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ETucidide TUCIDIDE Tucidide La guerra civile di Corcira La guerra del Peloponneso fu una guerra civile, non soltanto nel senso che fu combattuta tra Greci, ma anche perché fu effetto e causa insieme di lacerazioni profonde che passarono all’interno di quasi tutte le città greche. Atene stessa, che pure era l’ipostasi di uno dei due ideali politici in conflitto, fu teatro, nel corso della guerra, di una lotta civile violenta e spesso sanguinosa, fatta anche di epi- sodi oscuri e di congiure, che si trascinarono oltre la conclusione dell’armistizio con Sparta. Le due città rivali, Atene e Sparta, rappresentavano due modelli politici, demo- crazia e oligarchia, cui tendevano ad uniformarsi le altre città, a seconda dello schieramento in cui volevano militare; viceversa, più spesso accadeva che quelle andassero a schierarsi nel campo in cui meglio credevano rappresentati i propri ideali politici. Ma anche all’interno delle singole città, si trovava riprodotta tale spaccatura, che spingeva le fazioni contrapposte a chiamare in soccorso, nel tentativo di prevale- re l’una sull’altra, quella delle due contendenti che sembrava meglio incarnare e tutelare i propri ideali politici. Come osserva Tucidide, a proposito di Corcira (III 82, 1): «tutta la stirpe greca, per così dire, subì tali sconvolgimenti, per il sorgere universale di conflitti fra i capi del popolo, che volevano far venire gli Ateniesi nella loro città, e gli oligarchi che invitavano i Lacedemoni. E se in tempo di pace le fazioni non avevano pretesti e non erano pronte a invitare le due potenze nemi- che, una volta che queste entrarono in guerra facilmente si effettuavano richieste di alleanza, per poter colpire i nemici e procurarsi con ciò dei vantaggi, da parte di coloro che desideravano novità politiche» [trad. di F. Ferrari]. Come abbiamo visto, già i prodromi della guerra sono segnati da questi conflitti intestini, che hanno concorso a provocare lo scoppio delle ostilità: tra 438 e 436, a Epidamno, il δῆμος aveva cacciato i δυνατοί, che si erano messi a saccheggia- re il territorio con l’aiuto di barbari illirici; il demos, chiesto aiuto, ma invano, alla città madre Corcira (in un momento in cui nell’isola stavano prevalendo gli Conflitto tra città, conflitto nelle città I prodromi del conflitto
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Tucidide -  · 2014-12-31 · E siodo Tucidide T ucidide La guerra civile di corcira La guerra del Peloponneso fu una guerra civile, non soltanto nel senso che fu combattuta tra Greci,

Dec 28, 2019

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    Tucidide

    La guerra civile di corciraLa guerra del Peloponneso fu una guerra civile, non soltanto nel senso che fu combattuta tra Greci, ma anche perché fu effetto e causa insieme di lacerazioni profonde che passarono all’interno di quasi tutte le città greche. Atene stessa, che pure era l’ipostasi di uno dei due ideali politici in conflitto, fu teatro, nel corso della guerra, di una lotta civile violenta e spesso sanguinosa, fatta anche di epi-sodi oscuri e di congiure, che si trascinarono oltre la conclusione dell’armistizio con Sparta.Le due città rivali, Atene e Sparta, rappresentavano due modelli politici, demo-crazia e oligarchia, cui tendevano ad uniformarsi le altre città, a seconda dello schieramento in cui volevano militare; viceversa, più spesso accadeva che quelle andassero a schierarsi nel campo in cui meglio credevano rappresentati i propri ideali politici.Ma anche all’interno delle singole città, si trovava riprodotta tale spaccatura, che spingeva le fazioni contrapposte a chiamare in soccorso, nel tentativo di prevale-re l’una sull’altra, quella delle due contendenti che sembrava meglio incarnare e tutelare i propri ideali politici. Come osserva Tucidide, a proposito di Corcira (III 82, 1): «tutta la stirpe greca, per così dire, subì tali sconvolgimenti, per il sorgere universale di conflitti fra i capi del popolo, che volevano far venire gli Ateniesi nella loro città, e gli oligarchi che invitavano i Lacedemoni. E se in tempo di pace le fazioni non avevano pretesti e non erano pronte a invitare le due potenze nemi-che, una volta che queste entrarono in guerra facilmente si effettuavano richieste di alleanza, per poter colpire i nemici e procurarsi con ciò dei vantaggi, da parte di coloro che desideravano novità politiche» [trad. di F. Ferrari].

    Come abbiamo visto, già i prodromi della guerra sono segnati da questi conflitti intestini, che hanno concorso a provocare lo scoppio delle ostilità: tra 438 e 436, a Epidamno, il δῆμος aveva cacciato i δυνατοί, che si erano messi a saccheggia-re il territorio con l’aiuto di barbari illirici; il demos, chiesto aiuto, ma invano, alla città madre Corcira (in un momento in cui nell’isola stavano prevalendo gli

    Conflitto tra città,conflitto nelle città

    I prodromi del conflitto

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    cidi

    de22 TT

    proposta che «in futuro non avrebbero accolto nessuno dei due schieramenti, se non fosse arrivato con una sola na-ve; chi fosse arrivato con più navi, sa-rebbe stato considerato nemico» (τό τε λοιπὸν μηδετέρους δέχεσθαι ἀλλ᾽ ἢ μιᾷ νηὶ ἡσυχάζοντας, τὸ δὲ πλέον πολέμιον ἡγεῖσθαι). La pro-posta, sospetta come una scusa non

    parte degli Ateniesi (ἥκιστ᾽ ἂν δουλωθεῖεν: si tratta dell’accusa che era stata mossa a Peitia; il termine, molto forte, preannuncia l’enfatica deformazione propagandistica del lin-guaggio: il massacro diventa un’azio-ne patriottica). A voler dimostrare l’assoluta imparzialità ed equidistan-za dai due blocchi, viene avanzata la

    Δράσαντες δὲ τοῦτο: la generica formula di passaggio fa rife-rimento alla carneficina compiuta da-gli ottimati nella sala del consiglio, di cui si è detto sopra. Viene quindi, im-mediatamente di seguito, convocato il popolo in assemblea per spiegargli il gesto e giustificarlo come un’azio-ne per prevenire l’asservimento da

    71, 1

    La narrazione degli eventi

    È l’estate del 427 a.C.

    [71, 1] Δράσαντες δὲ τοῦτο καὶ ξυγκαλέσαντες Κερκυραίους εἶπον ὅτι ταῦτα καὶ βέλτιστα εἴη καὶ ἥκιστ᾽ ἂν δουλωθεῖεν ὑπ᾽ Ἀθηναίων, τό τε λοιπὸν μηδετέρους δέχεσθαι ἀλλ᾽ ἢ μιᾷ νηὶ ἡσυχάζοντας, τὸ δὲ

    Tucidide III 71, 1-2

    oligarchici), si era rivolto allora a Corinto, che aveva inviato una spedizione in soccorso, soprattutto per odio contro Corcira1. Visto l’intervento di Corinto, si mosse allora anche Corcira, questa volta per sostenere i δυνατοί di Epidamno che si erano rifugiati presso di essa. Falliti i tentativi di accordo con Corinto, nel 435 Corcira espugnò Epidamno e batté la spedizione corinzia, passando per le armi tutti i prigionieri di guerra, eccetto i cittadini di Corinto. Desiderosi di ven-dicare questa bruciante sconfitta, i Corinzi posero mano a preparativi bellici di dimensioni tali che i Corciresi, impauriti, si rivolsero ad Atene per stringere con essa un’alleanza difensiva (ἐπιμαχία). Nella successiva battaglia navale presso le isole Sibota (settembre del 433), cui prese parte anche una piccola squadra ate-niese, i Corinzi persero 30 navi, distruggendone 70 nemiche, e presero prigionie-ri più di mille corciresi: vendettero quelli fra costoro (in numero di 800) che era-no di condizione servile e tennero in custodia i restanti 250, trattandoli con molti riguardi, perché erano per lo più i maggiorenti della città (δυνάμει ... πρῶτοι) e avrebbero potuto adoperarsi per una riconciliazione tra Corcira e Corinto. I Corinzi, in effetti, rilasciarono i prigionieri aristocratici, forse dietro pagamento di un riscatto (800 talenti), «in realtà – osserva Tucidide – perché erano stati persuasi dai Corinzi a dar loro in mano Corcira». Ed essi si diedero da fare per staccare Corcira dall’alleanza con Atene, entrando per questo in violento contrasto con il partito filo-ateniese, il cui esponente più in vista era un certo Peitia. Non riuscendo nel loro intento, essi allora misero in atto un colpo di stato, facendo irruzione nella sala del consiglio e assassinando Peitia e un’altra sessantina di cittadini.

    1. La rivalità – essenzialmente commerciale – tra le due città risaliva alle origini della colonia: la più antica battaglia navale tra Greci, avvenuta nel 664 a.C., pose di fronte Corinzi e Corciresi (Tucidide I 13,4; Erodoto III 49, 1-2 accenna a ostilità incipienti già dai primi anni dopo la fon-dazione).

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    3LA GUERRA CIVILE DI CORCIRA 33

    dei messi (πέμπουσι δὲ καὶ ἐς τὰς Ἀθήνας εὐθὺς πρέσβεις). - τοὺς ἐκεῖ καταπεφευγότας: si tratta dei pochi compagni di partito di Peitia scampati al massacro, grazie al preci-pitoso imbarco su una trireme attica presente nel porto di Corcira (70, 2-6), la quale poi aveva preso immedia-tamente il largo alla volta di Atene. Sono essi i secondi destinatari della ambasceria: che non tentino azioni inopportune, destinate a provocare ro-vinosi rivolgimenti a Corcira.

    re il termine da quell’antico peccato d’origine.

    Ἀφικομένης δὲ ... ἤπειρον: la battaglia tra gli oligarchi detentori del potere ed il demos ha la conseguenza di dislocare in zone geografiche dif-ferenti i contendenti: gli oligarchi si installano nella piazza del mercato, da dove controllano il porto rivolto verso il continente, i “popolari”, invece, si accampano sull’acropoli, sulle alture, e occupano l’altro porto della città, quello rivolto verso sud. L’assenza di importanti ritrovamenti archeologici a Corfù rende molto difficile, e oltremo-do incerta, l’identificazione delle loca-lità nominate da Tucidide.

    3

    γνώμην) solo in forza di una certa co-strizione (ἠνάγκασαν), che Tucidide non specifica.

    Πέμπουσι δὲ ... γένηται: Cor-cira era però legata da una epimachia, alleanza difensiva, con Atene, ove la notizia del massacro del capo del par-tito filo-ateniese e dei suoi compagni non poteva non suscitare sospetti e preoccupazioni; per questo motivo, istantaneo (εὐθύς) e contestuale al voto dell’assemblea (καί) è l’invio

    2

    ancora più invisi a quella ben più con-servatrice aristocrazia senatoria, che li vede come eversori dello stato e della società (eloquente l’associazione di termini in Sallustio, Bellum Iugurthi-num 66, 2: Nam volgus, uti plerumque solet et maxume Numidarum, ingenio mobili, seditiosum atque discordiosum erat, cupidum novarum rerum, quieti et otio advorsum «La plebe, dal canto suo, come per lo più succede, e soprat-tutto presso i Numidi, per il suo carat-tere volubile era spinta alle sedizioni e alle discordie, aspirava a cambiamenti e non sopportava la tranquillità e la pa-ce»). Forse, solo il coraggioso incipit dell’enciclica di Leone XIII (Rerum novarum, 1891) è riuscito a riscatta-

    richiesta, è fatta, in realtà, per tacitare illazioni su preventivi accordi con i Corinzi, come era in realtà. Incomin-ciamo a entrare nel sottile gioco di realtà e finzione, inganni e disinfor-mazione, che la guerra civile richiede, nella quale il nemico non è estraneo, ma concittadino, e l’obiettivo non è concretamente di fronte, ma è l’ani-ma della città: per conquistarla, l’ar-ma più potente è la propaganda. La proposta, comunque, viene ratificata dall’assemblea (ἐπικυρῶσαι ... τὴν

    Ἐλθόντων δὲ ... ἐνίκη-σαν: la reazione ateniese è drasti-ca: arresto degli ambasciatori e degli esuli corciresi e loro deportazione in Egina. Da Egina, nel 431 gli Ateniesi avevano cacciato via tutta la popola-zione, sostituendola con coloni atti-ci (II 27, 1). - ὡς νεωτερίζοντας: l’accusa ateniese è quella di «portare innovazioni», ossia, possibili cause di turbamenti sociali; basterebbe l’uso di questo termine per farci comprende-re l’orientamento della cultura greca e romana di fronte al nuovo: il senti-mento di sospetto, di istintivo rifiuto, per cui «rivoluzione» (νεωτερισμός) è parola sconveniente. Nel mondo ro-mano i cupidi rerum novarum sono

    72, 1-2

    [72, 1] Ἐλθόντων δὲ οἱ Ἀθηναῖοι τούς τε πρέσβεις ὡς νεωτερίζοντας ξυλλαβόντες, καὶ ὅσους ἔπεισαν, κατέθεντο ἐς Αἴγιναν. [2] Ἐν δὲ τούτῳ τῶν Κερκυραίων οἱ ἔχοντες τὰ πράγματα ἐλθούσης τριήρους Κορινθίας καὶ Λακεδαιμονίων πρέσβεων ἐπιτίθενται τῷ δήμῳ, καὶ μαχόμενοι ἐνίκησαν. [3] Ἀφικομένης δὲ νυκτὸς ὁ μὲν δῆμος ἐς τὴν ἀκρόπολιν καὶ τὰ μετέωρα τῆς πόλεως καταφεύγει καὶ αὐτοῦ ξυλλεγεὶς ἱδρύθη, καὶ τὸν Ὑλλαϊκὸν λιμένα εἶχον· οἱ δὲ τήν τε ἀγορὰν κατέλαβον, οὗπερ οἱ πολλοὶ ᾤκουν αὐτῶν, καὶ τὸν λιμένα τὸν πρὸς αὐτῇ καὶ πρὸς τὴν ἤπειρον.

    Tucidide III 72, 1-3

    πλέον πολέμιον ἡγεῖσθαι. Ὡς δὲ εἶπον, καὶ ἐπικυρῶσαι ἠνάγκασαν τὴν γνώμην. [2] Πέμπουσι δὲ καὶ ἐς τὰς Ἀθήνας εὐθὺς πρέσβεις περί τε τῶν πεπραγμένων διδάξοντας ὡς ξυνέφερε καὶ τοὺς ἐκεῖ καταπεφευγότας πείσοντας μηδὲν ἀνεπιτήδειον πράσσειν, ὅπως μή τις ἐπιστροφὴ γένηται.

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    de44 TT

    [73] Τῇ δ᾽ ὑστεραίᾳ ἠκροβολίσαντό τε ὀλίγα καὶ ἐς τοὺς ἀγροὺς περιέπεμπον ἀμφότεροι, τοὺς δούλους παρακαλοῦντές τε καὶ ἐλευθερίαν ὑπισχνούμενοι· καὶ τῷ μὲν δήμῳ τῶν οἰκετῶν τὸ πλῆθος παρεγένετο ξύμμαχον, τοῖς δ᾽ ἑτέροις ἐκ τῆς ἠπείρου ἐπίκουροι ὀκτακόσιοι.

    [73] Il giorno dopo, fecero brevi scaramucce, ed entrambe le parti mandarono messi attorno per i campi, a richia mare gli schiavi promettendo la libertà; al popolo si ac costò come alleata la massa dei servi, mentre agli altri vennero dalla terraferma ottocento ausiliari.

    Tucidide III 73

    Analisi del testoGli schiavi erano di solito più numerosi in città che in campagna, ma forse a Corcira predominavano i grandi latifondi, ben coltivati, in cui si faceva ampio ricorso alla manodopera servile: vedi Senofonte, Elleniche VI 2, 6, che racconta lo sbarco nell’isola dello spartano Mnasippo, nell’estate del 373:

    Ἐπεὶ δὲ ἀπέβη, ἐκράτει τε τῆς γῆς καὶ ἐδῄου ἐξειργασμένην μὲν παγκάλως καὶ πε-φυτευμένην τὴν χώραν, μεγαλοπρεπεῖς δὲ οἰκήσεις καὶ οἰνῶνας κατεσκευασμένους ἐπὶ τῶν ἀγρῶν· ὥστ᾽ ἔφασαν τοὺς στρατιώτας εἰς τοῦτο τρυφῆς ἐλθεῖν ὥστ᾽ οὐκ ἐθέλειν πίνειν, εἰ μὴ ἀνθοσμίας εἴη. Καὶ ἀνδράποδα δὲ καὶ βοσκήματα πάμπολλα ἡλίσκετο ἐκ τῶν ἀγρῶν.

    Una volta sbarcato, prese il controllo della regione e ne saccheggiò la campagna, splendidamente coltiva-ta e ricca di piantagioni, e le costruzioni altrettanto splendide che vi si trovavano e le cantine ben forni-te disseminate nei campi; tanto che, si dice, i solda-ti giunsero a tal punto di raffinatezza da non voler bere se non vino con quella particolare fragranza. Dai campi veniva razziata, inoltre, una grandissima quantità di schiavi e di bestiame.

    Essi potevano costituire una preziosa riserva umana da reclutarsi in casi estremi, con la promessa con-sueta della libertà: è singolare che, in questo caso esortazioni ad arruolarsi siano venute da entrambi gli schieramenti e, viceversa, prevedibile che a riscuotere maggiore successo siano stati i «popolari».

    [74] Διαλιπούσης δ᾽ ἡμέρας μάχη αὖθις γίγνεται καὶ νικᾷ ὁ δῆμος χωρίων τε ἰσχύι καὶ πλήθει προύχων· αἵ τε γυναῖκες αὐτοῖς τολμηρῶς ξυνεπελάβοντο βάλλουσαι ἀπὸ τῶν οἰκιῶν τῷ κεράμῳ καὶ παρὰ φύσιν ὑπομένουσαι τὸν θόρυβον. [2] Γενομένης δὲ τῆς τροπῆς περὶ δείλην ὀψίαν, δείσαντες οἱ ὀλίγοι

    Tucidide III 74, 1-3

    [74] Passato un giorno, si ingaggia di nuovo battaglia e il popolo vince, superiore per numero e per i vantaggi che offrivano le sue posizioni. E le donne audace-mente coa diuvarono, scagliando tegole dalle case e sopportando il clamore della battaglia più di quanto consentisse la loro natura. [2] Avvenuta la rotta a tarda sera, gli oligarchi, timorosi che i democratici, assa-

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    5LA GUERRA CIVILE DI CORCIRA 55

    μὴ αὐτοβοεὶ ὁ δῆμος τοῦ τε νεωρίου κρατήσειεν ἐπελθὼν καὶ σφᾶς διαφθείρειεν, ἐμπιπρᾶσι τὰς οἰκίας τὰς ἐν κύκλῳ τῆς ἀγορᾶς καὶ τὰς ξυνοικίας, ὅπως μὴ ᾖ ἔφοδος, φειδόμενοι οὔτε οἰκείας οὔτε ἀλλοτρίας, ὥστε καὶ χρήματα πολλὰ ἐμπόρων κατεκαύθη καὶ ἡ πόλις ἐκινδύνευσε πᾶσα διαφθαρῆναι, εἰ ἄνεμος ἐπεγένετο τῇ φλογὶ ἐπίφορος ἐς αὐτήν. [3] Καὶ οἱ μὲν παυσάμενοι τῆς μάχης ὡς ἑκάτεροι ἡσυχάσαντες τὴν νύκτα ἐν φυλακῇ ἦσαν· καὶ ἡ Κορινθία ναῦς τοῦ δήμου κεκρατηκότος ὑπεξανήγετο, καὶ τῶν ἐπικούρων οἱ πολλοὶ ἐς τὴν ἤπειρον λαθόντες διεκομίσθησαν.

    Analisi del testoLa vittoria dei «popolari» nella battaglia decisiva, conseguenza delle posizioni migliori e del numero preponderante, dimostra che gli ottimati costituivano una parte ovviamente minoritaria della popolazione (ma le cifre fornite a 75, 5 e 85, 2 denotano una note-vole consistenza). È notevole il fatto che allo scontro, svoltosi negli stretti vicoli della città, abbiano dato il loro contributo, per la parte democratica, le don-ne, col lancio di tegole dai tetti: un gesto che strap-pa l’ammirazione di Tucidide (τολμηρῶς), che pure trova qualcosa di incongruo in questo quadro (παρὰ φύσιν).La battaglia ebbe probabilmente questo svolgimento:

    gli ottimati, confidando nel sostegno degli ausilia-ri reclutati sul continente, attaccarono le posizioni, naturalmente forti, tenute dai popolari; respinti, su-birono danni negli stretti vicoli della città mentre ri-piegavano, bersagliati anche dai tetti. Giunti all’agorà prospiciente il porto e l’arsenale, decisero di fare di questa la loro roccaforte e, per evitare un attacco a sorpresa, appiccarono l’incendio alle case che circon-davano l’agorà, che erano per lo più loro (72, 3): sono le prime avvisaglie di una guerra totale con la quale, pur di sconfiggere l’avversario, si rischia di distrugge-re la comune città.

    lendo gli arsenali, istanta neamente se ne impadronissero e loro restassero annien-tati, dettero fuoco a tutte le case poste nel cerchio della piazza del mercato e a tutti i gruppi di edifici, senza risparmiare né i loro né gli altrui, al fine di preclu-dere il passaggio. In tal modo, andarono in fiamme molti beni dei mercanti, e la città corse il pericolo di essere arsa tut ta quanta, nel caso che fosse sorto un vento che portasse la fiamma verso di essa. [3] Così, smettendo di combatte re e restan-do entrambe le parti tranquille, passarono quella notte sorvegliandosi; e la nave corinzia, dopo la vittoria dei popolari, salpò di nascosto, e di nascosto la maggior parte degli ausiliari se ne tornò alla terraferma passando il mare.

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    de66 TT

    [75] Τῇ δὲ ἐπιγιγνομένῃ ἡμέρᾳ Νικόστρατος ὁ Διειτρέφους Ἀθηναίων στρατηγὸς παραγίγνεται βοηθῶν ἐκ Ναυπάκτου δώδεκα ναυσὶ καὶ Μεσσηνίων πεντακοσίοις ὁπλίταις· ξύμβασίν τε ἔπρασσε καὶ πείθει ὥστε ξυγχωρῆσαι ἀλλήλοις δέκα μὲν ἄνδρας τοὺς αἰτιωτάτους κρῖναι, οἵ οὐκέτι ἔμειναν, τοὺς δ᾽ ἄλλους οἰκεῖν σπονδὰς πρὸς ἀλλήλους ποιησαμένους καὶ πρὸς Ἀθηναίους, ὥστε τοὺς αὐτοὺς ἐχθροὺς καὶ φίλους νομίζειν. [2] Καὶ ὁ μὲν ταῦτα πράξας ἔμελλεν ἀποπλεύσεσθαι· οἱ δὲ τοῦ δήμου προστάται πείθουσιν αὐτὸν πέντε μὲν ναῦς τῶν αὐτοῦ σφίσι καταλιπεῖν, ὅπως ἧσσόν τι ἐν κινήσει ὦσιν οἱ ἐναντίοι, ἴσας δὲ αὐτοὶ πληρώσαντες ἐκ σφῶν αὐτῶν ξυμπέμψειν. [3] Καὶ ὁ μὲν ξυνεχώρησεν, οἱ δὲ τοὺς ἐχθροὺς κατέλεγον ἐς τὰς ναῦς. Δείσαντες δὲ ἐκεῖνοι μὴ ἐς τὰς Ἀθήνας ἀποπεμφθῶσι καθίζουσιν ἐς τὸ τῶν Διοσκόρων ἱερόν. [4] Νικόστρατος δὲ αὐτοὺς ἀνίστη τε καὶ παρεμυθεῖτο. Ὡς δ᾽ οὐκ ἔπειθεν, ὁ δῆμος ὁπλισθεὶς ἐπὶ τῇ προφάσει ταύτῃ, ὡς οὐδὲν αὐτῶν ὑγιὲς διανοουμένων τῇ τοῦ μὴ ξυμπλεῖν ἀπιστίᾳ, τά τε ὅπλα αὐτῶν ἐκ τῶν οἰκιῶν ἔλαβε καὶ αὐτῶν τινὰς οἷς ἐπέτυχον, εἰ μὴ Νικόστρατος ἐκώλυσε, διέφθειραν ἄν. [5] Ὁρῶντες δὲ οἱ ἄλλοι τὰ γιγνόμενα καθίζουσιν ἐς τὸ Ἥραιον ἱκέται καὶ γίγνονται οὐκ ἐλάσσους τετρακοσίων. Ὁ δὲ δῆμος δείσας μή τι νεωτερίσωσιν ἀνίστησί τε αὐτοὺς πείσας καὶ διακομίζει ἐς τὴν πρὸ τοῦ Ἡραίου νῆσον, καὶ τὰ ἐπιτήδεια ἐκεῖσε αὐτοῖς διεπέμπετο.

    [75] Il giorno dopo, Nicostrato di Diitrefe, stratego atenie se, giunge in soccorso da Naupatto con dodici navi e cin quecento opliti messeni. Favorisce un accomoda-mento e li persuade ad accordarsi: essi avrebbero sottoposto a giudizio i dieci uomi-ni più colpevoli (i quali, però, non re starono a Corcira) e avrebbero lasciato abitare in patria gli altri, dopo aver fatto un’alleanza tra di loro e una con gli Ateniesi, sì da considerare amici e nemici gli amici e i nemici degli Ateniesi. [2] E Nicostrato, dopo di ciò, stava per salpare, ma i capitani del popolo lo persuadono a la sciar loro cinque delle sue navi per evitare una sommossa dei nemici: essi, allestitene altret-tante con equipaggi di Corcira, le avrebbero mandate con lui. [3] E Nicostrato fu d’accordo, mentre i democratici scelsero i loro nemici per farli salire sulle navi. Ma quelli, temendo di essere in viati ad Atene, si rifugiano nel tempio dei Dioscuri. [4] Nicostrato per contro, tentava di sollevarli e incoraggiar li, ma siccome non riuscì a persuaderli, i popolari, armati con questo pretesto, come se i supplici non mo-strassero nessuna buona intenzione con la loro diffidenza a parti re, presero le armi dalle case degli oligarchi e ne avrebbe ro ucciso alcuni, in cui si fossero imbattuti, se Nicostrato non l’avesse impedito. [5] Gli altri, visto l’accaduto, si ri fugiarono come supplici nel tempio di Era in numero non inferiore a quattrocento. Ma i popolari, temendo che tentassero qualche novità, persuasili, li fecero alzare e li portarono sull’isola davanti al tempio di Era; e i vive ri venivano trasportati loro fin laggiù.

    Tucidide III 75, 1-5

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    7LA GUERRA CIVILE DI CORCIRA 77

    Analisi del testoNaupatto corrisponde alla Lepanto della famosa bat-taglia navale (7 ottobre 1571). Situata sulla costa nord del tratto iniziale del golfo di Corinto, Atene l’aveva conquistata nel 456-455 e vi aveva insedia-to quei Messeni che, ribellatisi agli Spartani nel 464 (terza guerra messenica), dopo un quasi decennale assedio della loro fortezza sul Monte Itome, avevano dovuto capitolare, ottenendo però di potersene anda-re liberamente dalla rocca. Con un reparto di 500 di loro giunge appunto Nico-strato, il quale riesce a ottenere una tregua, cui poi segue un accordo che sembra arrestare la corsa verso il precipizio della guerra civile, con la condanna di soli dieci oligarchi, peraltro prudentemente e preventiva-mente allontanatisi. Il terzo risultato conseguito da Nicostrato è la stipulazione di una alleanza Corcira-Atene non più solo difensiva, ma offensiva-difensiva (che in greco si esprime con la formula: τοὺς αὐτοὺς ἐχθροὺς καὶ φίλους νομίζειν, «avere gli stessi ami-ci e gli stessi nemici»). In questo modo, Atene ot-tiene il massimo vantaggio dalla situazione e porta a termine il progetto di consolidamento della rotta per la Sicilia e l’occidente, che era stato il motivo fon-damentale per cui aveva risposto positivamente alle richieste di aiuto di Corcira. Una conferma del fatto che le guerre civili non sono mai solo civili, anche se, talvolta, le potenze esterne sembrano assumere, o fingono soltanto, un ruolo di moderatore tra le parti in lotta.Gli oligarchi selezionati per venire imbarcati sulle navi – con ogni probabilità in qualità di opliti imbarcati, ἐπιβάται, non certo come rematori, che a Corcira erano, in larga parte, schiavi (I 55, 1) – temono di

    essere inviati ad Atene, verso un incerto destino ed un probabile processo, e per questo si rifugiano nel tempio dei Dioscuri, ἐς τὸ τῶν Διοσκόρων ἱερόν: il diritto di asilo, riconosciuto formalmente come status specifico, competeva solo ad alcuni santuari greci che se ne riservavano l’esercizio; è ovvio, tuttavia, che la sacralità del luogo garantiva immunità di fatto a chi si rifugiasse in qualunque santuario, che era costitu-ito non solo dall’edificio del tempio, ma dal terreno circostante compreso nel recinto sacro. Il rifiuto di imbarcarsi, dettato dalla paura, viene interpretato dal demos come intenzione di tramare qualcosa a danno dei popolari che, per paura, prendono le armi, cercan-do di farsi giustizia sommaria. Diffidenza e sospetto alimentano il ciclo perverso dell’odio, ormai inarre-stabile. Questi oligarchi, vanamente fidenti nella in-violabilità del luogo sacro, vengono aggrediti e fatti oggetto di un tentativo di indiscriminato linciaggio: solo l’intervento di Nicostrato, che, in quanto stra-niero, non è reso feroce dall’odio fraterno, li salva da sicura morte. Ora è tutta la parte oligarchica – esclusi i rifugiati nel tempio dei Dioscuri – che, terrorizzata, si rifugia in un luogo sacro, il santuario di Era, prospiciente la costa. Nel timore di qualche sovvertimento (δείσας μή τι νεωτερίσωσιν: vedi sopra nota a 72), il de-mos li trasferisce, senza costrizione, sull’isolotto che fronteggia il tempio. Probabilmente, i supplici sa-ranno stati indotti ad abbandonare la tutela del luo-go sacro non solo da promesse di immunità (magari garantite dalla parola di Nicostrato), ma anche dalla consegna a loro di viveri e oggetti necessari per la vita all’aperto.

    Riassumi le vicende di questa confusa fase del-la guerra civile a Corcira, evidenziando il ruolo svolto da Ateniesi e Corinzi nella lotta interna fra le fazioni.

    1 Ricerca lessicale: cerca sul vocabolario i termini che riguardano la sommossa politica, con particolare attenzione a στάσις e all’area semantica di νέος (con il verbo νεωτερίζω). Servendoti di un buon vocabolario, cerca altri significativi passi d’autore.

    2

    Rifletti sul testo

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    de88 TT

    Al giungere di una squadra navale peloponnesiaca, forte di 53 unità, succedono scara-mucce inconcludenti, ma i Corciresi, per evitarne la liberazione, rinchiudono di nuo-vo nel tempio di Era gli ottimati precedentemente deportati nell’isolotto di fronte al tempio. I Peloponnesiaci, sbarcati, devastano il territorio, ma non osano attaccare la città, sinché, informati, con segnali di fuoco, dell’imminente arrivo di 60 navi ateniesi, riprendono il mare in vista del ritorno in patria.

    [81, 1] Οἱ μὲν οὖν Πελοποννήσιοι τῆς νυκτὸς εὐθὺς κατὰ τάχος ἐκομίζοντο ἐπ᾽ οἴκου παρὰ τὴν γῆν· καὶ ὑπερενεγκόντες τὸν Λευκαδίων ἰσθμὸν τὰς ναῦς, ὅπως μὴ περιπλέοντες ὀφθῶσιν, ἀποκομίζονται. [2] Κερκυραῖοι δὲ αἰσθόμενοι τάς τε Ἀττικὰς ναῦς προσπλεούσας τάς τε τῶν πολεμίων οἰχομένας, λαβόντες τούς τε Μεσσηνίους ἐς τὴν πόλιν ἤγαγον πρότερον ἔξω ὄντας, καὶ τὰς ναῦς περιπλεῦσαι κελεύσαντες ἃς ἐπλήρωσαν ἐς τὸν Ὑλλαϊκὸν λιμένα, ἐν ὅσῳ περιεκομίζοντο, τῶν ἐχθρῶν εἴ τινα λάβοιεν, ἀπέκτεινον· καὶ ἐκ τῶν νεῶν ὅσους ἔπεισαν ἐσβῆναι ἐκβιβάζοντες ἀπεχρῶντο, ἐς τὸ Ἥραιόν τε ἐλθόντες τῶν ἱκετῶν ὡς πεντήκοντα ἄνδρας δίκην ὑποσχεῖν ἔπεισαν καὶ κατέγνωσαν πάντων θάνατον. [3] Οἱ δὲ πολλοὶ τῶν ἱκετῶν, ὅσοι οὐκ ἐπείσθησαν, ὡς ἑώρων τὰ γιγνόμενα, διέφθειρον αὐτοῦ ἐν τῷ ἱερῷ ἀλλήλους, καὶ ἐκ τῶν δένδρων τινὲς ἀπήγχοντο, οἱ δ᾽ ὡς ἕκαστοι ἐδύναντο ἀνηλοῦντο. [4] Ἡμέρας τε ἑπτά, ἃς ἀφικόμενος ὁ Εὐρυμέδων ταῖς ἑξήκοντα ναυσὶ παρέμεινε, Κερκυραῖοι σφῶν αὐτῶν τοὺς ἐχθροὺς δοκοῦντας εἶναι ἐφόνευον, τὴν μὲν αἰτίαν ἐπιφέροντες τοῖς τὸν δῆμον καταλύουσιν, ἀπέθανον δέ τινες καὶ ἰδίας ἔχθρας ἕνεκα, καὶ ἄλλοι χρημάτων σφίσιν ὀφειλομένων ὑπὸ τῶν λαβόντων·

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    Capitoli 76-80

    Tucidide III 81, 1-5

    [81, 1] Quella notte stessa, dunque, i Peloponnesi subito in gran fretta tornarono a casa navigando lungo la costa; fatte passare le navi sopra l’istmo di Leucade per non es sere viste in navigazione, rientrarono in patria. [2] E i Corciresi, accortisi che le navi attiche si dirigevano verso di loro e che quelle dei nemici erano partite, fecero entra re in città i Messeni che prima erano fuori e, ordinato alle navi allesti-te di navigare fino al porto Illaico, mentre queste giravano nel porto, ammazza-vano tutti i nemici che trovavano. E, fatti uscire dalle navi tutti quelli che avevano persuaso a imbarcarsi, li giustiziarono; andati al tempio di Era, convinsero circa cinquanta persone, tra i supplici che vi erano, a sottostare al giudizio, e li condan-narono a morte tutti quanti. [3] Ma la maggior parte dei supplici, che non fu persuasa, quando vide l’accaduto, si dette la morte nel tempio, gli uni agli altri, e alcuni si im piccarono agli alberi, altri si ammazzarono come ciascu no poté. [4] E per la durata di sette giorni in cui Eurime donte, arrivato con sessanta navi, si fermò a Corcira, i Corciresi uccisero tutti quelli che consideravano loro ne mici: a quelli che avevano abbattuto la democrazia rivol gevano appunto questa accusa, ma alcuni altri perirono anche per inimicizie personali, e altri che erano in credi-to di denaro furono uccisi dai loro debitori.

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    9LA GUERRA CIVILE DI CORCIRA 99

    [5] πᾶσά τε ἰδέα κατέστη θανάτου, καὶ οἷον φιλεῖ ἐν τῷ τοιούτῳ γίγνεσθαι, οὐδὲν ὅτι οὐ ξυνέβη καὶ ἔτι περαιτέρω. Καὶ γὰρ πατὴρ παῖδα ἀπέκτεινε καὶ ἀπὸ τῶν ἱερῶν ἀπεσπῶντο καὶ πρὸς αὐτοῖς ἐκτείνοντο, οἱ δέ τινες καὶ περιοικοδομηθέντες ἐν τοῦ Διονύσου τῷ ἱερῷ ἀπέθανον.

    [5] Si usò ogni genere di morte e quello che suole accadere in casi simili avven-ne tutto quanto, e si andò anche più in là. Ché il pa dre uccise il figlio; e alcuni venivano trascinati fuori dal tempio e furono uccisi accanto ad esso; altri, infine, moriro no perché erano stati murati dentro il tempio di Dioniso.

    Analisi del testoI Peloponnesiaci, che avevano posto la loro base sul continente di fronte a Corcira, nel porto di Sibota (una insenatura a sud dell’attuale Igoumenitsa, protetta dalle isolette omonime), non avevano osato, nono-stante le sollecitazioni di Brasida, presente nella spe-dizione solo in qualità di consigliere del comandante Alcida, puntare direttamente sulla città: si erano li-mitati a saccheggiare la parte meridionale dell’isola, dove erano sbarcati presso il promontorio Leucimne. All’annuncio dell’imminente arrivo di sessanta trire-mi ateniesi, le navi peloponnesiache, «quella notte stessa, in gran fretta, presero il mare» alla volta della patria, facendo rotta verso sud e tenendosi il più pos-sibile sottocosta, per confondere la vista delle sago-me delle navi con l’oscurità informe della costa alta e montuosa. L’evento è molto insolito, in un’epoca in cui si navigava solo di giorno, ed è messo da Tucidide in risalto con un’enfatica triplice sottolineatura: τῆς νυκτὸς – εὐθὺς – κατὰ τάχος, intesa a soffermar-si, un po’ ironicamente, sul «terrore» ispirato dalla marina ateniese. Significativa, a proposito di questo «terrore», la suddivisione delle forze peloponnesia-che nella battaglia navale di cui si parla ai capitoli 77-78: su 53 navi, 20 vanno a fronteggiare le 60 messe in acqua dai Corciresi, mentre 33 si dispongono contro le 12 ateniesi. Quando poi, nonostante la superiorità numerica, le 33 si vengono a trovare in difficoltà, an-che le altre 20, lasciati perdere i Corciresi, vanno a da-re man forte contro gli Ateniesi! Giunti all’altezza di Leucade, invece di compierne il periplo, che li avrebbe messi a rischio dell’incontro o dell’avvistamento del-la flotta ateniese, fecero superare alle navi il sottile istmo di terra che fa di Leucade in realtà una penisola

    (probabilmente si servirono di un sistema di rulli, co-me era d’uso sul δίολκος di Corinto; operazione non inusuale, verrà ripetuta da 60 navi spartane nel 425: cfr. Tuc. IV 8, 2). Accortisi che le navi nemiche erano partite e che stava giungendo la squadra navale ateniese, i Cor-ciresi fecero rientrare in città i 500 opliti (τούς τε Μεσσηνίους) che Nicostrato aveva condotto seco da Naupatto (vedi nota al capitolo 75). Spinsero poi le navi a uno dei due porti della città di Corfù (ἐς τὸν Ὑλλαικὸν λιμένα), probabilmente quello volto a sud, alquanto esterno rispetto al centro abitato: si trovava nella zona in cui si erano rifugiati i popolari, che lo tenevano sotto il loro controllo (cfr. 72, 3). Le navi fatte uscire sono, probabilmente, le 30 appe-na armate in aggiunta alle 60 precedentemente messe in mare, sulle quali erano stati imbarcati anche alcuni oligarchi. La manovra ha uno scopo che si chiarisce in seguito: approfittando della momentanea assenza de-gli oligarchi imbarcati su queste navi, i democratici di Corcira uccidono sulla terraferma tutti gli oligarchici su cui riescono a mettere le mani. Portata a termine questa strage, viene il turno degli oligarchi sulle navi che, dopo un breve periplo, saranno fatti sbarcare e uccisi a loro volta. Per completare l’opera, rimango-no gli oligarchi rinchiusi nel santuario di Era e an-che per loro verrà attuata una strategia di divisione. Dapprima si persuaderanno alcuni a sottoporsi a re-golare processo: i 50 che acconsentono verranno tutti condannati a morte. Gli altri, disperati, preferiranno il suicidio al cadere vivi nelle mani degli avversari politici, quegli stessi democratici che solo il giorno prima, in preda al terrore per il sopraggiungere della

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    flotta peloponnesiaca, avevano intavolato trattative con loro – compresi i supplici nel tempio di Era – per coinvolgerli in una difesa della «patria», che in realtà aveva il senso di una difesa di loro stessi. In tutta questa operazione, Tucidide non attribuisce dirette responsabilità al generale ateniese Eurime-donte, limitandosi a rilevare che la durata della mat-tanza coincise con la sua permanenza a Corcira. Ben diverso era stato il comportamento di Nicostrato (che favorì un accomodamento e li persuase ad accordarsi, vedi cap. 75 e nota): Eurimedonte non vuole o non può (ma è difficile crederlo) impedire i massacri e il suo grado di comando, certamente superiore a quello di Nicostrato, impedisce a quest’ultimo di esercitare una qualsiasi azione umanitaria. A parte la differenza di personalità fra i due, può darsi che l’atteggiamento di Eurimedonte fosse dovuto a una precisa strategia ateniese che aveva deciso di risolvere la questione di Corcira una volta per tutte: fare piazza pulita di ogni opposizione in questa città, per avere a disposizione una base sicura per le future spedizioni in occidente. Uguale spietata determinazione, unita a spregiudicata

    perfidia, si avrà al momento di liquidare le ultime re-sistenze oligarchiche (IV 46-48), anche se Tucidide ne attribuisce la responsabilità alle gelosie dei coman-danti ateniesi (ma con motivazioni molto fiacche!).Forti dell’appoggio ateniese, i democratici corciresi compiono una vera e propria mattanza: come sempre succede nelle guerre civili, il pretesto politico serve a ricoprire, in alcuni casi, motivazioni inconfessabili, rancori personali, debiti da cancellare, aggiungendo un elemento di ulteriore immoralità alla guerra, che, infatti, diviene estrema anche nelle sue forme di mor-te, in un catalogo degli orrori che non ha limiti. Questo dipende non da una particolare efferatezza dell’animo dei Corciresi, annota lo storico, ma è legge propria della immutabile natura umana (τὸ ἀνθρώπινον di I 22, 4), destinata a ripetersi, dunque, sotto qualun-que cielo (e, infatti, all’inizio del capitolo seguente, Tucidide dice che quella di Corcira fu solo la prima di una lunga serie di guerre intestine). L’eliminazione di qualsiasi vincolo morale è sintetizzata dalla violazio-ne dei due ambiti più sacri: il rapporto padre-figlio e la sede del divino.

    Per saperne di piùeurimedontePersonaggio di spicco della nomenclatura politico-militare ateniese di quest’epoca, Eurimedonte fu stratego per molti anni e in diversi scacchieri: l’anno successivo alle vicende qui narrate guiderà una spe-dizione per via di terra contro Tanagra, città della Beozia; nel 425 parteciperà, seppur controvoglia – in quanto desideroso di muovere verso Corcira e poi la Sicilia –, alla costituzione della piazzafor-te di Pilo, nel Peloponneso, fortemente voluta dal generale Demostene. Quindi farà poi vela alla volta di Corcira, ma richiamato nel corso della navigazio-ne da richieste di aiuto di Demostene, ritornerà a Pilo, partecipando alla sua difesa contro i tentativi spartani di Brasida. Ripresa la rotta verso Corcira, sarà protagonista della fase finale della guerra civile nell’isola, meritandosi un finalmente esplicito giu-

    dizio negativo di Tucidide (IV 46-47). Passato infine in Sicilia, sul finire dell’estate del 425, vi rimase con Pitodoro e Sofocle anche l’anno seguente, quando la sopravvenuta pace di Gela tra le città siciliane, togliendo ogni pretesto di intervento agli Ateniesi, li costrinse a riprender la rotta di casa. Qui giunti, i tre strateghi furono sottoposti a processo per corru-zione: mentre gli altri due furono condannati all’esi-lio, Eurimedonte se la cavò con una multa. Nel 414 portò rinforzi in uomini e denari a Nicia duramente impegnato di fronte a Siracusa; tornato a Corcira, procedette all’allestimento di navi e all’arruolamen-to di opliti. Ritornato in Sicilia al comando, insieme a Demostene, di una spedizione di soccorso, trovò la morte nell’agosto del 413, durante una battaglia navale nel Porto Grande di Siracusa.

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    11LA GUERRA CIVILE DI CORCIRA 1111

    La ferocia della guerra civile

    [82, 1] Οὕτως ὠμὴ ἡ στάσις προυχώρησε, καὶ ἔδοξε μᾶλλον, διότι ἐν τοῖς πρώτη ἐγένετο, ἐπεὶ ὕστερόν γε καὶ πᾶν ὡς εἰπεῖν τὸ Ἑλληνικὸν ἐκινήθη, διαφορῶν οὐσῶν ἑκασταχοῦ τοῖς τε τῶν δήμων προστάταις τοὺς Ἀθηναίους ἐπάγεσθαι καὶ τοῖς ὀλίγοις τοὺς Λακεδαιμονίους. καὶ ἐν μὲν εἰρήνῃ οὐκ ἂν ἐχόντων πρόφασιν οὐδ᾽ ἑτοίμων παρακαλεῖν αὐτούς, πολεμουμένων δὲ καὶ ξυμμαχίας ἅμα ἑκατέροις τῇ τῶν ἐναντίων κακώσει καὶ σφίσιν αὐτοῖς ἐκ τοῦ αὐτοῦ προσποιήσει ῥᾳδίως αἱ ἐπαγωγαὶ τοῖς νεωτερίζειν τι βουλομένοις ἐπορίζοντο. [2] Καὶ ἐπέπεσε πολλὰ καὶ χαλεπὰ κατὰ στάσιν ταῖς πόλεσι, γιγνόμενα μὲν καὶ αἰεὶ ἐσόμενα, ἕως ἂν ἡ αὐτὴ φύσις ἀνθρώπων ᾖ, μᾶλλον δὲ καὶ ἡσυχαίτερα καὶ τοῖς εἴδεσι διηλλαγμένα, ὡς ἂν ἕκασται αἱ μεταβολαὶ τῶν ξυντυχιῶν ἐφιστῶνται. Ἐν μὲν γὰρ εἰρήνῃ καὶ ἀγαθοῖς πράγμασιν αἵ τε πόλεις καὶ οἱ ἰδιῶται ἀμείνους τὰς γνώμας ἔχουσι διὰ τὸ μὴ ἐς ἀκουσίους ἀνάγκας πίπτειν· ὁ δὲ πόλεμος ὑφελὼν τὴν εὐπορίαν τοῦ καθ᾽ ἡμέραν βίαιος διδάσκαλος καὶ πρὸς τὰ παρόντα τὰς ὀργὰς τῶν πολλῶν ὁμοιοῖ. [3] Ἐστασίαζέ τε οὖν τὰ τῶν πόλεων, καὶ τὰ ἐφυστερίζοντά που πύστει τῶν προγενομένων πολὺ ἐπέφερε τὴν ὑπερβολὴν τοῦ καινοῦσθαι τὰς διανοίας τῶν τ᾽ ἐπιχειρήσεων περιτεχνήσει καὶ τῶν τιμωριῶν ἀτοπίᾳ.

    Tucidide III 82, 1-8

    [82, 1] A tal punto di ferocia arrivò quella guerra civile, e parve ancora più feroce perché fu la prima tra tutte. Giacché in seguito tutta la stirpe greca, per così dire, subì tali sconvolgimenti, per il sorgere universale di conflitti tra i capi del popolo, che volevano far venire gli Ateniesi nella loro città, e gli oligarchi che invitavano i Lacede moni. E se in tempo di pace le fazioni non avevano prete sti e non erano pronte a invitare le due potenze nemiche, una volta che queste entra-rono in guerra facilmente si ef fettuavano richieste di alleanza, per poter colpire i nemi ci e procurarsi con ciò dei vantaggi, da parte di coloro che desideravano novità politiche. [2] E con le sedizioni molte e gravi sciagure piombarono sulle città, sciagure che avvengono e sempre avverranno finché la natura umana sarà sempre la stessa, ma più gravi o più miti e differenti nell’aspetto a seconda del mutare delle circo stanze. Ché in tempo di pace e di prosperità le città e i privati cittadini provano sentimenti migliori, per il fatto chc non incontrano necessità che si oppongono al libero volere; al contrario, la guerra, che toglie il benessere del le abitudini giornaliere, è una maestra violenta e adatta alla situazione del momento i sentimenti della folla. [3] Allora, dunque, le città furono in preda alle sedizioni, e quelle che lo furono dopo, informate degli avvenimenti precedenti, fecero grandi progressi nel mutare i senti menti in peggio, sia mediante l’accura-tezza mostrata nel le imprese sia mediante le vendette eseguite in modo inaudito.

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    [4] Καὶ τὴν εἰωθυῖαν ἀξίωσιν τῶν ὀνομάτων ἐς τὰ ἔργα ἀντήλλαξαν τῇ δικαιώσει. Τόλμα μὲν γὰρ ἀλόγιστος ἀνδρεία φιλέταιρος ἐνομίσθη, μέλλησις δὲ προμηθὴς δειλία εὐπρεπής, τὸ δὲ σῶφρον τοῦ ἀνάνδρου πρόσχημα, καὶ τὸ πρὸς ἅπαν ξυνετὸν ἐπὶ πᾶν ἀργόν· τὸ δ᾽ ἐμπλήκτως ὀξὺ ἀνδρὸς μοίρᾳ προσετέθη, ἀσφαλείᾳ δὲ τὸ ἐπιβουλεύσασθαι ἀποτροπῆς πρόφασις εὔλογος. [5] Καὶ ὁ μὲν χαλεπαίνων πιστὸς αἰεί, ὁ δ᾽ ἀντιλέγων αὐτῷ ὕποπτος. Ἐπιβουλεύσας δέ τις τυχὼν ξυνετὸς καὶ ὑπονοήσας ἔτι δεινότερος· προβουλεύσας δὲ ὅπως μηδὲν αὐτῶν δεήσει, τῆς τε ἑταιρίας διαλυτὴς καὶ τοὺς ἐναντίους ἐκπεπληγμένος. Ἁπλῶς δὲ ὁ φθάσας τὸν μέλλοντα κακόν τι δρᾶν ἐπῃνεῖτο, καὶ ὁ ἐπικελεύσας τὸν μὴ διανοούμενον. [6] Καὶ μὴν καὶ τὸ ξυγγενὲς τοῦ ἑταιρικοῦ ἀλλοτριώτερον ἐγένετο διὰ τὸ ἑτοιμότερον εἶναι ἀπροφασίστως τολμᾶν· οὐ γὰρ μετὰ τῶν κειμένων νόμων ὠφελίας αἱ τοιαῦται ξύνοδοι, ἀλλὰ παρὰ τοὺς καθεστῶτας πλεονεξίᾳ. Καὶ τὰς ἐς σφᾶς αὐτοὺς πίστεις οὐ τῷ θείῳ νόμῳ μᾶλλον ἐκρατύνοντο ἢ τῷ κοινῇ τι παρανομῆσαι. [7] Τά τε ἀπὸ τῶν ἐναντίων καλῶς λεγόμενα ἐνεδέχοντο ἔργων φυλακῇ, εἰ προύχοιεν, καὶ οὐ γενναιότητι. Ἀντιτιμωρήσασθαί τέ τινα περὶ πλείονος ἦν ἢ αὐτὸν μὴ προπαθεῖν. Καὶ ὅρκοι εἴ που ἄρα γένοιντο ξυναλλαγῆς,

    [4] E l’usuale valore che le parole avevano in rapporto all’oggetto fu mutato a seconda della sua sti ma. Ché l’audacia dissennata fu considerata ardire devo to alla causa dei congiurati, e la previdente cautela viltà mascherata da un bel nome, e la moderazione un manto del vile, e la prudenza in ogni cosa un essere oziosi in ogni cosa. L’essere follemente audace fu considerato co sa degna del carattere dell’uomo, e il riflettere per tentare un’impresa da una posizione di sicurezza un ragionevole pretesto per rifiutare. [5] E chi si adirava era persona fi da in ogni occasione, chi lo rimbeccava era sospetto. Uno che tendeva insidie, se riusciva nel suo intento, era intelligente, e se le sospettava, era ancora più abile, men tre chi prendeva le sue misure in modo da non aver bisogno di quelle cautele era considerato distruttore della sua società politica e timoroso dei nemici. Insomma, era lo dato chi riusciva a prevenire quello che voleva far del male, e chi spingeva a farlo colui che nemmeno lo pensa va. [6] E il legame di sangue divenne meno stretto di quello della società politica, poiché quest’ultima era più pronta a osare senza addurre pretesti: queste conventico le, infatti, non si formavano per ottenere vantaggi in conformità delle leggi, ma per fare dei soprusi con la vio lazione di quelle vigenti. E garantivano la fede datasi re ciprocamente non tanto per mezzo delle leggi divine, quanto per mezzo di una comune violazione di quelle umane. [7] E le oneste proposte fatte dai nemici venivano accettate cautelandosi coi fatti, nel caso che si avesse la meglio, e non per nobiltà d’animo. Vendicarsi di uno era considerato molto più onorevole che non il non essere of fesi per primi. E i giuramenti di rappacificazione, quan do avvenivano, una volta che erano stati

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    13LA GUERRA CIVILE DI CORCIRA 1313

    ἐν τῷ αὐτίκα πρὸς τὸ ἄπορον ἑκατέρῳ διδόμενοι ἴσχυον οὐκ ἐχόντων ἄλλοθεν δύναμιν· ἐν δὲ τῷ παρατυχόντι ὁ φθάσας θαρσῆσαι, εἰ ἴδοι ἄφαρκτον, ἥδιον διὰ τὴν πίστιν ἐτιμωρεῖτο ἢ ἀπὸ τοῦ προφανοῦς, καὶ τό τε ἀσφαλὲς ἐλογίζετο καὶ ὅτι ἀπάτῃ περιγενόμενος ξυνέσεως ἀγώνισμα προσελάμβανεν. Ῥᾷον δ᾽ οἱ πολλοὶ κακοῦργοι ὄντες δεξιοὶ κέκληνται ἢ ἀμαθεῖς ἀγαθοί, καὶ τῷ μὲν αἰσχύνονται, ἐπὶ δὲ τῷ ἀγάλλονται. [8] Πάντων δ᾽ αὐτῶν αἴτιον ἀρχὴ ἡ διὰ πλεονεξίαν καὶ φιλοτιμίαν· ἐκ δ᾽ αὐτῶν καὶ ἐς τὸ φιλονικεῖν καθισταμένων τὸ πρόθυμον. Οἱ γὰρ ἐν ταῖς πόλεσι προστάντες μετὰ ὀνόματος ἑκάτεροι εὐπρεποῦς, πλήθους τε ἰσονομίας πολιτικῆς καὶ ἀριστοκρατίας σώφρονος προτιμήσει, τὰ μὲν κοινὰ λόγῳ θεραπεύοντες ἆθλα ἐποιοῦντο, παντὶ δὲ τρόπῳ ἀγωνιζόμενοι ἀλλήλων περιγίγνεσθαι ἐτόλμησάν τε τὰ δεινότατα ἐπεξῇσάν τε τὰς τιμωρίας ἔτι μείζους, οὐ μέχρι τοῦ δικαίου καὶ τῇ πόλει ξυμφόρου προτιθέντες, ἐς δὲ τὸ ἑκατέροις που αἰεὶ ἡδονὴν ἔχον ὁρίζοντες, καὶ ἢ μετὰ ψήφου ἀδίκου καταγνώσεως ἢ χειρὶ κτώμενοι τὸ κρατεῖν ἑτοῖμοι ἦσαν τὴν αὐτίκα φιλονικίαν ἐκπιμπλάναι. Ὥστε εὐσεβείᾳ μὲν οὐδέτεροι ἐνόμιζον, εὐπρεπείᾳ δὲ λόγου οἷς ξυμβαίη ἐπιφθόνως τι διαπράξασθαι, ἄμεινον ἤκουον. Τὰ δὲ μέσα τῶν πολιτῶν ὑπ᾽ ἀμφοτέρων ἢ ὅτι οὐ ξυνηγωνίζοντο ἢ φθόνῳ τοῦ περιεῖναι διεφθείροντο.

    scambievolmen te concessi, avevano momentaneo valore di fronte alle necessità che non concedevano ai contraenti altra risor sa. Ma all’occasione, chi per primo poteva prender fidu cia nelle proprie forze, se vedeva il nemico indifeso pro vava più piacere a vendicarsi approfittando della sua buona fede che agendo scoperta-mente, e a questo scopo faceva affidamento sulla sicurezza del successo e sul fatto che vincendo con l’inganno avrebbe avuto in più il premio di essere considerato intelligente. Gli individui comuni preferiscono esser chiamati abili malvagi piut-tosto che sciocchi galantuomini e dell’una cosa si vergognano, del l’altra si vanta-no. [8] Cagione di tutto ciò era il dominio ispirato dai soprusi e dall’ambizione, dai quali derivava anche l’ardore di uomini posti di fronte alla necessità di vincere ad ogni costo. Ché nelle città i capi di fazione, cia scuno usando nomi onesti, cioè di preferire il popolo e l’u guaglianza civile oppure un’aristocrazia moderata, a paro le curavano gli interessi comuni, ma a fatti ne facevano un premio della loro lotta. E, lottando con tutti i mezzi per superarsi, osarono compiere i fatti più inau-diti e continua mente inasprirono le rappresaglie, non ponendo come loro confine la giustizia e l’utile della città, ma definendole a seconda del piacere che ciascuna delle due parti vi trovava; e, mentre cercavano di raggiungere il potere mediante una condanna motivata da un ingiusto decreto o l’uso della forza, erano pronti a soddisfare la bramosia di vittoria del momento. Sicché nessuna delle due parti praticava l’one stà, ma godevano di miglior fama coloro che con un man to di bei discorsi riuscivano a fare qualcosa in modo odio so. E i cittadini neutrali perivano per mano di entrambe le fazioni, o perché non si univano alla lotta o per l’odio che si provava perché scampavano alla morte.

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    Analisi del testoQuesto capitolo e il successivo rappresentano (come nota S. Hornblower) l’espressione più estesa e di-retta dell’opinione personale di Tucidide nell’arco di tutta la sua opera, e l’associazione di queste prese di posizione con un ductus narrativo ricco di pathos e di sottolineature drammatiche fa sospettare la ricer-ca di un effetto che potrebbe trovare il suo sbocco nella lettura ad un simposio o in un’eteria (Dionigi d’Alicarnasso, De Thucidide 29-33 rinviene in queste pagine un linguaggio volutamente complicato e ri-cercatamente poetico).È sottolineata la ferocia della guerra civile, che fu la prima a sconvolgere il mondo greco e che por-tò a conseguenze difficilmente prevedibili. Il tema viene trattato da Tucidide con l’attitudine del medi-co, rilevabile già nell’espressione οὕτως ὡμή2 con cui attacca il capitolo (vedi anche, al paragrafo 2, l’uso di ἐπιπίπτω, altro termine della medicina), a testimonianza di come egli consideri la stasis come una malattia del corpo politico. Il termine στάσις è canonico, per indicare la discordia civile che, tra-scendendo la normale dialettica politica all’interno della città, trasforma in assoluto i valori della fazio-ne e degenera nella lotta armata. A livello lessicale è significativo anche il verbo νεωτερίζειν, per il quale si veda la nota sopra al cap. 72. Qui il termi-ne è usato col significato di «provocare un sovver-timento» non esclusivamente in senso progressista, ma applicabile anche a movimenti reazionari, propri di una parte oligarchica. È comunque evidente la sua valenza negativa.Interessante è la riflessione sulla στάσις del par. 2, elaborata su concetti generali: le sedizioni e le guerre sono connaturate con la natura umana, che è sostanzialmente immutabile (γιγνόμενα μὲν καὶ αἰεὶ ἐσόμενα, ἕως ἂν ἡ αὐτὴ φύσις ἀνθρώπων ᾖ «che succedono e sono destinate a succedere sempre, finché la natura umana è la stessa»: cfr. I 22, 4) e costituiscono i momenti rivelatori, in cui si scatenano i peggiori istinti, perché la guerra è

    un βίαιος διδάσκαλος «maestro violento», perché «sottraendo il benessere delle abitudini giornaliere» (ὑφελὼν τὴν εὐπορίαν τοῦ καθ᾽ ἡμέραν) «adat-ta i sentimenti della folla alle esigenze del momen-to» (πρὸς τὰ παρόντα τὰς ὀργὰς τῶν πολλῶν ὁμοιοῖ). Notevole è il saggio di analisi materialista (di un marxismo ante-litteram) degli effetti della guerra, che fa dipendere le degenerazioni degli animi da cause economiche, ovvero dall’alterazione del be-nessere acquisito (εὐπορία), mentre in tempo di pace, per converso, le città nel complesso e i sin-goli cittadini sono animati da sentimenti migliori, perché non condizionati da necessità che osta-colano il loro libero volere (αἵ τε πόλεις καὶ οἱ ἰδιῶται ἀμείνους τὰς γνώμας ἔχουσι διὰ τὸ μὴ ἐς ἀκουσίους ἀνάγκας πίπτειν).Speculare dello stravolgimento degli animi, è lo stravolgimento linguistico che altera τὴν εἰωθυῖαν ἀξίωσιν τῶν ὀνομάτων «il valore consueto delle parole». Anche l’uso della parola è funzionale alla lotta politica e diviene un’arma: se la prima vittima della guerra è la verità, lo strumento che serve a inquinarla è il linguaggio.Tucidide propone poi una serie di quegli atteggia-menti che si affermano nel clima di prevaricazione e degrado della guerra civile. Radice di tutti i mali è la brama di potere (ἀρχή, par. 8)3, in un quadro nel quale i capi delle fazioni perseguono i propri fi-ni, mistificandoli sotto il nome di ἰσονομία4 o di ἀριστοκρατία σώφρων, qui accostate con pari dignità (μετὰ ὀνόματος ἑκάτεροι εὐπρεποῦς). È evidente il riecheggiamento di espressioni propa-gandistiche, speciose sovrastrutture di πλεονεξία e φιλοτιμία, «sopruso e ambizione», vere cau-se dell’agire. Si noti come il pessimismo tucidideo escluda qualsiasi motivazione ideale nei contenden-ti, con un’assolutizzazione forse eccessiva, anche alla luce di più prossime nostre esperienze di guerra civile.

    2. Le traduzioni proposte in questo capitolo sono tutte di F. Ferrari (1985).3. Altrove, in un contesto più generale, la triade paura-onore-utile viene identificata come origi-ne di ogni azione umana (I 75, 3; vedi nota al passo).4. Secondo Erodoto (III 80, 6) è il termine, più decoroso («il nome di tutti il più bello» ), con cui si indicava la democrazia (vedi nota a II 37, 1 a p. 176).

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    15LA GUERRA CIVILE DI CORCIRA 1515

    echi tucididei di guerra civile in SallustioLo storico latino, emulo di Tucidide, ha lasciato in alcune sue pagine spunti sulla lotta po-litica che rimandano al modello greco, talvolta con evidenti richiami lessicali, specialmente in relazione al paragrafo 82, 8.

    Bellum Catilinae 38, 2-4Contra eos summa ope nitebatur pleraque nobilitas senatus specie pro sua magnitudine. namque, uti paucis verum absolvam, post illa tempora quicumque rem publicam agita-vere, honestis nominibus, alii sicuti populi iura defenderent, pars quo senatus auctoritas maxuma foret, bonum publicum simulantes pro sua quisque potentia certabant. neque illis modestia neque modus contentionis erat: utrique victoriam crudeliter exercebant.

    Contro di essi (scil. i populares) combatteva con estrema energia la quasi totalità della aristocrazia, sot-to l’onorevole pretesto di difendere il senato, in realtà per i propri interessi. Infatti, per esser brevi, chiunque, dopo l’epoca sillana, fu causa di disordini, si servì di slogan prestigiosi, come «la difesa dei diritti del popolo» per gli uni, o «la salvaguardia dell’autorità del senato» per gli altri: fi ngevano di aver di mira il bene pubblico, in realtà ognuno lottava per la conquista del potere. Inoltre, la lotta era senza regole, senza esclusione di colpi: sia gli uni che gli altri si comportavano con crudeltà dopo la vittoria.

    Bellum Jugurthinum 42, 4Igitur ea victoria nobilitas ex lubidine sua usa multos mortalis ferro aut fuga extinxit plu-sque in relicuom sibi timoris quam potentiae addidit. quae res plerumque magnas civita-tis pessum dedit, dum alteri alteros vincere quovis modo et victos acerbius ulcisci volunt.

    Così la nobiltà, approfi ttando della vittoria per sfogare senza controllo i suoi odi, tolse di mezzo, con la spada o con l’esilio, molti avversari e per il futuro si procurò più paure che potere; ed è proprio questa la condizione che manda spesso in rovina stati anche potenti, quando gli uni cercano di imporsi agli altri in qualunque modo e si vendicano sul vinto con eccessiva durezza.

    A S. Mazzarino1 il sallustiano quovis modo, nel suo ricalcarsi sul παντί ... τρόπῳ tucidideo, sembrava la spia rivelatrice della diretta dipendenza.

    Appendice sulla neolingua, da 1984 di George OrwellA proposito di stravolgimento linguistico speculare a quello degli animi, leggiamo questa paginetta di Orwell:

    Nessuna parola, nel lessico B, era neutra da un punto di vista ideologico. Moltissime erano eufemismi. Parole come camposvago (per indicare i lavori forzati) o Minipax (per indicare il Ministero della Pace, cioè della Guerra) stavano a indicare quasi l’opposto di quello che affermavano all’apparenza ... Non mancavano parole dal signifi cato ambiva-

    MeMORiA LeTTeRARiA

    1. Il pensiero storico classico, II, 1, Bari, Laterza 1983, p. 372.

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    de1616 TT

    [83, 1] Οὕτω πᾶσα ἰδέα κατέστη κακοτροπίας διὰ τὰς στάσεις τῷ Ἑλληνικῷ, καὶ τὸ εὔηθες, οὖ τὸ γενναῖον πλεῖστον μετέχει, καταγε-λασθὲν ἠφανίσθη, τὸ δὲ ἀντιτετάχθαι ἀλλήλοις τῇ γνώμῃ ἀπίστως ἐπὶ πολὺ διήνεγκεν· [2] οὐ γὰρ ἦν ὁ διαλύσων οὔτε λόγος ἐχυρὸς οὔτε ὅρκος φοβερός, κρείσσους δὲ ὄντες ἅπαντες λογισμῷ ἐς τὸ ἀνέλπιστον τοῦ βεβαίου μὴ παθεῖν μᾶλλον προυσκόπουν ἢ πιστεῦσαι ἐδύναντο. [3] Καὶ οἱ φαυλότεροι γνώμην ὡς τὰ πλείω περιεγίγνοντο· τῷ γὰρ δε-διέναι τό τε αὑτῶν ἐνδεὲς καὶ τὸ τῶν ἐναντίων ξυνετόν, μὴ λόγοις τε ἥσσους ὦσι καὶ ἐκ τοῦ πολυτρόπου αὐτῶν τῆς γνώμης φθάσωσι προ-επιβουλευόμενοι, τολμηρῶς πρὸς τὰ ἔργα ἐχώρουν. [4] Οἱ δὲ κατα-φρονοῦντες κἂν προαισθέσθαι καὶ ἔργῳ οὐδὲν σφᾶς δεῖν λαμβάνειν ἃ γνώμῃ ἔξεστιν, ἄφαρκτοι μᾶλλον διεφθείροντο.

    [83, 1] Così nella stirpe greca a causa delle sedizioni sorse ogni genere di disone-stà, e la semplicità d’animo, con la quale generalmente la nobiltà si accompagna, irrisa sva nì, mentre lo schierarsi in campi opposti con sentimenti di diffidenza ovunque fu un’abitudine predominante. [2] Giacché non era sufficiente a ricon-ciliare né un discorso efficace né un giuramento spaventoso, ma tutti quanti, una volta che si trovassero in posizioni di superiorità, calcolando quanto fosse insperabile la sicurezza, si cau telavano dalle offese più di quanto non fossero capaci di fidarsi di qualcuno. [3] E le persone dalla mente meno elevata di solito vincevano, ché temendo la propria infe riorità e l’astuzia dei nemici, cioè di essere vinti dai di scorsi, e di essere prevenuti nelle insidie dall’astuzia della mente altrui, audacemente passavano all’azione. [4] Gli altri invece, pensando nel loro disprez-zo di accorgersi in tempo delle offese e di non dover prendere coi fatti quel lo che si poteva prendere con l’intelligenza, più di tutti cadevano indifesi.

    Tucidide III 83, 1-4

    lente, “buone” quando si riferivano al Partito e “cattive” quando si riferivano ai nemici del Partito.

    Questi abusi linguistici culminano nei tre slogan del Partito, onnipresenti in modo inquie-tante nel mondo del Grande Fratello: «La guerra è pace - La libertà è schiavitù - L’ignoranza è forza».

    Analisi del testoUn’altra pennellata di grande forza icastica: «le persone dalla mente meno acuta» (οἱ φαυλότεροι γνώμην), di solito «avevano la meglio» (περιεγίγνοντο), per-ché senza nessuno scrupolo (τολμηρῶς) passavano all’azione, per il timore dei propri limiti e nel sospetto che l’altrui astuzia potesse prevenirli. All’intelligenza

    di Tucidide questa conseguenza delle guerre civili non doveva apparire la meno dolorosa: scandalosa questa Ausrottung der besten, questa selezione al contrario, che vede perire, in una sdegnosa noncuranza, le in-telligenze migliori, vittime di ottusi, ma guardinghi trafficoni.

  • Tuci

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    17LA GUERRA CIVILE DI CORCIRA 1717

    Il capitolo 84, ripetizione di riflessioni già fatte, è stato considerato spurio sin dall’anti-chità, qui inserito da un imitatore, non privo peraltro di una certa abilità.

    [85, 1] Οἱ μὲν οὖν κατὰ τὴν πόλιν Κερκυραῖοι τοια-ύταις ὀργαῖς ταῖς πρώταις ἐς ἀλλήλους ἐχρήσαντο, καὶ ὁ Εὐρυμέδων καὶ οἱ Ἀθηναῖοι ἀπέπλευσαν ταῖς ναυσίν· [2] ὕστερον δὲ οἱ φεύγοντες τῶν Κερκυραίων (διεσώθησαν γὰρ αὐτῶν ἐς πεντακοσίους) τείχη τε λαβόντες, ἃ ἦν ἐν τῇ ἠπείρῳ, ἐκράτουν τῆς πέραν οἰκείας γῆς καὶ ἐξ αὐτῆς ὁρμώμενοι ἐλῄζοντο τοὺς ἐν τῇ νήσῳ καὶ πολλὰ ἔβλαπτον, καὶ λιμὸς ἰσχυρὸς ἐγένετο ἐν τῇ πόλει. [3] Ἐπρεσβεύοντο δὲ καὶ ἐς τὴν Λακεδαίμονα καὶ Κόρινθον περὶ καθόδου· καὶ ὡς οὐδὲν αὐτοῖς ἐπράσσετο, ὕστερον χρόνῳ πλοῖα καὶ ἐπικούρους παρασκευασάμενοι διέβησαν ἐς τὴν νῆσον ἑξακόσιοι μάλιστα οἱ πάντες, καὶ τὰ πλοῖα ἐμπρήσαντες, ὅπως ἀπόγνοια ᾖ τοῦ ἄλλο τι ἢ κρατεῖν τῆς γῆς, ἀναβάντες ἐς τὸ ὄρος τὴν Ἰστώνην, τεῖχος ἐνοικοδομησάμενοι ἔφθειρον τοὺς ἐν τῇ πόλει καὶ τῆς γῆς ἐκράτουν.

    [85, 1] Dunque, i Corciresi della città si dettero tra loro a si mili accessi d’ira, ed Eurimedonte e gli Ateniesi ripartiro no con la flotta. [2] Poi gli esuli corciresi (ché se ne erano salvati circa cinquecento), occupate le fortezze di terra ferma, si resero signori della terra corcirese posta di fronte all’isola. Muovendosi dalla terraferma, fecero in cursioni ai danni degli isolani e recarono ingenti danni, mentre una forte carestia era piombata sulla città. [3] Mandarono ambasciatori anche a Sparta e a Corinto per ché li facessero rientrare in città. Ma siccome non otten nero nulla, prepararono barche e ausiliari e traversarono il mare fino all’isola, circa seicento in tutto. E dettero fuoco alle barche, in modo che non ci fosse per loro altra risor-sa che quella di impadronirsi del paese, e, saliti sul monte Istone, vi costruirono un forte; e uccidevano i cit tadini e dominavano il paese.

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    Capitolo 84

    Tucidide III 85, 1-3

    Analisi del testoGli oligarchi fuggiaschi giungono poco alla volta a controllare probabilmente la parte costiera dell’Epi-ro, dirimpetto a Corcira, e usano la zona come ba-se di operazioni, per esercitare un’efficace pirateria a danno degli abitanti dell’isola (oppure: effettuare incursioni molto efficaci sull’isola). Il successo di tale tattica è tale che ispira agli oligarchi il progetto di un rientro nella città, realizzabile, peraltro, di fronte ad una prevedibile reazione di Atene, solo col sostegno di Sparta e Corinto. Inviate le richieste di soccorso,

    queste vengono lasciate cadere; gli oligarchi, allo-ra, procedono autonomamente: passano all’occupa-zione stabile della parte settentrionale dell’isola, un acrocoro montuoso, che si protende verso la vicina costa continentale, culminante nella vetta del mon-te Istone, corrispondente probabilmente all’attuale Pantokrator (m. 906), un’ottima base di partenza per continue (nota gli imperfetti ἔφθειρον ... ἐκράτουν) scorrerie verso le fertili pianure alluvionali della parte centrale dell’isola.

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    de1818 TT

    Sofferma l’attenzione sul comportamento del-lo stratego Eurimedonte, esaminando i passi in cui si fa riferimento al suo operato.

    Traduci e commenta la frase in 82, 2 γιγνόμενα μὲν καὶ αἰεὶ ἐσόμενα, ἕως ἂν ἡ αὐτὴ φύσις ἀνθρώπων ᾖ. Quale idea, collegata con la met-odologia storica di Tucidide, è sottesa?

    1

    2

    In che senso Tucidide afferma che πόλεμος è un βίαιος διδάσκαλος?

    Esamina e commenta il passaggio nel quale Tucidide afferma che, per effetto della στάσις, viene alterato anche il significato comune delle parole: proponi e discuti alcuni degli esempi ri-portati dallo storico.

    3

    4

    Rifletti sul testo

    A proposito delle ripercussioni morali indotte dalla guerra civile, fai un confronto con le osser-1

    Analisi testuale

    vazioni sulle conseguenze della peste, proposte da Tucidide nel libro II, ai capitoli 51-53.

  • Esio

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    de

    Siamo nell’estate del 425, sono trascorsi due anni dai giorni dei massacri raccon-tati nei capitoli precedenti. Una squadra navale ateniese, che da Pilo è diretta in Sicilia, fa scalo a Corcira e decide di eliminare quei fuggiaschi oligarchici che, stanziati sul monte Istone, controllavano quella parte dell’isola, causando gravi danni: le loro posizioni vengono conquistate ed essi sono costretti a consegnarsi agli strateghi ateniesi, che li tengono in custodia nell’isola di Ptychia (a nord della città di Corcira, a circa un chilometro dalla costa), in attesa di trasportarli ad Atene. Ma i capi democratici corciresi, temendo che essi potessero trovare clemenza, una volta giunti ad Atene, macchinarono una trappola, per farseli con-segnare e metterli tutti a morte.

    L’episodio si conclude con un’ulteriore carneficina, che porterà al totale annien-tamento della fazione oligarchica di Corcira, compiuto dai responsabili della fa-zione democratica con l’avvallo degli strateghi ateniesi (che forse agivano in conformità con ordini superiori provenienti dalla stessa Atene).

    [46, 1] Κατὰ δὲ τὸν αὐτὸν χρόνον, καθ᾽ ὃν ταῦτα ἐγίγνετο, καὶ Εὐρυμέδων καὶ Σοφοκλῆς, ἐπειδὴ ἐκ τῆς Πύλου ἀπῆραν ἐς τὴν Σικελίαν ναυσὶν Ἀθηναίων, ἀφικόμενοι ἐς Κέρκυραν ἐστράτευσαν μετὰ τῶν ἐκ τῆς πόλεως ἐπὶ τοὺς ἐν τῷ ὄρει τῆς Ἰστώνης Κερκυραίων καθιδρυμένους, οἵ τότε μετὰ τὴν στάσιν διαβάντες ἐκράτουν τε τῆς γῆς καὶ πολλὰ ἔβλαπτον. [2] Προσβαλόντες δὲ τὸ μὲν τείχισμα εἷλον, οἱ δὲ ἄνδρες

    Un’ulteriore carnefi cinaUn’ulteriore Un’ulteriore

    Tucidide IV 46-48

    [46, 1] Nello stesso periodo in cui avvenivano questi fatti, Eurimedonte e Sofocle salparono da Pilo per la Sicilia con le navi ateniesi, e giunti a Corcira, insieme a quelli della città fecero una spedizione contro quei Corciresi stanziati sul monte Istone, i quali, passati in quel luogo dopo la sedizione, erano padroni della terra e causavano grandi danni. [2] Attaccatili, presero il forte, ma gli uo mini, fuggiti

    La conclusione della στάσις

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    καταπεφευγότες ἁθρόοι πρὸς μετέωρόν τι ξυνέβησαν ὥστε τοὺς μὲν ἐπικούρους παραδοῦναι, περὶ δὲ σφῶν τὰ ὅπλα παραδόντων τὸν Ἀθηναίων δῆμον διαγνῶναι. [3] Καὶ αὐτοὺς ἐς τὴν νῆσον οἱ στρατηγοὶ τὴν Πτυχίαν ἐς φυλακὴν διεκόμισαν ὑποσπόνδους, μέχρι οὗ Ἀθήναζε πεμφθῶσιν, ὥστ᾽, ἐάν τις ἁλῷ ἀποδιδράσκων, ἅπασι λελύσθαι τὰς σπονδάς. [4] Οἱ δὲ τοῦ δήμου προστάται τῶν Κερκυραίων, δεδιότες μὴ οἱ Ἀθηναῖοι τοὺς ἐλθόντας οὐκ ἀποκτείνωσι, μηχανῶνται τοιόνδε τι· [5] τῶν ἐν τῇ νήσῳ πείθουσί τινας ὀλίγους, ὑποπέμψαντες φίλους καὶ διδάξαντες ὡς κατ᾽ εὔνοιαν δὴ λέγειν ὅτι κράτιστον αὐτοῖς εἴη ὡς τάχιστα ἀποδρᾶναι, πλοῖον δέ τι αὐτοὶ ἑτοιμάσειν· μέλλειν γὰρ δὴ τοὺς στρατηγοὺς τῶν᾽ Αθηναίων παραδώσειν αὐτοὺς τῷ δήμῳ τῶν Κερκυραίων.[47, 1] Ὡς δὲ ἔπεισαν, καὶ μηχανησαμένων τὸ πλοῖον ἐκπλέοντες ἐλήφθησαν, ἐλέλυντό τε αἱ σπονδαὶ καὶ τοῖς Κερκυραίοις παρεδίδοντο οἱ πάντες. [2] Ξυνελάβοντο δὲ τοῦ τοιούτου οὐχ ἥκιστα, ὥστε ἀκριβῆ τὴν πρόφασιν γενέσθαι καὶ τοὺς τεχνησαμένους ἀδεέστερον ἐγχειρῆσαι, οἱ στρατηγοὶ τῶν Ἀθηναίων κατάδηλοι ὄντες τοὺς ἄνδρας μὴ ἂν βούλεσθαι ὑπ᾽ ἄλλων κομισθέντας, διότι αὐτοὶ ἐς Σικελίαν ἔπλεον, τὴν τιμὴν τοῖς ἄγουσι προσποιῆσαι. [3] Παραλαβόντες δὲ αὐτοὺς οἱ Κερκυραῖοι ἐς οἴκημα μέγα κατεῖρξαν, καὶ ὕστερον ἐξάγοντες κατὰ εἴκοσιν ἄνδρας διῆγον διὰ δυοῖν στοίχοιν ὁπλιτῶν ἑκατέρωθεν παρατεταγμένων,

    tutti insieme su un’altura, si accordarono di consegnare le truppe ausiliarie, di cedere le armi e di la sciare al popolo ateniese le decisioni su di loro. [3] E gli strateghi li trasportavano nell’isola di Ptichia perché fossero sorvegliati, in attesa di essere inviati ad Atene, col patto che se uno di loro fosse stato catturato in fuga, la tregua sarebbe stata rotta per tutti. [4] Ma i capi della de mocrazia di Corci-ra, temendo che gli Ateniesi non ucci dessero gli oligarchi quando fossero giunti ad Atene, escogitano questo tranello. [5] Persuadono alcuni di quelli dell’isola, mandandovi dei loro amici e spiegando ai prigionieri che quegli amici parlavano per il bene degli oligarchi, quando dicevano che era meglio per essi fuggi re al più presto; un battello sarebbe stato preparato da loro: gli strateghi ateniesi avevano intenzione di conse gnarIi ai democratici di Corcira.[47, 1] Come li persuasero ed ebbero preparato il battello, quelli fuggendo furo-no presi: la tregua fu rotta e tutti quanti furono consegnati ai Corciresi. [2] Con-tribuirono a questo fatto, in modo da rendere plausibile il pretesto e da far sì che i macchinatori tentassero con meno timore, gli strateghi ateniesi, i quali mostra-rono di non volere che altri (dato che essi dovevano andare in Sicilia) por tassero i prigionieri ad Atene e avessero l’onore di quel l’impresa. [3] I Corciresi, presili in consegna, li rinchiu sero in un grande edificio e quindi, trattili fuori in gruppi di venti per volta, li fecero passare tra due file di opliti schierati dai due lati, legati fra

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    21LA CONCLUSIONE DEL στάσις 2121στάσιςστάσις

    δεδεμένους τε πρὸς ἀλλήλους καὶ παιομένους καὶ κεντουμένους ὑπὸ τῶν παρατεταγμένων, εἴ πού τίς τινα ἴδοι ἐχθρὸν ἑαυτοῦ· μαστιγοφόροι τε παριόντες ἐπετάχυνον τῆς ὁδοῦ τοὺς σχολαίτερον προϊόντας. [48, 1] Καὶ ἐς μὲν ἄνδρας ἑξήκοντα ἔλαθον τοὺς ἐν τῷ οἰκήματι τούτῳ τῷ τρόπῳ ἐξαγαγόντες καὶ διαφθείραντες (ᾤοντο γὰρ αὐτοὺς μεταστήσο-ντάς ποι ἄλλοσε ἄγειν· ὡς δὲ ᾔσθοντο καί τις αὐτοῖς ἐδήλωσε, τούς τε Ἀθηναίους ἐπεκαλοῦντο καὶ ἐκέλευον σφᾶς, εἰ βούλονται, αὐτοὺς διαφθείρειν, ἔκ τε τοῦ οἰκήματος οὐκέτι ἤθελον ἐξιέναι, οὐδ᾽ ἐσιέναι ἔφασαν κατὰ δύναμιν περιόψεσθαι οὐδένα. [2] Οἱ δὲ Κερκυραῖοι κατὰ μὲν τὰς θύρας οὐδ᾽ αὐτοὶ διενοοῦντο βιάζεσθαι, ἀναβάντες δὲ ἐπὶ τὸ τέγος τοῦ οἰκήματος καὶ διελόντες τὴν ὀροφὴν ἔβαλλον τῷ κεράμῳ καὶ ἐτόξευον κάτω. [3] Οἱ δὲ ἐφυλάσσοντό τε ὡς ἐδύναντο καὶ ἅμα οἱ πολλοὶ σφᾶς αὐτοὺς διέφθειρον, οἰστούς τε οὓς ἀφίεσαν ἐκεῖνοι ἐς τὰς σφαγὰς καθιέντες καὶ ἐκ κλινῶν τινῶν αἵ ἔτυχον αὐτοῖς ἐνοῦσαι τοῖς σπάρτοις καὶ ἐκ τῶν ἱματίων παραιρήματα ποιοῦντες ἀπαγχόμενοι, παντί τε τρόπῳ τὸ πολὺ τῆς νυκτός ἐπεγένετο γὰρ νὺξ τῷ παθήματἰ ἀναλοῦντες σφᾶς αὐτοὺς καὶ βαλλόμενοι ὑπὸ τῶν ἄνω διεφθάρησαν. [4] Καὶ αὐτοὺς οἱ Κερκυραῖοι, ἐπειδὴ ἡμέρα ἐγένετο, φορμηδὸν ἐπὶ ἁμά-ξας ἐπιβαλόντες ἀπήγαγον ἔξω τῆς πόλεως. Τὰς δὲ γυναῖκας, ὅσαι ἐν τῷ τειχίσματι ἑάλωσαν, ἠνδραποδίσαντο. [5] Τοιούτῳ μὲν τρόπῳ οἱ ἐκ τοῦ ὄρους Κερκυραῖοι ὑπὸ τοῦ δήμου διεφθάρησαν, καὶ ἡ στάσις πολλὴ

    di loro, e colpiti e trafitti dai soldati schierati, quando qualcuno di questi vedeva un suo nemico tra i prigionieri; alcuni con delle fruste avanzavano accanto ai prigioneri e affrettavano la mar cia di chi camminava troppo lentamente.[48, 1] In tal modo, di nascosto a quelli che erano nell’edifi cio, ne fecero uscire e ne uccisero circa sessanta (i prigio nieri pensavano infatti di venir portati via per essere tra sferiti da qualche altra parte). Ma quando capirono e qualcuno li infor-mò del fatto, invocavano gli Ateniesi c chiedevano che fossero loro a ucciderli, se volevano; e dall’edificio non erano più disposti a uscire e dicevano che per quanto stava in loro non avrebbero permesso che nessuno vi entrasse. [2] Ma i Corciresi non pensavano neppur loro di aprirsi a forza un varco attraverso le por te, bensì, saliti sul tetto dell’edificio e scoperchiatolo, li colpivano con le tegole e saettavano in basso. [3] Quelli si riparavano come potevano e intanto la maggior parte si uc-cideva di sua propria mano, conficcandosi in gola le frecce che gli altri tiravano, e impiccandosi con le corde dei letti che si trovavano nella casa o con le strisce che fa cevano con le loro vesti. Uccidendosi con ogni mezzo e saettati dall’alto per la maggior parte della notte (ché la notte era sopraggiunta durante la loro sofferen-za), mori rono. [4] E quando si fece giorno, i Corciresi li gettarono alla rinfusa su di un carro e li portarono fuori della città, e si fecero schiave le donne che furono prese nell’edifi cio. [5] In tal modo i Corciresi delle montagne furono di strutti dai democratici, e la sedizione, divenuta terribile, in tal modo terminò, almeno nel

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    de2222 TT

    periodo di questa guer ra: del partito oligarghico, infatti, niente era rimasto che fosse degno di considerazione. [6] E gli Ateniesi, partiti per la Sicilia dove fin da prima erano diretti, portavano avanti la guerra con gli alleati di laggiù».

    γενομένη ἐτελεύτησεν ἐς τοῦτο, ὅσα γε κατὰ τὸν πόλεμον τόνδε· οὐ γὰρ ἔτι ἦν ὑπόλοιπον τῶν ἑτέρων ὅτι καὶ ἀξιόλογον. [6] Οἱ δὲ Ἀθηναῖοι ἐς τὴν Σικελίαν, ἵναπερ τὸ πρῶτον ὥρμηντο, ἀποπλεύσαντες μετὰ τῶν ἐκεῖ ξυμμάχων ἐπολέμουν.

    Analisi del testoI fatti contemporanei cui si fa riferimento (46, 1: κατὰ δὲ τὸν αὐτὸν χρόνον, καθ᾽ ὃν ταῦτα ἐγίγνετο «nello stesso periodo in cui avvenivano questi fatti») sono gli eventi connessi alla spedizione ateniese contro il territorio di Corinto (IV 42-45). La squadra navale ateniese è comandata da Eurimedonte (per il quale vedi scheda a III 81) e Sofocle, figlio di Sostratide (non si tratta dell’omonimo tragico, figlio di Sofillo, il quale peraltro era stato stratega due vol-

    te: nel 441-440 con Pericle e nel 428-427 con Nicia). I due strateghi avevano avuto l’incarico di compiere operazioni in Sicilia, ma erano stati costretti a fermar-si a Pilo (sulle coste del Peloponneso), ove avevano dato sostegno alle operazioni di Demostene; di lì, ap-punto, provenivano ora.In merito ai termini della resa (46, 2), è da notare che, due anni prima, il timore di un trasferimento ad Atene, con relativo processo, aveva provocato il pa-

    Per saperne di piùSegreti militariChe ordini aveva ricevuto Eurimedonte lasciando Ate-ne? Da IV 2, 3 sappiamo che: (Ἀθηναῖοι) εἶπον δὲ τούτοις καὶ Κερκυραίων ἅμα παραπλέοντας τῶν ἐν τῇ πόλει ἐπιμελθῆναι, οἳ ἐλῃστεύοντο ὑπὸ τῶν ἐν τῷ ὄρει φυγάδων «(Gli Ateniesi) dis-sero a costoro di provvedere anche ai Corciresi, nel momento in cui, lungo la rotta, si fossero trovati a navigare lungo le loro coste, giacché quelli rinchiu-si in città erano vittima delle scorrerie degli esuli ri-fugiatisi sulle montagne». Ma ben più inquietante è il particolare che segue e che rivela la situazione di estremo disagio in cui si trovava il demos di Corci-ra: καὶ Πελοποννησίων αὐτόσε νῆες ἑξήκοντα παρεπεπλεύκεσαν τοῖς ἐν τῷ ὄρει τιμωροὶ καὶ λιμοῦ ὄντος μεγάλου ἐν τῇ πόλει νομίζοντες κατασχήσειν ῥᾳδίως τὰ πράγματα «sessanta na-vi dei Peloponnesi erano dirette a Corcira per aiutare quelli delle montagne, con il convincimento di poter

    prendere facilmente in mano la situazione dato che la città era in preda alla fame».Il pericolo, dunque, per gli Ateniesi di perdere quella base irrinunciabile era reale e vieppiù aggravato dalla sosta della flotta a Pilo, che aveva imposto un ritardo che avrebbe potuto risultare fatale. L’urgenza di Euri-medonte è testimoniata da Tucidide, a IV 3, 1: quando, giunto all’altezza della Laconia, viene a sapere che le navi nemiche sono già nelle acque di Corcira, lo stratega ateniese affretta la navigazione verso la meta, sordo ad ogni richiesta di Demostene di costituire una base anti-spartana in Messenia, e solo una tempesta lo costringe a rifugiarsi e a sostare a Pilo. Com’è noto, poi, la minaccia rappresentata dallo sbarco ateniese a Pilo, costringerà gli Spartani a richiamare la flotta che veleggiava intorno a Corcira; questo consentirà ad Eurimedonte, che incro-ciava all’altezza di Zacinto, di lasciar perdere Corcira, non più in pericolo, per rivolgere la prua di nuovo verso Pilo.

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    23LA CONCLUSIONE DEL στάσις 2323στάσιςστάσις

    nico e la reazione degli oligarchi (III 75, 3-5). Ora la situazione è peggiorata per loro e l’invio ad Atene è visto come garanzia di incolumità personale. D’al-tra parte, la clausola della corresponsabilità collet-tiva (46, 3: ἐάν τις ἁλῷ ἀποδιδράσκων, ἅπασι λελύσθαι τὰς σπονδάς «se uno di loro fosse stato catturato in fuga, la tregua sarebbe stata rotta per tutti»), sembra studiata apposta preventivamente per potere invalidare il patto. Tutta l’operazione pare combinata d’accordo tra i capi del demos di Corcira e gli strateghi ateniesi, in particolare quell’Eurimedon-te che abbiamo visto spettatore inerte e complice dei massacri di due anni prima. Gli Ateniesi non osano venir meno alla parola data e, d’altra parte, non han-no intenzione né di accollarsi il trasferimento degli ostaggi ad Atene né di inimicarsi i capi del demos di Corcira, assetati di sangue, e, forse, obbediscono a ordini superiori di sistemare una volta per tutte la pu-rulenta questione: in vista delle imminenti operazio-ni in Sicilia, è necessario che Corcira costituisca una base sicura. Ecco dunque il diabolico piano: emissari del demos corcirese convincono alcuni amici degli oli-garchi a recarsi sull’isola di Ptychia per prospettare, a quelli ivi deportati, la possibilità di una fuga, re-sa più allettante dalla minaccia di una loro consegna ai popolari di Corcira da parte degli Ateniesi (46, 5). Di qui la messinscena del tentativo di evasione con l’inevitabile conclusione. Tucidide non può negare una evidente complicità degli strateghi ateniesi, ma la attribuisce a una loro meschina gelosia, esclu-dendo quindi l’esistenza di una qualsiasi direttiva in questo senso da parte del governo in patria (47, 2: ξυνελάβοντο δὲ τοῦ τοιούτου οὐχ ἥκιστα, ... οἱ στρατηγοὶ τῶν Ἀθηναίων κατάδηλοι ὄντες τοὺς ἄνδρας μὴ ἂν βούλεσθαι ὑπ᾽ ἄλλων κομισθέντας, διότι αὐτοὶ ἐς Σικελίαν ἔπλεον, τὴν τιμὴν τοῖς ἄγουσι προσποιῆσαι «contribuirono a questo fat-to ... gli strateghi ateniesi, i quali mostrarono di non volere che altri – dato che essi dovevano andare in Sicilia – portassero i prigionieri ad Atene e avessero l’onore di quell’impresa»).A indurre Tucidide a questo depistaggio, che dirotta su due capri espiatori, ovvero i due strateghi ateniesi Eurimedonte e Sofocle (del resto condannati per cor-ruzione – per le vicende siciliane – l’anno successivo), l’odiosità del fatto, è, forse, il suo patriottismo: egli non può dichiarare esplicitamente che proprio quegli Ateniesi cui si sono affidati fiduciosi gli oligarchi arre-

    sisi, proprio quegli Ateniesi che essi continueranno a invocare dinnanzi all’orrenda vista del massacro con-sumato tra due file di aguzzini, sono quegli stessi che hanno già decretato la loro eliminazione totale come soluzione finale. Di qui la scelta di rovesciare ogni responsabilità sulle gelosie degli strateghi. Gelosie poco credibili: l’invio in Attica di poche decine di oligarchi corciresi, desti-nati ad un tribunale ateniese, non poteva essere nem-meno lontanamente paragonato alla ben più presti-giosa esibizione delle centinaia di opliti spartani cat-turati a Pilo, gloria di Cleone; non poteva cioè essere motivo tale da suscitare invidie e voglia di mettersi in mostra. Può essere bensì vero che gli strateghi ate-niesi non intendessero rinunciare a nessuna delle loro navi, (tanto meno alle tre o quattro necessarie per il trasporto dei prigionieri), ora che si apprestavano alla perigliosa missione in Sicilia. In ogni caso, il comportamento di Eurimedonte due anni prima, in occasione del massacro degli oligarchi, lascia supporre, al di là della natura del personaggio, un identico progetto politico. D’altra parte, il tratta-mento spietato riservato alla ribelle Scione, qualche anno più tardi (421), dimostra che la politica atenie-se andava sempre più orientandosi a criteri di fredda crudeltà (V 32, 1: περὶ δὲ τοὺς αὐτοὺς χρόνους τοῦ θέρους τούτου Σκιωναίους μὲν Ἀθηναῖοι ἐκπολιορκήσαντες ἀπέκτειναν τοὺς ἡβῶντας, παῖδας δὲ καὶ γυναῖκας ἠνδραπόδισαν, καὶ τὴν γῆν Πλαταιεῦσιν ἔδοσαν νέμεσθαι «nello stesso periodo di questa estate, gli Ateniesi, espugnata Scio-ne, ne uccisero gli adulti, resero schiavi le donne e i bambini, e dettero la terra ai Plateesi, perché se la colti