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La formazione come transazione Epistemologia, teoria e metodologia di una categoria pedagogica a cura di Fabrizio Chello Liguori Editore
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Transazione come pratica dell'agire formativo. Dall'ipotesi bio-culturalista di Bruner allo sguardo fenomenologico-ermeneutico

Feb 05, 2023

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Luigi Di Cosmo
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Page 1: Transazione come pratica dell'agire formativo. Dall'ipotesi bio-culturalista di Bruner allo sguardo fenomenologico-ermeneutico

La formazione come transazione

Epistemologia, teoria e metodologia di una categoria pedagogica

a cura diFabrizio Chello

Liguori Editore

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Comitato scientifico e Referee: Lucia Ariemma (Seconda Università degli Studi di Napoli), Gianni Boscolo (Università Nazionale di Bahia del Brasile), Franco Cambi (Università degli Studi di Firenze), Michele Corsi (Università degli Studi di Macerata), Patrizia de Mennato (Università degli Studi di Firenze), Ornella De Sanctis (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli), Paolo Federighi (Università degli Studi di Firenze), Yaacov Iram (Bar-Ilan University, Israele), Bruno Rossi (Università degli Studi di Siena), Vincenzo Sarracino (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli), Ekkehard Nuissl von Rein (Università degli Studi di Francoforte), Simonetta Ulivieri (Università degli Studi di Firenze), Gonzalo Zapata (Università Cattolica del Cile).

I volumi pubblicati in questa collana sono preventivamente sottoposti a una doppia procedura di “peer review”

Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore (http://www.liguori.it/areadownload/LeggeDirittoAutore.pdf).L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza.Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internethttp://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=contatta#Politiche

Liguori EditoreVia Posillipo 394 - I 80123 Napoli NAhttp://www.liguori.it/

© 2013 by Liguori Editore, S.r.l.Tutti i diritti sono riservatiPrima edizione italiana Novembre 2013

Chello, Fabrizio (a cura di):La formazione come transazione. Epistemologia, teoria e metodologia di una categoria pedagogica/Fabrizio Chello (a cura di)Studi sull’educazioneNapoli : Liguori, 2013

ISBN 978 - 88 - 207 - 6391 - 6 (a stampa) eISBN 978 - 88 - 207 - 6392 - 3 (eBook)

1. Agire formativo 2. Pedagogia comprensiva I. Titolo II. Collana III. Serie

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Indice

XI Presentazione di Ornella De Sanctis

Parte introduttivaL’agire formativo come agire transazionale

3 La transazione: una categoria pedagogica di Fabrizio Chello

Parte IL’agire formativo alla luce del paradigma transazionale del pragmatismo americano

47 Azione, interazione e transazione. Un questionamento preli-minare a partire dal pragmatismo americano

di Marie-Noëlle Schurmans

73 Pensare la transazione. La riflessione pragmatista deweyana e la sua declinazione pedagogica

di Daniella Varchetta

103 La transazione come pratica dell’agire formativo. Dall’ipotesi bio-culturalista di Bruner allo sguardo fenomenologico-erme-neutico

di Maria D’Ambrosio

137 La transazione negata? Conoscenza e formazione nel neoprag-matismo di Rorty

di Fabrizio Chello

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VIII Indice

Parte IIL’agire formativo alla luce del paradigma

francofono della Transazione Sociale

177 La Transazione Sociale. Emergenza e definizione di un concetto euristico a caratura pedagogica

di Fabrizio Chello

215 Da concetto euristico a ‘principio organizzatore’. La Transazio-ne Sociale come paradigma epistemologico per una pedagogia critico-comprensiva

di Fabrizio Chello

249 Tra agentività e attorialità. La Transazione Sociale come teoria e pratica riflessiva dell’agire formativo

di Marie-Noëlle Schurmans

273 Elaborazione negoziata di un procedimento di indagine. La Transazione Sociale come metodologia della ricerca educativa

di Marie-Noëlle Schurmans, Maryvonne Charmillot e Caroline Dayer

Parte IIIL’agire formativo alla luce dei processi di costruzione

dell’identità e del legame sociale

293 I processi di (tras)formazione nella prospettiva della Transa-zione Sociale

di Caroline Dayer

311 Legame sociale e trasformazioni identitarie in situazioni di malattia. Studio di un caso di HIV nella città di Ouahigouya (Burkina Faso)

di Maryvonne Charmillot

331 Analisi critica degli approcci interculturali ai conflitti: l’esem-pio del contesto politico caledoniano

di Héloïse Rougemont

361 Il paradigma della Transazione Sociale come analizzatore teo-rico di una pratica emancipatrice di giustizia

di Fernando Carvajal Sanchez

385 Gli autori

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La transazione come pratica dell’agire formativo.Dall’ipotesi bio-culturalista di Bruner allo sguardo fe-nomenologico-ermeneutico

di Maria D’Ambrosio

1. La transazione ad uso della pedagogia

«L’interpretazione è in cammino»H. G. Gadamer

«La realtà delle cose è opera loro (delle cose); l’apparenza delle cose è opera dell’uomo e un animo che gode dell’apparenza già non trova più piacere in ciò che riceve, ma in ciò che fa»

F. Schiller

Una pedagogia dell’azione, di un’azione pensata in termini di tran-sazione1, è quanto mai necessaria se, nel quadro di una prospettiva

1 «Chiunque si sia lungamente impegnato nello studio dei modi in cui gli esseri umani entrano in relazione tra loro specialmente mediante l’uso del linguaggio non può non essere colpito dall’importanza delle “transazioni”. Spiegare questo termine non è facile. Per transazioni io intendo quei rapporti che costituiscono la premessa del processo che approda alla condivisione di assunti e di credenze ri-guardanti la realtà del mondo, il funzionamento della mente, gli orientamenti degli uomini e i modi in cui dovrebbe esplicarsi la comunicazione tra loro. In qualche misura questa nozione è già stata colta da diversi studiosi; essa è presente nelle massime di Paul Grice sul modo di condurre la conversazione, nella tesi proposta da Deirdre Wilson e Dan Sperber secondo cui noi presumiamo sempre che le pa-role degli altri abbiano un qualche significato, nonché nell’idea di Hilary Putnam che noi, di solito, assegniamo ai nostri interlocutori il giusto livello di ignoranza o di capacità. Al di là di questi casi alquanto particolari, però resta – oscuro quanto importante – un comune terreno d’intesa (Colwyn Travarthen lo chiama “inter-soggettività”) che fa apparire il problema filosofico di come conosciamo le altre menti molto più concreto di quanto abbiano mai considerato i filosofi». [J. Bruner, La mente a più dimensioni, Roma-Bari: Laterza, 1988, p. 71].

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critica, si ritiene superata la dicotomia teoria-prassi2 e se nella prati-ca pedagogica si intende rintracciare anche tutta la riflessione sulla ‘condizione umana’ e quindi sulla sua necessaria situatività, così da leggere nel nesso Uomo-Mondo un legame consustanziale e una re-ciprocità che coglie dell’uno e dell’altro il loro inter-agire e inter-esse. Ossia perché la relazione, e quindi l’azione dell’uno rivolta all’altro, si configura come cifra che qualifica le identità e le ‘realtà’ e fa della transazione un topos dal forte valore antropologico e pedagogico. In tal senso la ‘cornice’ biologica e quella culturale costituiscono un’u-nica grande ‘matrice’ dentro cui situare appunto i processi negoziali attraverso cui si formano le menti e le culture3, così che dell’azione si

2 «La caratteristica più autentica dell’uomo, quest’essere subordinato, questa apparizione che si rifrange nell’universo, è che egli, nonostante la sua struttura limitata e finita, è capace di una contemplazione pura dell’universo. Ma nell’ottica dei Greci non sarebbe possibile ‘costruire’ una teoria. […] Il termine ‘teoria’ non intende, come il rapporto teoretico pensato nell’orizzonte dell’autocoscienza, quel-la distanza dell’ente che permette di conoscere ciò che è in maniera imparziale e lo assoggetta pertanto ad un dominio anonimo. La distanza della theoria è piuttosto la prossimità e l’appartenenza. Il senso più antico di theoria è la partecipazione alla delegazione inviata alla festa in onore di un dio. Contemplare l’epifania del dio non vuol dire considerare in maniera distaccata uno stato di cose, oppure osservare uno spettacolo meraviglioso: contemplare significa prendere parte autentica a ciò che accade, significa un vero e proprio essere-presso. […]. La prassi, come carattere dell’essere vivente, si pone tra l’agire e il sentirsi situato. Perciò essa non si limita all’uomo […]. Piuttosto la prassi indica la vitalità (energeia) dell’essere vivente in generale, il quale ha ‘vita’, un modus vivendi, vive in un certo modo (bios). Anche le bestie hanno praxis e bios, cioè vivono in un certo modo. […] Il modus vivendi dell’uomo non è affatto vincolato alla natura come quello degli altri esseri viven-ti. […] La nozione aristotelica di prassi si carica però di un accento ancora più specifico se si applica allo status del libero cittadino nella polis. La polis realizza la prassi dell’uomo nel senso più alto del termine». [H. G. Gadamer, La ragione nell’era della tecnica, Genova: Il Melangolo, 1999, pp. 44 e 89-90].

3 «La cultura […] modella anche la mente dei singoli individui. La sua espres-sione individuale è legata al fare significato, all’attribuzione di significati alle cose in situazioni diverse e in occasioni concrete. Fare significato implica situare gli incontri con il mondo nel loro contesto culturale appropriato, al fine di sapere “di cosa si tratta in definitiva”. Benché i significati siano “nella mente”, hanno origine e rilevanza nella cultura in cui sono stati creati. È questa collocazione culturale dei significati che ne garantisce la negoziabilità e, in ultima analisi la comunicabilità. Il punto non è se esistano o meno dei “significati privati”; quello che conta è che i significati costituiscono la base dello scambio culturale. In quest’ottica il conoscere

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possano riconoscere tanto il piano materiale e formale quanto quello immateriale e simbolico.

L’azione, così intesa e collocata in un discorso pedagogico fondato sulla relazione, è categoria-chiave per superare il modello trasmissi-vo (lineare, gerarchico) e aderire al paradigma transazionale che fa dell’interazione e della comunicazione il fondamento di ogni proces-so, ed evento, formativo. Interazione e comunicazione sono quindi dimensioni dell’agire e condizione di cognizione e formazione: l’una, l’interazione, esprime la parte materiale, corporea, fisica dell’azione; l’altra, la comunicazione, ne rappresenta quella più astratta, che attiene cioè più specificamente al fare significato e quindi al fare esperienza4.

L’importanza della ‘lezione’ deweyana sta nell’aver posto il pro-cesso educativo e formativo proprio ‘tra’ interazione e comunicazione: non c’è pragma senza theoria5, non c’è esperienza senza significato. Infatti, come sottolinea Dewey

«La sola attività non costituisce esperienza. È dispersiva, centrifuga, dissipante. L’esperienza come tentativo implica un cambiamento, ma un cambiamento non è che una transizione senza significato a meno che non sia coscientemente connesso con l’ondata di ritorno delle con-seguenze che ne defluiscono. Quando un’attività è cambiamento in un

e il comunicare sono per loro stessa natura profondamente interdipendenti, direi anzi praticamente inseparabili. Infatti, per quanto possa sembrare che l’individuo operi per proprio conto nella sua ricerca di significati, non lo può fare, senza l’ausilio dei sistemi simbolici della propria cultura. È la cultura che ci fornisce gli strumenti per organizzare e capire il nostro mondo in forme comunicabili». [J. Buner, J., La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Milano: Feltrinelli, 1997, p. 17].

4 Cfr. O. De Sanctis, Il significato dell’esperienza, Lecce: PensaMultimedia, 2000.5 A proposito di rapporto tra teoria e prassi, Franco Cambi si chiede e scrive:

«Che tipo di sapere è la pedagogia? Scientifico, filosofico, tecnico? Oppure un po’ di tutto questo? Certamente è un sapere per la prassi, ma che non si risolve nella prassi, in quanto è anche (e prima di tutto) sapere. E come dirimere la vexata quaestio sul “tipo di sapere”: per via teoretica (a-priori) o per via pragmatica (a-posteriori)?» [F. Cambi, L’inquietudine della ricerca. Bilanci e frontiere di un itinerario pedagogico, Palermo: Edizioni della Fondazione Nazionale “Vito Fazio-Allmayer”, 2011, p. 25], per poi riferirsi alla «identità contemporanea della filosofia dell’educazione, chiamata a ri-definirsi in chiave radicale, facendosi carico di quella tensione utopica che è un po’ il vettore-guida del pensare/agire della pedagogia» [Ivi, p. 33].

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sottostare alle conseguenze, quando il cambiamento fatto dall’azione è riflesso in un cambiamento fatto in noi, anche questo solo flusso è carico di significato e noi impariamo qualcosa»6.

L’azione, fondandosi su interazione e comunicazione, ovvero sulla connessione fisico-metafisico, accoglie dunque una significativa tensio-ne al cambiamento e quindi alla tras-formazione, realizzandosi sempre su un duplice piano che è corporeo e cognitivo insieme. L’azione si situa ‘tra’ pensiero e prassi e pertanto non disgiunge la vita activa7 da quella contemplativa8 e soprattutto si colloca in uno spazio e in un tempo, un ‘ambiente’, che costituisce la irripetibilità di un agire che in quanto azione attualizzata, declinata cioè al Presente, si manifesta e acquista senso grazie a una mediazione, una ricorsiva quanto ne-cessaria transazione, tra piani e ordini differenti. L’agire, poi, porta con sé anche una cifra riflessiva che fa di ogni fare anche un far-Si: l’esperienza dell’altro si connota anche come esperienza di Sé, così da configurare la conoscenza come prodotto di un processo continuamen-te in divenire in cui è ‘compreso’ il conoscere se stessi. La mediazione tra mondo interno e mondo esterno è a fondamento di questo processo esso stesso di natura transazionale che ci si immagina come generativo e ri-generativo, capace di attualizzare l’essere e il reale, riconoscendo loro una ‘consistenza relazionale’, inter-soggettiva9.

6 J. Dewey, Democrazia e educazione, Firenze: La Nuova Italia, 1970, p. 179.7 Cfr. H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Milano: Bompiani, 1994.8 A questo proposito Hannah Arendt scrive: «Mi ero occupata del problema

dell’Azione, la preoccupazione più antica della teoria politica, e non riuscivo a non sentire con disagio come il termine stesso che impiegavo nelle mie riflessioni in materia, vita activa, fosse stato coniato da uomini consacrati al modo di vita contemplativo, uomini che consideravano ogni forma di vita da quella prospettiva. Visto in tale prospettiva il modo di vita attivo è ‘laborioso’, il modo contemplativo è una pura condizione di quiete: l’attivo si svolge in pubblico, il contemplativo nel ‘deserto’; la vita attiva è consacrata alla ‘necessità del prossimo’, la contemplativa alla ‘visione di Dio’ (Due sunt vitae, activa et contemplativa. Activa est in labore, contemplativa in requie. Activa in publico, contemplativa in deserto. Activa in ne-cessitate proximi, contemplativa in visione Dei.). Ho citato un autore medioevale del XII secolo – Ugo di San Vittore – scelto pressocchè a caso, poiché l’idea che la contemplazione sia la condizione spirituale più elevata è antica quanto la filosofia occidentale». [H. Arendt, La vita della mente, Bologna: Il Mulino, 2009, pp. 86-87].

9 Cfr. J. Habermas, Teorie dell’agire comunicativo. Volume I: Razionalità nell’a-zione e razionalizzazione sociale, Bologna: Il Mulino, 1997.

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In un quadro d’insieme relativo a un lessico pedagogico collocato nella contemporaneità e dunque in un tempo che si vuole post-moderno, va detto che gli interrogativi di carattere epistemologico che hanno animato il dibattito e la riflessione lungo tutto il Novecento, oltre che fare della Bildung10 il concetto-chiave per recuperare il ‘fondamento’ umano e profondo della formazione, hanno inoltre assunto la ‘Storia’ – piuttosto che la conoscenza o la verità – come categoria che rappre-senta la complessità della realtà e dell’essere e il loro continuo ‘farsi’. Sul piano più esplicitamente pedagogico, il dare e il prender forma sono declinati inevitabilmente al Presente in quanto “ricostruzione continua dell’esperienza”11 e ‘animano’ una Pedagogia attiva che muove tutto il pensiero pedagogico del Novecento ed emerge, con una certa ‘urgen-za’, pure nella riflessione e nelle esperienze tutte contemporanee che hanno esteso il pedagogico all’intera scena sociale e alle sue molteplici, multimediali e convergenti, forme del fare dialogo e del fare comunità.

In questa ‘operazione’ di ricognizione concettuale, la scena sociale si configura come dispositivo educativo e quindi come ‘macchina della conoscenza di sé e del mondo’ e fa della Storia – e quindi della dimen-sione spazio-temporale e del rapporto dinamico tra Passato Presente e Possibile12 – una categoria-chiave che emerge e che prende forma dall’attualizzarsi e dall’accadere degli incontri e delle relazioni. Si può parlare dunque di ‘evento educativo-formativo’ come di un ‘fenome-no’ unico e irripetibile, sempre situato e generato dall’azione reciproca, in cui il prender forma (della mente, dell’identità, della realtà) è un processo, insieme fisico e cognitivo, che attualizza e innova, ma non nel senso del progresso e dell’evoluzione, quanto invece della trasfor-mazione o del mutamento e della ri-generazione dell’umano esistere ‘tra’ natura e cultura. Proprio attraverso questa ricognizione abbiamo bisogno di riprendere in particolare il percorso tracciato da Jerome Bruner con la sua teoria transazionale13 e l’approccio ‘bio-culturalista’,

10 Cfr. M. Gennari, Filosofia della formazione dell’uomo, Milano: Bompiani, 2001.11 Cfr. J. Dewey, Democrazia e educazione, cit.12 Bruner dice: «il Presente, il Passato, e il Possibile dell’umanità, le tre grandi

P». [J. Bruner, La cultura dell’educazione, cit., p. 100].13 «La vita in una cultura […] è un’interazione fra le versioni del mondo che le

persone si vanno formando sotto l’influsso del clima istituzionale dominante e le versioni che sono il prodotto delle loro storie individuali». [Ivi, p. 28].

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per intercettare traiettorie ed emergenze che riconducono alla ne-cessità, tutta contemporanea, di una postura, insieme, ermeneutica e fenomenologica.

2. L’azione: ‘sostanza’ e ‘forma’ del pensiero pedagogico e ‘luo-go’ della riflessione

«E disse che valeva la pena di vedere lo spettacolo delle sin-gole anime intente a scegliere la propria vita: uno spettacolo compassionevole, ridicolo e singolare, dato che per lo più sce-glievano in base alle abitudini della vita precedente»

Platone

«Stefano, quindici anni, sembra uscito da un film americano anni ’50, veste prevalentemente di scuro. Sul giubbotto di pelle nera appunta distintivi di una simbologia truce, vagamente nazi. È all’accanita ricerca di un’identità che vuole assolutamente originale, diversa soprattutto da quella dei suoi compagni di classe. Sogna di partire con una sua ragazza ideale, di cui mi dà le misure da modella, alle prime luci dell’alba, su una Harley Davidson. Scrive poesie e me lo confida il secondo anno. Rapito dal lirismo, dimentica le regole più elementari di ortografia»

M. Sedda

«Murray, fu il mio primo insegnante d’inglese al liceo… Era a quei tempi, un tipo calvo esuberante e duro, non alto […] ma atletico e asciutto, sempre proteso sopra le nostre teste in uno stato di perenne vigilanza. Negli atteggiamenti e nelle pose era assolutamente naturale, ma nel parlare piuttosto prolisso e, sul piano intellettuale, quasi minaccioso. La sua passione era spiegare, chiarire, farci comprendere, col risultato che ogni ar-gomento di cui parlavamo veniva smontato nei suoi elementi principali con una meticolosità non inferiore a quella con cui divideva le frasi sulla lavagna. […] La notte che Murray se ne andò mi venne in mente come, quando ero piccolo (quando ero piccolo e non riuscivo a dormire perché mio nonno era morto e io insistevo per sapere dov’era andato), mi avevano detto che il nonno era stato trasformato in una stella. […] Quello che succede quando la gente muore, spiegò mia madre, è che vanno su in cielo e da allora vivono in eterno sotto forma di stelle lucenti. […] Le stelle sono indispensabili»

P. Roth

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Una rilettura dell’opera di Bruner14 consente di rintracciare nel model-lo transazionale dell’autore la svolta narrativa, e quindi ermeneutica, della psicopedagogia e dei modelli attraverso cui pensare l’educazione e la formazione15. Mente, Sé e azione, così come conoscenza, mondo e cultura, si costituiscono attraverso la relazione: sono pensate come strutture in divenire, veri e propri processi di natura negoziale. Come negoziale viene inteso anche il processo, di natura pedagogica, attra-verso cui si realizzano. Per questo possiamo intendere la proposta di

14 L’ipotesi di una psicologia culturale proposta da Bruner va emergendo sin dagli anni ‘80 e costituisce il superamento della ‘scuola’ cognitivista, proposto in termini di «rinnovata rivoluzione cognitiva, un approccio più interpretativo alla cognizione, che si occupa dell’attribuzione di significato» [J. Bruner, La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Torino: Bollati Boringhieri, 1992, p. 19]. In tal senso, si inaugura un approccio ‘congiuntivo’ alla questione relativa alla formazione dell’uomo, della mente e della conoscenza, e quindi ai grandi interrogativi che riguardano l’uomo e il suo rapporto con il mondo. Per meglio cogliere la reciprocità del rapporto Uomo-Mondo, Bruner, in particolare con La ricerca del significato, propone un taglio antropologico alla psicologia che viene riconosciuta nella sua matrice popolare e quindi culturale, così da connettere il dire con il fare, mente e cultura, e orientare i suoi studi verso una «azione nella situazione, un’azione situata in uno scenario culturale» [Ivi, p. 34]. La “rinnovata rivoluzione cognitiva” di Bruner e la sua critica al computazionalismo offrono uno sguardo che enfatizza la dimensione relazionale e insieme la natura simbolica del rapporto Uomo-Mondo, introducendo al posto del ‘dato’ la nozione di ‘significato’. Il concetto di significato, e quindi la realtà in quanto emergenza di un processo di costruzione del significato, diviene centrale in una prospettiva che fa dell’azione lo spazio di esistenza e quindi di ‘con-sistenza’ dell’essere. Il passaggio dalla ela-borazione del dato – che è il focus del modello cognitivista – alla elaborazione e costruzione del significato, è uno snodo concettuale ed epistemologico molto importante che permette di collocare il dibattito psicopedagogico all’interno della prospettiva ermeneutica e di aderirvi in maniera ‘radicale’. L’adesione alla pro-spettiva ermeneutica significa per Bruner non solo appropriarsi di “un approccio più interpretativo alla cognizione” quanto soprattutto attribuire una dimensione dialogica, interattiva, transazionale, all’agire interpretativo che così sottende una connessione costante, un’adesione e una necessaria situatività, tra la mente e il Sé, tra il Sé e l’Altro, tra azione e situazione.

15 La ‘svolta narrativa’ di Bruner può essere considerata come il punto di ri-ferimento per tutte quelle esperienze e progettualità che in campo educativo-formativo hanno fatto della narrazione e dell’autobiografia una pratica pedagogica o terapeutica molto diffusa ancora oggi. In Italia la Libera Università dell’Autobio-grafia – fondata ad Anghiari da Saverio Tutino e Duccio Demetrio – è un esempio della diffusione della pratica narrativa e autobiografica.

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Bruner come epistemologicamente e metodologicamente16 rilevante, così da orientare la ricerca pedagogica verso la ‘scena educativa’ e quindi in quei territori dove si realizzano “degli incontri attivi con il mondo”.

Lontano e fuori da ogni realismo o relativismo puro, la psicologia culturale di Bruner coglie sia l’uomo che il mondo come ‘realtà’ inter-soggettive, costruite attraverso la loro reciproca azione e interazione. E soprattutto fa del contesto, o più propriamente dell’ambiente e della cultura, le categorie con cui declinare la dimensione relazionale, che ne fa spazi educativi e formativi. Mente e cultura sono l’una un’emergen-za dell’altra e la transazione ne è il ‘principio attivo’, in quanto segno di una necessaria condizione di interrelazione che, agita sul piano sim-bolico della negoziazione, e quindi dello scambio, genera mutamento: sia per la realtà identitaria che per quella sociale e culturale.

Bruner, recuperando l’intuizione di Vygotskij, e quindi l’idea della centralità del linguaggio come medium e sostanza dell’attività mentale, pensa alla mente come il risultato sempre in fieri del ‘gioco’ tra natura e storia e quindi tra processi biologici e culturali: si inizia a consolida-re una prospettiva bio-culturalista grazie alla quale si fa sempre più ‘evidente’ il nesso tra ermeneutica e fenomenologia. Su tale ‘evidenza’ e quindi sul nesso natura-cultura, mente-corpo, pensiero-azione (per-cezione), il percorso che tracceremo in questo scritto si riconosce in quel fondamento fenomenologico che ci potrà far affermare insieme con la Arendt che

«Ciò che è giunto alla fine è la distinzione di fondo tra il sensibile e il soprasensibile, insieme con la nozione, risalente almeno a Parmenide, che tutto ciò che non è dato ai sensi – Dio, l’Essere, i Principi Primi e le Cause (archai), le Idee – sia più reale, vero e significativo di ciò che appare, trovandosi, non solo al di là della percezione sensoriale, ma al di sopra del mondo dei sensi. Ciò che è “morto” non è solo l’individua-zione del luogo di simili “verità eterne”, ma anche la distinzione stessa […]. [Perché, recuperando l’intuizione di Nietzsche,] ogni pensare in termini di due mondi implica che essi siano inseparabilmente connessi l’uno con l’altro»17.

16 Cfr. F. Cambi, L’autobiografia come metodo formativo, Roma-Bari: Laterza, 2005; D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sè, Milano: Raffaello Cortina, 1996.

17 H. Arendt, La vita della mente, cit., pp. 91-92.

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La transazione come pratica dell’agire formativo 111

La connessione che si va configurando presume una transazio-ne costante tra i ‘due mondi’: la dimensione negoziale dell’Essere e dell’Apparire, e il loro reciproco interagire, anche grazie al lavoro di ‘mediazione’ tra una cultura del pensare e una del fare, operato da studiosi come Bruner, attraversa la tradizione novecentesca e ci viene consegnata perché possa essere ricostruita o ‘ri-fatta’18. Per operare questa cucitura e ricostruzione, sarà utile dunque osservare il passag-gio, interno alla stessa pedagogia dell’azione, alla ‘svolta narrativa’ che, proprio con Bruner, enfatizza l’aspetto dialogico, negoziale e quindi transazionale dell’agire, facendo della narrazione19 uno speciale ‘tipo’ di azione: speciale perché ne contiene la duplice matrice, materiale e immateriale, che la sostanzia. Sullo sfondo c’è un discorso storico e storiografico molto significativo che recupera la lezione materialista e apre alle nuove vie della ricerca introdotte da l’Ecole des Annales20 e dal suo ‘sguardo sul passato per comprendere il presente e nel presente per comprendere il passato’. La narrazione diviene un concetto chiave per rifiutare un concetto di storia intesa come evoluzione progressiva e per rileggere le storie e i tanti racconti possibili come ciò che emer-

18 Cfr. J. Dewey, Rifare la filosofia, Roma: Donzelli, 2008.19 Da un punto di vista epistemologico, non si può non citare Lyotard e la sua

riconfigurazione in chiave postmoderna del pensiero occidentale, operata proprio grazie al nuovo primato riconosciuto dal pensiero postindustriale alla forma narra-tiva delle verità [Cfr. J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna, Milano: Feltrinelli, 1981]. Allo stesso tempo e sempre nell’ambito della riflessione sulla verità, Bruner in On Knowing: Essay for the Left Hand [J. Bruner, Il conoscere. Saggi per la mano sinistra, Roma: Armando editore, 1990] introduce nello studio sulla mente il pensiero narrativo coniugando poi, nel 1986, con Actual Minds, Possible Worlds [La mente a più dimensioni, cit.], il problema dei filosofi (come conosciamo la ve-rità) con quello dei poeti e dei narratori (come perveniamo a dare un significato all’esperienza) e proponendo un rapporto tra pensiero logico-scientifico e pensiero narrativo: dove «il pensiero logico-scientifico (che d’ora innanzi chiamerò paradig-matico) si occupa delle cause di ordine generale e del modo per individuarle, e si serve di procedure atte ad assicurare la verificabilità referenziale e a saggiare la verità empirica. […] Il pensiero narrativo si occupa delle intenzioni e delle azioni proprie dell’uomo o a lui affini, nonché delle vicissitudini e dei risultati che ne contrassegnano il corso. Il suo intento è quello di calare i propri prodigi atemporali entro le particolarità dell’esperienza e di situare l’esperienza nel tempo e nello spazio». [Ivi, pp. 17-18].

20 Gruppo che si riconosce intorno alla rivista Annales d’Histoire économique et sociale, fondata nel 1929 da Lucien Febvre e Marc Bloch.

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ge dal rapporto tra gli eroi e i loro ambienti di vita. Narrare diviene metafora per significare l’azione di chi si impossessa e si situa, quindi, nel proprio tempo (di vita), facendosene ‘autore’.

La categoria di azione è centrale per connotare lo specifico com-plesso sistema di relazioni che genera e costituisce la cultura e dentro cui si costruiscono, si formano, le identità. In tal senso la relazione, il dialogo, la negoziazione, sono condizioni dell’Essere e del suo, ne-cessario, prender forma in una storia. Si tratta dunque di un agire di tipo negoziale, transazionale, tutto teso alla ricerca del significato: un agire ermeneutico, interpretativo, che qualifica e connota l’umano e che si manifesta in forma di narrazione, di racconto, di storia e proprio attraverso la narratività esprime, con tutta la forza di una metafora, la cifra simbolica, linguistica e poetica dello stare al mondo. Scrivere e ri-scrivere, come leggere e ri-leggere, sono istanze identitarie che implicano la costruzione della realtà in forma di narrazione che sot-tende un farsi racconto della storia, dove cioè il raccontare è azione che coniuga la storia al presente, attualizza il passato, e, recuperando la dimensione dialogico-conversazionale propria del racconto, apre e si protende verso l’altro e verso il possibile: verso ciò che non è (dato o accaduto) ancora. La ‘scoperta’ narrativa21 è da considerarsi epi-stemologica e ontologica, dove l’agire, l’agire interpretativo, qualifica l’essere e ne connota la natura narrativa, tanto che Bruner sostiene che «il Sé è un raccontare» ovvero che «Per tutta la vita non facciamo che raccontare noi stessi»22.

Per operare la svolta narrativa, Bruner transita e utilizza l’opera di Vygotskij non solo per cogliere il nesso tra pensiero e linguaggio ma soprattutto per individuare nel linguaggio quella ‘struttura’ che fa da ‘strumento’ di mediazione tra pensiero e azione. Il linguaggio, in quanto sistema di simboli (in progress) di cui è dotato ciascun am-biente sociale e grazie al quale è possibile interagire e comunicare, è individuato da Vygotskij come lo strumento grazie al quale pren-de forma la mente e quindi il pensiero. Allo stesso tempo il linguag-gio è anche forma del pensiero: sua manifestazione. Il linguaggio è

21 In questi termini si esprime Bruner: «“scoperta” che la gente rende in forma narrativa la propria esperienza del mondo e del proprio ruolo nel mondo». [J. Bruner, Il conoscere. Saggi per la mano sinistra, cit., p. 112].

22 Ivi, p. 110.

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la sostanza dell’azione, costituisce la matrice simbolica dell’agire. Il linguaggio è dunque struttura attraverso cui si forma il pensiero e, allo stesso tempo, anche medium per comunicare il pensiero, oltre che l’ambiente che rende possibile il realizzarsi dell’apprendimento, della formazione, e quindi la costruzione della conoscenza e dell’iden-tità. In questo senso per Bruner c’è bisogno di far ricorso, più e oltre che alla dimensione linguistica e simbolica dell’essere, del pensare e dell’agire, alla categoria di narrazione perché essa rappresenta la ‘cifra’ per esprimere e legittimare il superamento di una concezione che fa dell’uomo il mero prodotto della cultura e della natura, per riconoscere all’uomo stesso la continua capacità generativa, diremo ‘creativa’, e rigenerativa, riferita al Sé, al mondo e alla cultura. Tale creatività, di natura prevalentemente ermeneutica e dunque cognitiva, presuppone un rapporto emancipato con il Passato e una necessaria e continua riconfigurazione a opera del narratore in rapporto alla storia, così da riconoscere alla stessa storia una polisemia che chiama in gioco la proattività dell’interpretare. Con la categoria di narrazione si esprime dunque una forma complessa dell’agire perché enfatizza ed esplicita della già sottesa dimensione ermeneutica la matrice co-gnitiva e soprattutto quella dialogica e conversazionale. L’agency del narratore emerge dalla sua appartenenza a una cultura e necessita di una tensione che media continuamente e tiene insieme la presenza del Sé con quella dell’altro in veste di ascoltatore. Anche nel caso della «storia di una vita», dice Bruner, «raccontata a una certa perso-na, è, in senso molto profondo, un prodotto congiunto del narratore e dell’ascoltatore»23: lo spazio che ‘apre’ la narrazione è dunque di natura negoziale, transazionale, perché il racconto possa parlare dei ‘fatti’ ma anche di chi li racconta e al contempo anche a chi e di chi li ascolta. La dimensione dialogica investe i fatti raccontati e le iden-tità di chi è coinvolto nell’atto narrativo, così che i piani di azione e di interazione siano sempre molteplici e ‘tocchino’ e intreccino il Sé con l’Altro, mente con cultura, connettendo il particolare al generale, ‘traducendo’ cioè lo straordinario (e l’incomunicabile che è proprio dell’esperienza di ciascuno) in un racconto reso, grazie alla specificità della ‘materia’ narrativa, condivisibile con gli altri.

23 Ivi, p. 120.

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L’aspetto e l’orizzonte conversazionale del narrare ne fa un even-to di natura dialogica, sociale, di grande interesse sul piano teorico e prassico del pensare/fare educazione e formazione. Fin dalle prime forme di teatro di cui si ha traccia, possiamo dire che l’umanità si è servita della narrazione, oltre che come ‘macchina della memoria’ al servizio della costruzione della memoria collettiva, come vero e pro-prio dispositivo educativo e formativo. Gesti, suoni, parole, fino alla multimedialità e al digitale, testimoniano di un uso del linguaggio che genera ‘realtà’, conoscenze, identità in forma di storie e di ‘fenomeni’ che possono essere sempre rinarrati, rimessi nel discorso, e resi parte di un processo che potremmo definire di ‘formazione continua’. La partecipazione resta la condizione del realizzarsi della narrazione in quanto evento situato e condiviso e in quanto flusso che parte da un ‘dato’ e lo trasforma in ‘fatto’. In tal senso, i concetti di Passato e di Storia, insieme a Mente, Sé, Società e Cultura, sono dunque essi stessi pensati come dinamici, se collocati all’interno del paradigma narrativo. Per questo Bruner parla di ‘svolta narrativa’ che in qualche modo riprende e attualizza la forza e la necessità della Pedagogia attiva e di un Pragmatismo che facciamo risalire all’opera e al pensiero di Dewey come origine di una critica a ogni forma di determinismo, che fa sostenere che

«La ‘vita’ comprende i costumi, le istituzioni, le credenze, le vittorie, le disfatte, le ricreazioni e le occupazioni. Adoperiamo la parola ‘esperien-za’ con la stessa ricchezza di significato. E ad essa si applica, come alla vita nel suo significato puramente fisiologico, il principio della continuità per mezzo del rinnovamento. Col rinnovamento dell’esistenza fisica, nel caso degli esseri umani, si svolge la ricreazione delle credenze, degli ideali, delle speranze, delle felicità, della miseria e delle abitudini. La continuità di qualsiasi esperienza attraverso il rinnovamento del gruppo sociale è un fatto da prendersi letteralmente. L’educazione, nel suo senso più vasto, è il mezzo di questa continuità sociale della vita»24.

A partire da Dewey, vita e rinnovamento sono categorie centrali a supporto di una concezione che fa della comunicazione la condizione necessaria alla stessa vita sociale, in quanto

24 J. Dewey, Democrazia e educazione, cit., pp. 2-3.

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«Non solo la vita sociale si identifica con la comunicazione, ma ogni co-municazione (e perciò ogni genuina vita sociale) è educativa. Ricevere una comunicazione significa avere un’esperienza allargata e diversa. Si partecipa di quel che un altro ha pensato e sentito, e se ne ha il proprio atteggiamento modificato, in modo più o meno profondo. E nemmeno colui che comunica ne rimane inalterato»25.

La natura comunicativa dei fenomeni sociali ne fa dei processi di ‘alterazione’ che, se fatti passare per la rivoluzione cognitiva ed ermeneutica, e quindi per il cosiddetto pensiero critico e la ‘svolta narrativa’, aprono alla ritessitura della trama sociale in chiave ‘critica’ appunto, come spazio progettuale, e pedagogico, sempre in fieri. La forza paradigmatica del pensiero narrativo accompagna la messa in discussione del modello di conoscenza basato sulla spiegazione per fare della comprensione più che un modello una metodologia e una traiettoria epistemologica simbolo di una postmodernità che recupera dell’azione la reciprocità e la circolarità e dell’oggetto la situatività e la intersoggettività, così che il Passato, e quindi la tradizione, e la stessa Cultura, non siano ‘causa’ di un Presente e di un Futuro già scritto e predefinito, quanto piuttosto quel ‘punto’ cui si fa sempre ritorno per riemergerne carichi di un differente significato, uno sguardo altro su quello stesso Passato dentro il quale rintracciare significati da attua-lizzare nel Presente e che mettono in discussione il Futuro.

La narrazione è proposta da Bruner – in particolare a partire dalla pubblicazione nel 1986 di Actual Minds, Possible Worlds26 – come concetto-chiave e paradigmatico anche per introdurre a una differen-te e altra “cultura dell’educazione” che fa della comunicazione, della relazione, del discorso, l’habitat del formare e del formarsi. Le carat-teristiche di questo habitat sono l’intersoggettività e la congiuntività. La narrazione esprime la capacità di agire (agency) dell’attore e dei suoi «incontri attivi con il mondo»27 così che le storie possano essere sempre ri-raccontate e aprire alla possibilità. In tal senso, l’identità è narrativa e il sé autobiografico: attraverso l’acquisizione del linguag-gio come ‘attrezzo’ attraverso cui ciascuno è in grado di agire sul sé e sull’altro, si producono e si negoziano significati che danno forma alle

25 Ivi, pp. 6-7.26 J. Bruner, La mente a più dimensioni, cit.27 J. Bruner, La cultura dell’educazione, cit., p. 49.

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storie. È grazie al linguaggio che la mente, come la mano, agisce sulla realtà e la conosce, riproducendola in forma simbolica e attivando un processo di natura negoziale che mette in relazione mondo interno con mondo esterno: nel percepire e conoscere il mondo è sotteso un fare che investe la dimensione simbolica e diviene agire interpretativo nel quale rifluiscono mente, Sé e società. Il racconto attualizza la storia, legge il passato attraverso il presente: trasferisce il piano senza tem-po della fabula in quello contingente della trama, dove si intrecciano narratore, racconto e ascoltatore, da cui quindi ciascuno ne emerge trasformato. La narrazione è metafora di un ambiente cognitivo, di uno spazio di azione di natura pedagogica che muove il piano estetico e quello ermeneutico da cui ‘emergono’ identità e conoscenze. In tal senso la narrazione è ‘metafora viva’ di un piano infinito attraverso il quale ciascuno può esistere e realizzarsi nella vita activa, in cui cioè nell’agire si mescola l’organico e l’artefatto e si partecipa della polis.

«Ciò che in un uomo è la cosa più fuggevole, e nello stesso tempo la più grande, la parola pronunciata e il gesto compiuto una sola volta, muore con lui, e rende necessario il ricordo che di lui conserviamo. La memoria trova il compimento nel nostro legame con il defunto […] e riecheggia di nuovo nel mondo»28.

La memoria, e quindi il ricordo delle cose passate, è fatta, per dirla con Hannah Arendt, per ‘riecheggiare di nuovo nel mondo’. La tensio-ne al nuovo è il senso che orienta anche ogni agire educativo e presup-pone un legame tra Passato e Presente perché è nel Presente dell’atto che ci si collega e che l’Essere fa presa sulle cose del mondo, per fare di questo il proprio mondo-di-vita, vedendo riconosciuta l’esperienza personale e la sua verità29. Attraverso la memoria, intesa come prin-cipio che apre al nuovo, si qualifica in senso pedagogico l’agire e lo si emancipa da possibili derive contemplative per scegliere la via della ‘vitalità’ segnata da Aristotele e indicata dalla Arendt come il segno di un moto circolare che contraddistingue la vita umana (e “la vita

28 H. Arendt & K. Jaspers, Carteggio (1926-1969), Milano: Feltrinelli, 1989, p. 239.29 Sulla centralità dell’esperienza personale in chiave fenomenologica, cfr. le

opere di Antonio Banfi e quelle di Giovanni Maria Bertin. In particolare, Bertin parla di ‘fenomeno personale’ [Cfr. G. M. Bertin, Progresso sociale o trasforma-zione esistenziale. Alternativa pedagogica, Napoli: Liguori, 1982].

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della mente”). Il movimento circolare rompe con la predittività e con la sequenzialità del movimento lineare per fare spazio alla «presenza dell’Essere»30, al suo essere situato ‘tra’ le cose del mondo con le quali ‘fa corpo’ e alle quali si fa presente. E, come ricorda Jean-Luc Nancy,

«La parola “presenza” si costruisce con un “pre-” che è anche prossi-mità e non solo anteriorità. Il presente non è né davanti, né prima, ma presso. È per questo che esso è tanto temporale quanto spaziale: né prima, né dopo, ma presso; il presente è ciò che arriva presso e la spa-zialità del “presso” è essa stessa una spazialità temporale, una venuta, un avvicinamento»31.

In questo senso, e all’interno di una possibile pedagogia dell’a-zione, il tema del Presente emerge come ‘urgente’ e ‘problematico’ in quanto collegato all’azione educativa e alla sua necessità di at-tualizzarsi per riconoscere il cambiamento come focus degli obiettivi della vita educativa32: cambiamento che può considerarsi il ‘principio’ generatore di una pedagogia dell’azione che fa della transazione la ‘cifra’ di un pensiero critico e problematicista, attento alle questioni esistenziali nonché agli aspetti fenomenologici della sua progettazio-ne33, tanto da rendere necessario ripensare lo sviluppo34 in termini di plasticità e di creatività.

Si fa necessario, dunque, ai fini di una riflessione e di un discorso pedagogico da collocare nell’azione, un più esplicito ‘posizionamento’ fenomenologico che fa dell’agire una ‘spaziatura poetica’ dentro cui cioè l’Uomo si apre al Mondo, vi si presenta in tutta la sua consistenza corporea, producendo senso dall’incontro con la consistenza corporea dell’altro – perché, come sintetizza Nancy, «un senso può aver luogo solo “tra” l’uno e l’altro e dall’uno all’altro, può essere sentito solo dall’uno attraverso l’altro»35 – dando così inizio (e fine) alla rappre-sentazione/ripresentazione, interrompendo il tempo della successione

30 H. Arendt, La vita della mente, cit., p. 234.31 J.-L. Nancy, Corpo teatro, Napoli: Cronopio, 2011, pp. 18-19.32 Cfr. G. M. Bertin, Educazione al cambiamento, Firenze, La Nuova Italia, 1976. 33 Cfr. G. M. Bertin & M. Contini, Educazione alla progettualità esistenziale,

Roma: Armando editore, 2004.34 Cfr. F. Santoianni, Sviluppo e formazione delle strutture della conoscenza. Ten-

denze di ricerca nella pedagogia contemporanea, Pisa: Edizioni ETS, 2003.35 J.-L. Nancy, Corpo teatro, cit., p. 29.

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(lineare) e generando una «breve dilatazione di un istante sottratto al corso del tempo»36. Il tempo non scorre dunque in un’unica direzione ma è intenzionato, orientato, dall’agire e dalla volontà di chi, con il proprio farsi presente, gli dà senso. In altre parole, il Presente non si dà se non attraverso l’azione del farsi presente che qualifica l’Essere e la sua gettatezza nel mondo, in quanto

«non c’è spettacolo possibile, ci sono soltanto lo scontro, la mischia col mondo, le attrazioni e le repulsioni, le traversate e le spinte, le prese e gli abbandoni, gli impossessamenti e gli spossessamenti. Essere nel mondo non è uno spettacolo. Tutt’altro. È essere dentro, non di fronte»37.

La condizione dell’essere dentro, ‘tra’, in interazione con, esprime la necessità dell’esistenza di attualizzarsi attraverso il ‘corpo teatro’ che si presenta, si dà a sentire e implica la compresenza di altri corpi. La soggettività lascia il posto alla intersoggettività. Infatti, proprio attraverso questa necessità esistenziale del Presente, collocarsi nella prospettiva fenomenologica interrogandosi sulla natura del processo formativo e sul divenire dell’Uomo, fa del prendersi Cura una neces-sità e quindi dell’educazione quello spazio del farsi presente dell’uno all’altro, fuori da logiche predittive e prescrittive, lasciando emergere l’orizzonte aperto della pedagogia, del suo operoso produrre infinite varietà di identità in forma di narrazioni. Narrazioni che si attualizzano nel racconto e prendono corpo attraverso le relazioni educative e il loro fondamento attivo e partecipativo.

L’immagine di pedagogia che si va configurando in questa pro-spettiva si sovrappone al concetto di ‘evento’ e pone al centro l’uomo come agente e al contempo come ‘opera pedagogica’. Al fondo c’è una questione (e una ragione, direbbe Kant) ‘pratica’ che emerge e legittima una vera e propria ‘poetica pedagogica’: quel farsi atto, quel mettersi in gioco, di un pensiero critico che chiama ciascuno a farsi maestro e a tracciare sul piano fenomenico, oltre che simbolico e me-tafisico, la propria traiettoria esistenziale. In questo stesso orizzonte pratico, il contatto, la vicinanza, assumono una consistenza pedagogica e costituiscono quella cifra relazionale da porre in atto attraverso un

36 Ivi, p. 30.37 Ivi, p. 10.

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agire educativo che si configura propriamente come ‘pragmatica del corpo’ e che si fonda sul principio dell’eidos38, tenendo insieme l’essere con il suo divenire39. Proprio nel corpo dunque va collocato il gesto del dare e del prendere forma: un gesto, quello educativo e formativo, che celebra il farsi racconto della storia senza tempo, il ‘tragico’ patire, fuori dalle partiture e dalle (pre)destinazioni, per declinarsi nel qui e ora dell’accadere e del manifestarsi di ‘presenze’, la cui condizione è la co-esistenza, l’apparire e l’agire dentro lo spazio transazionale, la dialogicità dell’andare oltre il già detto (e scritto) mettendo in movi-mento il mondo, per ricrearlo, rinarrarlo.

«Così, mentre la descrizione della realtà rischia di rendere quest’ulti-ma egemonica, le grandi storie la riaprono a nuovi interrogativi. È per questo che in un regime di tirannia i primi ad andare in prigione sono i romanzieri e i poeti. È per questo che io li voglio in una classe demo-cratica: perché ci aiutino a vedere ancora, in modo nuovo»40.

‘Vedere in modo nuovo’ è la proposta di Bruner che si muove verso una certa “cultura dell’educazione” per mettere in discussione l’evidenza del reale e la sua permanenza, in nome della sua rappre-sentazione (che è ri-presentazione) e della sua narrabilità. Se la svolta narrativa, e quindi ermeneutica, di Bruner, ha reso possibile consi-derare il Passato come ‘materia’ su cui porre mano e sguardo così da attualizzare la Storia, con la fenomenologia, e in particolare con quella di Nancy e di Merleau-Ponty, il “primato della percezione” pone l’attenzione sulla capacità creatrice dell’uomo di ‘rendere presente qualcosa con l’aiuto del corpo’41. La percezione e il corpo che la rende possibile aprono uno spazio in cui soggetto e oggetto si posizionano l’uno rispetto all’altro, l’uno entra nell’orizzonte (di senso) dell’altro e lo fa esistere, producendo un campo di esperienza che è definibile

38 Cfr. M. Gennari, L’eidos del mondo, Milano: Bompiani, 2012. In particolare, l’autore introduce il concetto di eidos ricordando che: «L’eidos aristotelico è con-siderato ora come idea, ora quale essenza, ora in quanto forma» [Ivi, p. 17].

39 A Giancarla Sola dobbiamo la ‘sistemazione’ del discorso pedagogico attorno al concetto di divenire, ovvero di trasformazione: Cfr. G. Sola, Umbildung. La “trasformazione” nella formazione dell’uomo, Milano: Bompiani, 2003.

40 J. Bruner, La cultura dell’educazione, cit., p. 112. 41 Cfr. M. Merleau-Ponty, Il primato della percezione e le sue conseguenze filo-

sofiche, Milano: Edizioni Medusa, 2004, pp. 69-73.

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come una ‘intercorporeità’ necessaria che sottrae ciascuno e ciascuna cosa alla trascendenza, per situarla nell’immanenza della «relazione in qualche modo organica tra soggetto percipiente e mondo»42. L’incon-tro avviene sul piano organico, fisico, ed è condizione per generare e rigenerare il preesistente conferendogli nuova vita. L’agire, che è er-meneutico, narrativo, e anche comunicativo in quanto apre uno spazio transazionale dove si pratica l’interazione e la reciprocità, una sorta di ‘corpo a corpo’43, qualifica gli ‘attori’ situandoli in un orizzonte di senso (comune) dentro cui l’azione assume una ‘emergente attualità’. In tal senso l’azione ha un suo tempo e si dà come accadere, trasfe-rendo così qualsiasi accaduto in un presente che lo sottrae al già detto e lo rimette nel discorso e quindi in una ‘differente’ (trans)azione e narrazione possibile. D’altronde, come ricorda la Arendt, con l’agire si recupera il senso del «cominciamento», del dare inizio a qualcosa di nuovo: «Agire, nel senso più generale, significa prendere un’iniziativa, iniziare (come indica la parola greca achei, ‘incominciare’, ‘condurre’, e anche ‘governare’), mettere in movimento qualcosa (che è il significato originale del latino agere)»44. In questo senso, l’azione contiene una matrice pedagogica se, come ricorda Foucault, «Socrate sostiene di svolgere la funzione di colui che ridesta. La cura di sé dovrà dunque essere considerata come il primo momento del risveglio»45. Il tema del risveglio introdotto da Socrate, e quindi dell’inizio, si intreccia con quello della semenza di Platone:

«Nel Fedro Platone contrappone la parola scritta alla parola parlata, quale si usa nell’“arte di discutere le cose attraversate” […]. L’arte del discorso vivo è celebrata poiché […] contiene un seme generatore da cui, nei diversi ascoltatori, si sviluppano altri logoi, parole e argomenti differenti, così che la semenza diventi immortale»46.

La prospettiva fenomenologica restituisce legittimità alla sfera corporea e alla dimensione estetica così da intendere «quel percepire

42 Ivi, p. 17.43 Cfr. J.-L. Nancy, Essere singolare plurale, Torino: Einaudi, 2001.44 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, cit., pp. 128-129.45 M. Foucault, Ermeneutica del soggetto, Milano: Feltrinelli, 2003, pp. 9-10.46 H. Arendt, La vita della mente, cit., p. 204.

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che è anche agire»47 come condizione o vincolo per un agire (respon-sabile) che tenga cioè conto della ‘presenza’. L’arte del formare e del formarsi si declina con l’accadere e quindi con l’immanenza dell’even-to, unico e irripetibile, e non con una tecnica da riprodurre in base a procedure o protocolli. L’esperienza educativa e formativa, come la cultura, non è data ma vissuta e prodotta da chi vi partecipa: la capa-cità di azione, l’agency cioè, è la condizione del fare esperienza di sé e del mondo, ovvero del costruire il sé e il mondo attraverso processi di natura negoziale che animano quella che, per dirla con Bruner, è una «pedagogia interattiva e intersoggettiva»48.

Le conseguenze di una epistemologia pedagogica che fa proprio lo sguardo e la sensibilità fenomenologica e si incarna in un sapere pratico sono radicali e di grande importanza, dunque, ed esigono un continuo rapporto tra la ricerca empirica e le strutture discorsive su cui si costruisce e legittima la sua teorizzazione, tutta fondata sulla natura emergenziale del fenomeno educativo. La dimensione situata e ‘locale’ dell’agire educativo da cui si genera ed emerge appunto il fatto o la ‘cosa educante’49 non esibiscono solo un altro statuto epistemo-logico quanto soprattutto una postura metodologica tutta tesa a fare del corpo e insieme della sua realtà cognitiva il fondamento, mobile, mutante, mutato, di una scienza, la pedagogia, di cui si rintraccia e si riconosce la natura e il portato antropologico e politico.

In questa prospettiva, lo specifico dell’azione, e dell’azione orien-tata alla formazione, è che essa fa del soggetto (della Cura) anche l’oggetto della conoscenza: la Cura di sé è condizione della conoscen-za di sé, costituisce cioè quello spazio, attraverso il quale e dentro il quale ciascuno riesce a vedere se stesso, a mettersi in osservazione di sé. Lo spazio della Cura si configura come spazio riflessivo dove ciascuno si ‘rivela’ allo sguardo dell’altro e nell’incontro con questo si può cogliere, assumendo come proprio il punto di vista altrui su se stesso. Pertanto l’importanza dell’incontro e dello scambio con l’altro è centrale per delineare lo spazio pedagogico come spazio comunicativo e politico, la cui cifra riflessiva fa delle questioni soggettive una sfera

47 J.-L. Nancy, Corpo teatro, cit., p. 9.48 J. Bruner, La cultura dell’educazione, cit., p. 35.49 Cfr. R. Massa, Le tecniche e i corpi. Verso una scienza dell’educazione, Milano:

Unicopli, 2003.

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di quelle intersoggettive, rendendo necessario ‘passare’ per l’accadere irripetibile della vita e non sostare nei confini dell’accaduto. La dimen-sione politica rende l’azione un segno rivelatore insieme del soggetto e del contesto, e soprattutto del rapporto reciproco che li lega, li genera, li alimenta. L’azione è un segno, collocato in un tempo e in uno spazio, fenomenicamente tangibile e ‘presente’, che rende accessibile quelle ‘realtà’ che sono più al fondo e che rimarrebbero altrimenti inacces-sibili. L’azione dunque «produce storie», per dirla con la Arendt, «con o senza intenzione, con la stessa naturalezza con cui la fabbricazione produce cose tangibili. Queste storie possono poi essere registrate in documenti e monumenti, essere visibili in oggetti d’uso e opere d’arte, essere narrate e narrate sempre di nuovo, rielaborate in ogni genere di materiale»50: nel flusso vivente dell’agire, l’attore si muove tra vita e storia e attraverso l’azione si manifesta e si colloca in un Tempo e in uno Spazio che è l’orizzonte comune rappresentato dalla polis, rimanda alla necessità per l’Uomo di realizzare la propria ‘presenza’ in forma di cittadinanza.

La ‘presenza’ diviene condizione di appartenenza e di responsabi-lità che fa della pratica, e della pratica della memoria, un importante ‘spazio’ creativo attraverso cui prendono forma e variano, in maniera imprevedibile, miti ed eroi. L’azione, nel suo momento più ‘creativo’ che è quello della produzione di significato, trasforma gli oggetti in oggetti di pensiero: in tal modo l’esperienza sensibile diviene espe-rienza cognitiva e l’essere può qualificarsi proprio in quanto medium tra sensibile e sovrasensibile. In tal senso, la categoria di uomini come ‘esseri pensanti’, che aveva trovato nel paradigma narrativo la sua cifra ermeneutica che ne fa espressione di un Sé narrativo e autobiografico, va completando il suo ‘spettro’ di azione e di realtà e, grazie all’auto-esibizione e all’apparizione, e cioè in un ‘quadro’ fenomenologico, ne fa degli ‘eroi’: «uomini d’azione nel senso più alto, (che) avevano nome di andres epiphaneis, uomini pienamente manifesti, o molto in vista»51. La soglia tra visibile e invisibile si fa sempre più sottile e sposta l’atten-zione verso «il valore della superficie» e la facoltà di immaginazione «che rende presente ciò che è assente in forma de-sensibilizzata»52:

50 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, cit., p. 134.51 H. Arendt, La vita della mente, cit., p. 154.52 Ivi, p. 169.

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immaginare vuol dire rendere presente e quindi attualizzare quegli oggetti che nel darsi dell’esperienza cognitiva sono assenti o lontani.

La lontananza spazio-temporale del soggetto rispetto all’oggetto viene colmata dall’atto del pensare che procede proprio grazie alla presentificazione che colloca tutto nel qui ed ora. Il mondo degli og-getti, in quanto fenomeni, è colto attraverso la loro ‘configurazione sensibile’53 che ne fa dei ‘dati’ da sottrarre alla storia, passata, e ricollo-care nel presente, grazie a un processo rigenerativo che è il ri-pensare e che si qualifica come ‘epifania’ e soprattutto come epoché: l’attività della mente interviene su quanto si è manifestato (nell’accadere) e vi pone un altro sguardo che, sottraendosi al senso comune, ovvero in una condizione di ‘sospensione’ del giudizio, produce nuovo significato. L’azione, quindi, cui concorrono corpo e mente insieme, si qualifica come produttiva ma in senso più proprio è ri-produttiva, ed è collocata nell’emergenza del presente dove è possibile per l’attore farsi anche spettatore per comprendere lo spettacolo della vita che si dà sulla sce-na a opera degli attori. Lo stupore attraversa lo spettatore e gli offre la possibilità o la necessità di vivere tra il passato e il futuro dell’attore. La necessità di cui parlo ha una tonalità pedagogica che fa del presente quello spazio dove prende corpo l’azione e dove il soggetto, l’attore, diviene oggetto di uno spettatore (che è lui stesso nel pensiero). E si può dire che tale movimento è ricorsivo, circolare, e senza fine. Come circolare è la traiettoria tracciata dalla psicologia culturale e dalla ‘svolta narrativa’ di Bruner, a sua volta, questa, letta come ‘emergenza’ di un attivismo pedagogico e di una certa ermeneutica54, che deline-ano percorsi fondati sull’agire inteso come gioco linguistico e spazio narrativo, dialogico, poetico, al quale si riconosce anche una matrice riflessiva: l’azione è narrazione e al contempo riflessione.

Narrare, abbiamo visto, ha il senso del fare presente, agire sul passato e attualizzarlo, riflettere ha quello del far-si presente, agire ed

53 Cfr. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Milano: Bompiani, 2003.

54 Quella riconducibile in particolare a Paul Ricoeur e al suo progetto per una fenomenologia ermeneutica che propone una variante ermeneutica alla fenome-nologia husserliana e si colloca nella tradizione di una filosofia riflessiva. Cfr. in particolare: P. Ricoeur, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale, Milano: Jaca Book, 1998.

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esporsi allo sguardo degli altri, così che l’identità non sia una questione privata ma un evento che accade nell’incontro con gli altri. Le intera-zioni umane sono individuate da Bruner come la condizione necessaria per la costruzione della realtà. Tale visione socio-costruttivista, che egli assume da Nelson Goodman55, introduce allo stesso tempo anche una ‘filosofia del comprendere’ a uso della psicologia e di una teoria dello sviluppo che si riflette nel senso comune e nella pedagogia popolare e produce certe idee di mondi e di uomini che a loro volta producono certe pedagogie che hanno legittimato la cooperazione, e la transazio-ne, come modus dell’agire educativo e formativo. Le interazioni sono rese possibili dalla condivisione di uno spazio comune che chiamiamo cultura, la cui canonicità e significatività viene rinegoziata, e quindi rimessa in discussione, perché chi partecipa delle interazioni interviene mediando tra il preesistente e l’attuale perché c’è un aspetto riflessivo di cui tener conto e che riconosce alla scena sociale un aspetto ‘spe-culare’ che fa dell’incontro e dell’atto del conoscere uno spazio e un ‘piano’ di riflessione e ri-conoscimento in cui necessariamente si ‘ope-ra’ sul preesistente, ‘imprimendovi’ la traccia della propria esistenza. In questo senso nell’atto del conoscere è contenuta l’istanza del co-noscersi e del riconoscersi, del riflettersi nell’altro e del comprendersi attraverso l’altro. Questa apertura al Presente è significativa perché qualifica l’agire, e l’agire educativo e formativo, proprio attraverso la sua ‘emergenza’ e attualità. Grazie all’idea di ‘riflessione’, di cui la pe-dagogia culturale di Bruner, interattiva e intersoggettiva, è portatrice, si mette in crisi anche un certo metodo esplicativo e si fa propria una concezione attiva e dialogica della mente: mente le cui attività, pur se invisibili, sono espressione, per dirla con la Arendt, della «loro natura riflessa»56, in quanto

«Nessun atto della mente, meno che mai l’atto di pensare, si appaga del suo oggetto quale gli è dato dalla vita o dal mondo. Esso trascende sempre la mera datità di qualsiasi cosa abbia suscitato la sua attenzione, per trasformarla in ciò che Pier Giovanni Olivi, il filosofo francescano della Volontà, attivo nel tredicesimo secolo, chiamava un experimentum suitatis, un esperimento dell’io con se stesso»57.

55 Cfr. N. Goodman, Vedere e costruire il mondo, Roma-Bari: Laterza, 2008.56 H. Arendt, La vita della mente, cit., p. 157.57 Ivi, p. 156.

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Ancora una volta si può dire che la categoria dell’azione è cen-trale e può essere riproposta in tutta la sua pregnanza pedagogica a partire dall’uso e dall’accezione fornita dalla Arendt, che consente di coniugarla alla formazione così da recuperarne la matrice antropo-logica e legarla a un sapere, quello pedagogico, che ancora fa i conti con l’imprevedibilità e l’irreversibilità del processo attivato e dunque dialoga ancora, e in senso problematico, con le questioni del Moderno.

3. La ‘scena’ educativa: lo spazio dell’apparire e dell’avvenire. Il Possibile come emergenza e orizzonte pedagogico

«Essentia, potentia, actio; esse, posse et agere; ens, potens et agens est unum»

J. Bruni Nolani

«Ciò che non voglioè di colare goccia a goccia.A goccia a goccia non vogliovivere la mia ora perché tuttaintera mi voglio in ogni istante»

L. Irigaray

«Come l’universo nel suo insieme, come ogni essere cosciente distinto, l’organismo che vive è qualcosa che dura»

H. Bergson

Qualificare l’essere attraverso il sentire e far emergere il nesso pensie-ro-azione per collocarlo a fondamento di un discorso pedagogico, ha il senso di rendere viva la ‘posizione fenomenologica’ e di porsi come questione la sua praticabilità, per fare della pratica la sua sola – nel senso della categoria dell’unum fornitaci da Giordano Bruno – dimen-sione possibile. Una tensione prassica al discorso pedagogico – fatta risalire da Dewey da «un cambiamento radicale della concezione della conoscenza, da contemplativa ad attiva»58 – fa dell’evento formativo un oggetto di indagine (riflessiva ed esperienziale), cui si riconosce una puntualità ma anche una profondità che gli conferisce un ampio

58 J. Dewey, Democrazia e educazione, cit., p. 101.

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spettro temporale nel quale l’‘impressione’ del Presente include il Passato e apre al Possibile, riconoscendo nell’Arte e in special modo in tutte le arti performative, dal teatro alla musica alla danza, quello spazio e quella materia attraverso cui dar forma al possibile e dunque ‘realizzare il pedagogico’.

La prospettiva fenomenologico-ermeneutica ‘prende corpo’ e riconosce quella «materialità educativa»59 che legittima e orienta la ricerca e la pratica clinica in pedagogia60. Infatti, la traiettoria segnata da Dewey con la centralità dell’esperienza estetica, in particolare nel suo Art as Experience61 di cui il Black Mountains College62 può essere considerato un ‘laboratorio’, ha dato vita a tutte quelle forme di edu-cazione e di progetto educativo «reso possibile proprio a partire dalla istituzione di un campo metaforico rispetto alla vita per rielaborare e per oltrepassare la propria esperienza»63. Dell’evento formativo si vuo-le qui cogliere la totalità, o complessità, storica e temporale, e insieme la sua intrinseca dimensione sociale, così che identità e conoscenza, essere e sapere, siano intesi come fenomeni emergenti, e non ‘derivati’, da una storia il cui accadere si snoda all’interno di una trama, tessuta e ritessuta, il cui avvenire non può essere ridotto a mera conseguenza di quanto già avvenuto.

A questo proposito Merleau-Ponty, citando Koffka, mette in guar-dia dalla ‘intenzione di riproduzione’, ricordando che, se si rimane

59 R. Massa, “Dalla scienza pedagogica alla clinica della formazione”, in R. Massa (a cura di), Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Roma-Bari: Laterza, 1995, p. 583.

60 Cfr. R. Massa (a cura di), La clinica della formazione. Un’esperienza di ricerca, Milano: Franco Angeli, 2004.

61 J. Dewey, Arte come esperienza, Palermo: Aesthetica, 2007.62 «Fondato nel 1933 da transfughi del Rollins College della Florida (a cau-

sa di divergenze sul genere di educazione da impartire ai giovani studenti), il Black Mountain College si era qualificato da subito come un progetto educativo all’avanguardia, dove vengono arruolati numerosi artisti europei. Il College nasce nell’epoca entusiasta del New Deal come scuola di ispirazione Bauhaus; tuttavia la sua originalità irripetibile consiste nel fatto che è un tentativo generoso di dar vita al modello educativo delineato da Dewey in Democracy and Education (1916)» [M. Senaldi, “Art as Experience e l’arte contemporanea”, in L. Russo (a cura di), Esperienza estetica. A partire da John Dewey, Palermo: Aesthetica, 2007, p. 51].

63 F. Antonacci & F. Cappa (a cura di), Riccardo Massa. Lezioni su La peste, il teatro, l’educazione, Milano: Franco Angeli, 2001, p. 27.

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nella logica deduttiva, «La conoscenza appare come un sistema di so-stituzioni in cui una impressione ne annuncia altre senza mai renderne ragione, in cui delle parole fanno attendere delle sensazioni così come la sera preannuncia la notte»64. Mentre, in virtù del ‘ritorno ai feno-meni’ e della ‘presenza dell’oggetto’, la continuità e la logica lineare lasciano il posto a una visione ecologica che comprende l’attore e la sua posizione ‘interessata’ che lo connette al contesto e ne fa un tutto che prende forma e senso dalla singolare, immanente e incostante relazione che ne scaturisce e che li tiene, seppure fuori dal legame tra causa ed effetto, reciprocamente in vita.

Il movimento e l’azione connotano l’essere collocandolo ‘tra’ passato, presente e futuro, ‘situando’ cioè soggetto e oggetto in un orizzonte temporale dove, come suggerisce Merleau-Ponty, «Il tempo non è quindi un processo reale, una successione effettiva che io mi limiterei a registrare. Esso nasce dal mio rapporto con le cose»65. La tensione e l’intenzione, che uniscono l’uomo e il mondo, producono una rete stratiforme di realtà che divengono mondi da ‘abitare’ e attra-verso i quali ‘cominciare’: dove agire cioè, attraversando il campo del possibile, senza destinazione preliminare, nel tentativo di affermare la propria libertà, lasciandosi sollecitare da più parti e provando ad andare al di là e oltre le strutture percettive e cognitive già acquisite e in uso. Il vedere e il sentire, come l’apparire e il mostrare, possono restare vincolati alla logica esplicativa e non generare che il già fatto, mentre, se si lavora sulla ‘presenza del soggetto incarnato’, l’esistenza si sottrae al rituale e si celebra in un nuovo inizio, con tutta la sua ‘potenza creatrice’66. È la volontà dell’eroe che torna a risuonare in un orizzonte pedagogico che accoglie come necessaria e opportuna la prassi e la sua dimensione condivisa, in quanto è a partire dalle nuove pratiche che si rinarrano le storie, si rigenerano norme e usi sociali, si dà nuovo senso al tempo, tenuto conto che «Può esserci tempo solo se esso non è completamente dispiegato, se passato, presente e avvenire non sono nello stesso senso» in quanto «Al tempo è essenziale farsi e non essere, il non essere mai interamente costituito»67. L’azione, calata

64 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 49.65 Ivi, p. 528.66 Cfr. M. Augé, Futuro, Torino: Bollati Boringhieri, 2012.67 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 532.

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nell’orizzonte ermeneutico e fenomenologico, ritrova la sua natura transazionale: è struttura che media il rapporto tra ‘presenze’ e può essere orientata alla libertà, direbbe Merleau-Ponty, in quanto «C’è un senso autoctono del mondo che si costituisce nel commercio con esso della nostra esistenza incarnata e che forma il terreno di ogni Sinnge-bung decisoria»68. Il vedere e il sentire, così come il dar forma e il cre-are, sono dimensioni e modi di un agire ‘incarnato’ i cui esiti non sono prescritti né prevedibili, anche se decisamente orientati, intenzionati e continuamente negoziati. Pensare l’essere e l’agire, il manifestarsi, di ciascuna esistenza come ‘incarnati’ è il segno di un possibile ritorno all’ipotesi culturalista di Bruner e alla sua proposta pedagogica, ma in un senso più profondo che si può realizzare aderendo ed esplorando in maniera più radicale le sue ‘cifre’ biologiche, estetiche, cognitive e pragmatiche, muovendosi più compiutamente verso le neuroscienze e situandosi nella neurofenomenologia. D’altronde le scienze bioeduca-tive69 ne sono una codificazione esplicita che ha inaugurato traiettorie di ricerca di grande interesse sul piano teorico-prassico, riportando al centro del dibattito l’urgenza di uno sguardo antropologico e quindi di un nuovo umanesimo pedagogico capace di ‘liquidare’ la spiega-zione e di assumere piuttosto l’intreccio tra il télos, la causa finale introdotta da Aristotele, e la causa, l’origine, per studiare i «processi di generazione e di sviluppo» e «l’essenza stessa della totalità»70. Il ritorno cioè è alla «comprensione della crescita e della forma» dove «la ricerca delle cause fisiche si fonde con […] la ricerca di relazioni tra cose visibilmente separate»71 e lascia spazio all’enigma della forma e al rapporto tra arte e natura perché, come ricorda Dewey,

«Quando si liberò la natura dalla morsa dei fini prestabiliti, l’osserva-zione e l’immaginazione si emanciparono e il controllo sperimentale a scopo scientifico e pratico ne venne enormemente stimolato. Poiché i

68 Ivi, p. 563.69 Cfr., in particolare, E. Frauenfelder & F. Santoianni (a cura di), Le scienze

bioeducative. Prospettive di ricerca, Napoli: Liguori, 2002; C. Sabatano, Dal corpo alla mente. Prospettive teoriche e metodologie formative, Roma-Bari: Laterza, 2003. Per una bibliografia completa si veda: www.scienzebioeducative.wordpress.com.

70 D’Arcy W. Thompson, Crescita e forma. La geometria della natura, Torino: Bollati Boringhieri, 2010, p. 8.

71 Ivi, p. 10.

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processi naturali non erano più confinati a un numero fisso di fini o di risultati immutabili, poteva accadere di tutto. Si trattava solo di capire quali elementi giustapporre perché lavorassero di concerto»72.

Perché possa ‘accadere di tutto’, quindi, c’è bisogno di ‘concerto’, di armonia73, di accordo, e quindi di un incontro. Nel senso che «nessun incontro è mai a senso unico. L’incontro, contrariamente all’eredita-rietà, all’eredità e al destino, è la prova dell’alterità (perciò il termine esprime sia l’empatia sia lo scontro) e dell’apertura del tempo, dell’av-ventura, della libertà»74.

Il contributo del pensiero di Dewey, il suo pragmatismo e attivismo, ha avviato un processo di emancipazione relativo all’idea meccanica di progresso, grazie al quale l’attività umana si è potuta riappropriare della capacità di «riplasmare l’esistente»75 così da coniugarla a una certa idea di uomo: la stessa che Dewey recupera da Bergson e che lo riporta alla categoria di Homo faber insieme al «potere di manipolare la natura» e al «rispetto per la materia»76. Superato il meccanicismo, in nome di un attivismo che tiene insieme conoscenza empirica e im-maginazione, si può ritenere inaugurato uno sguardo sul futuro che si nutre di una più profonda e radicale apertura verso l’indefinito, l’altro, il possibile, che muove verso la rottura delle abitudini e delle routine. Il cambiamento inizia a essere parte di un orizzonte, quello umano, la cui natura è insieme sociale e biologica, così da diventare, il cambiamento, e quindi il variare vivo dell’esperienza, il concetto portante di una certa pedagogia, quella che si è andata delineando in questo scritto. Una pedagogia che necessariamente emerge a legitti-

72 J. Dewey, Rifare la filosofia, cit., p. 68.73 Sul concetto di ‘armonia’ torna anche Thompson, specificando che: «Il termine

filosofico “olismo” ha per me lo stesso significato del termine greco harmonía. Essa ci viene mostrata non solo da uno strumento musicale accordato, ma anche da ogni lavoro di un abile artigiano e da tutto ciò che è stato “messo insieme” da arte o natura. È la “qualità di essere composito” che è propria di ogni insieme composito di cose: come i termini analoghi krásis o sýnthesis, contiene l’idea di un equilibrio o un accordo». [D’Arcy W. Thompson, Crescita e forma. La geometria della natura, cit., p. 11, nota 5].

74 M. Augé, Futuro, cit., p. 40.75 J. Dewey, Rifare la filosofia, cit., p. 69.76 Ivi, p. 70.

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mare un embodiment77 che, nel collocarsi oltre la tradizionale oppo-sizione tra Sensi e Pensiero come quella tra Esperienza e Ragione, Principi (ovvero Leggi universali) e Caso, è in grado di superare le prepotenze del Passato sul Futuro grazie alla situatività, la cosiddetta situatedness: quella condizione propria dell’essere – che con Heidegger non possiamo che concepire come Dasein (esser-ci, essere-con) – che cioè ha una sua ‘consistenza emergenziale’, in quanto realtà emergente da un contesto e a esso connesso in un rapporto, dinamico e perciò instabile, di reciproca determinazione che ne fa un sistema e dunque un ‘dominio di interazioni’78.

In questo senso, le scienze della mente con il metodo fenomeno-logico e il loro attraversamento dell’esperienza e del ‘corpo vivo’79 della cognizione, fanno dell’incorporazione e dell’intersoggettività uno spazio importante dove collocare una riflessione epistemologica e metodologica dalla quale far emergere un agire educativo ‘autopoie-

77 Per il concetto di ‘embodiment’ e per le teorie della mente collegate a questo concetto, cfr. F. Varela, E. Thompson & E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza, Milano: Feltrinelli, 1992; R. Pfeifer & J. Bongard, How the Body shapes the way we think. A new intelligence, Cambridge: MIT Press, 2007. Attraverso il concetto di ‘embodiment’ si qualifica l’azione come azione ‘incorporata’ o ‘incarnata’: «Con la parola incarnato vogliamo sottolineare due punti: innanzitutto, la cognizione dipende dai tipi di esperienza che dipendono dal fatto di avere un corpo dotato di diverse capacità senso-motorie; in secondo luogo, queste capacità individuali senso-motorie s’inscrivono esse stesse in un contesto biologico, psicologico e culturale più ampio». [F. Varela, E. Thompson & E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza, cit., p. 234]. Ma certo l’introduzione di un idealismo ‘organico’ e ‘incarnato’ va fatto risalire a Dewey e al suo pragmatismo.

78 A partire dalla biologia cognitiva di Maturana e Varela, l’interazione con un ambiente è il principio che regola e qualifica ogni sistema vivente e che fa di quell’ambiente un ambiente cognitivo, in quanto «un sistema cognitivo è un siste-ma la cui organizzazione determina un dominio d’interazioni nel quale esso può agire in modo pertinente al mantenimento di se stesso, e il processo di cognizione è l’effettivo (induttivo) agire o comportarsi in questo dominio. I sistemi viventi sono sistemi cognitivi, e il vivere in quanto processo è un processo di cognizione. Questa dichiarazione è valida per tutti gli organismi, con o senza sistema nervoso». [H. Maturana & F.J. Varela, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Venezia: Marsilio, 1988, p. 59].

79 Cfr. M. Cappuccio (a cura di), Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Milano: Bruno Mondadori, 2006.

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tico’ ed ‘enattivo’80. L’autopoiesi81, e quindi l’autonomia, costituisce di fatto il senso dell’agire, di un agire che riguarda e connota l’esistente e la sua necessaria ‘adesione’ a un ambiente fisico nel quale è situato e dal quale emerge come processo continuamente e reciprocamente costituente. L’azione, nel suo essere ‘incorporata’ ovvero emergente da un’esperienza di interazione (o accoppiamento) con l’ambiente, è co-gnizione. La dimensione cognitiva connota l’agente e ne fa il chiasma tra corporeo e incorporeo. Inoltre, se la cognizione viene qualificata come ‘enazione’ è per rifarsi alla concezione di ‘corpo vivo’ introdotta da Merleau-Ponty che fornisce una ‘matrice’, corporea appunto, alla mente e pone a condizione dell’azione la ‘presenza’ dell’agente e il suo legame costitutivo con il proprio dominio di interazioni. La cen-tralità dell’interazione rende l’azione (e la cognizione) quel fenomeno emergente da un processo senso-motorio le cui direzioni non sono prescritte o predeterminate, sfuggono cioè alla possibilità di essere descritte, perché invece soggette all’osservazione.

In questo senso l’azione educativa si conosce solo in una condi-zione partecipativa e ‘comprendente’, i cui esiti restano aperti alle scritture ulteriori e possibili, medium di una relazione significativa e capace di fare da ambiente cognitivo dove trovano spazio e intera-giscono ‘morfologie dinamiche’82 che si costituiscono e si rigenerano attraverso ‘relazioni matematiche non lineari’83. Così come non lineare

80 Per la ricaduta in ambito didattico, cfr. P. G. Rossi, Didattica enattiva. Com-plessità, teorie dell’azione, professionalità docente, Milano: Franco Angeli, 2011; P. C. Rivoltella, Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Milano: Raffaello Cortina, 2012.

81 Relativamente alla necessità dell’autopoiesi per l’esistente, Maturana e Varela scrivono: «Un sistema vivente è un sistema vivente perché è un sistema autopo-ietico nello spazio fisico, ed è una unità nello spazio fisico perché è definito come unità in quello spazio da e attraverso la sua autopoiesi. Di conseguenza, ogni trasformazione strutturale che un sistema vivente può subire mantenendo la sua identità deve aver luogo in una maniera determinata da e subordinata a la sua autopoiesi definente; quindi in un sistema vivente la perdita di autopoiesi è disin-tegrazione in quanto unità e perdita di identità, cioè morte». [H. Maturana & F.J. Varela, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, cit., p. 171].

82 Cfr. D’Arcy W. Thompson, Crescita e forma. La geometria della natura, cit.83 Cfr. D. Bisig & R. Pfeifer, “Understanding by design”, in R. Geiser (Ed.), Ex-

ploration in Architecture. Teaching, Design, Research, Besel-Boston-Berlin: Birkäu-ser Verlag AG, 2008, pp. 124-133.

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lo spazio e il tempo cui dà corpo l’agire educativo insieme a chi ne è parte, se la stessa azione educativa è generata da una «progettazione per emergenza [che] enfatizza le relazioni tra le proprietà dei livelli alti e bassi di un sistema»84 e pertanto riconosce il fenomeno educativo come non descrivibile perché complesso nell’essere emergente dall’in-terazione di tutte le sue numerose componenti. La concezione spaziale, non tettonica, e quella temporale, non lineare, cui si fa riferimento costituisce l’ambiente dunque per ripensare, progettare e realizzare il pedagogico incarnandone la necessaria dimensione interattiva che ne fa un processo e un orizzonte sempre aperto al mutamento. Pertanto «Bisogna poter pensare il tempo come messa in intrigo ma anche, in modo complementare, come inaugurazione»85 nonostante, o proprio perché di contro sentiamo che

«siamo diventati deterministi assoluti, e anche coloro che vogliono sal-vaguardare i diritti del libero arbitrio umano permettono che il deter-minismo regni assoluto almeno nel mondo inorganico. Ogni fenomeno, per minimo che sia, ha una causa, e un’intelligenza infinitamente potente e infinitamente ben informata avrebbe potuto prevederlo fin dal princi-pio dei secoli. Con un’intelligenza siffatta, se esistesse, non potremmo giocare a nessun gioco d’azzardo: perderemmo sempre»86.

Ma la partecipazione al gioco sembra necessaria così come oppor-tuno per una certa epistemologia e metodologia ricorrere alla prospet-tiva fenomenologica di Merleau-Ponty e percorrere la grande lezione di Paul Ricoeur87, per appropriarsi del pedagogico e accorgersi che questo si può cogliere solo attraverso un movimento e il suo stesso mutare plastico, che è come una danza, attraverso cui tracciare nuove e altre traiettorie di ricerca e di conoscenza di sé e dare corpo a uno spazio che è circolare, sferico, e tanto ricorda il perturbante ‘giro-giro-tondo’.

84 Ivi, p. 128.85 M. Augé, Futuro, cit., p. 41.86 H. Poincaré, Geometria e caso. Scritti di matematica e fisica, Torino: Bollati

Boringhieri, 1995, p. 66.87 In particolare cfr. la sua analisi della metafora: P. Ricoeur, La metafora viva,

Milano: Jaca Book, 1981, oltre ai volumi su tempo e racconto, in particolare: P. Ricoeur, Tempo e racconto, Milano: Jaca Book, 1983; P. Ricoeur, Tempo e racconto. Volume 3: Il tempo raccontato, Milano: Jaca Book, 1988.

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