Giacomo Todeschini
Giacomo Todeschini
"Judas mercator pessimus". Ebrei e simoniaci dall'XI al XIII
secolo
PREMESSA
Se si voglia ragionare della riapparizione di Iudas nei testi
antisimoniaci dei secoli XI e XII, non bisogner dimenticare la
tradizione lessicale accumulatasi intorno a questa parola-nome a
partire dal testo evangelico, di Giovanni soprattutto, e da
Agostino (commento al vangelo di Giovanni, in primo luogo, ma anche
expositio sul salmo 108). E' necessario, quindi, considerare tutta
una serie di attributi obbligati che fanno, sin dall'et patristica,
di questo nome una cifra semanticamente determinata (equivalente o
rinviante a fur, raptor, avarus, ma anche a dispensator,
oeconomus), e in secondo luogo stabilire i nuovi significati che,
con l'XI secolo, si vengono a costruire su quelli antichi e
consolidati, e che derivano, in sostanza, dall'inserimento di
questa parola-nome in contesti politicamente pi determinati che in
passato, in polemiche attuali, e nella costruzione di un sistema
lessicale-concettuale che, come appunto quello "gregoriano", ha un
obiettivo di riorganizzazione economico-politica pi o meno
chiaro.
Questo processo di riattivazione semantica del termine Iudas pu
essere fatto cominciare con:
a) la testualit episcopale di et carolingia, cio quel sistema
testuale conciliare, teologico e legislativo costituito dalla serie
dei capitolari che fra VIII e IX secolo muovono verso la
affermazione dell'autonomia, o della prevalenza, del corpo
episcopale nell'ambito dell'impero; si tratta di testi che
sottolineano il significato politico-normativo della lotta contro
la avaritia oppure di testi che suggeriscono (sono ancora pochi fra
IX e X secolo) che i beni ecclesiastici sono minacciati oltre che
da generiche invasiones, dalla commercializzazione che di essi
opera il commercio, in particolare quello ebraico;
b) l'affermarsi, nella testualit che si sviluppa intorno alla
prima disputa eucaristica, di una nozione di valore incalcolabile
(non apprezzabile in termine economici) intrinseco alla prassi
sacramentale eucaristica in quanto conversione reale e determinante
l'incommensurabilit del potere carismatico gestito da mani
consacrate: nell'ambito di tale complesso testuale si afferma un un
uso di Iudas /Iudaeus che ne attualizza il significato di
pervicacia-incredulitas, di non-intelligentia delle verit cristiane
da parte ebraica.
Da questo momento in avanti, ben prima dunque del 1096, data
solitamente accettata come spartiacque della trasformazione
dell'atteggiamento sociale cristiano nei confronti degli Ebrei
presenti in Europa occidentale, tale parola-nome si trasforma
lentamente nella sigla di atteggiamenti di complessiva infidelitas
specificamente minacciosi nei confronti tanto della autonomia delle
chiese quanto dell'integrit dei loro patrimoni.
L'emersione di tale significato minaccioso della presenza
ebraica, se pure ancora sporadico nei testi del IX-X secolo, pone
dunque il problema della precisazione che a partire da questo
periodo viene subendo la definizione cristiana dei comportamenti
ebraici, nel quadro pi generale della riorganizzazione concettuale
ecclesiastica riguardante il significato politico delle res
ecclesiarum: di come dunque l' infidelitas, la carnalitas rituale
ed esegetica imputate agli Ebrei a partire dall' Et patristica,
vengano ora ricodificate - nel periodo che scorre dalla prima
disputa eucaristica e dalle Decretali pseudoisidoriane sino alla
seconda disputa eucaristica e alle grandi lotte contro la simonia -
nei termini di una avversione economico-politica alla presenza
ebraica sui territori cristiani.
1
A partire dagli anni '50 dell'undicesimo secolo, nell'ambito del
graduale rivolgimento dei criteri di legittimazione che scuote le
relazioni fra poteri sacerdotali e poteri laici, noto
impropriamente come "riforma gregoriana", si pu percepire qualcosa
di nuovo nel modo con il quale gli intellettuali cristiani che
sostengono il programma di riforma parlano della realt ebraica, sia
in quanto realt astrattamente teologica sia in quanto realt
effettivamente sperimentabile.
Si cercher ora di vedere in che cosa consista questo nuovo
atteggiamento dei pi noti sostenitori della riforma ecclesiastica,
attivi propagandisti nell'ambito della cosiddetta "lotta per le
investiture" di una nozione di potere sacerdotale fondata sull'idea
di assoluta straordinariet del carisma gestito dalle mani del
sacerdote legittimamente consacrato, ed autori di "una definizione
sempre pi consapevole della Chiesa romana come epitome
rappresentativa - su di un piano squisitamente giuridico - del
mondo cristiano"; se vi sia un nesso fra i loro programmi di
riorganizzazione ecclesiologica e la nascita di uno stereotipo
ebraico negativo politicamente ed economicamente, contrassegnato
lessicalmente dalle parole carnalitas, avaritia, usura, e
caratterizzante a partire dal secolo successivo il sistema delle
relazioni cristiano-ebraiche.
Gi uno scritto relativamente recente di Gilchrist, che censisce
i riferimenti al Giudaismo e agli Ebrei negli scritti dei canonisti
fra XI e XII secolo, ha constatato un precisarsi dell'attenzione
giuridica cristiana scaturente dalla riforma, nei confronti della
presenza ebraica. Una analoga attenzione, meno considerata dagli
studiosi, sembra evidente, d'altronde, negli scritti dei teologi e
dei polemisti dello stesso periodo. Questa complessiva crescita
dell'interesse "gregoriano" per la multiforme presenza ebraica nel
mondo cristiano, si traduce, negli scritti dei canonisti e in
quelli dei teologi della riforma, in una duplice percezione
dell'Ebraismo: inteso sia come fenomeno appartenente alla vicenda
salvifica cristiana, che come manifestazione culturale-religiosa di
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