fr(onte) p(edes) XVI / in agr(um) p(edes) XXXII. La quinta riga è stata scritta da mano diversa, dopo l’erasione del precedente cognome.Provenienza: da Aquileia.Datazione: piena età imperiale.

Da notare la I longa nella seconda, terza e quarta riga: manca nella quinta, ove si riscontra un’incisione successiva. Elegante anche la Q con il tratto curvo allungato. Punti separativi triangolari.

Il cippo corrispondente del medesimo recinto funerario era già stato pubblicato dal Bertoli nel 1749 nella forma invertita, ovvero con il nome di Q. Lucilius Florus al primo posto47. Il nostro testo permette di correggere la lettura del Bertoli, da cui dipendono gli autori successivi, perché la pe-datura della fronte è di sedici e non 21 piedi, come quella verso l’interno è di 32 e non 22. In tal modo il recinto rivela una superficie corrispondente alla media delle pedature aquileiesi. L’iscrizione gemella si trovava un tem-po «nell’ambito della porta della chiesa campestre di San Martino» ove oggi sono murati pochi altri frammenti di epigrafi romane. Ciò fa supporre che l’area di rinvenimenti sia da collocarsi appunto non lontano dalla chie-sa stessa, presumibilmente lungo il tratto della via Annia che correva pres-so la località Ponterosso, nell’area nordoccidentale di Aquileia, ove si estendeva la giurisdizione della stessa chiesa di San Martino. Il Bertoli non ebbe a notare il fatto che il cognomen Flori è inciso in una parte erasa. Probabilmente l’area venne utilizzata da un colliberto del medesimo Luci-lio. L’assenza della filiazione rende probabile che si tratti di una coppia di liberti. Da altri testi aquileiesi, in particolare lungo la via Annia, sappiamo che l’uso di un’area pro indiviso era alquanto comune, specialmente dalla fine del I secolo in poi, quando le superfici divennero normalmente più ampie e forse anche più costose per un singolo.

47 G. berToLi, Le antichità di Aquileia, profane e sacre, Venezia 1749, 184, CXCVIII.

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È l’unica menzione di un membro della gens Tettidia in Aquileia, ove invece i Lucilii sono attestati da una decina di persone, fin dall’età repub-blicana. Forse l’assenza locale di esponenti del medesimo gentilizio – o qualche altro motivo che ci sfugge completamente – consigliò al nostro Tettidio di unirsi anche dopo la morte a Q. Lucilio Floro, cui poteva essere legato da comunanza di attività e interessi commerciali. Il gentilizio Tetti-dius, dal caratteristico suffisso in –idius di derivazione osco-umbra, pare legato alla zona dell’Appennino centrale (Sabina, territorio dei Peligni, dei Vestini e della Marsica). Per i Lucilii di Aquileia sono stati supposti legami con i Lucilii di Corfinium, capitale dei Peligni48, per cui è forse da ipotizza-re che i due, C. Tettidius Primus e Q. Lucilius Florus, potessero avere in comune la medesima origine, dall’area peligna, appunto.

10. Cippo sepolcrale di Ti. Vibius Spendon. Cippo con terminazione superiore arrotondata, alto cm 95; largh. 28; spesso 11,2 (fig. 10). Lettere alte 6 (prima riga); 4,5 (seconda riga); 4 (terza riga); 4,2 (quarta riga); 3,5 (quinta riga); 3,4 (sesta e settima riga).Testo: L(ocum) s(epulturae) /Ti(berius) Vibius / Spendon / sibi et suis / v(ivus) f(ecit) / in fr(onte) p(edes) XXVI / ret(ro) p(edes) XXV.Provenienza: da Aquileia.Datazione: prima età imperiale.

Nel cippo è il fondatore del recinto che in prima persona dice di aver disposto da vivo l’area funeraria per sé e per i suoi parenti, secondo una consuetudine propria della prima età imperiale. I Vibii sono attestati ad Aquileia da una quarantina di presenze, di cui solo due portano il praeno-men T(itus) e nessuno Tiberius. Anche il cognome Spendon è scarsamente attestato localmente, con una sola presenza (IA, 1494)49. L’assenza della filiazione potrebbe spiegarsi con la carenza di spazio, ma il cognomen gre-canico parrebbe adatto a una condizione libertina.

48 C. ZaCCaria, Aspetti della produzione epigrafica funeraria aquileiese tra la fine della repubblica e gli inizi del principato, in Aquileia repubblicana e imperiale, Atti del convegno (Aquileia 23-28 aprile 1988), Udine 1989, 133-149: 142, con bibliografia precedente. Tettidii sono attestati a Canosa di Puglia (HD004535) e Corfinio (HD002467).

49 Sul cognome si veda H. SoLin, Die griechische Personennamen in Rom: ein Namen-buch, Berlin 2003, 1356-1357. Esso compare solo a Kostolac (moesia superior) in un’iscrizione datata tra 138 e 162 d. C. (HD0035731).

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Persino la pedatura è alquanto singolare e in Aquileia ci sono solo due esempi di uguale larghezza della fronte (IA, 2272 e 2310). La formula retro è molto rara ad Aquileia ove compare, a mia conoscenza, una sola volta in un testo che dà addirittura tre misure diverse, forse di una superficie tra-pezoidale (IA, 2405). Anche Locus sepulturae è poco presente (qui da in-tendere locum, in quanto dipendente da fecit): gli esempi aquileiesi sono editi in IA, 1388, 2452, 1567 e 2282.

11. Cippo di Cassia Ianuaria e L. Valerius Bithus. Cippo con terminazione superiore stondato, alto cm 99; largh. 30; spesso 10,5 (fig. 11). Lettere alte 5,5 (prima riga); 3,8 (seconda riga); 3,2 (terza riga); 3 (dalla quar-ta riga alla fine).Testo: Cassia P(ublii) f(ilia) / Ianuaria / viva fecit / et L(ucio) Valerio Bitho / coniugi / et Cassis fratrib(us) / l(ocus) m(onumenti) in fr(onte) p(edes) XXX / in agro p(edes) XXX.Provenienza: da Aquileia.Datazione: fine III-pieno IV sec. d.C.

10. 11.

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Degno di nota il disegno di alcune lettere, ad es. la F della prima riga con i tratti brevi obliqui, la M e la A con il prolungamento dell’asta che porta al periodo tardo imperiale. Legamento TH.

I Cassii sono attestati in Aquileia dall’età repubblicana al tardo antico da una ventina di epigrafi di cui sei (sette con questa) appartengono a donne. Un Cassius Ianuarius compariva in un’iscrizione oggi introvabile (IA, 975). In città sono comunissimi anche i Valerii, di varia origine, atte-stati da una novantina di testi. Come risulta dal testo e dalla sua impagina-zione, nella coppia, legittimamente sposata (coniugi alla riga 5), il personag-gio più importante era la donna, di nascita libera e probabilmente in posi-zione di rilievo nella famiglia dei Cassii, di cui i membri maschili qui ricor-dati erano forse di minore età. L’assenza della filiazione e soprattutto il cognomen fanno pensare che il marito fosse un liberto. Il cognome Bitus, senza l’aspirata th che richiama piuttosto l’uso della lingua greca, appare forse già in un’iscrizione aquileiese della metà del I secolo a.C. ed è consi-derato di origine illirica50, con più probabilità un cognome trace. Porta questo nome un gladiatore menzionato da Orazio51. Sono note anche va-rianti Bitys, Bitius, Bitho, Beitius, Vithus e forme greche e composte52. Mol-te sono le attestazioni nell’area balcanica: ad es. nel museo di Sofia si conserva un diploma militare di età flavia (7 novembre dell’88 d.C.) rila-sciato al fante Bithus Bessus53. Nella città di Roma sono attestati una tren-tina di casi in cui compare, al nominativo, genitivo e dativo il cognome Bithus, che talora al dativo ha anche la forma Bithoni.

Va menzionato il fatto che nell’onomastica dei soldati di origine balca-nica, di età tetrarchica e forse posteriore, le cui stele sono conservate nel museo di Aquileia compare anche il gentilizio Valerius54, come nel nostro caso. Forse anche il nostro personaggio fu un ex soldato della Moesia o della Dardania, ove l’onomastica trace era molto diffusa, che dopo il con-gedo poté sposarsi in Aquileia.

50 IA, 67.51 Q. horaTiuS fLaCCuS, Satyrae, I, 7, 10.52 G. forni, Scritti vari di storia, epigrafia e antichità, a cura di M. G. anGeLi berTineLLi,

Roma 1994, 672. In Corpus cultus Equitis Thracii, 4, Moesia Inferior (Romanian sec-tion) and Dacia, a cura di N. hamParTumian, (“Études préliminaires aux religions orientales dans l’empire romain” 74), Leiden 1979: Bithus ai nn. 9 e 48.

53 CIL XVI, Diplomata militaria, 33, n. 35. Un Bitho (dativo) si trova anche nell’iscri-zione urbana di Caecilius Bithus (7771 = Inscriptiones urbis Romae latinae, fasc. V, Berlin 1975, 3541). Al Museo Capitolino si trova la nota stele di Aurelius Bitho.

54 Cfr. F. rebeCChi, Le stele di età tetrarchica al Museo di Aquileia. Documenti tardo-antichi per la storia della città, «Aquileia nostra» XLVIII (1976), 65-142.

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12. Frammento di cippo. Parte di un cippo sepolcrale, in calcare rosa, alto cm 28; largh. 22; spessore non determinabile (fig. 12). Lettere alte 3,5 (prima riga) e 3,7 (seconda riga).Testo: [L(ocus) m(onumenti)/[in a]g(ro) p(edes) XX(-?) / re]tro p(edes) LIX. Punti triangolari.Provenienza: da Aquileia.Datazione: età imperiale.

La larghezza del cippo deve essere conservata pressoché integralmen-te, come dimostrano le poche lettere mancanti. Da notare anche il bel co-lore rosato e la rarità dell’uso della pietra. Per l’espressione retro si veda quanto detto al n. 10.

13. Frammento di iscrizione funeraria (?). Parte di una lastra, forse in origine murata (sulla parete del sepolcro?), in calcare, alt. cm 24; largh. 23; spessore non determinabile (fig. 13). Lettere alte 4 (prima riga) e 5 (seconda riga), con I longa alta cm 6.Testo: [---]o / [---se]viro / [---]tes lib(ertus) / [---se]vir. Punti triangolari.Provenienza: da Aquileia.Datazione: avanzato I-II sec. d.C.

12. 13

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Da notare la R con coda allungata e la B di disegno tipico del II sec. d.C.Il testo non è del tutto chiaro ma, considerata la lunghezza delle let-

tere, appare più probabile integrare la lettura della prima riga rimasta con se)viro anziché con quattuorviro, in genere scritto in forma diversa. A questa ipotesi porta anche la probaile duplicazione dell’appellativo seviro nell’ultima riga, poiché è noto che spesso le iscrizioni dedicatorie ai sevi-ri sono poste da altri seviri, che possono essere anche loro liberti. A que-sto ambiente libertino riporta anche la terminazione del nome della se-conda riga che pare grecanico. Sulla base dell’onomastica attestata ad Aquileia si potrebbe proporre un genitivo in -es come ad es. nel caso di Theodotes, peraltro in un testo non conservato (IA, 2531) o un nomina-tivo Astiodotes (IA, 2876). In altre epigrafi aquileiesi il genitivo di cogno-mi greci con terminazione in -e (esempio Eraste, Grapte, Melete, Philete, Telete) ha uscita parimenti in -e.

14. Frammento di iscrizione funeraria. Parte di un cippo (?), in calcare, alta cm 17; largh. 17; spessore misurabile 2,5 (fig. 14). Lettere alte 8,5.Testo: [L](ocus) m(onumenti / [---]. Punto triangolare.Provenienza: da Aquileia.Datazione: età imperiale.Lo stato di conservazione e l’esiguità del testo non permettono di avanzare alcuna ipotesi.

15. Frammento di iscrizione funeraria. Parte di una lastra, in marmo, alta cm 34; largh. 23; spessore non determinabile (fig. 15). Lettere alte 4 (prima, seconda e terza riga); 3,8-4 (quarta e quinta riga).Testo: [---Laeti?]tiae puer[-] / [--piet?]atis odor[-- / [---] nimius dolor / [n? D?]omine / m(ensium) VIIII dies [---]. Privo di interpunzione.Provenienza: da Aquileia.Datazione: fine IV-inizio V sec. d.C.

Nella seconda riga si legge --]atis odor che parrebbe da intendere come pietatis odor. Pietas e la corrispondente forma al genitivo pietatis ovviamen-te è un vocabolo che ricorre spessissimo nell’epigrafia funeraria di età cri-stiana. Si tratta di un’espressione che è tipica di sant’Ambrogio, infatti compare nella sua Expositio in Psalmum CXVIII, 396,8, ma anche nel De

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sacramentis, I,1.1.2-3: Ut bonum odorem accipias pietatis aeternae, ut dicas: Christi bonus odor sumus deo, quemadmodum dixit apostolus sanctus55.

Se accogliamo la lettura proposta e anche l’ipotesi di un influsso am-brosiano (ma potrebbe essere anche che Ambrogio abbia semplicemente dato forma a un’espressione corrente e che i due testi siano del tutto indi-pendenti) dovremmo porre la datazione del nostro epitafio dopo il 396 data in cui secondo alcuni autori sarebbe stata conclusa l’Expositio ambro-siana. Proprio il De sacramentis manifesta una stretta vicinanza al parlato e riflette modi di dire ed espressioni comuni56.

Nella penultima riga ha un risalto particolare la parola -]omine. Ovvia-mente la prima ipotesi è che fosse scritto Domine, per quanto non sia da

55 Cfr. C.A. SaTTerLee, Ambrosius of Milan method of mystagogical preaching, Colle-geville (Minnesota) 2002, 130.

56 Su questo vedi L. ruGGini, Economia e società nell’Italia Annonaria. Rapporti fra agricoltura e commercio dal IV al VI secolo d.C., Bari 1995 (= Milano 1961), 11.

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escludere un più semplice nomine. In nomine Christi è poco comune57. Si potrebbe pensare a qualche altra espressione con nomine58.

A voler essere pignoli si potrebbe trovare nel libro XII dell’Eneide al verso 47 la formula nimius dolor, ma riteniamo che fosse troppo comune per vantare un ascendente letterario.

L’indicazione dell’età, espressa in anni, mesi e giorni, è tipica delle iscrizioni cristiane.

16. Frammento di iscrizione funeraria. Parte di una lastra, in marmo, alta cm 11; largh. 12; spessore non determinabile (fig. 16). Lettere alte 5 (prima riga) e 3,8 (seconda riga).Testo: [---Ma]ximi [---] / [---]tenu[---]. Nella parte conservata non vi sono segni di interpunzione.Provenienza: da Aquileia.Datazione: IV-V sec. d.C.

Lo stile dell’epigrafe fa pensare al periodo paleocristiano, benché, an-che per l’esiguità del frammento, manchino chiari indizi in proposito. Rico-noscibile nella prima riga parte del nome del defunto Maxi]mus, finora assente nelle iscrizioni aquileiesi di questo periodo.

57 Concordanze dei carmina latina epigrafica, a cura di P. CoLafranCeSCo, m. maSSaro, m.L. riCCi, Bari 1986, 360.

58 Appena quattro casi segnalati nelle succitate Concordanze.

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Sulla provenienza delle iscrizioni aquileiesi qui menzionate

Alcuni indizi orientano a ritenere probabile che alcune, se non tutte, le iscrizioni aquileiesi provengano dalla necropoli posta lungo la via Annia, in special modo non lontano dalla località di Ponte Rosso, a nordovest della città antica. Infatti il confine della chiesa di San Martino di Terzo arrivava fino a questo limite. Nell’area della medesima chiesa si trovava nel Sette-cento il cippo di un Tettidius e di un Lollius gemello a quello qui pubblica-to, cippo che fu allora edito dal Bertoli. Infine nel 1928, in occasione di lavori di bonifica, venne alla luce un frammento di un’iscrizione del perio-do tardo repubblicano che menziona un Clo[---. Per quanto l’ipotesi non sia molto fondata, verrebbe in mente di mettere in relazione quest’epigra-fe al testo di Sextus Cloatius che fu primipilus della legione XIIX.

abbreviazioni:CIL = Corpus inscriptionum latinarum, Berlin 1863-1998.HI = http://www.uni-heidelberg.de/institute/sonst/adw/edh/index.html.deILS = Inscriptiones latinae selectae, a cura di h. deSSau, 3 voll., Berlin 1892-1916.IA = J. bruSin, Inscriptiones Aquileiae, 3 voll., Udine 1991-1993.ILLRP = Inscriptiones Latinae Liberae Rei Publicae, a cura di A. deGraSSi, Firen-ze 1957.

Il presente studio non sarebbe stato possibile senza la cortesia dell’avv. Alberto Cassini, che conserva amorevolmente le lapidi qui pubblicate e che ha favorito in ogni modo il nostro lavoro. Se ne dà qui una prima edizione, che si è giovata anche del prezioso aiuto del prof. Yann Le Bohec, della Sorbona, e del prof. Lawrence Keppie, dell’Hunterian Museum, University of Glasgow, che si ringraziano vivamen-te. Una versione tedesca, relativa all’iscrizione funeraria di Cloatius, uscirà in Ger-mania nella rivista «Archäologisches Korrispondenzblatt».