UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI STORIA CORSO DI LAUREA in SCIENZE STORICHE E DOCUMENTARIE AURELIANO: LA PERFEZIONE MANCATA RELATORE: Prof. Sergio Roda CANDIDATO: Gabriele Pedrazzo (matricola 705756) Anno Accademico 2014/2015
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
DIPARTIMENTO DI STORIA
CORSO DI LAUREA in SCIENZE STORICHE E
DOCUMENTARIE
AURELIANO: LA PERFEZIONE MANCATA
RELATORE: Prof. Sergio Roda
CANDIDATO: Gabriele Pedrazzo (matricola 705756)
Anno Accademico 2014/2015
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RINGRAZIAMENTI
«Tre ringraziamenti ai professori dell’Università sotto il cielo che
risplende
(Il mio relatore il professor Roda, il professor Pellizzari e il professor Tuccari)
Sette gli amici cari la cui amicizia vorrei per sempre salda come
rocche di pietra
(Save, Albi, Gio e Silvia, Vale, Paola e Anto)
Nove ad altri amici mortali loro che ricorderò per sempre
nonostante tutti noi attenda una triste morte
(Juls, Ila, Elsabetta e Mari, Fra Claudio, i miei genitori, Chiaretta, amici di Taizè
e di Rivauta)
Uno a Dio, che si oppone all’oscuro Sire chiuso nella reggia tetra,
nella Terra di Mordor da dove l’Ombra nera si diffonde.
Un amicizia per domarli, un’amicizia per trovarci,
un legame pe ghermirci e nella luce incatenarci 1»
1 Tolkien, J. R. R., Il Signore degli Anelli, Milano 2004, p. 75.
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INDICE
PREMESSA .......................................................................................................................... 7
INTRODUZIONE ................................................................................................................. 9
EPIFANIA DI AURELIANO .............................................................................................. 14
Cenni storici: La crisi del III secolo...................................................................................... 14
Aureliano, Imperatore in potenza: gli esordi ......................................................................... 15
In media stat…Virtus? ......................................................................................................... 18
L‟esercito ............................................................................................................................. 27
Conclusione ......................................................................................................................... 38
LA CIMA DEL MONDO .................................................................................................... 41
Aureliano e la Traslatio Imperii............................................................................................ 41
Questioni militari e l‟unità dell‟impero ................................................................................ 43
Un cuore solo e un‟anima sola ............................................................................................. 48
Palmira: De caelo in caenum: ubris aut diligentia? ............................................................. 48
La Dacia. Debolezza o lungimiranza? .................................................................................. 58
Centro e Periferia ................................................................................................................. 59
Overstretch .......................................................................................................................... 66
Conclusione ......................................................................................................................... 74
POLITICA INTERNA ......................................................................................................... 79
Monetariorum Bellum .......................................................................................................... 79
Riforma monetaria vera e propria ......................................................................................... 87
Conclusione ......................................................................................................................... 95
AURELIANO: UN SOLE CHE SORGE ............................................................................. 97
6
Evocatio............................................................................................................................... 99
“Tao te Ching”: lato in ombra e lato soleggiato della collina .............................................. 101
Elagabalo: il Sole pallido dell‟inverno ............................................................................... 109
Aureliano: il solstizio d‟estate ........................................................................................... 111
I raggi del Cristianesimo .................................................................................................... 116
Conclusione ....................................................................................................................... 119
CONCLUSIONE GENERALE .......................................................................................... 124
ILLUSTRAZIONI ............................................................................................................. 133
APPENDICE ..................................................................................................................... 167
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................... 189
Fonti Secondarie ................................................................................................................ 189
Fonti Primarie .................................................................................................................... 203
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PREMESSA
mpero. Da sempre questo è un argomento che mi affascina e che mi spinge a
porre sempre nuovi interrogativi. L‟aspetto singolare è il fato che quanto più
provo a carpirne le dinamiche e le peculiarità, tanto più esso si presenta con
nuove sfaccettature; maggiormente cerco di sviscerarne i significati e di
coglierne i vari aspetti, meno esso si presta ad essere classificato e inquadrato in forme e
schemi fissi.
L‟altro aspetto però davvero singolare che questa tesi mi ha confermato rimane
comunque l‟attualità dell‟impero di Roma. Nella mia ricerca sulla situazione
dell‟impero romano nel III secolo, sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla sua
attualità: anche se stavo provando a dipingere un quadro delle condizioni della
dominazione romana negli anni dell‟Anarchia Militare, ho sempre avuto l‟impressione
di condurre una riflessione sulla situazione contemporanea. Come infatti ho già avuto
modo di notare, le problematiche che emergevano e le soluzioni che man mano sono
state trovate – o non trovate – valgono ancora ai giorni nostri: ecco la potenza della
storia di Roma, ecco il suo fascino e la sua rilevanza; l‟Imperium Romanum si rivela
sempre attuale, come un punto di riferimento di tutte le epoche e per tutte le compagini
che animano una società
Il lavoro di ricerca bibliografico si è a volte rivelato arduo o comunque non così
semplice e scontato e le fonti stessi si sono dimostrate non così facilmente reperibili;
infatti, e a suo sfavore, ha giocato un ruolo decisivo la scarsità di fonti di quel periodo,
le quali, come avrò modo di sottolineare più avanti, si sono spesso dimostrate esigue,
contradditorie e spesso fuorvianti, fatto questo dovuto anche alla difficoltà e alle
I
8
incertezze del Tardonatico, periodo caratterizzato da grandi e frequenti guerre. Le
modalità con cui ho reperito il materiale sono state principalmente le biblioteche
dell‟Università, il prestito bilbiotecario e anche le fonti in lingua straniere, reperite
principalmente grazie ad internet e al formato ebook.
9
INTRODUZIONE
e motivazioni principali che mi hanno spinto a scrivere e a compiere
ricerche proprio sulla figura di Aureliano sono molteplici, ma tutte si
possono ricondurre sostanzialmente alla curiosità unita ad un più
generale interesse per l‟impero di Roma, analizzato nel suo momento di crisi e
difficoltà.
Curiosità. In tutti gli anni del mio percorso accademico, ho raramente sentito
menzionare Aureliano e forse ancora di meno sono stato consapevole della sua esistenza
o del ruolo da lui svolto, salvo quando veniva menzionato nel lungo elenco di
imperatori che si sono succeduti durante il cinquantennio militare del III secolo. Sarà
perché ho sempre preferito altri periodi storici; sarà perché l‟età dell‟anarchia militare2
l‟ho sempre vista e considerata nel suo complesso, come fatto e fenomeno globale; sarà
perché la letteratura e le fonti stesse relative a questo periodo non aiutano ad avere una
visione esaustiva e approfondita, rivelandosi spesso anche contradditorie le une rispetto
alle altre, qualunque sia la spiegazione, rimane il fatto che ho dovuto constatare che la
mia formazione presentava qualche lacuna in materia e come davvero il mio bagaglio
culturale di laureando in storia necessitasse di qualche approfondimento.
A queste considerazioni, inoltre bisogna aggiungere un interesse particolare per le
vicende politiche e istituzionali dell‟impero come istituzione, come forma di
2 Definito dalle varie fonti, anche come età di transizione, età degli imperatori soldati, o ancora come
crisi di III secolo, come ad esempio lo definisce Rostovtzeff (1995), Rostovtzeff, 1995, p. 43.
L
10
organizzazione politica della società civile, che ha nell‟impero romano uno degli esempi
più riusciti e da cui si può trarre maggiore ispirazione e insegnamento.
La mia ammirazione per l‟impero romano come istituzione politica – se non forse
l‟istituzione politica per eccellenza – e il mio interesse per la ricerca dell‟esistenza delle
migliori forme di governo possibili, si sono così trovate a coesistere tra loro e a poter
essere ben spiegate e trattate nella figura di Aureliano. Da una parte infatti, il dominio di
Roma è una delle migliori forme di organizzazione politica che siano mai state
sperimentate, in grado di avvicinarsi alla realizzazione e al mantenimento di uno “Stato
Universale”, di uno stato cioè che potesse adempiere alla missione di pacificare buona
parte del mondo circostante, creando al contempo un consenso e un‟adesione ai propri
modelli e valori, molto esteso e profondo e permettendo uno stile di vita molto più che
decoroso. Del resto l‟importanza di questa realtà è testimoniata dalle numerose riprese e
dai numerosi richiami effettuati nelle epoche successive, che hanno visto qualunque
istituzione o governo, e non solo occidentale, riprenderlo come antenato illustre da
vantare, mostrare o richiamare, per giustificare il proprio operato o le proprie pretese di
dominio. Dall‟altra parte, invece, abbiamo il cinquantennio dopo la dinastia dei Severi e
prima della Tetrarchia, che rappresenta un‟importante linea di demarcazione tra due
sistemi politici differenti, i quali evidenziano due diversi modi di concepire il potere e i
modi di governare un impero, con diverse forme di dominio personale.
Impero di Roma e III secolo quindi, nella figura di Aureliano; e proprio loro
perché è in questa duplice articolazione, di un prima e di un dopo Aureliano, che ho
ricercato l‟esistenza dei possibili aspetti positivi e negativi che caratterizzano o
dovrebbero caratterizzare un governo monolitico, centralizzato, gerarchico. Proprio per
le sue caratteristiche intrinseche, in primis la sua alta conflittualità, il III secolo si presta
11
molto bene a mostrare come funzioni o non funzioni un potere individuale e come esso
si realizzi e si attui in una società complessa come Roma antica. Ho quindi cercato di
capire, grazie all‟esempio di questo imperatore, come si debba organizzare una qualsiasi
struttura di governo che abbia la pretesa di reggere il destino e le sorti di diverse
popolazioni, per garantire loro la massima sicurezza, prosperità e tranquillità.
In definitiva, attraverso l‟analisi della vita e dell‟operato di Aureliano, mi sono
riproposto di capire se sia possibile la creazione di un impero perfetto, o comunque
un‟organizzazione statale stabile in grado di resistere alla pressioni esterne ed interne,
alle varie forze centrifughe e centripete che sempre si accompagnano alla nascita degli
stati; in aggiunta, ho provato a scandagliare gli strumenti che si possono o si devono
trovare per rilanciare e rivitalizzare una situazione politica, sociale ed economica in
declino. Questa analisi ha riguardato proprio l’imperium di Aureliano e la sua renovatio
imperii, vista come cardine e punto di congiunzione tra mondi e realtà diverse, perché
adatta a confronti e paragoni tra entità politiche variegate, sottoposte a differenti
pressioni Aureliano come erede di vecchie e nuove tradizioni, come continuatore e
innovatore, ma anche come creatore di diversi modi di organizzare e gestire vasti
territori; come riferimento per qualunque individuo o istituzione, che voglia cercare di
rivitalizzare un impero, di riprendere e rimediare ad una situazione generale di declino.
Chi più di questo imperatore illirico infatti, potrebbe aiutarci a capire con quali mezzi e
stratagemmi sia possibile tenere e preservare il potere? O a capire su quali basi sia
meglio tentare di farlo? E ancora: su quali fondamenta si debba reggere un regno?
Oppure da quali pericoli bisogna guardarsi nell‟esercizio di un tale controllo? Con
l‟analisi delle azioni e delle riforme da lui tentate, ho provato a trovare informazioni
utili per capire su quali regole, principi e capisaldi imprescindibili debba fondare le
12
proprie azioni e riforme chiunque speri o sogni di dare vita ad uno stato efficace, solido,
imperituro. Chiunque debba o voglia fondare un impero neccessita di pilastri sui quali
costruire la propria struttura governativa e amministrativa, per arrivare ad
un‟organizzazione politica che sappia sopravvivere al proprio fondatore e che sia in
grado di resistere alle diverse intemperie – le quali puntualmente si abbatteranno su di
essa – ma che sia anche capace di garantire e fornire benessere, stabilità e protezione
alla propria popolazione, dato che questa rimane una delle missioni di un Impero.
Mi è sembrato pertanto utile e interessante analizzare proprio l‟attività di
Aureliano perché è stato l‟unico tra tutti i vari e presunti imperatori di questo periodo
che abbia saputo ricondurre all‟unità l‟impero romano; si è rivelato il primo e
l‟anticipatore di quella riforma del potere imperiale che verrà sviluppata pienamente dai
suoi successori e che darà vita al Tardoantico vero e proprio di Diocleziano e
Costantino. Se si vuole, Aureliano può essere visto come l‟imperatore che ha rifondato
l‟impero, come colui che ha posto le basi per il recupero dalla crisi. Aureliano come
emblema e personificazione viva dell‟impero romano che cerca di risollevarsi, di
reinventarsi, non solo per potere continuare ad esistere, ma anche e soprattutto per poter
provare a rilanciare il proprio ruolo, la propria figura e la propria azione di potenza
egemone.
La mia analisi quindi si è svolta secondo un duplice livello, strutturandosi in due
articolazioni parallele: analisi della vita e delle opere di questo imperatore, a partire
dalle fonti a lui contemporanee, e inserite e considerate però in un contesto più ampio,
come scusa o pretesto per radiografare l‟impero nei suoi elementi fondanti e nelle sue
carenze, nel tentativo di individuare il senso di una renovatio imperii, dell‟istituzione
13
cioè do una migliore forma di governo con particolari caratteristiche che permettano ad
un impero di durare, di protrarsi solido, stabile e sicuro nel tempo.
14
EPIFANIA DI AURELIANO
III secolo. Imperator : dovere, diritto o passatempo?
n questa prima parte della trattazione, ho voluto soffermarmi maggiormente
su quegli aspetti generali del III secolo, che sono la premessa e la condicio
sine qua non di tutti quegli sviluppi successivi che porteranno alla
Tetrarchia di Diocleziano. Anche se il discorso non ha riguardato strictu sensu la vita di
Aureliano, vista l‟esiguità delle fonti, ho ritenuto importante parlare o anche solo
accennare al contesto generale prima dell‟affermarsi di Aureliano come imperatore
proprio perché spero si capisca e si inquadri meglio l‟operato dell‟imperatore.
“The period from 235 to 284 emerges as one of the most important periods in
Western history, simply because Rome survived and did not pass into memory as
another empire, conquered by her enemies or one that crumbled from internal
stresses3”.
La crisi del III secolo è un periodo storico che convenzionalmente viene fatto
iniziare con la morte di Severo Alessandro4, ultimo esponente della dinastia dei Severi,
e che trova la propria fine con l‟avvento della Tetrarchia nel 284. È importante perché
ha davvero rappresentato uno dei momenti più cruciali della vita dell‟impero romano,
dato che rappresenta il momento in cui è stato minacciato da una crisi senza eguali, che
ha causato la perdita dell‟unità territoriale, in cui l‟impero ha mostrato la propria
incapacità di difendersi da pericoli esterni e interni e ha rivelato tutta la propria fragilità.
3 Scarborough 1973, p. 335. 4 Watson 1999, p. 1-26; Rostovzev 2003, cap. X, XI; Bowman 2005, pp. 3-8.
I
15
Crisi interne, guerre civili e attacchi alle frontiere sono una costante che l‟impero
romano ha dovuto sempre affrontare nel corso della propria storia, ma per il III secolo,
questi fattori si sono verificati contemporaneamente e ad un livello e una profondità
significativa. Inoltre, qualunque termine si voglia usare per chiamare questa fase
dell‟impero romano, è innegabile che abbia aperto le porte ad una crisi che ha investito
così brutalmente il mondo romano, che, quando ne uscì, non fu più lo stesso. È una crisi
che si è manifestata nei diversi livelli e nelle diverse ramificazioni della società romana,
dall‟aspetto militare all‟instabilità politica e istituzionale, dall‟ambito economico a
quello religioso e dei valori della società.
In questo clima di crisi, di fermento e di stravolgimenti, sono emersi diverse
personalità – nel nostro caso Aureliano – che si sono distinte per i tentativi di portare
avanti un progetto di renovatio imperii, e che hanno provato a porre rimedio ad una tale
situazione di difficoltà, provando a capire quali ne fossero le radici più profonde, e quali
potessero essere le soluzioni.
Aureliano, Imperatore in potenza: gli esordi
Lucio Domitio Aureliano5 nasce il 9 settembre del 214 o del 215
6. Di origini
balcaniche7, si può dire ben poco che sia veramente affidabile e attendibile per i primi
5 Il suo nome completo si evince dagli studi di numismatica e grazie ai ritrovamenti epigrafici, come ad esempio CIL2 I.1, p. 255. 6 Per la data di nascita fare riferimento a Chron.Min. I 148; cfr. Randall 1991, pp. 104-105. 7 Dacia Ripensis secondo Eutrop. 9.13.1; tra la Dacia e la Macedonia in base a [Vict]:Epit 35.1, mentre
SHA:AUR 3.1-2 tra le diverse varianti riportate, accredita maggiormente Sirmio, città della Pannonia
Inferiore (in 24.3, Aureliano stesso è chiamato Homo Pannonius), anche Fisher 1929, p.130; Syme 1971,
pp. 209-210; Pearson 1976, pp. 35-6, anche considerando la tendenza di HA di inventare i fatti,
asservendoli alle esigenze narrative, rifiutano questa opzione, dato che Sirmio sembra il posto ideale,
visto che è una città chiave e strategica lungo la frontiera del Danubio. Infatti pur essendo una regione
pacifica, il governo di Roma è sempre stato consapevole dell‟importanza strategica, militare, difensiva di
questa regione; infatti, al tempo di Settimio Severo circa 10 delle 33 legioni dell‟impero stazionavano in
16
anni dell‟infanzia e dell‟adolescenza8; infatti le prime notizie certe che abbiamo
risalgono al 268 quando Gallieno mise sotto assedio Aureolo, il quale aveva defezionato
in favore di Postumo, e si era rifugiato a Mediolanum. Pare che sia stato proprio durante
questo assedio che alcuni comandanti illirici, tra cui Aureliano, organizzarono una
congiura9 ai danni di Gallieno e lo uccisero, proclamando al suo posto Marco Aurelio
Claudio, il magister militum di Gallieno stesso, imperatore che sarà poi noto come
Claudio II il Gotico10
. Questi, appena salito al seggio imperiale, dovette affrontare
subito un‟invasione di Alamanni, che verranno sconfitti presso il lago di Garda11
e
successivamente dovette occuparsi dell‟ancora irrisolto problema di Aureolo, situazione
anch‟essa felicemente risolta12
. Dopodiché Claudio si dedicò alla questione della
penisola iberica13
per poi occuparsi brillantemente dei Goti14
, in seguito alla quale si
conquistò il soprannome di Gotico Massimo15
; in tale campagna egli avrebbe trovato
Pannonia, Mesia, Dacia (Randall 1991, p. 110); sempre a questo proposito bisogna ricordare come Sirmio
sia uno dei posti indicati per l‟incoronazione di Aureliano stesso. 8 Per ulteriori approfondimenti, vedere Randall 1991, pp. 106-109. 9 La migliore versione dei partecipanti alla congiura la fornisce Zos. 1.40.2 che menziona la
partecipazione del prefetto del pretorio di Gallieno, Eracliano, fatto presente anche in Giovanni di
Antiochia FHG IV, p.599 e in Zonar. 12.25, con la ripresa di Dexippo; cfr. SHA:Claud 1.3, tenendo
presente però come HA consideri Claudio uno degli eroi di questo periodo e pertanto tenda a presentarlo
sempre in una luce positiva; Vict:Caes, 33.19-21 invece presenta Aureliano da “uccisore” di Gallieno a
“semplice cospiratore”, insieme a Claudio, fatto però che va preso con le dovute cautele dal momento che
sembra più che altro un tentativo di mitigare la partecipazione del futuro imperatore. È inoltre in
SHA:Prob, 22.3. per quanto riguarda gli autori successivi, Syme, 1991, p. 210, si parla di un terzo
congiurato, un certo Cecropio, che è confermato anche da altri studiosi come ad esempio Homo 1967, p.
37; Barnes 1978, p.68. 10 Wolfram 1990, p. 56; Bowman 2005, pp. 156-169, Mennen 2011, pp. 1-21. 11 [Vict]:Epit. 34.2. 12 Per quanto riguarda l‟uccisione di Aureolo, tra le diverse fonti e versioni, è poco probabile quella che
coinvolge anche Aureliano, cercando così di liberare Claudio da ogni sospetto e coinvolgendo così “mano
alla spada” , uno dei soprannomi di Aureliano stesso – Zos. 1.41; Zonar 12.26; SHA:Claud.. 5.1-3;
Paschoud 1996, pp. 109-110. 13 Vict:Caes, 33.8-12; Eutrop 9.9.1-3; [Vict]:Epit, 34.3. 14 Per quanto riguarda la massiccia invasione di Goti che avvenne nel 269, cfr. Zos. 1.42-43.2;
SHA:Claud. 6.1; 9.3-4; 9.7-9; Amm,Marc. 31.5.16.
Come fonte moderna invece, cfr. Millar 1981, pp. 294-320, in particolar modo pp. 317-319. 15 CIL XII 5511, XVII 149; 159.
17
tuttavia la morte a Sirmio16
, quando fu colpito da quella stessa peste17
che stava
affliggendo anche l‟esercito romano.
E Aureliano? In tutto questo, quale notizia esiste su Aureliano? Tra le esigue fonti
arrivate fino a noi, Aureliano compare come comandante della cavalleria dalmata
dell‟esercito del nuovo imperatore Claudio II; egli pare essere partito dai ranghi più
bassi dell‟esercito e aver poi scalato i vari gradini della gerarchia militare fino al grado
di magister militum18
, lasciato vacante da Claudio stesso19
, quando venne proclamato
imperatore. Si sa come Claudio II tenesse Aureliano in alta considerazione, anche per la
sua popolarità tra i soldati, con il sostegno dei quali Claudio stesso aveva ottenuto il
seggio imperiale, senza che si verificassero ulteriori proteste o rivolte20
. Visto il ruolo
crescente di Aureliano, considerata la fiducia di cui godeva presso il nuovo imperatore e
considerata la sua popolarità e la sua fama tra i ranghi dei soldati, diventare imperatore,
una volta morto Claudio, fu un passo breve, dimostrato anche dall‟assenza di ulteriori
ribellioni o di una guerra civile in seguito alla proclamazione21
, avvenuta nel 270.
16 Eutrop 9.11.2; VC 12.2; Zos. 1.46.2, Zonar 12.26; SHA.Claud, 12.2, mentre per un‟analisi e uno studio
più recenti, cfr. Watson 1999, p. 43-45; Southern 2001, p. 110; Grant 1984, p. 240. 17 Di sicuro abbiamo diverse fonti che parlano del diffondersi di pestilenze ed epidemie all‟interno
dell‟esercito stesso; Zos 1.26; 1.36; 1.37; Oros 7.21.4 (che parla di “una pestilenza universale…”);
sempre in riferimento a fonti antiche, ma tramite la ripresa di studiosi moderni, cfr. Dodgeon (1991) pp.
63-64, quando parlando della morte di Claudio II il Gotico e dei suoi successori, attraverso un‟analisi di
Zonar, XII, 26, riporta le stesse notizie, anche se sono informazioni maggiormente focalizzate e inerenti
alla durata del regno di Quintillo; inoltre Eusebio scrive che verso il 250 ci fu una pestilenza proveniente
dall‟Etiopia che dovette durare quindici anni e raggiunse molte parti dell‟impero, depauperandole di
molte vite umane H. E., VII. 22. 18 SHA:Aur, 16.4. Vedi anche Watson 1999, pp. 39-56; Bowman 2005, pp. 41-47. 19 SHA:Aur, 18.1 20 Delle fonti antiche abbiamo sicuramente [Vict]:Epit, 34.2-3, SHA:Aur. 18.2 e anche Zos, 1.49.1; cfr.
Watson 1999, p. 42-43. 21 Zonar 12.26 dice che Claudio, mentre giaceva morente a Sirmio, riunì i suoi generali e nominò
Aureliano suo successore. Interessante è SHA:Aur, 37.5-6 dove si dice che Quintillo, il vero ed
immediato successore di Claudio il cui regno rappresentò una piccola fugace scintilla destinata a svanire
con la proclamazione di Aureliano: infatti Quintillo stesso venne abbandonato dalle sue truppe non
appena si verificò la proclamazione di Aureliano e Quintillo stesso si tagliò i polsi, tant‟è che VA non
sbaglia quando sostiene che Aureliano ottenne il potere consensu omnium militum, ad indicare
l‟insignificanza del periodo di governo di Quintillo. In merito Cfr. Zos 1.47). Cfr. anche Grant 1985, pp.
183-188, dove compare come alla morte di Claudio, Aureliano pose velocemente fine all‟assedio di
Nicopoli e contestò il diritto di regnare del fratello di Claudio – Quintillo – autoproclamandosi a sua volta
imperatore.
18
Alla luce proprio di questi fatti, e basandosi proprio su questi primi episodi della
vita di Aureliano, mi pare ora interessante capire quale fosse la situazione dell‟impero,
quali problematiche ci fossero e da dove esse siano state generate.
In media stat…Virtus?
Peculiare mi sembra il fatto che una delle caratteristiche principali di quest‟epoca
sia l‟alta instabilità politica: nell‟arco di questi cinquant‟anni si sono succeduti più di
una ventina di imperatori – una sessantina se si considera anche i diversi pretendenti alla
porpora imperiale22
– i quali anche contemporaneamente hanno preteso di reggere le
sorti dell‟Impero; le motivazioni alla base erano molteplici dato che essi erano spinti da
aspirazioni personali o erano manovrati e perfino obbligati dai propri eserciti23
. Non è
un caso se pochi di questi imperatori sono morti per cause naturali e nessuno di loro sia
stato in grado di sopravvivere per più di pochi anni, di insediarsi stabilmente sul seggio
imperiale e dare vita ad un progetto vero di governo e di riforme duraturo; nessuno,
dicevamo, fino ad Aureliano.
Questa instabilità politica ha radici profonde. Infatti, l‟alternarsi e la precarietà del
potere centrale allungano le proprie radici molto più indietro, addirittura a partire dal
principato di Augusto24
. Per quanto non si possa discutere l‟originalità e la grande
maestria con cui Ottaviano ha saputo costruire il Principato, si mantenne un errore di
fondo, un vizio e una debolezza che a lungo andare ne pregiudicarono la stabilità e
l‟efficacia: sto parlando della natura ibrida del potere del princeps, che non poteva
dichiararsi e presentarsi come monarchico, assoluto e totale – anche se nella sostanza lo
22 Per una lista approfondita e accurata degli imperatori di questo periodo, vedi Mennen 2011, p257-262. 23 Oros, 7.34.9-10, sostiene che “Massimo era un usurpatore controvoglia”, quando parla del 383, quando
cioè il generale romano all'epoca assegnato alla Britannia, Magno Massimo si rivoltò aspirando alla
porpora. Cfr. anche Watson, 1999, p. 13. 24 A questo proposito, ho trovato di grande aiuto e di grande ispirazione Mennen 2011, pp. 22-39.
19
era o avrebbe voluto esserlo – ma che doveva nascondersi e mascherarsi dietro l‟idea di
rinnovata Res publica, e che non permetteva di esercitare la propria autorità fino in
fondo25
. Una concezione che minava le fondamenta e le pretese del potere centrale di
reggere la totalità del mondo, dato che lasciava aperti diversi spiragli per le altre
componenti elitarie che rivendicavano una maggiore partecipazione alle sfere
decisionali. Una debolezza questa che derivò da una poco chiara demarcazione delle
prerogative, delle competenze e dei limiti della gestione del potere centrale, il quale era
costantemente caratterizzato da una natura duplice e conflittuale: da una parte
l‟imperatore rivendicava un potere completo e globale, sempre più autonomo e libero da
vincoli esterni, e dall‟altra le classi dirigenti non si rendevano conto di aver perso quel
ruolo e quelle prerogative che appartenevano loro nella Res Publica, ma da cui ora
erano state esautorate. Di questo dualismo fra i poteri, e dello squilibrio che si era
creato, ne erano anche ben consapevoli i contemporanei; infatti sia Aurelio Vittore, che
Eutropio e Zosimo riportano questo antagonismo tra imperatore e senato e sono ben
consapevoli della diminuita capacità decisionale del senato, fatto questo testimoniato
dall‟episodio della successione di Probo, alla morte di Aureliano26
. In questa occasione,
il senato sembra essere completamente privo di doti di iniziativa, di leadership e di
intraprendenza; alla morte di Aureliano infatti i senatori non colsero la possibilità che
veniva loro offerta dagli eserciti, di scegliere il nuovo imperatore27
. E questa sarebbe
25 Eisenstadt 1967, pp. 3-4; Mennen 2011, p. 46. 26 cfr. Zos, 1.21.2; Vict:Caes, 37. Edwards (2004) riporta un passo in particolare in cui emerge anche
un‟altra cosa importante, a proposito di Decio: “Il Senato deve condividere la vergogna per questi
sviluppi dal momento che la sua dedizione ai piaceri consegnò l’iniziativa nelle mani degli eserciti”
(Edwards 2004, pp. 179-182). 27 Benché sussistano forti dubbi sull‟autenticità di questo episodio, è significativo comunque che sia
riportato sia da SHA:Aur; 40; Tac:Ann 4-8; Vict:Caes 35, dal momento che lascia comunque presupporre
come ci fosse a quel tempo l‟idea che il senato non fosse più in grado di scegliere, di attuare una politica
coerente, unitaria, decisa.
20
stata una possibilità che i loro antenati non si sarebbero lasciati sfuggire, proprio in virtù
di quel potere decisionale che avevano fin dalla cacciata della monarchia.
Più in generale si pensi all‟elaborata costruzione della figura del Principe, anche
solo a partire dalla titolatura di Ottaviano e dal suo primo epiteto: Augusto. Augustae –
il termine deriva da auctoritas, e, ancora più nel profondo, da augere, cioè aumentare o
accrescere – erano tutte quelle persone e quegli aspetti degni e meritevoli d‟onore,
santissimi, che per il loro carattere sacro si elevavano al di sopra dell‟uomo e della
natura28
e indicavano chi aveva ricevuto, grazie agli auspici degli dei, un maggiore
“potenziale religioso”. L‟uomo era reso più che umano, anche se non ancora dio29
, e
veniva innalzato al di sopra di ogni altro uomo sulla terra, anche se questo non sanciva
nessuna maggiore valenza a livello istituzionale. Il princeps era così superiore a tutti per
auctoritas, mentre per potestas non aveva ricevuto assolutamente niente di più degli
altri magistrati suoi colleghi30
. È vero che con esso il fondatore del principato si
circondava di un ragguardevole prestigio religioso31
, di uno strumento più efficace per
rinnovare vita, costumi e diritto nella società e accrescere il proprio potere personale;
tuttavia è altrettanto vero che con esso non si creava nessuna nuova carica o figura
istituzionale che potesse essere estesa e trasmessa ai propri successori o che potesse
essere riconosciuta ipso facto come legittima e indiscutibile.
Augusto si attribuì titoli o funzioni, riprendendole dalla prerogative delle varie
cariche e magistrature repubblicane, e si trovò a possedere e gestire un insieme di poteri
senza che essi ricevessero mai un completo inquadramento o una definizione stabile e
28 Diod, LIII.16.8; Suet:Aug,7; Ovid:Fast, I.108, 589. 29 Diod, Ibid. 30 Res Gestae, c. 34. 31 Vedremo con Aureliano come l‟aspetto religioso sia una componente fondamentale di qualsiasi potere
con pretese universalistiche e assolute; cfr. infra, pp. 95, 102, 113, 139.
21
ufficiale32
. Così l‟istituzione imperiale ideata da Augusto ha in parte fallito proprio nel
dare una serie di norme, leggi e istituzioni regolari, chiare e precise all‟imperatore, in
particolar modo sulle sue competenze e sfere di azione, così come sulla successione33
;
questo quindi è un aspetto determinante e responsabile – anche se non unico – delle
numerose guerre civili che si sono ripetutamente presentate nel corso della vita
dell‟impero romano nelle alte sfere della società romana34
. Nel timore di non presentare
il proprio potere come monarchico – e bisogna ricordare che anche solo il termine
“monarchia” fosse uno dei tabu della comunità romana, visto e considerato che il
sospetto che volesse instaurare una monarchia era stata una della cause principali della
morte di Giulio Cesare35
– Augusto non ha mai parlato esplicitamente ed espressamente
di potere unico, di dittatura, di regno, ma ha fatto brillantemente ricorso alle prerogative
32 A questo riguardo non concordo con Lintott, 1993, p. 192, quando sostiene che gli alti strati della
società romana non hanno mai voluto cambiare o modificare la loro idea di sovranità e di dominio
racchiusa dal concetto di imperium; essi non hanno mai avvertito la necessità di formulare o di creare una
connessione tra governati e governanti, tra chi deteneva le redini del potere e il resto della popolazione,
tra centro e periferia. Secondo quindi questi riferimenti e questo modo di intendere l‟impero, Lintott
(1993), cui si aggiunge Nörr 2013, pp. 44-45, giudica l‟Impero Romano come un‟organizzazione che
doveva garantire e fornire sicurezza ai propri membri; di conseguenza, la dominazione romana portò a
compimento un eccellente lavoro nei primi due secoli d.C., dato che fornì addirittura alle province le
capacità di durare e conservarsi anche nei periodi di crisi o degli imperatori più incapaci e non dovette mai svolgere o funzionare come una res publica, assumendosi funzioni politico-culturali di una comunità
civica, di una polis o una di civitas. Benché io tenda a concordare sul fatto che l‟impero debba avere un
tale obiettivo e debba agire con queste finalità, tuttavia, l‟autore non considera che la coesione
dell‟impero dipendeva e si basava anche su di un insieme di relazioni sociali, su di una rete
amministrativa caratterizzata da relazioni personali da e verso il centro, le quali, nel momento in cui sono
venute a mancare, hanno causato moti secessionistici e un indebolimento di tutto l‟impianto imperiale,
come sostiene anche Brown (Brown 1982, p. 38). 33 Edwards, Swain, 2004, p. 21. 34 Mennen 2011, pp. 40-45. 35 L‟aspirazione ad Regnum, dal tempo dell‟introduzione della Res Publica, era una delle accuse più gravi
per qualsiasi politico romano e comportava le pene più gravi; in particolar modo è famoso l‟episodio di
Giulio durante la celebrazione dei Lupercali. In quest‟occasione, Marco Antonio offrì proprio a Cesare la corona, il diadema simbolo della monarchia e Giulio Cesare rifiutò per ben tre volte. Rimane ancora
adesso il dubbio se tale gesto sia stato solo simbolico – visto che Cesare rifiutò tre volte, indicava che
respingeva l‟idea di un governo monarchico – oppure reale – nel senso che il dittatore abbia veramente
provato a farsi proclamare sovrano. L‟importane però è notare come il popolo, che pure amava il
condottiero, alla vista del diadema abbia rumoreggiato e protestato, proprio per questo odio atavico per la
monarchia, in ricordo del regno di Tarquinio il Superbo. Cfr. Cic:Phil, II 34.78-78; Plut:Caes, 60-61.1-6;
Suet:Caes, 76; DioCass, 44.6.2-45.30.2. Per ulteriori approfondimenti, vedere anche Zecchini 2001, pp.
11 ss. Tra le altre cose è curioso notare come il diadema sarà indossato per primo, come fatto volto a
sancire l‟acquisizione di un potere assoluto e senza ormai nessuna remora o preoccupazione, proprio da
Aureliano ([Vict]:Epit, 35.5).
22
delle diverse magistrature e della società romana, per creare un ruolo istituzionale
nuovo, sotto l‟insegna però della tradizione e della beneamata Res Publica.
Il futuro imperatore acquisisce diversi titoli, anche in base all‟aspetto che si vorrà
porre in evidenza, come imperator, rector patriae¸ conditor civitatis, pater patriae,
tutor o anche moderator rei publicae36
e così via, ma non rappresenta una magistratura
collegiale o istituzionale, ma è unica e indipendente37
. Come individuato da Gigli (Gigli
1947)38
, il problema risiede nel fatto che “la soluzione di Augusto è più umana che
politica o costituzionale” e esistono numerose interpretazioni sia degli imperatori che
degli studiosi successivi proprio perché ciascuno ha posto l‟accento su aspetti e
caratteristiche diverse, anche in base alle proprie esigenze, dimostrando come essa non
si possa inquadrare all‟interno di schemi costituzionali e politici fissi, riconosciuti e
consolidati39
. Di conseguenza costituisce anche un limite; pur essendo raffinata e
sapiente, la soluzione augustea rimane comunque adattabile al singolo individuo, che di
volta in volta la adatterà ai propri fini. Nonostante si sia rivelata duratura e longeva, essa
si fondava tuttavia su un fragile e precario equilibrio40
che si logorò sul lungo periodo.
La debolezza del potere imperiale romano risiedette proprio nel fatto che dipendeva
maggiormente dalla capacità dei singoli imperatori, di comporre, combinare e porre in
equilibrio i contrastanti elementi interni della carica, mentre un impero che volesse
36 Cic:Att, VIII. 11. 37 Cic:Rep, I.63. 38 Gigli 1947, p. 187; Jones 2008, pp. 65-96. 39 Cfr. Gigli 1947, p. 187: tra le interpretazioni più accreditate e di maggior fortuna, troviamo l‟idea di
diarchia di Mommsen, con il duo principe-senato; poi monarchia assoluta, di Dessau, che punta
l‟attenzione sulla concentrazione di tutti i poteri nelle mani di Augusto; addirittura compare anche come
restaurazione delle Res Publica secondo l‟opinione di Hammond per cui il princeps è veramente lo
strumento ubbidiente o che soggiace al Senato; cfr.; Mennen 20111, pp. 50-54. 40 Pensiero condiviso anche da Bianca Misitano quando riconosce come Augusto, nonostante avesse dato
origine ad un periodo di pace e tranquillità, non sia riuscito a dare una sistemazione definitiva e
permanente alla società romana, per cui a breve si verificherà un intero anno di guerre civili, il longus
annus. Inoltre tale situazione viene anche indicata come una delle principali responsabili del declino
dell‟impero romano, cfr. Eisenstadt 1967, pp. 3-4; Watson 1999, pp. 164-167.
23
durare doveva riuscire a trovare un‟organizzazione politica e amministrativa che gli
permettesse di durare e continuare ad esistere al di là dei singoli governanti.
Se vogliamo, si tratta di un tacito compromesso, non scritto ma evidente, tra
l‟imperatore e le classi dirigenti, e pertanto si presentava come un compromesso zoppo,
motivo di conflitto perpetuo e fondato su di una delega dell‟autorità41
, che presenta una
propria contraddizione: il principe era al tempo stesso cittadino e re, unico detentore del
vero potere, ma obbligato ad essere, o mostrare di essere, un servitore dello stato42
.
Quindi nelle fonti antiche, il confine labile tra un buon imperatore e un cattivo
imperatore è determinato anche dalla distanza tra cittadino e re, e risiede proprio in
questo; Tiberio, per esempio, prigioniero anche lui di questa ambigua posizione, da una
parte non sopportava l‟adulazione dei suoi sottoposti, dall‟altra non contemplava la
libertà di parola. Il regime imperiale non è mai arrivato ad essere una tranquilla e
assodata certezza agli occhi di tutti proprio per questa caratteristica; ecco almeno in
parte spiegato il perché del susseguirsi di rivolte, di elezioni parallele di altri imperatori
e di tradimenti43
.
A queste considerazioni bisogna aggiungere che il senato rimaneva ancora una
“casta” importante, privilegiata e autorevole, che aveva una dottrina e un‟influenza
propri e ancora significativi, che voleva che si traducessero anche a livello politico. Per
il Senato, l‟imperatore non doveva e non poteva prescindere dall‟opinione e dal volere
dei patres conscripti. Secondo tale l‟ottica, il buon imperatore non era chi lo consultava
nelle grandi questioni politiche, bensì un principe che da solo faceva e sosteneva la
politica senatoriale:
41 Veyne, 2007, p. 21; cfr. Syme 1989, p. 448. 42 Brunt 1988, p.444. 43 Per ulteriori approfondimenti, vedi Veyne 2009, pp. 10-67.
24
“Un buon principe approva e disapprova le stesse cose del Senato44
”.
Gli imperatori che si sono assicurati la migliore reputazione, dunque, sono proprio
coloro che sono riusciti a conservare meglio l‟immagine di un governo civile, di un
primo cittadino che cooperava e ascoltava il Senato45
.
Tenuto conto di questi fattori, non dovrebbe sorprendere se tra i primi e più
importante motivi di scontro tra senato e imperatore, troviamo proprio il problema della
successione imperiale; sarà proprio la trasmissibilità della carica e l‟attribuzione del
potere secondo linee dinastiche a rappresentare uno dei primi problemi che
affliggeranno gli imperatori; a partire da Tiberio, i diversi imperatori dovranno
fronteggiare questa problematica, con il senato che pretende di esercitare una qualche
forma di controllo: in qualche modo, entrambi vedevano in questo atto una
giustificazione e una manifestazione del proprio diritto a governare. Proprio per questo
impianto non ufficializzato, la successione imperiale era un perpetuo concatenarsi e
mescolarsi di mandati, autorizzazioni e cariche speciali create ad hoc.
Quindi nonostante la trasmissione del potere per via familiare fosse usuale e
accettata, un imperatore necessitava dell‟approvazione del senato, cui simbolicamente
rimetteva il proprio potere. In questa prospettiva il trono non apparteneva a nessuno. E
questo sarà un problema ancora più pressante per Vespasiano e gli altri imperatori
vincitori delle guerre civili; infatti, venuto meno il principio dinastico, sorge il problema
di trovare un nuovo principio di legittimazione e sarà sempre avvertita la necessità di
44 Plinius:Pan, LXII, 5: “eadem Caesar quae Senatus probat improbatque”. 45 Edwards 2004, P. 179.
25
esplicitare sempre di più le caratteristiche del potere imperiale , visto che non potevano
più essere giustificate solo in nome di un prestigio morale, astratto e informale46
.
Da questo punto di vista si può anche spiegare la ripresa e l‟esaltazione della
tradizione da parte di Augusto e di tutti gli altri imperatori. Più volte si presenta il
ricorso agli usi e ai costumi del proprio popolo: come sostiene Cannadine47
, l‟accesso al
seggio imperiale e ai nuovi uffici poteva essere molto precario, labile e criticabile ad un
occhio attento; dunque la pretesa di avere restaurato e di aver agito secondo e in
conformità ai mores¸ sulla scia del glorioso passato, è sempre stata una strategia
utilizzata per introdurre o cementificare ogni riforma, fornendo una rassicurante
impressione di stabilità e continuità: usanza come ancora, come punto fisso in un mare
di difficoltà e incertezze48
. Del resto mi sembra superfluo aggiungere che qualsiasi
imperatore, legittimo o usurpatore che sia, ha sempre avvertito l‟esigenza di presentare
se stesso e il proprio operato come la continuazione del precedente; si è sempre cercata
una ripresa della tradizione, ponendosi sempre sotto la sua egida, anche quando le sue
azioni e le sue riforme si ponevano come diametralmente opposte e contrarie. Ben prima
di Augusto, e forse oserei dire nelle diverse culture, ogni riforma è stata spiegata e
introdotta come richiamo e rivalutazione di consuetudini e tradizioni passate. E così
come avevano fatto e faranno gli altri imperatori, non mancherà di inserirsi in questo
46 Lex de Imperio Vespasiani si pone secondo questa prospettiva, quando, tra le altre cose, riforma tre
articoli complementari (3, 4, 8) che vogliono trovare il modo di giustificare e rafforzare i poteri del
princeps. Per ulteriori approfondimenti, vedere Garnsey 1987, pp. 172-176. 47 Cannadine 1987, p. 130; Jones 2008, pp. 65-96. 48 A questo proposito è da tenere presente il ruolo analogo che svolgono e svolgeranno i rituali di corte,
aspetto questo che non vale solo per l‟impero romano, ma per qualsiasi forma di governo o potere: il
passato, da sempre, con la ripetitività e la ritualità è fondamentale strumento di potere. Ad esempio si
pensi a Basilio I (imperatore dal 867 al 886, anno della sua morte), il fondatore della nuova dinastia dei
Macedoni, il quale iniziò il suo periodo di regno fondando, rivitalizzando e riprendendo i rituali imperiali
perché “l’ambizione generava la/le cerimonie, e le cerimonie rendevano l’ambizione rispettabile…”; e
sfrutterà ancora di più le potenzialità dei rituali di corte, suo nipote, Costantino VII Porfirogenito,
imperatore dal 912 al 959 e autore del De ceremoniis aulae byzantinae, opera che descrive le procedure
cerimoniali, anche nei più minuti dettagli, dalla prospettiva degli ufficiali di corte ed altri argomenti nella
misura in cui facevano parte della vita quotidiana di Costantinopoli. (Cannadine 1987, p. 135; 302).
26
“modus operandi” anche Aureliano49
, quando avvierà il suo progetto di renovatio
imperii. Infatti si è sempre manifestato il desiderio, o meglio la necessità, di creare basi
solide al proprio potere; qualsiasi imperatore lungimirante, come Aureliano, ha avvertito
l‟esigenza di trovare una via per rendere la carica di imperatore un‟istituzione stabile,
solida, fondata e inattaccabile, che garantisse un governo pacifico e che regolamentasse,
secondo linee fisse e inamovibili, i criteri di successione.
49 Così scrive Garnsey (2010) a proposito di Aureliano e della ripersa della tradizione: “The reign of
Aurelian (A.D. 270-5) furthered the recovery of the Roman empire from the 'crisis of the third century'.
This recovery was represented as restoring the traditional Roman state, even though it also required a
whole series of innovations. The latter, therefore, had to comply with what Aurelian's contemporaries
understood to be 'traditional…”; Garnsey 2010, p. 159.
27
“L’esercito marcia solo sul suo stomaco…50”
Oltre al problema della successione imperiale e oltre alla difficoltà di
istituzionalizzare una volta per tutte il potere dell‟imperatore, un altro dei grandi
problemi che emergono da queste prime vicende personali di Aureliano, è stato quello
dell‟esercito51
. Quello che interessa in questa trattazione non è tanto il resoconto dei
suoi progressi o della sua evoluzione nel corso del tempo, ma il provare a capire come si
sia arrivati all‟anarchia militare52
del periodo di Aureliano.
Infatti dal resoconto fatto degli esordi della vita di Aureliano, appare anche fin
troppo chiaramente come gli eserciti di Roma giocassero un ruolo fondamentale nei
processi di elezione e scelta di un imperatore. Già a partire da Mario53
, e forse proprio
iniziando dalla riforma mariana, l‟esercito ha costituito una voce sempre più
fondamentale nelle dinamiche politiche di Roma. Tutti sanno che tra i maggiori fautori
delle guerre civili si trovano le legioni, in virtù del legame personale che instaurano con
i propri generali: l‟essere a capo di un esercito e il godere del suo sostegno era un
requisito – e diventerà sempre di più “IL” requisito – necessario e basilare per poter
accedere alla porpora imperiale. Con il passare del tempo, il controllo delle forze armate
si è rivelato il peso decisivo per far pendere la bilancia a favore di chiunque avesse
aspirazioni a governare54
. Non sembra in errore Garnsey (1987)55
, e con lui la maggior
50 Questa era una delle frasi più celebri e famose di Napoleone. 51 Lo cascio 2007, pp. 497-508. 52 Erdkamp 2011, p. 176. 53 Sall:Jug, LXXXVI; cfr. anche Gabba 1976, pp. 1.5; Maxfield 1981, pp. 30-32; Adkins 2004, pp. 52-56. 54 Veyne (2007) addirittura si arriva a sostenere come nel IV secolo si inizia a parlare di comizi della
porpora, costituiti in seno al nuovo gruppo dirigente che altro non era se non lo stato maggiore
dell‟esercito, concezione che denota come il rango imperiale fosse oramai considerato il grado più elevato
della gerarchia degli ufficiali. Nel V secolo si va addirittura oltre e il potere sarà nella mani del
generalissimo, che spesso sceglierà in prima persona l‟imperatore dietro il quale regnare. Veyne 2007, p.
15. 55 Garnsey 1987, p. 88.
28
parte degli storici56
, quando sostiene che l‟esercito rappresenta l‟ossatura, la struttura
portante dell‟ordine imperiale senza il quale l‟Impero stesso non sarebbe durato così a
lungo; mi sembra però eccessivo il giudizio di Lintott (1993)57
, quando si spinge al
punto di dichiarare che fosse l‟unico sostegno dell‟impero, che insieme alla riscossione
delle tasse, fosse tale da creare il senso di unità. Se davvero, e lo vedremo nei capitoli
successivi, l‟unità e la coesione politica e territoriale romana avesse avuto come uniche
basi la fiscalità e l‟apparato militare, è impensabile ritenere che sarebbe durato così a
lungo, o che sarebbe riuscito a superare tutti i problemi che si sono presentati.
Come già accennato, è importante per me analizzare il perché le legioni romane
siano passate dall‟essere uno strumento di difesa dei cittadini, ad uno destinato ad
attacco della popolazione e, in secondo luogo, provare a capire quali interventi o
considerazioni Aureliano abbia sviluppato e portato avanti per porre rimedio a questa
situazione. In qualunque società, l‟aspetto militare nasce o dovrebbe nascere con lo
scopo di fornire sicurezza alla società stessa e di permettere di svolgere l‟esercizio di
tutte le attività economiche, amministrative o sociali58
. Come può uno strumento nato
per la protezione di un sistema politico, diventare un elemento di destabilizzazione dello
stesso? È veramente successo questo con l‟impero romano oppure si tratta di uno dei
tanti luoghi comuni? Quali meccanismi si instaurano affinché le legioni si rivoltino
contro un potere centrale e ne minino la stabilità, la continuità e l‟esistenza?
Sicuramente la nascita della professione del soldato e la tipologia degli effettivi da
arruolare59
costituisce un fattore determinante nel processo che porterà il soldato a non
tenere più in conto il bene della Res Publica, ma solo quello personale. Tuttavia e
56 Jones 2008, pp. 143-166. 57 Lintott 1993, p. 190-191. 58 Munkler 2007, pp. 79-82. 59 DioCass, 52, 27, 1-5 fa giustificare Mecenate a proposito dell‟istituzione del soldato professionale:
visto che prevale il principio dell‟utile su quello dell‟onestà, allora come soldati conviene utilizzare i più
forti e i più poveri che sono i maggiori e potenziali delinquenti.
29
nonostante tutte le problematicità ad esso connesso, bisogna precisare che l‟apparato
militare rimane un caposaldo di ogni stato, di qualsiasi entità statale che abbia
aspirazioni di grandezza. Uno stato in espansione, con pretese egemoniche, non si può
affidare ad un esercito di leva, che a lungo andare non sopporta di dover sostenere
guerre in paesi lontani e delle quali non comprende né la giustificazione né il bisogno60
.
Il problema sussiste quando il soldato si svincola dall‟essere anche un cittadino; quando
la sua esistenza e la sua coscienza si discostano dalla società61
; quando i suoi bisogni e
desideri non coincidono più con quelli della propria società; quando non vengono tenuti
a freno dal potere centrale. Così come in tutte le società, l‟esercito è un requisito
fondante di un qualsiasi impero, ma può essere, allo stesso tempo, causa di
destabilizzazione e di conflitto: anche a Roma esso ha mostrato questa sua duplice
natura, passando dall‟essere pilastro del potere politico, micidiale macchina da guerra e
fonte di coesione62
interna, a strumento sovversivo e rivoluzionario, altamente
destabilizzante ed eversivo.
Come elemento forse più banale e scontato, possiamo trovare il potere decisionale
e contrattuale che l‟esercito romano viene sempre più ad acquisire all‟interno della
società imperiale. Niente è più emblematico delle parole pronunciate in punto di morte
60 A questo proposito, e tra tutte le fonti successive, per quanto concerne il rapporto tra l‟esercito e le
istituzioni, ho trovato particolarmente fondante e vero quanto dice Machiavelli a proposito dei soldati
mercenari, “… arme mercennarie et ausiliarie sono inutile e pericolose” e soprattutto quelle ausiliarie
perché “l'armi ausiliarie, […]molto più pericolose che le mercennarie. Continuando in questo discorso,
Machiavelli fornisce anche delle motivazioni, con un esplicito riferimento all‟impero romano e alle cause
del suo declino: “…l’esempio di Davide che offrì Saul di andare a combattere con Golia, provocatore
filisteo, Saul, per dargli animo, l'armò dell'arme sua, le quali, come David ebbe indosso, recusò, dicendo con quelle non si potere bene valere di sé stesso E, se si considerassi la prima ruina dello Imperio
romano, si troverrà essere suto solo cominciare a soldare e' Goti; perché da quello principio
cominciorono a enervare le forze dello Imperio romano”; cfr. Inglese 2013, cap. XII –XIII. 61 Interrogando le fonti, il problema si palesa quando miles inizia ad essere succube dei suoi tirannici
desideri, pronto a rivolgere le proprie armi contro il bene comune; cfr. Tac:Hist, 2, 29, 5; 37, 2; 44, 5; 45,
6; 93, 2; 3,31,2 dove diventa un essere che smette di comportarsi da essere umano e si lascia andare ad un
comportamento subumano le cui derive si moltiplicano per effetto della psicologia di massa, diventa un
gregge gregarii milites, vulgus. 62 Gigli 1947, p 224; Edwards 2004, p. 184. Si consideri anche l‟importanza dell‟esercito nel processo di
Romanizzazione.
30
da Settimio Severo ai suoi figli63
, che testimoniano come il potere risieda nelle mani di
chi comanda le truppe, come dimostrato anche dalle vicende dello stesso Aureliano.
Con il passare del tempo, le forze armate diventano l‟ago della bilancia che determina
dove risiede l‟autorità, e il mutare delle condizioni politiche lungo i confini, con
l‟accrescersi degli scontri, aiuterà notevolmente l‟esercito a far valere e sentire
ulteriormente la propria voce: è egli stesso consapevole della propria importanza64
e del
ruolo che riveste. Il mondo romano si trova ad essere pervaso da una condizione di
guerra permanente che, con il passare degli anni, incrementa e amplia
considerevolmente il potere contrattuale65
delle legioni, da ben prima che esse si
rivelino essere l‟unico baluardo per la salvezza dell‟impero. Tuttavia questa
consapevolezza non si accompagna ad un uguale “affetto” per le istituzioni, non trova
riscontro in un parallelo legame verso il bene comune, e verso l‟impero, ma si traduce
in una frenetica ricerca dell‟interesse privato e personale66
e una corrispettiva incapacità
da parte del potere centrale di controllarlo e di tenerlo a freno67
. Questo perché,
63 “…lavorate insieme, arricchite i soldati e non curatevi di nient’altro”, DioCass, LXXVII.15.2; altre testimonianze che abbiamo risalgono e che sono più vicine ad Aureliano, sono relative ai donativi di
Claudio il Gotico alle truppe, appena dopo la congiura e la sua successione al seggio imperiale, cfr.
Zonar. 12.26; Eutrop. 9.11.1; Vict:aes, 33.31-4. 64
Così Aurelio Vittore commenta la morte di Probo nel 282: “da questo momento in poi, il potere
dell’esercito aumentò e il diritto di nominare l’imperatore è stato rubato al Senato fino ai giorni nostri”,
Vict:Caes, 37. In tempi più recenti, invece, si può citare il caso di Edwards 2004, p. 156, quando
commenta il ruolo dell‟esercito, basandosi proprio sulle opere Vittore, riferisce come l‟esercito romano
del III secolo avesse perso di vista l‟obiettivo primario e si fosse dedicato solo sul proprio e personale
interesse, tenuto conto che l‟esercito era a quell‟epoca uno dei lavori migliori, nel senso che offriva
maggiori possibilità di arricchimento e di scalata sociale. 65 Cameron 1995, pp. 10-15; Garnsey 2001, p. 13. 66 Gigli 1947, P. 181; Lo Casc io 2007, p. 91. 67 Quindi nuovamente, il problema risiede nelle capacità dei singoli che vengono meno, nei valori di
riferimento nelle personalità dell‟epoca, che arrivano ad assecondare o a farsi guidare dalle masse,
dimostrando così che Pericle era stato un buon profeta e che la Storia davvero ha da insegnarci. Infatti la
stessa ammonizione, lo stesso pericolo era stato individuato da Pericle e tramite esso, da Tucidide,
quando si era espresso a proposito delle caratteristiche dei leader politici: “…chiaramente dominava il
popolo senza limitarne la libertà, e non era da lui (il popolo) più di quanto egli stesso non lo
conducesse,…”, Thuc, II, 65.5-12. Edwards 2004, p. 173 e anche Watson 1999, p. 4 e Gibbon 1905, p.
137), “…the armies were restrained by the firm but gentle hand of four successive emperors whose
characters and authority commanded involuntary respect”, quando parla a proposito del period della
dinastia degli Antonini.
31
nuovamente, è venuto meno il nesso cittadino-soldato, il connubio tra istituzione e
popolazione. E a testimonianza dell‟assurdità della situazione e del potere che deteneva
l‟esercito, si pensi a come bastasse una vittoria sui barbari perché il generale venisse
dichiarato imperatore oppure a come bastasse una sconfitta per perderne il favore68
.
Qualche volte erano i generali stessi ad essere “vittime” o pedine dei propri eserciti,
dato che venivano nominati imperatori anche contro la propria volontà o senza essere
stati prima consultati69
; e quando questo succedeva, non restava loro che continuare
lungo il sentiero tracciato per loro dai soldati, perché non potevano arrendersi, visto che
non sarebbero stati creduti e che il destino che li attendeva sarebbe stato comunque la
morte .
Altro fattore a mio avviso altamente eversivo che si è sviluppato in seno
all‟esercito, è la relazione che i soldati arrivano ad instaurare con lo spazio in cui
operano e agiscono70
. A partire da Augusto, gli eserciti alla frontiera diventano oggetto
di una più attenta legislazione, proprio per il loro carattere peculiare. A partire da
Augusto, particolare cura viene infatti riservata alla gestione dei territori di frontiera, cui
però si accompagna una specifica attenzione alle modalità dello stanziamento dei
soldati. Al tempo di Augusto, in primis le cariche militari di confine, le cosiddette
province imperiali diventano prerogative solo degli equites71
, per evitare di attribuire
eccessivo potere contrattuale ai senatori e scongiurare possibili loro ribellioni; in
secondo luogo, è introdotta la permanenza delle guarnigioni, ma con l‟attenzione di
68 Così scrive Heather (2006), a proposito del sostegno accordato ad un imperatore del III secolo: “ogni
fallimento in guerra è interpretato come segno che l’attuale detentore della porpora non è affatto l’uomo
giusto al posto giusto” (Heather 2006, pp. 96-99). Inoltre per il ruolo delle vittorie negli scontri armati,
cfr. McCormick, M., Eternal Victory: Triumphal Rulership in Late Antiquity Byzantium and the Early
Medieval West, Cambridge 2002. 69 Veyne 2007, pp. 248-250. 70 Vedi Luttwak 1991, pp. 111-123. 71 La cui carriera e istituzionalizzazione, anche se avviata sotto Augusto, sarà stabilità da Claudio
(Suet:Claud, 25).
32
inserirla in una rotazione dei singoli eserciti, con frequenti spostamenti e cambi di
“residenza”, sempre secondo l‟ottica che voleva evitare la creazione di eserciti locali,
stanziali, o regionali, cosa che avverrà a partire dalla dinastia dei Severi72
. Questa
strategia permetteva di dislocare sul limes romano tutte le legioni e allo stesso tempo
impediva una loro “sedimentazione”, un loro stanziamento perenne, oltre al vantaggio
tattico che garantiva un‟elasticità del sistema difensivo romano molto efficace73
. L‟idea
alla base di un simile progetto era evitare proprio quello che succederà successivamente,
a partire dalla dinastia dei Severi, quando verrà data – anche se mi sembra più adatto
parlare di “concessa o strappata” – l‟autorizzazione alla stanzialità, cioè quando verrà
concessa la possibilità ai soldati di radicarsi sul territorio, di diventare parte integrante
delle province, di prendere mogli e legarsi così definitivamente alla regione. Questa
caratteristica, sommata al crescere dei sentimenti di disaffezione per lo stato, e alla
separazione tra civis e potere centrale, ha ripercussioni gravi sul livello di fedeltà ed
efficacia dell‟esercito stesso, dal momento che fa nascere un vincolo molto pericoloso
con il territorio. Se infatti vien meno l‟idea di Impero in generale, di appartenenza ad
una realtà più grande e “nobile”, ma si assiste ad una riduzione di vedute, di legami, e si
verifica una “provincializzazione”, ecco che i soldati saranno molto più restii a lasciare
la propria area di azione e accorrere in aiuto di lontani e sconosciuti territori, in nome di
un‟ipotetica “fratellanza”, parentela o legame. Questo è esattamente ciò che successe ad
Alessandro Severo, il quale dovette riaccompagnare le truppe del Reno e del Danubio,
spostate inizialmente per un‟offensiva contro i Persiani, perché i soldati avevano
lasciato senza difesa le loro famiglie e i loro beni e non si curavano di niente altro che di
72 Luttwak 1991, pp. 111-123; Erdkamp 2011, pp. 183-200. 73 Luttwak 1991, pp. 19-74.
33
quello74
. Per la venuta meno dei grandi ideali quali la Romanitas, l‟Imperium mundi, la
patria communis75
, i soldati identificavano ora la difesa dell‟impero con quella della
loro singola frontiera, del loro pezzo di regione, della loro ristretta area e il resto
arrivava ad essere del tutto ininfluente, o peggio ancora, irrilevante: è ormai scomparsa
una visione d‟insieme e non c‟è pertanto da stupirsi se emergeranno le singole
“nazionalità”, nelle varie periferie, che possono avere nel regno di Postumo o di Palmira
alcuni esempi vicini ad Aureliano e che costituiscono l‟anticipazione dei futuri regni
medievali.
Inoltre, alla stanzialità delle truppe, non si può non affiancare come elemento
eversivo presente nell‟esercito, la cosiddetta “barbarizzazione” dell‟esercito romano,
fenomeno che da sempre ha dato luogo a opinioni, controversie e teorie contrastanti e
che comunque si inserisce all‟interno di un discorso di fedeltà all‟impero, di fattore
della crisi del III secolo, di elemento cui prestare attenzione.
Ogni volta che Roma è riuscita ha sconfiggere i propri avversari, ha anche chiesto
come tributo e compensazione, dei soldati da inserire nel proprio esercito. In ogni
conflitto, ha fatto affidamento su di un grande numero di truppe straniere, alle quali
veniva offerta come possibilità di riscatto, il servire sotto le aquile, con la promessa di
ottenere la cittadinanza, potendo diventare così a tutti gli effetti cittadini romani76
. Una
simile soluzione ha senza ombra di dubbio dei vantaggi, sia per quanto riguarda aspetti
tattici e strategici77
, che per l‟impiego di risorse umane78
. Di nuovo – come per ogni
74 Carriè 2012, pp. 101-103; Brizzi 2011, pp. 117-121. Per ulteriori approfondimenti vedi Carrie, Jean-
Michel, L' Empire romain en mutation: des Severes a Constantin, 192-337, Paris 1999. 75 Eisenstadt 1967, pp. 5, 9; inoltre per i valori che stavano alla base della società romana, cfr. Desideri
1991, pp. 577 – 626. 76 Per Auxilia e cittadinanza, vedere Polyb, VI, 26, 7; Goldsworthy 2009, pp. 26-27; Cheesman 1914, p.
21; Gabba 1976, pp. 162-170. 77 Mi riferisco alla possibilità di usare milizie come la cavalleria, che non rientravano nel background
romano. Vedi Romanelli 2010, pp. 221-223; Sekunda 1996, pp. 162-167; Brizzi 2011, p. 158.
34
quesito o questione affrontata – non si tratta di giusto o sbagliato, di piano vincente o
autodistruttivo, ma semplicemente di attualizzare la situazione, e considerarla alla luce
delle motivazioni da cui essa è scaturita; laddove le élites di Roma esercitavano un
pieno controllo sui soldati e l‟inclusione non pregiudicava l‟unità, la coesione e la
Latinitas, esso si è rivelato uno strumento davvero utile e di successo, dato che
permetteva anche di rendere partecipi le altre popolazioni e le integrava nel sistema
romano79
; quando invece il numero delle truppe straniere supera quello dei civites, e il
loro arruolamento avviene per questioni di necessità, bisogno, disperazione o per
puerile e sprovveduta convenienza, ecco che iniziano a manifestarsi i primi problemi80
.
Le truppe barbare che iniziano ad essere presenti in numero sempre più consistente
nell‟esercito, non essendo inserite in un quadro stabile e fortemente “romano”, in un
contesto o in un ambito forte e autoritario, si dimostrano forze centrifughe che non
fanno altro che contribuire ad accelerarne la crisi. La comunità romana pare esaurita
moralmente e culturalmente; è ora priva di uno slancio propulsivo e propositivo,
svuotata cioè di quell‟energia e di quella volontà di civilizzare nuovi popoli che l‟aveva
caratterizzata nei suoi primi anni di espansione e che aveva attratto a sé numerose
civiltà. In questo contesto quindi la presenza di peregrini è altamente destabilizzante.
Significative sono le parole di North:
“The complicity of these troops in acts of violence against provincials and
enemies of the empire highlights their psychological separation from civil society
78 Come per i regni clienti, un simile accorgimento aumentava notevolmente la disponibilità di soldati e
limitava parallelamente il dispendio di energie e risorse romane, Munkler 2007, pp. 79-82. 79 Seckunda 1996, pp. 40-42. 80 Gigli 1947 p. 173, sotto Augusto per esempio ci fu uno stanziamento di 50.000 barbari sulla sponda
romana del Danubio che non ebbe nessuna ripercussione negativa sui territori periferici in cui ciò
avvenne; ma anzi si riuscì a perseguire il fine di ripopolare il territorio e insieme di creare dei gruppi che
servissero alla messa in vigore e valore del suolo e contribuissero all‟organizzazione di un‟intercapedine
contro le selvagge orde d‟oltre confine.
35
(Again, this is not to deny that a transgressive behavior in war was absent in pre-
Roman societ, such as in Gaul or in Britain, or in the Roman Empire as well, but it is
arguable that the severity, the extent, and the periodicity of such actions was greater
under Rome for the simple reasons that warfare and power differentials between
soldiers and civilians were more pronounced)”. 81
Arruolati per pura convenienza, ora regnano reciproci sentimenti di ostilità: i
barbari accolti nell‟Impero venivano trattati con sufficienza se non addirittura con
disprezzo dall‟élite romana, mentre, con il venir meno dell‟integrazione tra le diverse
parti, ecco che le forze in armi arrivavano a provare ostilità verso quella popolazione
che avrebbero invece dovuto difendere. L‟esercito di Roma era composto così da
mercenari barbari che si caratterizzavano per un forte senso di scollegamento con la
realtà e la popolazione di Roma, di estraneità, di disaffezione e di “disabitudine” a
quelle regole che avevano reso grandi le legioni di Roma, con la conseguenza che si era
perso l‟allenamento, la disciplina, e perfino un equipaggiamento ufficiale82
. Si
presentavano al contempo nuovi e pericolosi risvolti e ripercussioni, come la possibilità
per nulla remota che i soldati si rifiutassero di combattere contro altri barbari
appartenenti allo stesso gruppo83
.
E allora, partendo soprattutto dal III secolo in poi, perché continuare ad arruolarli,
visto che non c‟era una reale partecipazione o una cognizione di essere un popolo
unico? Uno dei fattori che si sono usati generalmente per spiegare l‟arruolamento di non
romani tra i ranghi dell‟esercito, è l‟apparente difficoltà nell‟assicurarsi reclute per le
81 North 1981, pp. 22-38. 82 McNab 2011, pp. 280-285. 83 Ferril 1986, p. 554.
36
legioni84
e tale problematica aumentò verso la fine del IV secolo, con esiti ancor più
negativi e controproducenti85
. In particolar modo a farne le spese sarà la popolazione
locale, delle periferie, perché non sentendosi per nulla legati ai territori e alle
popolazioni presso cui risiedevano, i soldati si lasciarono spesso andare a episodi di
violenza contro i provinciali. Il fatto grave è che simili vicende si verificarono sempre
più frequentemente nel Tardoantico e così, quando le armate erano in movimento,
spesso e volentieri si approvvigionavano con requisizioni e prelievi forzati, o
ricorrevano alla forza bruta, a prelievi forzosi sulla popolazione autoctona, magari con
l‟avallo più o meno esplicito del potere centrale86
. La semplice ragione, nuovamente, è
che la distinzione tra società civile e i soldati è ora molto più pronunciata, i legami che
facevano sentire tutti parte di un‟unica realtà sono venuti meno, cosicché gli effetti si
acuiscono tanto più ci si allontana dal centro del potere. Infatti ciò che succedeva alla
periferia, “was often not intended, foreseen, or indeed condoned at the center. The
reasons for misbehavior and abuse are to some extent bound up with the realities of the
power asymmetries between imperial servants and subjects87
”.
Questo scollegamento nella società, affliggeva tanto i rapporti dell‟esercito quanto
della stessa comunità civile. Negata la vita pubblica e affermatasi l‟indifferenza, si
alimentò ancora di più quella tendenza generale dilagante a considerare lo stato come un
84 E questo è sicuramente un altro segno di disaffezione della popolazione verso un‟istituzione che non è
più sentita come propria, non è più vissuta e cui non si sente più di appartenere, e per la quale non si è più
disposti a mettere in gioco la propria vita. 85 È successo ad esempio dopo la battaglia di Adrianopoli nel 378 (AmmMarc, XXXI, 12-13, quando il
numero degli effettivi era così basso che si dovette ricorrere a forze esterne (Southern e Dixon 1996, pp. 53; 67-69; Heather 2008, pp. 185-238). È anche testimoniato dal Codex Theodosianus, il cui capitolo VII
è completamente dedicato alle questioni militari da cui emerge una seria difficoltà di reclutamento (Cod.
Theod. 7.13): le persone arrivavano a mutilarsi o ad offrire schiavi al posto di se stessi pur di non dover
affrontare la coscrizione. A onor del vero bisogna riportare come questo succedesse anche all‟inizio
dell‟Impero – dato che anche Augusto dovette intraprendere azioni esemplari contro equites romani che
mutilavano i loro figli per salvarli dal servizio militare (Suet:Aug, 24.1) e perfino nell‟epoca del
principato adottivo, sotto la legislazione di Traiano (cfr. Dig. 49.16.4.12) – ma non avveniva in maniera
così marcata, frequente e accentuata. 86 Garnsey 1987, p. 93. 87 North 1981, pp. 35-37. .
37
estraneo, e quindi a sfuggire alle mansioni e agli impegni richiesti, per rifugiarsi in una
tranquilla e raffinata vita privata88
. Questo generò una mancanza della concezione di
dovere sociale, e veniva accentuato dalla centralità del potere, che con il suo
assolutismo, determinava lo scollamento, la rottura tra imperatore e classe dirigente e
anche tra la classe dirigente e la partecipazione alla vita pubblica89
.
La nuova classe senatoria voleva solo arricchirsi e lo faceva tramite la
partecipazione alle mansioni pubbliche; il senso civico, la dignità e l‟importanza di
essere cittadino, il sentimento del dovere, il gusto dell‟iniziativa e l‟amore della
responsabilità nell‟impegno delle pubbliche funzioni, erano oramai scomparse e
dimenticate; negli officia90
l‟interesse particolare prendeva il posto di quello pubblico,
che veniva asservito a fini personali, e che comportava un aumento del gap tra
honestiores91
e tenuiores92
, premessa del successivo feudalesimo. Il potere sovrano si
aliena dalla popolazione e la funzione pubblica diventa un possesso privatorum, unico
mezzo per arricchirsi e mettersi in evidenza; gli honestiores diventano sempre più
potentiores e si generano pesante sfiducia, generale accasciamento, tendenziale
disinteresse per e all‟interno dell‟impero.
88 il problema fu che, venuto meno lo spirito civico, tale vuoto non è stato seguito da qualcosa d‟altro,
come ad esempio da un patriottismo imperiale; sin quasi da subito il potere imperiale è stato guardato
come un potere esterno e poco connesso con la vita delle persone, dei cittadini che si sono così svincolati
sempre di più dalla partecipazione alle vicende dell‟impero stesso; al massimo l‟imperatore era visto
come un protettore benevolo, generoso, filantropico che manteneva un esercito per proteggere le province
e assicurava pace e prosperità interna: quando poi però nel III secolo venne anche questo ruolo, cosa è rimasto? Il ruolo del cittadino ordinario è diventato puramente passivo, limitato esclusivamente alla vita
privata che arrivava ad intrecciarsi con la vita politica solo nel momento in cui egli pagava le tasse e non
lo portava a provare un senso di responsabilità e partecipazione per l‟impero stesso: possiamo quindi
sostenere come la sua lealtà fosse passiva e non attiva ( Eisenstadt 1967, pp. 67-69). A questo proposito
cfr. anche Jones 1964, pp. 210-220. 89 Gigli 1947, p. 209. 90 Foresti 1993, pp. 162-170. 91 Sotto l‟azione di tutti questi fattori, e non solo, il risultato è la rottura definitiva dell‟equilibrio sociale e
la radicalizzazione della società stessa nelle due classi estreme appunto 92 Cod. Theod. XIII.3.8.4; XVI 2.3; Dig. I.18.6.2; LXVIII 19.28.2.
38
Di fronte al crollo e alla venuta meno del ruolo e della sacralità di un‟istituzione
come l‟Impero, l‟esigenza, la necessità e la contingenza spingeranno lo stato ad
obbligare le persone a risiedere nei loro ruoli o mansioni: di fronte al pericolo che per
mancanza di braccia o per inefficienza di molti servizi pubblici, l‟approvvigionamento
dei cittadini e il vettovagliamento delle armate venissero meno, lo stato organizzò
coattivamente la popolazione in collegia93
, creando e avviando così un processo di
cristallizzazione delle associazioni libere in corpi rigidi, rigorosi ed ereditari che verrà
instaurato ed esteso gradualmente a tutto l‟impero. Dovendo fronteggiare questa
minaccia di liquefazione delle strutture, sia della società che dello stato, gli imperatori
illirici iniziano a trasformare le corporazioni in organi economici, stabilendo così
l‟obbligatorietà del servizio. Chiuso in questa angusta visione, il subiectus, il singolo
cittadino che vi appartiene dalla nascita, è condannato a consumarvi l‟esistenza, in una
condizione avvertita come uno stato d‟assedio perpetuo, che spegne ogni impulso
progressivo, ogni libera vocazione.
Conclusione
Alla luce di quanto detto finora, credo sia emerso in maniera inequivocabile che
l‟esercito ha giocato un ruolo fondamentale per tutto l‟arco della storia di Roma, così
come è sempre stato – e sarà sempre – una delle radici di tutto l‟impianto statale. Quello
che forse è meno evidente è che non esista “IL” rimedio, “LA” cura o “LA” soluzione
ideale, perfetta e sempiterna. Come sempre, non è l‟oggetto in sé, ma il suo utilizzo e
chi lo utilizza. Il punto nodale è a monte e l‟intervento va compiuto sulla società, sulle
singole componenti che vi partecipano. Il lavoro va compiuto ben prima e in particolar
93 Cracco-Ruggini 1971, pp. 59-227.
39
modo sui singoli individui; l‟esercito e più in generale l‟impero romano è venuto meno
nel momento in cui si è creato scollegamento tra le diverse realtà sociali. L‟impero ha il
compito di suscitare consenso nei propri componenti, dal momento che è il primo
mattone di tutta la struttura imperiale94
.
In secondo luogo spero sia emerso come l‟impero stesso – per potersi definirsi tale
– abbia bisogno, anzi l‟obbligo, di avere ben chiare tutte le proprie prerogative e le
proprie potenzialità e di poterle esprimere in tutta libertà. Se l‟imperatore deve
giustificare il proprio operato in ogni singola circostanza, allora non si può neanche
parlare di impero nel suo senso più proprio; se esso non è autoreferenziale e dipende da
altri nella gestione dei vari affari di stato, allora vuol dire che si fonda su basi troppo
labili; se infine non ha il pieno controllo su tutti quegli aspetti che sono il suo
fondamento, anche se all‟apparenza potrà sembra saldo e sicuro, esso nasconde
comunque al proprio interno dei virus che, se non curati, lo porteranno inevitabilmente
alla sua morte. Questo discorso vale anche per le riforme attuate da Aureliano e più in
generale nel Tardo Impero. Infatti il processo iniziato da Aureliano e poi portato avanti
da Diocleziano e Costantino ha costruito e fornito una propria risposta alla crisi. Anche
se è vero che è stato in grado di rilanciare il ruolo egemonico dell‟impero, costruendo
una struttura di grandi dimensioni, composta da diverse parti, tuttavia tale ripresa è
avvenuta in una situazione di grandissima urgenza, che ha costretto tutti i cittadini ad un
grande e doloroso sforzo che li ha lasciati esausti. È vero, è servita allo scopo perché ha
fornito un‟armata in grado di affrontare i nemici interni ed esterni; ha procurato
all‟impianto statale risorse per pagare e mantenere un esercito fedele, anche grazie alle
doti carismatiche dei suoi imperatori; ha fornito i mezzi per produrre e gestire tali
94 Munkler 2007, p. 79-82.
40
risorse 95
. Però, in ultima analisi, è intervenuta maggiormente sugli effetti e non sulle
cause96
; ha posto rimedio alla situazione ma non è riuscita ad attuare una riforma
profonda che sanasse veramente i problemi: è servito, ma questo non è un impero.
Veyne (2007) parla così della corrispondenza tra impero e societas che si viene a
creare, al tempo di Giustiniano, le cui radici però risalgono a ben prima, e in particolar
modo sul destino di un impero fondato su questi presupposti:
“…In these terms, the renewal of the Empire did not call for any sort of imperial
vocation among the subjects; it was simply a matter for the emperor… Little wonder,
then, that the neo-imperialism of Justinian was without tomorrows97
.
95 MacMullen 1976, pp. 213. 96 Come fa notare giustamente Luttwak (1991) quando parla della difesa in profondità dell‟impero
romano, a lungo andare tale sistema pregiudica l‟impero stesso, la sua salute, visto che “gli eserciti (le
risorse nel nostro caso) di oggi combattono con soldati arruolati e con il cibo di ieri, ma quelli di domani,
come faranno?” (Luttwak 1991, pp. 219. Se questa frase la ampliamo e la estendiamo alle risorse più in
generale dell‟impero, il risultato rimane: l‟impero si sta dissanguando e riesce a sopravvivere solo grazie
alla propria “eredita” passata e ad un enorme sforzo di volontà. 97 Veyne 2007, p. 440.
41
LA CIMA DEL MONDO
Aureliano e la Traslatio Imperii
lla morte di Claudio il Gotico98
, nuovamente si presentò il problema
che sembra appartenere a tutto l‟impero romano e che senza ombra
di dubbio ha contribuito ad indebolirne o ridurne le capacità di
ripresa: l‟insorgere di pretendenti e usurpatori che rivendicano il diritto di trovarsi sul
gradino più alto del mondo.
Le prime difficoltà per avere un quadro più chiaro della successione sorgono nel
momento in cui si guarda alle fonti, che si rivelano poco chiare e esaustive. Tra chi
sostiene che fosse stato nominato il fratello di Claudio, Quintillo99
, e chi invece
preferisce la versione in base alla quale Claudio, mentre giaceva morente, avrebbe
riunito i suoi generali e nominato Aureliano suo successore100
, rimane il fatto che
Aureliano ebbe facilmente ragione di ogni possibile rivale, fittizio o reale che fosse.101
La versione comunque più accreditata per l‟ascesa di Aureliano è quella riportata da
98 Per quanto riguarda la sua morte, pare che sia stato vittima anche lui della peste; cfr. Eutrop, 9.11.2;
SHA:Claud, 12.2; Zos, 1.46.2, Zonar 12.26. Per un resoconto dettagliato, ma portato avanti da una fonte
più moderna, cfr. Watson 1999, p. 45. 99 Eutrop, 9.12; Zonar, 12.26, Synopsis Sathas p. 39; Hieron:Chron 222b; Chronica Urbis Romae p. 148,
sostengono che Quintillo avesse un qualche probabile comando nel nord Italia. Ad avvalorare questa
ipotesi inoltre contribuisce il fatto che per il regno di Quintillo, come detto, si ipotizza una durata di
almeno due mesi e mezzo, quanto occorreva perché le varie zecche dell'impero (compresa quella di
Alessandria: ed è proprio questo fatto che ci fornisce
le migliori indicazioni sulla durata del suo regno, considerando i tempi che la notizia dovette impiegare
per giungere in Egitto) potessero coniare a suo nome (cfr. Zos., I 47; Chron. Min. I, p. 148), dove si legge
“Quintillus imp. dies LXXVII. Il regno di Quintillo fu abbastanza ininfluente, dato che si suicidò ad Aquileia(Così SHA:Aur. 37, 5-6; Zos., I 47; Eutrop, IX 12 ed [Vict]:Epit, 35, 4 parlano invece di una
generica uccisione). Questo aspetto, al di là della veridicità storica, è importante perché mostra ancora
una volta come il prerequisito per scalare le vette del potere e dell‟Impero fosse il comandare unità
militari e non importa se si fosse generali incapaci o incompetenti. 100 Zonar,12.26 e la SHA:Aur, 37.5-6 dicono che Quintillo venne abbandonato dalle sue truppe in seguito
alla proclamazione di Aureliano, con Quintillo stesso che si tagliò i polsi (Zos, 1.47; Zonar, XII, 26;
SHA:Aur, 37.6). 101 La Vita Aureliani sostiene come Aureliano venisse proclamato consensu omnium militum (“…con il
consenso di tutti i soldati”), versione che pare essere comprovata dal fatto che non ci fu nessun confronto
o conflitto armato, evento questo poco frequente.
A
42
Homo102
, secondo la quale il generale illirico ricevette notizia della morte di Claudio e
della propria proclamazione ad imperatore mentre stava combattendo contro i Goti103
che imperversavano per le città e i territori di Anchialo e Nicopoli104
. Altra criticità per
determinare con esattezza gli esordi del governo di Aureliano, è la difficoltà in cui si
trovava l‟impero e i problemi che erano da affrontare, dal momento che non permette di
avere un quadro chiaro e preciso della situazione.
Ad Est, c‟era la città Palmira105
, che aveva portato sotto il proprio controllo
diversi territori e città orientali, e che sembrava voler dar corpo ad idee autonomiste e
indipendentiste, minando così l‟autorità e l‟integrità dell‟Impero; sempre in Oriente non
si poteva neanche trascurare il rinnovato impero Sassanide106
, che con il suo spirito
espansionistico e il suo nuovo militarismo aveva ripreso a minacciare i territori
adiacenti ai domini di Roma.
Ad ovest, invece, c‟era ancorano ancora le Gallie di Postumo107
, cioè l’imperium
Galliarum108
, un regno che era nato per l‟incapacità del potere centrare di frenare le
102 Homo 1967, pp. 53-55. 103 SHA:Claud 12.4. Sempre a questo riguardo, vorrei riportare anche Syme 1971, p. 216 che, nel suo commento all‟Historia
Augusta menziona come anche Claudio abbia riconosciuto i meriti di Aureliano, nel momento in cui lo
mette a capo dell‟intero corpo di cavalleria – magister equitum, 18.1 – e quando poi lo metterà a capo
dell‟intero corpo di spedizione per la guerra Gotica, con il potere di includere nel proprio esercito omnes
exercitus Thracicos, omnes Ylliricianos totumque limitem (17.1). 104 Homo 1967, pp. 39-41; Besnier 1937, pp. 229, 232-3; Parker e Warmington 1958, pp.192-3. 105 Un‟attitudine più aggressiva di Palmira nei confronti di Roma è dimostrata dalle monete, dai papiri e
dalle iscrizioni di quel tempo; va comunque precisato che le monete che venivano coniate ad Antiochia,
mostrano da una parte la faccia di Vaballato e dall‟altra quella di Aureliano, con una titolatura standard
che sembra confermare o rispettare il ruolo e il potere di Aureliano: Imp(erator) C(aesar) Aurelianus
Aug(ustus). Vedi Peachin 1990, pp. 1-8; invece per Vaballato leggiamo v(ir) c(larissimus) r(ex)
im(perator) d(ux) R(omanorum), segno che sembra dimostrare come non aspirasse a volere diventare imperatore. Cfr. anche Gallazzi 1975, p. 256. 106 DioCass, LXXX, 3.1-2; cfr. anche McNab 2012, pp. 262-263. 107 Cassiano Latino Postumo, probabilmente governatore della Germania Inferiore, si era scontrato con
Silvano, il protettore e tutore del figlio di Gallieno, Salonino. Le truppe di Postumo marciarono su
Colonia Agrippinense (Colonia) dove assediarono Silvano e Salonino, fino all‟autunno del 260, quando
conquistarono la città e uccisero i due. La situazione era anche precaria perché Gallieno stava
fronteggiando altre rivolte nel resto dell‟Impero e non poteva fronteggiare anche la rivolta di Postumo.
Per le fonti antiche si trovano numerosi riferimenti in [Vict]:Epit 32.3; Vict:Caes (33.8; Eutrop (9.9);
SHA:Tyr 3.2, SHA:Gal, 4,5; Zos, 1.38.2; Zonar, 12.24.10-12; per autori contemporanei, ho trovato
principalmente utili Randall 1991, p. 121; Bowman 2009, p. 45-48.
43
invasioni di diverse popolazioni barbare tra cui Germani, Goti Alemanni, e altre tribù
ancora come gli Iutungi e Marcomanni109
, le quali continuavano ad imperversare per
l‟impero romano, compiendo saccheggi e stragi. A questi problemi esterni, bisogna
aggiungere i non meno gravi problemi interni, tra cui la crisi istituzionale che sembrava
continuare senza sosta da quarant‟anni, una situazione economica drammatica, una
corruzione ancora più accentuata nei diversi livelli della gerarchia amministrativa
romana, una venuta meno dei valori tradizionali, che sembrava rispecchiare una crisi
morale profonda, anche di natura religiosa. In questo complesso contesto si muove
Aureliano, tra i meriti del quale, possiamo sicuramente annoverare l‟aver tentato di
risolvere ognuno di questi problemi – e se non tutti, almeno quelli più gravi, importanti
e fondamentali.
Questioni militari e l’unità dell’impero
Tra i più significativi e al contempo pressanti ostacoli presentatisi al momento
della ascesa di Aureliano, troviamo sicuramente le varie invasioni e le diverse vicende
militari che dominavano quell‟epoca, tra le quali si devono riportare le guerre iutunge e
poi gli scontri combattuti contro il regno di Palmira e quello delle Gallie. I secondi si
sono dimostrati più importanti – nel senso di più minacciosi – perché hanno minato
l‟integrità dell‟impero, perché hanno coinvolto maggiori e più complesse problematiche
e perché, per quanto concerne le incursioni dei barbari, si può dire che i romani hanno
sempre avuto ragione dei barbari che hanno di volta in volta minacciato i confini
108 Eutrop, 9.9; SHA:Aur, 4.5. Watson 1999, p. 35. 109Anderson 1978, p. 75; Arnheim 1972, pp. 39-48; Wolfram 1988, p. 56; Bowman 2005, pp. 53–54;
Murray 1989, pp. 529-531.
44
dell‟impero Roma110
; in un certo senso, i Romani hanno sempre dovuto affrontare le
incursioni, mentre un frammentazione interna così prolungata ed estesa, ha
rappresentato una novità e un pericolo ben maggiore111
.
Prima di parlare delle sorti del regno della regina Zenobia e di Tetrico, comunque,
bisogna inserire almeno una piccola parentesi sulle incursioni germaniche, costante che
non si può trascurare per questo periodo112
, e che perdurava a partire dal tempo delle
guerre Marcomanniche di Marco Aurelio113
.
Per prima cosa, le invasioni sarebbero da menzionare anche e solo per il grande
impatto simbolico che esse esercitavano sulla popolazione e sul mondo romano più in
generale. In particolar modo sulla paura e sui pregiudizi che tali invasioni creano sul
“barbaro”, preso come emblema del nemico per antonomasia e spesso utilizzato come
scusa per giustificare tutte le spese, le tasse e i disagi che stavano avvenendo; ogni cosa
che non andava o che creava disagi, era attribuita o causata dei barbari, nemici per
eccellenza dell‟ordine e della Romanitas. Tuttavia, per le invasioni e i ripetuti attacchi
di questo periodo, non abbiamo molte informazioni; sappiamo che Aureliano ottenne il
titolo Germanico Massimo per le sue prime guerre contro i Germani114
, mentre
110
Garnsey 2001, p. 14. 111 È vero che nel corso della storia di Roma abbiamo assistito ad altri fenomeni di secessione o di rottura
dell‟integrità territoriale romana, ma sono stati tutti episodi che per quanto di difficile soluzione, non sono
mai stati così estesi e duraturi, e soprattutto non si sono mai verificati in concomitanza con altri problemi
così gravi. In questo contesto mi riferisco principalmente al caso di Sertorio e della sua rivolta in Spagna,
cfr. Appian:Mith, 68. 112 Le invasioni barbariche sono sempre state presenti nella storia dell‟impero romano; senza però
procedere a una descrizione dettagliata delle diverse invasioni, mi sembra meritevole ricordare come essi
diventino un serio problema per l‟impero, a partire da Marco Aurelio e le guerre Marcomanniche; è infatti da questo momento in poi che l‟impero troverà maggiori difficoltà ad opporvisi e che le popolazioni
stesse si affacceranno costantemente lungo le frontiere del limes Renano-Danubiano. Si pensi soltanto ad
alcuni scontri che siamo certi si siano verificati, limitatamente al decennio del prima e dopo Aureliano; le
tribù Germaniche effettuarono scorrerie nel 270, 271, 274/5; i Vandali in Pannonia nel 271 e poi nel 278,
più quelle dei Germani in Gallia fronteggiati da Tetrico, dei Goti i cui ripetuti attacchi erano stati fermati
da Odenato, in una situazione quasi di assedio permanente, fisico e mentale. 113 Per un resoconto più dettagliato, guardare e fare riferimento a Cassio Dione Cocceiano, Storia romana,
LXXII; Ammiano Marcellino, Storie XXIX; HA, Vita di Marco Aurelio, 24.5. Invece per autori più
recenti e contemporanei, cfr. Coarelli 2008, p.42-44. 114 Peachin, 1990, pp. 92, 385-403; CIL III 7586; VIII 10017.
45
relativamente alle diverse popolazioni straniere che si trovavano ancora sul suolo
romano, sappiamo che erano penetrate nell‟impero tribù di Vandali e Sarmati,
facilmente respinte115
, cui poi seguirono le invasioni di Alemanni, Marcomanni e
Iutungi116
. Proprio sotto il nome di guerre Iutunge117
rientrano i resoconti degli scontri e
delle guerre affrontate da Aureliano, prima di quelle combattute contro Zenobia e
Tetrico, sempre in nome di un progetto di riunificazione e di ripristino dell‟unità
perduta. Da menzionare sono principalmente gli scontri che vedono una prima sconfitta
di Aureliano a Piacenza118
, e le successive vittorie a Pesaro e poi quelle decisive e finali
presso Pavia119
e Fano120
.
Oltre ai singoli scontri campali121
, e scendendo un momento nei dettagli, pare
interessante ed emblematico soffermarsi sulla richiesta di pace degli Iutungi, cioè
quando essi si arrendono e si incontrano con l‟imperatore Aureliano, resoconto arrivato
a noi tramite le parole di Dexippo122
. In esso, l‟autore descrive le trattative di pace e lo
descrive ponendo grande enfasi sul fatto che Aureliano ricevette l‟ambasceria stando su
di un palco, vestito di porpora123
, a dimostrazione del fatto che Aureliano fosse già
imperatore, un particolare importante per noi, soprattutto se esso viene utilizzato come
115 SHA:Aur, 18.2 – 21.1-4: “item Aurelianus contra Suebos et Sarmatas iisdem temporibus
veementissime dimicavit ac florentissimam victoriam rettulit (18.3-6)”; Zos, I, 48.2; Watson 1999, p. 217;
Grant 1975, p. 246. In questa occasione abbiamo anche dei riferimenti epigrafici che ci fanno sapere
come fu proprio grazie a queste vittorie che Aureliano inizia a costruirsi la fama di generale vittorioso,
meritandosi il titolo di Sarmaticus Maximus, cfr. CIL III 13715. 116 Zos, 1.49.1 ;Homo 1975, p.69. 117 SHA:Aur, 18.3-6; [Vict]:Epit. 35.2. 118 Vita Aur., 21.1-3; curioso è il caso dell‟Epitome (Epit. 35.2), dato che è l‟unica fonte a riportare come
Aureliano abbia vinto. Homo 1967, p. 76. 119 SHA:Aur, 18.4 e 19.4; Zos, I, 49; Vict:Caes, 35.2. Per quanto riguarda studi più recenti, cfr. Mazzarino 1974, p. 567-568; Watson 1999, pp. 51, 216; Grant 1985, p. 246. 120 CIL IX, 6308; CIL IX, 6309; CIL XI 6308 parla di victoria aeterna Aureliani…Hercules Augustus
consors Aureliani. 121 E per questi conflitti, a livello generale e riassuntivo, le fonti tendono anche a presentare gli stessi
aspetti e le stesse caratteristiche, con l‟eccezione già ricordata della sconfitta di Piacenza di cui parla
l‟Epitome. A questo riguardo infatti cfr. SHA:Aur: per Suebi e Sarmati, cfr. 18.2; per i Macromanni, cfr.
18.3-6, 21.1-4; Zos: Alamanni e tribù alleate, 1.49.1 o le guerre vandaliche 1.48.1-2; Dexipp: Iutungi,
FGrH 1 0OF6, FGrH 1 0OF7.4; Vandali FGrH 0OF7.1-3. 122 Dexipp, FGrH, II.A, 100; Grant 1985, pp. 183-188. 123 Grant 1985, pp. 184-185.
46
testimonianza della grande importanza che rivestivano a quel tempo i simboli e le
onorificenze imperiali124
.
Questo secondo e sbrigativo excursus, ci introduce poi all‟altro e più importante
fattore esterno che ha minato l‟unità territoriale romana. Il pericolo numero uno in
Oriente infatti si chiamava Sapore, uno dei più illustri sovrani della nuova dinastia dei
Sassanidi125
, fondata da Ardashir I (230-232) o Artaserse126
, sostenitori di una politica
centralista, di espansione e di mentalità imperialistica127
, caratterizzata da una società di
matrice che potremmo definire feudale128
, altamente nazionalista. Il suo desiderio di
fondare, anzi rifondare l‟impero, non ammetteva rivali lungo i propri confini, e in
particolar modo lungo i confini occidentali, in un progetto che vedeva proprio lo scontro
contro l‟impero romano. Shapur infatti è ricordato principalmente per le ripetute
sconfitte inflitte agli eserciti di Roma129
e soprattutto per la sorte che ha riservato a
Valeriano130
, quando venne fatto prigioniero131
. Le vicende di Shapur, tuttavia, sono
ancora più importanti se le inseriamo nella nostra discussione sull‟impero in generale;
un Impero nasce sempre in seguito a conquiste militari e ad un allargamento dei propri
confini, secondo politiche fortemente espansionistiche che sono il frutto di un‟interna
124
Per un‟analisi più dettagliata ed esaustiva sul valore e sul significato della porpora per il potere
imperiale, cfr. Romanello, Isaella, Il colore: espressione e funzione, Milano 2002, e in particolar modo
pp. 1-34. 125 DioCass, LXXX, 3.1-2; inoltre vedi Watson 1999, pp. 57-69. 126 Per ulteriori approfondimenti, vedere Frye 1983, pp. 116-124; 127 Rémondon 1975, pp. 73. 128 Infatti sia Anderson (1978) che Millar (1967) descrivono l‟impero sassanide secondo quelle stesse
caratteristiche che caratterizzeranno poi l‟Europa medievale; cfr. Anderson 1978, p. 75; Millar 1967, p. 6. 129 Eutrop IX. 8 quando viene riportato che dal 256 al 260 gli eserciti di Shapur stavano sottraendo all‟impero romano roccaforti e città della Siria, come ad esempio Antiochia. 130 Eutrop IX.7, riporta che dal 256 al 260 gli eserciti di Shapur sottrassero all‟impero romano roccaforti e
città della Siria, come ad esempio Antiochia; inoltre Grant (1985) suggerisce che Valeriano abbia chiesto
"asilo politico" al re persiano Sapore per sottrarsi ad una possibile congiura ordita tra i suoi uomini, Grant
1985, p. 227. In Lact:Mor, 5, Valeriano fu prima umiliato da Sapore, che lo usò come uno sgabello per
montare a cavallo, e poi venne scuoiato e la sua pelle, riempita di scarti, dipinta di rosso usata come
trofeo. 131 Le azioni militari del neo impero di Persia possono essere legate e messe in stretta relazione con
l‟ascesa della stella di Odenato, il quale acquisì importanza e si distinse proprio per le numerose battaglie
affrontate nel tentativo di respingere le mire espansionistiche persiane.
47
prosperità, o comunque nascono per lo sprigionarsi di forti energie, siano esse
economiche, sociali o politiche. L‟impero ha come propria natura implicita una politica
estera aggressiva, che non ammette entità politiche limitrofe rivali o paritarie e che lo
portano ad un continuum di battaglie, che hanno lo scopo preciso di affermare e di
dimostrare – forse più a se stesso e alla propria popolazione – di essere superiore.
L‟egemonia e il dominio sui territori, condicio sine qua non di un impero – sono però
animali mutevoli che vanno tenuti sempre sotto osservazione; sono fattori che rischiano
continuamente di suscitare ribellioni, dato che derivano da atti di forza pura e spesso
brutale. Un castello di carte, che se non ha fondate e resistenti fondamenta, è capace di
incrinarsi al primo segno di debolezza o all‟apparire di nuove e più convincenti forze ai
propri confini: l‟impero è sempre in guerra o comunque è costantemente in allerta
perché deve respingere o asservire ogni possibile fonte alternativa di potere e di
leadership132
. E ancora, questa volontà di supremazia e di potenza non ammette né
all‟esterno – vedere il caso di Shapur – né al proprio interno – vedere proprio Aureliano
e la sua azione contro Zenobia e Tetrico – nessun tipo di compromesso o nessun fattore
che possa minacciare la sua egemonia politica o che metta in discussione il suo ruolo. È
in quest‟ottica che ogni opposizione, vera o presunta, va prima o poi rimossa. Non si
accettano alternative e pertanto o ci si sottomette oppure si rifiuta, avendo però la
consapevolezza di porsi immediatamente dall‟altra parte della barricata, di venire
considerati automaticamente come oppositori o concorrenti133
.
132 Paradigma forse della nascita dell‟Imperialismo, di una vera e propria politica imperiale è l‟episodio
degli abitanti di Melo e la sorte che essi subirono per mano degli Ateniesi nel 416 a.C.; la popolazione
dell‟isola venne sterminata o ridotta in schiavitù, proprio perché gli Ateniesi intesero con ciò dimostrare
agli altri ma anche a se stessi, di essere ancora forti, temibili, senza eguali. Canfora (1991). Sempre a
questo proposito ho trovato interessante anche Plut:Cim, XI, 1-3. 133 Sempre interessante rimane Tucidide (Thuc V, 84-114) che nella descrizione della Guerra del
Peloponneso usa testuali parole: “ciò che è divino e ciò che è umano comanda sempre quando è più forte,
sia esso per necessità di natura o per volontà, (v. 105)”.
48
Un cuore solo e un’anima sola
E qui arriviamo veramente a Odenato e a Palmira. Entrambi testimoniano le
conseguenze di un potere centrale debole, per nulla capace di presentarsi come guida
sicura e salda. Entrambi dimostrano che forze centrifughe si manifestano sempre
quando l‟impero non sembra in grado di proteggere la popolazione – visto che questa è
una delle sue funzioni primarie, anzi, forse un suo presupposto, o comunque una
colonna portante del processo di delega dei diritti del singolo cittadino in occasione del
suo costituirsi in comunità – ma anzi la pone in una situazione di assedio quasi
perenne134
. Infine, entrambi evidenziano le problematiche del compromesso che deve
sempre sussistere tra un‟entità statale e la sua periferia, ogni volta che esso coinvolge i
rapporti tra le varie componenti dell‟impero e il loro modo di approcciarsi con le altre
realtà locali, soprattutto se – come nel caso dell‟impero romano – l‟unità si presenta
come insieme di diversità a livello culturale e religioso, etnico geografico.
Palmira: De caelo in caenum: ubris aut diligentia?
Palmira era una prospera città situata sulle vie carovaniere, posta a 240 km a nord-
est di Damasco135
e sotto Odenato iniziò a vivere un periodo di splendore economico e
militare. Vista la grave crisi in cui versava l‟impero romano, considerati i numerosi
problemi che affliggevano il potere centrale, soprattutto nel contenere gli attacchi
provenienti dai diversi popoli e nazioni, alle varie province romane situate sulle zone
limitanee, non rimaneva altra scelta che arrendersi e sottomettersi alle diverse
popolazioni, soccombere e rassegnarsi alle numerose invasioni e saccheggi, oppure
difendersi da soli. Odenato non era altro che un governatore di provincia, un capo dei
134 Remondon, 1975, p. 74. 135 Richmond 1963, pp. 43-54.
49
saraceni della regione di Palmira136
che ebbe il merito di affrontare Sapore, e con due
offensive – probabilmente nel 262 e nel 266 – di riuscire respingerlo, fino a Ctesifonte:
la Siria era salva, la provincia romana di Mesopotamia sottratta di nuovo ai persiani, e
Odenato stesso divenne il nuovo punto di riferimento per le province e i romani
d‟Oriente; di fatto, il vero signore della Siria e della provincia di Mesopotamia137
, vista
la situazione generale nel resto dell‟impero138
. Ed è qui che iniziano le complicazioni;
proprio per l‟esigenza di dover controllare il territorio e di governarlo meglio, nel modo
più efficace, egli adottò tutta una serie di misure, in primis la coniazione di monete per
pagare i soldati, arrivando poi ad attribuirsi tutta una serie di prerogative e di poteri che
l‟assenza del potere centrale aveva lasciato vacanti, ma che dovevano comunque essere
riempite per poter continuare a gestire e governare il territorio. La domanda però che
rimane sospesa è se Odenato abbia tentato o meno di usurpare il trono imperiale; se si
sia limitato ad esserne un governatore, un reggente in nome e in funzione
dell‟imperatore Gallieno oppure se abbia veramente mirato al seggio imperiale. Questa
posizione incerta si è aggravata quando alla sua morte, avvenuta nel 268139
, gli è
succeduto il figlio Vaballato140
. La situazione infatti è peggiorata perché, se fino a quel
momento, il regno di Palmira poteva ancora presentarsi come fedele e sottomesso, come
vassallo dell‟imperatore, la morte di Odenato obbligò i suoi discendenti a
136 Proc:Hist, II.5.5. 137 Secondo quel modus operandi che voleva governasse su di un territorio chiunque fosse in grado di
difenderlo e che si traduceva per prima cosa in titoli e riconoscimenti verbali, con soprannomi e titoli
elevati: Re dei Re¸ clarissimus consularis, corrector, restitutor totius orientis, imperator/ dux Romanorum; vedere a questo proposito Gallazzi 1975, 149-165; Millar 2004, pp. 9-10. 138 Watson 1999, pp. 58-61. 139 La morte di Odenato avvenne in seguito all‟ennesima invasione gotica nel 267/268 e al suo posto gli
succedette Vaballato (anche se il potere fu effettivamente nelle mani di sua madre, Settimia Zenobia, cfr.
Randall 1991, p. 149). Nuovamente tuttavia le cause e le motivazione della sua morte appaiono poco
chiare, dal momento che Zosimo 1.39.2 dice che Odenato fu ucciso ad Emesa, mentre per Sincello,
Odenato morì ad Eraclea Pontica. SHA:Aur, 13.1 invece sostiene come sia stato assassinato, proprio per il
timore che stesse aspirando al seggio imperiale. 140 Forse sarebbe più corretto parlare della regina sua madre Zenobia, che prese il potere come reggente
per conto del figlio minorenne, come compare in Zos, I, 39.2; SHA:Aur, 13.2-3.
50
compromettersi ulteriormente, ad esporsi e ad intraprendere una politica rischiosa di
affermazione di una propria egemonia. L‟autorità di Odenato si basava principalmente
sulla propria forza di carattere, sul proprio carisma e sulle proprie abilità di generale141
,
e la sua scomparsa lasciò fortemente incrinata l‟autorità o meglio la legittimità del suo
successore: bisognava trovare nuovi presupposti e impiegare altri elementi per
continuare a regnare e conservare il potere. In seguito a questa esigenza, la regina
Zenobia diede inizio a tutta una serie di politiche e di atti volti a rendere più sicuro il
dominio di suo figlio – e di conseguenza anche il proprio – ricorrendo a quegli
strumenti che oramai erano diventati l‟emblema del comando stesso, come ad esempio
la porpora, la titolatura e la coniazione de monete. Il problema risulta però proprio qui,
dato che questi ultimi elementi si riveleranno ambivalenti e ambigui: elementi necessari
di rafforzamento, ma contemporaneamente responsabili della caduta.
La porpora infatti era prerogativa imperiale così come lo era la coniazione di
monete142
e l‟utilizzo di un certo tipo di titolatura143
. C‟erano e ci sono ancora oggi
campi e ambiti che sono prerogative del potere centrale e che non è possibile “invadere”
o occupare; ogni tentativo di appropriazione indebita, compiuto senza autorizzazione e
senza il beneplacito del centro, è sempre visto come una sfida all‟ordine costituito,
anche se compiuta con le migliori intenzioni144
o se indirizzato verso il fine comune. Un
impero che pretenda di essere tale deve mantenere alcuni campi di competenza che non
141 E questo a ben guardare è lo stesso problema che aveva dovuto affrontare Augusto due secoli e mezzo
prima, leggi Watson 1999, p. 59. 142 Rimane il fatto che per i Romani la mansione di battere e coniare monete era da sempre una
prerogativa imperiale e era uno dei primi atti intrapresi dai vari pretendenti al titolo imperiale per
affermare il proprio potere (Sutherland 1976, pp. 312). 143 Ad Antiochia, per esempio, le monete mostrano da una parte la faccia di Vaballato e dall‟altra quella
di Aureliano, con una titolatura standard per Aureliano (Imp(erator) C(aesar) Aurelianus Aug(ustus), vedi
Peachin, 1990, pp. 1-8. Per quanto riguarda invece Vaballato vedere figura 12, quando leggiamo v(ir)
c(larissimus) r(ex) im(perator) d(ux) R(omanorum); Gallazzi 1975, p. 256; Remondon 1975, p. 82. 144 E pare davvero che Odenato sia stato un fedelissimo servitore di Roma; la sua fedeltà è espressa anche
dalle fonti come dimostra Eutropio (9, 11) quando sostiene; “ Avendo così Gallieno abbandonato lo
Stato, l'Impero romano fu salvato in Occidente da Postumo ed in Oriente da Odenato”.
51
può condividere o spartire con altri; ogni ingerenza va soppressa, dato che ogni altra
soluzione sarà interpretata come debolezza e gli farà perdere inevitabilmente credibilità.
Ancora meglio, l‟atto più grave compiuto da Zenobia si verificherà quando la regina
proporrà una soluzione per niente originale, ma dalla grandi potenzialità eversive:
Vaballato sarebbe diventato l‟imperatore d‟Oriente e Aureliano, d‟Occidente,
dimostrandosi in questo, una grande anticipatrice dei tempi, un‟acuta osservatrice
politica, ma ancora troppo prematura. Per veicolare e portare avanti questi idee, Zenobia
e Vaballato, senza ulteriori indugi e vista la situazione in cui versava lo stato romano,
hanno fatto ricorso alle iscrizioni pubbliche, alle titolature ufficiali e alla numismatica.
Rimane l‟incertezza su quali fossero le reali intenzioni di Palmira. Oziosamente
gli studiosi si sono chiesti quali fossero le motivazione propulsive di queste riforme, ma
per i motivi appena elencati, il dubbio non ha più ragione di essere; sia che Palmira
avesse mire secessionistiche e pensasse addirittura di soppiantare l‟imperatore, sia che
agisse semplicemente per la difesa e l‟incolumità dell‟impero romano, essa si era posta
inevitabilmente al di là del confine della legalità. Ecco un aspetto curioso: il vincitore di
Sapore infatti molto probabilmente aveva elevato a regno i propri possedimenti
orientali, ma ritenendosi sempre davvero un fides servus imperii. Il problema in questo
caso è Roma, che non poteva considerarlo tale, perché l‟azione non era partita dall‟alto
e nessuno era stato insignito con tale carica da lei stessa, da un imperatore. L‟arrogarsi
di maggiori prerogative e poteri, “solo” per acquisire autorità e per meglio gestire i
territori dell‟impero era una sfida su cui difficilmente il potere centrale avrebbe potuto
soprassedere; rappresentava un‟offesa che andava risolta non appena il governo fosse
riuscito a riguadagnare un minimo di controllo e ad acquisire un minimo di autorità,
cosa che puntualmente avvenne con Aureliano.
52
Va comunque precisato che, nonostante tutto, il progetto di Zenobia non era così
tanto utopico e tantomeno così inusuale come si potrebbe pensare a prima vista, ma
seguiva seguendo la storia: la moltiplicazione di sovrani e le diverse derive centrifughe
nelle varie province sono anche la conseguenza dell‟esigenza che l‟imperatore regnante
dovesse essere fisicamente presente in ogni parte dell‟impero, fatto reso ancor più
difficoltoso dalla lunghezza delle frontiere, dalle continue incessanti invasioni o attacchi
e dalla lentezza degli spostamenti. Risalgono al 244, e poi ancora al 253 e al 276, le
prime suddivisioni tra pars Orientis e Occidentis, che anticipano così la futura riforma
di Diocleziano. In un simile clima, il problema che il regno di Palmira dovette affrontare
fu uno solo: Aureliano, che non era per nulla disposto a rinunciare all‟unità dell‟impero
o a delegare il potere a terzi o a veder sminuita e limitata la supremazia della sua carica.
E nello specifico, proprio per quanto riguarda gli esordi della campagna di Aureliano,
come al solito non abbiamo molte notizie certe sulle azioni intraprese.
Campagna di Palmira: somnii peractio
Sappiamo che sulla via per Palmira, Aureliano combatte molte guerre tra cui
quelle in Tracia, e ancora in Illiria per uccidere Cannabas o Cannabaudes, capo dei
goti145
, una guerra la cui durata è sconosciuta e le cui informazioni in nostro possesso
abbastanza contradditorie146
. Pare assodato che Aureliano fosse a Bisanzio il 13 gennaio
del 271147
e che poi da lì si sia mosso verso l‟Oriente con il chiaro intento di ricondurre
sotto la propria guida i territori orientali. L‟unica fonte che abbia convinto
145 Eutrop 9.13.1 lo menziona appena, mentre AmmMarc, 31.5.17riporta solo che aureliano mise fine alle
guerre gotiche. 146 SHA:Aur, 22,2; oppure Watson 1999, p. 54 e Wolfram 1988, pp. 57, 62. 147 Eutrop 9.13 menziona una guerra gallica tra la guerra gotica e la campagna contro Palmira, cosa
contraddetta da Zosimo e dalla Vita Aureliani; una simile confusione o incertezza nelle fonti rende
davvero l‟idea di quanto sia un periodo confuso. Per tutta la discussione sulle fonti e sulla loro
attendibilità, cfr. Homo 1967, pp. 85-87; Mattingly 1961, p. 1939; Parker and Warmington 1958, pp. 198-
201.
53
maggiormente gli studiosi per questo periodo e che si sia dimostrato valido, è
Zosimo148
, cui poi si aggiungerà la Storia Augusta, quando l‟intera opera verrà
rivalutata e riconsiderata da studi più recenti. Da notare è come per le prime fasi della
campagna militare149
, Zenobia150
non sembri aver neanche cercato di fermare Aureliano,
quasi come se non vedesse ragione di un simile attacco: forse perché non credeva o non
si pensava in rotta con l‟Impero? Rimane il fatto che tutta la vicenda si sia conclusa
abbastanza rapidamente – considerate anche le diverse battaglie o i diversi assedi che si
susseguirono, come a Tiana151
, la conquista dei territori di Antiochia152
e il suo
assedio153
, la battaglia di Emesa154
e infine quella di Palmira stessa155
– con la sconfitta
e la cattura della regina e la fine del regno di Palmira156
. In tutte questi avvenimenti, a
parte le grandi qualità militari di Aureliano, emerge anche un altro aspetto, abbastanza
inconsueto per la persona di Aureliano: la clementia, caratteristica certamente tipica del
mos maiorum repubblicano, che è stata ripresa e adottata anche come tipico tratto
imperiale, ma che però compare come tratto tipico di Aureliano, imperatore spesso
148 Zos 1.50-51. 149 per ulteriori approfondimenti su tutta la marcia di Aureliano, vedere Zos, 1.50.2 (fa notare brevemente
solo che Palmira controllava l‟Est fino ad Ancyra e all‟Egitto e che Aureliano riguadagnò Ancyra, Tiana e
altre città fino ad Antiochia); SHA:Aur, 22.3 (in cui si parla della Bitinia, la quale, come tutte le regioni
circostanti, venne rioccupata con un piccolo sforzo), e 22.4-24.9 (ossia un lungo paragrafo relativo
all‟assedio di Tiana). 150 Sulla sua sconfitta nella piana di fronte ad Emesa, cfr. Zos. 1.52-53; per quanto riguarda l‟assedio nei
suoi momenti più drammatici, e il fallito tentativo di fuga, attraversando l‟Eufrate, Zos. 1.55-56. 150 Zos, 1.52.3-4 descrive la composizione dell‟esercito romano giusto prima della battaglia di Emesa,
contro l‟esercito di Palmira la cui composizione è nota 1.52, cfr. Homo 1975, p. 88. 151 Episodio in cui si verifica uno dei rari casi di clementia dell‟imperatore; (SHA:Aur, 22.5-23.3); Zos. 1.50.2. 152 Zos. 1.50.3-51.1, Downey 1961, pp. 64-66. 153 Zos. 1.51.2-52.1; SHA:Aur, 25.1. 154 Zosimo 1.52.3-4 descrive la composizione dell‟esercito romano giusto prima della battaglia di Emesa,
contro l‟esercito di Palmira la cui composizione è nota 1.52, cfr. Homo 1967, p. 88. 155 sia Zos 1.53-54.1 che la Vita Aureliani (SHA:Aur, 25.2-3) descrivono la battaglia. Inoltre la Vita
Aureliani (SHA:Aur, 26.6-27.6) menziona uno scambio di lettere tra Aureliano e Zonobia, e a mio avviso
può fare probabilmente riferimento a ipotetici scambi e tentativi di raggiungere una pace, una resa,
sempre per mantenere l‟immagine di Aurelianus clemens. 156 SHA:Aur, 25, mentre per la cattura della regina, vedere SHA:Aur, 26-29.
54
trattato dalle fonti come crudele e severo157
. Perché dimostrarsi clemente allora? Perché
proprio adesso? “Per tutta la campagna d’oriente essa – la clemenza – si è tenuta vicina
all’imperatore158
e ne è stata fedele compagna di viaggio”, considerazione non da
poco159
: le motivazioni che ho trovato sono principalmente politiche. Infatti Aureliano
ha appena affermato la propria autorità e si è presentato come un liberatore, come un
restauratore dell‟ordine costituito, e eccessivi atti violenti e vendicativi così come severe
punizioni, avrebbero forse marchiato il suo regno in chiave negativa. Oltre a ciò,
bisogna tenere presente la situazione che vigeva allora e che era caratterizzata da gravi
difficoltà, sia economiche che politiche o intellettuali, accresciute dalle numerose guerre
civili che generano sempre una perdita di significato, un senso di spaesamento, come ha
ben dimostrato detto Carl Schmitt nel suo saggio intitolato160
“Teoria del Partigiano”:
la situazione del 272-273 era già una situazione di alta conflittualità e tensione, alla
quale non si dovevano aggiungere ulteriori fattori di divisione e di spreco di risorse in
generale.
Altra plausibile motivazione, risiede nel fatto che Aureliano stesso si fosse reso
conto di come i Palmireni si considerassero non come ribelli o sovversivi, come
antagonisti dell‟impero, ma semplicemente come coreggenti, come suoi subordinati o di
157 Per la crudeltà o comunque la severità di Aureliano, si pensino ai continui tentativi di HA di
presentarlo in cattiva luce (SHA:Aur. 24.4) oppure ad altri episodi come al massacro di Chalon presentato
da Vict:Caes. 35.3 durante la riconquista del regno delle Gallie; poi, cfr. Mouchova 1972, pp. 167-199;
Randall 1991, pp. 113-114; Watson 1999, p. 78. 158 Vedi la clemenza di Aureliano per gli abitanti di Tiana (SHA:Aur, 22.5-23.3), di Palmira stessa
(SHA:Aur, 26.6-27.6). 159 SHA:Aur, 24.2-6 e 25.1. 160 Schmitt (2005) ha scritto come si debba tenere presente che sono tutti anni caratterizzati da guerre
civili e questa è una situazione sempre particolare e problematica. E proprio pensando alle varie e diverse
dinamiche che si generano nelle guerre civili, ho trovato particolarmente interessante Di Giovanni et al.
2013, pp. 55-8, dovesi legge: “Se vogliamo, è tutto inerente alla mancanza di punti di riferimento, al
collasso dell’autorità statale, ad una partizione violenta e interna di uno spazio fisico, pubblico e
concettuale che fino a poco tempo prima era stato concepito come unico, unito e indivisibile e che
l’attimo successivo non è più tale”.
55
pari grado161
, tenuto anche conto che era da un po‟ di tempo che il potere centrale era
lontano, debole e incapace di attuare valide politiche difensive; Zenobia stava
esercitando la funzione difendere i territori dagli attacchi sassanidi, prerogativa che
avrebbe dovuto appartenere all‟autorità centrale162
, ma che per motivi di crisi, si era
trovata a gestire di persona.
Una volta sistemata la situazione a Palmira, Aureliano doveva dare una
sistemazione stabile ai territori appena guadagnati. Lasciò una guarnigione sotto la
guida di un suo comandante, Marcellino163
, e ripartì fiducioso per l‟Occidente. Una
volta arrivato a Bisanzio164
, dopo aver ricevuto la notizia che i Carpi avevano invaso i
territori nei pressi della Dacia e averli rapidamente sconfitti165
, ricevette la notizia che si
stava diffondendo a Palmira una nuova congiura ordita da Apseo, personaggio che
compare nelle fonti come sostenitore di Zenobia, era sfuggito ad Aureliano, dopo
l‟assedio della città166
. Senza ulteriori indugi, ritornò e marciò contro Palmira, la quale,
sorpresa dalla velocità di Aureliano, capitolò ancora più rapidamente di prima167
: questa
volta la città non poté più godere della clemenza imperiale168
. Una volta risolto la
questione, e dopo essere arrivato a Roma, l‟imperatore ricevette un‟accoglienza senza
eguali, da parte del popolo – sempre pronto a festeggiare e celebrare i propri eroi – ma
161 Randall 1991, pp. 156-163; 208-212. 162 Gallazzi 1975, pp. 149-165; a questo argomento, vedere anche Isaac (1990). 163 Uno dei suoi più fedeli e capaci comandanti, secondo quanto riporta Zosimo (Zos. 1.60.1), oppure
Grant, (Grant. 1985, p. 275). 164 Zos. 1.59. 165 È in questa occasione che si guadagnò il titolo di Carpicus Maximus, SHA:Aur, 30.4; Vict:Caes,
39.43. 166 Zos. 1.60.1-2. 167 Zos. 1.61.1. 168 SHA:Aur, 31.3; cfr. 31.4-10 con un esagerato reportage della crudeltà dei soldati cui si associa il
racconto della devastazione apportato al Tempio del Sole (il dio Bel), SHA:Aur, 31.7-9.
56
anche da parte del senato169
, mentre per quanto riguarda la sorte della regina, ci sono
diverse ipotesi o teorie.
In seguito a questo episodio, dubbi persistono sul destino della regina Zenobia, a
partire già dal viaggio di rientro a Roma, e successivamente anche per il suo destino
dopo che venne celebrato il trionfo. Tra le varie versioni, pare che abbia subito
numerose umiliazioni nella varie città in cui l‟imperatore si fermava, come ad esempio
ad Antiochia dove pare che abbia marciato in catene stando seduta su di un dromedario,
per poi rimanere alla gogna per tre giorni consecutivi170
. Tutta questa serie di
umiliazioni avevano la finalità di sminuirne la popolarità e l‟eventuale e persistente
ascendente e fedeltà. Una versione in Zosimo riporta come la regina sia morta171
durante
il viaggio, per le pessime condizione di prigionia, per inedia o malattia, storia riportata
in termini simili anche da Zonara, il quale però un attimo dopo nega e presenta la
versione per cui essa raggiunse sana e salva Roma172
– seguendo la versione di
Gerolamo, Eutropio e dell‟Historia Augusta – per venire poi inserita nel trionfo di
Aureliano, trionfo che dovette comunque aspettare perché rimaneva ancora una
questione irrisolta: Tetrico173
.
169 Come visto anche precedentemente, si sprecano a questo proposito gli epiteti attribuiti all‟imperatore,
tra cui ricordiamo principalmente restitutor orbis; restitutor totius orientis; corrector orientis (CIL VIII
10205; CIL VIII, 22361; CIL VIII, 22449; CIL XI, 1214; CIL XII, 5456); Parthicus/ Persicus maximus
(SHA:Aur, 30.5; CIL XII, 5456, CIL VI, 1112, CIL VIII, 9040, CIL XII, 5549, CIL XIII, 8973; per uno
studio più recente, vedere Watson (Watson 1999, p. 89-90). 170 Malal, 12.30; SHA:Aur, 30.1-2; Watson 1999, p. 79. 171 Zos, 1.61.2 sostiene che la morte della regina Zonobia sia avvenuta dopo la celebrazione del trionfo a Roma, mentre SHA:Aur, 32.3 dice che Aureliano andò diretto da Palmira ad affrontare l‟impero delle
Gallie, mentre Zonar, 12.27 riporta le stesse cose di HA, che sembrano maggiormente affidabili e degne
di fiducia, dato che altre fonti come Eutrop, 9.13.1; Vict:Caes, 35.5; Hieron:Chron. 222g riportano, in
accordo con SHA:Aur, 34.2, che Tetrico fu portato e mostrato nel trionfo di Aureliano. 172 Contrariamente a quanto avvenuto per la guerra di Palmira, qui bisogno rifiutare la versione di Zosimo
dal momento che è l‟unica fonte a farla morire durante il viaggio; infatti cfr. Hieron:Chron, 223; Eutrop.
9.13.2; SHA:Aur, 27.2. 173 Gaius Pius Esuvius Tetricus (nome completo Imperator Caesar Gaius Pius Esuvius Tetricus Pius
Felix Invictus Augustus Pontifex Maximus (CIL XIII, 8927) sale al potere nel 271, succedendo dopo varie
vicende, a Postumo; cfr. Southern 2001.
57
Tetrico: La pazienza è anche una forma di azione174
La questione però non deve aver preoccupato più di tanto l‟imperatore, se è vero
che egli partì per la campagna d‟oriente, lasciandosi proprio l‟imperium Galliarum alle
spalle, chiaro indice di come non rappresentasse una grande minaccia. Infatti Zosimo
(Zosimo 1.61.2) riferisce solo di come Aureliano lo sconfisse con facilità175
, mentre le
altre fonti non lo presentano comunque in una luce positiva176
. Indipendentemente dagli
autori, emerge come l‟erede di Postumo fosse un debole e non rappresentasse una grave
minaccia per l‟imperatore, motivo per cui Aureliano si permise il lusso di reinsediarlo al
suo posto o comunque di attribuirgli un‟altra carica governativa177
, una volta sconfittolo
e ristabilita la sua autorità178
. Ora finalmente poteva ritornare a Roma e celebrare il
trionfo179
vero e proprio, e considerare l‟impero romano nuovamente come un unicum¸
riunito sotto un‟unica autorità.
Prima di procedere con una riflessione su questi fatti, credo sia interessante
soffermarsi su di un altro episodio che si può ricollegare alla questione di Zenobia e di
Tetrico; un altro fatto che si può bene inserire all‟interno delle dinamiche di politica di
integrità territoriale e nelle problematiche di gestione e organizzazione di un potere
imperiale che Aureliano ha portato avanti. Mi riferisco all‟abbandono della Dacia da
parte dell‟imperatore e alle conseguenze e motivazioni che tale decisione ha esercitato.
174 Auguste Rodin; cfr. Meinecke, Friedrich, Aforismi e schizzi sulla storia, Napoli, 2006. 175 Sync, 721 e Zonar 12.27 accennano solo a questa vittoria, mentre Vict:Caes, 35.3-4 riporta in un
oscuro passaggio come Tetrico mandi una lettera ad Aureliano per cercare protezione perché il suo
esercito era stato corrotto da un governatore di nome Faustino. Per quanto riguarda delle possibili date,
riporto ciò che scrive Southern (Southern 2001, pp. 119-120) che indica la fine del regno di Tetrico nel 274, dato che “Fino al febbraio 274 la zecca di Lione continua a coniare per Tetrico, dal marzo dello
stesso anno inizia a coniare per Aureliano” 176 Cfr. ancora SHA:Aur, 32.3, 35.4; Eutropio 9.13.1; Hieron:Chron, 222d; la Vita Aureliani che scrivono
come Tetrico abbandonò le sue armate nel momento dello scontro con Aureliano. 177 Secondo Eutrop. 9.13.2, Vict:Caes, 35.5, [Vict]:Epit 35.7, SHA:Aur, 39.1, Tetrico venne nominato
corrector Lucaniae. 178 Cfr. Homo 1967, p 116-121; Mattingly 1961, p. 306; Parker and Warmington 1963, p. 204. 179 Di nuovo, Eutrop 9.13.1;Vict:Caes 35.5; Hieron:Chron, 222g riportano, in accordo con SHA:Aur,
34.2, quando viene riportato come anche Tetrico fu portato e mostrato nel trionfo di Aureliano, insieme
alla regina di Palmira.
58
La Dacia. Debolezza o lungimiranza?
Per quanto riguarda le notizie storiche e le fonti, nuovamente la situazione si
presenta nebulosa e di difficile soluzione180
. Infatti Eutropio181
dice che con l‟Illirico e
la Mesia in rovina, Aureliano non sperava più di recuperare la Dacia per cui tanto
valeva abbandonarla, mentre Festo parla della Dacia che era già stata persa sotto
Gallieno182
, per cui vengono poi create due province daciche nella regione della Mesia e
della Dardania, di dimensioni ridotte e maggiormente difendibili. Sempre in tema di una
maggiore facilità di difesa, questo argomento è stato anche usato alla luce del fatto che
la Dacia era stata tagliata fuori dall‟Impero, come ad esempio Malalas183
suggerisce
quando sostiene che Aureliano creò semplicemente la provincia della Dacia Ripensis,
“riducendone soltanto le dimensioni”. In un tentativo di migliorare l‟immagine
dell‟imperatore o mitigare il gesto dell‟abbandono, la Storia Augusta riporta che
Aureliano, dopo aver abbandonato la Dacia, spostò uomini e truppe nel centro della
Mesia che chiamò Dacia184
, riprendendo molto da vicino Eutropio, ma aggiungendo
anche che Aureliano ritirò dalla regione, truppe e civili. Al di là della disparità e
dell‟incongruenza delle informazioni, le uniche versioni che mi sentirei di escludere
sono Eutropio perché, stando al suo resoconto, c‟è da credere che i motivi siano stati la
rovina e lo spopolamento del territorio, quando invece non esistono altre fonti che, di
quel periodo, cioè intorno al 275185
, parlino di grandi stravolgimenti economici, di
devastazioni improvvise o di calamità particolari. Allo stesso modo non mi sembra
180 A questo proposito cfr. Homo 1976, p. 306. 181 Eutrop, 9.15.1. 182 Cfr. Vict:Caes, 33.3 e Eutrop, 9.8.2. 183 Malalas 12.301. 184 SHA:Aur, 39.7. 185 Per un‟analisi più approfondita sul quando, cfr. Bodor 1973, pp. 29-40; va comunque tenuto presente
che difficilmente non avrebbe potuto farlo prima, dato che si era presentato come l‟unificatore e
restauratore dell‟Impero e avrebbe sicuramente indebolito la propria posizione se avesse subito
abbandonato quel territorio, non avendo ancora stabilizzato il proprio potere.
59
plausibile la Vita Aureliani, perché non abbiamo grandi notizie di spopolamento e di
migrazioni da una regione all‟altra. Il resto sarebbe pura speculazione.
Gli eventi analizzati fino a questo momento – il lungo processo di riunificazione
dell‟impero da parte di Aureliano e l‟abbandono della Dacia – hanno meritato un lungo
descrizione dal momento che pongono in luce diversi aspetti significativi relativi a cosa
si debba o non si debba fare per reggere un impero; inoltre evidenziano anche quali
possano essere i fattori e le caratteristiche necessarie ad un impero per mantenersi, per
crescere o comunque per non decadere.
Centro e Periferia
Da sempre e in ogni campo e in ogni sfera umana, vige la regola che man mano ci
si allontana dal centro, qualunque esso sia, e qualunque valore o ambito esso
rappresenti, i legami si allentano e i contatti diminuiscono o aumentano gli sforzi che si
devono fare per preservarne lo status quo; vale per i campi magnetici come per i
rapporti interpersonali, per la forza che esercita un capo carismatico o per la velocità
con cui si può diffondere un‟informazione. E nell‟ambito delle istituzioni politiche, da
sempre le relazioni tra centro e periferia si giocano e ruotano attorno a complesse e
precarie relazioni e equilibri sempre in movimento e in continua evoluzione, dove
ciascuna delle parti prova e cerca di attrarre a sé l‟altro, in un gioco di forza che non ha
mai fine. L‟Impero non fa eccezione, e tanto meno lo fa l‟impero romano; il III secolo
in particolare, e le varie usurpazioni mostrano chiaramente le derive della e verso la
60
periferia. Il regnum Galliarum, così come il regno di Palmira e le usurpazioni dei vari
generali stanziati nelle province, sono tutti esempi di squilibri di potere186
.
Ogni processo di conquista e di espansione parte da un punto fisso che diventerà il
centro di un futuro impero, il cuore pulsante della futura potenza politica187
ed è in
questa chiave che si inseriscono le capitali, e si inserisce tutta la terminologia su e di
Roma188
. Ma, di nuovo, per quali fattori si creano le fratture tra centro e periferia? Cosa
si frappone tra i due soggetti e cosa interviene a modificare un rapporto che all‟inizio
pareva stabile, duraturo, indistruttibile? Esercito, società, mos maiorum e imperatore
sono tutti concetti che in un modo o nell‟altro sono già stati menzionati e affrontati e
l‟importante ora è inserirli e analizzarli da angolazioni diverse, per provare a capire le
loro sfaccettature e soprattutto provare a inserirle in un discorso di renovatio imperii, di
dinamiche di potere e di strumenti per cementificare un‟unità politica e territoriale.
Il fattore più ovvio e fondamentale è senza ombra di dubbio la venuta meno
dell‟autorità centrale – le cui cause sono già state prese in considerazione – unita alla
venuta meno della forza e della spinta propulsiva che ha guidato l‟espansione iniziale;
un suo vuoto o una sua debolezza crea scompensi che si ripercuotono poi in tutte gli
altri ambiti, in primis sulla capacità di esercitare un potere coercitivo sulle regioni
esterne e limitrofe. I continui cambiamenti nel III secolo, hanno certamente
destabilizzato la situazione, soprattutto a livello di governo centrale; la precarietà della
186 Mazzarino 1988, p. 40. 187 Così recita North (1981), a proposito dell‟impero come istituzione: “An Empire is the geopolitical manifestation of relationships of control imposed by a state on the sovereignty of others… generally it
combine a core, often metropolitan- controlled territory, with peripheral territories and have multiethnic
or multinational dimensions, North 1981, p. 7. 188 RutilNam, I; inoltre vedi Garnsey (1987) quando sostiene che l‟unico vero culto esportato e imposto
sul resto dell‟impero è stato sicuramente il culto dell‟imperatore, spesso associato, unito o comunque
affiancato da quello di Roma con epiteti come città eterna, mater patriae, unico in grado di porsi o
sovrapporsi a fianco degli altri culti esistenti, senza causare dissidi, rivolte o obiezioni (a parte il caso
degli ebrei); Garnsey 1987 p. 163.
.
61
difesa delle province periferiche, le quali sempre più han dovuto provvedere da sole alla
propria difesa, ha suscitato dubbi e perplessità nella popolazione e nelle élite locali; esse
si sono chieste a cosa servisse continuare ad obbedire ad un potere che pareva aver
perso persino una propria identità: il rapporto costi-benefici dell‟essere asserviti o
dell‟obbedire pendeva decisamente a favore dei primi per cui un grande dispendio di
energie non corrispondeva un eguale ritorno o contraccambio. L‟incapacità di gestire i
problemi, di garantire la pace o ancor più semplicemente di proteggere la vita dei propri
componenti – elemento base e costitutivo di un impero, forse addirittura il motore di
tutto il processo di genesi imperiale – ha scardinato le basi dell‟impero stesso. La
pretesa di superiorità del centro, presupposto della sua egemonia e della sua
legittimazione a governare, era stata erasa anche molto più banalmente a livello
geografico, per cui le numerose guerre civili avevano mostrato con evidenza che un
imperatore non doveva per forza provenire dall‟Italia, ma anche da un‟altra parte che
non fosse Roma e la sua classe dirigente189
.
Mi pare interessante aggiungere ciò che scrive Edwards (2004) quando ribadisce e
rivisita l‟importanza della Constitutio Antoniniana190
e la portata effettiva di un simile
provvedimento. Infatti, sosteneva Edwards (2004)191
, trattarla come semplice mezzo per
incrementare le entrate con una tassazione più estesa192
, è un agire superficiale o poco
accurato. Acquisisce più senso invece se la si intende come un modo per fissare la
nascita di un‟era cosmopolita in cui Roma ha perso la sua centralità. Infatti è passato
oramai del tempo da quando la Città Eterna può rivendicare una propria superiorità o
una propria preminenza rispetto alle altre province e alle altre città – considerato anche
189 Mazzarino 1988, p. 543. 190 Vict:Caes, XVI, 12; Fontanella 2007, p. 103; Marotta 2009, p. 101, oppure Heather 2008, pp. 192-193. 191 Edwards 2004, p. 114. 192 Come invece fa DioCass, 78.9.5.
62
che tutte le risorse provengono dalle aree limitrofe e gli imperatori stessi provengono
dalla periferia, da quei territori in cui è richiesto un intervento militare costante. I
cambiamenti e gli stravolgimenti che stanno avendo luogo fanno emergere anche “nuovi
romani”, nuove classi dirigenti, che maturano una concezione diversa dell‟impero
romano, che sviluppano idee diverse per le quali gli antichi simboli, i vecchi rituali e i
precedenti valori si dimostrano troppo lontani o astratti: esempio sempre lampante è il
fatto che fosse ormai scomparso il culto della città di Roma. La situazione è
leggermente migliore invece nell‟oriente romano, dato che era mitigata dalla concezione
che l‟impero coincideva con l‟imperatore, e questo lasciava comunque un margine di
identità, un appiglio cui ancorarsi e a cui guardare193
nel mar d‟incertezza.
La grande varietà ed estensione dei territori, il deterioramento delle condizioni
politiche e militari, le limitate comunicazioni oggettive dell‟epoca e danneggiate per di
più dai conflitti, sono elementi che hanno incrementato una “tirannia della distanza”194
,
tale per cui l‟imperatore diventa chiunque sia in grado di difendere la popolazione195
.
Gli imperatori delle frontiere si presentano anche perché vien meno il centro, perché
prima simili pulsioni, propensioni e derive erano controllate e limitate; adesso
qualunque imperator che non si assuma personalmente il ruolo di capo dell‟esercito, si
espone al rischio divenire spodestato da chiunque riesca a respingere e sconfiggere
un‟invasione196
. È in questo contesto che si pone l‟idea di difesa in profondità e di
difesa elastica di Luttwak197
, il quale vede come conseguenza diretta l‟abbandono del
preventivo e statico sistema di sicurezza difensivo dell‟età Flavia, a favore di una
maggiore elasticità, affidata alle forze di cavalleria. In altri termini, se il sistema che
193 Brown 1974, p. 33. 194 Millar 1982, pp. 11-15. 195 Cfr. la situazione di Odenato e Postumo di cui supra. 196 Watson 1999, p. 15. 197 Luttwak 1991, pp. 130-145.
63
durò fino ai Severi può essere inteso come un grande accampamento mobile198
,
successivamente invece le infrastrutture militari calano per numero di uomini e per
capacità contenitive e assolvono all‟unico compito di avvisare e all‟occorrenza
tamponare o rallentare l‟avanzata nemica in attesa che l‟esercito vero e proprio – il
futuro comitatus – raccolga attorno a sé i vari distaccamenti e marci incontro agli
invasori. Una simile strategia, benché si presenti necessaria e contingente, si rivela
dannosa sul lungo periodo. Infatti, è da un lato necessaria perché gli imperatori non
potevano permettersi il lusso di tenere grandi forze nelle frontiere – per il solito timore
di fornire ai comandanti eserciti numerosi che avrebbero potuto minacciare il loro stesso
potere – dall‟altro questo li obbligava a cambiare strategia, aspetto emblematico e
rappresentato dal ricorso massiccio alle forze di cavalleria199
. Il sistema in profondità
permette una limitata conservazione dei territori perimetrali, dato che sono anche
controllati da piccoli distaccamenti, ma è utile e funzionale dato che perché permette di
concentrare la guida dell‟esercito nelle mani dei soli imperatori, e al contempo è
abbastanza flessibile da assicurare un intervento in diverse direzioni. Il sistema elastico
rimase la loro unica opzione, tenuto anche conto che gli imperatori di questo periodo
preferivano di gran lunga tenere una forte presenza militare presso di sé, piuttosto che
disperderla e assottigliarla lungo le frontiere, sia per timore dei nemici che di eventuali
usurpatori.
Sono sempre Luttwak (1976) e Ferril (1986) a suggerire a presentare un altro
fattore di scoramento che ha distrutto l‟intera concezione di impero nel il III secolo, e
198 In base a questa strategia la rete di difesa dei confini vedeva un ampliamento delle fortificazioni e
degli effettivi dell‟esercito, la cui forza viene usata in maniera diretta. L‟importanza di tutte le opere di
fortificazione risiedeva nel fatto che esse erano utilizzata come teste di ponte, come punti di partenza da
cui far partire le offensive romane e non come una barriera che tenesse lontani i nemici. Costituivano
l‟ultimo baluardo difensivo, l‟ultimo fronte di difesa e si dimostrava valido nella misura in cui l‟esercito
si manteneva attivo, aggressivo e proteso verso le popolazioni di confine. 199 Luttwak 1991, pp. 219-224.
64
più precisamente l„idea che la difesa delle remote frontiere sembrò al governo centrale
molto meno importante che la protezione del regime imperiale stesso. Ai più parve che
la preservazione del potere personale venisse anteposta alla sicurezza dei suoi
componenti e questo comportò la scomparsa di una concezione di corpo unico, di affetto
e voglia di sacrificio per un‟entità statale che non teneva e non si curava dei propri
abitanti200
. A peggiorare la situazione o a incrementare e favorire la parcellizzazione del
potere imperiale, ci fu il fatto che vennero nominati come governatori delle province gli
stessi uomini che erano già i più importanti proprietari terrieri di quei territori; se questo
dava la certezza che le esigenze e le richieste dell‟autorità raggiungessero in profondità
la società, al contempo radicava il potere locale a discapito di un controllo
amministrativo e politico centrale, avviando quel procedimento che troverà il suo
completamento nell‟età feudale di scollegamento tra popolazione e re o imperatore.
Oramai le tasse venivano pagate e le reclute si presentavano all‟esercito perché erano i
grandi proprietari a garantire e a convincere la popolazione, diventando gli intermediari
e al contempo gli unici punti di riferimento per le classi più basse, le quali perdevano
quel legame diretto, sentito e personale con il potere centrale, cioè con Roma. Nasce
una nuova figura del patronus, con diversi vincoli di fedeltà e di clienti, con legami ora
verticali che sono il preludio dei rapporti vassallatici201
. Infatti in questo clima di
sfiducia e di crisi, di pretese da parte dell‟impero centrale che non parevano
corrispondere a benefici, la popolazione iniziò a sentirsi abbandonata. I titoli altisonanti
e le grandi promesse di gloria e potenza che venivano presentati o professati, o che si
200 Ferril 1986, p. 30-1; Luttwak 1991, p. 129. 201 Questo cambiamento nella società è stato associato anche alla scomparsa dei senatori dalla cariche e
dagl uffici militari a partire dal 260; infatti una simile stratificazione delle strutture sociali romane
comportò un aumento della separazione tra ufficiali militari e autorità civili. Questo, a mio avviso, può
essere un motivo di quella bipartizione che si verificherà successivamente e che creerà scollegamenti tra
le forze militari – principalmente barbari – e autorità civile e che porterà ad una spaccatura all‟interno
dell‟IMPERO stesso; cfr. Watson 1999, p. 4.
65
attribuivano all‟imperatore, non sembravano riflettersi nella vita reale e il vulgus si
sentiva indifeso, abbandonato, lasciato a se stesso: l‟unico appiglio in questo mare in
tempesta, per ora, erano i nobili, i grandi e vicini – in senso fisico perché visibile,
tangibile e concreto – proprietari terrieri che offrivano protezione, sicurezza e
affidabilità contro i nemici esterni, ma anche interni come gli esattori, i funzionari
statali o i soldati stessi. Il semplice cittadino si sentiva abbandonato e lasciato a se
stesso, in balia di eventi troppo grandi per lui: una situazione che deve essere stata
provata anche dagli abitanti della Dacia e poi della Britannia, al momento del loro
abbandono202
. E proprio la Dacia può essere importante per noi, perché è un episodio
della vita di Aureliano che si presta a farci capire come si sia arrivati a questo e se fosse
possibile evitarlo. Cosa può spingere un imperatore che si è impegnato o si vuole
impegnare a riunificare l‟impero, ad abbandonare alcuni suoi territori? È giusto, o
meglio è accettabile, abbandonare al proprio destino qualcuno affidato alla propria
custodia?
Più che una risposta affermativa o negativa, la vera problematica risiede nel
riuscire a capire la ratio dietro un simile agire; nel provare ad immaginare cosa possa
aver spinto Aureliano a prendere una simile decisione, tenuto conto anche delle
numerose energie spese nel processo di riunificazione dell‟impero. Tra le varie possibili
spiegazioni, quelle più realistiche e plausibili che ho trovato, sono motivazioni militari e
amministrative, o comunque che rientrano sotto quell‟idea che è stata recentemente
definita dagli studiosi, come Overstretch203
.
202 Snyder 1998, pp. 13, che cita Zos, 4.35.2-6 e 37.1-3 che riporta come nel 383,” il generale romano
all'epoca assegnato alla Britannia, Magno Massimo, si rivoltò usurpando la porpora…”. L‟importanza è
anche legata al fatto che il 383 è l'ultima data in cui è attestata la presenza romana al nord e all'ovest della
Britannia. 203 Un altro termine che viene spesso impiegato è overcomittment, cfr. Munkler 2008, p. 174.
66
La Dacia, nuovamente era stata da Traiano, con le massicce campagne del 101-
2204
e 105-6205
; fu una conquista che apportò innumerevoli benefici, soprattutto in
bottino e in risorse per lo stato206
. Ma le domande rimangono; come mai Traiano si
lanciò in un‟impresa comunque difficile e densa di pericoli? Puro imperialismo o
esigenze strategiche? Aspirazione di gloria o motivazioni economiche, di bottino e di
arricchimento? Sicuramente non si può trascurare Dione Cassio207
, che presuppone un
desiderio di gloria, ma poi possiamo trovare anche motivi economici per la presenza di
miniere d‟oro208
, oppure ragioni strategiche, dato che la conquista di Traiano teneva
divisi ad Oriente e ad Occidente le popolazioni barbare di quella regione, impediva una
loro unificazione e creava anche un avamposto per attaccarli209
. E allora perché
Aureliano l‟ha abbandonata? Perché lasciarla? Addirittura già Adriano, il successore di
Traiano, aveva contemplato l‟idea di ritirarsi, così come aveva fatto per le nuove
province di Persia210
.
E questo, nuovamente, è stato definito come Overstretch.
Overstretch
“…overstretch as the overextension either geographically, economically, or
militarily that inevitably leads to the exhaustion of vital domestic resources, decline,
and fall211
.”
204 DioCass, LVIII, 6.2- 9.5; Coarelli 1999, pp.72-79. 205 DioCass, LVIII, 10.3 – 12.5; Coarelli 1999, pp. 162-194; pp. 216-225. 206 Si narra infatti che la conquista della Dacia fruttò a Traiano un enorme bottino, stimato in cinque
milioni di libbre d'oro (pari a 163,6 t) e nel doppio d'argento; cfr. Cassio Dione, LVIII, 14, 4-5;
Plinius:Ep, VIII, 4, 2; Coarelli, 1999, pp. 208-209. 207 DioCas, 68.17.1. 208 “…infatti, la presenza nella regione di numerosi giacimenti auriferi avrebbe incrementato le non
elevate riserve d’oro presenti nelle casse dello stato, favorendo una soluzione ai problemi finanziari di
Roma” (DioCass, LVIII, 6, 1-2). 209 Luttwak 2001, pp. 100-1, 104, 155-158. 210 DioCass, LXVIII, 33. 211 Cfr. Kennedy 1987, p. 437.
67
Queste parole di Paul Kennedy spiegano e sintetizzano un tema da molto tempo
caro agli studiosi dell‟Impero. L‟autore espone questa teoria quando prova a spiegare i
motivi che portano un impero apparentemente invincibile alla decadenza:
“Se [le grandi potenze] spendono troppo, principalmente per le armi (o, più
frequentemente, per mantenere gli impegni militari che hanno assunto in precedenza) a
un costo sempre più elevato, corrono il rischio di affaticarsi, come un vecchio che
cerchi di fare qualcosa al di là delle sue forze…212
”.
È un dubbio che si deve porre chiunque tratti di imperi o di entità territoriali in
espansione, perché è cruciale capire fin dove sia lecito espandersi, se sia fattibile e
salutare per un‟organizzazione statale estendere i propri possedimenti, senza curarsi
della sostenibilità di una tale scelta, in termini di risorse e non solo economiche. A mio
avviso è secondo questa prospettiva che si inserisce il discorso sulla Dacia di Aureliano
e, se vogliamo, su tutto il suo operato, e quindi anche sul suo impegno per la
riunificazione dell‟impero. Perché non dimentichiamo che ci sono storici e studiosi che
hanno rimproverato all‟imperatore il fatto di aver ricomposto l‟unità territoriale. È
questo il caso di Gigli (1947)213
, quando loda Aureliano celebrando le sua capacità
militari ma aggiunge che “riportò l‟impero all‟unità, sbagliando strategia perché
avrebbe dovuto mantenere la divisione”, cosa che invece ha fatto Diocleziano, il quale
212 Kennedy 1987, p.727; ; Pagano 2005, pp. 147-178. 213 Gigli 1947, p. 224. In tempi più recenti, uno studio imprescindibile è rappresentato da Doyle (1986),
quando descrive la natura del dominio delle aree periferiche che è “situated within a larger discussion of
three conditions the author states are necessary for the maintenance of empire. They are: A highly
integrated central metropole, a periphery that is fractured enough not to provide any reasonable
competition, and a common interest (religious, military, political) that can integrate the periphery with the
metropole”, Doyle 1986, pp. 130.
68
ha avuto il merito di rassegnarsi all‟inevitabile, di capire come l‟impero non potesse più
essere gestito come un corpo unico. Dissimulando dietro lo schermo istituzionale della
tetrarchia, e mettendo a repentaglio una volta per tutte, il bene supremo di quel tempo,
cioè l‟unità dell‟Impero, Diocleziano ha davvero acquistato prestigio e importanza agli
occhi di studiosi contemporanei perché è stato il primo a capire e a ufficializzare una
realtà che si era palesata da tempo: l‟impero così come era, non poteva sopravvivere o
resistere a lungo. Gigli e come lui tanti altri214
, pone in dubbio la validità della decisione
di Aureliano sul lungo termine. Allora viene spontaneo chiedersi come mai l‟imperatore
si sia davvero speso per riunificare i domini romani, ma allo stesso tempo non si sia
fatto scrupolo di abbandonare la Dacia: quali possono essere le motivazioni?
Sicuramente al tempo di Aureliano la situazione dello Stato e la condizione
politica, economica e militare dell‟impero non era la stessa di quella che vigeva
inizialmente: gravemente minacciata da più parti, esisteva una crisi economica che
colpiva il cuore dell‟imperium; le guerre che si conducevano non erano più espressione
di potenza economica e militare, ma solo difensive o puramente propagandistiche; non
erano più conflitti scatenati per dare sbocco a un esuberante stato di salute o ad una
convinta volontà di potenza civilizzatrice, ma scontri disperati che vedevano in prima
linea la salvezza stessa dei territori. In quest‟ottica quindi la Dacia era troppo esposta ad
attacchi215
e non proteggeva più le regioni del sud, così come non rappresentava più
un‟ipotetica testa di ponte per un attacco massiccio.
214 Gibbon (1990) ad esempio parla di Diocleziano come di colui che ha rifondato l‟impero, anche perché
fino al 260 l‟imperatore “…governava solamente sui territori dell’Italia e del Nord Africa”, Gibbon 1990,
p. 378. 215 Homo 1967, pp. 313- 315; Parker and Warmington 1963, p.210.
69
Al tempo di Aureliano la Dacia non era d‟aiuto a nessuno e rappresentava pertanto
più un ostacolo che un aiuto216
. La politica dell‟imperatore illirico sembra porsi in linea
di continuità con Augusto, con le raccomandazioni che si leggono nelle Res Gestae; non
è un caso che la maggior parte degli imperatori abbia sempre guardato e preferito il
consolidamento e la stabilità piuttosto che l‟espansione; non ci dovrebbe sorprendere se
con alterne vicende, le conquiste romane siano rimaste praticamente inalterate rispetto a
come Augusto le aveva lasciate ai successori. Era stato Traiano a porsi in discontinuità
con i propri predecessori e ad ignorare così il consiglio del fondatore del principato, di
mantenere cioè l'impero entro i confini "naturali", da lui stesso lasciati217
. E allora dove
sta la ragione di tutto questo? Cosa è più importante per un impero? Il processo di
conquista oppure il mantenere integri i propri possedimenti? È consigliabile per la salus
imperii una politica espansionistica oppure un‟altra strategia, maggiormente improntata
a mantenere e preservare ciò che si ha? Ancora una volta, dal momento che non esistono
verità o principi assoluti, bisogna sempre considerare le motivazioni dell‟agire, capire
da cosa esso scaturisca, da cosa sia spinto o che cosa esso rappresenti.
216 Luttwak 1991, pp. 100-1, 104, 155-158. 217 …consilium coercendi intra terminos imperii, Tac:Ann, I, 11.
70
Lo stesso Ottaviano ha ampliato i confini dell‟impero molto meno di quanto
intendesse fare inizialmente, poiché sembra volesse avanzare fino e oltre il reno, per
stabilire un confine più avanzato e sicuro218
; è stata soltanto la cocente disfatta a
Teutoburgo a frenare i suoi propositi di conquista, anche perché non va dimenticato né
tanto meno sottovaluto, cosa possa aver comportato a quel tempo la perdita simultanea
di tre legioni ben addestrate. Però qui si pone un primo problema; una volta perse tre
legioni, era giusto fermarsi e non proseguire? Visto che proseguire a qualunque costo
avrebbe comportato un eccessivo depauperamento non solo demografico, ma anche
economico e d‟immagine219
, è stata una saggia mossa non insistere troppo; è per contro
sbagliato fare però di un simile arresto una legge e una regola universale da rispettare a
priori. Un‟espansione militare deve essere sintomo di prosperità, di sviluppo e di
benessere: se ci sono queste condizioni220
, deve essere più che naturale per un impero
darvi seguito con una politica estera aggressiva. Se invece non ci sono queste premesse,
ogni altra azione deve essere subordinata a ricreare prima quelle condizioni di pace,
prosperità e ricchezza che poi daranno in automatico il via a nuovi processi di
conquista221
. Un impero non può e non dovrà mai accontentarsi di ciò che è; deve essere
sempre proteso verso l‟esterno, verso le zone di confine, animato da un desiderio
218 Garnsey 1987, p. 7; Doyle, pp. 93-97; Munkler 2008, p. 101-103, 149. 219 Non bisogna infatti dimenticare come Augusto abbia giocato buona parte della propria propaganda
sull‟immagine del Restauratore della Pace, di colui che aveva riportato l‟impero romano ad una nuova
epoca, fatta di pace e prosperità, dove finalmente regnava anche la pax Deorum. 220 Vedere l‟esempio proprio di Traiano, ben spiegato anche da Amy Chua (2007) nel suo famosissimo
libro intitolato “The Day of Empire. How Hyperpowers Rise to Global Dominance and Why They Fall” in
cui l‟autrice, parlando della Spagna delle Grandi Scoperte, spiega chiaramente come l‟unico vero fattore che ha portato la Spagna verso un‟egemonia in Europa sia stata la superiorità militare; però poi aggiunge
come una tale supremazia non fosse presente in nessun altro aspetto della società spagnola. L‟espansione
militare non è stata supportata da nessun‟altra adeguata base di supporto, per le proprie istituzioni e il
proprio potere; non si è così verificata la ricerca di un sostegno diffuso presso le popolazioni sottomesse,
una valenza ideologica per tenere unite le proprie conquiste, un‟adesione a propri principi e valori,
un‟organizzazione capillare e sistematica dei propri possedimenti. Così infatti scrive: “its superiority and
heyday were essentially linked with the military supremacy and hegemony, but when this could no longer
be sustained, Spain lost its predominance in Europe, as it overdid its policies far beyond what it could
sustain”. Chua 2007, pp. 130-137. 221 Lattimore 1970, p. 59.
71
continuo di espandersi e di allargare i propri possedimenti, volenteroso di tradurre così
in una politica di ampliamento, le proprie condizioni di benessere economico, militare e
culturale222
. Se una qualsiasi entità statale si ferma, si adagia sugli allori e ritiene di
“essere arrivata” e di non aver più nulla da dire o da dare, allora a mio avviso nasconde
già in se stessa l‟inizio del proprio declino, anche se esso non si svelerà subito223
. E di
nuovo però una precisazione: l‟espansione deve essere un sintomo di una prosperità
interna224
e non un processo fine a se stesso, frutto di personali e privati aspirazioni di
gloria, poco compatibili con la restante situazione225
o volti a distogliere l‟attenzione
della popolazione da problemi più gravi e contingenti. Spesso infatti si tende a dar vita
ad espansioni territoriali, con il chiaro intento di ricreare forzatamente quel senso di
unità che si sta incrinando nei propri cives, oppure di distrarre l‟attenzione da problemi
più gravi o ancora perché non si è riflettuto abbastanza, ma si è agito per soddisfare e
accontentare le puerili esigenze della società. Ha fatto bene l‟erede di Giulio Cesare a
fermarsi, ma non i suoi successori e allo stesso modo ha fatto bene Aureliano a
rinunciare alla Dacia, proprio perché erano venute meno le premesse che l‟avevano
generata. Ma poi? Cosa aveva in mente l‟imperatore, una volta ridimensionato il confine
e resi più sicuri i territori limitrofi? Si trattava forse di un abbandono definitivo oppure
222 Munkler 2008, p. 16-51; Bravo 2009 p. 202-215. 223 Cfr. proprio l‟impero romano la cui decadenza viene ora fatta iniziare ben dopo la Tetrarchia. 224 A questo proposito viene nuovamente in aiuto uno studio recente condatto da Roger Burbach and Jim
Tarbell; anche loro concordano con l‟affermazione e la teoria di Kennedy secondo la quale la crescita di
un impero devee essere frutto di preponderanti forze centripete, forze che sono principalmente
economiche: “its (of an empire) natural inclination is to expand its economic base to fund the military administration of the territory under its influence. Burbach and Tarbell argomentano che il declino inizia
quando l‟economia non può più incontrare i bisogni e le esigenze dei costi amministrativi, militari e di
gestione. L‟autore fa questo discorso riferendosi agli USA e alla loro invasione dell‟Iraq e
dell‟Afghanistan, premessa di una loro decaduta e ridimensionamento a livello egemonico; cfr. Burbach,
Roge, Tarbell, Jim, Imperial Overstretch: George W. Bush and the Hubris of Empire, Fernwood 2004. 225 A questo proposito citerei l‟espansione in Britanni condotta da Claudio, le cui motivazioni sembrano
essere personali, giusto per soddisfare i propri desideri di gloria, per guadagnare un po‟ di consenso
presso la popolazione di Roma e non doversi così sentire inferiore rispetto ai propri antenati; la Britannia
infatti non rappresentava una grande meta, una preda da ambire perché era ritenuta povera di risorse e non
rappresentasse nessuna minaccia per la Gallia (Strab 780-2; Plin:HN 6.159-62).
72
dietro si celava il proposito di riconquistarla una volta che si fossero ricreate le
premesse226
?
Le notizie che abbiamo sulla morte di Aureliano227
, e in particolare, su cosa ci
facesse a Caenophrurium, in Tracia228
, o ancora più specificatamente tra Eraclea e
Bisanzio229
, concordano su di un punto: era lì per una spedizione militare. Si apprestava
cioè a condurre un‟altra guerra. Infatti HA dice che partì dalla sua campagna di Retia e
di Gallia per l‟Illirico, dove stava preparando un grande esercito per attaccare i
Sassanidi230
; una guerra quindi, ma a quale scopo? Difficilmente per riconquistare la
Mesopotamia231
, tenuto conto che secondo le versioni più accreditate era già stata
conquistata, e proprio da Aureliano232
. Altamente improbabile mi sembra anche la
spiegazione che parla di un desiderio di annessione dell‟Armenia233
, dato che era una
guerra così puerile, dall‟esito incerto, senza fondamento, e che avrebbe comportato solo
uno spreco di risorse senza un reale compenso, ritorno o guadagno.
Inoltre escluderei anche motivazioni personali, dato che Aureliano non si trovava
in una posizione di potere precario o indebolito, tale per cui un‟eventuale campagna
226 Non dobbiamo infatti dimenticare che una delle motivazioni principali dell‟invasione della Dacia era
stata la presenza di importanti giacimenti auriferi, aspetto questo ancora più importante per Aureliano se
si considera la sua successiva riforma monetaria; vedi DioCass, LVIII, 10.3 – 12.5; Coarelli 1999, pp.
162-194; pp. 216-225. 227Vict:Caes. 35.8; Eutrop 9,.15.2; [Vict]:Epit. 38.5; SHA:Aur, 36.4-6; Zos, 1.62; Zonar, 12.27. 228 Chronica Urbis Romae, p. 148;Vict:Caess 35.8; Malal 12.301. 229 Eutrop 9.15.2; Hieron:Chron 223c; SHA:Aur, 35.5; JoanAnt, FHG IV p. 599 #156; Sync 721, molti dei quali come Malal, comunque, si rifanno a Eutropio, cfr. [Vict]:Epit, 35.8 che parla di inter
Costantinopolim et Heracleam 230 SHA:Aur 35.4-5, mentre Zonara e Sincello parlano di una spedizione contro i Goti (Zonar 12.27, Sync
721). Così come anche Homo 1967, p 314; Mattingly 1939, pp. 309-310; Mazzarino 1956, p. 378; Syme
1971, p.243; Fisher 1929, pp. 134, 137, 143. 231 Homo 1967, p. 322; Mattingly1961, pp. 309-310; Parker and Warmington 1963, p.210. 232 Invece secondo altre fonti, la Mesopotamia ritornerà sotto il giogo romano solo con Probo nel 283.
Cfr. Homo 1967, p.107; Parker and Warmington 1963, p. 219; Mattingly 1961, p. 322. 233 Le argomentazioni forniscono questa interpretazione perché da sempre regione era ambita, come
testimoniato dal fatto che essa entrerà nei domini romani sotto Diocleziano e Galerio.
73
vittoriosa avrebbe fornito stabilità e prestigio alla sua posizione234
. Sia che si consideri
la spedizione contro i Goti, sia che si guardi ad una spedizione contro i Sassanidi,
entrambe sono funzionali al nostro discorso di un impero/imperatore che non può
accettare ai propri confini, sia internamente che esternamente, entità ad esso ostili o
contrarie235
.
Più propriamente, questo discorso riconduce nuovamente alla tematica della
sostenibilità o insostenibilità della conquista; è sulla frontiera che si gioca l‟idea di
Overstretch236
; è sulla frontiera che si trova il pericolo maggiore per la stabilità politica
ed è sempre qui che si verificano le maggiori problematiche che possono essere
sintetizzate in un unico termine: il Limes237
o, nel senso lato del termine, frontiera
appunto238
. Originariamente, questo termine si inseriva in un contesto di distribuzione
della terra, e indicava una strada o una via che separava un terreno da un altro; tuttavia,
come moltissime altre parole nella storia dell‟Impero romano, anche questa parola è
incorsa in una propria evoluzione e sviluppo239
.
Inizialmente infatti è stato usato per indicare percorsi, vie e itinerari di
penetrazione nel territorio nemico e non per linee che delimitano e che creano una
frontiera; solo in seguito il suo significato verrà ampliato e, a partire da Tacito (il quale
oltre ad usarlo secondo il suo significato solito, sarà anche il primo ad impiegarlo con il
234 Aureliano aveva già il titolo Parsicus/ Parthicus Maximus e perciò non c‟è motivo di sapere perché
avesse bisogno/ volesse altro prestigio; Homo 1967, p.105; Peachin 1990, p.92, 393-400, 403; CIL III 7586, CIL XII, 5561, CIL XII, 5571. 235 Wolfram (1997) parla infatti di una “duplicazione dei motivi per cui Galerio nel 297 era intervenuto:
minacce ai confini che non potevano e non dovevano essere ignorate”, Wolfram 1997, p. 101. 236 Schiavone 2003, p. 28. 237 Sordi 1988, p. 282. 238 Così Lattimore (1970) definisce la frontiera, quando parla del fragile confine tra Cina e Mongoli,
ricorrendo e spiegandola come un‟identificazione di limiti economici e ecologici dell‟espansione
imperiale, cioè, overstretch: “compromesso tra possibilità di conquista e un’economia di governo
(Lattimore 1970 pp. 241-243) 239 Schiavone 2003, p. 2-6.
74
significato di “frontiera, di soglia dell‟Impero240
”), inizierà ad indicare sempre meno
una linea di transito, ma sempre di più una zona di frontiera241
. E tutto quello che è stato
affermato fino ad adesso concorre a suggerire l‟idea che anche gli imperatori Romani –
e più in generale gli alti gradi dirigenziali, di governo romani – avessero una certa
consapevolezza, anche se vaga e grezza, di che cosa avrebbe potuto essere un costo
marginale di espansione; infatti si interessarono solo della “parte migliore della
Britannia dato che essi non si interessavano del resto242
”.
Conclusione
In conclusione quindi il concetto di iperestensione dei confini era un qualcosa di
ben noto e presente anche a Roma; e non me la sento per questo di concordare con
Gigli 1947243
quando sostiene che Roma, con Aureliano “ha commesso nel III e nel II
secolo a.C. lo stesso errore che commetterà poi Giustiniano, ossia si è dilatata” e si è
espansa oltre il suo potere di assimilazione”. Perché si può concordare sul fatto che
un‟espansione territoriale sia deleteria se non sia suffragata e supportata da solide basi,
di natura anche culturale, economica e sociale244
. Però è esagerata l‟affermazione per
cui Roma era destinata a cadere, che la sua decadenza fosse già insita nella sua storia, e
che il suo declino si fosse scritto precisamente nel momento in cui ha inglobato
240 anche se è con Caracalla che compare precisamente come frontiera fortificata (Tac:Ann, 1.50; 2.7;
Tac:Agr, 41.2 ; Tac:Germ, 29.4. 241 Lintott 1993, p. 41; Zanini 1997, p. 19. 242 Anche in base a ciò che dice Whittaker 1993, p.86; Arriano 7.4. 243 Gigli 1947, p. 253. 244 Se si supera la soglia augustea infatti, un impero può ancora risultare duraturo. Infatti se riesce a
compensare con altre forze, se riesce a sopperire alle proprie mancanze come sono riusciti a fare l‟impero
romano e quello britannico per un certo periodo di tempo, con altri fattori, ecco che la stabilità
dell‟impero è comunque assicurata; si pensi ad esempio proprio ad Ottaviano che riuscì a ridurre la
rilevanza del potere militare e accrebbe parallelamente il peso del potere politico, economico e soprattutto
ideologico nell‟impero. Perciò nelle province non ci fu più il desiderio di sfruttamento ma una finalità
civilizzatrice e in questo modo venne sminuito e ridimensionato il ruolo dell‟esercito, uno dei principali
responsabili delle guerre civili.
75
l‟Oriente, dato che era andata oltre le proprie possibilità, avendo superato un punto di
non ritorno. La città, l‟espansione territoriale, la crisi della società, le invasioni e le varie
vicissitudini della politica e tutto quanto analizzato finora, sono tutti fattori che hanno
contribuito alla degenerazione solo perché si sono verificati in contemporanea e non
sono stati adeguatamente supportati, affrontati e bilanciati. La disgregazione delle
periferie, che possono avere nel regnum Galliarum e in quello di Palmira degli esempi
ragguardevoli, o la scissione dell‟impero in due tronconi, sono la personificazione di
una tale situazione di simultaneità di agenti disgreganti che hanno costretto l‟impero a
reinventare se stesso.
Alla luce di luce di queste considerazioni, in definitiva e all‟atto più pratico e
immediato, si segnala il fatto che una guerra, soprattutto se vittoriosa, si dimostra
sempre un ottimo collante sociale; si rivela davvero un fattore di unità e di coesione e
induce la popolazione a stringersi attorno al governo e a dimenticarsi dei problemi
correnti245
. Questo discorso è ancora più attuale per Aureliano, perché si era dimostrato
un grande generale e un‟ulteriore e vittoriosa campagna gli avrebbe offerto la possibilità
di continuare a vincolare a sé la fedeltà dell‟esercito – entità che quando è inoperosa si
rivela deleteria e altamente instabile per l‟ordine costituito – tenuto anche conto della
non secondaria prospettiva di arricchimento246
.
245 L‟importanza della guerra è stata avvertita in tutte le epoche e in tutte le occasioni, come ad esempio durante gli anni difficili della Rivoluzione Francese, quando, in una situazione quasi paradossale, decisero
di dichiarare guerra all‟Austria, pur non essendoci né i presupposti, né i requisiti. Lo stesso discorso vale
per le grandi discussioni che si sono verificate per gli anni antecedenti lo scoppio della Prima Guerra
Mondiale: gli interventisti erano favorevoli ad un‟entrata in guerra proprio perché la vedevano come
modo per dirottare le energie frustrate della popolazione e per distrarla dalle loro difficoltà quotidiane, in
nome di un più alto patriottismo. 246 Perché comunque e nonostante tutto, per quanto Aureliano si sia dimostrato clemente e misericordioso
con alcune delle città che riconquistava, e con Palmira stessa per esempio, le ricchezze venivano
comunque drenate e acquisite; a questo proposito cfr. proprio Zosimo, la fonte più attendibile per questi
episodi: Zos. I 54, 2 e I 58, 2.
76
In secondo luogo, come vedremo in seguito, una riunificazione dell‟impero è
condicio sine qua non per potere lanciare un qualsiasi programma di riforme e di
costruzione di un più efficace impianto statale. Al tempo di Aureliano, erano già
presenti numerose problematiche che andavano risolte, che richiedevano una soluzione
e che erano realizzabili solo nel caso in cui tutto il mondo romano fosse stato ricondotto
sotto un‟unica giurisdizione, un unico controllo. Come qualsiasi processo di
unificazione – tra cui anche quello italiano – ha sempre ben evidenziato, è altamente
difficile se non impossibile avviare una politica di rinnovamento e di ricostruzione di
una qualsiasi entità statale, se al suo interno continuano a sussistere localismi, unità
indipendenti o anche non completamente assoggettate al potere centrale; esse infatti
proveranno sempre ad opporsi, a modificarle o anche solo a limitarne la portata, per il
semplice fatto che sentono la necessità di ribadire la propria autonomia o indipendenza,
in una continua sfida al potere centrale.
Inoltre, e qui credo si arrivi alla motivazione più vera e autentica, Aureliano aveva
sicuramente capito come uno dei primi requisiti di un impero dovesse essere quello
dell‟egemonia e del monopolio della forza e della decisione247
; secondo questa
convinzione ogni riforma, ogni decisione e qualsiasi altro tipo di risoluzione – non
importa di quale natura, se cioè economica, culturale, sociale o politica e territoriale –
deve essere condotta dall‟alto verso il basso, deve partire dal potere centrale e deve
essere spontaneo e non indotto248
. È un atteggiamento autoritario, autocratico
autoreferenziale, che non ammette eccezioni al proprio potere, che non è disposto ad
accettare realtà o istituzioni a lui competitive, alternative o indipendenti; si pone cioè in
un‟ottica di “aut aut” ed è pronto a perseguire questo scopo con ogni mezzo, e a
247 Ben-Ghiat 2009, pp. 33-36. 248 Bravo 2009, pp. 167-200.
77
qualunque costo. Ogni volta che nel corso della storia un impero si è dovuto piegare a
moti, insurrezioni o richieste dal basso, esso ne è sempre uscito; si pensi proprio a Roma
stessa e alla Guerre Sociale249
, dove Roma è risultata vincitrice militarmente, ma
sconfitta politicamente; dato che è arrivata a concedere la cittadinanza ai ribelli; in
questa circostanza, è interessante notare che la concezione della cittadinanza romana è
avvenuta solo dopo la loro sconfitta militare, avendo così affermato e ribadito in
qualche modo la propria supremazia: pur avendo sconfitto la lega italica, ha poi
concesso loro quello che volevano, quello per cui si erano ribellati, in un apparente
controsenso. Questo dovrebbe aiutare a capire che il potere centrale non si deve piegare
alle richieste delle singole realtà, pena la perdita di autorità e di controllo. Parimenti,
Aureliano non poteva permettere che ci fossero entità statali che avessero agito di
propria spontanea iniziativa, senza l‟avallo dall‟alto, per quanto si fossero dimostrate
comunque utili a tamponare le diverse invasioni, per quanto, dicevamo, avessero tutte le
proprie ragioni e non si fossero dimostrate ostili all‟impero. L‟abbandono della Dacia
era invece più accettabile, perché rientrava in quelle decisioni portate e sviluppate dal
centro, e si inseriva comunque nel quadro di gestione dei territori, di sicurezza del
controllo territoriale e di sostenibilità di una conquista.
In una politica di rafforzamento dell‟autorità, si considera normale portare avanti
politiche di accentramento che prevedono come prima mossa la messa in sicurezza dei
territori vicini al cuore pulsante dell‟impero stesso, e poi si rivolgono alle aree e alle
zone perimetrali, quelle la cui caduta o perdita non rappresentano un pericolo
immediato, ma che vengono ritenute sacrificabili per il Bene Superiore, cioè l‟impero.
249 In generale cfr. Velleio Patercolo, Historiae Romanae; per quanto riguarda invece fonti più in generale
è interessante Gabba, Dalla città-stato, 1993.
79
POLITICA INTERNA
e senza ombra di dubbio le vicende militari rappresentano uno degli
aspetti più significativi delle vicende personali di Aureliano, tuttavia,
come ho già sostenuto prima, esistono altri fattori ad essi
complementari, ma comunque connessi e finalizzati all‟affermazione di un potere più
pervicace. Sto parlando di tutte quelle riforme o di quei progetti che Aureliano ha
portato avanti, sempre nel tentativo di rafforzare il proprio potere e di risanare o
rilanciare il ruolo egemonico dell‟impero romano: mi sto riferendo principalmente a due
interventi compiuti dall‟imperatore, e in particolar modo alla riforma monetaria e alla
costruzione delle cosiddette Mura Aureliane.
Monetariorum Bellum
Una veloce premessa che si può fare è che una riforma della monetazione250
,
indipendentemente dai motivi che possono avere spinto l‟imperatore, era doverosa;
infatti, sin dall‟introduzione dell‟antoniniano al tempo di Caracalla251
, si era passati nel
giro di un cinquantennio, da una percentuale di argento del 50% ad una percentuale del
2% 252
. Questo discorso si può fare sia riguardo alla grande moneta di quel periodo –
l‟aureus – che per il denarius, le cui svalutazioni infatti sono da attribuirsi
principalmente alla difficoltà di reperire il metallo prezioso, dovuto all‟esaurimento di
alcune miniere, all‟abbandono o alla perdita di altri territori in cui si trovavano
250 Da qui in poi, per i riferimenti alla monetazione, cfr. Webb 1933 ,(RIC V 1/2) e Sutherland 1967 (RIC
VI) e Sutherland (1976). 251 Lo Cascio 1984, pp. 138 ss. 252 West (1941); Cubelli 1992, pp. 3, 8-11.
S
80
giacimenti minerari253
, cui si deve aggiungere anche il fenomeno della fraus monetae254
,
ossia quella attività di tosatura, limatura o comunque di alterazione con varie tecniche
delle monete – aurei in particolar modo, ma anche denarii, finché circolarono, e
antoniniani, almeno quelli di buon titolo – che fu una delle attività più praticate in
quegli anni, viste anche le possibilità di lucro che essa offriva.
Il periodo della rivolta risale con molto probabilità al 270-271, quando ci fu
l‟invasione dei Marcomanni, e Aureliano dovette reprimere una seditio255
. Da Aurelio
Vittore ad Eutropio, dall'Epitome de Caesaribus fino alla HA256
, la scarsità di
informazioni fornite dalle fonti è notevole: un esempio è che tra le poche e
contradditorie notizie che abbiamo, compare soltanto il nome di Felicissimo, l‟ipotetico
e dubbio capo della rivolta257
; scarsità di informazioni, dicevo, che però sembrano tutte
concordare sulla stessa causa, ossia sulla tosatura delle monete258
. Il dubbio che però
viene è se tale giustificazione sia sufficiente o perché facessero ricorso ad una tale
operazione per arricchirsi; infatti, a parte il fatto che per ottenere una libbra d'argento
(da dividersi poi tra numerosi complici) sarebbe stato necessario emettere più di 3000
antoniniani totalmente privi di fino, non si capisce assolutamente il motivo per cui i
monetieri avrebbero dovuto tosare la moneta – fatto che sarebbe stato molto evidente –
quando, potendo contare sulla complicità del rationalis, come pare sia effettivamente
successo – risultava loro molto più semplice o sottrarre le monete già coniate (e quindi
coniare per se stessi) o impadronirsi direttamente dei lingotti d'argento. L‟errore, portato
253 Vedere ad esempio, proprio il caso della Dacia sopra riportato. 254 Giardina 1974, pp. 184-190. 255 Vedi cap. XXI della SHA:Aur, cfr. anche Fishwick 2002, pp. 840-844. 256 Vict:Caes, XXXV,6; [Vict]:Epit., XXXV; Eutrop, IX,14. 257 Per una più approfondita analisi dell‟esistenza e del ruolo di Felicissimo, con la partecipazione o meno
del senato, cfr. Homo 1967, p. 79 nota 6; 258 Del resto anche nelle fonti, è dimostrata la chiara percezione che tra i motivi principali ci fosse proprio
l‟appropriazione indebita ed eccessiva del metallo: infatti per spiegare il fenomeno si fa spesso ricorso al
termine “corrodere” il cui significato è proprio “rosicchiare tutt'intorno”, Vitc:Caes, 35, 6 (...nummariam
notam corrosissent ...) ed Eutrop, IX 14 (...vitiatis pecuniis ...), le nostre due principali fonti di notizie.
81
in evidenza da Cubelli259
, è stato forse quello di attribuire ai lavoratori della zecca il
reato più ovvio, e sicuramente più frequente di quel tempo, ma che assolutamente non
può motivare una rivolta, anzi un vero e proprio bellum, che, se non costò la vita a ben
7000 soldati come sostiene la Vita Aureliani260
, fu certamente cruento. Quindi concordo
pienamente con la l‟obiezione di Cubelli (1992) e ritengo che l‟episodio non solo vada
approfondito meglio, magari inserendolo in un'analisi più dettagliata, a partire dal
singolo fatto storico – la rivolta – per arrivare ad inserirlo in un panorama più generale
di politica di rafforzamento del potere di Aureliano, volta a colpire i falsificatori che
erano proliferati durante il periodo di disordine del III secolo, ma anche i senatori261
, nel
tentativo di indebolirli ulteriormente e privarli di ogni diritto di emettere moneta, che
voleva e doveva diventare esclusiva imperiale. Per provare a capire meglio le dinamiche
e le motivazioni che giacciono dietro questa rivolta, è a mio avviso necessario
considerare tutti i singoli aspetti di un tale “conflitto”, a partire dalle sue caratteristiche
fisiche e concrete.
In primis, il luogo: Roma. La rivolta si verifica nella capitale ed è riportato da
tutte le fonti ed è accettata dai diversi studiosi; da Aurelio Vittore262
a Eutropio263
e
nella Vita Aureliani264
. Si verifica a Roma e non altrove perché è qui, e più in generale
259 Cubelli 1992, pp. 46-49. 260 SHA:Aur, XXXVIII; Vict:Caes, 35.6. 261 A questo proposito, benché partano dai presupposti sbagliati – cioè con la spiegazione della tosatura
delle monete – cfr. Homo 1975, pp. 79 e soprattutto 163 ss. 262 La rivolta intra urbem, specifica meglio, eliminando ogni possibile incertezza, per Coelium montem al momento di indicare il luogo della battaglia tra l'esercito di Aureliano e i monetieri: specificazione questa
che ben si adatta alla collocazione della Zecca di Roma fin dall'età di Traiano (CIL VI 42, 43, 44, 791,
tutte datate al 115 d. C, alle quali si può aggiungere, anche se non datata, ma trovata nello stesso luogo,
CIL VI 239, ed inoltre CIL VI 298, rinvenuta presso la fontana di Trevi). 263 Eutrop, IX. 14 utilizza da parte sua un'espressione che non dà adito ad alcuna ambiguità: “…in urbe
monetarii rebellaverunt; addirittura l'autore dell'Epitome de Caesaribus (35, 4) menziona esplicitamente
Roma: “…in urbe Roma monetarii rebellarunt…”. 264 SHA:Aur, 38, 3, la citazione, per definire la seditio da un punto di vista geografico, è un aggettivo,
“intramurana”, che in tutta la HA compare in due sole occasioni e sempre con riferimento a Roma, cfr.
Roncoroni 1972, pp. 776-7, 795, dove compare anche la dura repressione che ne seguì; cfr. nota 72
82
sul suolo italico, che la crisi si sta abbattendo con più violenza e sta causando i maggiori
disagi; Roma sta perdendo importanza anche a seguito del processo di
decentralizzazione amministrativa, economica e politica ed è sempre meno
rappresentativa dell‟impero. Se vogliamo, questa rivolta è l‟emblema di tutto il processo
di sviluppo dell‟impero, dato che rappresenta tutti coloro che non accettano i
cambiamenti avvenuti, sono ancorati al glorioso e lontano passato, pretendono di godere
ancora di quei privilegi che li contraddistinguevano: parlo in primis dei senatori, ma può
valere anche per la plebe urbana così come per i vecchi apparati amministrativi che non
vogliono cambiare.
In seguito, da menzionare, è la questione della cronologia o della diatriba tra chi
considera la rivolta un singolo episodio svincolato e fine a se stesso, oppure una vicenda
da inserire in un quadro più ampio, frutto quindi di diversi cambiamenti.
Inevitabilmente si propende per la seconda ipotesi e si esclude che la guerra dei
monetieri sia esplosa solo nel 274, in conseguenza della cosiddetta riforma monetaria265
;
la versione più accreditata e condivisa è che le premesse della rivolta nacquero al
momento della sconfitta di Piacenza – circa nel marzo del 271 – quando la forza
militare di Aureliano sembrava debole e probabilmente insufficiente a mantenere
l'ordine, e sembrava esserci uno spiraglio per riportare in auge il potere senatorio.
Anche le fonti, per lo più incomplete quando si tratta della narrazione delle invasioni,
mi sembrano concordi nel fare iniziare tutto in quel momento. La testimonianza più
quando viene indicata come ulteriore complicazione dei fatti e dei disordini, anche la rivolta dei
funzionari della Zecca, Zos, I, 49,2. 265 Non sembra infatti avere molto senso un'azione di forza contro un imperatore che, recuperato l'impero
di Palmira, le Gallie, ricostituita così l'unità imperiale, fregiatesi perciò del titolo di Restitutor orbis,
aveva dato tanta mostra di fermezza politica e militare, appariva quanto mai insensata. Inoltre la
spiegazione di una prima rivolta, antecedente al 274 e risalente al 271, trova conferma proprio nel fatto
che sia impensabile che Aureliano, accingendosi al varo di una complessa operazione monetaria (la
cosiddetta riforma), non si sia preoccupato in precedenza di eliminare qualunque potenziale elemento di
disturbo all'interno della familia monetalis, famigerata per frodi e falsificazioni (Cubelli 1992, pp. 30-1).
83
precisa in questo senso è l'Epitome de Caesaribus (35, 4), ma conclusioni simili le
troviamo anche nella Vita Aureliani266
, con entrambe, come vedremo in seguito, che
mettono in relazione i due episodi, considerando il 274 come fase finale di
un‟escalation iniziata proprio nel 271.
I protagonisti. Felicissimo267
è un personaggio, la cui esistenza pare essere
accreditata dalle esplicite menzioni da parte di quasi tutte le fonti. Sussistono pertanto
pochi dubbi sulla sua persona268
, e sulle mansioni che a lui, in qualità di rationalis,
spettavano. Le competenze di questo incarico sono ben precise: nel III secolo, come
anche nel IV, il rationalis altri non era se non il vecchio procurator a rationibus269
.
Quali fossero le originarie funzioni di tale incarico è a noi noto grazie ad un celebre
passo di Stazio:
“iam ereditar uni sanctarum digestus opum partaeque per omnis
divitiae populos magnique impendia mundi270
.”
Delle sue tre generiche attribuzioni – l'amministrazione dei tesori dell'imperatore
(sanctarum digestus opum) il controllo delle ricchezze prodotte da tutte le province
(partae per omnis divitiae populos) e le spese di tutto l'impero (magni impendia mundi)
– l‟aspetto per noi più significativo è il fatto che il a rationibus avesse il controllo delle
rendite delle miniere imperiali, tenuto conto che nelle casse dell'imperatore confluiva
266 Infatti in SHA:Aur, 18, 4 si legge: in ilio autem timore quo Marcomanni cuncta vastabant, ingentes
Rotnae seditiones motae sunt paventibus cunctis, ne eadem, quae sub Gallieno fuerant,provenirent. 267 Aurelius Felicissimus menzionato in CIL IX 4894, datata al 243, con i titoli di e (gr e gius) v(ir)
proc(urator) sia la stessa persona. 268 Vict:Caes 35, 6; SHA:Aur, 38, 2, che in essa trovò la morte, così come Eutrop, IX 14. 269 Brunt 1966, pp. 75-91; Panvini Rosati 2000, pp. 127-159; Corbier 2005, pp. 393-439. 270 Stat:Silv, III 3, 86-105; cfr. Cubelli 1992, pp. 40-42.
84
metà del metallo prezioso estrattovi271
e che le sfere di competenza dell'a rationibus
furono quasi costantemente ampliate, tanto da render necessaria la creazione di uffici a
lui subordinati – anche se in seguito sempre più indipendenti. Qualche limitazione si
ebbe forse col tempo, a partire dal III secolo, quando si fu costretti a ritornare al sistema
di riscossione in natura, incarico che venne demandato piuttosto ai governatori locali
provinciali: tuttavia, nessuna modifica dovette verificarsi per quanto riguarda l'aspetto
qui più rilevante, cioè la rendita delle miniere e la prerogativa di coniazione delle
monete.
In sostanza, alla luce di questi fatti, non si può negare come ci fossero furti o
appropriazioni indebite di metallo prezioso tra i lavoratori della Zecca, ma queste erano
sicuramente piccole frodi, anche se numerose e comunque di piccola entità; quindi,
nuovamente, questi non possono essere i responsabili diretti e principali della crisi così
come non è possibile giustificare la rivolta come paura di un‟eventuale punizione per
questi loro piccoli crimini. Nuovamente quindi la motivazione economica è sussistente
ma non sufficiente. L‟attenzione va allora rivolta alla figura del rationalis Felicissimo,
che sovrintendeva alle operazioni di coniazione e dirigeva tutta la Zecca di Roma272
. In
particolar modo, vista la grande responsabilità che aveva, ma considerata anche
l‟attenzione a cui era sottoposto, la punizione e il motivo della rivolta può declinare in
colpa di appropriazione – di peculatus – da quella di falsificazione che era all‟inizio. E
se è evidente il movente economico, esso tuttavia mi sembra non bastare.
Tra le confuse, e, talora drammatiche, vicende che le fonti segnalano durante i
primi mesi del regno di Aureliano – invasioni, rivolte, usurpazioni – compaiono anche,
271 Millar 1977, p. 181. 272 CIL IX 4894, datata al 243, in cui Felicissimo compare con i titoli di e (gr e gius) v(ir) proc(urator).
85
e non è sono di secondaria importanza, riferimenti all‟uccisione di alcuni senatori273
, a
seguito dell'accusa di aver cospirato contro l'imperatore274
. È ovvio che non si tratta di
una accidentale sovrapposizione di notizie, attribuibile soltanto al generale clima
turbolento, conflittuale e competitivo dell‟epoca; come già accennato prima, questa
prima rivolta dei senatori del 271 va collegata con la rivolta dei monetieri e con la
successiva riforma monetaria, considerando quindi legittimo l‟esistenza di un
coinvolgimento dell'ordine senatorio, o di alcuni dei suoi membri, nella rivolta ed una
conseguente punizione inflitta loro da Aureliano275
. A questo punto troverebbe anche un
proprio fondamento – tenendo però sempre presente il suo carattere esagerato – la
notizia di Vittore, secondo cui 7000 combattenti trovarono la morte nella rivolta, poiché
un coinvolgimento del Senato implicherebbe il fatto che non si trattò di un movimento
confinato in un ambito ristretto quale il semplice gruppo dei monetieri, ma esteso alla
stragrande maggioranza della popolazione romana.
Del resto, al Senato non mancavano certo motivi di violento attrito con il potere
imperiale, tanto più nei confronti di un imperatore che, fin dalla sua elezione aveva fatto
intendere di voler attuare una politica marcatamente autocratica. Dunque, l'ascesa al
regno di Aureliano, a cui il Senato aveva preferito Quintillo, rappresentava
indubbiamente la fine di ogni possibilità di riguadagnare quei privilegi che il Senato
aveva perduto uno ad uno. In questo panorama la rivolta dei monetieri rappresenta a
mio avviso il più concreto tentativo di opposizione del Senato, che si servì proprio di
Felicissimo e dei monetieri per ottenere l'oro necessario a finanziare un movimento di
273 Così riferiscono infatti Eutrop IX 14 e SHA:Aur, 21, 5-6. 274 Zos, I 49, 2. 275 Zosimo infatti parla di alcuni senatori, accusati di aver cospirato contro Aureliano, che furono
giudicati e condannati a morte. Per contro Eutropio e la Vita Aureliani, seguendo le loro dichiarate
ideologie filosenatorie, hanno tentato di tener separati i due avvenimenti, separando i due episodi (21, 5-6
appunto per le rivolte dei senatori, mentre i passi 38, 2-4 per quella dei monetieri), anche se HA non
riesce a separarli del tutto, in particolar modo quando cade nell‟errore di considerare giusta la vendetta di
Aureliano quando si riferisce ai monetieri, mentre considera troppo dura quella rivolta ai senatori.
86
rivolta antimperiale, che trovò il suo fulcro proprio negli operai della Zecca, ma anche
in quella parte della popolazione urbana il cui malcontento era facilmente
strumentalizzabile.
La rivolta fu sedata nel sangue: Aurelio Vittore (35,6), ripreso in parte dalla HA,
Vita Aureliani¸ 38, 2-4, parla di 7000 bellatores, combattenti (e non soldati, milites),
uccisi sul campo dai monetieri ribelli. Innanzitutto, proprio il ricorso al termine
bellatores276
, mostra che alla rivolta presero parte anche civili, fatto che, tenuto conto
anche del luogo, contribuì ad aumentare il numero delle vittime. Tuttavia, una così dura
repressione offrì ad Aureliano anche l'occasione per una ristrutturazione dei quadri del
personale ed una conseguente prima riorganizzazione geografica degli atelier monetali.
Il gran numero dei caduti tra gli operai della zecca rese necessaria la riduzione del
numero di officine della Zecca di Roma da dodici a cinque, anche se certo non dovette
essere estraneo l'intento punitivo, come anche in questo caso le marche delle monete
mostrano: parallelamente, per fare fronte ai problemi di produzione e conseguentemente
di circolazione monetaria che la chiusura di sette officine del principale atelier
dell'impero, Roma, inevitabilmente causò, l'imperatore si vide costretto ad aumentare da
tre a quattro il numero delle officine dell'altra zecca italica, quella di Mediolanum, che
ottenne così, almeno fino al 274277
, quel predominio che fino ad allora era stato
peculiarità di Roma. Come pure altrove, il controllo dell'autorità imperiale si fece più
stretto: anche nell'industria monetaria si rese probabilmente necessario un censimento,
ed anche in questo settore, Aureliano ebbe a modello la rigida organizzazione militare;
inoltre il sistema delle marche di zecca, il cui uso divenne più frequente e costante,
garantiva un controllo capillare e sicuro, poiché era semplice risalire addirittura
276E come termine, in Aurelio Vittore, compare in questa sola occasione; cfr. Cubelli 1992, p. 49, nota
104. 277 RIC, Decius, IV 38a; RSC 43; Savio 2002, p. 202; Arslan 2012, p. 35.
87
all'officina che aveva coniato un dato pezzo. Infine il Senato: gravemente implicato
nella rivolta, strumentalizzata o addirittura ideata al fine di riacquistare quel peso
politico che le basi della politica di Aureliano sembravano volergli negare, esso subì
un'epurazione in quei membri maggiormente coinvolti, ma soprattutto perse quell'ultimo
privilegio che ancora deteneva, quello di battere la moneta di bronzo278
.
Inoltre, la prima rivolta dei monetieri, e le conseguenti modifiche apportate da
Aureliano, hanno messo a nudo la problematica e già disastrosa situazione del sistema
monetario in tutti i suoi aspetti, mostrando come fosse assolutamente necessaria una
restaurazione del sistema finanziario stesso. E ad essa Aureliano, restituita all'impero la
sua unità territoriale, dedicò i suoi sforzi.
Riforma monetaria vera e propria
Come si è già notato, la situazione monetaria che Aureliano, si trovò ad affrontare
al suo avvento, era estremamente confusa: sia la moneta d'oro che quella d'argento
mancavano di standard di peso o di contenuto ben definiti. Ed inoltre la rivolta dei
monetieri aveva messo a nudo il disfacimento della macchina produttiva ed
organizzativa della monetazione. E se ciò fu rimandato al febbraio del 274, fu soltanto
per via dei pressanti impegni militari che Aureliano si trovò a fronteggiare, nel tentativo
di restituire all'impero quell'unità territoriale che era presupposto indispensabile agli
occhi dell'imperatore – per poter attuare tutte quelle misure necessarie a rilanciare
l‟impero, attraverso l‟attuazione di una più vasta politica di restaurazione – e che il
regno di Zenobia e la sopravvivenza dell'impero Gallico ledevano.
278 Così Homo 1967, pp. 169 s. e Bernareggi 1968, p. 67; Mazzarino 1956, p. 370.
88
Anche se nella realtà la riforma monetaria di Aureliano si estese a tutti e tre i
metalli, Zosimo279
– l'unico autore antico che ci abbia lasciato notizia della cosiddetta
riforma – mostra che l'attenzione dell'imperatore e dell'opinione pubblica si focalizzò
essenzialmente sulla moneta di argento280
,cui poi ha fatto seguito la riforma dell‟aureus
e poi le monete di bronzo281
. Più in generale, invece, si assiste ad una politica di
potenziamento dell‟attività delle zecche, che ebbe come principale conseguenza, un
accrescimento della massa monetaria, ma soprattutto un decentramento, come appare
già dalla rivolta del 271. All‟atto pratico, al di là delle singole e pratiche riforme di
appesantimento, arricchimento o svalutazione delle monete, la cosiddetta riforma di
Aureliano va interpretata, provando a capire come essa si possa inserire nella politica di
un più generale rafforzamento del potere; per risanare la situazione monetaria –
risanamento che poi all‟atto pratico si dimostrerà comunque limitato considerata anche
l'assoluta impossibilità di ritornare ad emettere una moneta d'argento puro – e per
riportare ordine in una caotica circolazione, si rendevano necessarie delle riforme che
dessero certezze e stabilità ad un sistema che nell'ultimo cinquantennio era stato
soggetto a continue variazioni. L‟operato di Aureliano, si inserisce proprio in
quest‟ottica di rilancio dell‟economia e delle transazioni commerciali, ed è tutto
sommato di secondaria importanza il fatto che ciò poi non avvenne e non ci fu la ripresa
sperata. Nelle intenzioni di Aureliano, la marca XXI282
voleva essere un'assicurazione
279 Zos. I 61, 3. 280 Savio 2002, p. 198. 281 Cubelli 1992, pp. 60-63. 282 Per la lunga diatriba sulla marca XXI (KA in greco), o XI (IA), crf. Cubelli 1992, pp. 67-88. La
conclusione è che la marca XXI faccia riferimento non al valore delle monete, noto a tutti perché
immutato rispetto al passato, bensì alla percentuale di fino in esse contenuta, nel nostro caso
rispettivamente il 5 % ed il 10 %, come è confermato dai dati metrologici. Inoltre, la marca XXI, iscritta
com'è all'esergo del rovescio e inserita tra altre marche di zecca che indicavano l'officina e la zecca
emittente, appare, come del resto queste ultime, messaggio non rivolto al pubblico, quanto piuttosto
assicurazione di ciascuna zecca (cosi immediatamente identificabile) di aver rispettato gli standard
ordinati dall'imperatore. Del resto, se essa fosse stata marca di valore, ovvero destinata al pubblico,
sarebbe stata collocata in un luogo a tal fine più adatto che non l'esergo del rovescio: è un fatto che l'unico
89
da parte degli operai della zecca di aver rispettato il nuovo standard del contenuto
d'argento (il 5 % appunto), ordinato dall'imperatore, che cercava così di imporre rigidi
controlli non solo in un settore tanto delicato come quello della monetazione, attraverso
il complesso sistema delle marche di zecca, ma anche in altri campi e settori.
Nessun intento riformistico dunque nell'operato di Aureliano, ma semplice
politica di rilancio e di rafforzamento.
L'obiettivo fondamentale che Aureliano si era prefisso attraverso l'attuazione della
sua cosiddetta riforma monetaria era quello di restituere il sistema monetario romano
nella sua integrità sotto l‟egida imperiale, programma del resto conforme a tutto il suo
operato di restauratore, e attuato riformando il controllo imperiale, proprio tramite il
complesso sistema delle marche di zecca, e l‟ulteriore aspetto della nuova disposizione
territoriale degli atelier, potenziati e decentrati rispetto al passato, in una prospettiva
futura di decentramento amministrativo, sempre però con il controllo e la direzione del
potere centrale. E non importa che la realtà dei fatti, almeno quella che dai dati a nostra
disposizione può essere ricostruita, impedì la realizzazione di questi obiettivi,
mostrando piuttosto ben altri esiti; o meglio, non importa al fine di questa trattazione,
dal momento che qui è importante capire e precisare maggiormente le dinamiche e le
motivazioni alla base dell‟agire, più che i veri e concreti risultati. Per quanto si sia
dimostrata fallimentare – e del resto saranno fallimentari anche i tentativi degli
imperatori successivi, compreso anche Diocleziano283
– essa comunque mostra per la
prima volta dopo molti anni, un tentativo e una volontà unificatrice, una progettualità e
dei piani a lungo termine e non rivolti semplicemente a soddisfare le proprie esigenze
segno di valore, o meglio l'unico segno che sancisce una tariffazione di una moneta a noi noto, l “X
barrato” presente sui denarii repubblicani per comunicarne l'accresciuto valore da 10 a 16 assi, compaia
sul diritto nel campo e bene in vista. 283 Corbier 1986, pp. 489-533.
90
egoistiche. È con Aureliano che assistiamo ad un rinnovato spirito riformatore che
guarda al di là del proprio naso e del proprio mero interesse personale ed è per questo
motivo che è da Aureliano che farei iniziare il Tardo antico, il processo di ripresa e di
fioritura di un nuovo periodo.
Sempre secondo l‟ottica di una progettualità imperiale di più ampio respiro, di
un‟idea e di una programmazione a lungo raggio per l‟impianto statale e di
riaffermazione proprio del ruolo egemonico del centro su tutte le altre compagini sia
sociali, che economiche e politiche, si collocano provvedimenti quali la costruzione
delle cosiddette mura Aureliane284
le elargizioni gratuite non solo di grano, ma anche di
vino o carne, alla plebe di Roma285
.
Un aspetto curioso è che nonostante la diversità delle fonti, e le discordanze
presenti tra loro, tutte quante bene o male riportano la costruzione delle mura; esse sono
uno degli aspetti più enunciati, raccontati e presentati per il periodo di Aureliano, quasi
a sottolineare la rilevanza che una simile opera ha rivestito per il mondo romano di quel
tempo286
. E al di là del singolo episodio, nuovamente bisogna chiedersi le motivazioni
che hanno spinto Aureliano ad intraprendere un simile progetto.
Ad un occhio meno attento, la motivazione risiederà sicuramente nella necessità
di difesa e nell‟esigenza di una maggiore protezione per quella che era ancora la capitale
dell‟Impero, soprattutto se si tiene conto che questo è un periodo in cui le invasioni
portano i nemici pericolosamente vicini a Roma; le fonti stesse287
presentano una tale
visione e alcune di esse sostengono che un tale progetto era nato addirittura prima di
284 Autorevole è il lavoro a questo proposito di Johnson 1983, pp. 9-54 oppure Cozza 1987, pp. 25-52; cfr.
inoltre Dey 2011, pp. 110-159. 285 Watson 1999, pp. 148-152; Cecconi 2009, p. 69. 286 Per una descrizione molto più accurata delle Mura Aureliane, vedere Watson 1999, pp. 145-52 oppure 287 Chronica Urbis Romae, p. 148; Vict:Caes, 35.2; Malasas 12.299-300; e ancora Zos. 1.49.2; infine è
interessante la Vita Aureliani, perché è l‟unica fonte che ci parli anche di una preventiva consultazione del
Senato 21.9-10.
91
Aureliano, in particolar modo a partire dalle invasioni alemanni che c‟erano state sotto
Gallieno288
e che avevano imperversato per l‟Italia e minacciato Roma. E sicuramente
un primo motivo è anche stato quello di fornire un sistema difensivo più moderno ed
efficace, tenuto anche conto che non si verificavano grandi interventi sulle mura della
città sin dal tempo di Servio Tullio289
; sicuramente, dicevo, perché c‟era anche tra la
classe dirigente dello stato la percezione di una crisi dell‟impero che non riusciva più a
tenere a freno e lontani i nemici di Roma; spiegazione quindi valida ma non sufficiente.
Se infatti è proprio con la crisi del III secolo, con l‟affermarsi della conflittualità interna,
e l‟irrompere nei territori di popolazioni barbariche, che si assiste in tutto l‟impero ad un
processo di fortificazione delle città290
, bisogna tuttavia notare come la semplicità della
realizzazione del progetto implichi anche – e forse soprattutto – qualcos‟altro. Infatti tra
le varie peculiarità dei romani, le opere di fortificazione erano uno dei loro punti forte,
una loro prerogativa frutto di anni di pratica, e mi sembra difficile pensare che si
sarebbero limitati ad erigere delle semplici mura, se il loro vero obiettivo fosse stato la
difesa della città. Se romani erano in grado di approntare in breve tempo fortificazioni
ben più massicce e considerevoli di quelle che sono state erette, allora sorge spontaneo
chiedersi: come mai delle semplici mura? Quale valenza può rivestire una simile opera?
La spiegazione può essere molto banalmente la fretta, scaturita dall‟ansia di circondare
e proteggere Roma per la paura di immediati attacchi, ma – di nuovo – considerata la
velocità di realizzazione degli ingegneri e dei soldati romani in materia di opere
difensive, rimane difficile crederlo. Concordo quindi con la visione di Jones (1990)
secondo cui alla costruzione delle mura parteciparono i cittadini, o comunque persone
288 Vict:Caes, 35.7 e SHA:Aur, 21.9; Zos 1.37.2-4. 289 Todd 1978, pp. 17-20. 290 Johnson 1983, pp. 9-54.
92
senza competenze specifiche291
e neanche senza particolari competenze o supervisioni
militari, strategiche e balistiche: sulle torri non era possibile posizionare l‟artiglieria così
come c‟erano troppe porte che si aprivano sulle mura e indebolivano la struttura.
Sembrano quasi essere state costruire per respingere attacchi a bassa intensità di
popolazioni, giusto come primo e temporaneo ostacolo che desse tempo all‟esercito di
intervenire, visto che non avrebbero sicuramente fermato un esercito equipaggiato e
deciso ad un vero e proprio progetto di conquista292
.
Un‟altra spiegazione, a mio avviso, è dettato dalle forti valenze psicologiche che
una tale opera può aver rivestito, e che si articolano secondo diversi livelli. In primis,
sugli abitanti della città di Roma, che in questo modo arrivava a sentirsi più sicura,
protetta e che, partecipando lei stessa alla costruzione delle proprie mura, in vista del
pericolo dei barbari, arrivava a sviluppare un nuovo e più rafforzato senso di coesione
interna, di solidarietà e attaccamento alle istituzione, con una parallela perdita della la
riottosità o dell‟animosità per i disagi che stava patendo. Questo è un aspetto non
trascurabile, soprattutto se si considera l‟instabilità e la crisi di quel periodo, che
rendevano i cittadini, e in questo caso Roma, una polveriera pronta ad esplodere293
,
sempre in fibrillazione in agitazione, in uno stato di perenne insicurezza, ansia e
tremore; un simile provvedimento, almeno negli strati più bassi della società, poteva
servire come calmante, come sedativo per gli animi più inquieti, dato che forniva
un‟apparente e maggiore protezione. Una simile tesi è a mio avviso avvalorata dalla
riforma sulle elargizioni di grano portata avanti da Aureliano che aggiunse alle normali
291 Duncan-Jones, 1990, pp. 79-92; Richmond 1930, pp. 7-15; 57-62; 76-78; Dey 2011, pp. 12-70. 292 Richmond, 1930, pp. 65-67; 242-243. 293 Del resto è risaputo che la rivolta dei cittadini è sempre stato una delle principali paure dei governatori
di Roma.
93
razioni, anche carne, olio e vino294
, nonostante questo comportasse un ulteriore
dispendio di risorse. Per quale motiva infatti, un imperatore così oculato e attento alle
spese e alla situazione finanziaria più in generale, avrebbe dovuto intraprendere una
simile riforma, se non fosse stato consapevole della necessità di un simile
provvedimento, della pericolosità della popolazione nullafacente di Roma e del suo
carattere altamente sovversivo?
Un‟altra spiegazione che può emergere e spiegare la costruzione delle mura di
Roma, è di carattere più propriamente ideologico; infatti, se psicologico è il senso di
protezione che esse suscitavano nella popolazione, altamente simbolico è la figura e la
concezione del sovrano o imperatore, come l‟architetto per eccellenza. Esso può anche
essere anche un modo, uno strumento dell‟imperatore per rafforzare e legittimare il
proprio potere e assicurarsi il sostegno dei cives di Roma. La costruzione è sempre stata
vista, anche nelle epoche successive, come atto in sé per affermare la propria autorità, il
proprio diritto a governare: il Re/ Imperatore è spesso considerato e visto come un
costruttore, come ad esempio Virgilio che farà dire a Giove, nella profezia ad Atena, per
indicare gli atti fondamentali cui l‟eroe è chiamato nella sua missione di fondare Roma,
“Egli dovrà schiacciare popolazioni feroci e stabilire per i suoi uomini Mores et
Moenia295
”. Lungo tutta la storia, ben prima del principato, chiunque abbia voluto
lasciare un segno, chiunque abbia pensato di legittimare o rilanciare il proprio potere, il
proprio ruolo, ha sempre dato luogo ad opere di costruzione, anche per l‟alto e
intrinseco valore di maestosità racchiuso nelle grandi opere296
. Questa precisazione è
294 SHA:Aur, 48.1-4 e Vict:Caes, 35.7 parlano di vino; [Vict]:Epit, 35.6 e SHA:Aur, 35.2 aggiungono poi
elargizioni di maiale; Zos 1.61.3 pane, mentre SHA:Aur, 48.1; 45.1 aggiunge ancora sale e olio; per degli
studi più recenti cfr. Fisher 1929, pp. 133, 144; Homo 1967 pp. 177-179, Mattingly 1961, p. 307-308;
Pearson 1976, pp. 74, 142-3. 295 Ciro iniziò immediatamente a costruire templi e mura, così come fece Alessandro quando entrò a
Babilonia e iniziò a restaurare i templi (Arrian:Anab, III.16); vedere anche Verg:Aen, 1.263-64. 296 Richmond 1930, pp. 8-9; Downey 1950, pp. 57-68.
94
una costante presente sin dalle origini di Roma, addirittura a partire da Romolo e dalla
leggenda ad esso connessa; una delle motivazioni alla base del fratricidio risiede proprio
nella violazione del solco da parte di Remo, solco che Romolo sta tracciando per erigere
le mura. Secondo le testimonianze riportate dalla tradizione antica infatti la costituzione
del pomerium si svolgeva in maniera analoga al rito utilizzato dai romani per la
fondazione delle città, e la costruzione delle mura297
. Le mura infatti hanno sempre
avuto un carattere sacro e all‟inizio erano addirittura connesse con la concezione del
pomerium, altro importantissimo concetto per i romani298
. E questa connessione tra
mura e pomerio la troviamo in Aureliano stesso, dato che anche questo imperatore
rientra nell‟elenco dei pochi comandanti romani che abbiano ampliato o esteso i confini
di Roma299
. Inoltre è importante ricordare come il diritto a spostare la linea sacra di
confine, era una prerogativa che tutti non si potevano arrogare, ma solo quei generali
vittoriosi che avevano conquistato nuove terre per la Res Publica o l‟impero300
. Ho
chiamato in causa anche il concetto di pomerio proprio per sottolineare
l‟interconnessione che si trovava a quel tempo tra limes o pomerium, e tra mura e
religione, o, in termini più generali ancora, il legame tra l‟edilizia, il sacro e la persona
dell‟imperatore. Come in molti aspetti delle società antiche, il carattere religioso
permeava la vita del singolo individuo, si legava ad essa e ne condizionava l‟esistenza;
così nel momento in cui Aureliano vuole rilanciare il proprio regno, la propria azione di
297 Gell, XIII, 8, Liv, I.44.3, Strab, VII. 298 Per uno studio o comunque una lettura più approfondita sul pomerium, il limes, e più in generale sulla loro sacralità, cfr. Sordi 1988, pp. 236-284; Sordi 1988, pp. 272-294; Zanini 1997. 299 Anche se la leggenda e le fonti antiche vogliono che il primo ad ampliare il pomerio sia stato Romolo,
studi recenti hanno mostrato invece, come l‟azione sia successiva, e non è una coincidenza se il nuovo
punto di riferimento sia stato individuato proprio con Servio Tullio, re cui è attribuita anche la costruzione
delle mura. Sulla connessione tra murus e pomerium, è particolarmente indicativo Liv, I, 44.3, mentre
come studi più recenti vedere Simonelli 2001, p. 153. 300 Per le fonti antiche vedere Cic:Att. XIII.20.1; 35.1; Plin:HN, III, 127; Strab, VII; Sen:Brev, 13.8. Tra
gli studi più recenti sempre sullo stesso argomento, ho trovato molto interessante Syme 1983, p. 140,
quando emerge che “ il verbo augeo si trova quando si è registrata un‟estensione del pomerium, applicato
per i confini dello stato, comparendo soprattutto nello schema, nella formula dei cippi”, SHA:Aur, 21.9.
95
governo e i propri progetti di riforme, è considerevole che agisca e intervenga
considerando tutti gli aspetti, proprio nel tentativo di raggiungere tutti gli strati della
popolazione, di toccare tutti gli ambiti e le sfere della società.
Conclusione Volendo a questo punto concludere, mi è sembrato opportuno evidenziare questi
aspetti, anziché altri, proprio perché mi sono sembrati i più idonei e i più rappresentativi
dell‟azione di Aureliano nel suo progetto di renovatio imperii. È tramite queste riforme
e questi interventi che Aureliano prova ancora una volta ad affermare la propria
immagine; e compie un tale lavoro, dopo essere intervenuto sull‟esercito, provando ad
incidere e ad influenzare un‟altra delle componenti fondamentali della società di allora,
e cioè la plebe urbana che sin dal principio – ben prima cioè dell‟avvento del principato
– ha costituito una voce a se stante e particolare nella compagine della storia di Roma.
Da sempre, chiunque sia stato al potere a Roma, ha avvertito l‟esigenza di tenerne
occupata la popolazione; Aureliano prova a rassicurare così i cives romani giocando su
di un livello psicologico, quasi a livello dell‟inconscio. L‟obiettivo diventa così duplice:
rassicurare un‟epoca che comunque è difficile, e in cui sono richiesti grandi sacrifici
anche per il crollo di grandi certezze come poteva essere l‟inviolabilità del suolo italico,
e dall‟altra, legittimare sempre e comunque il proprio ruolo di sovrano, di guida
dell‟impero, attraverso l‟immagine dell‟imperatore-architetto301
, di colui che ha a cuore
la salus di Roma, di colui che si spende per i propri sottoposti, di colui che si rinnova e
rilancia il potere di Roma, mantenendosi però sotto le direttrici della tradizione. Una
guida che però diventerà sempre più lontana e ieratica e che quindi ha bisogno di
301 Ed è anche secondo questa chiave di lettura che si può introdurre o connetter e la edificazione del
nuovo tempio del Sole e anche l‟istituzione del nuovo culto: l‟imperatore è colui che fonda, che costruisce
che porta avanti progetti riformatori.
96
trovare nuovi appigli cui ancorare il proprio potere e che pertanto avverte l‟esigenza di
rilanciare e rifondare anche le basi costituzionali del potere, basi che devono essere
salde e universalmente riconosciute. E a questo proposito, si inserirà la riforma
religiosa: non esisteva infatti niente di più fondante e solido della divinità. L‟esigenza di
un rinnovamento delle prerogative dell‟imperatore stesso si traduce nella ricerca di
nuove adesioni e consensi, di ulteriori poteri e caratteristiche. Quando Aureliano
rinnoverà il pomerium, poco dopo darà vita anche alla costruzione del nuovo tempio del
Sole302
; di nuovo, le mura come riconoscimento dell‟aspetto militare della società, il
pomerio come anticipazione e premessa della riforma religiosa303
.
302 Homo 1967, 184-95; Randall 1991, pp. 344-51;Watson 1999 , pp. 188-202. 303 Sviatoslav 2004, pp. 568-578.
97
AURELIANO: UN SOLE CHE SORGE
empre in merito agli ultimi sviluppi e tematiche affrontate in questa
trattazione, esiste un altro fattore determinante della vita di Aureliano
che permette di arrivare ad un altro caposaldo della struttura e
dell‟organizzazione dell‟impero; mi riferisco a quella sfera della vita umana che
riguarda ciascuno di noi e che in ciascuno di noi è presente, a prescindere dall‟epoca; la
connessione con l‟ultraterreno. Non dovrebbe pertanto sorprendere se il legame con il
divino sia legato alla sfera pubblica, visto che è sempre stata in relazione con essa e che
non è mai stato possibile scindere i due aspetti304
. Apparentemente forgiati in un legame
covalente, entrambi si sostengono a vicende e ognuno di loro trae un proprio
giovamento dalla relazione con l‟altro. E questo rapporto vale per gli uomini primitivi
che andavano alla scoperta del mondo circostante come per gli abitanti della Francia del
Re Sole; non credo dunque che ci sia da stupirsi se lo si riscontra anche in Aureliano.
Infatti, tra le varie riforme da lui compiute e che si sono messe in evidenza, bisogna
sicuramente menzionare l‟introduzione del culto del Sol Invictus.
Come emerge per tutto l‟arco e in tutti i campi della storia dell‟impero, anche in
materia religiosa, occorre fare una distinzione tra Occidente ed Oriente; tra concezione
orientalis e occidentalis del divino, dal momento che anche in questo campo, essi
presentano significative differenze e ne influenzano in diverso modo gli sviluppi.
304 E visti sia gli aspetti positivi che negativi presenti nel rapporto tra città e impero, è impossibile parlare
di città senza incontrare la religione, dato che religione e politica non erano attività separate e allo stesso
modo è impensabile parlare di società antiche, svincolandole da un discorso ultraterreno, e ancora meglio,
non è fattibile riflettere sulla religione, lontana dalla politica, perché essa crea autorità per chiunque e con
chiunque con cui entra in contato. (Gigli 1947, p. 147).
S
98
In generale per l‟Occidente, gli dei erano rispettati e anche venerati, ma poi tutto il
discorso non si traduceva in nient‟altro di diverso da questo aspetto formale305
:
background e trascorsi storici hanno portato gli occidentali ad avere una fierezza
particolare che impedisce loro di comportarsi come schiavi di un dio, come adepti ciechi
e fedeli, cosa che invece accadeva nel Levante, come in Siria o in Arabia. Nell‟ovest è
importante il conservare e mantenere la propria indipendenza e la disinvoltura che
l‟uomo libero deve avere verso i suoi superiori: chiunque si comportava in maniera
diversa incorreva nel giudizio e nella condanna di deisidaimonia, di superstitio306
– cioè
di superstizione307
. Improntati gli occidentali ad un maggiore pragmatismo, più tesi
verso l‟alto, verso una riflessione astratta, teorica e metafisica gli altri; meno riflessivi
ma più immediati e inclini a semplici e diretti rapporti di forza, i primi, mentre i secondi
erano incentrati maggiormente sulle questioni dello spirito e dell‟anima, su riflessioni
ontologiche, su culti misterici e filosofie trascendentali. Questi ultimi, in particolare,
conservavano evidenti connotati della tradizione religiosa delle regioni di origine, e in
particolar modo di paesi esotici e lontani come la Persia, l‟Arabia o l‟India; avevano
sacerdoti professionisti e non pubblici, assunti dalle comunità di fedeli e lo scopo del
culto era rivolto non tanto a propiziare la vita e la potenza della comunità politica,
quanto piuttosto ad ottenere il benessere del corpo e dell' anima del singolo fedele.
Inutile ribadire quanto forte debba essere stato il primo impatto sulla societas romana di
305 Come termometro per il rapporto che intercorreva tra uomo e dio nell‟antichità romana, citerei alcuni
episodi descritti dalle fonti antiche che ben mostrano come non ci fosse un atteggiamento di completa sottomissione e di come fossero considerate le divinità stesse: “Alla morte di Germanico, la plebe romana
gettò pietre contro i templi e rovesciò gli altari (Suet:Calig, IV, 1); o ancora, sul finire dell‟antichità,
l‟imperatore Giuliano, indignato per aver subito una disfatta militare, rifiutò di sacrificare a Marte
(AmmMarc., XXIV, 6)”. 306 Così apprendiamo da Cicerone quando parla di supertitio e dei limiti che essa rappresentava alla
tolleranza romana; infatti non era considerata degna una religione che implicasse un timore eccessivo
degli dei (Cic:Verr 2, 51, 113). Sempre a proposito di superstitio come ogni religione che implicasse un
timore eccessivo degli dei, particolarmente pericolosa poi se il culto suscitava forti emozioni, morbus
animi, vedere Cic:Fin. 1. 59-60; Cic:Div. 2.148; 2.125; 2.81;Cic:Domo 105. 307Veyne 2007, p. 369.
99
questo modo di pensare e di intendere il rapporto con l‟ultraterreno; tuttavia quello che
deve aver aiutato nel momento dell‟incontro-scontro tra queste due realtà deve essere
stata la tolleranza308
romana, la quale si può a mio avviso esemplificare e tradurre nel
fenomeno dell‟evocatio309
.
Evocatio
Con questo termine viene indicato quel processo o quella cerimonia religiosa,
condotta dal generale romano, con cui veniva trasferita a Roma la divinità di quella
particolare popolazione o tribù contro cui si stava combattendo, e che diventava così
parte integrante del pantheon Romanorum310
. E ancora “l’evocatio è l‟estensione del
culto dei Romani, che catturavano le funzioni e le proprietà delle divinità straniere,
inserendole così all‟interno del proprio corpus deorum311
, attribuendo loro nomi e
caratteristiche romane, per scongiurare vendette da parte delle divinità delle tribù
nemiche. A spiegare meglio la portata e l‟entità di una simile pratica, può servire forse
l‟esempio di Servio312
o di Macrobio313
, quando dicono che, dopo la sconfitta di
Cartagine nel 146, Scipione Emiliano pregò l‟equivalente divinità cartaginese di
308 Veyne 2007, Pag. 274. 309 La formula di evocatio era pronunciata dal dittatore o generale romano, e da nessun altro, prima di
affrontare un nemico; essa aveva lo scopo di evocare le divinità protettrici della città nemica, all'inizio
dell'assedio. 310 Per fare un esempio concreto, a Palmira sono stati rinvenuti nomi di una sessantina di divinità che non
sono rivali tra loro (Veyne 2007, Pag. 274). 311 L‟esigenza di una costante apertura religiosa (nel tempo e nello spazio) verso i peregrina sacra risulta
connaturata con la concezione romana di pax deorum, dato che la massima preoccupazione della teologia sacerdotale consisteva nel conseguire – e soprattutto conservare – la “pace degli/con gli dei”: condizione
essenziale per la stessa vita del Populus Romanus. Grazie alla peculiare concezione di questa pax deorum,
la religione politeista romana fu sempre in grado di far coesistere nello stesso ambito le esigenze cultuali
particolaristiche del Popolo romano e la tensione universalistica della sua teologia e del suo diritto.
Nell‟arco temporale della sua storia millenaria, la religio del Popolo romano appare fortemente
caratterizzata dalla costante preoccupazione di integrare lo “straniero” (divino e umano): dalle divinità dei
vicini alle divinità dei nemici; Su questo complesso fenomeno, interpretato in termini di “estensioni” e
“mutamenti” della religione tradizionale ho trovato molto utile Dumézil 1977, pp. 355-369. 312 Serv:Aen. 12.841. 313 Macrob:Sat. III, 9.1-13, oppure Garnsey 1987 p. 170.
100
Giunone, di abbandonare Cartagine e di andare a stabilirsi a Roma314
: ogni divinità era
ben accetta da Roma e dai suoi abitanti e riceveva lo stesso paritario trattamento315
.
Gli unici rifiuti ai riti o ai culti stranieri erano dovuti a questioni politiche, al fatto
che questi ultimi potessero rappresentare una minaccia per il controllo politico delle
autorità romane sulla popolazione. Altri interventi dell‟autorità romana, volti a proibire
riti o pratiche religiose, si verificavano quando erano dotati di strutture proprie e
personali che non si adattavano e non si integravano con quelli classici, oppure che si
svolgevano in privato, di nascosto o di notte e al buio, e che prevedevano segretezza o
atteggiamenti smodati e poco consoni alle virtù classiche romane: celeberrimi a questo
proposito, i Baccanali316
. Unico motivo di una loro soppressione quindi, era nient‟altro
che l‟attuazione della tradizionale politica romana di infierire solo su quegli elementi
delle religioni o delle società che impedivano l‟affermazione e il rafforzamento
dell‟impero romano stesso317
. La dirigenza romana, non importa se il senato nella
314 Whittaker, 1978, p. 143; inoltre per un‟analisi più approfondita, cfr. Ferri, 2006, pp. 205-244. 315 Nel settembre del 1970 Alain Hall ha scoperto a NO di Bozkir, nell‟attuale Turchia centro-
meridionale, un‟iscrizione su un blocco di granito relativa alla conquista della città di Isaura Vetus da
parte di P. Servilius Vatia; questa è stata una scoperta di grandissima importanza perché è una delle poche attestazioni epigrafiche che ci permettono di toccare con mano tale procedura: con essa si mirava a
privare la città nemica della sua divinità tutelare e una volta ottenuto il beneplacito del dio, si procedeva
all‟ultimo assalto delle mura (Liv. V 21, 4). . Dopo l‟espugnazione era possibile una consecratio della
città e aveva luogo il trasferimento della statua cultuale a Roma, dove veniva dedicato un tempio alla
divinità e/o veniva istituito un culto in suo onore. La pratica è da riferire specificatamente agli episodi
bellici, precisamente agli assedi, mentre in tempo di pace i peregrina sacra erano assunti ob quasdam
religiones, cioè per determinate ragioni d‟ordine religioso: entrambi venivano praticati a Roma allo stesso
modo che nel paese dal quale
provenivano. La motivazione alla base del rito era costituita dalla convinzione che, senza il previo
abbandono della divinità protettrice, una conquista della città non sarebbe stata possibile o comunque per
non commettere un sacrilegio. Per quanto riguarda le informazione relative a questo importante
ritrovamento, vedi Ferri 2010, pp. 183-194. 316 Liv, XXXIX, 8 –18, fatto testimoniato anche da un‟iscrizione bronzea rinvenuta nel 1640 a Tiriolo, in
Calabria, contenente il testo del “senatoconsulto” del 186 a.C., emanato per reprimere il culto di Dioniso:
Si tratta di una tavoletta di bronzo contenente il testo del decreto con cui il Senato Romano bandì i culti di
Bacco, comunicando alle autorità locali norme precise per la pubblicazione dell'editto, la pena di morte
per i trasgressori del decreto e l'obbligo di distruzione dei luoghi del culto non autorizzati dal Senato, CIL
2, 581. Per opere e trattati più recenti, vedere Nilsson, M.P., The Dionysiac Mysteries of the Hellenistic
and Roman Age, Lund 1957. 317 Abbiamo esempi e testimonianze sui druidi, Strab, 197-8; Caes:BGall, 6.14; Suet:Claud, 25.5;
Tac:Hist, 4.18.3. inoltre ci sono pervenute anche informazioni per le profetesse e i servizi sacerdotali
femminili in generale, come ad esempio Strab, 298 o Tac:Germ, 8.3, Tac.Hist, 4.61.2.
101
repubblica o l‟imperatore nell‟impero, rimase sempre preoccupata e sospettosa di tutte
quelle forme di organizzazione plebea318
che non riusciva ad inquadrare e incanalare
secondo schemi precisi e definiti, a lei congeniali; era invece favorito e ben accetto tutto
quello che concorreva a rafforzare la presa della classe dirigente sul resto della
popolazione; ad esempio quindi, quelli che godevano di una qualche approvazione, o
comunque di minor sospetto, erano i collegi sacerdotali che l‟imperatore stesso aveva
costituito, gli augustales319
appunto. Si noti di nuovo il legame con la politica, dato che
tali pratiche erano viste come modo per tenere occupata la popolazione e per suscitare
consenso.
“Tao te Ching”: lato in ombra e lato soleggiato della collina
Paradigmatico è il caso dei cristiani320
e del motivo per cui furono perseguitati:
non per motivi religiosi, così come non per motivazioni dottrinali, ma civiche e
politiche; così come lo furono le ragioni che soggiacevano al rifiuto di Traiano alla città
di Nicomedia, di non permettere la costituzione di un corpo di vigili del fuoco: alla
base, riscontriamo una paura di derive politiche, di formazione di associazioni
potenzialmente pericolose e “rivoluzionarie”321
.
Se non erano rilevate possibili derive eversive, esse entravano a far parte a tutti gli
effetti del mondo romano e acquisivano un proprio specifico posto, anche all‟interno
delle festività e degli eventi della società romana. Una simile apertura non dovrebbe poi
stupirci più di tanto, anche alla luce di quello che è stato detto finora; tutte queste
318 P. Clodio aveva fatto ampio uso di collegia per minare l‟autorità romana, per ottenere e raggiungere
l‟alta società, Cic:Sest, 7, 16-17; Plut:Cic, 28, 1. 319 Tac:Hist, 2, 95. 320 Plinius:Ep, 10.96.7. 321 Plinius:Ep, 10.34; Garnsey 1987 p. 157.
102
festività infatti furono una conseguenza inevitabile dell‟evoluzione politica e sociale che
aveva portato i padroni dell‟impero a servirsi di ogni mezzo possibile, tra cui anche le
feste e le religioni introdotte e integratesi a Roma, per consolidare il dominio sulle
masse, fossero esse romane o peregrine322
. Nuovamente infatti, così come nella maggior
parte di tutte le società antiche e non solo, la religione e le sue istituzioni riflettono i
rapporti di forza all‟interno della società e della comunità, forniscono la giustificazione
per l‟ordine esistente e per il dominio sul resto della popolazione e sono appannaggio
degli istituti e dei gruppi politici dominanti323
.
E questa relazione è una costante che ha resistito ai vari mutamenti politici,
amministrativi e culturali della Città Eterna; infatti, anche se la transizione
dall‟oligarchia alla monarchia comportò cambiamenti anche nei modi di concepire,
praticare e rappresentare la religione e il potere, il connubio rimase: Augusto
reinterpretò le forme religiose tradizionali, utilizzandole come veicoli con cui poter
meglio esprimere e rafforzare le proprie politiche egemoniche e le proprie pretese di
rivitalizzazione e restaurazione della Res Publica, ricorrendo alla costruzione di templi,
alla riorganizzazione dei collegi sacerdotali, all‟introduzione di nuovi culti. Tuttavia,
con il Principato, iniziano a manifestarsi i primi segni di cedimento che poi si
paleseranno secoli dopo. Il nuovo disegno e la nuova riforma di Augusto così come
tutto il nuovo impianto del principato, sopravvivrà solo fino a quando si manterrà carico
del potenziale e delle valenze politiche324
. Infatti, fino a quando la religione si mantiene
una sezione della vita dello stato, fino a quando ne rappresenta un aspetto inscindibile
all‟interno della polis che spinge, sprona e invoglia il singolo ad aderire pienamente alla
propria comunità, poiché vi trova una completa soddisfazione, non si sente il bisogno di
322 Carcopino 1982, p. 235. 323 Garnsey 1987, p. 163. 324 Gigli 1947, P. 25.
103
maggiore indagine e riflessione religiosa. Ora invece, la coscienza umana avvertiva un
peso nuovo che prima era stato tralasciato se non disprezzato. Per secoli l‟uomo aveva
dedicato tutto se stesso allo stato, subordinando la propria personalità ad un ideale che
interpretava le sue esigenze e soddisfaceva le sue aspirazioni. Prima – con la Res
Publica – l‟uomo romano aveva lo Stato cui dedicare anima e corpo e che riempiva quel
suo vuoto interiore, presente in ciascuno di noi ma spesso latente o compresso e
“distratto” da altre occupazioni; poi con l‟avvento del principato, anche se non avvertito
immediatamente, verrà sempre meno la sua partecipazione alla vita pubblica e politica,
e sentirà nascere un desiderio di profondità sempre maggiore, un‟aspirazione a dedicarsi
a qualcosa di nuovo che lo riempia così come lo riempiva la vita pubblica. Il
paganesimo della Res Publica era una religione spiritualmente assai povera, anche
perché si trattava di un utilitarismo grossolano praticato nei rapporti con il
soprannaturale, che difettava però di un accento d‟intima e personale comunione tra
uomo e dio. Era un rito, con uno spirito tutto laico e celebrato da chiunque, sia nella
sfera privata che pubblica. Una religione che non toccava per nulla la vita morale, che
non si interessava delle domande dell‟individuo e della sua coscienza e che bollava
come superstitio325
ogni ulteriore tentativo di un approccio più diretto e intimo.
Nell‟Olimpo tutto si svolge secondo i metodi della terra e nei Campi Elisi anche le
ombre più felici sospirano e rimpiangono unicamente le dimore dei terrestri, con la vita
dell‟anima che si depotenzia in una triste dimora senza sole e buia sempre326
. Dopo
generazioni di attività, rivolta in particolar modo alla vita pubblica, era come se fosse
nata una frattura, una barriera: il calore dell‟ambiente familiare con i suoi valori si era
estinto; gli interessi comuni sembravano svaniti oppure banali, ridotti ad un puro
325 Vedi supra p. 91, 326 Verg:Aen, VI.534.
104
formalismo, e addirittura opprimenti; ora non solo lo gnostico “si sveglia e la vita gli
appare un incubo da cui si fugge, non sapendo dove andare oppure si rimane inerti,
schiacciati327
”.
Tra l‟epoca di Cicerone e quella degli Antonini, la religione cessa di essere
indegna di un uomo di cultura e si apre a nuovi orizzonti. Per Cicerone, e si prende lui
come esempio e rappresentante di tutti gli intellettuali che erano abituati a cibarsi di
parole e ragionamenti, la religione era pura formalità e non rivestiva importanza se non
a livello politico; per la sua epoca infatti, in cui la religione si riduceva a mere
superstizioni, il paganesimo antico sembrava infatti limitarsi ad un folklore rituale,
perché l‟unica ad avere dignità e importanza era l‟espressione verbale che arrivava a
contare tanto quanto gli atti e che rappresentava un demarcatore sociale: infatti
“cultura” indicava anche “non pensare come il vulgus”, privilegio che denotava,
marcava e distingueva la nobilitas328
. Ora invece si è di fronte ad un cambiamento
radicale, frutto forse proprio di quelle mutate condizioni politiche e del diverso ruolo
che la politica e gli affari dello stato richiedono al cittadino. Certo il Pantheon romano
ufficiale sopravvive ancora, immutabile, almeno in apparenza, e le cerimonie
continuano a compiersi secondo il costume degli antenati: il problema è che sono gli
uomini che lo stanno abbandonando329
.
Con questa crisi, tuttavia, non si può dire che una propensione religiosa fosse
scomparsa da Roma né che fosse diminuita o che si fosse verificata all‟improvviso e
tutta insieme. Con un processo graduale, la fede romana si era semplicemente staccata
dal politeismo romano ufficiale e si orientava verso le sette filosofiche, le confraternite e
327 Ferguson 1970, pp. 88-98, Carcopino 1982, p. 150. 328 Veyne 1990, p. 247. 329 Carcopino 1982 p. 143.
105
le religioni misteriche330
. Qui ottenevano risposte ai loro interrogativi e trovavano una
tregua alle loro inquietudini; qui i seguaci si sentivano proporre una spiegazione del
mondo, delle regole di condotta e una possibile via di liberazione dal male e dalla morte
che precedentemente non avevano avvertito331
.
L‟aspetto curioso è che Roma inizia ad avere una vita religiosa nel momento in
cui la religione di stato cessa di vivere nelle coscienze. Questo cambiamento si verifica
e avviene anche grazie al mondo orientale, all‟ellenismo, per mezzo della quale si
afferma e si diffonde la rivelazione di nuovi dogmi. L‟insegnamento delle filosofie
greche e orientali, per assurdo, anche quando arrivano a negare una vita dopo la morte o
quando gli esseri immortali vengono relegati nell‟inazione degli intermundia – come ad
esempio avviene per l‟epicureismo332
– professano comunque di essere liberatrici dalla
morte e dai suoi terrori, e rimandano ad un‟esistenza non legata o connessa a quelle
attuale, concreta e presente. Che vengano dall‟Anatolia o dall‟Iran, dalla Siria o
dall‟Egitto, che siano maschili o femminili, con riti cruenti o inoffensivi, queste nuove
divinità orientali mostrano caratteri simili, quasi identici: gli dei che vengono alla luce,
assicurano agli iniziati, senza distinzione di nazionalità o di condizione, protezione e
salvezza, facendosi portatrici di nuovi e più potenti messaggi di speranza. Oltre a questo
aspetto, esse abbagliano il fedele con lo splendore delle loro feste, con la pompa delle
loro processioni; con i canti e le musiche inebrianti, con la grandiosità e la
330 Niente rivela più chiaramente il clima di vivace cambiamento instauratosi nel III secolo, che il ruolo assegnato ai demoni che finirono per essere identificati come elementi del male intrufolati in qualsiasi
situazione di malattia o disgrazia; cfr. Fishwick 2002, p. 197-198. 331 Carcopino 1982, p. 150. 332 Turcan 1991, p. 144; sempre l‟autore pone in evidenza proprio questo aspetto e questa connessione tra
decadenza della partecipazione politica ed emergere di una più sentita partecipazione religiosa: la novità,
l‟innovazione di culti come quello di Iside o dei riti misterici più in generale, risiedeva nel fatto che
queste religioni non colpivano solo gli occhi e le orecchi, il cuore o l‟emotività. Davano ai fedeli una
ragione per vivere e per morire, una spiegazione del mondo, della creazione e della loro stessa esistenza.
Esse reintegravano l‟individuo nell‟ordine cosmico e divino e davano un‟identità, una speranza alle
coscienze angosciate che si ponevano problemi esistenziali.
106
spettacolarità: è la stessa cosa che avveniva in precedenza per le manifestazioni, le
celebrazioni civili e politiche – come il trionfo o l‟investitura e l‟assegnazione di cariche
ed onorificenze – e che ora trova applicazione in questo nuovo campo. E a proposito di
salvezza, proprio questo termine si presta a ben spiegare gli stravolgimenti che stanno
capitando già nell‟alto impero e sfoceranno nel basso impero: il termine salus passa
dall‟indicare la “salute fisica” della repubblica e degli inizi del Principato, ad un
significato morale ed escatologico, che racchiude l‟idea di liberazione dell‟anima e la
beatitudine nell‟eternità celeste333
.
Man mano che si esaurisce la forza propulsiva che aveva caratterizzato il
Principato, iniziano a palesarsi i primi sintomi di declino, di distacco e di
allontanamento dalla religione tradizionale; soprattutto la maschera e la concezione
classica degli abitanti dell‟Olimpo subiscono forti contraccolpi, ed iniziano a sbiadire
perché non si adattano più all‟universo indistinto e imperscrutabile che sta emergendo
nella nuova realtà tardo imperiale. La religione romana tradizionale scivola sempre più
e sprofonda in maniera inesorabile verso il baratro: non sembrano esserci appigli e anzi,
con il progredire della crisi del III secolo, con l‟intensificarsi degli attacchi esterni ed
interni, con una situazione che diventa sempre di più difficile soluzione, il civis inerme
ha bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa cui sostenersi per provare a risalire, a
riguadagnare fiducia e speranza. La religione tradizionale non gli basta più, ma cerca e
trova lo stesso risultato nelle religioni alternative, soprattutto quelle misteriche. Nel
nuovo paganesimo cresce l‟importanza e l‟aspetto del rapporto personale, diminuisce il
numero delle divinità, le quali però perdono il loro regale capriccio per acquisire buona
fede. L‟essere celeste diventa un buon re – fino a quando non ci sarà una vera e propria
333 Carcopino 1982, p. 156; inoltre cfr. Caropreso P, et al., Salvezza, vol. XIX, p. 660; inoltre per un
confronto tra le due accezioni; Molari 1991, p.1384.
107
coincidenza tra re ultraterreno e re in terra334
– che governa con le regole della ragione,
e l‟uomo attende di essere istruito dagli oracoli provvidenziali degli dei che però si
rivelano più chiari, diretti e profondi.
La crisi dopo Marco Aurelio, trovò applicazione nella monarchia militare di
Severo e la sua svolta assolutistica; infatti egli stabilì legalmente l‟eredità dinastica,
ponendo un energico accento sull‟assistenza data all‟imperatore dagli dei, che iniziano a
caricarsi di nuovi significati: le finzioni costituzionali gelosamente rispettate fino ad
allora, vengono messe da parte per favorire il successo dell‟assolutismo monarchico.
Nella sua posizione, il monarca, riconosciuto ora come divinamente favorito, appare
prima mediatore fra gli dei e gli uomini, e infine dotato di divina maiestas, in particolar
modo a partire da Diocleziano335
, ma con la considerazione che il terreno era già stato
preparato da Aureliano336
.
Venuta anche meno la fiducia nelle concezioni tradizionali e negli istituti che
incarnavano il potere centrale, ora si sente il bisogno di nuove visioni della vita e di
nuove prospettive, che rispondano alle nuove inquietudini ed esigenze. Il III secolo fa
nascere l‟esigenza di un maggior livello di profondità anche nella coscienza imperiale
che è, e dovrà essere, alimentata dai pilastri di un‟altra religione che rivaluterà
primariamente l‟aspetto militare: dall‟idea e dai valori di Roma Eterna, Vittoria
Augusta337
, genius Augusti338
, o dal numeroso panteon greco-romano, arricchito da ogni
possibile essere sovraumano incontrato nel processo di conquista, si finisce con una
communitas deorum sempre più ristretta, per poi arrivare al Sol Invictus di Aureliano e
334 È proprio con Aureliano che abbiamo il primo e legalmente riconosciuto legame e accostamento tra
Deus e Imperator, cfr. Turcan 1991, p. 221. 335Gigli 1947, p. 194. 336 Vedere Fig. 8, 9. 337 Si tratta di epiteti che rimarranno nel corso della storia dell‟impero romano, ma che verranno anche
ampliati ed estesi caricandosi sempre più di valenze e di riferimenti religiosi, sacri, divini. Cfr. figura 6. 338 Giardina 1989, p. 118
108
infine al cristianesimo e al monoteismo in generale. D‟ora in poi si affermeranno
sempre più le idee orientali e l‟idea di monarchia assoluta, fondata sulla forza delle armi
e sul crisma religioso339
. Anche l‟alta civiltà e l‟autorità morale dell‟impero e del suo
sovrano esigevano che lo Stato onorasse pubblicamente un dio dalla superiorità
incontestabile, che rispondesse alle più alte esigenze dello spirito moderno.
Questa esigenza di generale centralizzazione e di rafforzamento della relazione tra
religione e corpo politico è avvertita proprio a partire da Aureliano, ma il problema che
si pone è sempre legato alle modalità con cui realizzarla, a quali processi dare maggior
risalto e su quali aspetti porre maggiormente l‟accezione. Quindi come riformare il
sistema e le credenze religiose in modo da legare e vincolare il maggior numero di
persone? Rivolgendosi al potente passato, come appoggiarsi ad esso senza reprimere i
mutamenti e porsi in linea di continuità? Come trasformarsi senza perdere le proprie
radici? Come far accettare questo cambiamento?
Dietro l‟azione di Aureliano, profondamente conscio di questi cambiamenti che
stavano avvenendo nella società, si cela una chiara ricerca di rivalutazione e rilancio
della Romanitas, in un grande progetto che arrivi ad cambiare e rifondare l‟intera
società romana. L‟idea che soggiace ad un simile progetto è una visione che si richiama
al passato e che ha nell‟istituzione del culto e nella formazione di un collegio
sacerdotale, con il princeps stesso che ne diventa pontifex maximus, il punto nodale, con
la ripresa dell‟evocatio340
repubblicana341
. Sicuramente può rappresentare un tentativo
di focalizzare e raccogliere la fedeltà delle persone intorno all‟impero e
all‟imperatore342
, per centralizzare cioè e condensare il potere e per assicurare ordine in
339 Figura 18. 340 Vedi supra p. 92. 341 Homo 1975, pp. 188-194; Ferguson 1970p.54; Halsberghe 1972, pp. 141-143. 148-152. 342 Parker and Warmington 1958 p. 208.
109
un impero diviso e sconquassato343
. Lo sviluppo dato al culto del Sole, doveva servire a
porre il nuovo monoteismo al di sopra del politeismo, ma anche come alternativa valida
e profonda al cristianesimo e alle religioni misteriche; si trattò di una meditata
imposizione di carattere pubblico, fatta perché il sovrano fosse considerato di origine
divina e per preservargli e giustificarne il potere.
Elagabalo: il Sole pallido dell’inverno
La monarchia aveva bisogno di una teologia che la legittimasse. Gli imperatori si
accorgono che ci va un‟anima all‟impalcatura amministrativa, un qualcosa di più intimo
e profondo del culto di Roma e di Augusto e così anche loro si rivolgono ai culti
d‟Oriente344
. Il sole poteva essere il simbolo di un‟eventuale convergenza delle
coscienze in funzione di un ordine cosmico, giovandosi dei vari sincretismi che
spingevano i differenti culti a riconoscersi nell‟astro della vita345
. Il sole infatti, nel
mondo celeste, poteva rappresentare quello che l‟imperatore era nel mondo degli
uomini: Sol Invictus Imperator. Il giorno in cui il sommo sacerdote del Dio Sole fosse
diventato imperatore, si sarebbe giunti ad una sorta di conclusione anche logica e
teologica.
La devozione per il Sole è tipicamente Araba; l‟ammirazione per questa
onnipotenza tipica della Siria interna e del deserto: città siriache come Edessa, Hatra,
Hatra di Shamash, sono tutti esempi di luoghi in cui il culto del Dio Sole era molto
diffuso, con l‟aquila costantemente collegata all‟astro sovrano346
: da qiu, il passaggio
dall‟aquila imperiale all‟astro nascente è abbastanza immediato; gli attributi di Zeus o
343Homo1975, pp. 193-4; Mattingly 1961, p. 309; Halsberghe 1972, pp. 152-3. 344 Whittaker, C.R., Acculturation and Resistance in Religion, in Mattingly (1997), p. 143. 345 Turcan 1991, p. 96. 346 Turcan 1991, p. 27.
110
Bàal di Heliopolis-Baalbek si ricollegano ugualmente al culto solare e presentano
caratteristiche molto affini. Il sole è un potente simbolo di trionfo, potenza, forza e
resistenza347
, e lo è sempre stato; troviamo sue attestazioni e un suo utilizzo come
simbolo e strumento di propaganda, già a partire dalla dinastia Giulio-Claudia348
. Nel
corso di tutta la storia romana esso si carica di un grande valore e di una grande
simbologia, e inizia ad apparire sotto forma umana con Vespasiano, poi con Adriano. È
con Settimio Severo che il sole pare acquisire valenze più istituzionali349
e ancora di più
lo sarà con Elagabalo (218-222)350
. Senza dilungarci troppo sulla sua riforma, possiamo
dire che quello che egli ha fatto è stato provare a concentrare nella figura del Dio Sole
Invincibile tutte le potenzialità divine che potevano riunire misteriosamente le diverse
testimonianze sacre dell‟impero in un‟unica realtà351
. Il tentativo era poi fallito proprio
nel suo progetto di collegare l‟imperatore alla popolazione e alla realtà circostante;
serviva ancora un passaggio obbligato che neanche Aureliano è riuscito a capire appieno
e che avverrà con il cristianesimo: nonostante tutto, anche questa nuova religione, non li
univa al dio; non li confortava, né forniva agli adepti la consapevolezza di lottare per la
salvezza di una creazione divina e o per un qualcosa comunque di più alto. Nonostante
tutto, la riforma introdotta da Eliogabalo rimaneva formale e non stabiliva un passaggio
dalla condizione di mortale a una immortale, dalla precarietà alla felicità; essa non
implicava un‟iniziazione che stabilisse un patto tra il fedele e la divinità prescelta e che
gli assicurasse una posizione privilegiata; non aveva escatologia e non offriva
347 Fig. 8, e poi e soprattutto, fig. 10. 348 Ferguson 1970, pp. 44-52, pp. 88-9; Turcan (1991) dice che certamente il culto dell‟astro diurno aveva
da molto tempo un suo posto nel pantheon ufficiale, tenuto anche conto che la teologia solare era sempre
più spesso associata al culto imperiale, tramite il simbolismo legato a Iupiter Maximus, Turcan 1991, p.
218. 349 Cain 2009, pp. 21-44. 350 Ferguson 1970, pp. 52-54; Halsberghe 1972, pp. 57-107. 351 Il fuoco perpetuo di Vesta, per esempio, veniva accostato e legato al fuoco celeste del Sol Invictus,
Turcan 1991, p. 110.
111
apparentemente nessuna prospettiva di immortalità352
. Oramai l‟uomo tardo antico
aveva bisogno di sentirsi speciale; non garantiva affatto ai devoti una sicurezza in
questo o nell‟altro mondo, contro il destino o i demoni, contro le potenze del cielo o
dell‟inferno: era questa quello che veniva inconsciamente richiesto e che avverrà poi
pienamene con la religione di Cristo. Tuttavia, se Aureliano ha fallito nel capire e
introdurre questi aspetti, è stato comunque in grado di compiere un passo ulteriore
rispetto a Elagabalo; infatti Eliogabalo ha attuato una riforma che ha stravolto
completamente le istituzioni romane e si è fatta portatrice di cambiamenti troppo
radicali; la sua riforma si è presentata come completamente estranea alla tradizioni
romane e alla cultura dei senatori e della società in generale; Eliogabalo ha sconvolto
completamente le gerarchie umane, sociali e morali, Aureliano no.
Aureliano: il solstizio d’estate 353
Nello specifico, con Aureliano, possiamo dire che il dio Sole è stato sicuramente
un elemento comune e a lui ben noto sin dagli esordi; infatti è possibile tracciare una
sorta di evoluzione del “rapporto” dell‟imperatore con il Dio Sole, proprio a partire
dalla sua vita e dalla sua esperienza personale. Probabilmente il Dio Sole gli è stato
familiare fin dalla sua giovinezza354
, anche semplicemente perché era un culto molto
352 Turcan 1991, p. 143-146. 353 Il solstizio d‟estate qui l‟ho voluto intendere e riferire alla riforma di Aureliano che si può considerare – proprio come il sole nel giorno del solstizio d‟estate – come un sole che non è ancora quello tipico e
pieno dell‟estate, ma che è agli esordi; infatti la riforma di Aureliano, anche se non è stata in grado di
affermarsi e di dimostrarsi duratura, ha comunque rappresentato l‟esordio, la premessa e il trampolino di
lancio del cristianesimo. Esso, senza Aureliano, avrebbe probabilmente riscontrato maggiori difficoltà
nell‟affermarsi come religione del popolo e dello stato. 354 In genere si tende a non considerare veritiera e affidabile l‟HA, Vita Aureliani quando parlando della
fanciullezza dell‟imperatore riporta come, nonostante le sue origini fossero oscurior (3.1), si sa che i suoi
genitori fossero modici (4.1), e che sua madre fosse una sacerdotessa del tempio del Sole (4.2). Una
simile attestazione è stata sconfessata principalmente perché non è presente nelle altre fonti e perché
appare troppo evidente la forzatura di legare in una sorta di predestinazione, la futura riforma religiosa e i
112
diffuso nel III secolo; inoltre grande influenza aveva sicuramente avuto su di lui il
servizio prestato nelle legioni dal momento che il culto del Sole era conosciuto e molto
diffuso, proprio per il suo legame con la vita militare355
. Inizialmente, anche se
Aureliano sulle monete inizia ad apparire maggiormente come Giove, successivamente,
addirittura prima della riforma monetaria, alla fine del 273, si hanno le prime incisioni e
raffigurazioni, in un nuovo slancio ed enfasi che porterà il Sol Invictus ad affermarsi
come divinità super partes356
.
Più in generale, nelle fonti, l‟introduzione o comunque la riproposizione di questo
nuovo progetto, risale alla campagna di Palmira. Provando a sintetizzare, si può allora
dire che è nel tardo 274 che Aureliano pare abbia provato ad introdurre ufficialmente il
culto del Dio Sole, o Sol Invictus, nella capitale357
, quando cioè l‟imperatore ordinò che
il Tempio del Sole a Palmira venisse restaurato, dopo che esso era stato saccheggiato da
soldati della III legione358
; una volta riportato al suo antico splendore, sappiamo che
portò il tempio359
a Roma360
e lo introdusse come culto, fondendo l‟immagine del Sol
trascorsi personali dell‟imperatore. Rimane comunque il fatto che il dio sole, noto nel corso dei secoli con diversi nomi, era conosciuto nella società romana. 355 Halsberghe 1972, pp.116-117. 356 Ad esempio, Soli Invicto, Oriens Aug(usti), presenta con Aureliano (RIC 5.1, p. 293-294 #254,257);
Gordiano III (RIC 4.3, p. 37 #10), Gallieno (RIC 5.1 p. 39 #10), e Claudio (RIC 5.1, p. 217 #76). Vedere
Ferguson 1970, p. 49. 357 Vict:Caes, 35.7; Eutrop, 9.15.1; SHA:Aur, 25 .6, 35.3; Chronica Urbis Romae, p. 148; Sync, 721;
Hieron:Chron, 223a,b . Tuttavia solo Zos 1.61.2 fornisce informazioni in più al riguardo e non si limita a
dire che venne costruito un tempio a Roma, ma lo colloca in un preciso e determinato contesto,
menzionando anche l‟istituzione di nuove cariche pontificie per gestire il culto; Homo p. 186; Halsberghe
p. 144. 358 SHA:Aur, 31.7, affermazione vagamente confermata da alcuni studi recenti, nei pressi di Palmira che
hanno rilevato la presenza di numerose devastazioni e la presenza di un tempio. 359 Anche del tempio, abbiamo solo accenni e riferimenti vaghi sul suo splendore e sulla sua
magnificenza; infatti abbiamo qualche sporadica osservazione sulle decorazioni interne, (gemme prese da
Palmira SHA:Aur, 28.5; Zos, 1.61.2 con il tempio decorato da offerte votive sempre di Palmira; invece
Vict:Caes, 35.7 parla solo di grande opulenza e di ricchi doni, mentre Eutrop, 9.15.1 nota come Aureliano
dedicasse una grande quantità di oro e Hieron:Chron, riporta che fu costruito nel Campus Agrippae. Per il
resto cfr. Fisher 1929, pp. 143-144; Pearson 1976, pp. 66, 80;. 360 Non c„era in Roma un vero e proprio santuario in cui se ne praticasse il culto. Aureliano dedicò un
tempio gigantesco al Dio Sole, creando un collegio di pontefici incaricati di curarne la liturgia ed infine
dedicandogli dei giochi: in questo modo egli aveva istituzionalizzato e consacrato il punto di arrivo
spirituale di un secolo che si era dedicato al culto del sole.
113
Invictus, con “l‟immagine dell‟esistente Zeus-Giove, in particolar modo con la divinità
greca di Zeus benevolente361
. L‟imperatore, nella sua teologia, diventa immagine e
manifestazione diretta del Sol Invictus, cui si accompagna tutta una serie di titoli e
attributi quali dominus imperii romani, deus et dominus, deo et domino nato Aureliano,
restitutor orbis, deus Aurelianus362
: non si è più solo chiamati dio dopo la morte, ma si
è dio anche in vita, deus natus, per cui l‟appellativo si innalza e la sfera di riferimento si
impreziosisce e lo eleva o accosta al mondo ultraterreno363
.
Aureliano non è stato un innovatore in campo religioso e non voleva creare
nessuna nuova religione che si andasse a sostituire al paganesimo romano; ha
semplicemente cercato di creare e di forgiare specifici elementi della religione e del
culto imperiale in strumenti per consolidare, rafforzare, incrementare la fedeltà della
popolazione, il proprio ruolo e il proprio potere. È in quest‟ottica che si pone la sua
persecuzione del Cristianesimo, oppresso non per le proprie caratteristiche intrinseche,
ma perché si poneva come antagonista al progetto di rinnovamento religioso. Non è
quindi il cristianesimo in sé, ma l‟idea di contrapposizione che esso racchiude; un simile
pensiero vale anche per gli imperatori successivi che si porranno su questa stessa linea
di pensiero, fino ad arrivare a Costantino: l‟unica vera differenza è che Costantino si
rivolgerà alla “parte avversa”, alla confessione perseguitata, anziché porsi in linea di
continuità con i suoi predecessori, ma questo solo perché il Cristianesimo gli sembrerà
più forte e garante di una maggiore presa sulla popolazione e sulla società, di una
maggiore efficacia a livello di gestione, controllo e organizzazione dell‟impero.
Comunque la si voglia mettere, emerge che anche il potere centrale si è accorto
dell‟esigenza di avere non solo un dio in più e diverso, ma soprattutto uno comune a
361 Webb 1919, pp. 235-243; inoltre vedere figura 3, 8, 11. 362 CIL, XI. 6308; CIL II. 3832; VIII. 4877. 363 Gigli 1947, p. 203.
114
tutti i sudditi dell‟impero, che si potesse adorare accanto alle proprie creature
ultraterrene: secondo questa considerazione il sole poteva essere proprio quel dio che si
cercava. È una nascita frutto di un vero e proprio calcolo politico, ma non bisogna
commettere l‟errore di ridurlo a puro e semplice strumento di propaganda364
perché era
comunque avvertita l‟esigenza di poter essere a contatto diretto con qualcosa di più
grande di sé; era di grande aiuto in un‟epoca di mutamenti rivoluzionari, ed era poi
perfettamente compatibile con l‟acume politico365
.
È per questo che nasce il desiderio, il bisogno di trovare un dio il cui incarico
fosse delimitato e personale e non si disperdesse in opere vuote, vacue e profondamente
impersonali; si cerca una nuova concezione che miri al cuore di una divinità, di un
qualcuno che abbia una potenza e un‟incidenza sulla vita, e che non si dimostri più
subordinato, assecondato e asservito alle mere esigenze umane; una divinità che guidi e
non sia guidata.
La proposta di Aureliano quindi prova a coinvolgere e a raggruppare al proprio
interno tutta questa seria di fattori e di elementi ed è il primo passo verso l‟affermazione
del Dio-Imperatore, del rappresentante di Dio sulla Terra, di Diocleziano e
dell‟imperatore tardo-antico. Aureliano ha cercato di connettere e legare saldamente tra
loro la politica e la popolazione, il governo dello stato e i suoi componenti, cercando di
ritrovare e rinsaldare quei vincoli che si erano rotti, quella frattura che si era creata tra
Istituzione e popolo e che minava le fondamenta di Roma stessa. È a mio avviso in
questa chiave che va interpretata l‟opera di Aureliano: dopo secoli di principato, anche
se comunque luminoso come quello degli Antonini, la società romana si è diseducata
364 Anche se la legittimazione politica rimane una sua caratteristica importante, come quando si dice che
Aureliano, affrontando un ammutinamento, dice che solamente Dio ha l’autorità di dare la porpora e di
porre un termine/ una fine al suo regno”; vedere anche CIL II 3832, VIII 4877, XI 556 che parlano di
Deus Aurelianus, con un evolversi ed estendersi ad ogni aspetto – statue, vestiti, monete, dimora e
famiglia – della vita dell‟imperatore. Gigli 1947, pp. 204-206. 365 Brown 1974, p. 38-41.
115
alle grandi responsabilità, ed è arrivata così all‟innalzamento del princeps a dominus, e
del civis a servus”. Si è creato, per esigenze di controllo e di gestione, uno stato
dispotico che non prova più a mantenere il rapporto con gli altri componenti, ma lo
subordina completamente e ne distingue addirittura le nature e le sfere di appartenenza,
umana e divina. Già a partire da Diocleziano, la figura dell‟imperatore si ammanta di
un‟aura divina, di una ieraticità e di una intoccabilità che lo vogliono allontanare dal
mondo. Ora tutti gli sforzi sono rivolti a far sentire, vedere e percepire l‟imperatore
come un‟Entità sacra, astratta e lontana; la sua persona e la sua vita verranno scanditi da
rituali, da cerimonie e da espedienti volti e mirati a immolarne la figura e il ruolo366
. In
tutti questi aspetti e rituali, il sacro e il profano rimangono legati tra loro, correlati e
difficilmente scindibili e uno si mantiene in funzione dell‟altro; soprattutto l‟aspetto
religioso, che è asservito al potere politico. Per comprendere meglio il passaggio si può
citare l‟esempio dell‟ippodromo; infatti esso era contiguo al palazzo imperiale, era
l‟unico posto in cui l‟Imperatore del Tardo Impero si mostrava al popolo, probabilmente
il posto dove avveniva la sua apparizione367
, e che rimaneva comunque la più
impressionante ed emozionante apparizione in pubblico. L‟ippodromo, come l‟arena368
aveva anche l‟altro scopo di far vedere alla folla il princips in persona, in mezzo al suo
popolo; tramite queste rare occasioni, l‟abitante romano poteva sentirsi vicino
all‟imperatore, dato che aveva l‟onore di condividerne addirittura le emozioni. Così
l‟autorità centrale esaltava e impreziosiva ancora di più alcuni eventi della vita pubblica,
si stemperava nella familiarità dei sentimenti comuni e riceveva in cambio ondate di
366 Mi ha molto colpito Il Libro delle Cerimonie, dell‟Imperatore Costantino VII Porfirogenito; (Toynbee
1973, pp. 575-605) in cui viene spiegato ogni singolo momento della vita dell‟imperatore, con ogni
minimo accenno e spiegazione dei gesti e del loro valore, in una regolamentazione completa, totale del
cerimoniale imperiale. 367 Cannadine 1987, p. 110. 368 E forse come anche solo l‟arena, salvo rare eccezioni ed eventi,
116
popolarità che si frangevano ai suoi piedi369
, durante i giochi. E queste occasioni erano
ancora più importanti perché davano la possibilità al popolo di esprimere ancora una
qualche tipo di opinione o anche petizioni, di pensare di esercitare ancora un potere
decisionale. Addirittura gli imperatori più capaci o sottili usavano la folla per incanalare
e dirigere la corrente popolare verso riforme ed idee che volevano far approvare ai
nobili e spesso sfavorevoli ai nobili. La loro abilità permetteva di rigettare e scaricare
sulla moltitudine la responsabilità di sanzioni e decisioni che avevano già meditato di
adottare370
. Anche in questo modo gli spettacoli erano stati ripresi e ritemprati, riadattati
alle nuove esigenze, entrando nuovamente a far parte dell‟ossatura del governo
imperiale, dato che ne alimentavano la fiamma e la durabilità.
I raggi del Cristianesimo
Ed è in questa luce che si può prendere – e forse si deve prendere – in
considerazione il cristianesimo371
, da cui non si può prescindere nella trattazione della
vita di Aureliano e nella descrizione dei mutamenti sociali avvenuti. Se si è visto come
le trasformazioni e le riforme di Aureliano si rivelarono inefficaci o comunque non così
fondate e valide da sopravvivere sul lungo periodo372
, altrettanto non si può dire del
cristianesimo che si affermerà come religione, e che deve anche ad Aureliano la sua
369 Queste le parole di Watson (1999) quando parla dell‟importanza dei giochi per la politica imperiale;
infatti – continua Watson – I giochi avevano innanzitutto un qualcosa di sacro ed è per questo che
rientravano sotto il controllo statale, cosa che accadeva per ogni aspetto e considerazione in materia di religione, Watson 1999, p. 187. 370 Carcopino 1982, P. 235. 371 Uno dei suoi meriti è stato quello di aver trasformato l‟Immagine di un Dio astratto e comunque
invisibile, in un‟immagine concreta e reale, vicina alle persone, attraverso la figura di Cristo, come sole di
Salvazione (Sol Salutis), l‟astro vivificante confermava così la sua conquista simbolica del mondo
romano e diventa cristiano, Turcan 1991, p. 221. 372 La proposta di Aureliano celava però, tra le varie cose, il difetto di aver attinto al mondo orientale e in
particolar modo ad un Dio che si pensava fosse peculiare della detestata Siria, visto che il Dio Bel di
Palmira era considerato, a torto, come suo dio nazionale. (Anche Elagabalo lo portò da Emesa e fu
assassinato anche per questa ragione). Veyne 2007, pag. 278.
117
fortuna. Infatti esso si affermò perché, tra tutte le varie dottrine e pratiche religiose di
quel tempo, anche esso predicava un distacco dal mondo e dalle vicissitudini terrene;
tuttavia, rispetto alla altre religioni, esso ha compiuto un ulteriore passo e si è spinto più
in là del paganesimo. Il cristianesimo arriva a prospettare l‟introduzione del principio
dinastico, dell‟importanza della gerarchia e della realtà e dell‟unità politica, trovando
giustissimo che il potere si trasmettesse di padre in figlio e che l‟autorità si sviluppasse
con la sottomissione di tutti gli altri componenti della società, proprio in virtù della sua
stretta relazione con la divinità. La chiesa non solo ha accettato l‟Impero come dato di
fatto, ma lo ha anche consacrato formalmente come unica istituzione, ricreando e
fornendo nuovamente il legame covalente tra religiosità e istituzioni, che spesso la
nobiltà aveva contestato, e come aveva provato a fare Aureliano373
. La menzione della
religione dei seguaci di Cristo è tanto più importante perché offriva agli uomini una
soluzione alla confusione che si era creata dal non sentirsi più parte della realtà cui
erano vissuti fino a quel momento374
. L‟assurdo era che intorno al 250 essere cristiano
assicurava per molte persone una maggiore protezione da parte dei propri confratelli che
essere civis romanus. La Chiesa forniva quindi sostegno, supporto per quei servizi che
prima erano sovvenzionati, garantiti dalla città, dalle loro élite o dallo stato375
. Il fascino
cristiano stava proprio nel carattere “profondo” della comunità: attraeva la gente perché
conduceva l‟individuo dal vasto mondo impersonale a una comunità più ridotta, dove le
esigenze, i rapporti e le situazioni erano esplicite e ben determinate. E acquisirà il pieno
successo, nel momento in cui sarà in grado – proprio come aveva auspicato Aureliano
quando aveva scelto il Sol Invictus – di attecchire tra i ranghi dell‟esercito. Non è vero
come sostengono alcuni studiosi, che il cristianesimo allontanasse dalla vita militare gli
373 Gigli 1947, p. 48. 374 Brown 1974, p. 46. 375 Brown, I. P. 177; Garnsey 1987 p. 175.
118
abitanti dell‟impero romano, anzi, esso sarà proprio in grado di dimostrarsi una
religione militare, dato che il Dio cristiano si presenterà come un Dio vincente, un Dio
conquistatore che dà forza e successo a chi gli si sottomette. Esempio banale ma sempre
attuale è quando Costantino affermerà di aver avuto una visione di Dio che gli
prometteva la vittoria se avesse aderito al culto, prima della famosa battaglia del ponte
Milvio376
. Proprio per le caratteristiche della battaglia, per l‟incertezza e le forti
emozioni o che le si accompagnano, ogni esercito ha sempre avuto l‟esigenza di avere
Dio dalla propria parte377
, per le garanzie che offre: la vittoria in primis, ma anche per le
promesse che fornisce in caso di morte, sul fatto che la propria anima e la propria
esistenza non si consumino e non si riducano in un nulla, ma confluiscano in un
qualcosa di più grande e bello. Un‟immagine di un Dio Vittorioso, potente, che dà la
gloria378
. E nuovamente, anche in questo, Aureliano costituisce un importante e forse
imprescindibile antecedente, nel momento in cui era rifatto al Sol Invictus, a quel dio
cioè che era in tutto e per tutto una divinità militare che assicurava e garantiva la
supremazia379
e forniva spiegazioni e assicurazioni anche per la morte.
Il cristianesimo fu in grado di diffondersi per il solito motivo visto e rivisto nel
corso del tempo, cioè per l‟abilità di incontrare i bisogni sociali e psicologici degli
individui, ma anche per la capacità mostrata di fare miracoli380
; a questo però dobbiamo
aggiungere la capacità di dimostrarsi un Dio potente, in grado di far vincere; di essere
376 Zos, II, 16, 1-4; inoltre cfr. Le Bohec, 2008, p.46. 377 Sono abbastanza numerosi gli imperatori che hanno avuto rivelazioni durante o prima di una battaglia,
e che sono state determinanti nel conseguire la vittoria: parla principalmente di Vespasiano (Suet:Vesp, 7.1 con Serapide), Marco Aurelio (SHA:Mar.Aur, 27.1 con Cerere; Aureliano (SHA:Aur, 25.5 con
Elagabalo); Costantino con il dio cristiano; cfr. a questo proposito MacMullen 1976, pp. 32-33, 36. 378 Ad esempio, Euseb:Cost, 4.5-14. 379 SHA:Aur. 25.3-6 riporta come durante la battaglia di Emesa, la vis numinis rivitalizzò il cavillante
spirito dei soldati di Aureliano, dopo essergli apparso in sogno; quando Aureliano entrerà a Palmira e
visiterà il tempio del Dio sole, ecco che si troverà davanti la stessa immagine, apparizione e che lo induce
ad adottarne il culto e ad importare il tempo a Roma. Questo episodio acquista e avrebbe molto senso
perché permette ad Aureliano di assicurarsi la lealtà, l‟appoggio e il sostegno di tutta quell‟area, in primis,
di Palmira stessa in nome di un comune culto; Downey 1950, pp. 57-68. 380 Cfr. MacMullen 1984, pp. 17-24, quando riporta Orig, 8.47.
119
complementare con il governo, di integrarlo e sostenerlo in tutti quei campi in cui
l‟autorità centrale era carente. Per tutti questi motivi e per la debolezza del paganesimo
politeista, amorfo e senza struttura propria, privo oltretutto di precise gerarchie381
, il
cristianesimo è arrivato ad essere la religione di stato, ma, di nuovo, un passo decisivo e
fondamentale per orientare le persone verso un monoteismo e verso una nuova
concezione era stato compiuto da Aureliano.
Conclusione Per ritornare alla riforma di Aureliano, possiamo dire che essa ha costituito un
ulteriore passo in quel processo di rafforzamento del potere imperale che porterà poi
alla Tetrarchia; Aureliano quindi e ancora una volta, si dimostra precursore dei tempi,
anticipatore di quella riforma religiosa che troverà poi in Costantino il realizzatore vero
e proprio. Benché non sia stato il primo a capire l‟importanza della relazione tra potere
centrale e religione, e nonostante siano esistiti prima di lui altri imperatori che hanno
provato ad affermare un potere assoluto tramite e grazie ad una relazione con la divinità,
l‟imperatore illirico è stato senz‟altro tra i primi a capire come i tempi fossero maturi
per un simile progetto e a legarlo ad un processo riformatore dell‟intera società. Infatti
tutti gli esperimenti precedenti, come ad esempio Vespasiano o Elagabalo, erano
finalizzati principalmente al rafforzamento dell‟autorità dell‟imperatore, erano
strumentalizzati o rivolti a consolidarne il ruolo e il potere, ma non prevedevano di
coinvolgere anche la popolazione; la differenza che si riscontra in Aureliano è che egli
ha incluso il progetto di riforma delle prerogative e delle caratteristiche del proprio
potere in una riforma religiosa con una visione più ampia che puntava a suscitare
consensi anche nel resto della società; un rafforzamento quindi non fine a se stesso, ma
381 Garnsey 1987 p.176.
120
inserito in un quadro d‟insieme più grande che mirava a cementificare e a rendere più
coesa tutta la comunità romana, proprio attorno alla figura dell‟imperatore-dio.
L‟imperatore quindi che diventa dio non solo per poter agire con maggiore libertà, ma
anche ,e forse soprattutto, per raccogliere adesioni attorno alla propria figura.
In definitiva, in materia religiosa, si può strutturare o considerare la riforma di
Aureliano secondo diverse direttive o punti di vista; da un lato, l‟importanza
dell‟operato di Aureliano si colloca nell‟aver capito come servisse una tipologia più
sicura e salda di successione imperiale; infatti uno degli insegnamenti del III secolo, che
è stato poi trasmesso alle epoche successive, è stato sicuramente il trovare o provare a
rendere l‟istituzione del potere imperiale più sicura e certa, contro eventuali pretendenti;
l‟esperienza o le riflessioni di Aureliano l‟hanno portato a rivolgersi principalmente
verso il mondo degli oracoli, dell‟ultraterreno e del divino. In questo processo,
l‟imperatore illirico ha rafforzato il potere centrale, il potere dell‟imperatore che è stato
ricondotto e portato inevitabilmente verso un potere monarchico382
.
In secondo luogo, Aureliano è stato in grado di capire proprio come occorresse un
rafforzamento del proprio potere in senso assoluto, senza più adottare forme velate di
supremazia o controllo, ma in maniera esplicita, reale concreta. E di nuovo l‟imperatore
ha fatto e impiegato a tale scopo, la sfera religiosa, dato che presentare qualcosa come
istituito o impartito da una fonte sovraumana vince e ottiene più rispetto di un potere
soddisfatto e fornito da criteri terreni e spesso neanche ben esplicitati. Una tale
rivelazione arriva da un‟introspezione personale che si cerca di suscitare in tutte le
coscienze, da uno sguardo rivolto verso l‟interno e verso pensieri mistici e spirituali383
.
Appare evidente, quindi, come alla base delle riforme religiose, indipendentemente dal
382 MacMullen 1976, p. 47. 383 MacMullen 1976, p. 13.
121
tipo di religione introdotta, ci sia un fondamento teocratico del governo imperiale, la cui
storia o cronologia può essere interpretata come un‟ottima radiografia dell‟evoluzione
delle caratteristiche del potere centrale. Se vogliamo, Aureliano pone le basi per la tappa
finale di un‟evoluzione le cui radici risalgono ad Augusto, e che ha nei Flavi un
momento decisivo384
: è vero che fin dalla dinastia giulio-claudia la casa imperiale è
sempre stata circondata da un‟aura di sacralità, però, si deve notare come nel corso del
tempo, essa si sia sempre più legata alla vicinanza con la divinità385
, arrivando sempre
di più a legarsi, a coincidere con essa386
. Ad essa si lega anche e sempre il concetto di
culto imperiale, che non è altro che una forma per veicolare la lealtà dei sudditi nei
confronti del loro signore, in un omaggio quindi in forma di onori divini387
. Secondo
queste due prospettive, sono emerse le caratteristiche di questo periodo, che
comporranno anche l‟eredità per i posteri, ossia quegli insegnamenti cui faranno ricorso
tutti i sovrani successivi: per preservare il potere, per gestire i territori e i vari
possedimenti, è necessario vincolare e giustificare il proprio potere con lo slittamento
verso un monoteismo e con un ritorno al passato. Secondo il connubio dominus et deus
appunto, per cui l‟antichità, per quanto sia stata disprezzata, svalutata o considerata
come inutile e vuota, ha tramandato ai secoli successivi due grandi idee, ossia quella di
una monarchia e di una religione universale, interpretate proprio come chiavi di volta di
tutto l‟impianto di governo.
Di pari passo con la religione quindi, dal momento che non sono scindibili, la
figura dell‟imperatore si è evoluta verso una nuova forma e una nuova concezione dei
diversi aspetti e prerogative della propria persona. Dal modo di vestire alla titolatura, da
384 Infatti è dai Flavi che il culto per il singolo imperatore si trasforma a quello dell‟imperatore in senso
collettivo e impersonale, Carandini et. al., 1993, p. 228. 385 Cfr. Liebeschuetz, Continuity and Change in Romna Religion, Oxford 1979. 386 Carandini et. al., 1993, pp. 223-226. 387 Fishwick 1978, pp. 1201-1253.
122
come si presenta al popolo alle peculiarità e agli incarichi religiosi che si arroga: ogni
aspetto della sua vita è proteso alla promozione della propria immagine come di un dio,
di un capo di governo che non è più primus inter pares, ma deus. Senza lasciare più
nulla al caso, ogni momento della sua giornata è impostato e prefissato, caricandosi di
rituali, simbologie e valenze sacre, divine, tutte volte a sottolineare la sua alterità
rispetto alla popolazione. La sua estraneità rispetto al mondo e la sua superiorità rispetto
alla gente normale è progredita e si è ampliata in ogni aspetto e per ogni ambito – statue,
vestiti, dimora e famiglia – della vita dell‟imperatore che così riproduce e ricorda quel
divino e quel fasto delle corti imperiali, secondo gli usi Persiani, Tolemaici, Babilonesi
o comunque Orientali388
. Il potere adesso viene accostato e legato ancora di più alla
sfera divina e sono poche le occasioni in cui la vita dell‟imperatore – il divino – si lega a
quella dei suoi subalterni – gli esseri umani e terreni – creando così una totale e
completa scissione tra potere centrale e resto dell‟impero389
.
In definitiva, spero sia emerso come a Roma, così come nella maggior parte di
tutte le società non solo antiche, la religione, le festività, le sue istituzione e ogni altro
aspetto mondano legato all‟imperatore e alla sua manifestazione, mostrino e riflettano la
relazione di potere all‟interno della società e forniscano la giustificazione per l‟ordine
esistente390
; a testimonianza di una simile affermazione si può notare come le questioni
religiose, anche in epoca cristiana, rimangano e rimarranno sempre prerogativa del capo
388 Gigli 1947, pp. 204-206. 389 In questo ambito, di nuovo, l‟esempio di Aureliano è illuminante perché mostra la relazione e la
connessione dell‟imperatore con il Sole, e la sua completa e totale lontananza con la sfera umana; cfr.
Zonar 12.27, quando viene mostrato come durante il trionfo l‟imperatore proceda su di un carro trainato
da quattro elefanti, allora simboli del sole e legati al concetti di predestinazione astrologica. 390 Si pensi anche alla valenza del carnevale per le società posteriori, come cioè occasione caricata di forti
ed eversive valenze politiche, ma utilizzate proprio dal potere centrale come valvola di sfogo per le classi
subalterne; cfr. Colangeli, Mario, Fraschetti, Anna, Carnevale: i luoghi, le maschere, i irti e i protagonisti
di una pazza, inquietante festa popolare, Roma 1982.
123
dell‟impero391
. Il merito di Aureliano quindi, è stato proprio orientare i propri sforzi e le
proprie riforme secondo i binari religiosi e non altri. La religione era quindi, abbracciata
e sovraimpressa alla struttura politica dello stato, proprio nell‟ottica di rafforzamento
dello stato e di coesione attorno ad esso392
. Come abbiamo visto, all‟istituzione di un
nuovo culto, divenuta ora la divinità di riferimento e di protezione per e
dell‟imperatore393
, si affianca una riforma dell‟apparato burocratico e della coniazione
delle monete.
391 Garnsey 1987, p. 163. 392 Ad esempio, CIL VIII, 5143. 393 R ICV 1,3 07-8; CIL II 3832, VIII 4877, XI 556 parlano tutte di Deus Aurelianus, mentre RIC V 1,301
hanno scritto Sol Dominus Imperi Romani.
124
CONCLUSIONI GENERALE
n linea generale, questa analisi delle attività e delle riforme di Aureliano ha
voluto mostrare alcuni dei cambiamenti avvenuti nel tardoantico romano,
ha provato a spiegare come l‟imperatore abbia cercato di porvi rimedio, e
soprattutto ha tentato di portare all‟attenzione come inserire o analizzare tali riforme in
una discussione più generale sull‟Impero.
Bisogna allora chiedersi quali riflessioni si possano estrapolare o dedurre da un
simile tentativo di rinnovamento: quali cambiamenti siano necessari per rinnovare e
reiventare uno stato che sembra destinato inesorabilmente al declino? Le riforme e le
innovazione che sono avvenute grazie ad Aureliano, possono considerarsi una premessa
di rinnovamento, oppure non sono altro che un preludio della fine? Sono state
veramente in grado di rilanciare il ruolo dell‟impero, oppure hanno semplicemente
ritardato quella che era una fine inevitabile?
Anche se i cambiamenti in campo militare sono tra i primi elementi da
menzionare e rappresentano un aspetto imprescindibile per la vita di Aureliano, non mi
sembra il caso di sviluppare ulteriormente una tale tematica, visto anche i numerosi
approfondimenti ad esso dedicati e di conseguenza è doveroso soffermarsi sugli altri
fattori del progetto di restauro da parte di Aureliano, del potere imperiale.
Sicuramente egli ha avuto il merito di stringere quella relazione tra istituzioni e
religione che si dimostrerà una costante per il successivo millennio; indubbiamente
l‟imperatore illirico ha capito l‟importanza dei valori astratti, della magnificenza e dei
termini altisonanti per suscitare coesione interna e aderenza al progetto monarchico,
interpretato come elemento essenziale, come punto di riferimento e di sostegno in una
I
125
società spaesata, in crisi e senza punti di riferimento. Tuttavia è altrettanto vero che
l‟idea iniziale e gli effetti auspicati non si sono verificati o comunque non si sono
manifestati nella loro interezza; infatti il limite del sovrano è stato lo scollegamento tra
teoria e prassi, tra la coscienza e la consapevolezza di cosa servisse, e la sua reale e
concreta attuazione o realizzazione.
La soluzione trovata – principalmente quella di stampo religioso – benché giusta
o comunque valida nelle sue linee generali, non ha saputo trovare i consensi voluti tra i
diversi strati della popolazione. Infatti vediamo come la relazione tra religione e stato,
tra imperatore e dio funzioni e funzionerà solo fino a quando il controllo del governo si
mantiene saldo e appare portatore di stabilità e di sicurezze, o comunque incrollabile e
coeso al proprio interno. Nel momento in cui però alle parole altisonanti, ai ruoli divini
e alle prerogative o alle richieste eccessive del centro, non corrisponde un‟effettiva e
concreta validità, si crea nuovamente quella forbice tra istituzione e abitante che aveva
caratterizzato già l‟epoca dei Severi. E ancora. Nel momento in cui lo stato non solo
non risponde ai requisiti e ai doveri che gli spettano o gli competono, ma si rivela anche
incapace di mantenere e preservare una propria personale stabilità e compattezza
interna, ecco che emergono quelle divere forze centrifughe che prima erano tenute sotto
controllo394
, e che ora lottano per ritagliarsi un proprio spazio autonomo e
indipendente395
.
In fin dei conti una delle funzioni dello stato è quella di assicurare protezione,
tranquillità e sicurezza ai propri sottoposti, di fornire all‟individuo i mezzi minimi e
394 Mi è sembrato particolarmente interessante, con un gran fondamento di verità alla base, il commento
di MacMullen relativo alla disaffezione che può nascere nei membri di un impero o di uno stato, quando
sostiene che “se sei disperato, provi qualsiasi esperimento; se l’imperatore incarica lo vedi come un
nemico, provane un altro; se Roma non ti protegge, sia ben accetta l’indipendenza o un altro stato
dominatore” (MacMullen 1976, p. 2). 395 Per i processi di scissione e separazione, si pensi proprio al caso di Palmira o di Zenobia, o per risalire
ancora più indietro nel passato, alla Spagna di Sertorio, cfr. Plut:Sert e Plut:Pomp; Appian:BCiv,
Appian:Hisp, Appian:Mith Eutrop, VI,1.
126
indispensabili per condurre la propria vita, all‟insegna di una libertà personale, sia essa
culturale, economica o sociale. In cambio di questa garanzia e di questa ristretta visione
della vita, che si limita alle private vicissitudini personali, è mia convinzione che
l‟individuo non abbia problemi a rinunciare anche a parte delle proprie prerogative o dei
propri diritti. Alla fin fine davvero, per molte persone la Politica, l‟Economia o le grandi
questioni non sono importanti o rilevanti, ma rappresentano fenomeni indifferenti nella
misura in cui non interferiscono con loro stessi, con la loro libertà e la loro realtà
contingente. Ciascuno guarda al proprio tornaconto personale e al proprio piccolo
interesse privato e se questi ci sono e si mantengono, allora non importa chi ci sia al
governo o come esso si presenti. Il cittadino non dimostra un particolare interesse per il
tipo di organizzazione statale sotto cui risiede, purché non ci sia commistione tra i due
ambiti – privato pubblico – e si stia bene; purché non ci siano pericoli e minacce alla
propria persona – sia fisica che astratta, dove con astratta intendo principalmente a
livello economico – egli non presta attenzione quindi alla situazione generale, al quadro
d‟insieme in cui è inserito396
. Le difficoltà nascono quando c‟è interferenza tra le due
sfere, quando lo stato o comunque il potere centrale si inserisce nelle vicende personali
e tocca nel vivo l‟individuo, soprattutto nei suoi aspetti economici. In questa occasione
iniziano a crearsi i primi attriti e le prime difficoltà di relazione, ma la compagine statale
e la sua validità agli occhi del privato rimangono ancora validi, almeno nelle sue idee e
legittimazioni di fondo: il cittadino è o dovrebbe essere ancora disposto e pronto a
soprassedere a maggiori e ulteriori richieste e interferenze dello stato, se vede
396 Per molti, oggi come allora, è molto meglio perdere un‟ipotetica e astratta libertà che soffrire. A
questo proposito, è importante anche il fatto che tutta la popolazione fosse esasperata e stremata dalle
continue guerre civili e dall‟alta conflittualità presente nel mondo romano. Adesso, come al tempo delle
guerre civili, il populus Romanus avverte una grande stanchezza, pesantezza interiore. A questo proposito
si pensi anche soltanto a Plutarco, uno dei più convinti apologisti delle libertà antiche che arrivava a
scrivere, auspicando una pace e una tranquillità: “alle città oggi tocca di libertà solo quanta coloro che ci
governano lasciano ad esse; ma forse è bene non possederne di più, se questi sono i risultati, Plut:Praec,
XXXII.8.
127
comunque dei risultati, se vede che gli sforzi compiuti si traducono in maggiore
sicurezza e protezione. I veri problemi nascono quando a queste pretese e richieste,
l‟individuo non nota gli effetti o le concrete e reali manifestazioni di tali pretese. È
allora che nascono le difficoltà, le inquietudini397
e le opposizioni; sorgono reazioni che
possono essere di contrasto e di volontà di sovvertire tale sistema, oppure di una
completa e totale estraniazione da quel mondo, che porta le persone rifugiarsi in un
opposto e lontano “altrove”, completamente scisso dalla realtà contingente398
.
A questo riguardo, essendo lo Stato diventato un padrone dispotico, si cerca di
evadere dalla sfera della sua influenza o dalla esistenza in generale, e si cercano altrove
le risposte alle proprie domande e inquietudini. Non a caso il III secolo vede aumentare
il prestigio di quei gruppi religiosi nei quali si affermava che gli adepti avrebbero
goduto di una pace nell‟aldilà, con una chiara traslazione e uno spostamento della vita
terrena che arriva ad essere svalutata e messa in secondo piano, trascurata.
Per questi motivi, si può dire come Aureliano abbia individuato i punti
fondamentali su cui fare leva, ma anche come abbia sbagliato nel trovare la soluzione;
infatti sarà il cristianesimo a portare avanti e a realizzare quello che si era riproposto
l‟imperatore illirico; sarà infatti la chiesa cattolica che darà pace e cementificherà i
legami all‟interno dell‟impero: nel 363, la grandiosa invasione di Giuliano della Persia
finirà in un disastro, ma comunque – contrariamente agli anni di anarchia precedenti –
non ci saranno ribellioni o guerre civili, ma al contrario ci saranno 140 anni di pace
397 Tert:Anim, 54; DioCass, 71.36.4; Vict:Caes, 28.3 e ss.; Mazzarino 1988, pp. 21-40. 398 Il rivolgersi ad un mondo che è semplicemente “altro”, rispetto a quello contemporaneo è proprio il
caso del periodo ce inizia con l‟anarchia militare e proseguirà fino e oltre il medioevo; questa maggiore
religiosità si vede anche nel proliferare di oracoli, profezie, atti e rituali magici e misticismo (MacMullen
1976, p. 37), ed è testimoniata nella vita di Aureliano, oltre a quello già detto finora, da altri episodi o
vicende, come ad esempio, il rivolgersi ai Libri Sibillini (MacMullen, 1992, pp. 121, 127 e ss., 155). A
proposito proprio della relazione tra I libri sibillini e l‟imperatore illirico, vedere Tamassia, Nino,
L’imperatore Aureliano ed i libri sibillini: note per la storia del Cristianesimo nel secolo III, Padova
1899; Monaca, Mariangela, La Sibilla a Roma: i Libri sibillini fra religione e politica, Cosenza 2005.
128
ininterrotta in Oriente399
. È il cristianesimo che, dopo aver dato agli uomini un‟unica
fede, postula – ed è in grado di tradurre concretamente, ecco la differenza con il nostro
sovrano – un‟unica autorità politica e religiosa, intesa come universale e unificante. La
coincidenza tra politica e religione trova il proprio modello nella città celeste di
Agostino, quando unisce la pace terrena e le cose che sono proprie della natura mortale
con il mondo divino400
, in un continuum logico e temporale. È sempre la religione di
Cristo che trova e presenta la nuova idea di imperium, riprendendola sì da Aureliano ma
– nuovamente – riuscendo a renderla efficace e operativa anche all‟atto pratico, creando
cioè un‟ideologia e una missione imperiale – omnis potentia ad unum conlata401
– che si
presenta e si giustifica perché provvede al bene collettivo, pur sopprimendo la libertà e
l‟uguaglianza.
In aggiunta a quanto finora sostenuto, dalle opere di Aureliano emerge un‟altra
riflessione finale ed essa riguarda il processo di unità e di espansione territoriale; infatti
il nostro sovrano ha operato su due fronti che sembrano escludersi reciprocamente,
prevedendo un‟azione di accorpamento e concentrazione dei territori, ma dall‟altra
ampliando e dilatando lo spazio su cui esercitare il controllo. Infatti da una parte
abbiamo osservato l‟abbandono della Dacia, e dall‟altra il lettore ha assistito alla
riconquista dei regni di Zenobia e di Tetrico. Se la perdita della Dacia si pone sotto il
concetto di overstretch, di non sostenibilità di una conquista402
, il processo di
unificazione sotto un‟unica guida dei territori di Palmira e delle Gallie sembra negarlo;
399 Gigli 1947, p. 247. 400 Agost:Civ, XIX, 17. 401 Tac:Hist, I, 1. 402 “Annche Roma ha commesso nel III e nel II secolo a.C. lo stesso errore che commetterà poi
Giustiniano, ossia la conquista di territori refrattari all‟assimilazione. A questo fattore di per sé non
determinante, si è aggiunto il fatto che Roma si è successivamente e ulteriormente “dilatata” e si è
espansa oltre il proprio potere e le proprie capacità di controllo, aspetto questo che, quando sono venute
meno le forze morali, ne ha causato la fine, che però che era già insita nella sua storia, nel momento
stesso in cui ha inglobato l‟Oriente” (Gigli 1947, p. 253).
129
che motivazioni possono sussistere nella rinuncia ad un territorio, vista la difficoltà
oggettiva di controllarlo, e l‟estensione dei territori da controllare? Se è vero che uno
dei fattori decisivi nell‟abbandono della Dacia, è stato l‟impossibilità – pena il
dissanguamento delle già esigue risorse dell‟impero – di difenderla e di esercitarvi un
saldo controllo, per lo stesso motivo si potrebbe contestare ad Aureliano403
la decisione
di riportare sotto l‟egida romana territori che non si erano distaccati da Roma – almeno
non ufficialmente – e che al contempo mantenevano lontani i nemici di Roma. Tuttavia,
come ho precedentemente mostrato, mi pare giusta l‟idea o la tesi per cui un potere
forte, che voglia ribadire una propria egemonia, non debba accettare altre realtà a lui
parallele, antagoniste o concorrenziali, e che si siano affermate senza il consenso del
centro, ma abbiano agito di propria spontanea iniziativa. L‟errore a mio giudizio si è
verificato successivamente quando, una volta ribadita la propria supremazia,
l‟imperatore non abbia provveduto lui stesso ad una decentralizzazione, vista la vastità
dei territori da controllare. Sarebbe stato comunque appropriato se – per assurdo – una
volta riportato le periferie sotto il controllo romano, Aureliano avesse mantenuto la
situazione iniziale404
, riconsegnando i territori agli stessi governatori precedenti;
appropriato perché in questo caso la decentralizzazione sarebbe partita dal centro, in
virtù di un potere decisionale riconosciuto e affermato, e non più come azione della
periferia, come decisione imposta al centro, frutto di una carenza politica e di un potere
debole.
Di nuovo quindi, emerge l‟importanza di Aureliano che è il primo a comprendere
le difficoltà insite nell‟impero di Roma, ma che poi per un motivo o per l‟altro fatica a
tradurle in soluzioni reali ed efficaci; personaggio di un grande perspicacia, il quale ha il
403 Ed è quello che è stato fatto da diversi studiosi, cfr. 404 Situazione analoga, come è già apparso, a quanto era successo per le guerre sociali.
130
merito di porre le basi per futuri cambiamenti, che ha il pregio di mettere in evidenza
delle difficoltà e delle problematiche che però verranno risolte successivamente. Infatti
non è un caso che di lì a poco, l‟impero romano venga diviso in due tronconi, in due
entità politiche diverse, nominalmente ancora come metà di una stessa realtà, ma
fattualmente già divise e svincolate405
e che poi esse vengano ulteriormente frazionate.
Se vogliamo, l‟attività di Aureliano è stata caratterizzata da un‟acuta
consapevolezza di riforma e di cambiamento che, pur se non si sono tradotte sempre in
soluzioni e riforme efficaci, hanno comunque avuto il merito di essere esplicitate e di
essere poste alla ribalta. Infatti i processi iniziati da Aureliano sono poi stati portati
avanti da Diocleziano e da Costantino, sono stati ulteriormente sviluppati nelle epoche
successive e addirittura hanno rappresentato i cardini delle realtà statali fino e oltre il
medioevo.
L‟unica contrarietà o obiezione in merito all‟operato di Aureliano è quanto queste
innovazioni abbiano costituito una reale ed efficace riforma del potere – anche se essa
avverrà con gli imperatori posteriori – e quanto invece siano state riflessioni o
considerazioni inutili, dal momento che l‟impero era inevitabilmente destinato a
sfaldarsi? Detto in altri termini, gli interventi operati o che verranno attuati
successivamente, hanno rappresentato una rinascita dell‟impero oppure hanno
semplicemente ritardato la sua morte?
Innegabile appare come l‟intervento di Aureliano e degli imperatori tardoantichi
abbia costruito e fornito una risposta valida alla crisi, dato che la percezione di segnali
di recupero emerge anche dalle fonti contemporanee ad Aureliano, con la percezione
405 Sarà infatti a partire da Diocleziano e dalla tetrarchia che si mette in pratica quello che Aureliano
aveva già mostrato, e che cioè l‟impero non possa più essere governato come realtà unitaria, unica e
inscindibile. Per la tetrarchia di Diocleziano, cfr. CIL VIII, 22116, CIL VIII, 22187; Vict:Caes, 39.30;
Lact:Mort, VII, 1.2, XVIII; mentre per studiosi e critici più moderni, vedere Grant 1985, p.265; Scarre
1999, pp.197-198.
131
che si stesse affermando una nuova era406
, e che si stesse andando verso una situazione
migliore407
, per cui ad un certo punto non sono più avvertite in maniera traumatica o
deleteria né guerre o conflitti, o anche avarizia, complotti e litigi, e si assiste ad un
riuscito sviluppo delle prerogative dell‟imperatore che arriva a decidere sempre di più,
anche per questioni della vita privata dei cittadini dell‟impero408
, in particolar modo
mantenendo un controllo stretto e serrato secondo il vecchio stile romano – ecco la
ripresa ennesima della tradizione per giustificare i diversi tipi di riforme – in un
processo iniziato proprio a partire dalla disciplina di Aureliano409
. Altrettanto evidente
però è il fatto che la struttura che si è affermata è di grandi dimensioni, composta da
diverse parti, assemblata con esperimenti ed errori, in circostanze di una grandissima
urgenza, che ha costretto tutti i cittadini in una grande e dolorosa condizione. È sì
servita allo scopo, dal momento che ha fornito un‟armata in grado di affrontare i nemici
interni ed esterni, ha permesso di reperire risorse per pagare e mantenere l‟esercito
fedele, oltre che i mezzi per produrre tali risorse e ha infine suscitato obbedienza nei
governatori romani. È servito perché è stato ottenuto ben più di quanto non sia mai stato
ottenuto prima, a livello di impianto e strutturazione di uno stato; e poi l‟alternativa era
o vivere o morire e scomparire, mentre grazie a questi interventi l‟esistenza del dominio
di Roma si è protratta ancora a lungo, ha esercitato tutta la propria influenza ancora per
un lungo periodo ed è stata in grado di reinventarsi e di dar vita ad un vero modello di
organizzazione e di gestione di stato che è stata la base di tutte le esperienze imperiali e
non del futuro.
406 Vict:Caes, 37.3; SHA:Prob, 23 e ss.; Eutrop, 9.17.3; Lact:Inst. 5.5-8. 407 MacMullen 1976, p. 26. 408 DioCass, 52.21.3 e ss.; SHA:Alex.Sev, 27.4 e 41.1; SHA:Aur, 45.4-46.6; Tac:Ann, 11.6. 409 CIL13.11831 (Sept. Severus); Eutrop, Aureliano e la sua disciplina…”disciplinae …militaris et
mororum dissolutorum …corrector”.
133
ILLUSTRAZIONI
Figura 1. Binione aureo di 6,79 grammi, coniato a Siscia nel 272. Al diritto: busto
radiato e legenda IMP C L DOM AVRELIANVS AVG. Al rovescio: la Concordia
seduta con doppia cornucopia e la legenda CONCORDIA AVG. Cohen 31 var., R.I.C
164 var. (a).
Figura 2. di 5,44 grammi coniato ad Antiochia nel 273. Al diritto IMP
AVRELIANVS AVG e busto laureato. Al rovescio Marte andante con un prigioniero ai
suoi piedi: la legenda dice VIRTVS ILLVRICI. Cohen 281, R.I.C. 379. (b).
134
Figura 3. Aureo di 5,29 grammi coniato ad Antiochia nel 273. Al diritto busto
laureato e legenda AVRELIANVS AVG. Al rovescio Aureliano a cavallo attacca due
nemici appiedati: la legenda è RESTITVTOR ORIENTIS. Ricordo che da poco il
principato di Palmira era stato eliminato e la Syria era tornata sotto il dominio romano.
Cohen -, R.I.C. -. (c).
Figura 4 . Aureo di 4,57 grammi coniato a Roma nel 274-275. Al diritto busto
laureato dell‟Imperatore con legenda IMP C L DOM AVRELIANVS P F AVG. Al
rovescio Marte andante con prigioniero ai suoi piedi e legenda VIRTVS AVG. Cohen
269, R.I.C. 15. (d).
135
Figura 5. Aureo di 3,46 grammi coniato a Mediolanum, o forse a Siscia, nel 270-
271. Al diritto IMP C D AVRELIANVS AVG con busto laureato. Al rovescio
CONCORDIA MILI con due Vittorie affrontate e tre stendardi. Cohen 49, R.I.C. 167.
(e);
Figura 6. Antoniniano di 4,14 grammi coniato nel 271 a Siscia. Al diritto IMP
AVRELIANVS AVG con busto radiato. Al rovescio la Fortuna seduta a sinistra con
legenda FORTVNA REDVX. * T in esergo. Cohen 95, R.I.C. 220. (f):
136
Figura 7. Antoniniano di 5,3 grammi coniato a Mediolanum nel 272. Al diritto
IMP AVRELIANVS AVG e busto radiato. Al rovescio Aureliano riceve una Vittoriola
da un soldato: la legenda è VIRTVS MILITVM - T in esergo. Cohen 285, R.I.C. 147.
(g).
Foto 8. Antoniniano di 4,05 grammi coniato a Serdica nel 272. Al diritto busto
radiato e legenda IMP AVRELIANVS AVG. Al rovescio Giove e l‟Imperatore
affrontati con la legenda IOVI CONSER - P in esergo. Cohen 105, R.I.C. 260 . (h);
Figura 9. Antoniniano di 4,08 grammi coniato a Cyzico nel 274-275. Al diritto
busto radiato dell‟Imperatore e legenda IMP AVRELIANVS AVG. Al rovescio Marte e
137
Aureliano affrontati; la legenda è RESTITVTOR EXERCITI- Lettera E tra le due
figure; XXI in esergo. Cohen 206, R.I.C. 366. (i):
Figura 10. Antoniniano di 4,66 grammi coniato a Roma nel 274-275. Al diritto
busto radiato e legenda IMP AVRELIANVS AVG. Al rovescio ORIENS AVG - B nel
campo: in esergo XXI R: Il Sole, inteso come divinità, in atto di calpestare un nemico.
Cohen 159, R.I.C. 64. (j) Questa tipologia di antoniniani con il Sole protagonista è
molto comune e variata: e si troverà anche negli imperatori cristiani successivi.
Figura 11. Antoniniano di circa 4 grammi coniato a Serdica o a Cyzico nel 274-
275. Al diritto busto radiato e legenda IMP C AVRELIANVS P F AVG. Al rovescio
138
l‟Imperatore riceve una corona da una figura femminile: la legenda dice RESTITUTOR
ORBIS - in esergo KA G (gamma); stella tra le due figure. Cohen 194, R.I.C. 288. (k);
Figura 12. Antoniniano di 3 grammi coniato ad Antiochia tra la fine del 270 e la
primavera del 272. Al diritto busto radiato di Aureliano e legenda IMP C
AVRELIANVS P F AVG- lettera H in exergo. Al rovescio busto di Vaballato, figlio di
Zenobia, e legenda VABALATHVS V C R IM D R (Vir Clarissimus Rex Imperator
Dux Romanorum). Cohen 1, R.I.C. 381. (l);
Figura 13. Denario di 2,69 grammi coniato a Roma nel 274-275. Al diritto IMP
AVRELIANVS AVG e busto laureato. Al rovescio La Vittoria andante a sinistra con
139
prigioniero ai suoi piedi: la legenda è VICTORIA AVG – B in esergo. Cohen 252,
R.I.C. 72. (m).
Figura 14. Denario di 2,60 grammi coniato a Roma nel 274-275. Diritto IMP
AVRELIANVS AVG e busto laureato. Al rovescio PROVIDEN AVG e la Provvidenza
stante con globo ai suoi piedi. Lettera B in esergo. Cohen 181, R.I.C. 69. (n)
Figura 15. Dupondio di 14.05 grammi coniato a Roma nel 274-275. Diritto, busto
radiato dell‟Imperatore e legenda IMP AVRELIANVS AVG. Al rovescio busto di
140
Severina su crescente lunare e legenda SEVERINA AVG. Cohen 1, R.I.C. 1 (Aureliano
e Severina). (o);
Figura 16. Asse di 8,55 grammi coniato a Roma nel 274-275. Diritto, IMP
AVRELIANVS AVG e busto laureato. Al rovescio Aureliano e Severina si danno la
mano, tra loro un piccolo busto del sole; la legenda dice CONCORDIA AVG. Cohen
34, R.I.C. 76. (p).
141
Figura 17. Antoniniano di 3,39 grammi coniato a Serdica per Severina nel 274-
275. Diritto, busto su crescente lunare dell‟Imperatrice, e legenda SEVERINA AVG. Al
rovescio Aureliano e Severina si stringono le mani: la legenda dice CONCORDIA
AVGG - in esergo KA.G(gamma). Cohen 2, R.I.C. 16. (q).
Figura 18. Diritto, IMP C AVRELIANVS AUG, testa radiata dell'Imperatore
Aureliano e busto con corazza verso destra; Rovescio: ORIENS AVG. In essa vediamo
chiaramente la commistione tra sacro e profano, il nesso tra forza delle armi, il dominio
del mondo e il legame con il divino; infatti il connubio tra il Sole con i raggi in piedi
verso sinistra, un mantello corto (clamide) sulle spalle, la mano destra alzata verso il
cielo tiene una globo; due prigionieri seduti ai suoi piedi a destra e sinistra; in esergo
Q(uarta) XX T; 22 mm, 3.44 gr, 5 h (zecca di Ticinum, quarta officina; RIC V 151;
MIR 47, 71b4; BN 615.
143
APPENDICE – Il Racconto
VALLYAR Tutto cominciò quando volle soddisfare il morboso desiderio di scoprire le proprie
morti; si lanciò verso gli illimitati sentieri del futuro, rintracciando le numerose linee dei
propri futuri, cercando sempre le proprie morti più strane, possibili e immaginabili,
arrivando così a vedersi morire perché si strozzava con un pezzo di carne, in un altro
moriva di fame perché cadeva in un burrone, o ancora, ed era tra le più spassose – e lo
faceva ridere ancora adesso – la morte in seguito ad una caduta da cavallo, animale che
lo disgustava a tal punto che davvero non capiva come avessero fatto a mettervelo
sopra; aveva addirittura provato a trovare l‟uomo che era riuscito a convincerlo a
montare su di una simile bestiaccia, ma come accadeva quando si aveva a che fare con
il futuro, anche la ricerca più accurata e i maghi più sviluppati non riuscivano a vedere
ogni cosa, ma solo alcuni sprazzi, spesso sbiaditi. Seguendo a caso le diverse possibilità,
il divertimento e il piacere di un simile vagare era stato oscurato da un aspetto
inquietante: infatti in molti futuri – in troppi ad essere sincero – appariva sempre
un‟ombra scura nel limitare del suo campo visivo e in qualunque modo si fosse visto
morire, l‟ombra era sempre stata presente. Come era possibile tutto ciò, tenuto conto
delle migliaia di futuri possibili? Come poteva giustificare quell‟ombra onnipresente? E,
mentre cercava di capire meglio, di carpire più informazioni riguardo a quella sinistra
presenza, il disagio si era trasformato in timore, preoccupazione e ansia per arrivare
addirittura alla paura e oltre i confini del terrore stesso, nel momento in cui si era reso
conto che l‟Ombra stava complottando a sua volta nel tentativo di instaurare il dominio
del caos. La situazione era poi peggiorata quando l‟Ombra si era accorta dell‟esistenza
di Myredos e aveva iniziato così a dargli la caccia, a combatterlo e a ostacolarlo. Si era
144
allora messo al lavoro con maggiore intensità per trovare se ci fossero vie di salvezza,
modi per impedire la sua venuta, con una determinazione acuita dalla prospettiva che, a
quanto pareva, l‟attimo della battaglia finale sarebbe arrivato dopo la sua morte. E nella
ricerca, mentre lottava con l‟Ombra, nel mondo silenzioso ed etereo dello spirito, un
fatto aveva attirato la sua attenzione e infuso nuovo coraggio; infatti c‟era
un‟informazione che l‟Ombra cercava di nascondere, un elemento che si ripresentava
sempre connesso in qualche modo al suo nemico e ciò gli dava speranza, lo aiutava a
non arrendersi: dalle nebbie del tempo, un volto era emerso, dal grigio del nulla un volto
che Myredos era riuscito a rendere sempre più nitido e a cui poi era riuscito ad attribuire
anche un nome, strappandolo all‟oblio dell‟incertezza. Ma era il nome di un salvatore o
di un distruttore? Del campione della luce da lui cercato o dell‟incarnazione del
Dominatore del Caos da lui temuto? Perché non era fornita una spiegazione su quale
fazione appartenesse il misterioso individuo. Myredos non poteva saperlo, ma vista la
situazione, avrebbe dovuto farselo bastare e rischiare ugualmente. Fu così che decise di
affidarsi e aggrapparsi a quell‟esile filo di speranza, mentre quel nome continuava a
ripresentarsi nelle sue visioni, a rimbombargli nei suoi pensieri come eco di un tuono
lontano: Aureliano.
145
…NEI PRESSI DI BISANZIO410…
TARDA ESTATE, 275 411
“Perché soldati e amici412
, perché questo?413
Dai, Mucapor414
, rispondimi! Posa la
tua spada e prima che la mia vita se ne vada via troppo in fretta, spiegami! Avrei piacere
di sentire qualche tua parola!”
Detto questo, strinse con una presa d‟acciaio il polso di Mucapor e aggiunse:
“Davvero non capisco. Romani, siete stati ingannati! Voi tutti siete miei compagni415
e
lo sarete sempre. Mai più di adesso!” Disse mentre la voce diventava sempre più flebile.
Allora Probo416
, andandogli incontro, gridò in tono disperato e accusatorio,
srotolandogli davanti agli occhi la lista maledetta: “Guarda qui, tiranno! Sono questi i
tuoi amici?” A quelle parole, con un rinnovato scatto di energia, gli occhi di Aureliano
410 Alcune fonti sostengono che Aureliano sia stato ucciso nei pressi di Caenophrurium in Tracia
(Chronica urbis Romae p.148; Vit:Caes, 35.8; Consularia Costantinopolitana p. 229; Malalas 12.301.
Tuttavia altri autori sostengono che si trovasse tra Eraclea e Bisanzio (Eutrop 9.15.2; Hieron:Chron 223c;
SHA:Aur 35.5; Sync 721; mentre Zosimo parla di Perinto, rinominata Eraclea (Zos 1.62). 411 Homo, Essai, pp. 337-339 parla di agosto, primi di settembre, mentre Peachin (p.44) parla di metà
settembre. Inoltre i primi papiri su Tacito ci parlano di due suoi tribunati che lasciano presupporre come Tacito stesso sia stato proclamato imperatore prima del 10 dicembre, dal momento che ha regnato meno
di un anno in totale (Syme, Emperors, pp. 271-276). Questa notizia però è contraddetta da SHA:Aur,
41.3 che dice come la morte di Aureliano sia stata proclamata al Senato il 3 febbraio, anche se
un‟iscrizione (CIL VI 30976) parla di un consolato di Aureliano e Marcellino il 25 aprile, usando il
termine dominus noster e non divus (Homo, Essay, p. 336; Groag. P.1358). 412 A suggerire il fatto che Aureliano sia stato ucciso da suoi compagni e amici, sono le testimonianze di
Eutrop 9.15.2; [Vict]:Epit 35.8; SHA:Aur 41.1 fa addirittura riferimento alla lettera di Eros. 413 Sulle motivazioni che sono state addotte per la congiura contro Aureliano, credo siano significative le
testimonianze fornire da Vittore ([Vict]:Caes. 35.7-8) che lega l‟episodio con la severità di Aureliano nel
trovare e reprimere o stroncare la corruzione presso gli ufficiali e i funzionari provinciali, mentre HA lo
lega con l‟odio sorto contro di lui dagli ufficiali e dagli uomini a lui più vicini (SHA:Aur 36.3-4).
Sicuramente escluderei l‟osservazione di Malalas per cui Aureliano fu ucciso in quanto comandante incapace, vista la striscia quasi ininterrotta di successi, tenuto anche conto che questa spiegazione non
compare da nessun‟altra parte o fonte. 414 L‟unico vero nome riportato dalle fonti letterarie è proprio Mucapor, allorché Vict:Caes 36.2 riporta
che il successore di Aureliano, Tacito torturò a morte gli uccisori di Aureliano, “incluso il comandante
Mucapor”. 415 Questi ufficiali erano probabilmente comites Augusti: Giovanni di Antiochia (FHG IV 599) lo chiama
tribuni militari e amici dell‟imperatore; Eutrop 9.15.2 e [Vict]:Epit. 35.8 dice “viri militares amid ipsius”;
mentre Vict:Caes 35.8 li chiama tribuni militari e Zosimo (Zos. 12.27) li individua tra i membri della
guardia pretoriana e Zonara li definisce solamente come “alcuni uomini potenti”- 416 Ware, William, The last days of Aurelian, Nabu Press, 2010, pp. 234-235.
146
si alzarono, guardarono quel fatale rotolo e lo analizzarono attentamente – quindi, dopo
aver richiuso stancamente gli occhi, disse mentre estraeva la spada di Mucapor: “Questa
è la mano di Eros417
, non la mia. Siete stati ingannati...” Con queste ultime parole,
chiuse gli occhi e si lasciò andar giù, ormai persa ogni energia residua418
.
A quel punto, gli sventurati uomini si guardarono l‟un l‟altro, mentre la verità li
colpiva veloce come un maglio; in quell‟istante seppero che per salvare la vita di un
omo meschino e di animo abietto, loro avevano ucciso il benefattore di molti di coloro
presenti nella stanza, l‟amico di tutti loro, il generale ed imperatore che, nonostante tutti
i suoi difetti, Roma avrebbe pianto come colui che aveva cinto di rinnovata gloria i suoi
Sette Colli. Come potevano non accusarsi per la loro insensata fretta, la loro cieca
credulità? Come avrebbero potuto non disperarsi per quei fatali colpi che avevano
privato loro di uno che sì temevano enormemente, ma che ancor di più amavano? E
soprattutto come potevano aver ucciso colui che, maestro in quell‟arte che gli avrebbe
fruttato l‟ammirazione del mondo intero, loro stessi ammiravano e veneravano più di un
dio?
Qualcuno a quel punto iniziò a rimproverarsi; altri iniziarono ad accusarsi a
vicenda; altri ancora si gettarono presso il corpo esamine di Aureliano, distrutti e provati
dal rimorso e dal dolore; ma tutti giuravano in cuor loro di punire quello scellerato che
aveva osato tradirli…419
417 SHA:Aur 36.4-5 e 37.2 lo chiamano Menesteo, probabilmente però confondendosi con il termine greco “menutès” che fa riferimento alla carica, al ruolo dell‟ufficiale responsabile (Fisher 1929, pp. 129-
138, Pearson 1976, p. 88; Barnes 1978, p. 67-75). Le altre fonti invece (Zos 1.62; Zonar 12.27; Synopsis
Sathas p.39) lo chiamano Eros. 418 Per la morte di Aureliano, come fonti letterarie abbiamo Zosimo 1.62.2-3; Zonar 12.27; John:Ant, 156;
Vict:Caes 35 e 36.2; Eutrop 9.15.2; [Vict]:Epit 35.8 SHA:Aur 36.5-6). 419 L‟intero passo è preso e tradotto dall‟opera di Ware (Ware 2010, pp. 234-235); ho riportato e tradotto
questo episodio perché sulla morte di Aureliano, tutte le fonti letterarie (Vict:Caes 35,8; Eutrop 9.15.2;
[Vict]:Epit. 35.8; SHA:Aur 36.4-6; Zos 1.62; Cedreno p.455; Zonar 12.27; Synopsis Sathas p.39)
concordano nel dire che un subordinato dell‟imperatore, per paura di essere punito con la morte o
comunque in maniera terribile perché scoperto e accusato di corruzione, creò una lista di nomi di persone
147
“Non potete fare più nulla”. Queste parole echeggiarono all‟improvviso come uno
scoppio di tuono e spaventarono tutti i congiurati che si voltarono simultaneamente
verso l‟ingresso della tenda, per trovarsi davanti ad una delle apparizioni più strane che
avessero mai visto. Una lunga tunica bianca scendeva fino alle caviglie da cui
spuntavano due paia di scarpe con la punta all‟insù; le ampie maniche e il mantello
erano di un giallo accesso, ma tutto questo passava in secondo piano, perché tutta
l‟attenzione veniva catturata dal bastone: anch‟esso di un bianco abbacinante, avrebbe
potuto passare per un normalissimo, anche se lungo, bastone levigato di abete bianco, se
non fosse stato per una pietra nera che vi era posata in cima e che mandava bagliori
dorati che nascondevano il volto e che sembravano provenire da diverse venature della
pietra stessa. “Direi che avete fatto anche troppo, non vi pare? Gettare anni e anni
trascorsi insieme sui campi di battaglia, tradire un giuramento fatto, tralasciare il proprio
senso di lealtà, per che cosa? Avete prestato attenzione alle parole di un codardo, senza
riflettere e senza preoccuparvi delle conseguenze vostre, ma soprattutto dei guai che
avrebbero potuto nascere per l‟impero! E per che cosa? Per salvare la vostra pelle! È
proprio vero che la società è degenerata! C‟è davvero da chiedersi come sia stato
possibile arrivare a questo punto!”
La voce, dura e perentoria proveniente da dietro la luce, perforava come lame
incandescenti i cuori e le anime di quei generali, ancora intontiti e frastornati, preda di
quegli ultimi eventi. Fu Caro a riprendersi per primo e a farsi avanti, riguadagnando
parte del proprio orgoglio perduto, spinto da quelle sferzanti parole: “Tu chi sei? Da
dove arrivi? E soprattutto come ti permetti di insultarci in questo modo? Vuoi essere
squartato?” La poca baldanza acquisita scomparve nuovamente quando si intravide il
che Aureliano avrebbe voluto uccidere e li convinse della veridicità del documento e ad uccidere
l‟imperatore stesso (cfr. Randall 1991, p. 273.
148
viso di quell‟uomo: due occhi neri, profondi e arcani che si intravedevano nella
penombra del cappuccio catturarono il suo sguardo e subito si sentì mancare; un non so
che di selvaggio, primordiale, brillava in essi, dando a quel volto un senso di mistero e
saggezza, accresciuto dalle numerose rughe di quel volto.
“Squartato dici? Puah! Gente che si fa manovrare da uno scrivano, e che non è
capace di distinguere tra un vile e un grande generale, cosa credi che possa mai fare?!
Non minacciare cose che non puoi fare. E anzi, è meglio che non facciate altro perché di
danni ne avete fatti anche troppi! Per tutte le manticore! Dopo anni di ricerche, spero di
non essere arrivato troppo tardi!” Detto questo, davanti agli ancora attoniti dei generali,
con un‟insospettata forza, si mise in spalla il corpo inerme di Aureliano e uscì dalla
tenda, veloce così come era arrivato.
Solo allora, anche tutti gli altri si ripresero dalla sorpresa e si precipitarono fuori,
per fermare quell‟individuo, per esigere delle spiegazioni, per provare a fare qualcosa
che non fosse star fermi e pensare a ciò che avevano appena fatto, ma niente. Al limite
dell‟inverosimile, di quello strano individuo non c‟era nessuna traccia.
Increduli si guardarono l‟un l‟altro, sempre più sconvolti e incapaci di capirci
qualcosa, troppo frastornati per quegli ultimi istanti. Cosa stava succedendo per Ecate?
Era tutto un grande sogno? Erano tutti impazziti? E oltre a loro, stavano impazzendo
anche gli dei? Dove era finito quel vecchio? E dove aveva portato Aureliano? Già,
Aureliano. Il pensiero di ciò che avevano fatto ritornò più opprimente e pesante di prima
e si aggiunse a quel senso di irrealtà e straniamento che quella apparizione aveva
causato…
149
CAPITOLO 1
Buio e sofferenza. Un dolore fisico lancinante che sembrava pervadere ogni fibra
del suo essere. Era questa la morte? Se l‟era immaginata diversa la patria di Ecate, la
terra di Ade420
. Di sicuro non una stanza grigia dalle pareti di roccia. E poi un continuo
sprofondare in un vertice di sofferenza. Sprazzi di luce alternati a un buio profondo, con
nient‟ altro che l‟immagine di un vecchietto con un mantello giallo e un bastone in
mano che appariva sporadicamente nella sua visuale, sempre chino su di lui e circondato
da una luce che cambiava repentinamente colore; un salmodiare assurdo, senza un
minimo di senso, con dei suoni ancora più assurdi. E poi di nuovo giù, si sentiva
sprofondare sempre di più in un vortice di oscurità e oblio da cui emergeva solo per
provare fitte lancinanti e ritornare nell‟oscurità di prima…
Ancora luce e poi buio e ancora luce; un alternarsi di dolore e atarassia, di
momenti che puntualmente si trasformavano in angoscia e in un vuoto desolato,
Decisamente no; la morte non era piacevole. Ma era davvero la morte? Perché adesso
qualcosa era cambiato; adesso la luce e le masse sfocate acquisivano sempre più
nitidezza, diventavano sempre più chiare e con i contorni definiti; ora tutti i suoi sensi
gli dicevano che la realtà in cui si trovava era dannatamente simile alla vita, anzi
peggio: spossatezza e tormento, stordimento, nausea e ancora patimenti. Questa volta
provò ad aprire gli occhi e ci riuscì, ritrovandosi a guardare un paio di occhi neri
420 Aldilà – Gli inferi, detti anche Ade, erano i luoghi dove risiedevano le anime dei morti, situati a volte sotto la terra, a volte al di là del fiume Oceano, all'estremo occidente, in una regione dove non
giungevano i raggi del sole, e dove regnava Ade, dio non solo della morte ma anche delle Ricchezze, dato
che esse si trovavano nel sottosuolo.
I Romani ponevano l'entrata agli inferi nei pozzi del lago di Averno o nelle grotte di Cuma. Ma tutti gli
anfratti e le incrinature potevano essere un'entrata potenziale del regno delle tenebre, un posto frequentato
non solo dalle anime dei defunti, tramite un preciso rituale con offerte precise, ma anche da mortali,
purché eroi, artisti, o sibille o streghe, che potevano avvicinarsi e parlare con le ombre dei morti, per
conoscere il futuro. Per ulteriori informazioni o riferimenti cfr. Ade in “Tesauro”, BNCF; De Ceglia 2014,
p. 39.
150
contornati da una miriade di rughe che lo scrutavano da vicino: “Beh era ora che ti
svegliassi! Tre giorni di sonno sarebbero troppi anche per un vecchietto come me!”
Sconcertato li aprì ancora di più e si accorse che la creatura che avevano popolato la sua
mente non era affatto incubo, ma sprazzi di realtà; era davvero in una grotta dalle grigie
pareti spoglie e davanti a lui si trovava veramente una campionatura fenomenale di
rughe e capelli bianchi.
“Allora, come stai? Mi sei costato parecchie energie e sudore, lo sai? Che Falach
mi incenerisca! Tre giorni e tre notti non sono mica una sforzo da poco, neanche per
uno come me! Ma devo dire che il risultato non è niente male, anzi è molto
soddisfacente!”
“Chi sei? Cosa vuoi? Che ci fai qui? Da Dove vieni e soprattutto dove mi trovo?”
disse guardandosi ancora attorno, con voce roca. L‟ultimo ricordo che aveva era la sua
tenda da campo e… Mucapor! Caro!421
Come avevano potuto credere alle parole di
Eros? Ed Eros, quando lo avesse preso, altro che quel soldato sorpreso con la moglie di
quel contadino422
, al confronto quello che gli avrebbe fatto sarebbe parsa una carezza423
!
Poi, subito dopo, il pensiero si spinse oltre: era stato colpito a morte. Ma allora, come
faceva ad esser vivo? E di nuovo, chi era quel tipo? E dove si trovava? Tutte queste
domande gli davano l‟impressione che la testa gli dovesse esplodere da un momento
all‟altro.
421 Ware 2010, pp. 234-235. Inoltre Vittore 38.1 ci dice che Caro era una valente comandante e che era stato nominato praefecto
pretorio da Probo, con Diocleziano che era con Caro al momento della campagna contro i Persiani
(Vict:Caes 39.1). 422 Per esempio, fu l'unico fra i comandanti a infliggere la seguente punizione a un soldato che aveva
violentato la donna presso la cui casa alloggiava: fece piegare le cime di due alberi, ci legò i piedi del
soldato e subito comandò che fossero rilasciate. L'uomo restò appeso ai rami col corpo diviso in due (
SHA:Aur, 19, 1-4). 423 HA dice che Eros, o meglio Menesteo, venne legato ad uno steccato e fatto sbranare selvaggiamente
dalle bestie selvatiche (SHA:Aur 37.2 aggiunge anche che la descrizione della sua morte era presente
sulla tomba.
151
“Già già – disse il vecchio – guardandolo in faccia e capendo le sue perplessità –
mi rendo conto che ci possa essere una leggera confusione, ma se mi dai tempo, proverò
a spiegarti tutto, anche se ti avverto che non sarà una cosa facile da credere e
avrai…come dire…un po‟ di difficoltà, parecchia ad essere sincero.” Allo sguardo
incerto e dubbioso di Aureliano, l‟altro proseguì: “prima mi devi promettere che
qualsiasi cosa io dica, mi farai finire e provare a spiegare tutto; dopodichè mi potrai
interrompere per chiedermi tutto quello che vorrai, va bene? Allora…Mi chiamo
Myredos e tu sei morto! O meglio, sei morto nel tuo mondo ma sei vivo in questo. Oh
perdiana che pasticcio! Così non funziona! Cambiamo strategia: vediamo, vediamo. Beh
sì, iniziamo proprio dall‟inizio: come ti ricorderai, sei stato vittima di un attentato,
organizzato da Eros, e mi duole inoltre ammettere che la congiura ha avuto successo: i
tuoi generali e compagni hanno dato credito alle sue parole e ti hanno aspettato nella tua
tenda, dove poi ti hanno trafitto a morte; ci sei fin qui? Ti ricordi?” al vago cenno di
assenso di Aureliano, egli proseguì: “bene! Ora, dopo che sei stato colpito, sono
intervenuto io e ti ho portato qui, dove, nonostante le tue condizioni critiche, ti ho curato
e ti riportato nel mondo dei vivi. Il problema è che QUI, non è il tuo mondo, ma uno
parallelo e il mondo dei vivi non è quello che conosci tu!”
“Tch, tch, avevi promesso – disse Myredos quando Aureliano aprì la bocca e
iniziò a protestare, ad insultarlo in ogni modo possibile – bene!” continuò Myrdos,
quando più per la spossatezza che per altro, Aureliano si acquietò. “Dicevamo che ti ho
guarito. Ora devi sapere che la realtà in cui tu hai sempre vissuto non è l‟unica, ma una
delle tante; ne esistono a milioni e decine di milioni ad essere sincero: ogni singola volta
che ciascuno di noi compie una scelta, che si trova ad un bivio e decide, ecco che la
possibilità scartata non si perde, ma rimane, continua ad esistere in un altro mondo o
152
dimensione, chiamalo come vuoi, e si sviluppa parallelamente. Capisci? È facile quindi
capire che esistono infinite possibilità o realtà ed esistenze, ciascuna delle quali è è
determinata da ogni scelta che compiamo. Quindi ora tu ti trovi a Vallyar, una di quelle
tante possibilità di cui ti ho parlato e che…” questa volta non riuscì a finire la frase
perché Aureliano, saltò su e nonostante le improvvise vertigini che lo assalirono, spinse
da parte Myredos e si avviò verso quella che sembrava l‟unica porta della stanza. “Che
Giove mi fulmini se sto ancora un secondo in più ad ascoltare i vaneggiamenti di un
folle! Per la Triade Capitolina, al tuo confronto le Erinni 424
erano gentili e ringrazia che
non ti faccia squartare! Puah! Altro mondo!” Quando aprì la porta, si trovò dinnanzi un
uomo – dell‟ età di quarant‟anni – basso e un po‟ tarchiato, con capelli neri e un sottile
pizzetto; indossava una tunica rossa e sulle spalle aveva un ampio mantello grigio scuro,
mentre era intento a dar da mangiare enormi pezzi di carne a…un drago! A quella vista,
si bloccò, paralizzato; davanti a lui c‟era veramente un drago! Non esisteva nessun‟altra
altro possibile nome – un drago! – benché ogni fibra del suo essere gli gridasse che non
era possibile! Che non esistevano i draghi! Dopodichè, svenne!
“Oh ma – oh ma – oh ma – disse Myredos; “chi se lo aspettava che avesse già
tutta questa energia! Dopo solo tre giorni! Devo dire che ha una tempra eccezionale
oppure sono io che sono stato proprio bravo a guarirlo. Mah, comunque, la cosa non mi
dispiacerebbe in entrambi i casi! Su forza Lapers, lascia perdere per un attimo Scarim e
aiutami a portarlo dentro!” L‟uomo tarchiato, sbuffando e con mala voglia, posò la
carne e aiutò lo stregone a riportare Aureliano sul giaciglio. Detto questo, chiuse la
porta.
424 Cic:Nat.Deo III,18,46;
153
Quando aprì nuovamente gli occhi, tutte le allucinazioni che credeva e sperava se
ne fossero andate, si rimateriallizarono davanti a lui, a cominciare da quel pazzo
scriteriato – come è che si chiamava? Myrdaios, Mireidos – che gli aveva fatto venire
un mal di testa incredibile, blaterando di mondi paralleli e scelte diverse.
“Allora, ben tornato! Ti senti meglio? Anche se mi hai sorpreso, devo dire che
come paziente non sei il massimo, e non mi faciliti le cose, vero?”
“Oh no, non di nuovo lui – biascicò Aureliano, va via! Voglio vedere i miei
soldati, i miei compagni! Tu, sparisci o ti farò frustare!”
“Oh ma – oh ma – oh ma – non sei molto gentile con chi ti ha salvato la vita vero?
“Sparisci… Ahaha, bel ringraziamento davvero! Comunque, mi dispiace per te ma non
ti posso accontentare. Vedi, si dà il caso che io abbia bisogno di te e dato che ti ho
salvato la vita, direi che il minimo che tu possa fare è contraccambiare il favore; perciò
scegli: o mi ascolti un attimino oppure mi ascolti lo stesso, visto che hai la forza di un
lattante; alla fin fine devi solo ascoltare questo povero vecchietto e lasciargli il tempo di
spiegare. Viste le tue condizioni e il fatto che no ti puoi ancora muovere, non è che ti
faccia perdere chissà quanto tempo. Te la senti di assecondarmi un attimino? Di
assecondare le richieste di questo povero vecchietto? E visto che l‟approccio di prima
non è servito a molto, provo quello più diretto: te la senti di appoggiarti a me un
secondo e di fare due passi? Ecco così bravo; appoggiati a me e tieniti ben saldo. Ah
non ti preoccupare; non sono così vecchio da non poterti sostenere”, disse Myredos.
Con sua grande sorpresa infatti, Aureliano scoprì che nonostante l‟aspetto fragile
e il bastone, Myredos nascondeva molta più forza di quanto non lasciasse intendere.
Intanto erano ormai giunti alla porta, “ora ti prego non svenirmi di nuovo, va bene?
Riesco a sostenerti se tu ti dai una mano, ma da solo mi sa che cascheremmo come due
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pere! Anche perché sennò poi Scarim si offende; penserà che lo trovi butto e lui è
abbastanza permaloso.”
“Chi è Scar… – fu sul punto di chiedere Aureliano, quando Myredos aprì la porta
e di nuovo l‟immagine di un enorme drago d‟argento comparve davanti ad Aureliano.
“Ma, ma, maaa, non era un sogno! Non era un incubo!” Tenendosi saldamente al mago,
la verità si presentò davanti al vecchio imperatore in tutta la sua maestosità. Un enorme
drago d‟argento si stagliava davanti ai suoi occhi e lo scrutava con uno sguardo
sornione. “Bene. Un deciso miglioramento. Almeno non sei svenuto!” disse Myredos
mentre ad Aureliano si piegavano le ginocchia, con un misto di terrore e sbigottimento –
e adesso che abbiamo superato questa fase, lascia che ti presenti Scarim, il drago che ti
ha causato tanto turbamento e la cui storia ascolterai tra breve; ma prima, che ne dici di
un boccone? Mia madre diceva sempre che ogni cosa appare migliore dopo un buon
stufato”. Aureliano non dovette neanche replicare, che il suo stomaco rispose per lui. Il
mago scoppiò allora a ridere e lo invitò, verso una diversa porta; Aureliano lo seguì
dopo l‟ennesima occhiata a Scarim, ancora frastornato. Arrivarono così in un‟altra
stanza, ancora più strana; di dimensioni circolari, la stanza presentava sulla parete di
sinistra un caminetto in cui un fuoco scoppiettava allegro; al centro si trovava una tavola
apparecchiata con Lapers che stava finendo di sistemare una pentola fumante. “Ah
bravo Lapers! Sono sicuro che hai fatto una gran roba!” A quelle parole, Lapers ribatté
voltandosi verso lo stregone con uno sguardo indignato e con voce irosa: ”Robe saranno
le porcherie che provi a cucinare tu, quando non ricorri ai tuoi abracadabra da due soldi,
perché questo si chiama stufato di cervo ed è una leccornia!” Poi, come se avesse notato
Aureliano solo in quel momento,, in tono brusco, soggiunse, “Ah ci sei anche tu! Sei
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guarito. Ciò vuol dire che devo mettere un piatto in più.” Detto questo sparì dietro
l‟ennesima porta.
“Ah sì, non farci caso; Lapers è sempre così. Non so se sia la sua natura congenita
o se si impegni proprio ad essere più antipatico di una manticora, ma prova
un‟avversione particolare per gli sconosciuti, per te in particolare. Comunque non ti
preoccupare perché è innocuo: se provasse a fare una magia finirebbe per bruciarsi il
pizzetto!”
Aureliano, per nulla confortato da quella spiegazione e ancora troppo frastornato
dagli ultimi avvenimenti e dalla fame425
, si accomodò sulla sedia, notando a malapena la
mancanza di triclini,: “Per Giove, ho l‟impressione che nel mio cervello ci sia soltanto
una scimmia426
cui è stata data una buccina e che si stia divertendo a suonarla a
ripetizione! Da dove è sbucato fuori quel coso, e…e… che cosa sta succedendo, per
Saturno!” Intanto era rientrato Lapers e gli venne servita una dose abbondante di carne:
“almeno questa sembra essere vera carne – disse tra sé e sé Aureliano, ricevendo
un‟altra malevole occhiata da Lapers – e se tutto sembra fuori posto, almeno questo
sembra cibo e che cibo!” Esclamò dopo averlo addentato con quella che sembrava
davvero una fuscinula, ma da usare per mangiare427
”.
“Bene bene, son contento che ti piaccia – disse Myredos – ancora di più perché
così ascolterai ciò che ti sto per dire. Dunque, dunque, dove eravamo rimasti? Ah sì, a
Vallyar; come ti avevo accennato, ogni nostra scelta, ogni bivio in cui ci imbattiamo ha
ripercussioni anche sugli altri mondi e, per scendere a discorsi più concreti, su quello
che era il tuo mondo e su questoi; è come se esistessero tanti futuri quante sono le scelte
425 Nell‟antica Roma i pasti principali erano lo ientaculum e la coena, mentre il prandium era solo un
pasto veloce da fare nella pausa, tra le attività mattutine e quelle pomeridiane – Carcopino (2005). 426 L‟esistenza della scimmia al tempo dei romani è documentata sin dai tempi antichi, dalle origini, tant‟è
che rientra nelle pene previste per il parricidio – nota come poena cullei – secondo quanto ci dice
Cicerone (Cic:Amer, XXV, 70). 427 Charlton T. Lewis, Short, Charles, A Latin Dictionary, Oxford: Clarendon Press, 1879.
156
che compiamo e ciascuno di essi è diverso nella misura in cui si è frutto di scelte
diverse. Ora, visto che esistono diversi mondi, è normale pensare che uno sia diverso
dall‟altro perché ciascuno è frutto dell‟intrecciarsi delle scelte diverse delle diverse
persone. Dal momento che ti vedo ancora perplesso, ti basti sapere che questa non è la
Terra, tu non sei sulla strada per Bisanzio e che – e non mi dispiace neanche dirtelo, per
ragioni che spero capirai – per te non è più possibile ritornare là. Non so se ti ricordi, ma
sei stato vittima di una congiura, e ora tu sei per loro bello che morto! Certo, ti hanno
celebrato un grande funerale428
e ti hanno definito come invitto restauratore del
mondo429
, ma rimani comunque morto ed è già stato proclamato il tuo successore430
.
Prima che tu faccia qualsiasi obiezione, protesta o anche solo pensiero per cercare di
ritornare sulla terra, prova a pensare un attimo: come reagiresti se spuntasse
all‟improvviso una persona data e creduta morta? Come reagiresti tu? Eh sì, esatto; vedo
che inizi finalmente a ragionare! Non la prenderesti molto bene, per usare un
eufemismo. Finalmente la famosa praticità romana sta ritornando…”.
“Maialis431
! Tutto questo è colpa tua! Se adesso mi trovo in questa situazione, in
un mondo astruso, ad ascoltare quelle sembrano solo farneticazioni, che mi fanno solo
428
Zos 1.62.3 dice che Aureliano fu bruciato con una magnifica e solenne cerimonia funebre nello stesso
posto in cui fu ucciso; SHA:Aur 37.4 riprende questa versione e aggiunge che venne eretto un tempio cui
seguì una statua dello stesso dove venne ucciso Menesteo: il difetto di queste ultime informazioni è che
non sono comprovate o presenti da nessun‟altra parte. 429 Watson 1999, p. 28%. 430 Per quanto concerne il successore invece, Vict:Caes 35.9 e SHA:Aur 40.2 dicono che dopo la morte di
Aureliano le legioni a Caenophrurium insistettero per chiedere al Senato di esprimere un sostituto; l‟unica
plausibile spiegazione per un simile agire –visto il modus operandi soprattutto del III secolo in cui le
legioni eleggevano spontaneamente e ad ogni piè sospinto i propri comandanti come imperatori – è spiegato da Saunders (1991) che sostiene come questa sia una prova del fatto che non esistesse nessuna
congiura per sostituire Aureliano con qualcun altro, ma rimane comunque improbabile, come sostiene
Syme (Syme, Emperors, pp. 237-247), che l‟esercito non abbia giocato nessun ruolo anche in questa
situazione.
Tacito venne scelto a Roma (Zos 1.63.1 e Zonar 12.28), anche se Vict:Caes 35.9-36-1; [Vict]:Epit. 10;
SHA:Aur 40-41 sostengono come ci sia stato un interregno di sei o sette mesi tra Aureliano e Tacito,
anche se questo sempre essere più un fraintendimento dovuto alla brevità del governo di Tacito, oltre al
fatto che un interregno di circa sei mesi sembra essere troppo lungo per un periodo che ha visto
l‟esistenza simultanea di tre o quattro imperatori. 431 Cfr. Calonghi, Dizionario Latino, 2014.
157
venire i sudori freddi e mi causano un mal di testa allucinante, devo soltanto ringraziare
te! Io…”
“ Tu cosa? Ti ricordo che se non fosse stato per me tu sì che saresti veramente
morto! Saresti già nel Tartaro, altro che Campi Elisi, vista la tua ingratitudine! Sono
stato io che ti ho tirato fuori da là, e tu anziché ringraziare, o almeno mostrarti un
minimo riconoscente, che fai? Mi insulti!? Avanti, perché non rispondi? Non mi aspetto
ringraziamenti, visto che anche io non è che sia del tutto disinteressato, però almeno non
mi insultare, anche se ho apprezzato la varietà! Non sapevo che anche gli imperatori ne
conoscessero di questo tipo!”
Quest‟ultima frase lasciò Aureliano interdetto per un attimo, e poi esplose in una
fragorosa risata, “hai ragione! Davvero imperdonabile! Dovremo andremo a finire se
non mostro neanche il minimo ringraziamento? Perciò visto che mi hai salvato la vita,
anche se a quanto pare l‟hai fatto con un secondo fine, lascia che ti esprima la mia
gratitudine e che ti dica che ti assicuro che farò il possibile per sdebitarmi, o almeno ti
prometto che ci proverò, o forse sarebbe più corretto dire che farò almeno finta di
provarci – disse sogghignando apertamente. A quelle parole anche Myredos sorrise e fu
come se la parete invisibile che sembrava aver diviso i due uomini si sciogliesse.
“Rimane solo da definire – proseguì Aureliano – l‟entità dell‟aiuto che dovrei fornirti
come possibile ulteriore ringraziamento; ma dovresti finire un certo racconto,
soprattutto prima che quel residuo di ottimismo e altruismo che mi è spuntato, sparisca
da un momento all‟altro.”
“Ahaha giusto! Bravo! Devo dire che il pragmatismo romano mi piace sempre
più! Allora vediamo…
158
Il pianeta o mondo su cui ti trovi si chiama Vallyar e ha una storia abbastanza
lunga da poterci diventare vecchi e decrepiti a raccontarla tutta come si deve. Diciamo
che essa si perde nel buio degli eoni, ma a noi, cioè a te, interessi sapere essa si divide
generalmente tra forze del caos e non. Come saprai o avrai capito, il mondo si
caratterizza da sempre per la conflittualità; è insito proprio negli esseri viventi il
combattere, l‟antagonismo o il conflitto e da sempre questa competizione riguarda il
bene e il male, l‟ombra e la luce, l‟ordine e il disordine, la vita e la morte, o in qualsiasi
altro modo tu li voglia chiamare. Nell‟ambito di simili scontri, circa duecento anni fa
c‟è stato uno delle più grandi battaglie tra gli eserciti delle ultime razze libere contro le
forze delle tenebre che stavano rapidamente e inesorabilmente conquistando il mondo;
quest‟ultima alleanza di tutte le razze libere affrontò le forze dell‟ombra, che volevano
riportare in vita Smaurn nella battaglia di Rittenfield e riuscì a sconfiggerlo. Quella sì
che fu una grande vittoria e comportò la salvezza e dalle grinfie dell‟ombra e del caos.
Da allora il mondo non ha più visto una simile malvagità, non ha mai più corso un
pericolo così grave; fino ad ora almeno. Infatti ho motivo di credere e temere che
qualcosa stia nuovamente covando nell‟ombra e che in qualche modo l‟oscurità stia
riguadagnando potere ed è qui che entri in gioco tu perché, anche se non so bene come,
ho il sospetto che tu possa c‟entrare qualcosa”.
“Il…sospetto?” Tu sì che sai dare risposte chiare e rassicuranti!” Che cosa
significa il sospetto e soprattutto cosa dovrei farmene io dei tuoi sospetti, delle tue
elucubrazioni mentali, avute in chissà quali momenti di stordimento?! E ancora! Che
cosa potrei mai fare io per questo mondo? Che cosa c‟entro!?”
“Allora, chiariamo due concetti base; innanzitutto e come prima regola, si dà il
caso che tu stia parlando con una delle persone più autorevoli e importanti di questo
159
mondo per cui “i miei vaneggiamenti”, come li chiami tu, anche quando fossi ubriaco,
valgono più di tute le più grandi riflessioni di questo mondo e del tuo; in secondo luogo
vale la prima regola e per finire indovina un po‟? Considera ancora una volta la prima
regola! Ma visto che sono gentile e che ci tieni proprio ad avere una spiegazione, non
dimenticare che è in seguito alla mie “fantasticherie” che tu sei vivo. Senza di me tu
saresti un imperatore bello che defunto; certo equiparato ad un dio432
e celebrato con
tutte le onorificenze possibili, ma comunque morto e sepolto e quindi dovresti anche
dimostrarti un pochino più fiducioso e grato no?”
Aureliano, spiazzato da quell‟improvviso sfogo, non riuscì a trovare nulla da dire
e solo in seguito soggiunse, con un tono leggermente più mite: “Hai ragione; è che sono
ancora tutto scombussolato da questi fatti e non mi sono ancora riperso del tutto. Ma in
tutto questo, una cosa è chiara; per quanto mi dolga ammetterlo, sono vivo grazie a te e
ti posso promettere che proverò a sdebitarmi. Poi come sorpreso e pentito egli stesso da
quell‟improvviso atto di gentilezza, soggiunse: “Permettimi allora solo un‟ultima
domanda; al di là del fatto che mi hai salvato la vita spinto da motivazioni personali che
neanche tu conosci, dimmi, Myredos, nella tua logica stringente e nella tua superba
esposizione dei fatti, non ti sei forse dimenticato di raccontarmi qualcosina? Perché
riconosco che hai grandi capacità di sintesi, ma non ti sembra manchi qualche
informazione?” Allo sguardo ancora interrogativo di Myredos, Aureliano insistette:
”No? Niente? E allora che mi dici sull‟esistenza di quel coso argentato ed enorme
che si trova qui fuori? Sai, non so come funzioni nel tuo, ma dove vivevo io non c‟era
l‟abitudine di avere come cagnolino da guardia un enorme e mastodontico drago
d‟argento! Da dove salta fuori? Ci sono per caso altri animaletti piccoli e graziosi o altri
432 Eutrop 9.15.2 e SHA:AUr 37.4 fanno notare infatti come Aureliano sia stato anche deificato.
160
esseri viventi di cui, nella tua infinità perspicacia e nella tua grande magniloquenza, ti
sei dimenticato anche solo di accennare?”
A quelle parole, il viso di Myredos si aprì in un radioso sorriso ed proruppe in una
fragorosa risata; “Ahahah, complimenti, l‟ironia non ti manca di certo! Tu hai ragione
ma ti ricordo che sei tu che continui ad interrompermi. Comunque vedi, è una situazione
strana e inverosimile anche per me e anche io faccio fatica ad essere presente.”
Comunque, per continuare la spiegazione, eravamo rimasti alla battaglia di
Rittenfeld, avvenuta tra le forze del bene e quelle del male; devi sapere che la principale
differenza tra il tuo mondo e il mio risiede principalmente nell‟esistenza di diverse razze
e soprattutto nella magia. La magia! In questo mondo la magia e il ricorso ad essa sono
all‟ordine del giorno e tutte le razze possono ricorrervi, ovviamente c‟è chi è più capace
e chi meno, chi è più dotato e chi meno, ma rimane il fatto che essa pervade la nostra
esistenza, fa parte della nostra vita e ci circonda. Ed è sempre a questo proposito che
possiamo inserire il discorso delle razze che parteciparono a quella battaglia. Tra le
razze più importanti ci sono i nani, esseri alti poco più del metro e cinquanta che trovi
nelle montagne in una continua e costante ricerca di minerali preziosi. Sono famosi per
essere robusti e cocciuti, burberi, e bravi minatori, scarsi di magia anzi, completamente
estranei ad essa tranne che per i pochi rudimenti necessari per la fabbricazione di armi,
ma ottimi fanti e tenaci combattenti; nel tempo libero, comunque, quando cioè non si
accapigliano tra loro, hanno una sola occupazione che sarebbe l‟estrazione dei minerali
e la loro lavorazione, ambito in cui sono maestri: la metallurgia non ha quasi segreti per
loro, sviluppata in anni e anni di volontario isolamento nelle montagne433
. Poi ci sono
433 Ho attribuito ai nani un ordinamento politico e istituzionale che rassomiglia e riproduce le poleis
greche, divise in tanti piccole unità o comunità – qui trasformate nei clan maneschi –in conflitto tra loro e
raramente capaci di unirsi e cooperare, salvo qualche rara eccezione e solamente in condizioni di gravi
difficoltà e pericolo.
161
gli elfi, austeri altezzosi e poco passionali, sono esili e flessuosi, ma la loro costituzione
non ti tragga in inganno perché non sono per nulla gracili o deboli, anzi sono tra i più
temibili e potenti. Sono infatti tra gli esseri viventi più potenti, e la loro origine risale
agli albori della storia. Si dividono a loro volta in elfi dei boschi ed elfi oscuri e per
aiutarti o per non annoiarti a morte, possiamo dire che sono l‟uno l‟opposto dell‟altro:
gli elfi silvani vivono a completo contatto con la natura, prediligono la luce del sole e
sono esperti nelle arti curative, mentre gli elfi oscuri popolano le aree più nascoste e
profonde della terra, amano la guerra e il sangue e tra tutte le cose, bramano il dominio
e il potere434
. Oltre agli uomini435
, e non mi dilungo oltre perché in tutti i mondi, gli
uomini sono sempre gli stessi – capaci dei più grandi slanci di lealtà, coraggio e
altruismo, e allo stesso tempo i migliori paladini dell‟egoismo, dell‟atrocità e dell‟odio –
c‟è la progenie dell‟ombra, tra cui annoveriamo troll, orchi e goblin; di tutti loro ti basti
solo sapere che quando li incontri, vale una sola regola: uccidili prima che facciano
fuori te, ricordandoti che la loro intelligenza e perspicacia è inversamente proporzionale
alla loro stazza, forza fisica e pericolosità. Bene; tutti questi possiamo dire che hanno
una vaga forma umana, chi più chi meno ovviamente – per intenderci, orchetti e goblin
hanno la pelle olivastra, gambe tozze e braccia che strisciano quasi per terra, mentre i
troll, a parte le dimensioni inusitate che ricordano piccole montagne, hanno il pregio di
emanare uno sgradevole odore per cui li senti anche a miglia di distanza – non
dobbiamo scordarci dei vari animali che popolano Vallyar, ma sono cose che imparerai
un po‟ per volta. Non puoi assimilare tutto in un colpo solo; ti parlerò invece di Scarim,
il drago d‟argento che hai visto prima. È uno degli ultimi esemplari di drago che siano
rimasti sulla Terra, , se non addirittura l‟ultimo, e la sua storia risale sin dall‟alba dei
434 Ho deciso invece di modellare l‟ordinamento degli elfi riprendendo la classica monarchia. 435 Agli uomini, invece, ho attribuito l‟istituzione di un‟oligarchia allargata che racchiude al proprio
interno i pregi e i difetti della stessa, ma anche della democrazia.
162
tempi, quando cioè i draghi dominavano incontrastati su tutti gli altri esseri viventi.
Devi sapere infatti che la loro mole, la loro forza fisica e la pelle ricoperta di scaglie li
rende nemici formidabili; se poi consideri che vivono molto a lungo, sputano fuoco,
sono esseri senzienti e molto intelligenti, e che sono creature dotate di magia cui
possono ricorrere, anche se inconsapevolmente – dato che cioè non ne hanno un pieno
controllo – allora non farai fatica a credere se ti dico che sono combattenti senza eguali.
La situazione è cambiata quando è iniziata la Grande Guerra delle Razze per la
supremazia. Secondo le cronache deve essere stato una cosa sconvolgente e spaventosa;
esplosioni di energia pura; scontri e schianti tra magie titaniche si susseguivano nel
tempo e nessuno riusciva a prevalere: nani combattevano draghi che a loro volta si
scontravano con gli elfi che affrontavano ancora nani e draghi in una spirale di violenza
e morte che non aveva mai fine e che si acuiva con il passare del tempo. Ciascuna razza
possedeva qualche cosa che le permetteva di sconfiggere i propri avversari, senza che
nessuno riuscisse a predominare sugli altri: per esempio, un punto debole di draghi ed
elfi rispetto ai nani era la bassa natalità della popolazione per cui una morte
rappresentava una grande sciagura; gli elfi riuscivano ad affrontare i draghi grazie alla
magia cui però i nani sono particolarmente resistenti; i nani, poco agili e non così
longevi, a loro volta negli scontri con i draghi, ricorrevano ai grifoni – animali per metà
leoni e per metà aquile, che però si sono praticamente estinti, a causa delle numerose
guerre e della caccia cui sono stati sottoposti per le proprietà magiche del loro sangue e
delle loro piume – e i cui artigli perforavano con maggiore facilità le scaglie di drago.
Le stagioni passarono, gli anni si susseguirono e i conflitti si protraevano senza
sosta; questa situazione senza fine arrivò ad una svolta parecchi anni dopo, con la
Grande Frattura, cioè con una scissione che avvenne tra gli elfi e che fu la vera sciagura
163
per il nostro mondo. Infatti, tra i vari guerrieri elfici che combattevano a quell‟epoca, ad
un certo punto, emerse la figura di Smaurn, un elfo particolarmente dotato e potente il
quale, nella ricerca di un modo per ottenere ancora più potere, si spinse troppo in là e
trovò e sviluppò quella che oggi è comunemente definita la Magia del Sangue. Egli
scoprì infatti un particolare impiego della magia che prevede sacrifici umani con un
insieme di riti e pratiche abominevoli e cruente, che tra le altre cose, porta a bere il
sangue dei propri nemici e ti permette così di appropriarti della sua energia vitale.
Quando Smaurn era ancora all‟inizio della propria opera, il consiglio degli anziani e
Rifail – il re degli elfi – venne a conoscenza dei suoi esperimenti e ne nacque una
furiosa lite che portò alla rottura con i seguaci di Smaurn che si allontanarono dalla
Bailiwick – la foresta degli elfi – e si scomparvero nelle Murky Bleaknen, le lande
desolate del Nord. Gli altri fecero il madornale errore di dimenticarsi di loro, ma fu un
grave errore; rifugiatisi nelle regioni più lontane e buie infatti, avevano sviluppato nuovi
poteri, addentrandosi così tanto in profondità nei sentieri del male che quando emersero
dall‟Ombra, non erano più riconoscibili: così nacquero gli elfi oscuri e tutta la progenie
del male, frutto di esperimenti e pratiche magiche tra le più abominevoli. Tra tutti
campeggiavano, per malvagità e potenza, i generali di Smaurn, i suoi servi più fedeli e
devoti, quelli che divennero poi tristemente famosi come i Cinque, tra cui primeggiava
Falach, secondo solo a Smaurn stesso: esseri eccezionalmente potenti, esperti nelle arti
magiche più di tutti gli altri e dotati di una forza che rivaleggiava ed eguagliava quella
dei più grandi guerrieri e perfino con quella di molti draghi. Inesorabilmente le sue
armate incominciarono ad avanzare e a distruggere chiunque sbarrasse loro il cammino
e nessuno sembrava in grado di fermarli. Fu allora che dal mare dell‟Est, arrivarono gli
umani. Non si sa molto della loro terra di origine ma solo che arrivarono perché spinti
164
da carestie e da cataclismi che stavano sconvolgendo la loro terra d‟origine e che li
spinse a quell‟imponente migrazione di massa. Rappresentarono comunque la salvezza
per Vallyar. Esseri in tutto e per tutto simili agli elfi, non erano però in grado di usare la
magia e non ne condividevano la longevità, ma fu proprio grazie a loro che si riuscì a
organizzare una resistenza, a far cooperare tra loro quelle razze che si erano combattute
fino ad allora; venne infatti creata un‟alleanza e il loro aiuto fu tanto più importante
perché riuscirono in qualcosa che non era stato neanche pensato e provato: un patto
venne siglato tra uomini e draghi e fu così che nacquero i Signori dei Draghi, esseri
straordinariamente potenti, frutto della cooperazione di tutte e tre le principali razze di
Vallyar che unirono le loro conoscenze e le loro arti. Grazie all‟unione con il draghi, gli
uomini acquisirono nuove capacità, come l‟uso della magia o una maggiore forza e
resistenza, mentre i draghi divennero più mansueti, in grado di usare la magia con
maggior consapevolezza e di metterla così a disposizione del proprio cavaliere. Questa
nuova alleanza ribaltò le sorti del conflitto e pian piano le genti libere riuscirono a
riguadagnare terreno e arrivarono alla battaglia di Belessin, quando Smaurn venne
arrestato. Le cronache ci dicono che la terra stessa si ribellò a quella battaglia, con
eruzione di fiamme, fumi e gas velenosi e scosse. Nella Battaglia dei Tre Giorni,
avremmo potuto assistere allo scontro di forze titaniche, a gesti di coraggio e altruismo
senza eguali, che videro il sacrificio di Boradin, Primo Signore dei Draghi, che
sconfisse a prezzo della propria vita Falach, il più forte dei servi di Smaurn. Bene! Direi
che per oggi hai sentito abbastanza – disse Myredos, guardando fuori dalla finestra –
anche perché davvero troppe informazioni credo possano confonderti ancor di più. Ci va
tempo per assimilare tutte questi fatti e tu sei comunque e ancora in via di guarigione
165
per cui, come diceva il mio maestro, pace all‟anima sua, la miglior forma di guarigione
è il riposo.”
Aureliano guardò fuori a sua volta e vide che, o meglio non vide, niente altro che
buio e oscurità, realizzando che nonostante tutto il suo scetticismo, quel racconto lo
aveva intrigato e si era lasciato prendere dalla narrazione, non accorgendosi che fosse
già notte inoltrata.
“Riprenderemo tutto domani; per ora, Buona Notte! Ti farò accompagnare da
Lapers nella tua stanza.
Lapers! Lapers! Benedetto quell‟uomo, dove si sarà cacciato? Lapers!”
“Eccomi, eccomi! Non mi pare il caso di gridare tanto”, disse trafelato,entrando
nella sala e guardando prima Myredos e poi Aureliano, “Di cosa avete bisogno,
Maestro?”
“Che ne diresti di mostrare ad Aureliano la sua stanza? Detto questo, salutò
entrambi e si alzò da tavola, uscendo dalla stanza e scomparendo alla vista. Aureliano,
allora, guardò Lapers, e si alzò a sua volta, seguendo l‟apprendista e arrivando così
all‟ennesima porta, che si dimostrò portare ad un‟altra sala abbastanza scarna,
contenente un letto e una seggiola.
“Beh, non sarà una reggia, ma spero sia di tuo gradimento”, commentò Lapers,
con malcelato sarcasmo; detto questo uscì.
“Un vero pozzo di simpatia quello là; roba da mangiarsi pane e acidità ogni
mattina” disse, guardando il letto – sembra comunque meglio della mia branda da
campo436
.”
I raggi del sole che entravano dalla finestra lo sorpresero ancora a letto e dopo
qualche attimo di confusione e smarrimento – gli riusciva ancora difficile abituarsi alla
436 Rinomata a questo proposito, tra le fonti antiche, la proverbiale austerità, il rigore di Aureliano che…
166
sua nuova vita – si vestì e si diresse verso la sala da pranzo, aspettandosi di trovare
Myredos; rimase alquanto sorpreso dato che l‟unica traccia di vita era il sempre
scontento Lapers che lo accolse con un laconico buongiorno e senza ulteriori indugi gli
servì una ciotola di una sostanza bianca fumante. Al suo sguardo interrogativo, Lapers
gli chiese: “Beh?! Che hai da guardare? Ti conviene mangiare in fretta che poi
dobbiamo partire.”
Incollerito per come era stato apostrofato, si limitò a contenere la rabbia ed chiese:
“Partire? E per dove?” Mentre aspettava la risposta, iniziò a bere quello che si dimostrò
essere latte caldo cui Lapers fece seguire delle fette di miele, per poi finire con della
frutta.
“ Abbiamo perso fin troppo tempo e dobbiamo incamminarci verso Spallid, la
capitale di Varigon e a cavallo ci vanno parecchi giorni”…
167
APPENDICE – Le Fonti
Dexippo (210 c.ca – 271). Di lui abbiamo un‟opera – Scythica, il titolo fa
riferimento ai Goti, dal momento che quello è il nome erroneo con cui veniva spesso
indicata quella popolazione – che riguarda la vita di Aureliano, dato che parte dal 238
per arrivare fino agli anni del regno di Aureliano, probabilmente fino agli anni del suo
trionfo nel 274, contenendo quindi al proprio interno le informazioni sulle prime guerre
di Aureliano. Egli riveste una sua importanza nel momento in cui si vogliono avere dati
sugli scontri di Aureliano contro gli Iutungi e i Vandali, mentre l‟aspetto per noi
importante è che Dexippo, insieme alle opere di Eunapio, rappresenta la principale
fonte per la storia della Grecia nel III secolo, e viene spesso indicato tra le più
attendibili fonti in nostro possesso, tenuto anche conto che è il più contemporaneo tra i
vari autori che scrivono di Aureliano.
Eusebio di Cesarea (260 c.ca – 339). Egli è l‟autore di due opere che riguardano
indirettamente anche Aureliano; il primo è La Cronaca, una storia universale pubblicata
in due edizioni, e che inizia a partire da Abramo e integra e riguarda questioni giudeo-
cristiane. La prima edizione viene fatta finire, con qualche controversia nel 267, mentre
la seconda edizione si spinge fino al 325. Il problema principale riguardo a questa
edizione e all‟autore in generale è che lo stampo e l‟indirizzo che l‟autore dà all‟opera
sono principalmente rivolti agli argomenti e alle problematiche affrontate dal
Cristianesimo, a partire dalle vicende dei primi seguaci di Cristo. Per quanto riguarda
Aureliano in senso stretto, possiamo dire che egli fornisce notizie e informazioni sulla
guerra di Aureliano contro Zenobia e, successivamente, contro Tetrico, oltre che la
persecuzione contro i cristiani, ovviamente secondo un‟ottica prettamente cristiana. A
168
questo punto però sorgono i problemi dal momento che il valore e il contributo delle
informazioni fornite da Eusebio si dimostrano vari; infatti da una parte, ci sono errori di
cronologia che suggeriscono come non avesse informazioni affidabili sul regno di
Aureliano negli anni a lui precedenti; dall‟altra, in qualità di scrittore contemporaneo di
Aureliano, anche se giovane, Eusebio merita comunque il beneficio del dubbio,
dimostrandosi comunque uno storico da cui non si può prescindere nell‟analisi
dell‟Imperatore.
Lattanzio (prima del 250 – dopo 325). Sappiamo essere stato un contemporaneo
più anziano di Eusebio e di nuovo, il suo De Mortibus Persecutorum scritto nel 314/5
c.ca, riporta notizie su Aureliano sempre in relazione alle sue persecuzioni cui bisogna
aggiungere degli aneddoti sulla sua morte. Proprio a proposito della morte di Aureliano,
bisogna dire che le informazioni in suo possesso si rivelano molto attendibili e
confermate dai diversi confronti incrociati e questo fatto implica come l‟autore dovesse
avere accesso a qualche fonte scritta o comunque affidabili cui attingere. L‟aspetto
particolare, curioso di questo autore è capire come mai quest‟opera non abbia giocato un
ruolo importante nell‟elenco delle fonti su Aureliano, e la spiegazione elaborata
probabilmente risiede nel fatto che anch‟egli fornisca un resoconto dei fatti secondo
un‟interpretazione di chiara matrice cristiana.
Cronografo. È il nome dato ad un editore anonimo di una raccolta di liste,
calendari, e cronache – la maggior parte delle quali sono state compilate nel 354 – e
delle quali quattro sono considerate importanti perché contengono notizie su Aureliano
imperatore: la Dedicatio et Natales Caesarum (CIL2 I.1p. 255) che riporta al 9
169
Settembre il giorno di nascita di Aureliano; i Fasti Consulares, ossia una lista di consoli
che arriva fino al 354; la Praefecti Urbis Romae, una lista di prefetti dal 254 al 354; e
per concludere, ed è anche la più importante, Chronica Urbis Romae, un‟annotata lista
di re del Lazio, di Alba Longa e di Roma, cui si affiancano dittatori di Roma e
imperatori, e che si conclude con Licinio nel 324, con la lista che pare essere pressoché
finita e completata. Per quanto riguarda le notizie su Aureliano, esse si trovano
principalmente in Chronica p. 148, con uno stringato ed essenziale stile, che ci fornisce
giusto le informazioni basilari, come ad esempio la durata del regno, i vari progetti
edilizi dell‟imperatore, le elargizioni di cibo alla popolazione, i giochi legati al culto del
sole e il luogo della sua morte, senza però dilungarsi troppo o aggiungere altro. Le fonti
dell‟autore non paiono chiare e lo stile della lista implica, presumibilmente – che
esistessero all‟epoca numerose liste o elenchi dei fatti, delle date e dei politici o
governanti, anche se ci sono arrivate spesso incomplete e lacunose. Tutti questi aspetti
non negano comunque il fatto che la Chronica Urbis Romae sia probabilmente l‟ultima
fonte che possa essere definita di un testimone oculare dei fatti, della vita o del periodo
di Aureliano.
Altre fonti. Oltre a queste fonti che potremmo definire coeve, contemporanee o
comunque le più vicine cronologicamente al regno di Aureliano, non dobbiamo
tralasciare altri autori successivi, che comunque forniscono e parlano dell‟imperatore e
con il confronto dei quali riusciamo ad ottenere un quadro più ampio, complesso ed
esaustivo, senza dimenticare di esercitare le dovute cautele e i necessari paragoni o
relazioni reciproche.
170
Sesto Aurelio Vittore, Eutropio, e la Kaisergeschichte. I primi due giocano un
ruolo particolare, dal momento che forniscono le prime informazioni e notizie sul regno
di Aureliano; di Vittore (320-390), sappiamo che è stato un burocrate romano di
Sirmio, nella metà del IV secolo, e poi nel 361, è stato nominato governatore della
Pannonia dall‟imperatore Giuliano. Successivamente veniamo a sapere che intorno al
388/9, è stato nominato prefetto della città. Attorno al 358-360 ha scritto il De
Caesaribus, una breve biografia sugli imperatori, a partire da Augusto, per arrivare al
360. Il regno di Aureliano occupa pochi paragrafi (35.1-14), e addirittura anche un
piccolo riferimento alla morte di Claudio il Gotico, funzionale all‟introduzione
dell‟inizio del successivo governo di Aureliano (34.7).
Eutropio sembra essere stato anche lui come Aurelio Vittore, un prominente
membro della burocrazia imperiale; ha scritto il Breviarium, che è una storia romana da
Romolo fino al regno di Gioviano del 363/4 e che contiene una biografia imperiale; di
Aureliano, gli unici residui che abbiamo sono 9.13-15 fanno riferimento a (manca). La
fortuna del Breviarium di Eutropio, uno dei pochi testi di storiografia latina che sono
stati tradotti in greco, è testimoniata dalla sua diffusione e dalla sua lunga circolazione
nella cultura bizantina. Si conoscono, comunque, diverse versioni greche di questa
sintesi di storia romana, composta dal magister memoriae dell'imperatore Valente negli
anni 369-370, e una di queste versioni, la più accreditata e ritenuta degna di fede, si
ritrova nei frammenti di Giovanni di Antiochia, autore di una Istoria Kronike, risalente
ai primi decenni del VII secolo. Uno dei primi studiosi dell‟opera di Giovanni e di
conseguenza di Eutropio, è stato un certo Valesius, il cui lavoro e studio non ha ricevuto
critiche nel corso del tempo, venendo largamente accettata ancora oggi dagli studiosi437
.
437 L‟autorità del Valesius , e la mancanza di studi sulla Istoria kronikè indussero i successivi studiosi ad
accettarne senza riserve la congettura, pur in mancanza di ogni prova. Procedendo alla sua importante
171
Credo importante a questo punto, procedere con un confronto tra Vittore ed
Eutropio, dal momento che esso rivela molte affinità, come la lunghezza della
narrazione; i fatti descritti che sono molto simili tra loro, come dimostrato dalla guerra
contro Tetrico e i monetarii, la costruzione delle mura Aureliane, la descrizione sulle
modalità della sua morte. La spiegazione di queste affinità risiede molto probabilmente
nel fatto che usano la stessa fonte, quella che è arrivata a noi come la Kaisergeschichte
(KG), che fornisce una descrizione delle campagne militari. L‟esistenza della KG e il
ruolo da lei giocato, può essere in parte vero, vista gli evidenti aspetti comuni che
spesso si notano, ma ci sono elementi che mostrano come esistesse più di una fonte
latina da cui attingere, fatto questo testimoniato da tre discordanze principali esistenti
tra Vittore ed Eutropio; la prima si nota quando Vittore 34.3-5, (ripreso da Ammiano
Marcellino 16.10.3, 31.5.17 e Epit. 34.3) parla dell‟imperatore Claudio II che sacrifica
la propria vita per la salvezza dell‟impero; Eutropio 9.11.2 invece riporta come Claudio
II sia morto per malattia; situazione analoga si presenta a proposito del luogo della
morte di Alessandro Severo, dell‟identità dell‟Imperatore Didio Giuliano e della carriera
del giurista Ulpiano. In secondo luogo, a parte Caracalla, Eutropio non ripota nessuna
età dei diversi imperatori del III secolo, cosa che invece farà per il IV secolo, a
testimonianza proprio del fatto che non le possedeva lui stesso. L‟autore dell‟Epitome
invece è in disaccordo per quanto riguarda Caracalla (21.7, a ragion veduta dice 30 anni,
mentre Eutropio diceva 43)438
e poi fornisce anche le età di diversi altri imperatori come
Settimio Severo (20.10), Elagabalo (23.7), Severo Alessandro (24.4), Gordiano III
(27.2), Filippo II (28.3), Decio (29.4), Emiliano Alessandro (24.4), Gallieno (33.3),
Diocleziano (39.3) e Massimiano (40.11). Ora, se fosse vero che Eutropio prende le
edizione di Eutropio per i MGH (1878), Droysen, uno dei massimi studiosi di Eutropio, confermò la tesi
del Valesius. Parlare di Valesius = Henri de Valois 438 Eutropio, 8.20.2.
172
informazioni dalla KG, sorge spontaneo chiedersi come mai Eutropio stesso non abbia
preso anche le informazioni sulle età degli imperatori, così come ha fatto l‟Epitome.
Infine, a parte Vittore 35.4, ci sono soltanto l‟Historia Augusta – Vita Aureliani 38.1 – e
Zosimo 1.60-61.1 che parlano della campagna di Palmira, a proposito di Vaballato e
Antioco e non si trovino da nessun altro parte. Più in generale quindi, alcuni studi
recenti tendono a sostenere come i lavori di Vittore precedano di circa dieci anni i lavori
di Eutropio, spiegazione che pare così giustificare il fatto che in questo modo possa aver
attinto a qualcosa di diverso e nuovo. Pare che l‟Epitome abbia attinto a quattro diverse
fonti.
Ritengo ancora importante riportare l‟errore di Vittore 19.4 e Eutropio 8.17
secondo cui Settimio Severo abbia sconfitto Didio Giuliano nel 193 presso il ponte
Milvio, dato che questo fatto suggerisce l‟uso di fonti risalenti alla fine del III secolo e
all‟inizio del IV.
Più in generale per queste prime fonti, si può affermare che queste dimostrano
come a quel tempo esistesse una cultura letteraria, anche se non a livello di Tacito o di
Sallustio e come si fosse comunque in grado di produrre opere storiche, pur nella
difficoltà dei tempi e della situazione geopolitica, economica e sociale. L‟unica
difficoltà è che non si può parlare dell‟affidabilità di Vittore e di Eutropio, dal momento
che esiste la possibilità che Eutropio segua Vittore, che entrambi seguano la stessa
fonte, o che entrambi seguano fonti diverse, a seconda dei fatti e delle vicende narrate,
ma comunque rimangono importanti se li si confronta e li si paragona continuamente. In
fatti così facendo emergono aspetti rilevanti e non contradditori, come ad esempio il
fatto che entrambi presentano la propria narrazione secondo uno schema biografico non
vincolanto a rigidi sviluppi cronologici; in aggiunta, Eutropio pone inoltre l‟accento
173
sulla severità di Aureliano (9.13.1, 14), cosa che Vittore fa solo di sfuggita a 35.5, 12),
mentre una particolarità è che Vittore abbia guadagnato la reputazione di storico tra i
contemporanei senza però poi godere di particolare fortuna nei secoli successivi, mentre
Eutropio non è stato popolare all‟inizio, ma lo divenne solo successivamente, quando
cioè è stato ripreso dall‟Epitome, dalla HA.
Festo, Il Breviarum. Oltre al fatto che apparentemente sembri avere Eutropio
come magister memoriae, si può dire come esso sia stato scritto nel 369/370 e si
presenti come un lavoro insolito dal momento che, invece di un approccio cronologico,
inizia e si sviluppa secondo la tipologia di un resoconto, di una ricerca delle varie
regioni dell‟impero (Brev. 4-14), cui segue una breve narrazione della guerra Persiana/
Partica del regno di Gioviano nel 363/4 (15-29). Per quanto riguarda Aureliano,
abbiamo poche righe relative all‟abbandono della Dacia (8) e la guerra contro Zenobia
(24). Anche lui rientra nel novero di coloro che sembrano aver seguito la KG, anche se
integrata da una fronte greca, per cui sussiste la convinzione che ci possano e ci
debbano essere collegamenti o connessioni tra Festo ed Eutropio, dal momento che pare
che il primo abbia usato il secondo come sua fonte. Di per sé non riveste un ruolo o
un‟importanza significativa perché emerge come non sia stato usato come fonte dagli
autori successivi.
Gerolamo (331 – 420). Di lui sappiamo che ha tradotto la seconda edizione della
Cronaca di Eusebio in latino, a cui però ha aggiunto nuovi dettagli, arrivando così a
continuare la narrazione della storia di Roma fino al 378. Limitatamente alle
informazione che fornisce su Aureliano, le notizie e le informazioni da lui aggiunte
174
riguardano sia Zenobia che Tetrico (Cronica 222d, e, g, 223b, c). inoltre risulta in
qualche modo degno di menzione per il fatto che pare come anche lui abbia usato
Eutropio e la versione KG, che abbia ripreso Eunapio e che soprattutto sia stato
importante per le fonti cristiane successive che lo hanno ripreso più volte.
Ammiano Marcellino. Egli era un greco latinizzato sotto l‟imperatore Giuliano
durante la campagna di Persia del 363 e ha scritto una storia dell‟impero romano in 31
libri, per un arco di tempo che va dal 96 al 378 d.C, con i primi 25 libri sembrano essere
stati scritti tra il 382 e il 392439
. Nonostante i libri che vanno fino al 353 siano andati
quasi completamente perduti, la Storia di Ammiano è importante per Aureliano per il
fatto che si trovino comunque riferimenti sull‟imperatore anche nei passi successivi
(Storia, 22.16.15; 26.6.7-8; 30.8.8; 31.5.17) e per il fatto che sono stati trovati
all‟interno del testo anche riferimenti e riprese di Eutropio, un uso in generale di
Eunapio440
, in particolare nei riferimenti all‟austerità di Aureliano (30.8.8), secondo lo
stesso schema che abbiamo per Valentiniano I (364-375).
Epitome de Caesaribus. Come le Storie di Vittore e di Eunapio, l‟Epitome è una
breve ricerca biografica di diversi imperatori, e continua fino alla morte di Teodosio del
395, anno in cui è stata scritta. Le informazioni su Aureliano si trovano nell‟Epitome 35
e occupano una pagina soltanto. Inoltre bisogna dire che l‟opera presenta qualche
problema di fonti a cui attinge dato che è comunemente accettato come ci siano
parallelismi con Vittore ed Eutropio, i quali a loro volta implicano un uso della KG,
439 Vedere Syme, Ronald, Emperors and biography : studies in the Historia Augusta, Clarendon, Oxford
1971, pp. 5-24, 25-71, e anche Matthews, John, L'impero romano di Ammiano, Edizioni scientifiche
italiane, Napoli 2006, pp. 17-27. 440 Syme, Ammianus, Ronald, Emperors and biography : studies in the Historia Augusta, Clarendon,
Oxford 1971, p. 105.
175
diretto indiretto che sia, proprio tramite Vittore ed Eutropio, anche tenuto conto delle
grandi somiglianze esistenti tra loro (Eutropio 9.15.2 e l‟Epitome 35.8 relativamente alla
morte, per esempio). Tuttavia, Schlumberger441
riporta nella sua analisi come le
differenze che esistono con Eutropio e Vittore vadano riferite a degli Annales perduti di
Nicomaco Flaviano – che sarebbe alla base anche dell‟Epitome – di Ammiano, e di
Eunapio e Zosimo 442
. Strictu sensu, le informazioni dell‟Epitome su Aureliano sono
relative alla sue doti di un guerriero che lo accostano ad Alessandro Magno e Giulio
Cesare (35.2), e alla sua crudeltà, con un‟evidente ripresa di Eutropio (35.4, 9).
Eunapio di Sardi (349 – dopo 404). Questo autore è stato un sofista greco noto per
le sue Vite dei Sofisti, e fonte di ispirazione per molte e differenti storie successive.
Secondo lo studioso bizantino Fotio, del IX secolo, pare abbia anche scritto Storia¸ una
continuazione di Dexippo, in due edizioni che coprono lo stesso periodo e che sono
praticamente le stesse, con l‟unica eccezione che la seconda è molto meno anti-cristiana.
Inoltre bisogna aggiungere che le fonti di Eunapio per Aureliano potrebbero includere la
Scythica di Dexippo, che sembra aver coperto almeno i primi sviluppi del suo regno,
Eusebio (da non confondere con il vescovo cristiano). Sempre in riferimento ad
Aureliano, Eunapio è stato una fonte sicuramente di Zosimo e forse di uno storico
bizantino come Pietro Patrizio e Synopsis Sathas; infine è stato più volte suggerito
come la prima edizione sia stata una fonte dell‟Historia Augusta, dell‟Epitome, e di
Ammiano.
441 Schlumberger, Die Epitome de Caesaribus, Munich, 1972. 442 Schlumberger Epitome, pp. 58-62, 158-165, 172-182, 235-246.
176
Consularia Costantinopolitana e lista di consoli. Scritta nel 468, essa è uno dei
primi esempi di lista di Consoli e per il governo di Aureliano, è rilevante perché
riprende l‟ascesa al trono, la costruzione delle mura romane, e la morte dell‟imperatore
a Caenophrurium, datate rispettivamente 270, 271, 275; anche se sono anni
cronologicamente corretti, non c‟è garanzia alcuna che tutto il resto sia giusto, non
costituiscono prova inconfutabile che sia un‟opera storicamente fondata e affidabile.
Zosimo. Storico greco che scrive attorno al 500, viene ricordato per la sua opera
intitolata Storia Nuova, che è una delle ultime grandi opere storiche dell‟antichità; essa
è relativa la declino di Roma e finisce improvvisamente nel 410, poco prima del sacco
di Roma da parte di Alarico nel 410. Lo spazio dedicato ad Aureliano è trattato in 1.47-
62, e in esso viene fornito il più dettagliato e affidabile resoconto della guerra contro
Palmira (1.50-61.1), così come alcune notizie relative alle sue prime guerre (1.47-49), le
riforme interne e la sua morte (1.61.2-62). Aspetto interessante o quantomeno singolare
risiede sua diversità rispetto alle altre fonti latine, dal momento che è uno dei pochi a
non parlare della severità di Aureliano: infatti, quando si trovano episodi di esecuzioni
di senatori e di altri cospiratori, dopo la secondo guerra Iutungia (1.49.2), non solo si
premura di riportare la loro colpevolezza e la loro responsabilità, ma compie anche il
passo di non associare le loro morti direttamente ad Aureliano. Per quanto riguarda le
fonti cui l‟autore attinge, basandosi su di un commento di Fotio (Bibliotheca codex 66),
si riporta come Zosimo abbia avuto come prima fonte, se non come unica fonte,
Eunapio.
177
Pietro Patrizio. Noto anche come l’anonimo continuatore di Dio, questo autore è
vissuto nella prima metà del VI secolo e della sua opera rimangono solo frammenti; in
particolar modo quelli che riguardano Aureliano (FHG IV, p. 188), sono per la maggior
parte aneddoti (ad esempio consigli dati ad Aureliano su come governare, oppure
l‟appello dell‟imperatore stesso ad un diritto superiore e divino, per placare
l‟ammutinamento dell‟esercito durante l‟assedio di Tyana).
Giovanni Malalas. Vissuto anche lui nella prima metà del VI secolo, è l‟autore di
una delle più complete e datate opere sull‟impero bizantino, in un resoconto che va da
Adamo a Giustiniano (565); l‟opera è curiosa perché è composta con uno stile e un
registro stilistico basso o medio basso, essendo apparentemente rivolta agli strati
inferiori della popolazione e a monaci. La sezione dedicata ad Aureliano (12.299-301)
tratta della costruzione delle mura Aureliane e di alcuni episodi della campagna
orientale. Tra le sue fonti, paiono esserci le cronache delle città, fonte abbastanza
curiosa e singolare, cui poi si devono aggiungere anche Eutropio per quanto riguarda i
fatti della rivolta dei monetarii e l‟abbandono della Dacia. Sicuramente però il suo
valore è sminuito dal fatto che spesso compaiano errori e anacronismi.
Giovanni di Antiochia. Vissuto nel VII secolo, ha scritto anche lui una storia
universale che inizia con Adamo e prosegue fino al 610 di cui però rimangono solo
pochi frammenti, tra i quali, quelli concernenti Aureliano sembrano riprendere quasi
fedelmente Eutropio (FHG IV, p. 599# 155-6).
178
Giorgio Sincello. È scrittore del IX secolo, e ha scritto una storia a noi pervenuta,
che si estende da Adamo fino a Diocleziano. Per le notizie su Aureliano (721-722),
assistiamo ad una ripresa e riproposizione di autori precedenti, a partire da Dexippo,
Eusebio ed Eutropio; la caratteristica della sua narrazione è che è maggiormente
orientata verso i singoli episodi che verso uno sviluppo in senso cronologico, con uno
sguardo complessivo e d‟insieme, e include gli episodi delle guerre orientali, la
persecuzione , le guerre galliche, l‟evacuazione della Dacia e la morte dell‟imperatore.
Suda. questo è il nome dato ad un‟enciclopedia del X secolo che contiene passi e
estratti di autori precedenti. Per noi è importante solo perché preserva frammenti della
traduzione greca di Eutropio.
Giovanni Zonara. È uno scrittore del XII secolo e ha scritto un‟opera a noi
pervenuta che copre un arco di tempo che va dalla creazione al 1118. Le informazioni
che fornisce su Aureliano (12.25, 27) sembrano essere state prese da Eusebio e da Pietro
Patrizio. Al di là delle mere informazioni biografiche, è un autore significativo per
diversi aspetti, dal momento che fornisce in più di un‟occasione più versioni di uno
specifico evento, dimostrando un acuto spirito critico e un‟alta attenzione e
considerazione per le fonti, e poi perché presenta tracce di una narrazione cronologica,
che si ispira a Dexippo e a Eunapio.
Ho lasciato per ultima la Historia Augusta perché a mio avviso merita una
trattazione a se stante, dato il ruolo particolare che riveste e considerato che è una delle
opere più vaste e integre che possediamo del periodo finale dell‟impero romano.
179
Essa rappresenta sicuramente uno dei problemi e dei dilemmi più intriganti e
complessi della storiografia della tarda antichità romana443
. Si presenta infatti come una
raccolta di biografie di imperatori – coprendo un arco di tempo che va da Adriano (117)
a Caro e i suoi figli (285) – ad opera di autori differenti; tuttavia al proprio interno, la
narrazione risulta altalenante, dato che mancano i riferimenti al periodo che va da
Filippo a Emiliano (244-253), e dato che quelli che parlano di Valeriano e Gallieno si
presentano lacunosi. Nonostante tutti questi problemi, rimane il fatto che, qualunque
studioso di Roma del tardo Antico non possa prescindere da essa, proprio perché rimane
l‟unica fonte latina arrivata a noi completa, per quanto riguarda gli anni 117-284444
. Da
qui però la sfida vera: separare il vero dal falso.
Punto sul quale tutti gli storici concordano è che la maggior parte della HA sia
artificiale e inventata, e che ci si sia anche la concordia degli studiosi sul periodo di
composizione, fatto risalire, più o meno, al 395445
. Un punto che invece si presenta
ancora controverso è se essa sia un insieme di vite redatta da scrittori differenti oppure
se si possa considerare l‟opera di un unico autore. L‟idea inizialmente dominante era
quella per la quale si pensava che alla stesura dell‟opera avessero preso parte diverse
mani o autori, sei per l‟esattezza e rispondenti ai nomi di "Aelius Spartianus", "Iulius
Capitolinus", "Vulcacius Gallicanus", "Aelius Lampridius", "Trebellius Pollio" e
"Flavius Vopiscus"; in seguito tuttavia, questa teoria ha subito una forte scossa partire
443 Syme, Historia Augusta, Bonn, 1971; Soverini, P. Scrittori della Storia Augusta, v. I, Torino 1983, pp.
9-57. 444 A questo proposito per un‟analisi complete e più dettagliata dell‟opera, mi sono rifatto a Syme,
Roland, Historia Augusta Papers, Clarendon Press, Oxford 1983. 445 Un buon studio viene esercitato a questo proposito attraverso un confronto incrociato dei vari autori e
dei termini o dei fatti che i vari autori usano; per capire forse meglio il discorso si può riportare il caso p.
113 delle leggi, dei termini e delle istituzioni, presenti sia a livello militare che civile; infatti un esempio
può essere dato dalla carrozza militare, il carpentum, assegnato anche al Prefetto della città (Aur. 1.1).
Con riferimento alle frasi di Simmaco, il carpentum è termine che diventa in uso non prima del 382, e che
si presenta proprio come termine di datazione ante quem; altro caso, sempre legato al carpentum,
abbiamo un‟enfasi particolare sul titolo di vir illustris, assolutamente sconosciuto per il prefetto nel 368.
cfr. anche Syme (1983), Historia Augusta Papers, pp. 5-23, p. 113.
180
dalla fine dell‟Ottocento, con alcuni studiosi, tra cui annoveriamo principalmente H.
Dessau446
, i quali hanno contestato la teoria della pluralità degli scrittori e si sono fatti
portatori dell‟ipotesi dell‟unicità. In particolar modo, proprio a proposito di Dessau, nel
1889 si sono affermate due sue idee che hanno lasciato il segno e hanno cambiato le
teorie ad essa relativa; in primis, la conferma dei dubbi già esistenti sull‟attendibilità
dell‟opera, dovuta non solo alla presenza di invenzioni, di narrazioni fittizie e di episodi
falsi e inventati, ma anche legata al fatto che i troppi anacronismi e le incongruenze o le
affinità stilistiche, avrebbero avuto origine dalla ripresa di diversi autori precedenti,
come ad esempio Vittore e Eutropio, i quali sarebbero stati poi rielaborati e alterati per
rispondere alle finalità della narrazione447
. In secondo luogo, aspetto ancor più
significativo e importante, l‟autore sosteneva come bisognasse rifiutare l‟ipotesi dei sei
autori diversi, e invece si potesse considerare l‟esistenza un unico autore. Quando
Dessau sosteneva la propria teoria, ad esempio, riportava il caso della la vita di Settimio
Severo che appariva copiata da Aurelio Vittore o quella di Marco Aurelio che era intrisa
di elementi che richiamavano Eutropio448
. Queste considerazioni vanno tenute
particolarmente presenti perché gli studi condotti ai nostri giorni hanno dimostrato e
confermato come le sue ipotesi fossero sostanzialmente corrette e che HA sia stata
davvero scritta da un singolo autore, negli anni 90 del IV secolo449
, con la seconda parte
della HA, che presenta un grande avanzamento e un miglioramento stilistico e narrativo,
anche se meno attendibile storicamente. Un turning point a questo riguardo è trovato
dopo la Vita Caracallae in cui appare una profonda frattura ed emerge una distinzione
anche di affidabilità, veridicità e attendibilità; infatti fino a Settimio Severo, e Caracalla
446 Uber Zeit und Personlichkeit der Scriptore historia Augustae, Hermes 24, 1889, pp. 337-392. 447 Mommesn, Die Scriptores historia Augustae, Hermes 25, 1890, pp. 228-292; oppure anche
Momigliano, “An Unsolved Problem of Historical Forgery”, in Studies in Historiography, London 1966,
pp. 143-180. 448 Syme (1983), pp. 5-23. 449 Syme (1983), p. 213.
181
compreso, la narrazione è ritenuta più veritiera e degna di attenzione, mentre
successivamente si presenta più fittizia e artificiosa, se non addirittura inventata; con
Macrino infatti emergono fatti e situazioni inventate, con la possibilità neanche tanto
remota che l‟autore stesso sia un mero espediente letterario, tipica caratteristica dei
romanzi e dei racconti in generale.
Rimane però ferma la convinzione che lo scrittore di HA non sia uno storico, ma
piuttosto un romanziere e essa appare molto di più come una raccolta di annotazioni e
aneddoti, argomento spesso utilizzato per spiegare anche l‟apparente e scarsa coerenza
di alcuni passaggi. Laddove la narrazione salta, quindi, non vuole significare e implicare
necessariamente il fatto che ci sia stata un‟erosione, un‟abrasione o anche e
semplicemente un atto di censura o invenzione, ma può semplicemente essere dovuto –
e si pensi ai casi e alle storie degli imperatori che vanno da Adriano a Caracalla – al
genere biografico sotto cui rientra l‟opera, che ama procedere attraverso una raccolta di
dettagli e di informazioni spesso bizzarre, inconsuete o particolari450
. Tale
giustificazione sembra essere confermata dai continui tratti di carattere scherzoso
dell‟opera, spesso faceto e leggero, utilizzati anche per criticare gli storici precedenti, e
in particolare quelli ritenuti i capisaldi della storiografia latina, come ad esempio Livio o
Tacito. Sempre interessante rimane l‟esortazione a scrivere come più si preferisce,
iocando, dato che sarà in buona compagnia come bugiardo/ inventore; “habiturus
mendaciorum comites quos historicae eloquentiae miramur auctores451
”. E ancora su
questa linea si pone la distinzione tra chi è storico, e chi è solo un ” biografo”, con
l‟aggiunta che precisa come i primi possano anche scrivere con uno stile alto, colto e
450 Syme, Roland, Historia Augusta Papers, Clarendon Press, Oxford 1983, p. 33. 451 Vita Aur. 2.2.
182
ricercato, ma che, i secondi, contrariamente ai primi, abbiano il pregio di riportare la
verità, “non tam diserte quam vere452
”.
Altra considerazione generale è il fatto che HA si segnali anche per la
fabbricazione o la creazione ex novo di legami parentali, di connessioni e di intrecci tra i
vari protagonisti, anche forzati, se non quando addirittura inventati e fittizi. Un esempio
per noi attinente potrebbero essere i generali che complottarono contro Gallieno nel 268
(e i nomi di Claudio ed Aureliano come i primi “sospettati”) o coloro che complottarono
contro Aureliano stesso nel 275, tutti apparentemente accomunati da relazioni strette.
Una delle problematiche di HA è che scivola nell‟errore di “riempire i buchi”, creando
tutta una serie di legami e relazioni tra i diversi imperatori, creando cioè un continuum,
una lunga e ininterrotta successione di eventi tra loro collegati e correlati, che vanno da
Decio a Caro e anche oltre, fino alla Tetrarchia. Sicuramente nella sua realizzazione e
stesura, questo è stato facilitato dalla assenza di notizie certe già a quell‟epoca e dalla
grande ignoranza connessa soprattutto alla nomenclatura di tutti gli imperatori.
Inoltre HA si fa portatrice di variegate e numerose pubblicazioni di fonti e di testi
falsi, fabbricati all‟occorrenza e quindi inventati, con personaggi pretestuosi di ogni
rango, classe e condizione sociale; sono infatti più o meno trentatré gli storici e i
biografi citati o usati, di cui noi non abbiamo nessun altra testimonianza, e che non si
trovano da nessun altra parte453
, così come non si riescono neanche a contare i fatti e i
discorsi ripresi e riproposti. Ad esempio, qualche dubbio può emergere sull‟ esistenza di
Flavio Vopisco (nostro in quanto sarebbe l‟autore della Vita Aureliani); in particolar
modo mi riferisco alla sua esistenza sotto Costantino, dal momento che, come riporta
452 Prob. 2.7. 453 Syme (1983), pp. 98-109.
183
Syme454
, sarebbe più attendibile collocarlo in un‟epoca successiva, come ad esempio
all‟epoca di Costanzo II (337-360), anche considerando espressioni come “est quidem
iam Costantius imperator” (Aur. 44.5). Sempre a proposito di personaggi, di nomi, e di
fatti inventati, ad un certo punto della descrizione della vita di Aureliano, si dice come
la madre nel loro villaggio natale fosse la sacerdotessa del Dio Sole (Aur. 4.2), secondo
anche l‟opinione di un fantomatico Callicrate, il Tiro; ora però Sole e Tiro sono
giustapposizioni e riprese che riguardano episodi presenti e rintracciabili nell‟orazione
di Didone (nec tam aversus equos Tyria Sol iungit ab urbe – Aen. I.568). Ecco che
quindi, arriviamo ad un altro aspetto che va considerato della Storia Augusta: in
quest‟occasione come in altre, il background storico e letterario dei periodi precedenti
era ben conosciuto al narratore che arriva a riprenderlo e a servirsene per impreziosire la
narrazione. In questa caso specifico, appare evidente come HA riprenda e sfrutti
ripetutamente l‟Eneide455
, a testimonianza di un‟erudita fantasia che si manifesta
ripetutamente nel corso della narrazione, come ad esempio nella riproposizione degli
oracoli o delle lettere, o come avviene nel libro VIII, in occasione della decennale festa
di Gallieno, quando troviamo un‟eco del trionfo di cesare Augusto riprodotto o descritto
sullo scudo di Enea (Gall. 8.4, e Aen. VIII 717)456
.
Questa considerazione non sminuisce l‟importanza dei nomi e dei personaggi più
in generale, perché sono comunque funzionali a illustrarci uno spaccato di vita
senatoriale, ma anche della società come della vita privata, e a farci pervenire il punto di
vista delle classi più elevate, in maniera molto marcata e diretta; a questo proposito e
454 Syme (1983), p. 98. 455 Un altro episodio potrebbe essere quando Tetrico, mentre scappava dalle proprie truppe, pone se stesso
sotto la clemenza di Aureliano, venne apostrofato così: “eripe me his, invicte, malis” (Eutropio IX.13.2);
così come è riportato per Giulio Crispo, quando durante l‟assedio di Hatra, apostrofò così Severo,
“scilicet ut Turno contingat regia coniunx nos animae viles inhumata infletaque turba sternamur
campis”, chiara ripresa del passo virgiliano Aen. XI.371, e riportato da Dione Cassio in LXXV.10.2. 456 Syme (1983), p. 40.
184
secondo quest‟ottica, il discorso vale anche quando vengono riportati gli interventi
contro il cristianesimo, dato che diventa il modo per dire come le persecuzioni (Aur.
20.5) avvengano perché sono i membri del senato ad essere interessati e preoccupati.
Per tutta questa serie di motivi e altri ancora, HA rimane un “libro aperto”, una
fonte al contempo affascinante e piacevole, ma anche incerta per affidabilità e
attendibilità. Tra i vari aspetti, rimane la curiosità sul motivo per cui sia stata scritta: se
infatti è stata composta per propaganda, a favore di chi o con quale motivazione?
Altrimenti può essere spiegata come pure e semplice esercizio letterario? Nonostante
presenti spesso tratti superficiali e popolari, si nota anche un alto grado di
sofisticazione, di curiosa erudizione e affettazione, con una retorica comunque
rimarchevole – questo soprattutto per quanto riguarda la riproposizione dei dialoghi
dell‟alta nobiltà senatoria (come ad esempio l‟orazione di Vectius Sabinus, Max. et
Balb. 2.2) che presuppone un uditorio comunque colto dei riferimenti e che sembra
proprio scritta per essere letta. Rimane inoltre vivo l‟aspetto secondo il quale la nobiltà
ancora legata al paganesimo, venga incitata a mantenere la propria elevata, importante e
notevole tradizione. Tutte queste considerazioni sembrano convogliare l‟idea che ci sia
un disegno politico dietro, a prescindere da qualsiasi sia il progetto, e rimane il fatto che
questo pone lo/ gli scrittore/i in un gruppo vicino all‟ambiente colto e senatorio, se non
addirittura di propaganda imperiale.
HA riveste un ruolo importante, al di là dei possibili dubbi di autenticità,
affidabilità o storicità che si possano avere, perché rimane comunque la sola fonte
latina, l‟unica biografia degli imperatori che si abbia dal periodo che va dal 117 al 284,
dalla morte di Traiano fino all‟ascensione di Diocleziano457
. Di conseguenza, l‟errore
principale che ha portato alla condanna e al biasimo di HA, risiede principalmente nel
457 Syme (1983), p. 210.
185
fatto che gli storici si sono accostati ad essa ricercando e pretendendo esatti, precisi e
esaustivi elenchi dei contendenti, delle date, dei protagonisti e dei singoli episodi; errore
perché l‟approccio dovrebbe essere principalmente letterario: sia dal punto di vista
strutturale, delle fonti, del linguaggio e degli scrittori stessi. Dei sei biografi, Vopisco è
l‟ultimo, nomina tre dei suoi predecessori, ma lui, come del resto gli altri scrittori, non
dice mai di scrivere in collaborazione o in accordo con gli altri. Sicuramente appare
come la Vitae sembri ibrida, eterogenea e caratterizzata da un‟ampia gamma di stili, che
spaziano da espressioni e dal parlare volgare, per arrivare ad una retorica ed
un‟eloquenza elevati. Troppo spesso HA è stata descritta e trattata come una
falsificazione e questo termine probabilmente è troppo fuorviante: suggerisce
criminalità, intenzione e idea di ricavarne un profitto. Come invece ho provato più volte
a sottolineare, sarebbe meglio riflettere maggiormente sull‟humor, la voglia di burlare e
di divertirsi dell‟autore, come di un genuino hoax, di una burla rivestita di serietà e
storicità, che non ha mai nascosto le proprie opinioni: l‟autore ammira le tradizioni
imperiali, celebra il prestigio del senato ed è completamente devoto alla memoria della
dinastia degli Antonini.
La Vita Aureliani. Volendo quindi entrare nello specifico della vita Aureliano, si
può dire come essa sia costruita secondo lo stile delle agiografie, con fatti assurdi,
esagerati, mitici e leggendari, i quali mostrano già come tutta la narrazione non possa
essere considerata molto affidabile, aspetto questo confermato dai numerosi nomi
riportati ma del tutto sconosciuti, o non riscontrati altrove. Secondo la stessa logica si
pongono anche le lettere di corrispondenza, spesso false458
, che si rifanno all‟esigenza di
verosimiglianza459
.
458 Cfr. XVII, lettera di Claudio. 459 A questo proposito, cfr. soprattutto a F. Roncoroni, , Storia Augusta, trad it. Milano 1972, p. 758.
186
Ancor più in generale, si può dire che le fonti storiche, per quanto avverse, non
abbiano potuto disconoscere i meriti di questo imperatore, potendo solo cercare di
limitarne la portata. Sintomatica è la sua vita: benché farcita, specialmente nella prima
parte, di dati e documenti falsi e/o dubbi, essa rimane la nostra fonte più vasta, accanto
ai pochi frammenti degli autori cui ho accennato prima, come lo storico ateniese
Dexippo, a lui contemporaneo, alle rielaborazioni successive e tardive sia latine
(Aurelio Vittore, Caes. XXXV; Epit.. XXXV; Eutropio IX, 13-15), che greche (Zonara,
XII, 25 e ss.; Zosimo I, 47 e ss.), risalenti e riconducibili ad Eunapio. Essa riconosce
tutto quello che doveva riconoscere al nostro imperatore, ma al contempo non può fare a
meno di marcare gli inconvenienti del suo rigido centralismo e della sua inesorabile
tendenza alla monopolizzazione del potere, che ledeva gli interessi senatori e
aristocratici in generale, e da cui sono poi scaturiti tutti i giudizi negativi su questo
imperatore, come ad esempio che “Aureliano fu senza dubbio un principe severo,
crudele e sanguinario (XXXVI)”; che fosse un princeps utile allo stato ma non buono,
nel senso di gentile e magnanimo (cap. XXXVII) cui seguì la definizione ambigua
secondo la quale, non è possibile poterlo collocare né tra i buoni né tra i cattivi (cap.
XXXVII).
Di conseguenza, pur non potendo negare i suoi meriti (tra cui menzionerei come
principali, la pacificazione delle Gallie così come dell‟Oriente), si pone maggiormente
l‟accento sul fatto che avesse dato un colpo ulteriore e ancor più decisivo al progressivo
allontanamento dei senatori dalla condotta degli affari e della vita dell‟impero, nello
stesso modo in cui le fonti cristiane danno un giudizio negativo, per l‟atteggiamento di
Aureliano verso il cristianesimo, come era naturale per un imperatore che aveva dato
187
vita ad un nuovo monoteismo solare e che stava attuando una politica fortemente
accentratrice.
Più specificatamente, comunque, il periodo che interessa la vita di Aureliano, è
presente nella sezione dei Tyranni Triginta (TT), Quadrigae Tyrannorum (QT), e poi
VA, con le prime due che si mostrano tendenzialmente fittizie, poco attendibili se non
addirittura completamente inventate460
.
In conclusione, l‟importanza di HA e delle altre fonti, potrebbe già solo risiedere
nelle caratteristiche comuni, nei temi ricorrenti che si presentano continuamente nel
corso del tempo e che ci mostrano quali potessero essere gli aspetti e episodi della vita
di Aureliano, dato che fanno emergere quali fossero i fatti più importanti, per i
contemporanei e successori dell‟imperatore. Un altro aspetto che merita essere
segnalato è che le persecuzioni, totalmente assenti dalle fonti pagane, e trattate a partire
da Eusebio e Gerolamo, non si sono però mai intersecate o accavallate con l‟immagine
di Aureliano come imperatore crudele – immagine ricorrente e prominente nelle fonti
latine – né sono state tra loro correlate, ma anzi, sono sempre rimaste svincolate
dall‟aspetto religioso, suggerendo quindi l‟idea che la crudeltà di Aureliano debba
rientrare nell‟usuale schema e concezione per cui è severo chiunque si schieri o agisca
contro il Senato: questa “tradizione” trova riscontro in molti scrittori e autori latini,
come ad esempio Vittore, Eutropio, Festo, Ammiano, l‟Epitome e la Vita Aureliani di
HA.
Nonostante tutte queste problematiche, nonostante tutte le evidenti incongruenze e
i dubbi di attendibilità e di storicità, ho deciso di prendere e adottare comunque come
linea guida per la mia trattazione, proprio la Vita Aureliani della Storia Augusta,
avendo l‟accortezza e la premura di riportare e sottolineare le discrepanze e le versioni
460 Syme, Emperors and Biography, Oxford 1971, p.17.
188
degli altri autori. Questa decisione deriva dall‟unicità della HA in qualità di più integra
fonte latina a noi pervenuta, che mi permette quindi di ripercorre passo a passo le
diverse fasi della vita di Aureliano, e di analizzarle alla luce e secondo la prospettiva del
suo progetto di renovatio imperii, facendo sempre attenzione a intervallare, integrare o
confrontare anche le altre versioni e tradizioni storiografiche, ogniqualvolta HA
differisca dalle altre.
189
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