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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI STORIA CORSO DI LAUREA in SCIENZE STORICHE E DOCUMENTARIE AURELIANO: LA PERFEZIONE MANCATA RELATORE: Prof. Sergio Roda CANDIDATO: Gabriele Pedrazzo (matricola 705756) Anno Accademico 2014/2015
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Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

May 15, 2023

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Juanita Elias
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Page 1: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIPARTIMENTO DI STORIA

CORSO DI LAUREA in SCIENZE STORICHE E

DOCUMENTARIE

AURELIANO: LA PERFEZIONE MANCATA

RELATORE: Prof. Sergio Roda

CANDIDATO: Gabriele Pedrazzo (matricola 705756)

Anno Accademico 2014/2015

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RINGRAZIAMENTI

«Tre ringraziamenti ai professori dell’Università sotto il cielo che

risplende

(Il mio relatore il professor Roda, il professor Pellizzari e il professor Tuccari)

Sette gli amici cari la cui amicizia vorrei per sempre salda come

rocche di pietra

(Save, Albi, Gio e Silvia, Vale, Paola e Anto)

Nove ad altri amici mortali loro che ricorderò per sempre

nonostante tutti noi attenda una triste morte

(Juls, Ila, Elsabetta e Mari, Fra Claudio, i miei genitori, Chiaretta, amici di Taizè

e di Rivauta)

Uno a Dio, che si oppone all’oscuro Sire chiuso nella reggia tetra,

nella Terra di Mordor da dove l’Ombra nera si diffonde.

Un amicizia per domarli, un’amicizia per trovarci,

un legame pe ghermirci e nella luce incatenarci 1»

1 Tolkien, J. R. R., Il Signore degli Anelli, Milano 2004, p. 75.

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INDICE

PREMESSA .......................................................................................................................... 7

INTRODUZIONE ................................................................................................................. 9

EPIFANIA DI AURELIANO .............................................................................................. 14

Cenni storici: La crisi del III secolo...................................................................................... 14

Aureliano, Imperatore in potenza: gli esordi ......................................................................... 15

In media stat…Virtus? ......................................................................................................... 18

L‟esercito ............................................................................................................................. 27

Conclusione ......................................................................................................................... 38

LA CIMA DEL MONDO .................................................................................................... 41

Aureliano e la Traslatio Imperii............................................................................................ 41

Questioni militari e l‟unità dell‟impero ................................................................................ 43

Un cuore solo e un‟anima sola ............................................................................................. 48

Palmira: De caelo in caenum: ubris aut diligentia? ............................................................. 48

La Dacia. Debolezza o lungimiranza? .................................................................................. 58

Centro e Periferia ................................................................................................................. 59

Overstretch .......................................................................................................................... 66

Conclusione ......................................................................................................................... 74

POLITICA INTERNA ......................................................................................................... 79

Monetariorum Bellum .......................................................................................................... 79

Riforma monetaria vera e propria ......................................................................................... 87

Conclusione ......................................................................................................................... 95

AURELIANO: UN SOLE CHE SORGE ............................................................................. 97

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6

Evocatio............................................................................................................................... 99

“Tao te Ching”: lato in ombra e lato soleggiato della collina .............................................. 101

Elagabalo: il Sole pallido dell‟inverno ............................................................................... 109

Aureliano: il solstizio d‟estate ........................................................................................... 111

I raggi del Cristianesimo .................................................................................................... 116

Conclusione ....................................................................................................................... 119

CONCLUSIONE GENERALE .......................................................................................... 124

ILLUSTRAZIONI ............................................................................................................. 133

APPENDICE ..................................................................................................................... 167

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................... 189

Fonti Secondarie ................................................................................................................ 189

Fonti Primarie .................................................................................................................... 203

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7

PREMESSA

mpero. Da sempre questo è un argomento che mi affascina e che mi spinge a

porre sempre nuovi interrogativi. L‟aspetto singolare è il fato che quanto più

provo a carpirne le dinamiche e le peculiarità, tanto più esso si presenta con

nuove sfaccettature; maggiormente cerco di sviscerarne i significati e di

coglierne i vari aspetti, meno esso si presta ad essere classificato e inquadrato in forme e

schemi fissi.

L‟altro aspetto però davvero singolare che questa tesi mi ha confermato rimane

comunque l‟attualità dell‟impero di Roma. Nella mia ricerca sulla situazione

dell‟impero romano nel III secolo, sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla sua

attualità: anche se stavo provando a dipingere un quadro delle condizioni della

dominazione romana negli anni dell‟Anarchia Militare, ho sempre avuto l‟impressione

di condurre una riflessione sulla situazione contemporanea. Come infatti ho già avuto

modo di notare, le problematiche che emergevano e le soluzioni che man mano sono

state trovate – o non trovate – valgono ancora ai giorni nostri: ecco la potenza della

storia di Roma, ecco il suo fascino e la sua rilevanza; l‟Imperium Romanum si rivela

sempre attuale, come un punto di riferimento di tutte le epoche e per tutte le compagini

che animano una società

Il lavoro di ricerca bibliografico si è a volte rivelato arduo o comunque non così

semplice e scontato e le fonti stessi si sono dimostrate non così facilmente reperibili;

infatti, e a suo sfavore, ha giocato un ruolo decisivo la scarsità di fonti di quel periodo,

le quali, come avrò modo di sottolineare più avanti, si sono spesso dimostrate esigue,

contradditorie e spesso fuorvianti, fatto questo dovuto anche alla difficoltà e alle

I

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incertezze del Tardonatico, periodo caratterizzato da grandi e frequenti guerre. Le

modalità con cui ho reperito il materiale sono state principalmente le biblioteche

dell‟Università, il prestito bilbiotecario e anche le fonti in lingua straniere, reperite

principalmente grazie ad internet e al formato ebook.

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INTRODUZIONE

e motivazioni principali che mi hanno spinto a scrivere e a compiere

ricerche proprio sulla figura di Aureliano sono molteplici, ma tutte si

possono ricondurre sostanzialmente alla curiosità unita ad un più

generale interesse per l‟impero di Roma, analizzato nel suo momento di crisi e

difficoltà.

Curiosità. In tutti gli anni del mio percorso accademico, ho raramente sentito

menzionare Aureliano e forse ancora di meno sono stato consapevole della sua esistenza

o del ruolo da lui svolto, salvo quando veniva menzionato nel lungo elenco di

imperatori che si sono succeduti durante il cinquantennio militare del III secolo. Sarà

perché ho sempre preferito altri periodi storici; sarà perché l‟età dell‟anarchia militare2

l‟ho sempre vista e considerata nel suo complesso, come fatto e fenomeno globale; sarà

perché la letteratura e le fonti stesse relative a questo periodo non aiutano ad avere una

visione esaustiva e approfondita, rivelandosi spesso anche contradditorie le une rispetto

alle altre, qualunque sia la spiegazione, rimane il fatto che ho dovuto constatare che la

mia formazione presentava qualche lacuna in materia e come davvero il mio bagaglio

culturale di laureando in storia necessitasse di qualche approfondimento.

A queste considerazioni, inoltre bisogna aggiungere un interesse particolare per le

vicende politiche e istituzionali dell‟impero come istituzione, come forma di

2 Definito dalle varie fonti, anche come età di transizione, età degli imperatori soldati, o ancora come

crisi di III secolo, come ad esempio lo definisce Rostovtzeff (1995), Rostovtzeff, 1995, p. 43.

L

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organizzazione politica della società civile, che ha nell‟impero romano uno degli esempi

più riusciti e da cui si può trarre maggiore ispirazione e insegnamento.

La mia ammirazione per l‟impero romano come istituzione politica – se non forse

l‟istituzione politica per eccellenza – e il mio interesse per la ricerca dell‟esistenza delle

migliori forme di governo possibili, si sono così trovate a coesistere tra loro e a poter

essere ben spiegate e trattate nella figura di Aureliano. Da una parte infatti, il dominio di

Roma è una delle migliori forme di organizzazione politica che siano mai state

sperimentate, in grado di avvicinarsi alla realizzazione e al mantenimento di uno “Stato

Universale”, di uno stato cioè che potesse adempiere alla missione di pacificare buona

parte del mondo circostante, creando al contempo un consenso e un‟adesione ai propri

modelli e valori, molto esteso e profondo e permettendo uno stile di vita molto più che

decoroso. Del resto l‟importanza di questa realtà è testimoniata dalle numerose riprese e

dai numerosi richiami effettuati nelle epoche successive, che hanno visto qualunque

istituzione o governo, e non solo occidentale, riprenderlo come antenato illustre da

vantare, mostrare o richiamare, per giustificare il proprio operato o le proprie pretese di

dominio. Dall‟altra parte, invece, abbiamo il cinquantennio dopo la dinastia dei Severi e

prima della Tetrarchia, che rappresenta un‟importante linea di demarcazione tra due

sistemi politici differenti, i quali evidenziano due diversi modi di concepire il potere e i

modi di governare un impero, con diverse forme di dominio personale.

Impero di Roma e III secolo quindi, nella figura di Aureliano; e proprio loro

perché è in questa duplice articolazione, di un prima e di un dopo Aureliano, che ho

ricercato l‟esistenza dei possibili aspetti positivi e negativi che caratterizzano o

dovrebbero caratterizzare un governo monolitico, centralizzato, gerarchico. Proprio per

le sue caratteristiche intrinseche, in primis la sua alta conflittualità, il III secolo si presta

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molto bene a mostrare come funzioni o non funzioni un potere individuale e come esso

si realizzi e si attui in una società complessa come Roma antica. Ho quindi cercato di

capire, grazie all‟esempio di questo imperatore, come si debba organizzare una qualsiasi

struttura di governo che abbia la pretesa di reggere il destino e le sorti di diverse

popolazioni, per garantire loro la massima sicurezza, prosperità e tranquillità.

In definitiva, attraverso l‟analisi della vita e dell‟operato di Aureliano, mi sono

riproposto di capire se sia possibile la creazione di un impero perfetto, o comunque

un‟organizzazione statale stabile in grado di resistere alla pressioni esterne ed interne,

alle varie forze centrifughe e centripete che sempre si accompagnano alla nascita degli

stati; in aggiunta, ho provato a scandagliare gli strumenti che si possono o si devono

trovare per rilanciare e rivitalizzare una situazione politica, sociale ed economica in

declino. Questa analisi ha riguardato proprio l’imperium di Aureliano e la sua renovatio

imperii, vista come cardine e punto di congiunzione tra mondi e realtà diverse, perché

adatta a confronti e paragoni tra entità politiche variegate, sottoposte a differenti

pressioni Aureliano come erede di vecchie e nuove tradizioni, come continuatore e

innovatore, ma anche come creatore di diversi modi di organizzare e gestire vasti

territori; come riferimento per qualunque individuo o istituzione, che voglia cercare di

rivitalizzare un impero, di riprendere e rimediare ad una situazione generale di declino.

Chi più di questo imperatore illirico infatti, potrebbe aiutarci a capire con quali mezzi e

stratagemmi sia possibile tenere e preservare il potere? O a capire su quali basi sia

meglio tentare di farlo? E ancora: su quali fondamenta si debba reggere un regno?

Oppure da quali pericoli bisogna guardarsi nell‟esercizio di un tale controllo? Con

l‟analisi delle azioni e delle riforme da lui tentate, ho provato a trovare informazioni

utili per capire su quali regole, principi e capisaldi imprescindibili debba fondare le

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proprie azioni e riforme chiunque speri o sogni di dare vita ad uno stato efficace, solido,

imperituro. Chiunque debba o voglia fondare un impero neccessita di pilastri sui quali

costruire la propria struttura governativa e amministrativa, per arrivare ad

un‟organizzazione politica che sappia sopravvivere al proprio fondatore e che sia in

grado di resistere alle diverse intemperie – le quali puntualmente si abbatteranno su di

essa – ma che sia anche capace di garantire e fornire benessere, stabilità e protezione

alla propria popolazione, dato che questa rimane una delle missioni di un Impero.

Mi è sembrato pertanto utile e interessante analizzare proprio l‟attività di

Aureliano perché è stato l‟unico tra tutti i vari e presunti imperatori di questo periodo

che abbia saputo ricondurre all‟unità l‟impero romano; si è rivelato il primo e

l‟anticipatore di quella riforma del potere imperiale che verrà sviluppata pienamente dai

suoi successori e che darà vita al Tardoantico vero e proprio di Diocleziano e

Costantino. Se si vuole, Aureliano può essere visto come l‟imperatore che ha rifondato

l‟impero, come colui che ha posto le basi per il recupero dalla crisi. Aureliano come

emblema e personificazione viva dell‟impero romano che cerca di risollevarsi, di

reinventarsi, non solo per potere continuare ad esistere, ma anche e soprattutto per poter

provare a rilanciare il proprio ruolo, la propria figura e la propria azione di potenza

egemone.

La mia analisi quindi si è svolta secondo un duplice livello, strutturandosi in due

articolazioni parallele: analisi della vita e delle opere di questo imperatore, a partire

dalle fonti a lui contemporanee, e inserite e considerate però in un contesto più ampio,

come scusa o pretesto per radiografare l‟impero nei suoi elementi fondanti e nelle sue

carenze, nel tentativo di individuare il senso di una renovatio imperii, dell‟istituzione

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cioè do una migliore forma di governo con particolari caratteristiche che permettano ad

un impero di durare, di protrarsi solido, stabile e sicuro nel tempo.

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EPIFANIA DI AURELIANO

III secolo. Imperator : dovere, diritto o passatempo?

n questa prima parte della trattazione, ho voluto soffermarmi maggiormente

su quegli aspetti generali del III secolo, che sono la premessa e la condicio

sine qua non di tutti quegli sviluppi successivi che porteranno alla

Tetrarchia di Diocleziano. Anche se il discorso non ha riguardato strictu sensu la vita di

Aureliano, vista l‟esiguità delle fonti, ho ritenuto importante parlare o anche solo

accennare al contesto generale prima dell‟affermarsi di Aureliano come imperatore

proprio perché spero si capisca e si inquadri meglio l‟operato dell‟imperatore.

“The period from 235 to 284 emerges as one of the most important periods in

Western history, simply because Rome survived and did not pass into memory as

another empire, conquered by her enemies or one that crumbled from internal

stresses3”.

La crisi del III secolo è un periodo storico che convenzionalmente viene fatto

iniziare con la morte di Severo Alessandro4, ultimo esponente della dinastia dei Severi,

e che trova la propria fine con l‟avvento della Tetrarchia nel 284. È importante perché

ha davvero rappresentato uno dei momenti più cruciali della vita dell‟impero romano,

dato che rappresenta il momento in cui è stato minacciato da una crisi senza eguali, che

ha causato la perdita dell‟unità territoriale, in cui l‟impero ha mostrato la propria

incapacità di difendersi da pericoli esterni e interni e ha rivelato tutta la propria fragilità.

3 Scarborough 1973, p. 335. 4 Watson 1999, p. 1-26; Rostovzev 2003, cap. X, XI; Bowman 2005, pp. 3-8.

I

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Crisi interne, guerre civili e attacchi alle frontiere sono una costante che l‟impero

romano ha dovuto sempre affrontare nel corso della propria storia, ma per il III secolo,

questi fattori si sono verificati contemporaneamente e ad un livello e una profondità

significativa. Inoltre, qualunque termine si voglia usare per chiamare questa fase

dell‟impero romano, è innegabile che abbia aperto le porte ad una crisi che ha investito

così brutalmente il mondo romano, che, quando ne uscì, non fu più lo stesso. È una crisi

che si è manifestata nei diversi livelli e nelle diverse ramificazioni della società romana,

dall‟aspetto militare all‟instabilità politica e istituzionale, dall‟ambito economico a

quello religioso e dei valori della società.

In questo clima di crisi, di fermento e di stravolgimenti, sono emersi diverse

personalità – nel nostro caso Aureliano – che si sono distinte per i tentativi di portare

avanti un progetto di renovatio imperii, e che hanno provato a porre rimedio ad una tale

situazione di difficoltà, provando a capire quali ne fossero le radici più profonde, e quali

potessero essere le soluzioni.

Aureliano, Imperatore in potenza: gli esordi

Lucio Domitio Aureliano5 nasce il 9 settembre del 214 o del 215

6. Di origini

balcaniche7, si può dire ben poco che sia veramente affidabile e attendibile per i primi

5 Il suo nome completo si evince dagli studi di numismatica e grazie ai ritrovamenti epigrafici, come ad esempio CIL2 I.1, p. 255. 6 Per la data di nascita fare riferimento a Chron.Min. I 148; cfr. Randall 1991, pp. 104-105. 7 Dacia Ripensis secondo Eutrop. 9.13.1; tra la Dacia e la Macedonia in base a [Vict]:Epit 35.1, mentre

SHA:AUR 3.1-2 tra le diverse varianti riportate, accredita maggiormente Sirmio, città della Pannonia

Inferiore (in 24.3, Aureliano stesso è chiamato Homo Pannonius), anche Fisher 1929, p.130; Syme 1971,

pp. 209-210; Pearson 1976, pp. 35-6, anche considerando la tendenza di HA di inventare i fatti,

asservendoli alle esigenze narrative, rifiutano questa opzione, dato che Sirmio sembra il posto ideale,

visto che è una città chiave e strategica lungo la frontiera del Danubio. Infatti pur essendo una regione

pacifica, il governo di Roma è sempre stato consapevole dell‟importanza strategica, militare, difensiva di

questa regione; infatti, al tempo di Settimio Severo circa 10 delle 33 legioni dell‟impero stazionavano in

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anni dell‟infanzia e dell‟adolescenza8; infatti le prime notizie certe che abbiamo

risalgono al 268 quando Gallieno mise sotto assedio Aureolo, il quale aveva defezionato

in favore di Postumo, e si era rifugiato a Mediolanum. Pare che sia stato proprio durante

questo assedio che alcuni comandanti illirici, tra cui Aureliano, organizzarono una

congiura9 ai danni di Gallieno e lo uccisero, proclamando al suo posto Marco Aurelio

Claudio, il magister militum di Gallieno stesso, imperatore che sarà poi noto come

Claudio II il Gotico10

. Questi, appena salito al seggio imperiale, dovette affrontare

subito un‟invasione di Alamanni, che verranno sconfitti presso il lago di Garda11

e

successivamente dovette occuparsi dell‟ancora irrisolto problema di Aureolo, situazione

anch‟essa felicemente risolta12

. Dopodiché Claudio si dedicò alla questione della

penisola iberica13

per poi occuparsi brillantemente dei Goti14

, in seguito alla quale si

conquistò il soprannome di Gotico Massimo15

; in tale campagna egli avrebbe trovato

Pannonia, Mesia, Dacia (Randall 1991, p. 110); sempre a questo proposito bisogna ricordare come Sirmio

sia uno dei posti indicati per l‟incoronazione di Aureliano stesso. 8 Per ulteriori approfondimenti, vedere Randall 1991, pp. 106-109. 9 La migliore versione dei partecipanti alla congiura la fornisce Zos. 1.40.2 che menziona la

partecipazione del prefetto del pretorio di Gallieno, Eracliano, fatto presente anche in Giovanni di

Antiochia FHG IV, p.599 e in Zonar. 12.25, con la ripresa di Dexippo; cfr. SHA:Claud 1.3, tenendo

presente però come HA consideri Claudio uno degli eroi di questo periodo e pertanto tenda a presentarlo

sempre in una luce positiva; Vict:Caes, 33.19-21 invece presenta Aureliano da “uccisore” di Gallieno a

“semplice cospiratore”, insieme a Claudio, fatto però che va preso con le dovute cautele dal momento che

sembra più che altro un tentativo di mitigare la partecipazione del futuro imperatore. È inoltre in

SHA:Prob, 22.3. per quanto riguarda gli autori successivi, Syme, 1991, p. 210, si parla di un terzo

congiurato, un certo Cecropio, che è confermato anche da altri studiosi come ad esempio Homo 1967, p.

37; Barnes 1978, p.68. 10 Wolfram 1990, p. 56; Bowman 2005, pp. 156-169, Mennen 2011, pp. 1-21. 11 [Vict]:Epit. 34.2. 12 Per quanto riguarda l‟uccisione di Aureolo, tra le diverse fonti e versioni, è poco probabile quella che

coinvolge anche Aureliano, cercando così di liberare Claudio da ogni sospetto e coinvolgendo così “mano

alla spada” , uno dei soprannomi di Aureliano stesso – Zos. 1.41; Zonar 12.26; SHA:Claud.. 5.1-3;

Paschoud 1996, pp. 109-110. 13 Vict:Caes, 33.8-12; Eutrop 9.9.1-3; [Vict]:Epit, 34.3. 14 Per quanto riguarda la massiccia invasione di Goti che avvenne nel 269, cfr. Zos. 1.42-43.2;

SHA:Claud. 6.1; 9.3-4; 9.7-9; Amm,Marc. 31.5.16.

Come fonte moderna invece, cfr. Millar 1981, pp. 294-320, in particolar modo pp. 317-319. 15 CIL XII 5511, XVII 149; 159.

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17

tuttavia la morte a Sirmio16

, quando fu colpito da quella stessa peste17

che stava

affliggendo anche l‟esercito romano.

E Aureliano? In tutto questo, quale notizia esiste su Aureliano? Tra le esigue fonti

arrivate fino a noi, Aureliano compare come comandante della cavalleria dalmata

dell‟esercito del nuovo imperatore Claudio II; egli pare essere partito dai ranghi più

bassi dell‟esercito e aver poi scalato i vari gradini della gerarchia militare fino al grado

di magister militum18

, lasciato vacante da Claudio stesso19

, quando venne proclamato

imperatore. Si sa come Claudio II tenesse Aureliano in alta considerazione, anche per la

sua popolarità tra i soldati, con il sostegno dei quali Claudio stesso aveva ottenuto il

seggio imperiale, senza che si verificassero ulteriori proteste o rivolte20

. Visto il ruolo

crescente di Aureliano, considerata la fiducia di cui godeva presso il nuovo imperatore e

considerata la sua popolarità e la sua fama tra i ranghi dei soldati, diventare imperatore,

una volta morto Claudio, fu un passo breve, dimostrato anche dall‟assenza di ulteriori

ribellioni o di una guerra civile in seguito alla proclamazione21

, avvenuta nel 270.

16 Eutrop 9.11.2; VC 12.2; Zos. 1.46.2, Zonar 12.26; SHA.Claud, 12.2, mentre per un‟analisi e uno studio

più recenti, cfr. Watson 1999, p. 43-45; Southern 2001, p. 110; Grant 1984, p. 240. 17 Di sicuro abbiamo diverse fonti che parlano del diffondersi di pestilenze ed epidemie all‟interno

dell‟esercito stesso; Zos 1.26; 1.36; 1.37; Oros 7.21.4 (che parla di “una pestilenza universale…”);

sempre in riferimento a fonti antiche, ma tramite la ripresa di studiosi moderni, cfr. Dodgeon (1991) pp.

63-64, quando parlando della morte di Claudio II il Gotico e dei suoi successori, attraverso un‟analisi di

Zonar, XII, 26, riporta le stesse notizie, anche se sono informazioni maggiormente focalizzate e inerenti

alla durata del regno di Quintillo; inoltre Eusebio scrive che verso il 250 ci fu una pestilenza proveniente

dall‟Etiopia che dovette durare quindici anni e raggiunse molte parti dell‟impero, depauperandole di

molte vite umane H. E., VII. 22. 18 SHA:Aur, 16.4. Vedi anche Watson 1999, pp. 39-56; Bowman 2005, pp. 41-47. 19 SHA:Aur, 18.1 20 Delle fonti antiche abbiamo sicuramente [Vict]:Epit, 34.2-3, SHA:Aur. 18.2 e anche Zos, 1.49.1; cfr.

Watson 1999, p. 42-43. 21 Zonar 12.26 dice che Claudio, mentre giaceva morente a Sirmio, riunì i suoi generali e nominò

Aureliano suo successore. Interessante è SHA:Aur, 37.5-6 dove si dice che Quintillo, il vero ed

immediato successore di Claudio il cui regno rappresentò una piccola fugace scintilla destinata a svanire

con la proclamazione di Aureliano: infatti Quintillo stesso venne abbandonato dalle sue truppe non

appena si verificò la proclamazione di Aureliano e Quintillo stesso si tagliò i polsi, tant‟è che VA non

sbaglia quando sostiene che Aureliano ottenne il potere consensu omnium militum, ad indicare

l‟insignificanza del periodo di governo di Quintillo. In merito Cfr. Zos 1.47). Cfr. anche Grant 1985, pp.

183-188, dove compare come alla morte di Claudio, Aureliano pose velocemente fine all‟assedio di

Nicopoli e contestò il diritto di regnare del fratello di Claudio – Quintillo – autoproclamandosi a sua volta

imperatore.

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Alla luce proprio di questi fatti, e basandosi proprio su questi primi episodi della

vita di Aureliano, mi pare ora interessante capire quale fosse la situazione dell‟impero,

quali problematiche ci fossero e da dove esse siano state generate.

In media stat…Virtus?

Peculiare mi sembra il fatto che una delle caratteristiche principali di quest‟epoca

sia l‟alta instabilità politica: nell‟arco di questi cinquant‟anni si sono succeduti più di

una ventina di imperatori – una sessantina se si considera anche i diversi pretendenti alla

porpora imperiale22

– i quali anche contemporaneamente hanno preteso di reggere le

sorti dell‟Impero; le motivazioni alla base erano molteplici dato che essi erano spinti da

aspirazioni personali o erano manovrati e perfino obbligati dai propri eserciti23

. Non è

un caso se pochi di questi imperatori sono morti per cause naturali e nessuno di loro sia

stato in grado di sopravvivere per più di pochi anni, di insediarsi stabilmente sul seggio

imperiale e dare vita ad un progetto vero di governo e di riforme duraturo; nessuno,

dicevamo, fino ad Aureliano.

Questa instabilità politica ha radici profonde. Infatti, l‟alternarsi e la precarietà del

potere centrale allungano le proprie radici molto più indietro, addirittura a partire dal

principato di Augusto24

. Per quanto non si possa discutere l‟originalità e la grande

maestria con cui Ottaviano ha saputo costruire il Principato, si mantenne un errore di

fondo, un vizio e una debolezza che a lungo andare ne pregiudicarono la stabilità e

l‟efficacia: sto parlando della natura ibrida del potere del princeps, che non poteva

dichiararsi e presentarsi come monarchico, assoluto e totale – anche se nella sostanza lo

22 Per una lista approfondita e accurata degli imperatori di questo periodo, vedi Mennen 2011, p257-262. 23 Oros, 7.34.9-10, sostiene che “Massimo era un usurpatore controvoglia”, quando parla del 383, quando

cioè il generale romano all'epoca assegnato alla Britannia, Magno Massimo si rivoltò aspirando alla

porpora. Cfr. anche Watson, 1999, p. 13. 24 A questo proposito, ho trovato di grande aiuto e di grande ispirazione Mennen 2011, pp. 22-39.

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era o avrebbe voluto esserlo – ma che doveva nascondersi e mascherarsi dietro l‟idea di

rinnovata Res publica, e che non permetteva di esercitare la propria autorità fino in

fondo25

. Una concezione che minava le fondamenta e le pretese del potere centrale di

reggere la totalità del mondo, dato che lasciava aperti diversi spiragli per le altre

componenti elitarie che rivendicavano una maggiore partecipazione alle sfere

decisionali. Una debolezza questa che derivò da una poco chiara demarcazione delle

prerogative, delle competenze e dei limiti della gestione del potere centrale, il quale era

costantemente caratterizzato da una natura duplice e conflittuale: da una parte

l‟imperatore rivendicava un potere completo e globale, sempre più autonomo e libero da

vincoli esterni, e dall‟altra le classi dirigenti non si rendevano conto di aver perso quel

ruolo e quelle prerogative che appartenevano loro nella Res Publica, ma da cui ora

erano state esautorate. Di questo dualismo fra i poteri, e dello squilibrio che si era

creato, ne erano anche ben consapevoli i contemporanei; infatti sia Aurelio Vittore, che

Eutropio e Zosimo riportano questo antagonismo tra imperatore e senato e sono ben

consapevoli della diminuita capacità decisionale del senato, fatto questo testimoniato

dall‟episodio della successione di Probo, alla morte di Aureliano26

. In questa occasione,

il senato sembra essere completamente privo di doti di iniziativa, di leadership e di

intraprendenza; alla morte di Aureliano infatti i senatori non colsero la possibilità che

veniva loro offerta dagli eserciti, di scegliere il nuovo imperatore27

. E questa sarebbe

25 Eisenstadt 1967, pp. 3-4; Mennen 2011, p. 46. 26 cfr. Zos, 1.21.2; Vict:Caes, 37. Edwards (2004) riporta un passo in particolare in cui emerge anche

un‟altra cosa importante, a proposito di Decio: “Il Senato deve condividere la vergogna per questi

sviluppi dal momento che la sua dedizione ai piaceri consegnò l’iniziativa nelle mani degli eserciti”

(Edwards 2004, pp. 179-182). 27 Benché sussistano forti dubbi sull‟autenticità di questo episodio, è significativo comunque che sia

riportato sia da SHA:Aur; 40; Tac:Ann 4-8; Vict:Caes 35, dal momento che lascia comunque presupporre

come ci fosse a quel tempo l‟idea che il senato non fosse più in grado di scegliere, di attuare una politica

coerente, unitaria, decisa.

Page 20: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

20

stata una possibilità che i loro antenati non si sarebbero lasciati sfuggire, proprio in virtù

di quel potere decisionale che avevano fin dalla cacciata della monarchia.

Più in generale si pensi all‟elaborata costruzione della figura del Principe, anche

solo a partire dalla titolatura di Ottaviano e dal suo primo epiteto: Augusto. Augustae –

il termine deriva da auctoritas, e, ancora più nel profondo, da augere, cioè aumentare o

accrescere – erano tutte quelle persone e quegli aspetti degni e meritevoli d‟onore,

santissimi, che per il loro carattere sacro si elevavano al di sopra dell‟uomo e della

natura28

e indicavano chi aveva ricevuto, grazie agli auspici degli dei, un maggiore

“potenziale religioso”. L‟uomo era reso più che umano, anche se non ancora dio29

, e

veniva innalzato al di sopra di ogni altro uomo sulla terra, anche se questo non sanciva

nessuna maggiore valenza a livello istituzionale. Il princeps era così superiore a tutti per

auctoritas, mentre per potestas non aveva ricevuto assolutamente niente di più degli

altri magistrati suoi colleghi30

. È vero che con esso il fondatore del principato si

circondava di un ragguardevole prestigio religioso31

, di uno strumento più efficace per

rinnovare vita, costumi e diritto nella società e accrescere il proprio potere personale;

tuttavia è altrettanto vero che con esso non si creava nessuna nuova carica o figura

istituzionale che potesse essere estesa e trasmessa ai propri successori o che potesse

essere riconosciuta ipso facto come legittima e indiscutibile.

Augusto si attribuì titoli o funzioni, riprendendole dalla prerogative delle varie

cariche e magistrature repubblicane, e si trovò a possedere e gestire un insieme di poteri

senza che essi ricevessero mai un completo inquadramento o una definizione stabile e

28 Diod, LIII.16.8; Suet:Aug,7; Ovid:Fast, I.108, 589. 29 Diod, Ibid. 30 Res Gestae, c. 34. 31 Vedremo con Aureliano come l‟aspetto religioso sia una componente fondamentale di qualsiasi potere

con pretese universalistiche e assolute; cfr. infra, pp. 95, 102, 113, 139.

Page 21: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

21

ufficiale32

. Così l‟istituzione imperiale ideata da Augusto ha in parte fallito proprio nel

dare una serie di norme, leggi e istituzioni regolari, chiare e precise all‟imperatore, in

particolar modo sulle sue competenze e sfere di azione, così come sulla successione33

;

questo quindi è un aspetto determinante e responsabile – anche se non unico – delle

numerose guerre civili che si sono ripetutamente presentate nel corso della vita

dell‟impero romano nelle alte sfere della società romana34

. Nel timore di non presentare

il proprio potere come monarchico – e bisogna ricordare che anche solo il termine

“monarchia” fosse uno dei tabu della comunità romana, visto e considerato che il

sospetto che volesse instaurare una monarchia era stata una della cause principali della

morte di Giulio Cesare35

– Augusto non ha mai parlato esplicitamente ed espressamente

di potere unico, di dittatura, di regno, ma ha fatto brillantemente ricorso alle prerogative

32 A questo riguardo non concordo con Lintott, 1993, p. 192, quando sostiene che gli alti strati della

società romana non hanno mai voluto cambiare o modificare la loro idea di sovranità e di dominio

racchiusa dal concetto di imperium; essi non hanno mai avvertito la necessità di formulare o di creare una

connessione tra governati e governanti, tra chi deteneva le redini del potere e il resto della popolazione,

tra centro e periferia. Secondo quindi questi riferimenti e questo modo di intendere l‟impero, Lintott

(1993), cui si aggiunge Nörr 2013, pp. 44-45, giudica l‟Impero Romano come un‟organizzazione che

doveva garantire e fornire sicurezza ai propri membri; di conseguenza, la dominazione romana portò a

compimento un eccellente lavoro nei primi due secoli d.C., dato che fornì addirittura alle province le

capacità di durare e conservarsi anche nei periodi di crisi o degli imperatori più incapaci e non dovette mai svolgere o funzionare come una res publica, assumendosi funzioni politico-culturali di una comunità

civica, di una polis o una di civitas. Benché io tenda a concordare sul fatto che l‟impero debba avere un

tale obiettivo e debba agire con queste finalità, tuttavia, l‟autore non considera che la coesione

dell‟impero dipendeva e si basava anche su di un insieme di relazioni sociali, su di una rete

amministrativa caratterizzata da relazioni personali da e verso il centro, le quali, nel momento in cui sono

venute a mancare, hanno causato moti secessionistici e un indebolimento di tutto l‟impianto imperiale,

come sostiene anche Brown (Brown 1982, p. 38). 33 Edwards, Swain, 2004, p. 21. 34 Mennen 2011, pp. 40-45. 35 L‟aspirazione ad Regnum, dal tempo dell‟introduzione della Res Publica, era una delle accuse più gravi

per qualsiasi politico romano e comportava le pene più gravi; in particolar modo è famoso l‟episodio di

Giulio durante la celebrazione dei Lupercali. In quest‟occasione, Marco Antonio offrì proprio a Cesare la corona, il diadema simbolo della monarchia e Giulio Cesare rifiutò per ben tre volte. Rimane ancora

adesso il dubbio se tale gesto sia stato solo simbolico – visto che Cesare rifiutò tre volte, indicava che

respingeva l‟idea di un governo monarchico – oppure reale – nel senso che il dittatore abbia veramente

provato a farsi proclamare sovrano. L‟importane però è notare come il popolo, che pure amava il

condottiero, alla vista del diadema abbia rumoreggiato e protestato, proprio per questo odio atavico per la

monarchia, in ricordo del regno di Tarquinio il Superbo. Cfr. Cic:Phil, II 34.78-78; Plut:Caes, 60-61.1-6;

Suet:Caes, 76; DioCass, 44.6.2-45.30.2. Per ulteriori approfondimenti, vedere anche Zecchini 2001, pp.

11 ss. Tra le altre cose è curioso notare come il diadema sarà indossato per primo, come fatto volto a

sancire l‟acquisizione di un potere assoluto e senza ormai nessuna remora o preoccupazione, proprio da

Aureliano ([Vict]:Epit, 35.5).

Page 22: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

22

delle diverse magistrature e della società romana, per creare un ruolo istituzionale

nuovo, sotto l‟insegna però della tradizione e della beneamata Res Publica.

Il futuro imperatore acquisisce diversi titoli, anche in base all‟aspetto che si vorrà

porre in evidenza, come imperator, rector patriae¸ conditor civitatis, pater patriae,

tutor o anche moderator rei publicae36

e così via, ma non rappresenta una magistratura

collegiale o istituzionale, ma è unica e indipendente37

. Come individuato da Gigli (Gigli

1947)38

, il problema risiede nel fatto che “la soluzione di Augusto è più umana che

politica o costituzionale” e esistono numerose interpretazioni sia degli imperatori che

degli studiosi successivi proprio perché ciascuno ha posto l‟accento su aspetti e

caratteristiche diverse, anche in base alle proprie esigenze, dimostrando come essa non

si possa inquadrare all‟interno di schemi costituzionali e politici fissi, riconosciuti e

consolidati39

. Di conseguenza costituisce anche un limite; pur essendo raffinata e

sapiente, la soluzione augustea rimane comunque adattabile al singolo individuo, che di

volta in volta la adatterà ai propri fini. Nonostante si sia rivelata duratura e longeva, essa

si fondava tuttavia su un fragile e precario equilibrio40

che si logorò sul lungo periodo.

La debolezza del potere imperiale romano risiedette proprio nel fatto che dipendeva

maggiormente dalla capacità dei singoli imperatori, di comporre, combinare e porre in

equilibrio i contrastanti elementi interni della carica, mentre un impero che volesse

36 Cic:Att, VIII. 11. 37 Cic:Rep, I.63. 38 Gigli 1947, p. 187; Jones 2008, pp. 65-96. 39 Cfr. Gigli 1947, p. 187: tra le interpretazioni più accreditate e di maggior fortuna, troviamo l‟idea di

diarchia di Mommsen, con il duo principe-senato; poi monarchia assoluta, di Dessau, che punta

l‟attenzione sulla concentrazione di tutti i poteri nelle mani di Augusto; addirittura compare anche come

restaurazione delle Res Publica secondo l‟opinione di Hammond per cui il princeps è veramente lo

strumento ubbidiente o che soggiace al Senato; cfr.; Mennen 20111, pp. 50-54. 40 Pensiero condiviso anche da Bianca Misitano quando riconosce come Augusto, nonostante avesse dato

origine ad un periodo di pace e tranquillità, non sia riuscito a dare una sistemazione definitiva e

permanente alla società romana, per cui a breve si verificherà un intero anno di guerre civili, il longus

annus. Inoltre tale situazione viene anche indicata come una delle principali responsabili del declino

dell‟impero romano, cfr. Eisenstadt 1967, pp. 3-4; Watson 1999, pp. 164-167.

Page 23: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

23

durare doveva riuscire a trovare un‟organizzazione politica e amministrativa che gli

permettesse di durare e continuare ad esistere al di là dei singoli governanti.

Se vogliamo, si tratta di un tacito compromesso, non scritto ma evidente, tra

l‟imperatore e le classi dirigenti, e pertanto si presentava come un compromesso zoppo,

motivo di conflitto perpetuo e fondato su di una delega dell‟autorità41

, che presenta una

propria contraddizione: il principe era al tempo stesso cittadino e re, unico detentore del

vero potere, ma obbligato ad essere, o mostrare di essere, un servitore dello stato42

.

Quindi nelle fonti antiche, il confine labile tra un buon imperatore e un cattivo

imperatore è determinato anche dalla distanza tra cittadino e re, e risiede proprio in

questo; Tiberio, per esempio, prigioniero anche lui di questa ambigua posizione, da una

parte non sopportava l‟adulazione dei suoi sottoposti, dall‟altra non contemplava la

libertà di parola. Il regime imperiale non è mai arrivato ad essere una tranquilla e

assodata certezza agli occhi di tutti proprio per questa caratteristica; ecco almeno in

parte spiegato il perché del susseguirsi di rivolte, di elezioni parallele di altri imperatori

e di tradimenti43

.

A queste considerazioni bisogna aggiungere che il senato rimaneva ancora una

“casta” importante, privilegiata e autorevole, che aveva una dottrina e un‟influenza

propri e ancora significativi, che voleva che si traducessero anche a livello politico. Per

il Senato, l‟imperatore non doveva e non poteva prescindere dall‟opinione e dal volere

dei patres conscripti. Secondo tale l‟ottica, il buon imperatore non era chi lo consultava

nelle grandi questioni politiche, bensì un principe che da solo faceva e sosteneva la

politica senatoriale:

41 Veyne, 2007, p. 21; cfr. Syme 1989, p. 448. 42 Brunt 1988, p.444. 43 Per ulteriori approfondimenti, vedi Veyne 2009, pp. 10-67.

Page 24: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

24

“Un buon principe approva e disapprova le stesse cose del Senato44

”.

Gli imperatori che si sono assicurati la migliore reputazione, dunque, sono proprio

coloro che sono riusciti a conservare meglio l‟immagine di un governo civile, di un

primo cittadino che cooperava e ascoltava il Senato45

.

Tenuto conto di questi fattori, non dovrebbe sorprendere se tra i primi e più

importante motivi di scontro tra senato e imperatore, troviamo proprio il problema della

successione imperiale; sarà proprio la trasmissibilità della carica e l‟attribuzione del

potere secondo linee dinastiche a rappresentare uno dei primi problemi che

affliggeranno gli imperatori; a partire da Tiberio, i diversi imperatori dovranno

fronteggiare questa problematica, con il senato che pretende di esercitare una qualche

forma di controllo: in qualche modo, entrambi vedevano in questo atto una

giustificazione e una manifestazione del proprio diritto a governare. Proprio per questo

impianto non ufficializzato, la successione imperiale era un perpetuo concatenarsi e

mescolarsi di mandati, autorizzazioni e cariche speciali create ad hoc.

Quindi nonostante la trasmissione del potere per via familiare fosse usuale e

accettata, un imperatore necessitava dell‟approvazione del senato, cui simbolicamente

rimetteva il proprio potere. In questa prospettiva il trono non apparteneva a nessuno. E

questo sarà un problema ancora più pressante per Vespasiano e gli altri imperatori

vincitori delle guerre civili; infatti, venuto meno il principio dinastico, sorge il problema

di trovare un nuovo principio di legittimazione e sarà sempre avvertita la necessità di

44 Plinius:Pan, LXII, 5: “eadem Caesar quae Senatus probat improbatque”. 45 Edwards 2004, P. 179.

Page 25: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

25

esplicitare sempre di più le caratteristiche del potere imperiale , visto che non potevano

più essere giustificate solo in nome di un prestigio morale, astratto e informale46

.

Da questo punto di vista si può anche spiegare la ripresa e l‟esaltazione della

tradizione da parte di Augusto e di tutti gli altri imperatori. Più volte si presenta il

ricorso agli usi e ai costumi del proprio popolo: come sostiene Cannadine47

, l‟accesso al

seggio imperiale e ai nuovi uffici poteva essere molto precario, labile e criticabile ad un

occhio attento; dunque la pretesa di avere restaurato e di aver agito secondo e in

conformità ai mores¸ sulla scia del glorioso passato, è sempre stata una strategia

utilizzata per introdurre o cementificare ogni riforma, fornendo una rassicurante

impressione di stabilità e continuità: usanza come ancora, come punto fisso in un mare

di difficoltà e incertezze48

. Del resto mi sembra superfluo aggiungere che qualsiasi

imperatore, legittimo o usurpatore che sia, ha sempre avvertito l‟esigenza di presentare

se stesso e il proprio operato come la continuazione del precedente; si è sempre cercata

una ripresa della tradizione, ponendosi sempre sotto la sua egida, anche quando le sue

azioni e le sue riforme si ponevano come diametralmente opposte e contrarie. Ben prima

di Augusto, e forse oserei dire nelle diverse culture, ogni riforma è stata spiegata e

introdotta come richiamo e rivalutazione di consuetudini e tradizioni passate. E così

come avevano fatto e faranno gli altri imperatori, non mancherà di inserirsi in questo

46 Lex de Imperio Vespasiani si pone secondo questa prospettiva, quando, tra le altre cose, riforma tre

articoli complementari (3, 4, 8) che vogliono trovare il modo di giustificare e rafforzare i poteri del

princeps. Per ulteriori approfondimenti, vedere Garnsey 1987, pp. 172-176. 47 Cannadine 1987, p. 130; Jones 2008, pp. 65-96. 48 A questo proposito è da tenere presente il ruolo analogo che svolgono e svolgeranno i rituali di corte,

aspetto questo che non vale solo per l‟impero romano, ma per qualsiasi forma di governo o potere: il

passato, da sempre, con la ripetitività e la ritualità è fondamentale strumento di potere. Ad esempio si

pensi a Basilio I (imperatore dal 867 al 886, anno della sua morte), il fondatore della nuova dinastia dei

Macedoni, il quale iniziò il suo periodo di regno fondando, rivitalizzando e riprendendo i rituali imperiali

perché “l’ambizione generava la/le cerimonie, e le cerimonie rendevano l’ambizione rispettabile…”; e

sfrutterà ancora di più le potenzialità dei rituali di corte, suo nipote, Costantino VII Porfirogenito,

imperatore dal 912 al 959 e autore del De ceremoniis aulae byzantinae, opera che descrive le procedure

cerimoniali, anche nei più minuti dettagli, dalla prospettiva degli ufficiali di corte ed altri argomenti nella

misura in cui facevano parte della vita quotidiana di Costantinopoli. (Cannadine 1987, p. 135; 302).

Page 26: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

26

“modus operandi” anche Aureliano49

, quando avvierà il suo progetto di renovatio

imperii. Infatti si è sempre manifestato il desiderio, o meglio la necessità, di creare basi

solide al proprio potere; qualsiasi imperatore lungimirante, come Aureliano, ha avvertito

l‟esigenza di trovare una via per rendere la carica di imperatore un‟istituzione stabile,

solida, fondata e inattaccabile, che garantisse un governo pacifico e che regolamentasse,

secondo linee fisse e inamovibili, i criteri di successione.

49 Così scrive Garnsey (2010) a proposito di Aureliano e della ripersa della tradizione: “The reign of

Aurelian (A.D. 270-5) furthered the recovery of the Roman empire from the 'crisis of the third century'.

This recovery was represented as restoring the traditional Roman state, even though it also required a

whole series of innovations. The latter, therefore, had to comply with what Aurelian's contemporaries

understood to be 'traditional…”; Garnsey 2010, p. 159.

Page 27: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

27

“L’esercito marcia solo sul suo stomaco…50”

Oltre al problema della successione imperiale e oltre alla difficoltà di

istituzionalizzare una volta per tutte il potere dell‟imperatore, un altro dei grandi

problemi che emergono da queste prime vicende personali di Aureliano, è stato quello

dell‟esercito51

. Quello che interessa in questa trattazione non è tanto il resoconto dei

suoi progressi o della sua evoluzione nel corso del tempo, ma il provare a capire come si

sia arrivati all‟anarchia militare52

del periodo di Aureliano.

Infatti dal resoconto fatto degli esordi della vita di Aureliano, appare anche fin

troppo chiaramente come gli eserciti di Roma giocassero un ruolo fondamentale nei

processi di elezione e scelta di un imperatore. Già a partire da Mario53

, e forse proprio

iniziando dalla riforma mariana, l‟esercito ha costituito una voce sempre più

fondamentale nelle dinamiche politiche di Roma. Tutti sanno che tra i maggiori fautori

delle guerre civili si trovano le legioni, in virtù del legame personale che instaurano con

i propri generali: l‟essere a capo di un esercito e il godere del suo sostegno era un

requisito – e diventerà sempre di più “IL” requisito – necessario e basilare per poter

accedere alla porpora imperiale. Con il passare del tempo, il controllo delle forze armate

si è rivelato il peso decisivo per far pendere la bilancia a favore di chiunque avesse

aspirazioni a governare54

. Non sembra in errore Garnsey (1987)55

, e con lui la maggior

50 Questa era una delle frasi più celebri e famose di Napoleone. 51 Lo cascio 2007, pp. 497-508. 52 Erdkamp 2011, p. 176. 53 Sall:Jug, LXXXVI; cfr. anche Gabba 1976, pp. 1.5; Maxfield 1981, pp. 30-32; Adkins 2004, pp. 52-56. 54 Veyne (2007) addirittura si arriva a sostenere come nel IV secolo si inizia a parlare di comizi della

porpora, costituiti in seno al nuovo gruppo dirigente che altro non era se non lo stato maggiore

dell‟esercito, concezione che denota come il rango imperiale fosse oramai considerato il grado più elevato

della gerarchia degli ufficiali. Nel V secolo si va addirittura oltre e il potere sarà nella mani del

generalissimo, che spesso sceglierà in prima persona l‟imperatore dietro il quale regnare. Veyne 2007, p.

15. 55 Garnsey 1987, p. 88.

Page 28: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

28

parte degli storici56

, quando sostiene che l‟esercito rappresenta l‟ossatura, la struttura

portante dell‟ordine imperiale senza il quale l‟Impero stesso non sarebbe durato così a

lungo; mi sembra però eccessivo il giudizio di Lintott (1993)57

, quando si spinge al

punto di dichiarare che fosse l‟unico sostegno dell‟impero, che insieme alla riscossione

delle tasse, fosse tale da creare il senso di unità. Se davvero, e lo vedremo nei capitoli

successivi, l‟unità e la coesione politica e territoriale romana avesse avuto come uniche

basi la fiscalità e l‟apparato militare, è impensabile ritenere che sarebbe durato così a

lungo, o che sarebbe riuscito a superare tutti i problemi che si sono presentati.

Come già accennato, è importante per me analizzare il perché le legioni romane

siano passate dall‟essere uno strumento di difesa dei cittadini, ad uno destinato ad

attacco della popolazione e, in secondo luogo, provare a capire quali interventi o

considerazioni Aureliano abbia sviluppato e portato avanti per porre rimedio a questa

situazione. In qualunque società, l‟aspetto militare nasce o dovrebbe nascere con lo

scopo di fornire sicurezza alla società stessa e di permettere di svolgere l‟esercizio di

tutte le attività economiche, amministrative o sociali58

. Come può uno strumento nato

per la protezione di un sistema politico, diventare un elemento di destabilizzazione dello

stesso? È veramente successo questo con l‟impero romano oppure si tratta di uno dei

tanti luoghi comuni? Quali meccanismi si instaurano affinché le legioni si rivoltino

contro un potere centrale e ne minino la stabilità, la continuità e l‟esistenza?

Sicuramente la nascita della professione del soldato e la tipologia degli effettivi da

arruolare59

costituisce un fattore determinante nel processo che porterà il soldato a non

tenere più in conto il bene della Res Publica, ma solo quello personale. Tuttavia e

56 Jones 2008, pp. 143-166. 57 Lintott 1993, p. 190-191. 58 Munkler 2007, pp. 79-82. 59 DioCass, 52, 27, 1-5 fa giustificare Mecenate a proposito dell‟istituzione del soldato professionale:

visto che prevale il principio dell‟utile su quello dell‟onestà, allora come soldati conviene utilizzare i più

forti e i più poveri che sono i maggiori e potenziali delinquenti.

Page 29: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

29

nonostante tutte le problematicità ad esso connesso, bisogna precisare che l‟apparato

militare rimane un caposaldo di ogni stato, di qualsiasi entità statale che abbia

aspirazioni di grandezza. Uno stato in espansione, con pretese egemoniche, non si può

affidare ad un esercito di leva, che a lungo andare non sopporta di dover sostenere

guerre in paesi lontani e delle quali non comprende né la giustificazione né il bisogno60

.

Il problema sussiste quando il soldato si svincola dall‟essere anche un cittadino; quando

la sua esistenza e la sua coscienza si discostano dalla società61

; quando i suoi bisogni e

desideri non coincidono più con quelli della propria società; quando non vengono tenuti

a freno dal potere centrale. Così come in tutte le società, l‟esercito è un requisito

fondante di un qualsiasi impero, ma può essere, allo stesso tempo, causa di

destabilizzazione e di conflitto: anche a Roma esso ha mostrato questa sua duplice

natura, passando dall‟essere pilastro del potere politico, micidiale macchina da guerra e

fonte di coesione62

interna, a strumento sovversivo e rivoluzionario, altamente

destabilizzante ed eversivo.

Come elemento forse più banale e scontato, possiamo trovare il potere decisionale

e contrattuale che l‟esercito romano viene sempre più ad acquisire all‟interno della

società imperiale. Niente è più emblematico delle parole pronunciate in punto di morte

60 A questo proposito, e tra tutte le fonti successive, per quanto concerne il rapporto tra l‟esercito e le

istituzioni, ho trovato particolarmente fondante e vero quanto dice Machiavelli a proposito dei soldati

mercenari, “… arme mercennarie et ausiliarie sono inutile e pericolose” e soprattutto quelle ausiliarie

perché “l'armi ausiliarie, […]molto più pericolose che le mercennarie. Continuando in questo discorso,

Machiavelli fornisce anche delle motivazioni, con un esplicito riferimento all‟impero romano e alle cause

del suo declino: “…l’esempio di Davide che offrì Saul di andare a combattere con Golia, provocatore

filisteo, Saul, per dargli animo, l'armò dell'arme sua, le quali, come David ebbe indosso, recusò, dicendo con quelle non si potere bene valere di sé stesso E, se si considerassi la prima ruina dello Imperio

romano, si troverrà essere suto solo cominciare a soldare e' Goti; perché da quello principio

cominciorono a enervare le forze dello Imperio romano”; cfr. Inglese 2013, cap. XII –XIII. 61 Interrogando le fonti, il problema si palesa quando miles inizia ad essere succube dei suoi tirannici

desideri, pronto a rivolgere le proprie armi contro il bene comune; cfr. Tac:Hist, 2, 29, 5; 37, 2; 44, 5; 45,

6; 93, 2; 3,31,2 dove diventa un essere che smette di comportarsi da essere umano e si lascia andare ad un

comportamento subumano le cui derive si moltiplicano per effetto della psicologia di massa, diventa un

gregge gregarii milites, vulgus. 62 Gigli 1947, p 224; Edwards 2004, p. 184. Si consideri anche l‟importanza dell‟esercito nel processo di

Romanizzazione.

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30

da Settimio Severo ai suoi figli63

, che testimoniano come il potere risieda nelle mani di

chi comanda le truppe, come dimostrato anche dalle vicende dello stesso Aureliano.

Con il passare del tempo, le forze armate diventano l‟ago della bilancia che determina

dove risiede l‟autorità, e il mutare delle condizioni politiche lungo i confini, con

l‟accrescersi degli scontri, aiuterà notevolmente l‟esercito a far valere e sentire

ulteriormente la propria voce: è egli stesso consapevole della propria importanza64

e del

ruolo che riveste. Il mondo romano si trova ad essere pervaso da una condizione di

guerra permanente che, con il passare degli anni, incrementa e amplia

considerevolmente il potere contrattuale65

delle legioni, da ben prima che esse si

rivelino essere l‟unico baluardo per la salvezza dell‟impero. Tuttavia questa

consapevolezza non si accompagna ad un uguale “affetto” per le istituzioni, non trova

riscontro in un parallelo legame verso il bene comune, e verso l‟impero, ma si traduce

in una frenetica ricerca dell‟interesse privato e personale66

e una corrispettiva incapacità

da parte del potere centrale di controllarlo e di tenerlo a freno67

. Questo perché,

63 “…lavorate insieme, arricchite i soldati e non curatevi di nient’altro”, DioCass, LXXVII.15.2; altre testimonianze che abbiamo risalgono e che sono più vicine ad Aureliano, sono relative ai donativi di

Claudio il Gotico alle truppe, appena dopo la congiura e la sua successione al seggio imperiale, cfr.

Zonar. 12.26; Eutrop. 9.11.1; Vict:aes, 33.31-4. 64

Così Aurelio Vittore commenta la morte di Probo nel 282: “da questo momento in poi, il potere

dell’esercito aumentò e il diritto di nominare l’imperatore è stato rubato al Senato fino ai giorni nostri”,

Vict:Caes, 37. In tempi più recenti, invece, si può citare il caso di Edwards 2004, p. 156, quando

commenta il ruolo dell‟esercito, basandosi proprio sulle opere Vittore, riferisce come l‟esercito romano

del III secolo avesse perso di vista l‟obiettivo primario e si fosse dedicato solo sul proprio e personale

interesse, tenuto conto che l‟esercito era a quell‟epoca uno dei lavori migliori, nel senso che offriva

maggiori possibilità di arricchimento e di scalata sociale. 65 Cameron 1995, pp. 10-15; Garnsey 2001, p. 13. 66 Gigli 1947, P. 181; Lo Casc io 2007, p. 91. 67 Quindi nuovamente, il problema risiede nelle capacità dei singoli che vengono meno, nei valori di

riferimento nelle personalità dell‟epoca, che arrivano ad assecondare o a farsi guidare dalle masse,

dimostrando così che Pericle era stato un buon profeta e che la Storia davvero ha da insegnarci. Infatti la

stessa ammonizione, lo stesso pericolo era stato individuato da Pericle e tramite esso, da Tucidide,

quando si era espresso a proposito delle caratteristiche dei leader politici: “…chiaramente dominava il

popolo senza limitarne la libertà, e non era da lui (il popolo) più di quanto egli stesso non lo

conducesse,…”, Thuc, II, 65.5-12. Edwards 2004, p. 173 e anche Watson 1999, p. 4 e Gibbon 1905, p.

137), “…the armies were restrained by the firm but gentle hand of four successive emperors whose

characters and authority commanded involuntary respect”, quando parla a proposito del period della

dinastia degli Antonini.

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31

nuovamente, è venuto meno il nesso cittadino-soldato, il connubio tra istituzione e

popolazione. E a testimonianza dell‟assurdità della situazione e del potere che deteneva

l‟esercito, si pensi a come bastasse una vittoria sui barbari perché il generale venisse

dichiarato imperatore oppure a come bastasse una sconfitta per perderne il favore68

.

Qualche volte erano i generali stessi ad essere “vittime” o pedine dei propri eserciti,

dato che venivano nominati imperatori anche contro la propria volontà o senza essere

stati prima consultati69

; e quando questo succedeva, non restava loro che continuare

lungo il sentiero tracciato per loro dai soldati, perché non potevano arrendersi, visto che

non sarebbero stati creduti e che il destino che li attendeva sarebbe stato comunque la

morte .

Altro fattore a mio avviso altamente eversivo che si è sviluppato in seno

all‟esercito, è la relazione che i soldati arrivano ad instaurare con lo spazio in cui

operano e agiscono70

. A partire da Augusto, gli eserciti alla frontiera diventano oggetto

di una più attenta legislazione, proprio per il loro carattere peculiare. A partire da

Augusto, particolare cura viene infatti riservata alla gestione dei territori di frontiera, cui

però si accompagna una specifica attenzione alle modalità dello stanziamento dei

soldati. Al tempo di Augusto, in primis le cariche militari di confine, le cosiddette

province imperiali diventano prerogative solo degli equites71

, per evitare di attribuire

eccessivo potere contrattuale ai senatori e scongiurare possibili loro ribellioni; in

secondo luogo, è introdotta la permanenza delle guarnigioni, ma con l‟attenzione di

68 Così scrive Heather (2006), a proposito del sostegno accordato ad un imperatore del III secolo: “ogni

fallimento in guerra è interpretato come segno che l’attuale detentore della porpora non è affatto l’uomo

giusto al posto giusto” (Heather 2006, pp. 96-99). Inoltre per il ruolo delle vittorie negli scontri armati,

cfr. McCormick, M., Eternal Victory: Triumphal Rulership in Late Antiquity Byzantium and the Early

Medieval West, Cambridge 2002. 69 Veyne 2007, pp. 248-250. 70 Vedi Luttwak 1991, pp. 111-123. 71 La cui carriera e istituzionalizzazione, anche se avviata sotto Augusto, sarà stabilità da Claudio

(Suet:Claud, 25).

Page 32: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

32

inserirla in una rotazione dei singoli eserciti, con frequenti spostamenti e cambi di

“residenza”, sempre secondo l‟ottica che voleva evitare la creazione di eserciti locali,

stanziali, o regionali, cosa che avverrà a partire dalla dinastia dei Severi72

. Questa

strategia permetteva di dislocare sul limes romano tutte le legioni e allo stesso tempo

impediva una loro “sedimentazione”, un loro stanziamento perenne, oltre al vantaggio

tattico che garantiva un‟elasticità del sistema difensivo romano molto efficace73

. L‟idea

alla base di un simile progetto era evitare proprio quello che succederà successivamente,

a partire dalla dinastia dei Severi, quando verrà data – anche se mi sembra più adatto

parlare di “concessa o strappata” – l‟autorizzazione alla stanzialità, cioè quando verrà

concessa la possibilità ai soldati di radicarsi sul territorio, di diventare parte integrante

delle province, di prendere mogli e legarsi così definitivamente alla regione. Questa

caratteristica, sommata al crescere dei sentimenti di disaffezione per lo stato, e alla

separazione tra civis e potere centrale, ha ripercussioni gravi sul livello di fedeltà ed

efficacia dell‟esercito stesso, dal momento che fa nascere un vincolo molto pericoloso

con il territorio. Se infatti vien meno l‟idea di Impero in generale, di appartenenza ad

una realtà più grande e “nobile”, ma si assiste ad una riduzione di vedute, di legami, e si

verifica una “provincializzazione”, ecco che i soldati saranno molto più restii a lasciare

la propria area di azione e accorrere in aiuto di lontani e sconosciuti territori, in nome di

un‟ipotetica “fratellanza”, parentela o legame. Questo è esattamente ciò che successe ad

Alessandro Severo, il quale dovette riaccompagnare le truppe del Reno e del Danubio,

spostate inizialmente per un‟offensiva contro i Persiani, perché i soldati avevano

lasciato senza difesa le loro famiglie e i loro beni e non si curavano di niente altro che di

72 Luttwak 1991, pp. 111-123; Erdkamp 2011, pp. 183-200. 73 Luttwak 1991, pp. 19-74.

Page 33: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

33

quello74

. Per la venuta meno dei grandi ideali quali la Romanitas, l‟Imperium mundi, la

patria communis75

, i soldati identificavano ora la difesa dell‟impero con quella della

loro singola frontiera, del loro pezzo di regione, della loro ristretta area e il resto

arrivava ad essere del tutto ininfluente, o peggio ancora, irrilevante: è ormai scomparsa

una visione d‟insieme e non c‟è pertanto da stupirsi se emergeranno le singole

“nazionalità”, nelle varie periferie, che possono avere nel regno di Postumo o di Palmira

alcuni esempi vicini ad Aureliano e che costituiscono l‟anticipazione dei futuri regni

medievali.

Inoltre, alla stanzialità delle truppe, non si può non affiancare come elemento

eversivo presente nell‟esercito, la cosiddetta “barbarizzazione” dell‟esercito romano,

fenomeno che da sempre ha dato luogo a opinioni, controversie e teorie contrastanti e

che comunque si inserisce all‟interno di un discorso di fedeltà all‟impero, di fattore

della crisi del III secolo, di elemento cui prestare attenzione.

Ogni volta che Roma è riuscita ha sconfiggere i propri avversari, ha anche chiesto

come tributo e compensazione, dei soldati da inserire nel proprio esercito. In ogni

conflitto, ha fatto affidamento su di un grande numero di truppe straniere, alle quali

veniva offerta come possibilità di riscatto, il servire sotto le aquile, con la promessa di

ottenere la cittadinanza, potendo diventare così a tutti gli effetti cittadini romani76

. Una

simile soluzione ha senza ombra di dubbio dei vantaggi, sia per quanto riguarda aspetti

tattici e strategici77

, che per l‟impiego di risorse umane78

. Di nuovo – come per ogni

74 Carriè 2012, pp. 101-103; Brizzi 2011, pp. 117-121. Per ulteriori approfondimenti vedi Carrie, Jean-

Michel, L' Empire romain en mutation: des Severes a Constantin, 192-337, Paris 1999. 75 Eisenstadt 1967, pp. 5, 9; inoltre per i valori che stavano alla base della società romana, cfr. Desideri

1991, pp. 577 – 626. 76 Per Auxilia e cittadinanza, vedere Polyb, VI, 26, 7; Goldsworthy 2009, pp. 26-27; Cheesman 1914, p.

21; Gabba 1976, pp. 162-170. 77 Mi riferisco alla possibilità di usare milizie come la cavalleria, che non rientravano nel background

romano. Vedi Romanelli 2010, pp. 221-223; Sekunda 1996, pp. 162-167; Brizzi 2011, p. 158.

Page 34: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

34

quesito o questione affrontata – non si tratta di giusto o sbagliato, di piano vincente o

autodistruttivo, ma semplicemente di attualizzare la situazione, e considerarla alla luce

delle motivazioni da cui essa è scaturita; laddove le élites di Roma esercitavano un

pieno controllo sui soldati e l‟inclusione non pregiudicava l‟unità, la coesione e la

Latinitas, esso si è rivelato uno strumento davvero utile e di successo, dato che

permetteva anche di rendere partecipi le altre popolazioni e le integrava nel sistema

romano79

; quando invece il numero delle truppe straniere supera quello dei civites, e il

loro arruolamento avviene per questioni di necessità, bisogno, disperazione o per

puerile e sprovveduta convenienza, ecco che iniziano a manifestarsi i primi problemi80

.

Le truppe barbare che iniziano ad essere presenti in numero sempre più consistente

nell‟esercito, non essendo inserite in un quadro stabile e fortemente “romano”, in un

contesto o in un ambito forte e autoritario, si dimostrano forze centrifughe che non

fanno altro che contribuire ad accelerarne la crisi. La comunità romana pare esaurita

moralmente e culturalmente; è ora priva di uno slancio propulsivo e propositivo,

svuotata cioè di quell‟energia e di quella volontà di civilizzare nuovi popoli che l‟aveva

caratterizzata nei suoi primi anni di espansione e che aveva attratto a sé numerose

civiltà. In questo contesto quindi la presenza di peregrini è altamente destabilizzante.

Significative sono le parole di North:

“The complicity of these troops in acts of violence against provincials and

enemies of the empire highlights their psychological separation from civil society

78 Come per i regni clienti, un simile accorgimento aumentava notevolmente la disponibilità di soldati e

limitava parallelamente il dispendio di energie e risorse romane, Munkler 2007, pp. 79-82. 79 Seckunda 1996, pp. 40-42. 80 Gigli 1947 p. 173, sotto Augusto per esempio ci fu uno stanziamento di 50.000 barbari sulla sponda

romana del Danubio che non ebbe nessuna ripercussione negativa sui territori periferici in cui ciò

avvenne; ma anzi si riuscì a perseguire il fine di ripopolare il territorio e insieme di creare dei gruppi che

servissero alla messa in vigore e valore del suolo e contribuissero all‟organizzazione di un‟intercapedine

contro le selvagge orde d‟oltre confine.

Page 35: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

35

(Again, this is not to deny that a transgressive behavior in war was absent in pre-

Roman societ, such as in Gaul or in Britain, or in the Roman Empire as well, but it is

arguable that the severity, the extent, and the periodicity of such actions was greater

under Rome for the simple reasons that warfare and power differentials between

soldiers and civilians were more pronounced)”. 81

Arruolati per pura convenienza, ora regnano reciproci sentimenti di ostilità: i

barbari accolti nell‟Impero venivano trattati con sufficienza se non addirittura con

disprezzo dall‟élite romana, mentre, con il venir meno dell‟integrazione tra le diverse

parti, ecco che le forze in armi arrivavano a provare ostilità verso quella popolazione

che avrebbero invece dovuto difendere. L‟esercito di Roma era composto così da

mercenari barbari che si caratterizzavano per un forte senso di scollegamento con la

realtà e la popolazione di Roma, di estraneità, di disaffezione e di “disabitudine” a

quelle regole che avevano reso grandi le legioni di Roma, con la conseguenza che si era

perso l‟allenamento, la disciplina, e perfino un equipaggiamento ufficiale82

. Si

presentavano al contempo nuovi e pericolosi risvolti e ripercussioni, come la possibilità

per nulla remota che i soldati si rifiutassero di combattere contro altri barbari

appartenenti allo stesso gruppo83

.

E allora, partendo soprattutto dal III secolo in poi, perché continuare ad arruolarli,

visto che non c‟era una reale partecipazione o una cognizione di essere un popolo

unico? Uno dei fattori che si sono usati generalmente per spiegare l‟arruolamento di non

romani tra i ranghi dell‟esercito, è l‟apparente difficoltà nell‟assicurarsi reclute per le

81 North 1981, pp. 22-38. 82 McNab 2011, pp. 280-285. 83 Ferril 1986, p. 554.

Page 36: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

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legioni84

e tale problematica aumentò verso la fine del IV secolo, con esiti ancor più

negativi e controproducenti85

. In particolar modo a farne le spese sarà la popolazione

locale, delle periferie, perché non sentendosi per nulla legati ai territori e alle

popolazioni presso cui risiedevano, i soldati si lasciarono spesso andare a episodi di

violenza contro i provinciali. Il fatto grave è che simili vicende si verificarono sempre

più frequentemente nel Tardoantico e così, quando le armate erano in movimento,

spesso e volentieri si approvvigionavano con requisizioni e prelievi forzati, o

ricorrevano alla forza bruta, a prelievi forzosi sulla popolazione autoctona, magari con

l‟avallo più o meno esplicito del potere centrale86

. La semplice ragione, nuovamente, è

che la distinzione tra società civile e i soldati è ora molto più pronunciata, i legami che

facevano sentire tutti parte di un‟unica realtà sono venuti meno, cosicché gli effetti si

acuiscono tanto più ci si allontana dal centro del potere. Infatti ciò che succedeva alla

periferia, “was often not intended, foreseen, or indeed condoned at the center. The

reasons for misbehavior and abuse are to some extent bound up with the realities of the

power asymmetries between imperial servants and subjects87

”.

Questo scollegamento nella società, affliggeva tanto i rapporti dell‟esercito quanto

della stessa comunità civile. Negata la vita pubblica e affermatasi l‟indifferenza, si

alimentò ancora di più quella tendenza generale dilagante a considerare lo stato come un

84 E questo è sicuramente un altro segno di disaffezione della popolazione verso un‟istituzione che non è

più sentita come propria, non è più vissuta e cui non si sente più di appartenere, e per la quale non si è più

disposti a mettere in gioco la propria vita. 85 È successo ad esempio dopo la battaglia di Adrianopoli nel 378 (AmmMarc, XXXI, 12-13, quando il

numero degli effettivi era così basso che si dovette ricorrere a forze esterne (Southern e Dixon 1996, pp. 53; 67-69; Heather 2008, pp. 185-238). È anche testimoniato dal Codex Theodosianus, il cui capitolo VII

è completamente dedicato alle questioni militari da cui emerge una seria difficoltà di reclutamento (Cod.

Theod. 7.13): le persone arrivavano a mutilarsi o ad offrire schiavi al posto di se stessi pur di non dover

affrontare la coscrizione. A onor del vero bisogna riportare come questo succedesse anche all‟inizio

dell‟Impero – dato che anche Augusto dovette intraprendere azioni esemplari contro equites romani che

mutilavano i loro figli per salvarli dal servizio militare (Suet:Aug, 24.1) e perfino nell‟epoca del

principato adottivo, sotto la legislazione di Traiano (cfr. Dig. 49.16.4.12) – ma non avveniva in maniera

così marcata, frequente e accentuata. 86 Garnsey 1987, p. 93. 87 North 1981, pp. 35-37. .

Page 37: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

37

estraneo, e quindi a sfuggire alle mansioni e agli impegni richiesti, per rifugiarsi in una

tranquilla e raffinata vita privata88

. Questo generò una mancanza della concezione di

dovere sociale, e veniva accentuato dalla centralità del potere, che con il suo

assolutismo, determinava lo scollamento, la rottura tra imperatore e classe dirigente e

anche tra la classe dirigente e la partecipazione alla vita pubblica89

.

La nuova classe senatoria voleva solo arricchirsi e lo faceva tramite la

partecipazione alle mansioni pubbliche; il senso civico, la dignità e l‟importanza di

essere cittadino, il sentimento del dovere, il gusto dell‟iniziativa e l‟amore della

responsabilità nell‟impegno delle pubbliche funzioni, erano oramai scomparse e

dimenticate; negli officia90

l‟interesse particolare prendeva il posto di quello pubblico,

che veniva asservito a fini personali, e che comportava un aumento del gap tra

honestiores91

e tenuiores92

, premessa del successivo feudalesimo. Il potere sovrano si

aliena dalla popolazione e la funzione pubblica diventa un possesso privatorum, unico

mezzo per arricchirsi e mettersi in evidenza; gli honestiores diventano sempre più

potentiores e si generano pesante sfiducia, generale accasciamento, tendenziale

disinteresse per e all‟interno dell‟impero.

88 il problema fu che, venuto meno lo spirito civico, tale vuoto non è stato seguito da qualcosa d‟altro,

come ad esempio da un patriottismo imperiale; sin quasi da subito il potere imperiale è stato guardato

come un potere esterno e poco connesso con la vita delle persone, dei cittadini che si sono così svincolati

sempre di più dalla partecipazione alle vicende dell‟impero stesso; al massimo l‟imperatore era visto

come un protettore benevolo, generoso, filantropico che manteneva un esercito per proteggere le province

e assicurava pace e prosperità interna: quando poi però nel III secolo venne anche questo ruolo, cosa è rimasto? Il ruolo del cittadino ordinario è diventato puramente passivo, limitato esclusivamente alla vita

privata che arrivava ad intrecciarsi con la vita politica solo nel momento in cui egli pagava le tasse e non

lo portava a provare un senso di responsabilità e partecipazione per l‟impero stesso: possiamo quindi

sostenere come la sua lealtà fosse passiva e non attiva ( Eisenstadt 1967, pp. 67-69). A questo proposito

cfr. anche Jones 1964, pp. 210-220. 89 Gigli 1947, p. 209. 90 Foresti 1993, pp. 162-170. 91 Sotto l‟azione di tutti questi fattori, e non solo, il risultato è la rottura definitiva dell‟equilibrio sociale e

la radicalizzazione della società stessa nelle due classi estreme appunto 92 Cod. Theod. XIII.3.8.4; XVI 2.3; Dig. I.18.6.2; LXVIII 19.28.2.

Page 38: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

38

Di fronte al crollo e alla venuta meno del ruolo e della sacralità di un‟istituzione

come l‟Impero, l‟esigenza, la necessità e la contingenza spingeranno lo stato ad

obbligare le persone a risiedere nei loro ruoli o mansioni: di fronte al pericolo che per

mancanza di braccia o per inefficienza di molti servizi pubblici, l‟approvvigionamento

dei cittadini e il vettovagliamento delle armate venissero meno, lo stato organizzò

coattivamente la popolazione in collegia93

, creando e avviando così un processo di

cristallizzazione delle associazioni libere in corpi rigidi, rigorosi ed ereditari che verrà

instaurato ed esteso gradualmente a tutto l‟impero. Dovendo fronteggiare questa

minaccia di liquefazione delle strutture, sia della società che dello stato, gli imperatori

illirici iniziano a trasformare le corporazioni in organi economici, stabilendo così

l‟obbligatorietà del servizio. Chiuso in questa angusta visione, il subiectus, il singolo

cittadino che vi appartiene dalla nascita, è condannato a consumarvi l‟esistenza, in una

condizione avvertita come uno stato d‟assedio perpetuo, che spegne ogni impulso

progressivo, ogni libera vocazione.

Conclusione

Alla luce di quanto detto finora, credo sia emerso in maniera inequivocabile che

l‟esercito ha giocato un ruolo fondamentale per tutto l‟arco della storia di Roma, così

come è sempre stato – e sarà sempre – una delle radici di tutto l‟impianto statale. Quello

che forse è meno evidente è che non esista “IL” rimedio, “LA” cura o “LA” soluzione

ideale, perfetta e sempiterna. Come sempre, non è l‟oggetto in sé, ma il suo utilizzo e

chi lo utilizza. Il punto nodale è a monte e l‟intervento va compiuto sulla società, sulle

singole componenti che vi partecipano. Il lavoro va compiuto ben prima e in particolar

93 Cracco-Ruggini 1971, pp. 59-227.

Page 39: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

39

modo sui singoli individui; l‟esercito e più in generale l‟impero romano è venuto meno

nel momento in cui si è creato scollegamento tra le diverse realtà sociali. L‟impero ha il

compito di suscitare consenso nei propri componenti, dal momento che è il primo

mattone di tutta la struttura imperiale94

.

In secondo luogo spero sia emerso come l‟impero stesso – per potersi definirsi tale

– abbia bisogno, anzi l‟obbligo, di avere ben chiare tutte le proprie prerogative e le

proprie potenzialità e di poterle esprimere in tutta libertà. Se l‟imperatore deve

giustificare il proprio operato in ogni singola circostanza, allora non si può neanche

parlare di impero nel suo senso più proprio; se esso non è autoreferenziale e dipende da

altri nella gestione dei vari affari di stato, allora vuol dire che si fonda su basi troppo

labili; se infine non ha il pieno controllo su tutti quegli aspetti che sono il suo

fondamento, anche se all‟apparenza potrà sembra saldo e sicuro, esso nasconde

comunque al proprio interno dei virus che, se non curati, lo porteranno inevitabilmente

alla sua morte. Questo discorso vale anche per le riforme attuate da Aureliano e più in

generale nel Tardo Impero. Infatti il processo iniziato da Aureliano e poi portato avanti

da Diocleziano e Costantino ha costruito e fornito una propria risposta alla crisi. Anche

se è vero che è stato in grado di rilanciare il ruolo egemonico dell‟impero, costruendo

una struttura di grandi dimensioni, composta da diverse parti, tuttavia tale ripresa è

avvenuta in una situazione di grandissima urgenza, che ha costretto tutti i cittadini ad un

grande e doloroso sforzo che li ha lasciati esausti. È vero, è servita allo scopo perché ha

fornito un‟armata in grado di affrontare i nemici interni ed esterni; ha procurato

all‟impianto statale risorse per pagare e mantenere un esercito fedele, anche grazie alle

doti carismatiche dei suoi imperatori; ha fornito i mezzi per produrre e gestire tali

94 Munkler 2007, p. 79-82.

Page 40: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

40

risorse 95

. Però, in ultima analisi, è intervenuta maggiormente sugli effetti e non sulle

cause96

; ha posto rimedio alla situazione ma non è riuscita ad attuare una riforma

profonda che sanasse veramente i problemi: è servito, ma questo non è un impero.

Veyne (2007) parla così della corrispondenza tra impero e societas che si viene a

creare, al tempo di Giustiniano, le cui radici però risalgono a ben prima, e in particolar

modo sul destino di un impero fondato su questi presupposti:

“…In these terms, the renewal of the Empire did not call for any sort of imperial

vocation among the subjects; it was simply a matter for the emperor… Little wonder,

then, that the neo-imperialism of Justinian was without tomorrows97

.

95 MacMullen 1976, pp. 213. 96 Come fa notare giustamente Luttwak (1991) quando parla della difesa in profondità dell‟impero

romano, a lungo andare tale sistema pregiudica l‟impero stesso, la sua salute, visto che “gli eserciti (le

risorse nel nostro caso) di oggi combattono con soldati arruolati e con il cibo di ieri, ma quelli di domani,

come faranno?” (Luttwak 1991, pp. 219. Se questa frase la ampliamo e la estendiamo alle risorse più in

generale dell‟impero, il risultato rimane: l‟impero si sta dissanguando e riesce a sopravvivere solo grazie

alla propria “eredita” passata e ad un enorme sforzo di volontà. 97 Veyne 2007, p. 440.

Page 41: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

41

LA CIMA DEL MONDO

Aureliano e la Traslatio Imperii

lla morte di Claudio il Gotico98

, nuovamente si presentò il problema

che sembra appartenere a tutto l‟impero romano e che senza ombra

di dubbio ha contribuito ad indebolirne o ridurne le capacità di

ripresa: l‟insorgere di pretendenti e usurpatori che rivendicano il diritto di trovarsi sul

gradino più alto del mondo.

Le prime difficoltà per avere un quadro più chiaro della successione sorgono nel

momento in cui si guarda alle fonti, che si rivelano poco chiare e esaustive. Tra chi

sostiene che fosse stato nominato il fratello di Claudio, Quintillo99

, e chi invece

preferisce la versione in base alla quale Claudio, mentre giaceva morente, avrebbe

riunito i suoi generali e nominato Aureliano suo successore100

, rimane il fatto che

Aureliano ebbe facilmente ragione di ogni possibile rivale, fittizio o reale che fosse.101

La versione comunque più accreditata per l‟ascesa di Aureliano è quella riportata da

98 Per quanto riguarda la sua morte, pare che sia stato vittima anche lui della peste; cfr. Eutrop, 9.11.2;

SHA:Claud, 12.2; Zos, 1.46.2, Zonar 12.26. Per un resoconto dettagliato, ma portato avanti da una fonte

più moderna, cfr. Watson 1999, p. 45. 99 Eutrop, 9.12; Zonar, 12.26, Synopsis Sathas p. 39; Hieron:Chron 222b; Chronica Urbis Romae p. 148,

sostengono che Quintillo avesse un qualche probabile comando nel nord Italia. Ad avvalorare questa

ipotesi inoltre contribuisce il fatto che per il regno di Quintillo, come detto, si ipotizza una durata di

almeno due mesi e mezzo, quanto occorreva perché le varie zecche dell'impero (compresa quella di

Alessandria: ed è proprio questo fatto che ci fornisce

le migliori indicazioni sulla durata del suo regno, considerando i tempi che la notizia dovette impiegare

per giungere in Egitto) potessero coniare a suo nome (cfr. Zos., I 47; Chron. Min. I, p. 148), dove si legge

“Quintillus imp. dies LXXVII. Il regno di Quintillo fu abbastanza ininfluente, dato che si suicidò ad Aquileia(Così SHA:Aur. 37, 5-6; Zos., I 47; Eutrop, IX 12 ed [Vict]:Epit, 35, 4 parlano invece di una

generica uccisione). Questo aspetto, al di là della veridicità storica, è importante perché mostra ancora

una volta come il prerequisito per scalare le vette del potere e dell‟Impero fosse il comandare unità

militari e non importa se si fosse generali incapaci o incompetenti. 100 Zonar,12.26 e la SHA:Aur, 37.5-6 dicono che Quintillo venne abbandonato dalle sue truppe in seguito

alla proclamazione di Aureliano, con Quintillo stesso che si tagliò i polsi (Zos, 1.47; Zonar, XII, 26;

SHA:Aur, 37.6). 101 La Vita Aureliani sostiene come Aureliano venisse proclamato consensu omnium militum (“…con il

consenso di tutti i soldati”), versione che pare essere comprovata dal fatto che non ci fu nessun confronto

o conflitto armato, evento questo poco frequente.

A

Page 42: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

42

Homo102

, secondo la quale il generale illirico ricevette notizia della morte di Claudio e

della propria proclamazione ad imperatore mentre stava combattendo contro i Goti103

che imperversavano per le città e i territori di Anchialo e Nicopoli104

. Altra criticità per

determinare con esattezza gli esordi del governo di Aureliano, è la difficoltà in cui si

trovava l‟impero e i problemi che erano da affrontare, dal momento che non permette di

avere un quadro chiaro e preciso della situazione.

Ad Est, c‟era la città Palmira105

, che aveva portato sotto il proprio controllo

diversi territori e città orientali, e che sembrava voler dar corpo ad idee autonomiste e

indipendentiste, minando così l‟autorità e l‟integrità dell‟Impero; sempre in Oriente non

si poteva neanche trascurare il rinnovato impero Sassanide106

, che con il suo spirito

espansionistico e il suo nuovo militarismo aveva ripreso a minacciare i territori

adiacenti ai domini di Roma.

Ad ovest, invece, c‟era ancorano ancora le Gallie di Postumo107

, cioè l’imperium

Galliarum108

, un regno che era nato per l‟incapacità del potere centrare di frenare le

102 Homo 1967, pp. 53-55. 103 SHA:Claud 12.4. Sempre a questo riguardo, vorrei riportare anche Syme 1971, p. 216 che, nel suo commento all‟Historia

Augusta menziona come anche Claudio abbia riconosciuto i meriti di Aureliano, nel momento in cui lo

mette a capo dell‟intero corpo di cavalleria – magister equitum, 18.1 – e quando poi lo metterà a capo

dell‟intero corpo di spedizione per la guerra Gotica, con il potere di includere nel proprio esercito omnes

exercitus Thracicos, omnes Ylliricianos totumque limitem (17.1). 104 Homo 1967, pp. 39-41; Besnier 1937, pp. 229, 232-3; Parker e Warmington 1958, pp.192-3. 105 Un‟attitudine più aggressiva di Palmira nei confronti di Roma è dimostrata dalle monete, dai papiri e

dalle iscrizioni di quel tempo; va comunque precisato che le monete che venivano coniate ad Antiochia,

mostrano da una parte la faccia di Vaballato e dall‟altra quella di Aureliano, con una titolatura standard

che sembra confermare o rispettare il ruolo e il potere di Aureliano: Imp(erator) C(aesar) Aurelianus

Aug(ustus). Vedi Peachin 1990, pp. 1-8; invece per Vaballato leggiamo v(ir) c(larissimus) r(ex)

im(perator) d(ux) R(omanorum), segno che sembra dimostrare come non aspirasse a volere diventare imperatore. Cfr. anche Gallazzi 1975, p. 256. 106 DioCass, LXXX, 3.1-2; cfr. anche McNab 2012, pp. 262-263. 107 Cassiano Latino Postumo, probabilmente governatore della Germania Inferiore, si era scontrato con

Silvano, il protettore e tutore del figlio di Gallieno, Salonino. Le truppe di Postumo marciarono su

Colonia Agrippinense (Colonia) dove assediarono Silvano e Salonino, fino all‟autunno del 260, quando

conquistarono la città e uccisero i due. La situazione era anche precaria perché Gallieno stava

fronteggiando altre rivolte nel resto dell‟Impero e non poteva fronteggiare anche la rivolta di Postumo.

Per le fonti antiche si trovano numerosi riferimenti in [Vict]:Epit 32.3; Vict:Caes (33.8; Eutrop (9.9);

SHA:Tyr 3.2, SHA:Gal, 4,5; Zos, 1.38.2; Zonar, 12.24.10-12; per autori contemporanei, ho trovato

principalmente utili Randall 1991, p. 121; Bowman 2009, p. 45-48.

Page 43: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

43

invasioni di diverse popolazioni barbare tra cui Germani, Goti Alemanni, e altre tribù

ancora come gli Iutungi e Marcomanni109

, le quali continuavano ad imperversare per

l‟impero romano, compiendo saccheggi e stragi. A questi problemi esterni, bisogna

aggiungere i non meno gravi problemi interni, tra cui la crisi istituzionale che sembrava

continuare senza sosta da quarant‟anni, una situazione economica drammatica, una

corruzione ancora più accentuata nei diversi livelli della gerarchia amministrativa

romana, una venuta meno dei valori tradizionali, che sembrava rispecchiare una crisi

morale profonda, anche di natura religiosa. In questo complesso contesto si muove

Aureliano, tra i meriti del quale, possiamo sicuramente annoverare l‟aver tentato di

risolvere ognuno di questi problemi – e se non tutti, almeno quelli più gravi, importanti

e fondamentali.

Questioni militari e l’unità dell’impero

Tra i più significativi e al contempo pressanti ostacoli presentatisi al momento

della ascesa di Aureliano, troviamo sicuramente le varie invasioni e le diverse vicende

militari che dominavano quell‟epoca, tra le quali si devono riportare le guerre iutunge e

poi gli scontri combattuti contro il regno di Palmira e quello delle Gallie. I secondi si

sono dimostrati più importanti – nel senso di più minacciosi – perché hanno minato

l‟integrità dell‟impero, perché hanno coinvolto maggiori e più complesse problematiche

e perché, per quanto concerne le incursioni dei barbari, si può dire che i romani hanno

sempre avuto ragione dei barbari che hanno di volta in volta minacciato i confini

108 Eutrop, 9.9; SHA:Aur, 4.5. Watson 1999, p. 35. 109Anderson 1978, p. 75; Arnheim 1972, pp. 39-48; Wolfram 1988, p. 56; Bowman 2005, pp. 53–54;

Murray 1989, pp. 529-531.

Page 44: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

44

dell‟impero Roma110

; in un certo senso, i Romani hanno sempre dovuto affrontare le

incursioni, mentre un frammentazione interna così prolungata ed estesa, ha

rappresentato una novità e un pericolo ben maggiore111

.

Prima di parlare delle sorti del regno della regina Zenobia e di Tetrico, comunque,

bisogna inserire almeno una piccola parentesi sulle incursioni germaniche, costante che

non si può trascurare per questo periodo112

, e che perdurava a partire dal tempo delle

guerre Marcomanniche di Marco Aurelio113

.

Per prima cosa, le invasioni sarebbero da menzionare anche e solo per il grande

impatto simbolico che esse esercitavano sulla popolazione e sul mondo romano più in

generale. In particolar modo sulla paura e sui pregiudizi che tali invasioni creano sul

“barbaro”, preso come emblema del nemico per antonomasia e spesso utilizzato come

scusa per giustificare tutte le spese, le tasse e i disagi che stavano avvenendo; ogni cosa

che non andava o che creava disagi, era attribuita o causata dei barbari, nemici per

eccellenza dell‟ordine e della Romanitas. Tuttavia, per le invasioni e i ripetuti attacchi

di questo periodo, non abbiamo molte informazioni; sappiamo che Aureliano ottenne il

titolo Germanico Massimo per le sue prime guerre contro i Germani114

, mentre

110

Garnsey 2001, p. 14. 111 È vero che nel corso della storia di Roma abbiamo assistito ad altri fenomeni di secessione o di rottura

dell‟integrità territoriale romana, ma sono stati tutti episodi che per quanto di difficile soluzione, non sono

mai stati così estesi e duraturi, e soprattutto non si sono mai verificati in concomitanza con altri problemi

così gravi. In questo contesto mi riferisco principalmente al caso di Sertorio e della sua rivolta in Spagna,

cfr. Appian:Mith, 68. 112 Le invasioni barbariche sono sempre state presenti nella storia dell‟impero romano; senza però

procedere a una descrizione dettagliata delle diverse invasioni, mi sembra meritevole ricordare come essi

diventino un serio problema per l‟impero, a partire da Marco Aurelio e le guerre Marcomanniche; è infatti da questo momento in poi che l‟impero troverà maggiori difficoltà ad opporvisi e che le popolazioni

stesse si affacceranno costantemente lungo le frontiere del limes Renano-Danubiano. Si pensi soltanto ad

alcuni scontri che siamo certi si siano verificati, limitatamente al decennio del prima e dopo Aureliano; le

tribù Germaniche effettuarono scorrerie nel 270, 271, 274/5; i Vandali in Pannonia nel 271 e poi nel 278,

più quelle dei Germani in Gallia fronteggiati da Tetrico, dei Goti i cui ripetuti attacchi erano stati fermati

da Odenato, in una situazione quasi di assedio permanente, fisico e mentale. 113 Per un resoconto più dettagliato, guardare e fare riferimento a Cassio Dione Cocceiano, Storia romana,

LXXII; Ammiano Marcellino, Storie XXIX; HA, Vita di Marco Aurelio, 24.5. Invece per autori più

recenti e contemporanei, cfr. Coarelli 2008, p.42-44. 114 Peachin, 1990, pp. 92, 385-403; CIL III 7586; VIII 10017.

Page 45: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

45

relativamente alle diverse popolazioni straniere che si trovavano ancora sul suolo

romano, sappiamo che erano penetrate nell‟impero tribù di Vandali e Sarmati,

facilmente respinte115

, cui poi seguirono le invasioni di Alemanni, Marcomanni e

Iutungi116

. Proprio sotto il nome di guerre Iutunge117

rientrano i resoconti degli scontri e

delle guerre affrontate da Aureliano, prima di quelle combattute contro Zenobia e

Tetrico, sempre in nome di un progetto di riunificazione e di ripristino dell‟unità

perduta. Da menzionare sono principalmente gli scontri che vedono una prima sconfitta

di Aureliano a Piacenza118

, e le successive vittorie a Pesaro e poi quelle decisive e finali

presso Pavia119

e Fano120

.

Oltre ai singoli scontri campali121

, e scendendo un momento nei dettagli, pare

interessante ed emblematico soffermarsi sulla richiesta di pace degli Iutungi, cioè

quando essi si arrendono e si incontrano con l‟imperatore Aureliano, resoconto arrivato

a noi tramite le parole di Dexippo122

. In esso, l‟autore descrive le trattative di pace e lo

descrive ponendo grande enfasi sul fatto che Aureliano ricevette l‟ambasceria stando su

di un palco, vestito di porpora123

, a dimostrazione del fatto che Aureliano fosse già

imperatore, un particolare importante per noi, soprattutto se esso viene utilizzato come

115 SHA:Aur, 18.2 – 21.1-4: “item Aurelianus contra Suebos et Sarmatas iisdem temporibus

veementissime dimicavit ac florentissimam victoriam rettulit (18.3-6)”; Zos, I, 48.2; Watson 1999, p. 217;

Grant 1975, p. 246. In questa occasione abbiamo anche dei riferimenti epigrafici che ci fanno sapere

come fu proprio grazie a queste vittorie che Aureliano inizia a costruirsi la fama di generale vittorioso,

meritandosi il titolo di Sarmaticus Maximus, cfr. CIL III 13715. 116 Zos, 1.49.1 ;Homo 1975, p.69. 117 SHA:Aur, 18.3-6; [Vict]:Epit. 35.2. 118 Vita Aur., 21.1-3; curioso è il caso dell‟Epitome (Epit. 35.2), dato che è l‟unica fonte a riportare come

Aureliano abbia vinto. Homo 1967, p. 76. 119 SHA:Aur, 18.4 e 19.4; Zos, I, 49; Vict:Caes, 35.2. Per quanto riguarda studi più recenti, cfr. Mazzarino 1974, p. 567-568; Watson 1999, pp. 51, 216; Grant 1985, p. 246. 120 CIL IX, 6308; CIL IX, 6309; CIL XI 6308 parla di victoria aeterna Aureliani…Hercules Augustus

consors Aureliani. 121 E per questi conflitti, a livello generale e riassuntivo, le fonti tendono anche a presentare gli stessi

aspetti e le stesse caratteristiche, con l‟eccezione già ricordata della sconfitta di Piacenza di cui parla

l‟Epitome. A questo riguardo infatti cfr. SHA:Aur: per Suebi e Sarmati, cfr. 18.2; per i Macromanni, cfr.

18.3-6, 21.1-4; Zos: Alamanni e tribù alleate, 1.49.1 o le guerre vandaliche 1.48.1-2; Dexipp: Iutungi,

FGrH 1 0OF6, FGrH 1 0OF7.4; Vandali FGrH 0OF7.1-3. 122 Dexipp, FGrH, II.A, 100; Grant 1985, pp. 183-188. 123 Grant 1985, pp. 184-185.

Page 46: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

46

testimonianza della grande importanza che rivestivano a quel tempo i simboli e le

onorificenze imperiali124

.

Questo secondo e sbrigativo excursus, ci introduce poi all‟altro e più importante

fattore esterno che ha minato l‟unità territoriale romana. Il pericolo numero uno in

Oriente infatti si chiamava Sapore, uno dei più illustri sovrani della nuova dinastia dei

Sassanidi125

, fondata da Ardashir I (230-232) o Artaserse126

, sostenitori di una politica

centralista, di espansione e di mentalità imperialistica127

, caratterizzata da una società di

matrice che potremmo definire feudale128

, altamente nazionalista. Il suo desiderio di

fondare, anzi rifondare l‟impero, non ammetteva rivali lungo i propri confini, e in

particolar modo lungo i confini occidentali, in un progetto che vedeva proprio lo scontro

contro l‟impero romano. Shapur infatti è ricordato principalmente per le ripetute

sconfitte inflitte agli eserciti di Roma129

e soprattutto per la sorte che ha riservato a

Valeriano130

, quando venne fatto prigioniero131

. Le vicende di Shapur, tuttavia, sono

ancora più importanti se le inseriamo nella nostra discussione sull‟impero in generale;

un Impero nasce sempre in seguito a conquiste militari e ad un allargamento dei propri

confini, secondo politiche fortemente espansionistiche che sono il frutto di un‟interna

124

Per un‟analisi più dettagliata ed esaustiva sul valore e sul significato della porpora per il potere

imperiale, cfr. Romanello, Isaella, Il colore: espressione e funzione, Milano 2002, e in particolar modo

pp. 1-34. 125 DioCass, LXXX, 3.1-2; inoltre vedi Watson 1999, pp. 57-69. 126 Per ulteriori approfondimenti, vedere Frye 1983, pp. 116-124; 127 Rémondon 1975, pp. 73. 128 Infatti sia Anderson (1978) che Millar (1967) descrivono l‟impero sassanide secondo quelle stesse

caratteristiche che caratterizzeranno poi l‟Europa medievale; cfr. Anderson 1978, p. 75; Millar 1967, p. 6. 129 Eutrop IX. 8 quando viene riportato che dal 256 al 260 gli eserciti di Shapur stavano sottraendo all‟impero romano roccaforti e città della Siria, come ad esempio Antiochia. 130 Eutrop IX.7, riporta che dal 256 al 260 gli eserciti di Shapur sottrassero all‟impero romano roccaforti e

città della Siria, come ad esempio Antiochia; inoltre Grant (1985) suggerisce che Valeriano abbia chiesto

"asilo politico" al re persiano Sapore per sottrarsi ad una possibile congiura ordita tra i suoi uomini, Grant

1985, p. 227. In Lact:Mor, 5, Valeriano fu prima umiliato da Sapore, che lo usò come uno sgabello per

montare a cavallo, e poi venne scuoiato e la sua pelle, riempita di scarti, dipinta di rosso usata come

trofeo. 131 Le azioni militari del neo impero di Persia possono essere legate e messe in stretta relazione con

l‟ascesa della stella di Odenato, il quale acquisì importanza e si distinse proprio per le numerose battaglie

affrontate nel tentativo di respingere le mire espansionistiche persiane.

Page 47: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

47

prosperità, o comunque nascono per lo sprigionarsi di forti energie, siano esse

economiche, sociali o politiche. L‟impero ha come propria natura implicita una politica

estera aggressiva, che non ammette entità politiche limitrofe rivali o paritarie e che lo

portano ad un continuum di battaglie, che hanno lo scopo preciso di affermare e di

dimostrare – forse più a se stesso e alla propria popolazione – di essere superiore.

L‟egemonia e il dominio sui territori, condicio sine qua non di un impero – sono però

animali mutevoli che vanno tenuti sempre sotto osservazione; sono fattori che rischiano

continuamente di suscitare ribellioni, dato che derivano da atti di forza pura e spesso

brutale. Un castello di carte, che se non ha fondate e resistenti fondamenta, è capace di

incrinarsi al primo segno di debolezza o all‟apparire di nuove e più convincenti forze ai

propri confini: l‟impero è sempre in guerra o comunque è costantemente in allerta

perché deve respingere o asservire ogni possibile fonte alternativa di potere e di

leadership132

. E ancora, questa volontà di supremazia e di potenza non ammette né

all‟esterno – vedere il caso di Shapur – né al proprio interno – vedere proprio Aureliano

e la sua azione contro Zenobia e Tetrico – nessun tipo di compromesso o nessun fattore

che possa minacciare la sua egemonia politica o che metta in discussione il suo ruolo. È

in quest‟ottica che ogni opposizione, vera o presunta, va prima o poi rimossa. Non si

accettano alternative e pertanto o ci si sottomette oppure si rifiuta, avendo però la

consapevolezza di porsi immediatamente dall‟altra parte della barricata, di venire

considerati automaticamente come oppositori o concorrenti133

.

132 Paradigma forse della nascita dell‟Imperialismo, di una vera e propria politica imperiale è l‟episodio

degli abitanti di Melo e la sorte che essi subirono per mano degli Ateniesi nel 416 a.C.; la popolazione

dell‟isola venne sterminata o ridotta in schiavitù, proprio perché gli Ateniesi intesero con ciò dimostrare

agli altri ma anche a se stessi, di essere ancora forti, temibili, senza eguali. Canfora (1991). Sempre a

questo proposito ho trovato interessante anche Plut:Cim, XI, 1-3. 133 Sempre interessante rimane Tucidide (Thuc V, 84-114) che nella descrizione della Guerra del

Peloponneso usa testuali parole: “ciò che è divino e ciò che è umano comanda sempre quando è più forte,

sia esso per necessità di natura o per volontà, (v. 105)”.

Page 48: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

48

Un cuore solo e un’anima sola

E qui arriviamo veramente a Odenato e a Palmira. Entrambi testimoniano le

conseguenze di un potere centrale debole, per nulla capace di presentarsi come guida

sicura e salda. Entrambi dimostrano che forze centrifughe si manifestano sempre

quando l‟impero non sembra in grado di proteggere la popolazione – visto che questa è

una delle sue funzioni primarie, anzi, forse un suo presupposto, o comunque una

colonna portante del processo di delega dei diritti del singolo cittadino in occasione del

suo costituirsi in comunità – ma anzi la pone in una situazione di assedio quasi

perenne134

. Infine, entrambi evidenziano le problematiche del compromesso che deve

sempre sussistere tra un‟entità statale e la sua periferia, ogni volta che esso coinvolge i

rapporti tra le varie componenti dell‟impero e il loro modo di approcciarsi con le altre

realtà locali, soprattutto se – come nel caso dell‟impero romano – l‟unità si presenta

come insieme di diversità a livello culturale e religioso, etnico geografico.

Palmira: De caelo in caenum: ubris aut diligentia?

Palmira era una prospera città situata sulle vie carovaniere, posta a 240 km a nord-

est di Damasco135

e sotto Odenato iniziò a vivere un periodo di splendore economico e

militare. Vista la grave crisi in cui versava l‟impero romano, considerati i numerosi

problemi che affliggevano il potere centrale, soprattutto nel contenere gli attacchi

provenienti dai diversi popoli e nazioni, alle varie province romane situate sulle zone

limitanee, non rimaneva altra scelta che arrendersi e sottomettersi alle diverse

popolazioni, soccombere e rassegnarsi alle numerose invasioni e saccheggi, oppure

difendersi da soli. Odenato non era altro che un governatore di provincia, un capo dei

134 Remondon, 1975, p. 74. 135 Richmond 1963, pp. 43-54.

Page 49: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

49

saraceni della regione di Palmira136

che ebbe il merito di affrontare Sapore, e con due

offensive – probabilmente nel 262 e nel 266 – di riuscire respingerlo, fino a Ctesifonte:

la Siria era salva, la provincia romana di Mesopotamia sottratta di nuovo ai persiani, e

Odenato stesso divenne il nuovo punto di riferimento per le province e i romani

d‟Oriente; di fatto, il vero signore della Siria e della provincia di Mesopotamia137

, vista

la situazione generale nel resto dell‟impero138

. Ed è qui che iniziano le complicazioni;

proprio per l‟esigenza di dover controllare il territorio e di governarlo meglio, nel modo

più efficace, egli adottò tutta una serie di misure, in primis la coniazione di monete per

pagare i soldati, arrivando poi ad attribuirsi tutta una serie di prerogative e di poteri che

l‟assenza del potere centrale aveva lasciato vacanti, ma che dovevano comunque essere

riempite per poter continuare a gestire e governare il territorio. La domanda però che

rimane sospesa è se Odenato abbia tentato o meno di usurpare il trono imperiale; se si

sia limitato ad esserne un governatore, un reggente in nome e in funzione

dell‟imperatore Gallieno oppure se abbia veramente mirato al seggio imperiale. Questa

posizione incerta si è aggravata quando alla sua morte, avvenuta nel 268139

, gli è

succeduto il figlio Vaballato140

. La situazione infatti è peggiorata perché, se fino a quel

momento, il regno di Palmira poteva ancora presentarsi come fedele e sottomesso, come

vassallo dell‟imperatore, la morte di Odenato obbligò i suoi discendenti a

136 Proc:Hist, II.5.5. 137 Secondo quel modus operandi che voleva governasse su di un territorio chiunque fosse in grado di

difenderlo e che si traduceva per prima cosa in titoli e riconoscimenti verbali, con soprannomi e titoli

elevati: Re dei Re¸ clarissimus consularis, corrector, restitutor totius orientis, imperator/ dux Romanorum; vedere a questo proposito Gallazzi 1975, 149-165; Millar 2004, pp. 9-10. 138 Watson 1999, pp. 58-61. 139 La morte di Odenato avvenne in seguito all‟ennesima invasione gotica nel 267/268 e al suo posto gli

succedette Vaballato (anche se il potere fu effettivamente nelle mani di sua madre, Settimia Zenobia, cfr.

Randall 1991, p. 149). Nuovamente tuttavia le cause e le motivazione della sua morte appaiono poco

chiare, dal momento che Zosimo 1.39.2 dice che Odenato fu ucciso ad Emesa, mentre per Sincello,

Odenato morì ad Eraclea Pontica. SHA:Aur, 13.1 invece sostiene come sia stato assassinato, proprio per il

timore che stesse aspirando al seggio imperiale. 140 Forse sarebbe più corretto parlare della regina sua madre Zenobia, che prese il potere come reggente

per conto del figlio minorenne, come compare in Zos, I, 39.2; SHA:Aur, 13.2-3.

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compromettersi ulteriormente, ad esporsi e ad intraprendere una politica rischiosa di

affermazione di una propria egemonia. L‟autorità di Odenato si basava principalmente

sulla propria forza di carattere, sul proprio carisma e sulle proprie abilità di generale141

,

e la sua scomparsa lasciò fortemente incrinata l‟autorità o meglio la legittimità del suo

successore: bisognava trovare nuovi presupposti e impiegare altri elementi per

continuare a regnare e conservare il potere. In seguito a questa esigenza, la regina

Zenobia diede inizio a tutta una serie di politiche e di atti volti a rendere più sicuro il

dominio di suo figlio – e di conseguenza anche il proprio – ricorrendo a quegli

strumenti che oramai erano diventati l‟emblema del comando stesso, come ad esempio

la porpora, la titolatura e la coniazione de monete. Il problema risulta però proprio qui,

dato che questi ultimi elementi si riveleranno ambivalenti e ambigui: elementi necessari

di rafforzamento, ma contemporaneamente responsabili della caduta.

La porpora infatti era prerogativa imperiale così come lo era la coniazione di

monete142

e l‟utilizzo di un certo tipo di titolatura143

. C‟erano e ci sono ancora oggi

campi e ambiti che sono prerogative del potere centrale e che non è possibile “invadere”

o occupare; ogni tentativo di appropriazione indebita, compiuto senza autorizzazione e

senza il beneplacito del centro, è sempre visto come una sfida all‟ordine costituito,

anche se compiuta con le migliori intenzioni144

o se indirizzato verso il fine comune. Un

impero che pretenda di essere tale deve mantenere alcuni campi di competenza che non

141 E questo a ben guardare è lo stesso problema che aveva dovuto affrontare Augusto due secoli e mezzo

prima, leggi Watson 1999, p. 59. 142 Rimane il fatto che per i Romani la mansione di battere e coniare monete era da sempre una

prerogativa imperiale e era uno dei primi atti intrapresi dai vari pretendenti al titolo imperiale per

affermare il proprio potere (Sutherland 1976, pp. 312). 143 Ad Antiochia, per esempio, le monete mostrano da una parte la faccia di Vaballato e dall‟altra quella

di Aureliano, con una titolatura standard per Aureliano (Imp(erator) C(aesar) Aurelianus Aug(ustus), vedi

Peachin, 1990, pp. 1-8. Per quanto riguarda invece Vaballato vedere figura 12, quando leggiamo v(ir)

c(larissimus) r(ex) im(perator) d(ux) R(omanorum); Gallazzi 1975, p. 256; Remondon 1975, p. 82. 144 E pare davvero che Odenato sia stato un fedelissimo servitore di Roma; la sua fedeltà è espressa anche

dalle fonti come dimostra Eutropio (9, 11) quando sostiene; “ Avendo così Gallieno abbandonato lo

Stato, l'Impero romano fu salvato in Occidente da Postumo ed in Oriente da Odenato”.

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può condividere o spartire con altri; ogni ingerenza va soppressa, dato che ogni altra

soluzione sarà interpretata come debolezza e gli farà perdere inevitabilmente credibilità.

Ancora meglio, l‟atto più grave compiuto da Zenobia si verificherà quando la regina

proporrà una soluzione per niente originale, ma dalla grandi potenzialità eversive:

Vaballato sarebbe diventato l‟imperatore d‟Oriente e Aureliano, d‟Occidente,

dimostrandosi in questo, una grande anticipatrice dei tempi, un‟acuta osservatrice

politica, ma ancora troppo prematura. Per veicolare e portare avanti questi idee, Zenobia

e Vaballato, senza ulteriori indugi e vista la situazione in cui versava lo stato romano,

hanno fatto ricorso alle iscrizioni pubbliche, alle titolature ufficiali e alla numismatica.

Rimane l‟incertezza su quali fossero le reali intenzioni di Palmira. Oziosamente

gli studiosi si sono chiesti quali fossero le motivazione propulsive di queste riforme, ma

per i motivi appena elencati, il dubbio non ha più ragione di essere; sia che Palmira

avesse mire secessionistiche e pensasse addirittura di soppiantare l‟imperatore, sia che

agisse semplicemente per la difesa e l‟incolumità dell‟impero romano, essa si era posta

inevitabilmente al di là del confine della legalità. Ecco un aspetto curioso: il vincitore di

Sapore infatti molto probabilmente aveva elevato a regno i propri possedimenti

orientali, ma ritenendosi sempre davvero un fides servus imperii. Il problema in questo

caso è Roma, che non poteva considerarlo tale, perché l‟azione non era partita dall‟alto

e nessuno era stato insignito con tale carica da lei stessa, da un imperatore. L‟arrogarsi

di maggiori prerogative e poteri, “solo” per acquisire autorità e per meglio gestire i

territori dell‟impero era una sfida su cui difficilmente il potere centrale avrebbe potuto

soprassedere; rappresentava un‟offesa che andava risolta non appena il governo fosse

riuscito a riguadagnare un minimo di controllo e ad acquisire un minimo di autorità,

cosa che puntualmente avvenne con Aureliano.

Page 52: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

52

Va comunque precisato che, nonostante tutto, il progetto di Zenobia non era così

tanto utopico e tantomeno così inusuale come si potrebbe pensare a prima vista, ma

seguiva seguendo la storia: la moltiplicazione di sovrani e le diverse derive centrifughe

nelle varie province sono anche la conseguenza dell‟esigenza che l‟imperatore regnante

dovesse essere fisicamente presente in ogni parte dell‟impero, fatto reso ancor più

difficoltoso dalla lunghezza delle frontiere, dalle continue incessanti invasioni o attacchi

e dalla lentezza degli spostamenti. Risalgono al 244, e poi ancora al 253 e al 276, le

prime suddivisioni tra pars Orientis e Occidentis, che anticipano così la futura riforma

di Diocleziano. In un simile clima, il problema che il regno di Palmira dovette affrontare

fu uno solo: Aureliano, che non era per nulla disposto a rinunciare all‟unità dell‟impero

o a delegare il potere a terzi o a veder sminuita e limitata la supremazia della sua carica.

E nello specifico, proprio per quanto riguarda gli esordi della campagna di Aureliano,

come al solito non abbiamo molte notizie certe sulle azioni intraprese.

Campagna di Palmira: somnii peractio

Sappiamo che sulla via per Palmira, Aureliano combatte molte guerre tra cui

quelle in Tracia, e ancora in Illiria per uccidere Cannabas o Cannabaudes, capo dei

goti145

, una guerra la cui durata è sconosciuta e le cui informazioni in nostro possesso

abbastanza contradditorie146

. Pare assodato che Aureliano fosse a Bisanzio il 13 gennaio

del 271147

e che poi da lì si sia mosso verso l‟Oriente con il chiaro intento di ricondurre

sotto la propria guida i territori orientali. L‟unica fonte che abbia convinto

145 Eutrop 9.13.1 lo menziona appena, mentre AmmMarc, 31.5.17riporta solo che aureliano mise fine alle

guerre gotiche. 146 SHA:Aur, 22,2; oppure Watson 1999, p. 54 e Wolfram 1988, pp. 57, 62. 147 Eutrop 9.13 menziona una guerra gallica tra la guerra gotica e la campagna contro Palmira, cosa

contraddetta da Zosimo e dalla Vita Aureliani; una simile confusione o incertezza nelle fonti rende

davvero l‟idea di quanto sia un periodo confuso. Per tutta la discussione sulle fonti e sulla loro

attendibilità, cfr. Homo 1967, pp. 85-87; Mattingly 1961, p. 1939; Parker and Warmington 1958, pp. 198-

201.

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53

maggiormente gli studiosi per questo periodo e che si sia dimostrato valido, è

Zosimo148

, cui poi si aggiungerà la Storia Augusta, quando l‟intera opera verrà

rivalutata e riconsiderata da studi più recenti. Da notare è come per le prime fasi della

campagna militare149

, Zenobia150

non sembri aver neanche cercato di fermare Aureliano,

quasi come se non vedesse ragione di un simile attacco: forse perché non credeva o non

si pensava in rotta con l‟Impero? Rimane il fatto che tutta la vicenda si sia conclusa

abbastanza rapidamente – considerate anche le diverse battaglie o i diversi assedi che si

susseguirono, come a Tiana151

, la conquista dei territori di Antiochia152

e il suo

assedio153

, la battaglia di Emesa154

e infine quella di Palmira stessa155

– con la sconfitta

e la cattura della regina e la fine del regno di Palmira156

. In tutte questi avvenimenti, a

parte le grandi qualità militari di Aureliano, emerge anche un altro aspetto, abbastanza

inconsueto per la persona di Aureliano: la clementia, caratteristica certamente tipica del

mos maiorum repubblicano, che è stata ripresa e adottata anche come tipico tratto

imperiale, ma che però compare come tratto tipico di Aureliano, imperatore spesso

148 Zos 1.50-51. 149 per ulteriori approfondimenti su tutta la marcia di Aureliano, vedere Zos, 1.50.2 (fa notare brevemente

solo che Palmira controllava l‟Est fino ad Ancyra e all‟Egitto e che Aureliano riguadagnò Ancyra, Tiana e

altre città fino ad Antiochia); SHA:Aur, 22.3 (in cui si parla della Bitinia, la quale, come tutte le regioni

circostanti, venne rioccupata con un piccolo sforzo), e 22.4-24.9 (ossia un lungo paragrafo relativo

all‟assedio di Tiana). 150 Sulla sua sconfitta nella piana di fronte ad Emesa, cfr. Zos. 1.52-53; per quanto riguarda l‟assedio nei

suoi momenti più drammatici, e il fallito tentativo di fuga, attraversando l‟Eufrate, Zos. 1.55-56. 150 Zos, 1.52.3-4 descrive la composizione dell‟esercito romano giusto prima della battaglia di Emesa,

contro l‟esercito di Palmira la cui composizione è nota 1.52, cfr. Homo 1975, p. 88. 151 Episodio in cui si verifica uno dei rari casi di clementia dell‟imperatore; (SHA:Aur, 22.5-23.3); Zos. 1.50.2. 152 Zos. 1.50.3-51.1, Downey 1961, pp. 64-66. 153 Zos. 1.51.2-52.1; SHA:Aur, 25.1. 154 Zosimo 1.52.3-4 descrive la composizione dell‟esercito romano giusto prima della battaglia di Emesa,

contro l‟esercito di Palmira la cui composizione è nota 1.52, cfr. Homo 1967, p. 88. 155 sia Zos 1.53-54.1 che la Vita Aureliani (SHA:Aur, 25.2-3) descrivono la battaglia. Inoltre la Vita

Aureliani (SHA:Aur, 26.6-27.6) menziona uno scambio di lettere tra Aureliano e Zonobia, e a mio avviso

può fare probabilmente riferimento a ipotetici scambi e tentativi di raggiungere una pace, una resa,

sempre per mantenere l‟immagine di Aurelianus clemens. 156 SHA:Aur, 25, mentre per la cattura della regina, vedere SHA:Aur, 26-29.

Page 54: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

54

trattato dalle fonti come crudele e severo157

. Perché dimostrarsi clemente allora? Perché

proprio adesso? “Per tutta la campagna d’oriente essa – la clemenza – si è tenuta vicina

all’imperatore158

e ne è stata fedele compagna di viaggio”, considerazione non da

poco159

: le motivazioni che ho trovato sono principalmente politiche. Infatti Aureliano

ha appena affermato la propria autorità e si è presentato come un liberatore, come un

restauratore dell‟ordine costituito, e eccessivi atti violenti e vendicativi così come severe

punizioni, avrebbero forse marchiato il suo regno in chiave negativa. Oltre a ciò,

bisogna tenere presente la situazione che vigeva allora e che era caratterizzata da gravi

difficoltà, sia economiche che politiche o intellettuali, accresciute dalle numerose guerre

civili che generano sempre una perdita di significato, un senso di spaesamento, come ha

ben dimostrato detto Carl Schmitt nel suo saggio intitolato160

“Teoria del Partigiano”:

la situazione del 272-273 era già una situazione di alta conflittualità e tensione, alla

quale non si dovevano aggiungere ulteriori fattori di divisione e di spreco di risorse in

generale.

Altra plausibile motivazione, risiede nel fatto che Aureliano stesso si fosse reso

conto di come i Palmireni si considerassero non come ribelli o sovversivi, come

antagonisti dell‟impero, ma semplicemente come coreggenti, come suoi subordinati o di

157 Per la crudeltà o comunque la severità di Aureliano, si pensino ai continui tentativi di HA di

presentarlo in cattiva luce (SHA:Aur. 24.4) oppure ad altri episodi come al massacro di Chalon presentato

da Vict:Caes. 35.3 durante la riconquista del regno delle Gallie; poi, cfr. Mouchova 1972, pp. 167-199;

Randall 1991, pp. 113-114; Watson 1999, p. 78. 158 Vedi la clemenza di Aureliano per gli abitanti di Tiana (SHA:Aur, 22.5-23.3), di Palmira stessa

(SHA:Aur, 26.6-27.6). 159 SHA:Aur, 24.2-6 e 25.1. 160 Schmitt (2005) ha scritto come si debba tenere presente che sono tutti anni caratterizzati da guerre

civili e questa è una situazione sempre particolare e problematica. E proprio pensando alle varie e diverse

dinamiche che si generano nelle guerre civili, ho trovato particolarmente interessante Di Giovanni et al.

2013, pp. 55-8, dovesi legge: “Se vogliamo, è tutto inerente alla mancanza di punti di riferimento, al

collasso dell’autorità statale, ad una partizione violenta e interna di uno spazio fisico, pubblico e

concettuale che fino a poco tempo prima era stato concepito come unico, unito e indivisibile e che

l’attimo successivo non è più tale”.

Page 55: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

55

pari grado161

, tenuto anche conto che era da un po‟ di tempo che il potere centrale era

lontano, debole e incapace di attuare valide politiche difensive; Zenobia stava

esercitando la funzione difendere i territori dagli attacchi sassanidi, prerogativa che

avrebbe dovuto appartenere all‟autorità centrale162

, ma che per motivi di crisi, si era

trovata a gestire di persona.

Una volta sistemata la situazione a Palmira, Aureliano doveva dare una

sistemazione stabile ai territori appena guadagnati. Lasciò una guarnigione sotto la

guida di un suo comandante, Marcellino163

, e ripartì fiducioso per l‟Occidente. Una

volta arrivato a Bisanzio164

, dopo aver ricevuto la notizia che i Carpi avevano invaso i

territori nei pressi della Dacia e averli rapidamente sconfitti165

, ricevette la notizia che si

stava diffondendo a Palmira una nuova congiura ordita da Apseo, personaggio che

compare nelle fonti come sostenitore di Zenobia, era sfuggito ad Aureliano, dopo

l‟assedio della città166

. Senza ulteriori indugi, ritornò e marciò contro Palmira, la quale,

sorpresa dalla velocità di Aureliano, capitolò ancora più rapidamente di prima167

: questa

volta la città non poté più godere della clemenza imperiale168

. Una volta risolto la

questione, e dopo essere arrivato a Roma, l‟imperatore ricevette un‟accoglienza senza

eguali, da parte del popolo – sempre pronto a festeggiare e celebrare i propri eroi – ma

161 Randall 1991, pp. 156-163; 208-212. 162 Gallazzi 1975, pp. 149-165; a questo argomento, vedere anche Isaac (1990). 163 Uno dei suoi più fedeli e capaci comandanti, secondo quanto riporta Zosimo (Zos. 1.60.1), oppure

Grant, (Grant. 1985, p. 275). 164 Zos. 1.59. 165 È in questa occasione che si guadagnò il titolo di Carpicus Maximus, SHA:Aur, 30.4; Vict:Caes,

39.43. 166 Zos. 1.60.1-2. 167 Zos. 1.61.1. 168 SHA:Aur, 31.3; cfr. 31.4-10 con un esagerato reportage della crudeltà dei soldati cui si associa il

racconto della devastazione apportato al Tempio del Sole (il dio Bel), SHA:Aur, 31.7-9.

Page 56: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

56

anche da parte del senato169

, mentre per quanto riguarda la sorte della regina, ci sono

diverse ipotesi o teorie.

In seguito a questo episodio, dubbi persistono sul destino della regina Zenobia, a

partire già dal viaggio di rientro a Roma, e successivamente anche per il suo destino

dopo che venne celebrato il trionfo. Tra le varie versioni, pare che abbia subito

numerose umiliazioni nella varie città in cui l‟imperatore si fermava, come ad esempio

ad Antiochia dove pare che abbia marciato in catene stando seduta su di un dromedario,

per poi rimanere alla gogna per tre giorni consecutivi170

. Tutta questa serie di

umiliazioni avevano la finalità di sminuirne la popolarità e l‟eventuale e persistente

ascendente e fedeltà. Una versione in Zosimo riporta come la regina sia morta171

durante

il viaggio, per le pessime condizione di prigionia, per inedia o malattia, storia riportata

in termini simili anche da Zonara, il quale però un attimo dopo nega e presenta la

versione per cui essa raggiunse sana e salva Roma172

– seguendo la versione di

Gerolamo, Eutropio e dell‟Historia Augusta – per venire poi inserita nel trionfo di

Aureliano, trionfo che dovette comunque aspettare perché rimaneva ancora una

questione irrisolta: Tetrico173

.

169 Come visto anche precedentemente, si sprecano a questo proposito gli epiteti attribuiti all‟imperatore,

tra cui ricordiamo principalmente restitutor orbis; restitutor totius orientis; corrector orientis (CIL VIII

10205; CIL VIII, 22361; CIL VIII, 22449; CIL XI, 1214; CIL XII, 5456); Parthicus/ Persicus maximus

(SHA:Aur, 30.5; CIL XII, 5456, CIL VI, 1112, CIL VIII, 9040, CIL XII, 5549, CIL XIII, 8973; per uno

studio più recente, vedere Watson (Watson 1999, p. 89-90). 170 Malal, 12.30; SHA:Aur, 30.1-2; Watson 1999, p. 79. 171 Zos, 1.61.2 sostiene che la morte della regina Zonobia sia avvenuta dopo la celebrazione del trionfo a Roma, mentre SHA:Aur, 32.3 dice che Aureliano andò diretto da Palmira ad affrontare l‟impero delle

Gallie, mentre Zonar, 12.27 riporta le stesse cose di HA, che sembrano maggiormente affidabili e degne

di fiducia, dato che altre fonti come Eutrop, 9.13.1; Vict:Caes, 35.5; Hieron:Chron. 222g riportano, in

accordo con SHA:Aur, 34.2, che Tetrico fu portato e mostrato nel trionfo di Aureliano. 172 Contrariamente a quanto avvenuto per la guerra di Palmira, qui bisogno rifiutare la versione di Zosimo

dal momento che è l‟unica fonte a farla morire durante il viaggio; infatti cfr. Hieron:Chron, 223; Eutrop.

9.13.2; SHA:Aur, 27.2. 173 Gaius Pius Esuvius Tetricus (nome completo Imperator Caesar Gaius Pius Esuvius Tetricus Pius

Felix Invictus Augustus Pontifex Maximus (CIL XIII, 8927) sale al potere nel 271, succedendo dopo varie

vicende, a Postumo; cfr. Southern 2001.

Page 57: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

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Tetrico: La pazienza è anche una forma di azione174

La questione però non deve aver preoccupato più di tanto l‟imperatore, se è vero

che egli partì per la campagna d‟oriente, lasciandosi proprio l‟imperium Galliarum alle

spalle, chiaro indice di come non rappresentasse una grande minaccia. Infatti Zosimo

(Zosimo 1.61.2) riferisce solo di come Aureliano lo sconfisse con facilità175

, mentre le

altre fonti non lo presentano comunque in una luce positiva176

. Indipendentemente dagli

autori, emerge come l‟erede di Postumo fosse un debole e non rappresentasse una grave

minaccia per l‟imperatore, motivo per cui Aureliano si permise il lusso di reinsediarlo al

suo posto o comunque di attribuirgli un‟altra carica governativa177

, una volta sconfittolo

e ristabilita la sua autorità178

. Ora finalmente poteva ritornare a Roma e celebrare il

trionfo179

vero e proprio, e considerare l‟impero romano nuovamente come un unicum¸

riunito sotto un‟unica autorità.

Prima di procedere con una riflessione su questi fatti, credo sia interessante

soffermarsi su di un altro episodio che si può ricollegare alla questione di Zenobia e di

Tetrico; un altro fatto che si può bene inserire all‟interno delle dinamiche di politica di

integrità territoriale e nelle problematiche di gestione e organizzazione di un potere

imperiale che Aureliano ha portato avanti. Mi riferisco all‟abbandono della Dacia da

parte dell‟imperatore e alle conseguenze e motivazioni che tale decisione ha esercitato.

174 Auguste Rodin; cfr. Meinecke, Friedrich, Aforismi e schizzi sulla storia, Napoli, 2006. 175 Sync, 721 e Zonar 12.27 accennano solo a questa vittoria, mentre Vict:Caes, 35.3-4 riporta in un

oscuro passaggio come Tetrico mandi una lettera ad Aureliano per cercare protezione perché il suo

esercito era stato corrotto da un governatore di nome Faustino. Per quanto riguarda delle possibili date,

riporto ciò che scrive Southern (Southern 2001, pp. 119-120) che indica la fine del regno di Tetrico nel 274, dato che “Fino al febbraio 274 la zecca di Lione continua a coniare per Tetrico, dal marzo dello

stesso anno inizia a coniare per Aureliano” 176 Cfr. ancora SHA:Aur, 32.3, 35.4; Eutropio 9.13.1; Hieron:Chron, 222d; la Vita Aureliani che scrivono

come Tetrico abbandonò le sue armate nel momento dello scontro con Aureliano. 177 Secondo Eutrop. 9.13.2, Vict:Caes, 35.5, [Vict]:Epit 35.7, SHA:Aur, 39.1, Tetrico venne nominato

corrector Lucaniae. 178 Cfr. Homo 1967, p 116-121; Mattingly 1961, p. 306; Parker and Warmington 1963, p. 204. 179 Di nuovo, Eutrop 9.13.1;Vict:Caes 35.5; Hieron:Chron, 222g riportano, in accordo con SHA:Aur,

34.2, quando viene riportato come anche Tetrico fu portato e mostrato nel trionfo di Aureliano, insieme

alla regina di Palmira.

Page 58: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

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La Dacia. Debolezza o lungimiranza?

Per quanto riguarda le notizie storiche e le fonti, nuovamente la situazione si

presenta nebulosa e di difficile soluzione180

. Infatti Eutropio181

dice che con l‟Illirico e

la Mesia in rovina, Aureliano non sperava più di recuperare la Dacia per cui tanto

valeva abbandonarla, mentre Festo parla della Dacia che era già stata persa sotto

Gallieno182

, per cui vengono poi create due province daciche nella regione della Mesia e

della Dardania, di dimensioni ridotte e maggiormente difendibili. Sempre in tema di una

maggiore facilità di difesa, questo argomento è stato anche usato alla luce del fatto che

la Dacia era stata tagliata fuori dall‟Impero, come ad esempio Malalas183

suggerisce

quando sostiene che Aureliano creò semplicemente la provincia della Dacia Ripensis,

“riducendone soltanto le dimensioni”. In un tentativo di migliorare l‟immagine

dell‟imperatore o mitigare il gesto dell‟abbandono, la Storia Augusta riporta che

Aureliano, dopo aver abbandonato la Dacia, spostò uomini e truppe nel centro della

Mesia che chiamò Dacia184

, riprendendo molto da vicino Eutropio, ma aggiungendo

anche che Aureliano ritirò dalla regione, truppe e civili. Al di là della disparità e

dell‟incongruenza delle informazioni, le uniche versioni che mi sentirei di escludere

sono Eutropio perché, stando al suo resoconto, c‟è da credere che i motivi siano stati la

rovina e lo spopolamento del territorio, quando invece non esistono altre fonti che, di

quel periodo, cioè intorno al 275185

, parlino di grandi stravolgimenti economici, di

devastazioni improvvise o di calamità particolari. Allo stesso modo non mi sembra

180 A questo proposito cfr. Homo 1976, p. 306. 181 Eutrop, 9.15.1. 182 Cfr. Vict:Caes, 33.3 e Eutrop, 9.8.2. 183 Malalas 12.301. 184 SHA:Aur, 39.7. 185 Per un‟analisi più approfondita sul quando, cfr. Bodor 1973, pp. 29-40; va comunque tenuto presente

che difficilmente non avrebbe potuto farlo prima, dato che si era presentato come l‟unificatore e

restauratore dell‟Impero e avrebbe sicuramente indebolito la propria posizione se avesse subito

abbandonato quel territorio, non avendo ancora stabilizzato il proprio potere.

Page 59: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

59

plausibile la Vita Aureliani, perché non abbiamo grandi notizie di spopolamento e di

migrazioni da una regione all‟altra. Il resto sarebbe pura speculazione.

Gli eventi analizzati fino a questo momento – il lungo processo di riunificazione

dell‟impero da parte di Aureliano e l‟abbandono della Dacia – hanno meritato un lungo

descrizione dal momento che pongono in luce diversi aspetti significativi relativi a cosa

si debba o non si debba fare per reggere un impero; inoltre evidenziano anche quali

possano essere i fattori e le caratteristiche necessarie ad un impero per mantenersi, per

crescere o comunque per non decadere.

Centro e Periferia

Da sempre e in ogni campo e in ogni sfera umana, vige la regola che man mano ci

si allontana dal centro, qualunque esso sia, e qualunque valore o ambito esso

rappresenti, i legami si allentano e i contatti diminuiscono o aumentano gli sforzi che si

devono fare per preservarne lo status quo; vale per i campi magnetici come per i

rapporti interpersonali, per la forza che esercita un capo carismatico o per la velocità

con cui si può diffondere un‟informazione. E nell‟ambito delle istituzioni politiche, da

sempre le relazioni tra centro e periferia si giocano e ruotano attorno a complesse e

precarie relazioni e equilibri sempre in movimento e in continua evoluzione, dove

ciascuna delle parti prova e cerca di attrarre a sé l‟altro, in un gioco di forza che non ha

mai fine. L‟Impero non fa eccezione, e tanto meno lo fa l‟impero romano; il III secolo

in particolare, e le varie usurpazioni mostrano chiaramente le derive della e verso la

Page 60: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

60

periferia. Il regnum Galliarum, così come il regno di Palmira e le usurpazioni dei vari

generali stanziati nelle province, sono tutti esempi di squilibri di potere186

.

Ogni processo di conquista e di espansione parte da un punto fisso che diventerà il

centro di un futuro impero, il cuore pulsante della futura potenza politica187

ed è in

questa chiave che si inseriscono le capitali, e si inserisce tutta la terminologia su e di

Roma188

. Ma, di nuovo, per quali fattori si creano le fratture tra centro e periferia? Cosa

si frappone tra i due soggetti e cosa interviene a modificare un rapporto che all‟inizio

pareva stabile, duraturo, indistruttibile? Esercito, società, mos maiorum e imperatore

sono tutti concetti che in un modo o nell‟altro sono già stati menzionati e affrontati e

l‟importante ora è inserirli e analizzarli da angolazioni diverse, per provare a capire le

loro sfaccettature e soprattutto provare a inserirle in un discorso di renovatio imperii, di

dinamiche di potere e di strumenti per cementificare un‟unità politica e territoriale.

Il fattore più ovvio e fondamentale è senza ombra di dubbio la venuta meno

dell‟autorità centrale – le cui cause sono già state prese in considerazione – unita alla

venuta meno della forza e della spinta propulsiva che ha guidato l‟espansione iniziale;

un suo vuoto o una sua debolezza crea scompensi che si ripercuotono poi in tutte gli

altri ambiti, in primis sulla capacità di esercitare un potere coercitivo sulle regioni

esterne e limitrofe. I continui cambiamenti nel III secolo, hanno certamente

destabilizzato la situazione, soprattutto a livello di governo centrale; la precarietà della

186 Mazzarino 1988, p. 40. 187 Così recita North (1981), a proposito dell‟impero come istituzione: “An Empire is the geopolitical manifestation of relationships of control imposed by a state on the sovereignty of others… generally it

combine a core, often metropolitan- controlled territory, with peripheral territories and have multiethnic

or multinational dimensions, North 1981, p. 7. 188 RutilNam, I; inoltre vedi Garnsey (1987) quando sostiene che l‟unico vero culto esportato e imposto

sul resto dell‟impero è stato sicuramente il culto dell‟imperatore, spesso associato, unito o comunque

affiancato da quello di Roma con epiteti come città eterna, mater patriae, unico in grado di porsi o

sovrapporsi a fianco degli altri culti esistenti, senza causare dissidi, rivolte o obiezioni (a parte il caso

degli ebrei); Garnsey 1987 p. 163.

.

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difesa delle province periferiche, le quali sempre più han dovuto provvedere da sole alla

propria difesa, ha suscitato dubbi e perplessità nella popolazione e nelle élite locali; esse

si sono chieste a cosa servisse continuare ad obbedire ad un potere che pareva aver

perso persino una propria identità: il rapporto costi-benefici dell‟essere asserviti o

dell‟obbedire pendeva decisamente a favore dei primi per cui un grande dispendio di

energie non corrispondeva un eguale ritorno o contraccambio. L‟incapacità di gestire i

problemi, di garantire la pace o ancor più semplicemente di proteggere la vita dei propri

componenti – elemento base e costitutivo di un impero, forse addirittura il motore di

tutto il processo di genesi imperiale – ha scardinato le basi dell‟impero stesso. La

pretesa di superiorità del centro, presupposto della sua egemonia e della sua

legittimazione a governare, era stata erasa anche molto più banalmente a livello

geografico, per cui le numerose guerre civili avevano mostrato con evidenza che un

imperatore non doveva per forza provenire dall‟Italia, ma anche da un‟altra parte che

non fosse Roma e la sua classe dirigente189

.

Mi pare interessante aggiungere ciò che scrive Edwards (2004) quando ribadisce e

rivisita l‟importanza della Constitutio Antoniniana190

e la portata effettiva di un simile

provvedimento. Infatti, sosteneva Edwards (2004)191

, trattarla come semplice mezzo per

incrementare le entrate con una tassazione più estesa192

, è un agire superficiale o poco

accurato. Acquisisce più senso invece se la si intende come un modo per fissare la

nascita di un‟era cosmopolita in cui Roma ha perso la sua centralità. Infatti è passato

oramai del tempo da quando la Città Eterna può rivendicare una propria superiorità o

una propria preminenza rispetto alle altre province e alle altre città – considerato anche

189 Mazzarino 1988, p. 543. 190 Vict:Caes, XVI, 12; Fontanella 2007, p. 103; Marotta 2009, p. 101, oppure Heather 2008, pp. 192-193. 191 Edwards 2004, p. 114. 192 Come invece fa DioCass, 78.9.5.

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62

che tutte le risorse provengono dalle aree limitrofe e gli imperatori stessi provengono

dalla periferia, da quei territori in cui è richiesto un intervento militare costante. I

cambiamenti e gli stravolgimenti che stanno avendo luogo fanno emergere anche “nuovi

romani”, nuove classi dirigenti, che maturano una concezione diversa dell‟impero

romano, che sviluppano idee diverse per le quali gli antichi simboli, i vecchi rituali e i

precedenti valori si dimostrano troppo lontani o astratti: esempio sempre lampante è il

fatto che fosse ormai scomparso il culto della città di Roma. La situazione è

leggermente migliore invece nell‟oriente romano, dato che era mitigata dalla concezione

che l‟impero coincideva con l‟imperatore, e questo lasciava comunque un margine di

identità, un appiglio cui ancorarsi e a cui guardare193

nel mar d‟incertezza.

La grande varietà ed estensione dei territori, il deterioramento delle condizioni

politiche e militari, le limitate comunicazioni oggettive dell‟epoca e danneggiate per di

più dai conflitti, sono elementi che hanno incrementato una “tirannia della distanza”194

,

tale per cui l‟imperatore diventa chiunque sia in grado di difendere la popolazione195

.

Gli imperatori delle frontiere si presentano anche perché vien meno il centro, perché

prima simili pulsioni, propensioni e derive erano controllate e limitate; adesso

qualunque imperator che non si assuma personalmente il ruolo di capo dell‟esercito, si

espone al rischio divenire spodestato da chiunque riesca a respingere e sconfiggere

un‟invasione196

. È in questo contesto che si pone l‟idea di difesa in profondità e di

difesa elastica di Luttwak197

, il quale vede come conseguenza diretta l‟abbandono del

preventivo e statico sistema di sicurezza difensivo dell‟età Flavia, a favore di una

maggiore elasticità, affidata alle forze di cavalleria. In altri termini, se il sistema che

193 Brown 1974, p. 33. 194 Millar 1982, pp. 11-15. 195 Cfr. la situazione di Odenato e Postumo di cui supra. 196 Watson 1999, p. 15. 197 Luttwak 1991, pp. 130-145.

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63

durò fino ai Severi può essere inteso come un grande accampamento mobile198

,

successivamente invece le infrastrutture militari calano per numero di uomini e per

capacità contenitive e assolvono all‟unico compito di avvisare e all‟occorrenza

tamponare o rallentare l‟avanzata nemica in attesa che l‟esercito vero e proprio – il

futuro comitatus – raccolga attorno a sé i vari distaccamenti e marci incontro agli

invasori. Una simile strategia, benché si presenti necessaria e contingente, si rivela

dannosa sul lungo periodo. Infatti, è da un lato necessaria perché gli imperatori non

potevano permettersi il lusso di tenere grandi forze nelle frontiere – per il solito timore

di fornire ai comandanti eserciti numerosi che avrebbero potuto minacciare il loro stesso

potere – dall‟altro questo li obbligava a cambiare strategia, aspetto emblematico e

rappresentato dal ricorso massiccio alle forze di cavalleria199

. Il sistema in profondità

permette una limitata conservazione dei territori perimetrali, dato che sono anche

controllati da piccoli distaccamenti, ma è utile e funzionale dato che perché permette di

concentrare la guida dell‟esercito nelle mani dei soli imperatori, e al contempo è

abbastanza flessibile da assicurare un intervento in diverse direzioni. Il sistema elastico

rimase la loro unica opzione, tenuto anche conto che gli imperatori di questo periodo

preferivano di gran lunga tenere una forte presenza militare presso di sé, piuttosto che

disperderla e assottigliarla lungo le frontiere, sia per timore dei nemici che di eventuali

usurpatori.

Sono sempre Luttwak (1976) e Ferril (1986) a suggerire a presentare un altro

fattore di scoramento che ha distrutto l‟intera concezione di impero nel il III secolo, e

198 In base a questa strategia la rete di difesa dei confini vedeva un ampliamento delle fortificazioni e

degli effettivi dell‟esercito, la cui forza viene usata in maniera diretta. L‟importanza di tutte le opere di

fortificazione risiedeva nel fatto che esse erano utilizzata come teste di ponte, come punti di partenza da

cui far partire le offensive romane e non come una barriera che tenesse lontani i nemici. Costituivano

l‟ultimo baluardo difensivo, l‟ultimo fronte di difesa e si dimostrava valido nella misura in cui l‟esercito

si manteneva attivo, aggressivo e proteso verso le popolazioni di confine. 199 Luttwak 1991, pp. 219-224.

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più precisamente l„idea che la difesa delle remote frontiere sembrò al governo centrale

molto meno importante che la protezione del regime imperiale stesso. Ai più parve che

la preservazione del potere personale venisse anteposta alla sicurezza dei suoi

componenti e questo comportò la scomparsa di una concezione di corpo unico, di affetto

e voglia di sacrificio per un‟entità statale che non teneva e non si curava dei propri

abitanti200

. A peggiorare la situazione o a incrementare e favorire la parcellizzazione del

potere imperiale, ci fu il fatto che vennero nominati come governatori delle province gli

stessi uomini che erano già i più importanti proprietari terrieri di quei territori; se questo

dava la certezza che le esigenze e le richieste dell‟autorità raggiungessero in profondità

la società, al contempo radicava il potere locale a discapito di un controllo

amministrativo e politico centrale, avviando quel procedimento che troverà il suo

completamento nell‟età feudale di scollegamento tra popolazione e re o imperatore.

Oramai le tasse venivano pagate e le reclute si presentavano all‟esercito perché erano i

grandi proprietari a garantire e a convincere la popolazione, diventando gli intermediari

e al contempo gli unici punti di riferimento per le classi più basse, le quali perdevano

quel legame diretto, sentito e personale con il potere centrale, cioè con Roma. Nasce

una nuova figura del patronus, con diversi vincoli di fedeltà e di clienti, con legami ora

verticali che sono il preludio dei rapporti vassallatici201

. Infatti in questo clima di

sfiducia e di crisi, di pretese da parte dell‟impero centrale che non parevano

corrispondere a benefici, la popolazione iniziò a sentirsi abbandonata. I titoli altisonanti

e le grandi promesse di gloria e potenza che venivano presentati o professati, o che si

200 Ferril 1986, p. 30-1; Luttwak 1991, p. 129. 201 Questo cambiamento nella società è stato associato anche alla scomparsa dei senatori dalla cariche e

dagl uffici militari a partire dal 260; infatti una simile stratificazione delle strutture sociali romane

comportò un aumento della separazione tra ufficiali militari e autorità civili. Questo, a mio avviso, può

essere un motivo di quella bipartizione che si verificherà successivamente e che creerà scollegamenti tra

le forze militari – principalmente barbari – e autorità civile e che porterà ad una spaccatura all‟interno

dell‟IMPERO stesso; cfr. Watson 1999, p. 4.

Page 65: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

65

attribuivano all‟imperatore, non sembravano riflettersi nella vita reale e il vulgus si

sentiva indifeso, abbandonato, lasciato a se stesso: l‟unico appiglio in questo mare in

tempesta, per ora, erano i nobili, i grandi e vicini – in senso fisico perché visibile,

tangibile e concreto – proprietari terrieri che offrivano protezione, sicurezza e

affidabilità contro i nemici esterni, ma anche interni come gli esattori, i funzionari

statali o i soldati stessi. Il semplice cittadino si sentiva abbandonato e lasciato a se

stesso, in balia di eventi troppo grandi per lui: una situazione che deve essere stata

provata anche dagli abitanti della Dacia e poi della Britannia, al momento del loro

abbandono202

. E proprio la Dacia può essere importante per noi, perché è un episodio

della vita di Aureliano che si presta a farci capire come si sia arrivati a questo e se fosse

possibile evitarlo. Cosa può spingere un imperatore che si è impegnato o si vuole

impegnare a riunificare l‟impero, ad abbandonare alcuni suoi territori? È giusto, o

meglio è accettabile, abbandonare al proprio destino qualcuno affidato alla propria

custodia?

Più che una risposta affermativa o negativa, la vera problematica risiede nel

riuscire a capire la ratio dietro un simile agire; nel provare ad immaginare cosa possa

aver spinto Aureliano a prendere una simile decisione, tenuto conto anche delle

numerose energie spese nel processo di riunificazione dell‟impero. Tra le varie possibili

spiegazioni, quelle più realistiche e plausibili che ho trovato, sono motivazioni militari e

amministrative, o comunque che rientrano sotto quell‟idea che è stata recentemente

definita dagli studiosi, come Overstretch203

.

202 Snyder 1998, pp. 13, che cita Zos, 4.35.2-6 e 37.1-3 che riporta come nel 383,” il generale romano

all'epoca assegnato alla Britannia, Magno Massimo, si rivoltò usurpando la porpora…”. L‟importanza è

anche legata al fatto che il 383 è l'ultima data in cui è attestata la presenza romana al nord e all'ovest della

Britannia. 203 Un altro termine che viene spesso impiegato è overcomittment, cfr. Munkler 2008, p. 174.

Page 66: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

66

La Dacia, nuovamente era stata da Traiano, con le massicce campagne del 101-

2204

e 105-6205

; fu una conquista che apportò innumerevoli benefici, soprattutto in

bottino e in risorse per lo stato206

. Ma le domande rimangono; come mai Traiano si

lanciò in un‟impresa comunque difficile e densa di pericoli? Puro imperialismo o

esigenze strategiche? Aspirazione di gloria o motivazioni economiche, di bottino e di

arricchimento? Sicuramente non si può trascurare Dione Cassio207

, che presuppone un

desiderio di gloria, ma poi possiamo trovare anche motivi economici per la presenza di

miniere d‟oro208

, oppure ragioni strategiche, dato che la conquista di Traiano teneva

divisi ad Oriente e ad Occidente le popolazioni barbare di quella regione, impediva una

loro unificazione e creava anche un avamposto per attaccarli209

. E allora perché

Aureliano l‟ha abbandonata? Perché lasciarla? Addirittura già Adriano, il successore di

Traiano, aveva contemplato l‟idea di ritirarsi, così come aveva fatto per le nuove

province di Persia210

.

E questo, nuovamente, è stato definito come Overstretch.

Overstretch

“…overstretch as the overextension either geographically, economically, or

militarily that inevitably leads to the exhaustion of vital domestic resources, decline,

and fall211

.”

204 DioCass, LVIII, 6.2- 9.5; Coarelli 1999, pp.72-79. 205 DioCass, LVIII, 10.3 – 12.5; Coarelli 1999, pp. 162-194; pp. 216-225. 206 Si narra infatti che la conquista della Dacia fruttò a Traiano un enorme bottino, stimato in cinque

milioni di libbre d'oro (pari a 163,6 t) e nel doppio d'argento; cfr. Cassio Dione, LVIII, 14, 4-5;

Plinius:Ep, VIII, 4, 2; Coarelli, 1999, pp. 208-209. 207 DioCas, 68.17.1. 208 “…infatti, la presenza nella regione di numerosi giacimenti auriferi avrebbe incrementato le non

elevate riserve d’oro presenti nelle casse dello stato, favorendo una soluzione ai problemi finanziari di

Roma” (DioCass, LVIII, 6, 1-2). 209 Luttwak 2001, pp. 100-1, 104, 155-158. 210 DioCass, LXVIII, 33. 211 Cfr. Kennedy 1987, p. 437.

Page 67: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

67

Queste parole di Paul Kennedy spiegano e sintetizzano un tema da molto tempo

caro agli studiosi dell‟Impero. L‟autore espone questa teoria quando prova a spiegare i

motivi che portano un impero apparentemente invincibile alla decadenza:

“Se [le grandi potenze] spendono troppo, principalmente per le armi (o, più

frequentemente, per mantenere gli impegni militari che hanno assunto in precedenza) a

un costo sempre più elevato, corrono il rischio di affaticarsi, come un vecchio che

cerchi di fare qualcosa al di là delle sue forze…212

”.

È un dubbio che si deve porre chiunque tratti di imperi o di entità territoriali in

espansione, perché è cruciale capire fin dove sia lecito espandersi, se sia fattibile e

salutare per un‟organizzazione statale estendere i propri possedimenti, senza curarsi

della sostenibilità di una tale scelta, in termini di risorse e non solo economiche. A mio

avviso è secondo questa prospettiva che si inserisce il discorso sulla Dacia di Aureliano

e, se vogliamo, su tutto il suo operato, e quindi anche sul suo impegno per la

riunificazione dell‟impero. Perché non dimentichiamo che ci sono storici e studiosi che

hanno rimproverato all‟imperatore il fatto di aver ricomposto l‟unità territoriale. È

questo il caso di Gigli (1947)213

, quando loda Aureliano celebrando le sua capacità

militari ma aggiunge che “riportò l‟impero all‟unità, sbagliando strategia perché

avrebbe dovuto mantenere la divisione”, cosa che invece ha fatto Diocleziano, il quale

212 Kennedy 1987, p.727; ; Pagano 2005, pp. 147-178. 213 Gigli 1947, p. 224. In tempi più recenti, uno studio imprescindibile è rappresentato da Doyle (1986),

quando descrive la natura del dominio delle aree periferiche che è “situated within a larger discussion of

three conditions the author states are necessary for the maintenance of empire. They are: A highly

integrated central metropole, a periphery that is fractured enough not to provide any reasonable

competition, and a common interest (religious, military, political) that can integrate the periphery with the

metropole”, Doyle 1986, pp. 130.

Page 68: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

68

ha avuto il merito di rassegnarsi all‟inevitabile, di capire come l‟impero non potesse più

essere gestito come un corpo unico. Dissimulando dietro lo schermo istituzionale della

tetrarchia, e mettendo a repentaglio una volta per tutte, il bene supremo di quel tempo,

cioè l‟unità dell‟Impero, Diocleziano ha davvero acquistato prestigio e importanza agli

occhi di studiosi contemporanei perché è stato il primo a capire e a ufficializzare una

realtà che si era palesata da tempo: l‟impero così come era, non poteva sopravvivere o

resistere a lungo. Gigli e come lui tanti altri214

, pone in dubbio la validità della decisione

di Aureliano sul lungo termine. Allora viene spontaneo chiedersi come mai l‟imperatore

si sia davvero speso per riunificare i domini romani, ma allo stesso tempo non si sia

fatto scrupolo di abbandonare la Dacia: quali possono essere le motivazioni?

Sicuramente al tempo di Aureliano la situazione dello Stato e la condizione

politica, economica e militare dell‟impero non era la stessa di quella che vigeva

inizialmente: gravemente minacciata da più parti, esisteva una crisi economica che

colpiva il cuore dell‟imperium; le guerre che si conducevano non erano più espressione

di potenza economica e militare, ma solo difensive o puramente propagandistiche; non

erano più conflitti scatenati per dare sbocco a un esuberante stato di salute o ad una

convinta volontà di potenza civilizzatrice, ma scontri disperati che vedevano in prima

linea la salvezza stessa dei territori. In quest‟ottica quindi la Dacia era troppo esposta ad

attacchi215

e non proteggeva più le regioni del sud, così come non rappresentava più

un‟ipotetica testa di ponte per un attacco massiccio.

214 Gibbon (1990) ad esempio parla di Diocleziano come di colui che ha rifondato l‟impero, anche perché

fino al 260 l‟imperatore “…governava solamente sui territori dell’Italia e del Nord Africa”, Gibbon 1990,

p. 378. 215 Homo 1967, pp. 313- 315; Parker and Warmington 1963, p.210.

Page 69: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

69

Al tempo di Aureliano la Dacia non era d‟aiuto a nessuno e rappresentava pertanto

più un ostacolo che un aiuto216

. La politica dell‟imperatore illirico sembra porsi in linea

di continuità con Augusto, con le raccomandazioni che si leggono nelle Res Gestae; non

è un caso che la maggior parte degli imperatori abbia sempre guardato e preferito il

consolidamento e la stabilità piuttosto che l‟espansione; non ci dovrebbe sorprendere se

con alterne vicende, le conquiste romane siano rimaste praticamente inalterate rispetto a

come Augusto le aveva lasciate ai successori. Era stato Traiano a porsi in discontinuità

con i propri predecessori e ad ignorare così il consiglio del fondatore del principato, di

mantenere cioè l'impero entro i confini "naturali", da lui stesso lasciati217

. E allora dove

sta la ragione di tutto questo? Cosa è più importante per un impero? Il processo di

conquista oppure il mantenere integri i propri possedimenti? È consigliabile per la salus

imperii una politica espansionistica oppure un‟altra strategia, maggiormente improntata

a mantenere e preservare ciò che si ha? Ancora una volta, dal momento che non esistono

verità o principi assoluti, bisogna sempre considerare le motivazioni dell‟agire, capire

da cosa esso scaturisca, da cosa sia spinto o che cosa esso rappresenti.

216 Luttwak 1991, pp. 100-1, 104, 155-158. 217 …consilium coercendi intra terminos imperii, Tac:Ann, I, 11.

Page 70: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

70

Lo stesso Ottaviano ha ampliato i confini dell‟impero molto meno di quanto

intendesse fare inizialmente, poiché sembra volesse avanzare fino e oltre il reno, per

stabilire un confine più avanzato e sicuro218

; è stata soltanto la cocente disfatta a

Teutoburgo a frenare i suoi propositi di conquista, anche perché non va dimenticato né

tanto meno sottovaluto, cosa possa aver comportato a quel tempo la perdita simultanea

di tre legioni ben addestrate. Però qui si pone un primo problema; una volta perse tre

legioni, era giusto fermarsi e non proseguire? Visto che proseguire a qualunque costo

avrebbe comportato un eccessivo depauperamento non solo demografico, ma anche

economico e d‟immagine219

, è stata una saggia mossa non insistere troppo; è per contro

sbagliato fare però di un simile arresto una legge e una regola universale da rispettare a

priori. Un‟espansione militare deve essere sintomo di prosperità, di sviluppo e di

benessere: se ci sono queste condizioni220

, deve essere più che naturale per un impero

darvi seguito con una politica estera aggressiva. Se invece non ci sono queste premesse,

ogni altra azione deve essere subordinata a ricreare prima quelle condizioni di pace,

prosperità e ricchezza che poi daranno in automatico il via a nuovi processi di

conquista221

. Un impero non può e non dovrà mai accontentarsi di ciò che è; deve essere

sempre proteso verso l‟esterno, verso le zone di confine, animato da un desiderio

218 Garnsey 1987, p. 7; Doyle, pp. 93-97; Munkler 2008, p. 101-103, 149. 219 Non bisogna infatti dimenticare come Augusto abbia giocato buona parte della propria propaganda

sull‟immagine del Restauratore della Pace, di colui che aveva riportato l‟impero romano ad una nuova

epoca, fatta di pace e prosperità, dove finalmente regnava anche la pax Deorum. 220 Vedere l‟esempio proprio di Traiano, ben spiegato anche da Amy Chua (2007) nel suo famosissimo

libro intitolato “The Day of Empire. How Hyperpowers Rise to Global Dominance and Why They Fall” in

cui l‟autrice, parlando della Spagna delle Grandi Scoperte, spiega chiaramente come l‟unico vero fattore che ha portato la Spagna verso un‟egemonia in Europa sia stata la superiorità militare; però poi aggiunge

come una tale supremazia non fosse presente in nessun altro aspetto della società spagnola. L‟espansione

militare non è stata supportata da nessun‟altra adeguata base di supporto, per le proprie istituzioni e il

proprio potere; non si è così verificata la ricerca di un sostegno diffuso presso le popolazioni sottomesse,

una valenza ideologica per tenere unite le proprie conquiste, un‟adesione a propri principi e valori,

un‟organizzazione capillare e sistematica dei propri possedimenti. Così infatti scrive: “its superiority and

heyday were essentially linked with the military supremacy and hegemony, but when this could no longer

be sustained, Spain lost its predominance in Europe, as it overdid its policies far beyond what it could

sustain”. Chua 2007, pp. 130-137. 221 Lattimore 1970, p. 59.

Page 71: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

71

continuo di espandersi e di allargare i propri possedimenti, volenteroso di tradurre così

in una politica di ampliamento, le proprie condizioni di benessere economico, militare e

culturale222

. Se una qualsiasi entità statale si ferma, si adagia sugli allori e ritiene di

“essere arrivata” e di non aver più nulla da dire o da dare, allora a mio avviso nasconde

già in se stessa l‟inizio del proprio declino, anche se esso non si svelerà subito223

. E di

nuovo però una precisazione: l‟espansione deve essere un sintomo di una prosperità

interna224

e non un processo fine a se stesso, frutto di personali e privati aspirazioni di

gloria, poco compatibili con la restante situazione225

o volti a distogliere l‟attenzione

della popolazione da problemi più gravi e contingenti. Spesso infatti si tende a dar vita

ad espansioni territoriali, con il chiaro intento di ricreare forzatamente quel senso di

unità che si sta incrinando nei propri cives, oppure di distrarre l‟attenzione da problemi

più gravi o ancora perché non si è riflettuto abbastanza, ma si è agito per soddisfare e

accontentare le puerili esigenze della società. Ha fatto bene l‟erede di Giulio Cesare a

fermarsi, ma non i suoi successori e allo stesso modo ha fatto bene Aureliano a

rinunciare alla Dacia, proprio perché erano venute meno le premesse che l‟avevano

generata. Ma poi? Cosa aveva in mente l‟imperatore, una volta ridimensionato il confine

e resi più sicuri i territori limitrofi? Si trattava forse di un abbandono definitivo oppure

222 Munkler 2008, p. 16-51; Bravo 2009 p. 202-215. 223 Cfr. proprio l‟impero romano la cui decadenza viene ora fatta iniziare ben dopo la Tetrarchia. 224 A questo proposito viene nuovamente in aiuto uno studio recente condatto da Roger Burbach and Jim

Tarbell; anche loro concordano con l‟affermazione e la teoria di Kennedy secondo la quale la crescita di

un impero devee essere frutto di preponderanti forze centripete, forze che sono principalmente

economiche: “its (of an empire) natural inclination is to expand its economic base to fund the military administration of the territory under its influence. Burbach and Tarbell argomentano che il declino inizia

quando l‟economia non può più incontrare i bisogni e le esigenze dei costi amministrativi, militari e di

gestione. L‟autore fa questo discorso riferendosi agli USA e alla loro invasione dell‟Iraq e

dell‟Afghanistan, premessa di una loro decaduta e ridimensionamento a livello egemonico; cfr. Burbach,

Roge, Tarbell, Jim, Imperial Overstretch: George W. Bush and the Hubris of Empire, Fernwood 2004. 225 A questo proposito citerei l‟espansione in Britanni condotta da Claudio, le cui motivazioni sembrano

essere personali, giusto per soddisfare i propri desideri di gloria, per guadagnare un po‟ di consenso

presso la popolazione di Roma e non doversi così sentire inferiore rispetto ai propri antenati; la Britannia

infatti non rappresentava una grande meta, una preda da ambire perché era ritenuta povera di risorse e non

rappresentasse nessuna minaccia per la Gallia (Strab 780-2; Plin:HN 6.159-62).

Page 72: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

72

dietro si celava il proposito di riconquistarla una volta che si fossero ricreate le

premesse226

?

Le notizie che abbiamo sulla morte di Aureliano227

, e in particolare, su cosa ci

facesse a Caenophrurium, in Tracia228

, o ancora più specificatamente tra Eraclea e

Bisanzio229

, concordano su di un punto: era lì per una spedizione militare. Si apprestava

cioè a condurre un‟altra guerra. Infatti HA dice che partì dalla sua campagna di Retia e

di Gallia per l‟Illirico, dove stava preparando un grande esercito per attaccare i

Sassanidi230

; una guerra quindi, ma a quale scopo? Difficilmente per riconquistare la

Mesopotamia231

, tenuto conto che secondo le versioni più accreditate era già stata

conquistata, e proprio da Aureliano232

. Altamente improbabile mi sembra anche la

spiegazione che parla di un desiderio di annessione dell‟Armenia233

, dato che era una

guerra così puerile, dall‟esito incerto, senza fondamento, e che avrebbe comportato solo

uno spreco di risorse senza un reale compenso, ritorno o guadagno.

Inoltre escluderei anche motivazioni personali, dato che Aureliano non si trovava

in una posizione di potere precario o indebolito, tale per cui un‟eventuale campagna

226 Non dobbiamo infatti dimenticare che una delle motivazioni principali dell‟invasione della Dacia era

stata la presenza di importanti giacimenti auriferi, aspetto questo ancora più importante per Aureliano se

si considera la sua successiva riforma monetaria; vedi DioCass, LVIII, 10.3 – 12.5; Coarelli 1999, pp.

162-194; pp. 216-225. 227Vict:Caes. 35.8; Eutrop 9,.15.2; [Vict]:Epit. 38.5; SHA:Aur, 36.4-6; Zos, 1.62; Zonar, 12.27. 228 Chronica Urbis Romae, p. 148;Vict:Caess 35.8; Malal 12.301. 229 Eutrop 9.15.2; Hieron:Chron 223c; SHA:Aur, 35.5; JoanAnt, FHG IV p. 599 #156; Sync 721, molti dei quali come Malal, comunque, si rifanno a Eutropio, cfr. [Vict]:Epit, 35.8 che parla di inter

Costantinopolim et Heracleam 230 SHA:Aur 35.4-5, mentre Zonara e Sincello parlano di una spedizione contro i Goti (Zonar 12.27, Sync

721). Così come anche Homo 1967, p 314; Mattingly 1939, pp. 309-310; Mazzarino 1956, p. 378; Syme

1971, p.243; Fisher 1929, pp. 134, 137, 143. 231 Homo 1967, p. 322; Mattingly1961, pp. 309-310; Parker and Warmington 1963, p.210. 232 Invece secondo altre fonti, la Mesopotamia ritornerà sotto il giogo romano solo con Probo nel 283.

Cfr. Homo 1967, p.107; Parker and Warmington 1963, p. 219; Mattingly 1961, p. 322. 233 Le argomentazioni forniscono questa interpretazione perché da sempre regione era ambita, come

testimoniato dal fatto che essa entrerà nei domini romani sotto Diocleziano e Galerio.

Page 73: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

73

vittoriosa avrebbe fornito stabilità e prestigio alla sua posizione234

. Sia che si consideri

la spedizione contro i Goti, sia che si guardi ad una spedizione contro i Sassanidi,

entrambe sono funzionali al nostro discorso di un impero/imperatore che non può

accettare ai propri confini, sia internamente che esternamente, entità ad esso ostili o

contrarie235

.

Più propriamente, questo discorso riconduce nuovamente alla tematica della

sostenibilità o insostenibilità della conquista; è sulla frontiera che si gioca l‟idea di

Overstretch236

; è sulla frontiera che si trova il pericolo maggiore per la stabilità politica

ed è sempre qui che si verificano le maggiori problematiche che possono essere

sintetizzate in un unico termine: il Limes237

o, nel senso lato del termine, frontiera

appunto238

. Originariamente, questo termine si inseriva in un contesto di distribuzione

della terra, e indicava una strada o una via che separava un terreno da un altro; tuttavia,

come moltissime altre parole nella storia dell‟Impero romano, anche questa parola è

incorsa in una propria evoluzione e sviluppo239

.

Inizialmente infatti è stato usato per indicare percorsi, vie e itinerari di

penetrazione nel territorio nemico e non per linee che delimitano e che creano una

frontiera; solo in seguito il suo significato verrà ampliato e, a partire da Tacito (il quale

oltre ad usarlo secondo il suo significato solito, sarà anche il primo ad impiegarlo con il

234 Aureliano aveva già il titolo Parsicus/ Parthicus Maximus e perciò non c‟è motivo di sapere perché

avesse bisogno/ volesse altro prestigio; Homo 1967, p.105; Peachin 1990, p.92, 393-400, 403; CIL III 7586, CIL XII, 5561, CIL XII, 5571. 235 Wolfram (1997) parla infatti di una “duplicazione dei motivi per cui Galerio nel 297 era intervenuto:

minacce ai confini che non potevano e non dovevano essere ignorate”, Wolfram 1997, p. 101. 236 Schiavone 2003, p. 28. 237 Sordi 1988, p. 282. 238 Così Lattimore (1970) definisce la frontiera, quando parla del fragile confine tra Cina e Mongoli,

ricorrendo e spiegandola come un‟identificazione di limiti economici e ecologici dell‟espansione

imperiale, cioè, overstretch: “compromesso tra possibilità di conquista e un’economia di governo

(Lattimore 1970 pp. 241-243) 239 Schiavone 2003, p. 2-6.

Page 74: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

74

significato di “frontiera, di soglia dell‟Impero240

”), inizierà ad indicare sempre meno

una linea di transito, ma sempre di più una zona di frontiera241

. E tutto quello che è stato

affermato fino ad adesso concorre a suggerire l‟idea che anche gli imperatori Romani –

e più in generale gli alti gradi dirigenziali, di governo romani – avessero una certa

consapevolezza, anche se vaga e grezza, di che cosa avrebbe potuto essere un costo

marginale di espansione; infatti si interessarono solo della “parte migliore della

Britannia dato che essi non si interessavano del resto242

”.

Conclusione

In conclusione quindi il concetto di iperestensione dei confini era un qualcosa di

ben noto e presente anche a Roma; e non me la sento per questo di concordare con

Gigli 1947243

quando sostiene che Roma, con Aureliano “ha commesso nel III e nel II

secolo a.C. lo stesso errore che commetterà poi Giustiniano, ossia si è dilatata” e si è

espansa oltre il suo potere di assimilazione”. Perché si può concordare sul fatto che

un‟espansione territoriale sia deleteria se non sia suffragata e supportata da solide basi,

di natura anche culturale, economica e sociale244

. Però è esagerata l‟affermazione per

cui Roma era destinata a cadere, che la sua decadenza fosse già insita nella sua storia, e

che il suo declino si fosse scritto precisamente nel momento in cui ha inglobato

240 anche se è con Caracalla che compare precisamente come frontiera fortificata (Tac:Ann, 1.50; 2.7;

Tac:Agr, 41.2 ; Tac:Germ, 29.4. 241 Lintott 1993, p. 41; Zanini 1997, p. 19. 242 Anche in base a ciò che dice Whittaker 1993, p.86; Arriano 7.4. 243 Gigli 1947, p. 253. 244 Se si supera la soglia augustea infatti, un impero può ancora risultare duraturo. Infatti se riesce a

compensare con altre forze, se riesce a sopperire alle proprie mancanze come sono riusciti a fare l‟impero

romano e quello britannico per un certo periodo di tempo, con altri fattori, ecco che la stabilità

dell‟impero è comunque assicurata; si pensi ad esempio proprio ad Ottaviano che riuscì a ridurre la

rilevanza del potere militare e accrebbe parallelamente il peso del potere politico, economico e soprattutto

ideologico nell‟impero. Perciò nelle province non ci fu più il desiderio di sfruttamento ma una finalità

civilizzatrice e in questo modo venne sminuito e ridimensionato il ruolo dell‟esercito, uno dei principali

responsabili delle guerre civili.

Page 75: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

75

l‟Oriente, dato che era andata oltre le proprie possibilità, avendo superato un punto di

non ritorno. La città, l‟espansione territoriale, la crisi della società, le invasioni e le varie

vicissitudini della politica e tutto quanto analizzato finora, sono tutti fattori che hanno

contribuito alla degenerazione solo perché si sono verificati in contemporanea e non

sono stati adeguatamente supportati, affrontati e bilanciati. La disgregazione delle

periferie, che possono avere nel regnum Galliarum e in quello di Palmira degli esempi

ragguardevoli, o la scissione dell‟impero in due tronconi, sono la personificazione di

una tale situazione di simultaneità di agenti disgreganti che hanno costretto l‟impero a

reinventare se stesso.

Alla luce di luce di queste considerazioni, in definitiva e all‟atto più pratico e

immediato, si segnala il fatto che una guerra, soprattutto se vittoriosa, si dimostra

sempre un ottimo collante sociale; si rivela davvero un fattore di unità e di coesione e

induce la popolazione a stringersi attorno al governo e a dimenticarsi dei problemi

correnti245

. Questo discorso è ancora più attuale per Aureliano, perché si era dimostrato

un grande generale e un‟ulteriore e vittoriosa campagna gli avrebbe offerto la possibilità

di continuare a vincolare a sé la fedeltà dell‟esercito – entità che quando è inoperosa si

rivela deleteria e altamente instabile per l‟ordine costituito – tenuto anche conto della

non secondaria prospettiva di arricchimento246

.

245 L‟importanza della guerra è stata avvertita in tutte le epoche e in tutte le occasioni, come ad esempio durante gli anni difficili della Rivoluzione Francese, quando, in una situazione quasi paradossale, decisero

di dichiarare guerra all‟Austria, pur non essendoci né i presupposti, né i requisiti. Lo stesso discorso vale

per le grandi discussioni che si sono verificate per gli anni antecedenti lo scoppio della Prima Guerra

Mondiale: gli interventisti erano favorevoli ad un‟entrata in guerra proprio perché la vedevano come

modo per dirottare le energie frustrate della popolazione e per distrarla dalle loro difficoltà quotidiane, in

nome di un più alto patriottismo. 246 Perché comunque e nonostante tutto, per quanto Aureliano si sia dimostrato clemente e misericordioso

con alcune delle città che riconquistava, e con Palmira stessa per esempio, le ricchezze venivano

comunque drenate e acquisite; a questo proposito cfr. proprio Zosimo, la fonte più attendibile per questi

episodi: Zos. I 54, 2 e I 58, 2.

Page 76: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

76

In secondo luogo, come vedremo in seguito, una riunificazione dell‟impero è

condicio sine qua non per potere lanciare un qualsiasi programma di riforme e di

costruzione di un più efficace impianto statale. Al tempo di Aureliano, erano già

presenti numerose problematiche che andavano risolte, che richiedevano una soluzione

e che erano realizzabili solo nel caso in cui tutto il mondo romano fosse stato ricondotto

sotto un‟unica giurisdizione, un unico controllo. Come qualsiasi processo di

unificazione – tra cui anche quello italiano – ha sempre ben evidenziato, è altamente

difficile se non impossibile avviare una politica di rinnovamento e di ricostruzione di

una qualsiasi entità statale, se al suo interno continuano a sussistere localismi, unità

indipendenti o anche non completamente assoggettate al potere centrale; esse infatti

proveranno sempre ad opporsi, a modificarle o anche solo a limitarne la portata, per il

semplice fatto che sentono la necessità di ribadire la propria autonomia o indipendenza,

in una continua sfida al potere centrale.

Inoltre, e qui credo si arrivi alla motivazione più vera e autentica, Aureliano aveva

sicuramente capito come uno dei primi requisiti di un impero dovesse essere quello

dell‟egemonia e del monopolio della forza e della decisione247

; secondo questa

convinzione ogni riforma, ogni decisione e qualsiasi altro tipo di risoluzione – non

importa di quale natura, se cioè economica, culturale, sociale o politica e territoriale –

deve essere condotta dall‟alto verso il basso, deve partire dal potere centrale e deve

essere spontaneo e non indotto248

. È un atteggiamento autoritario, autocratico

autoreferenziale, che non ammette eccezioni al proprio potere, che non è disposto ad

accettare realtà o istituzioni a lui competitive, alternative o indipendenti; si pone cioè in

un‟ottica di “aut aut” ed è pronto a perseguire questo scopo con ogni mezzo, e a

247 Ben-Ghiat 2009, pp. 33-36. 248 Bravo 2009, pp. 167-200.

Page 77: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

77

qualunque costo. Ogni volta che nel corso della storia un impero si è dovuto piegare a

moti, insurrezioni o richieste dal basso, esso ne è sempre uscito; si pensi proprio a Roma

stessa e alla Guerre Sociale249

, dove Roma è risultata vincitrice militarmente, ma

sconfitta politicamente; dato che è arrivata a concedere la cittadinanza ai ribelli; in

questa circostanza, è interessante notare che la concezione della cittadinanza romana è

avvenuta solo dopo la loro sconfitta militare, avendo così affermato e ribadito in

qualche modo la propria supremazia: pur avendo sconfitto la lega italica, ha poi

concesso loro quello che volevano, quello per cui si erano ribellati, in un apparente

controsenso. Questo dovrebbe aiutare a capire che il potere centrale non si deve piegare

alle richieste delle singole realtà, pena la perdita di autorità e di controllo. Parimenti,

Aureliano non poteva permettere che ci fossero entità statali che avessero agito di

propria spontanea iniziativa, senza l‟avallo dall‟alto, per quanto si fossero dimostrate

comunque utili a tamponare le diverse invasioni, per quanto, dicevamo, avessero tutte le

proprie ragioni e non si fossero dimostrate ostili all‟impero. L‟abbandono della Dacia

era invece più accettabile, perché rientrava in quelle decisioni portate e sviluppate dal

centro, e si inseriva comunque nel quadro di gestione dei territori, di sicurezza del

controllo territoriale e di sostenibilità di una conquista.

In una politica di rafforzamento dell‟autorità, si considera normale portare avanti

politiche di accentramento che prevedono come prima mossa la messa in sicurezza dei

territori vicini al cuore pulsante dell‟impero stesso, e poi si rivolgono alle aree e alle

zone perimetrali, quelle la cui caduta o perdita non rappresentano un pericolo

immediato, ma che vengono ritenute sacrificabili per il Bene Superiore, cioè l‟impero.

249 In generale cfr. Velleio Patercolo, Historiae Romanae; per quanto riguarda invece fonti più in generale

è interessante Gabba, Dalla città-stato, 1993.

Page 78: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

78

Page 79: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

79

POLITICA INTERNA

e senza ombra di dubbio le vicende militari rappresentano uno degli

aspetti più significativi delle vicende personali di Aureliano, tuttavia,

come ho già sostenuto prima, esistono altri fattori ad essi

complementari, ma comunque connessi e finalizzati all‟affermazione di un potere più

pervicace. Sto parlando di tutte quelle riforme o di quei progetti che Aureliano ha

portato avanti, sempre nel tentativo di rafforzare il proprio potere e di risanare o

rilanciare il ruolo egemonico dell‟impero romano: mi sto riferendo principalmente a due

interventi compiuti dall‟imperatore, e in particolar modo alla riforma monetaria e alla

costruzione delle cosiddette Mura Aureliane.

Monetariorum Bellum

Una veloce premessa che si può fare è che una riforma della monetazione250

,

indipendentemente dai motivi che possono avere spinto l‟imperatore, era doverosa;

infatti, sin dall‟introduzione dell‟antoniniano al tempo di Caracalla251

, si era passati nel

giro di un cinquantennio, da una percentuale di argento del 50% ad una percentuale del

2% 252

. Questo discorso si può fare sia riguardo alla grande moneta di quel periodo –

l‟aureus – che per il denarius, le cui svalutazioni infatti sono da attribuirsi

principalmente alla difficoltà di reperire il metallo prezioso, dovuto all‟esaurimento di

alcune miniere, all‟abbandono o alla perdita di altri territori in cui si trovavano

250 Da qui in poi, per i riferimenti alla monetazione, cfr. Webb 1933 ,(RIC V 1/2) e Sutherland 1967 (RIC

VI) e Sutherland (1976). 251 Lo Cascio 1984, pp. 138 ss. 252 West (1941); Cubelli 1992, pp. 3, 8-11.

S

Page 80: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

80

giacimenti minerari253

, cui si deve aggiungere anche il fenomeno della fraus monetae254

,

ossia quella attività di tosatura, limatura o comunque di alterazione con varie tecniche

delle monete – aurei in particolar modo, ma anche denarii, finché circolarono, e

antoniniani, almeno quelli di buon titolo – che fu una delle attività più praticate in

quegli anni, viste anche le possibilità di lucro che essa offriva.

Il periodo della rivolta risale con molto probabilità al 270-271, quando ci fu

l‟invasione dei Marcomanni, e Aureliano dovette reprimere una seditio255

. Da Aurelio

Vittore ad Eutropio, dall'Epitome de Caesaribus fino alla HA256

, la scarsità di

informazioni fornite dalle fonti è notevole: un esempio è che tra le poche e

contradditorie notizie che abbiamo, compare soltanto il nome di Felicissimo, l‟ipotetico

e dubbio capo della rivolta257

; scarsità di informazioni, dicevo, che però sembrano tutte

concordare sulla stessa causa, ossia sulla tosatura delle monete258

. Il dubbio che però

viene è se tale giustificazione sia sufficiente o perché facessero ricorso ad una tale

operazione per arricchirsi; infatti, a parte il fatto che per ottenere una libbra d'argento

(da dividersi poi tra numerosi complici) sarebbe stato necessario emettere più di 3000

antoniniani totalmente privi di fino, non si capisce assolutamente il motivo per cui i

monetieri avrebbero dovuto tosare la moneta – fatto che sarebbe stato molto evidente –

quando, potendo contare sulla complicità del rationalis, come pare sia effettivamente

successo – risultava loro molto più semplice o sottrarre le monete già coniate (e quindi

coniare per se stessi) o impadronirsi direttamente dei lingotti d'argento. L‟errore, portato

253 Vedere ad esempio, proprio il caso della Dacia sopra riportato. 254 Giardina 1974, pp. 184-190. 255 Vedi cap. XXI della SHA:Aur, cfr. anche Fishwick 2002, pp. 840-844. 256 Vict:Caes, XXXV,6; [Vict]:Epit., XXXV; Eutrop, IX,14. 257 Per una più approfondita analisi dell‟esistenza e del ruolo di Felicissimo, con la partecipazione o meno

del senato, cfr. Homo 1967, p. 79 nota 6; 258 Del resto anche nelle fonti, è dimostrata la chiara percezione che tra i motivi principali ci fosse proprio

l‟appropriazione indebita ed eccessiva del metallo: infatti per spiegare il fenomeno si fa spesso ricorso al

termine “corrodere” il cui significato è proprio “rosicchiare tutt'intorno”, Vitc:Caes, 35, 6 (...nummariam

notam corrosissent ...) ed Eutrop, IX 14 (...vitiatis pecuniis ...), le nostre due principali fonti di notizie.

Page 81: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

81

in evidenza da Cubelli259

, è stato forse quello di attribuire ai lavoratori della zecca il

reato più ovvio, e sicuramente più frequente di quel tempo, ma che assolutamente non

può motivare una rivolta, anzi un vero e proprio bellum, che, se non costò la vita a ben

7000 soldati come sostiene la Vita Aureliani260

, fu certamente cruento. Quindi concordo

pienamente con la l‟obiezione di Cubelli (1992) e ritengo che l‟episodio non solo vada

approfondito meglio, magari inserendolo in un'analisi più dettagliata, a partire dal

singolo fatto storico – la rivolta – per arrivare ad inserirlo in un panorama più generale

di politica di rafforzamento del potere di Aureliano, volta a colpire i falsificatori che

erano proliferati durante il periodo di disordine del III secolo, ma anche i senatori261

, nel

tentativo di indebolirli ulteriormente e privarli di ogni diritto di emettere moneta, che

voleva e doveva diventare esclusiva imperiale. Per provare a capire meglio le dinamiche

e le motivazioni che giacciono dietro questa rivolta, è a mio avviso necessario

considerare tutti i singoli aspetti di un tale “conflitto”, a partire dalle sue caratteristiche

fisiche e concrete.

In primis, il luogo: Roma. La rivolta si verifica nella capitale ed è riportato da

tutte le fonti ed è accettata dai diversi studiosi; da Aurelio Vittore262

a Eutropio263

e

nella Vita Aureliani264

. Si verifica a Roma e non altrove perché è qui, e più in generale

259 Cubelli 1992, pp. 46-49. 260 SHA:Aur, XXXVIII; Vict:Caes, 35.6. 261 A questo proposito, benché partano dai presupposti sbagliati – cioè con la spiegazione della tosatura

delle monete – cfr. Homo 1975, pp. 79 e soprattutto 163 ss. 262 La rivolta intra urbem, specifica meglio, eliminando ogni possibile incertezza, per Coelium montem al momento di indicare il luogo della battaglia tra l'esercito di Aureliano e i monetieri: specificazione questa

che ben si adatta alla collocazione della Zecca di Roma fin dall'età di Traiano (CIL VI 42, 43, 44, 791,

tutte datate al 115 d. C, alle quali si può aggiungere, anche se non datata, ma trovata nello stesso luogo,

CIL VI 239, ed inoltre CIL VI 298, rinvenuta presso la fontana di Trevi). 263 Eutrop, IX. 14 utilizza da parte sua un'espressione che non dà adito ad alcuna ambiguità: “…in urbe

monetarii rebellaverunt; addirittura l'autore dell'Epitome de Caesaribus (35, 4) menziona esplicitamente

Roma: “…in urbe Roma monetarii rebellarunt…”. 264 SHA:Aur, 38, 3, la citazione, per definire la seditio da un punto di vista geografico, è un aggettivo,

“intramurana”, che in tutta la HA compare in due sole occasioni e sempre con riferimento a Roma, cfr.

Roncoroni 1972, pp. 776-7, 795, dove compare anche la dura repressione che ne seguì; cfr. nota 72

Page 82: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

82

sul suolo italico, che la crisi si sta abbattendo con più violenza e sta causando i maggiori

disagi; Roma sta perdendo importanza anche a seguito del processo di

decentralizzazione amministrativa, economica e politica ed è sempre meno

rappresentativa dell‟impero. Se vogliamo, questa rivolta è l‟emblema di tutto il processo

di sviluppo dell‟impero, dato che rappresenta tutti coloro che non accettano i

cambiamenti avvenuti, sono ancorati al glorioso e lontano passato, pretendono di godere

ancora di quei privilegi che li contraddistinguevano: parlo in primis dei senatori, ma può

valere anche per la plebe urbana così come per i vecchi apparati amministrativi che non

vogliono cambiare.

In seguito, da menzionare, è la questione della cronologia o della diatriba tra chi

considera la rivolta un singolo episodio svincolato e fine a se stesso, oppure una vicenda

da inserire in un quadro più ampio, frutto quindi di diversi cambiamenti.

Inevitabilmente si propende per la seconda ipotesi e si esclude che la guerra dei

monetieri sia esplosa solo nel 274, in conseguenza della cosiddetta riforma monetaria265

;

la versione più accreditata e condivisa è che le premesse della rivolta nacquero al

momento della sconfitta di Piacenza – circa nel marzo del 271 – quando la forza

militare di Aureliano sembrava debole e probabilmente insufficiente a mantenere

l'ordine, e sembrava esserci uno spiraglio per riportare in auge il potere senatorio.

Anche le fonti, per lo più incomplete quando si tratta della narrazione delle invasioni,

mi sembrano concordi nel fare iniziare tutto in quel momento. La testimonianza più

quando viene indicata come ulteriore complicazione dei fatti e dei disordini, anche la rivolta dei

funzionari della Zecca, Zos, I, 49,2. 265 Non sembra infatti avere molto senso un'azione di forza contro un imperatore che, recuperato l'impero

di Palmira, le Gallie, ricostituita così l'unità imperiale, fregiatesi perciò del titolo di Restitutor orbis,

aveva dato tanta mostra di fermezza politica e militare, appariva quanto mai insensata. Inoltre la

spiegazione di una prima rivolta, antecedente al 274 e risalente al 271, trova conferma proprio nel fatto

che sia impensabile che Aureliano, accingendosi al varo di una complessa operazione monetaria (la

cosiddetta riforma), non si sia preoccupato in precedenza di eliminare qualunque potenziale elemento di

disturbo all'interno della familia monetalis, famigerata per frodi e falsificazioni (Cubelli 1992, pp. 30-1).

Page 83: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

83

precisa in questo senso è l'Epitome de Caesaribus (35, 4), ma conclusioni simili le

troviamo anche nella Vita Aureliani266

, con entrambe, come vedremo in seguito, che

mettono in relazione i due episodi, considerando il 274 come fase finale di

un‟escalation iniziata proprio nel 271.

I protagonisti. Felicissimo267

è un personaggio, la cui esistenza pare essere

accreditata dalle esplicite menzioni da parte di quasi tutte le fonti. Sussistono pertanto

pochi dubbi sulla sua persona268

, e sulle mansioni che a lui, in qualità di rationalis,

spettavano. Le competenze di questo incarico sono ben precise: nel III secolo, come

anche nel IV, il rationalis altri non era se non il vecchio procurator a rationibus269

.

Quali fossero le originarie funzioni di tale incarico è a noi noto grazie ad un celebre

passo di Stazio:

“iam ereditar uni sanctarum digestus opum partaeque per omnis

divitiae populos magnique impendia mundi270

.”

Delle sue tre generiche attribuzioni – l'amministrazione dei tesori dell'imperatore

(sanctarum digestus opum) il controllo delle ricchezze prodotte da tutte le province

(partae per omnis divitiae populos) e le spese di tutto l'impero (magni impendia mundi)

– l‟aspetto per noi più significativo è il fatto che il a rationibus avesse il controllo delle

rendite delle miniere imperiali, tenuto conto che nelle casse dell'imperatore confluiva

266 Infatti in SHA:Aur, 18, 4 si legge: in ilio autem timore quo Marcomanni cuncta vastabant, ingentes

Rotnae seditiones motae sunt paventibus cunctis, ne eadem, quae sub Gallieno fuerant,provenirent. 267 Aurelius Felicissimus menzionato in CIL IX 4894, datata al 243, con i titoli di e (gr e gius) v(ir)

proc(urator) sia la stessa persona. 268 Vict:Caes 35, 6; SHA:Aur, 38, 2, che in essa trovò la morte, così come Eutrop, IX 14. 269 Brunt 1966, pp. 75-91; Panvini Rosati 2000, pp. 127-159; Corbier 2005, pp. 393-439. 270 Stat:Silv, III 3, 86-105; cfr. Cubelli 1992, pp. 40-42.

Page 84: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

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metà del metallo prezioso estrattovi271

e che le sfere di competenza dell'a rationibus

furono quasi costantemente ampliate, tanto da render necessaria la creazione di uffici a

lui subordinati – anche se in seguito sempre più indipendenti. Qualche limitazione si

ebbe forse col tempo, a partire dal III secolo, quando si fu costretti a ritornare al sistema

di riscossione in natura, incarico che venne demandato piuttosto ai governatori locali

provinciali: tuttavia, nessuna modifica dovette verificarsi per quanto riguarda l'aspetto

qui più rilevante, cioè la rendita delle miniere e la prerogativa di coniazione delle

monete.

In sostanza, alla luce di questi fatti, non si può negare come ci fossero furti o

appropriazioni indebite di metallo prezioso tra i lavoratori della Zecca, ma queste erano

sicuramente piccole frodi, anche se numerose e comunque di piccola entità; quindi,

nuovamente, questi non possono essere i responsabili diretti e principali della crisi così

come non è possibile giustificare la rivolta come paura di un‟eventuale punizione per

questi loro piccoli crimini. Nuovamente quindi la motivazione economica è sussistente

ma non sufficiente. L‟attenzione va allora rivolta alla figura del rationalis Felicissimo,

che sovrintendeva alle operazioni di coniazione e dirigeva tutta la Zecca di Roma272

. In

particolar modo, vista la grande responsabilità che aveva, ma considerata anche

l‟attenzione a cui era sottoposto, la punizione e il motivo della rivolta può declinare in

colpa di appropriazione – di peculatus – da quella di falsificazione che era all‟inizio. E

se è evidente il movente economico, esso tuttavia mi sembra non bastare.

Tra le confuse, e, talora drammatiche, vicende che le fonti segnalano durante i

primi mesi del regno di Aureliano – invasioni, rivolte, usurpazioni – compaiono anche,

271 Millar 1977, p. 181. 272 CIL IX 4894, datata al 243, in cui Felicissimo compare con i titoli di e (gr e gius) v(ir) proc(urator).

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e non è sono di secondaria importanza, riferimenti all‟uccisione di alcuni senatori273

, a

seguito dell'accusa di aver cospirato contro l'imperatore274

. È ovvio che non si tratta di

una accidentale sovrapposizione di notizie, attribuibile soltanto al generale clima

turbolento, conflittuale e competitivo dell‟epoca; come già accennato prima, questa

prima rivolta dei senatori del 271 va collegata con la rivolta dei monetieri e con la

successiva riforma monetaria, considerando quindi legittimo l‟esistenza di un

coinvolgimento dell'ordine senatorio, o di alcuni dei suoi membri, nella rivolta ed una

conseguente punizione inflitta loro da Aureliano275

. A questo punto troverebbe anche un

proprio fondamento – tenendo però sempre presente il suo carattere esagerato – la

notizia di Vittore, secondo cui 7000 combattenti trovarono la morte nella rivolta, poiché

un coinvolgimento del Senato implicherebbe il fatto che non si trattò di un movimento

confinato in un ambito ristretto quale il semplice gruppo dei monetieri, ma esteso alla

stragrande maggioranza della popolazione romana.

Del resto, al Senato non mancavano certo motivi di violento attrito con il potere

imperiale, tanto più nei confronti di un imperatore che, fin dalla sua elezione aveva fatto

intendere di voler attuare una politica marcatamente autocratica. Dunque, l'ascesa al

regno di Aureliano, a cui il Senato aveva preferito Quintillo, rappresentava

indubbiamente la fine di ogni possibilità di riguadagnare quei privilegi che il Senato

aveva perduto uno ad uno. In questo panorama la rivolta dei monetieri rappresenta a

mio avviso il più concreto tentativo di opposizione del Senato, che si servì proprio di

Felicissimo e dei monetieri per ottenere l'oro necessario a finanziare un movimento di

273 Così riferiscono infatti Eutrop IX 14 e SHA:Aur, 21, 5-6. 274 Zos, I 49, 2. 275 Zosimo infatti parla di alcuni senatori, accusati di aver cospirato contro Aureliano, che furono

giudicati e condannati a morte. Per contro Eutropio e la Vita Aureliani, seguendo le loro dichiarate

ideologie filosenatorie, hanno tentato di tener separati i due avvenimenti, separando i due episodi (21, 5-6

appunto per le rivolte dei senatori, mentre i passi 38, 2-4 per quella dei monetieri), anche se HA non

riesce a separarli del tutto, in particolar modo quando cade nell‟errore di considerare giusta la vendetta di

Aureliano quando si riferisce ai monetieri, mentre considera troppo dura quella rivolta ai senatori.

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rivolta antimperiale, che trovò il suo fulcro proprio negli operai della Zecca, ma anche

in quella parte della popolazione urbana il cui malcontento era facilmente

strumentalizzabile.

La rivolta fu sedata nel sangue: Aurelio Vittore (35,6), ripreso in parte dalla HA,

Vita Aureliani¸ 38, 2-4, parla di 7000 bellatores, combattenti (e non soldati, milites),

uccisi sul campo dai monetieri ribelli. Innanzitutto, proprio il ricorso al termine

bellatores276

, mostra che alla rivolta presero parte anche civili, fatto che, tenuto conto

anche del luogo, contribuì ad aumentare il numero delle vittime. Tuttavia, una così dura

repressione offrì ad Aureliano anche l'occasione per una ristrutturazione dei quadri del

personale ed una conseguente prima riorganizzazione geografica degli atelier monetali.

Il gran numero dei caduti tra gli operai della zecca rese necessaria la riduzione del

numero di officine della Zecca di Roma da dodici a cinque, anche se certo non dovette

essere estraneo l'intento punitivo, come anche in questo caso le marche delle monete

mostrano: parallelamente, per fare fronte ai problemi di produzione e conseguentemente

di circolazione monetaria che la chiusura di sette officine del principale atelier

dell'impero, Roma, inevitabilmente causò, l'imperatore si vide costretto ad aumentare da

tre a quattro il numero delle officine dell'altra zecca italica, quella di Mediolanum, che

ottenne così, almeno fino al 274277

, quel predominio che fino ad allora era stato

peculiarità di Roma. Come pure altrove, il controllo dell'autorità imperiale si fece più

stretto: anche nell'industria monetaria si rese probabilmente necessario un censimento,

ed anche in questo settore, Aureliano ebbe a modello la rigida organizzazione militare;

inoltre il sistema delle marche di zecca, il cui uso divenne più frequente e costante,

garantiva un controllo capillare e sicuro, poiché era semplice risalire addirittura

276E come termine, in Aurelio Vittore, compare in questa sola occasione; cfr. Cubelli 1992, p. 49, nota

104. 277 RIC, Decius, IV 38a; RSC 43; Savio 2002, p. 202; Arslan 2012, p. 35.

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all'officina che aveva coniato un dato pezzo. Infine il Senato: gravemente implicato

nella rivolta, strumentalizzata o addirittura ideata al fine di riacquistare quel peso

politico che le basi della politica di Aureliano sembravano volergli negare, esso subì

un'epurazione in quei membri maggiormente coinvolti, ma soprattutto perse quell'ultimo

privilegio che ancora deteneva, quello di battere la moneta di bronzo278

.

Inoltre, la prima rivolta dei monetieri, e le conseguenti modifiche apportate da

Aureliano, hanno messo a nudo la problematica e già disastrosa situazione del sistema

monetario in tutti i suoi aspetti, mostrando come fosse assolutamente necessaria una

restaurazione del sistema finanziario stesso. E ad essa Aureliano, restituita all'impero la

sua unità territoriale, dedicò i suoi sforzi.

Riforma monetaria vera e propria

Come si è già notato, la situazione monetaria che Aureliano, si trovò ad affrontare

al suo avvento, era estremamente confusa: sia la moneta d'oro che quella d'argento

mancavano di standard di peso o di contenuto ben definiti. Ed inoltre la rivolta dei

monetieri aveva messo a nudo il disfacimento della macchina produttiva ed

organizzativa della monetazione. E se ciò fu rimandato al febbraio del 274, fu soltanto

per via dei pressanti impegni militari che Aureliano si trovò a fronteggiare, nel tentativo

di restituire all'impero quell'unità territoriale che era presupposto indispensabile agli

occhi dell'imperatore – per poter attuare tutte quelle misure necessarie a rilanciare

l‟impero, attraverso l‟attuazione di una più vasta politica di restaurazione – e che il

regno di Zenobia e la sopravvivenza dell'impero Gallico ledevano.

278 Così Homo 1967, pp. 169 s. e Bernareggi 1968, p. 67; Mazzarino 1956, p. 370.

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88

Anche se nella realtà la riforma monetaria di Aureliano si estese a tutti e tre i

metalli, Zosimo279

– l'unico autore antico che ci abbia lasciato notizia della cosiddetta

riforma – mostra che l'attenzione dell'imperatore e dell'opinione pubblica si focalizzò

essenzialmente sulla moneta di argento280

,cui poi ha fatto seguito la riforma dell‟aureus

e poi le monete di bronzo281

. Più in generale, invece, si assiste ad una politica di

potenziamento dell‟attività delle zecche, che ebbe come principale conseguenza, un

accrescimento della massa monetaria, ma soprattutto un decentramento, come appare

già dalla rivolta del 271. All‟atto pratico, al di là delle singole e pratiche riforme di

appesantimento, arricchimento o svalutazione delle monete, la cosiddetta riforma di

Aureliano va interpretata, provando a capire come essa si possa inserire nella politica di

un più generale rafforzamento del potere; per risanare la situazione monetaria –

risanamento che poi all‟atto pratico si dimostrerà comunque limitato considerata anche

l'assoluta impossibilità di ritornare ad emettere una moneta d'argento puro – e per

riportare ordine in una caotica circolazione, si rendevano necessarie delle riforme che

dessero certezze e stabilità ad un sistema che nell'ultimo cinquantennio era stato

soggetto a continue variazioni. L‟operato di Aureliano, si inserisce proprio in

quest‟ottica di rilancio dell‟economia e delle transazioni commerciali, ed è tutto

sommato di secondaria importanza il fatto che ciò poi non avvenne e non ci fu la ripresa

sperata. Nelle intenzioni di Aureliano, la marca XXI282

voleva essere un'assicurazione

279 Zos. I 61, 3. 280 Savio 2002, p. 198. 281 Cubelli 1992, pp. 60-63. 282 Per la lunga diatriba sulla marca XXI (KA in greco), o XI (IA), crf. Cubelli 1992, pp. 67-88. La

conclusione è che la marca XXI faccia riferimento non al valore delle monete, noto a tutti perché

immutato rispetto al passato, bensì alla percentuale di fino in esse contenuta, nel nostro caso

rispettivamente il 5 % ed il 10 %, come è confermato dai dati metrologici. Inoltre, la marca XXI, iscritta

com'è all'esergo del rovescio e inserita tra altre marche di zecca che indicavano l'officina e la zecca

emittente, appare, come del resto queste ultime, messaggio non rivolto al pubblico, quanto piuttosto

assicurazione di ciascuna zecca (cosi immediatamente identificabile) di aver rispettato gli standard

ordinati dall'imperatore. Del resto, se essa fosse stata marca di valore, ovvero destinata al pubblico,

sarebbe stata collocata in un luogo a tal fine più adatto che non l'esergo del rovescio: è un fatto che l'unico

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89

da parte degli operai della zecca di aver rispettato il nuovo standard del contenuto

d'argento (il 5 % appunto), ordinato dall'imperatore, che cercava così di imporre rigidi

controlli non solo in un settore tanto delicato come quello della monetazione, attraverso

il complesso sistema delle marche di zecca, ma anche in altri campi e settori.

Nessun intento riformistico dunque nell'operato di Aureliano, ma semplice

politica di rilancio e di rafforzamento.

L'obiettivo fondamentale che Aureliano si era prefisso attraverso l'attuazione della

sua cosiddetta riforma monetaria era quello di restituere il sistema monetario romano

nella sua integrità sotto l‟egida imperiale, programma del resto conforme a tutto il suo

operato di restauratore, e attuato riformando il controllo imperiale, proprio tramite il

complesso sistema delle marche di zecca, e l‟ulteriore aspetto della nuova disposizione

territoriale degli atelier, potenziati e decentrati rispetto al passato, in una prospettiva

futura di decentramento amministrativo, sempre però con il controllo e la direzione del

potere centrale. E non importa che la realtà dei fatti, almeno quella che dai dati a nostra

disposizione può essere ricostruita, impedì la realizzazione di questi obiettivi,

mostrando piuttosto ben altri esiti; o meglio, non importa al fine di questa trattazione,

dal momento che qui è importante capire e precisare maggiormente le dinamiche e le

motivazioni alla base dell‟agire, più che i veri e concreti risultati. Per quanto si sia

dimostrata fallimentare – e del resto saranno fallimentari anche i tentativi degli

imperatori successivi, compreso anche Diocleziano283

– essa comunque mostra per la

prima volta dopo molti anni, un tentativo e una volontà unificatrice, una progettualità e

dei piani a lungo termine e non rivolti semplicemente a soddisfare le proprie esigenze

segno di valore, o meglio l'unico segno che sancisce una tariffazione di una moneta a noi noto, l “X

barrato” presente sui denarii repubblicani per comunicarne l'accresciuto valore da 10 a 16 assi, compaia

sul diritto nel campo e bene in vista. 283 Corbier 1986, pp. 489-533.

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egoistiche. È con Aureliano che assistiamo ad un rinnovato spirito riformatore che

guarda al di là del proprio naso e del proprio mero interesse personale ed è per questo

motivo che è da Aureliano che farei iniziare il Tardo antico, il processo di ripresa e di

fioritura di un nuovo periodo.

Sempre secondo l‟ottica di una progettualità imperiale di più ampio respiro, di

un‟idea e di una programmazione a lungo raggio per l‟impianto statale e di

riaffermazione proprio del ruolo egemonico del centro su tutte le altre compagini sia

sociali, che economiche e politiche, si collocano provvedimenti quali la costruzione

delle cosiddette mura Aureliane284

le elargizioni gratuite non solo di grano, ma anche di

vino o carne, alla plebe di Roma285

.

Un aspetto curioso è che nonostante la diversità delle fonti, e le discordanze

presenti tra loro, tutte quante bene o male riportano la costruzione delle mura; esse sono

uno degli aspetti più enunciati, raccontati e presentati per il periodo di Aureliano, quasi

a sottolineare la rilevanza che una simile opera ha rivestito per il mondo romano di quel

tempo286

. E al di là del singolo episodio, nuovamente bisogna chiedersi le motivazioni

che hanno spinto Aureliano ad intraprendere un simile progetto.

Ad un occhio meno attento, la motivazione risiederà sicuramente nella necessità

di difesa e nell‟esigenza di una maggiore protezione per quella che era ancora la capitale

dell‟Impero, soprattutto se si tiene conto che questo è un periodo in cui le invasioni

portano i nemici pericolosamente vicini a Roma; le fonti stesse287

presentano una tale

visione e alcune di esse sostengono che un tale progetto era nato addirittura prima di

284 Autorevole è il lavoro a questo proposito di Johnson 1983, pp. 9-54 oppure Cozza 1987, pp. 25-52; cfr.

inoltre Dey 2011, pp. 110-159. 285 Watson 1999, pp. 148-152; Cecconi 2009, p. 69. 286 Per una descrizione molto più accurata delle Mura Aureliane, vedere Watson 1999, pp. 145-52 oppure 287 Chronica Urbis Romae, p. 148; Vict:Caes, 35.2; Malasas 12.299-300; e ancora Zos. 1.49.2; infine è

interessante la Vita Aureliani, perché è l‟unica fonte che ci parli anche di una preventiva consultazione del

Senato 21.9-10.

Page 91: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

91

Aureliano, in particolar modo a partire dalle invasioni alemanni che c‟erano state sotto

Gallieno288

e che avevano imperversato per l‟Italia e minacciato Roma. E sicuramente

un primo motivo è anche stato quello di fornire un sistema difensivo più moderno ed

efficace, tenuto anche conto che non si verificavano grandi interventi sulle mura della

città sin dal tempo di Servio Tullio289

; sicuramente, dicevo, perché c‟era anche tra la

classe dirigente dello stato la percezione di una crisi dell‟impero che non riusciva più a

tenere a freno e lontani i nemici di Roma; spiegazione quindi valida ma non sufficiente.

Se infatti è proprio con la crisi del III secolo, con l‟affermarsi della conflittualità interna,

e l‟irrompere nei territori di popolazioni barbariche, che si assiste in tutto l‟impero ad un

processo di fortificazione delle città290

, bisogna tuttavia notare come la semplicità della

realizzazione del progetto implichi anche – e forse soprattutto – qualcos‟altro. Infatti tra

le varie peculiarità dei romani, le opere di fortificazione erano uno dei loro punti forte,

una loro prerogativa frutto di anni di pratica, e mi sembra difficile pensare che si

sarebbero limitati ad erigere delle semplici mura, se il loro vero obiettivo fosse stato la

difesa della città. Se romani erano in grado di approntare in breve tempo fortificazioni

ben più massicce e considerevoli di quelle che sono state erette, allora sorge spontaneo

chiedersi: come mai delle semplici mura? Quale valenza può rivestire una simile opera?

La spiegazione può essere molto banalmente la fretta, scaturita dall‟ansia di circondare

e proteggere Roma per la paura di immediati attacchi, ma – di nuovo – considerata la

velocità di realizzazione degli ingegneri e dei soldati romani in materia di opere

difensive, rimane difficile crederlo. Concordo quindi con la visione di Jones (1990)

secondo cui alla costruzione delle mura parteciparono i cittadini, o comunque persone

288 Vict:Caes, 35.7 e SHA:Aur, 21.9; Zos 1.37.2-4. 289 Todd 1978, pp. 17-20. 290 Johnson 1983, pp. 9-54.

Page 92: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

92

senza competenze specifiche291

e neanche senza particolari competenze o supervisioni

militari, strategiche e balistiche: sulle torri non era possibile posizionare l‟artiglieria così

come c‟erano troppe porte che si aprivano sulle mura e indebolivano la struttura.

Sembrano quasi essere state costruire per respingere attacchi a bassa intensità di

popolazioni, giusto come primo e temporaneo ostacolo che desse tempo all‟esercito di

intervenire, visto che non avrebbero sicuramente fermato un esercito equipaggiato e

deciso ad un vero e proprio progetto di conquista292

.

Un‟altra spiegazione, a mio avviso, è dettato dalle forti valenze psicologiche che

una tale opera può aver rivestito, e che si articolano secondo diversi livelli. In primis,

sugli abitanti della città di Roma, che in questo modo arrivava a sentirsi più sicura,

protetta e che, partecipando lei stessa alla costruzione delle proprie mura, in vista del

pericolo dei barbari, arrivava a sviluppare un nuovo e più rafforzato senso di coesione

interna, di solidarietà e attaccamento alle istituzione, con una parallela perdita della la

riottosità o dell‟animosità per i disagi che stava patendo. Questo è un aspetto non

trascurabile, soprattutto se si considera l‟instabilità e la crisi di quel periodo, che

rendevano i cittadini, e in questo caso Roma, una polveriera pronta ad esplodere293

,

sempre in fibrillazione in agitazione, in uno stato di perenne insicurezza, ansia e

tremore; un simile provvedimento, almeno negli strati più bassi della società, poteva

servire come calmante, come sedativo per gli animi più inquieti, dato che forniva

un‟apparente e maggiore protezione. Una simile tesi è a mio avviso avvalorata dalla

riforma sulle elargizioni di grano portata avanti da Aureliano che aggiunse alle normali

291 Duncan-Jones, 1990, pp. 79-92; Richmond 1930, pp. 7-15; 57-62; 76-78; Dey 2011, pp. 12-70. 292 Richmond, 1930, pp. 65-67; 242-243. 293 Del resto è risaputo che la rivolta dei cittadini è sempre stato una delle principali paure dei governatori

di Roma.

Page 93: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

93

razioni, anche carne, olio e vino294

, nonostante questo comportasse un ulteriore

dispendio di risorse. Per quale motiva infatti, un imperatore così oculato e attento alle

spese e alla situazione finanziaria più in generale, avrebbe dovuto intraprendere una

simile riforma, se non fosse stato consapevole della necessità di un simile

provvedimento, della pericolosità della popolazione nullafacente di Roma e del suo

carattere altamente sovversivo?

Un‟altra spiegazione che può emergere e spiegare la costruzione delle mura di

Roma, è di carattere più propriamente ideologico; infatti, se psicologico è il senso di

protezione che esse suscitavano nella popolazione, altamente simbolico è la figura e la

concezione del sovrano o imperatore, come l‟architetto per eccellenza. Esso può anche

essere anche un modo, uno strumento dell‟imperatore per rafforzare e legittimare il

proprio potere e assicurarsi il sostegno dei cives di Roma. La costruzione è sempre stata

vista, anche nelle epoche successive, come atto in sé per affermare la propria autorità, il

proprio diritto a governare: il Re/ Imperatore è spesso considerato e visto come un

costruttore, come ad esempio Virgilio che farà dire a Giove, nella profezia ad Atena, per

indicare gli atti fondamentali cui l‟eroe è chiamato nella sua missione di fondare Roma,

“Egli dovrà schiacciare popolazioni feroci e stabilire per i suoi uomini Mores et

Moenia295

”. Lungo tutta la storia, ben prima del principato, chiunque abbia voluto

lasciare un segno, chiunque abbia pensato di legittimare o rilanciare il proprio potere, il

proprio ruolo, ha sempre dato luogo ad opere di costruzione, anche per l‟alto e

intrinseco valore di maestosità racchiuso nelle grandi opere296

. Questa precisazione è

294 SHA:Aur, 48.1-4 e Vict:Caes, 35.7 parlano di vino; [Vict]:Epit, 35.6 e SHA:Aur, 35.2 aggiungono poi

elargizioni di maiale; Zos 1.61.3 pane, mentre SHA:Aur, 48.1; 45.1 aggiunge ancora sale e olio; per degli

studi più recenti cfr. Fisher 1929, pp. 133, 144; Homo 1967 pp. 177-179, Mattingly 1961, p. 307-308;

Pearson 1976, pp. 74, 142-3. 295 Ciro iniziò immediatamente a costruire templi e mura, così come fece Alessandro quando entrò a

Babilonia e iniziò a restaurare i templi (Arrian:Anab, III.16); vedere anche Verg:Aen, 1.263-64. 296 Richmond 1930, pp. 8-9; Downey 1950, pp. 57-68.

Page 94: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

94

una costante presente sin dalle origini di Roma, addirittura a partire da Romolo e dalla

leggenda ad esso connessa; una delle motivazioni alla base del fratricidio risiede proprio

nella violazione del solco da parte di Remo, solco che Romolo sta tracciando per erigere

le mura. Secondo le testimonianze riportate dalla tradizione antica infatti la costituzione

del pomerium si svolgeva in maniera analoga al rito utilizzato dai romani per la

fondazione delle città, e la costruzione delle mura297

. Le mura infatti hanno sempre

avuto un carattere sacro e all‟inizio erano addirittura connesse con la concezione del

pomerium, altro importantissimo concetto per i romani298

. E questa connessione tra

mura e pomerio la troviamo in Aureliano stesso, dato che anche questo imperatore

rientra nell‟elenco dei pochi comandanti romani che abbiano ampliato o esteso i confini

di Roma299

. Inoltre è importante ricordare come il diritto a spostare la linea sacra di

confine, era una prerogativa che tutti non si potevano arrogare, ma solo quei generali

vittoriosi che avevano conquistato nuove terre per la Res Publica o l‟impero300

. Ho

chiamato in causa anche il concetto di pomerio proprio per sottolineare

l‟interconnessione che si trovava a quel tempo tra limes o pomerium, e tra mura e

religione, o, in termini più generali ancora, il legame tra l‟edilizia, il sacro e la persona

dell‟imperatore. Come in molti aspetti delle società antiche, il carattere religioso

permeava la vita del singolo individuo, si legava ad essa e ne condizionava l‟esistenza;

così nel momento in cui Aureliano vuole rilanciare il proprio regno, la propria azione di

297 Gell, XIII, 8, Liv, I.44.3, Strab, VII. 298 Per uno studio o comunque una lettura più approfondita sul pomerium, il limes, e più in generale sulla loro sacralità, cfr. Sordi 1988, pp. 236-284; Sordi 1988, pp. 272-294; Zanini 1997. 299 Anche se la leggenda e le fonti antiche vogliono che il primo ad ampliare il pomerio sia stato Romolo,

studi recenti hanno mostrato invece, come l‟azione sia successiva, e non è una coincidenza se il nuovo

punto di riferimento sia stato individuato proprio con Servio Tullio, re cui è attribuita anche la costruzione

delle mura. Sulla connessione tra murus e pomerium, è particolarmente indicativo Liv, I, 44.3, mentre

come studi più recenti vedere Simonelli 2001, p. 153. 300 Per le fonti antiche vedere Cic:Att. XIII.20.1; 35.1; Plin:HN, III, 127; Strab, VII; Sen:Brev, 13.8. Tra

gli studi più recenti sempre sullo stesso argomento, ho trovato molto interessante Syme 1983, p. 140,

quando emerge che “ il verbo augeo si trova quando si è registrata un‟estensione del pomerium, applicato

per i confini dello stato, comparendo soprattutto nello schema, nella formula dei cippi”, SHA:Aur, 21.9.

Page 95: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

95

governo e i propri progetti di riforme, è considerevole che agisca e intervenga

considerando tutti gli aspetti, proprio nel tentativo di raggiungere tutti gli strati della

popolazione, di toccare tutti gli ambiti e le sfere della società.

Conclusione Volendo a questo punto concludere, mi è sembrato opportuno evidenziare questi

aspetti, anziché altri, proprio perché mi sono sembrati i più idonei e i più rappresentativi

dell‟azione di Aureliano nel suo progetto di renovatio imperii. È tramite queste riforme

e questi interventi che Aureliano prova ancora una volta ad affermare la propria

immagine; e compie un tale lavoro, dopo essere intervenuto sull‟esercito, provando ad

incidere e ad influenzare un‟altra delle componenti fondamentali della società di allora,

e cioè la plebe urbana che sin dal principio – ben prima cioè dell‟avvento del principato

– ha costituito una voce a se stante e particolare nella compagine della storia di Roma.

Da sempre, chiunque sia stato al potere a Roma, ha avvertito l‟esigenza di tenerne

occupata la popolazione; Aureliano prova a rassicurare così i cives romani giocando su

di un livello psicologico, quasi a livello dell‟inconscio. L‟obiettivo diventa così duplice:

rassicurare un‟epoca che comunque è difficile, e in cui sono richiesti grandi sacrifici

anche per il crollo di grandi certezze come poteva essere l‟inviolabilità del suolo italico,

e dall‟altra, legittimare sempre e comunque il proprio ruolo di sovrano, di guida

dell‟impero, attraverso l‟immagine dell‟imperatore-architetto301

, di colui che ha a cuore

la salus di Roma, di colui che si spende per i propri sottoposti, di colui che si rinnova e

rilancia il potere di Roma, mantenendosi però sotto le direttrici della tradizione. Una

guida che però diventerà sempre più lontana e ieratica e che quindi ha bisogno di

301 Ed è anche secondo questa chiave di lettura che si può introdurre o connetter e la edificazione del

nuovo tempio del Sole e anche l‟istituzione del nuovo culto: l‟imperatore è colui che fonda, che costruisce

che porta avanti progetti riformatori.

Page 96: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

96

trovare nuovi appigli cui ancorare il proprio potere e che pertanto avverte l‟esigenza di

rilanciare e rifondare anche le basi costituzionali del potere, basi che devono essere

salde e universalmente riconosciute. E a questo proposito, si inserirà la riforma

religiosa: non esisteva infatti niente di più fondante e solido della divinità. L‟esigenza di

un rinnovamento delle prerogative dell‟imperatore stesso si traduce nella ricerca di

nuove adesioni e consensi, di ulteriori poteri e caratteristiche. Quando Aureliano

rinnoverà il pomerium, poco dopo darà vita anche alla costruzione del nuovo tempio del

Sole302

; di nuovo, le mura come riconoscimento dell‟aspetto militare della società, il

pomerio come anticipazione e premessa della riforma religiosa303

.

302 Homo 1967, 184-95; Randall 1991, pp. 344-51;Watson 1999 , pp. 188-202. 303 Sviatoslav 2004, pp. 568-578.

Page 97: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

97

AURELIANO: UN SOLE CHE SORGE

empre in merito agli ultimi sviluppi e tematiche affrontate in questa

trattazione, esiste un altro fattore determinante della vita di Aureliano

che permette di arrivare ad un altro caposaldo della struttura e

dell‟organizzazione dell‟impero; mi riferisco a quella sfera della vita umana che

riguarda ciascuno di noi e che in ciascuno di noi è presente, a prescindere dall‟epoca; la

connessione con l‟ultraterreno. Non dovrebbe pertanto sorprendere se il legame con il

divino sia legato alla sfera pubblica, visto che è sempre stata in relazione con essa e che

non è mai stato possibile scindere i due aspetti304

. Apparentemente forgiati in un legame

covalente, entrambi si sostengono a vicende e ognuno di loro trae un proprio

giovamento dalla relazione con l‟altro. E questo rapporto vale per gli uomini primitivi

che andavano alla scoperta del mondo circostante come per gli abitanti della Francia del

Re Sole; non credo dunque che ci sia da stupirsi se lo si riscontra anche in Aureliano.

Infatti, tra le varie riforme da lui compiute e che si sono messe in evidenza, bisogna

sicuramente menzionare l‟introduzione del culto del Sol Invictus.

Come emerge per tutto l‟arco e in tutti i campi della storia dell‟impero, anche in

materia religiosa, occorre fare una distinzione tra Occidente ed Oriente; tra concezione

orientalis e occidentalis del divino, dal momento che anche in questo campo, essi

presentano significative differenze e ne influenzano in diverso modo gli sviluppi.

304 E visti sia gli aspetti positivi che negativi presenti nel rapporto tra città e impero, è impossibile parlare

di città senza incontrare la religione, dato che religione e politica non erano attività separate e allo stesso

modo è impensabile parlare di società antiche, svincolandole da un discorso ultraterreno, e ancora meglio,

non è fattibile riflettere sulla religione, lontana dalla politica, perché essa crea autorità per chiunque e con

chiunque con cui entra in contato. (Gigli 1947, p. 147).

S

Page 98: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

98

In generale per l‟Occidente, gli dei erano rispettati e anche venerati, ma poi tutto il

discorso non si traduceva in nient‟altro di diverso da questo aspetto formale305

:

background e trascorsi storici hanno portato gli occidentali ad avere una fierezza

particolare che impedisce loro di comportarsi come schiavi di un dio, come adepti ciechi

e fedeli, cosa che invece accadeva nel Levante, come in Siria o in Arabia. Nell‟ovest è

importante il conservare e mantenere la propria indipendenza e la disinvoltura che

l‟uomo libero deve avere verso i suoi superiori: chiunque si comportava in maniera

diversa incorreva nel giudizio e nella condanna di deisidaimonia, di superstitio306

– cioè

di superstizione307

. Improntati gli occidentali ad un maggiore pragmatismo, più tesi

verso l‟alto, verso una riflessione astratta, teorica e metafisica gli altri; meno riflessivi

ma più immediati e inclini a semplici e diretti rapporti di forza, i primi, mentre i secondi

erano incentrati maggiormente sulle questioni dello spirito e dell‟anima, su riflessioni

ontologiche, su culti misterici e filosofie trascendentali. Questi ultimi, in particolare,

conservavano evidenti connotati della tradizione religiosa delle regioni di origine, e in

particolar modo di paesi esotici e lontani come la Persia, l‟Arabia o l‟India; avevano

sacerdoti professionisti e non pubblici, assunti dalle comunità di fedeli e lo scopo del

culto era rivolto non tanto a propiziare la vita e la potenza della comunità politica,

quanto piuttosto ad ottenere il benessere del corpo e dell' anima del singolo fedele.

Inutile ribadire quanto forte debba essere stato il primo impatto sulla societas romana di

305 Come termometro per il rapporto che intercorreva tra uomo e dio nell‟antichità romana, citerei alcuni

episodi descritti dalle fonti antiche che ben mostrano come non ci fosse un atteggiamento di completa sottomissione e di come fossero considerate le divinità stesse: “Alla morte di Germanico, la plebe romana

gettò pietre contro i templi e rovesciò gli altari (Suet:Calig, IV, 1); o ancora, sul finire dell‟antichità,

l‟imperatore Giuliano, indignato per aver subito una disfatta militare, rifiutò di sacrificare a Marte

(AmmMarc., XXIV, 6)”. 306 Così apprendiamo da Cicerone quando parla di supertitio e dei limiti che essa rappresentava alla

tolleranza romana; infatti non era considerata degna una religione che implicasse un timore eccessivo

degli dei (Cic:Verr 2, 51, 113). Sempre a proposito di superstitio come ogni religione che implicasse un

timore eccessivo degli dei, particolarmente pericolosa poi se il culto suscitava forti emozioni, morbus

animi, vedere Cic:Fin. 1. 59-60; Cic:Div. 2.148; 2.125; 2.81;Cic:Domo 105. 307Veyne 2007, p. 369.

Page 99: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

99

questo modo di pensare e di intendere il rapporto con l‟ultraterreno; tuttavia quello che

deve aver aiutato nel momento dell‟incontro-scontro tra queste due realtà deve essere

stata la tolleranza308

romana, la quale si può a mio avviso esemplificare e tradurre nel

fenomeno dell‟evocatio309

.

Evocatio

Con questo termine viene indicato quel processo o quella cerimonia religiosa,

condotta dal generale romano, con cui veniva trasferita a Roma la divinità di quella

particolare popolazione o tribù contro cui si stava combattendo, e che diventava così

parte integrante del pantheon Romanorum310

. E ancora “l’evocatio è l‟estensione del

culto dei Romani, che catturavano le funzioni e le proprietà delle divinità straniere,

inserendole così all‟interno del proprio corpus deorum311

, attribuendo loro nomi e

caratteristiche romane, per scongiurare vendette da parte delle divinità delle tribù

nemiche. A spiegare meglio la portata e l‟entità di una simile pratica, può servire forse

l‟esempio di Servio312

o di Macrobio313

, quando dicono che, dopo la sconfitta di

Cartagine nel 146, Scipione Emiliano pregò l‟equivalente divinità cartaginese di

308 Veyne 2007, Pag. 274. 309 La formula di evocatio era pronunciata dal dittatore o generale romano, e da nessun altro, prima di

affrontare un nemico; essa aveva lo scopo di evocare le divinità protettrici della città nemica, all'inizio

dell'assedio. 310 Per fare un esempio concreto, a Palmira sono stati rinvenuti nomi di una sessantina di divinità che non

sono rivali tra loro (Veyne 2007, Pag. 274). 311 L‟esigenza di una costante apertura religiosa (nel tempo e nello spazio) verso i peregrina sacra risulta

connaturata con la concezione romana di pax deorum, dato che la massima preoccupazione della teologia sacerdotale consisteva nel conseguire – e soprattutto conservare – la “pace degli/con gli dei”: condizione

essenziale per la stessa vita del Populus Romanus. Grazie alla peculiare concezione di questa pax deorum,

la religione politeista romana fu sempre in grado di far coesistere nello stesso ambito le esigenze cultuali

particolaristiche del Popolo romano e la tensione universalistica della sua teologia e del suo diritto.

Nell‟arco temporale della sua storia millenaria, la religio del Popolo romano appare fortemente

caratterizzata dalla costante preoccupazione di integrare lo “straniero” (divino e umano): dalle divinità dei

vicini alle divinità dei nemici; Su questo complesso fenomeno, interpretato in termini di “estensioni” e

“mutamenti” della religione tradizionale ho trovato molto utile Dumézil 1977, pp. 355-369. 312 Serv:Aen. 12.841. 313 Macrob:Sat. III, 9.1-13, oppure Garnsey 1987 p. 170.

Page 100: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

100

Giunone, di abbandonare Cartagine e di andare a stabilirsi a Roma314

: ogni divinità era

ben accetta da Roma e dai suoi abitanti e riceveva lo stesso paritario trattamento315

.

Gli unici rifiuti ai riti o ai culti stranieri erano dovuti a questioni politiche, al fatto

che questi ultimi potessero rappresentare una minaccia per il controllo politico delle

autorità romane sulla popolazione. Altri interventi dell‟autorità romana, volti a proibire

riti o pratiche religiose, si verificavano quando erano dotati di strutture proprie e

personali che non si adattavano e non si integravano con quelli classici, oppure che si

svolgevano in privato, di nascosto o di notte e al buio, e che prevedevano segretezza o

atteggiamenti smodati e poco consoni alle virtù classiche romane: celeberrimi a questo

proposito, i Baccanali316

. Unico motivo di una loro soppressione quindi, era nient‟altro

che l‟attuazione della tradizionale politica romana di infierire solo su quegli elementi

delle religioni o delle società che impedivano l‟affermazione e il rafforzamento

dell‟impero romano stesso317

. La dirigenza romana, non importa se il senato nella

314 Whittaker, 1978, p. 143; inoltre per un‟analisi più approfondita, cfr. Ferri, 2006, pp. 205-244. 315 Nel settembre del 1970 Alain Hall ha scoperto a NO di Bozkir, nell‟attuale Turchia centro-

meridionale, un‟iscrizione su un blocco di granito relativa alla conquista della città di Isaura Vetus da

parte di P. Servilius Vatia; questa è stata una scoperta di grandissima importanza perché è una delle poche attestazioni epigrafiche che ci permettono di toccare con mano tale procedura: con essa si mirava a

privare la città nemica della sua divinità tutelare e una volta ottenuto il beneplacito del dio, si procedeva

all‟ultimo assalto delle mura (Liv. V 21, 4). . Dopo l‟espugnazione era possibile una consecratio della

città e aveva luogo il trasferimento della statua cultuale a Roma, dove veniva dedicato un tempio alla

divinità e/o veniva istituito un culto in suo onore. La pratica è da riferire specificatamente agli episodi

bellici, precisamente agli assedi, mentre in tempo di pace i peregrina sacra erano assunti ob quasdam

religiones, cioè per determinate ragioni d‟ordine religioso: entrambi venivano praticati a Roma allo stesso

modo che nel paese dal quale

provenivano. La motivazione alla base del rito era costituita dalla convinzione che, senza il previo

abbandono della divinità protettrice, una conquista della città non sarebbe stata possibile o comunque per

non commettere un sacrilegio. Per quanto riguarda le informazione relative a questo importante

ritrovamento, vedi Ferri 2010, pp. 183-194. 316 Liv, XXXIX, 8 –18, fatto testimoniato anche da un‟iscrizione bronzea rinvenuta nel 1640 a Tiriolo, in

Calabria, contenente il testo del “senatoconsulto” del 186 a.C., emanato per reprimere il culto di Dioniso:

Si tratta di una tavoletta di bronzo contenente il testo del decreto con cui il Senato Romano bandì i culti di

Bacco, comunicando alle autorità locali norme precise per la pubblicazione dell'editto, la pena di morte

per i trasgressori del decreto e l'obbligo di distruzione dei luoghi del culto non autorizzati dal Senato, CIL

2, 581. Per opere e trattati più recenti, vedere Nilsson, M.P., The Dionysiac Mysteries of the Hellenistic

and Roman Age, Lund 1957. 317 Abbiamo esempi e testimonianze sui druidi, Strab, 197-8; Caes:BGall, 6.14; Suet:Claud, 25.5;

Tac:Hist, 4.18.3. inoltre ci sono pervenute anche informazioni per le profetesse e i servizi sacerdotali

femminili in generale, come ad esempio Strab, 298 o Tac:Germ, 8.3, Tac.Hist, 4.61.2.

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repubblica o l‟imperatore nell‟impero, rimase sempre preoccupata e sospettosa di tutte

quelle forme di organizzazione plebea318

che non riusciva ad inquadrare e incanalare

secondo schemi precisi e definiti, a lei congeniali; era invece favorito e ben accetto tutto

quello che concorreva a rafforzare la presa della classe dirigente sul resto della

popolazione; ad esempio quindi, quelli che godevano di una qualche approvazione, o

comunque di minor sospetto, erano i collegi sacerdotali che l‟imperatore stesso aveva

costituito, gli augustales319

appunto. Si noti di nuovo il legame con la politica, dato che

tali pratiche erano viste come modo per tenere occupata la popolazione e per suscitare

consenso.

“Tao te Ching”: lato in ombra e lato soleggiato della collina

Paradigmatico è il caso dei cristiani320

e del motivo per cui furono perseguitati:

non per motivi religiosi, così come non per motivazioni dottrinali, ma civiche e

politiche; così come lo furono le ragioni che soggiacevano al rifiuto di Traiano alla città

di Nicomedia, di non permettere la costituzione di un corpo di vigili del fuoco: alla

base, riscontriamo una paura di derive politiche, di formazione di associazioni

potenzialmente pericolose e “rivoluzionarie”321

.

Se non erano rilevate possibili derive eversive, esse entravano a far parte a tutti gli

effetti del mondo romano e acquisivano un proprio specifico posto, anche all‟interno

delle festività e degli eventi della società romana. Una simile apertura non dovrebbe poi

stupirci più di tanto, anche alla luce di quello che è stato detto finora; tutte queste

318 P. Clodio aveva fatto ampio uso di collegia per minare l‟autorità romana, per ottenere e raggiungere

l‟alta società, Cic:Sest, 7, 16-17; Plut:Cic, 28, 1. 319 Tac:Hist, 2, 95. 320 Plinius:Ep, 10.96.7. 321 Plinius:Ep, 10.34; Garnsey 1987 p. 157.

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102

festività infatti furono una conseguenza inevitabile dell‟evoluzione politica e sociale che

aveva portato i padroni dell‟impero a servirsi di ogni mezzo possibile, tra cui anche le

feste e le religioni introdotte e integratesi a Roma, per consolidare il dominio sulle

masse, fossero esse romane o peregrine322

. Nuovamente infatti, così come nella maggior

parte di tutte le società antiche e non solo, la religione e le sue istituzioni riflettono i

rapporti di forza all‟interno della società e della comunità, forniscono la giustificazione

per l‟ordine esistente e per il dominio sul resto della popolazione e sono appannaggio

degli istituti e dei gruppi politici dominanti323

.

E questa relazione è una costante che ha resistito ai vari mutamenti politici,

amministrativi e culturali della Città Eterna; infatti, anche se la transizione

dall‟oligarchia alla monarchia comportò cambiamenti anche nei modi di concepire,

praticare e rappresentare la religione e il potere, il connubio rimase: Augusto

reinterpretò le forme religiose tradizionali, utilizzandole come veicoli con cui poter

meglio esprimere e rafforzare le proprie politiche egemoniche e le proprie pretese di

rivitalizzazione e restaurazione della Res Publica, ricorrendo alla costruzione di templi,

alla riorganizzazione dei collegi sacerdotali, all‟introduzione di nuovi culti. Tuttavia,

con il Principato, iniziano a manifestarsi i primi segni di cedimento che poi si

paleseranno secoli dopo. Il nuovo disegno e la nuova riforma di Augusto così come

tutto il nuovo impianto del principato, sopravvivrà solo fino a quando si manterrà carico

del potenziale e delle valenze politiche324

. Infatti, fino a quando la religione si mantiene

una sezione della vita dello stato, fino a quando ne rappresenta un aspetto inscindibile

all‟interno della polis che spinge, sprona e invoglia il singolo ad aderire pienamente alla

propria comunità, poiché vi trova una completa soddisfazione, non si sente il bisogno di

322 Carcopino 1982, p. 235. 323 Garnsey 1987, p. 163. 324 Gigli 1947, P. 25.

Page 103: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

103

maggiore indagine e riflessione religiosa. Ora invece, la coscienza umana avvertiva un

peso nuovo che prima era stato tralasciato se non disprezzato. Per secoli l‟uomo aveva

dedicato tutto se stesso allo stato, subordinando la propria personalità ad un ideale che

interpretava le sue esigenze e soddisfaceva le sue aspirazioni. Prima – con la Res

Publica – l‟uomo romano aveva lo Stato cui dedicare anima e corpo e che riempiva quel

suo vuoto interiore, presente in ciascuno di noi ma spesso latente o compresso e

“distratto” da altre occupazioni; poi con l‟avvento del principato, anche se non avvertito

immediatamente, verrà sempre meno la sua partecipazione alla vita pubblica e politica,

e sentirà nascere un desiderio di profondità sempre maggiore, un‟aspirazione a dedicarsi

a qualcosa di nuovo che lo riempia così come lo riempiva la vita pubblica. Il

paganesimo della Res Publica era una religione spiritualmente assai povera, anche

perché si trattava di un utilitarismo grossolano praticato nei rapporti con il

soprannaturale, che difettava però di un accento d‟intima e personale comunione tra

uomo e dio. Era un rito, con uno spirito tutto laico e celebrato da chiunque, sia nella

sfera privata che pubblica. Una religione che non toccava per nulla la vita morale, che

non si interessava delle domande dell‟individuo e della sua coscienza e che bollava

come superstitio325

ogni ulteriore tentativo di un approccio più diretto e intimo.

Nell‟Olimpo tutto si svolge secondo i metodi della terra e nei Campi Elisi anche le

ombre più felici sospirano e rimpiangono unicamente le dimore dei terrestri, con la vita

dell‟anima che si depotenzia in una triste dimora senza sole e buia sempre326

. Dopo

generazioni di attività, rivolta in particolar modo alla vita pubblica, era come se fosse

nata una frattura, una barriera: il calore dell‟ambiente familiare con i suoi valori si era

estinto; gli interessi comuni sembravano svaniti oppure banali, ridotti ad un puro

325 Vedi supra p. 91, 326 Verg:Aen, VI.534.

Page 104: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

104

formalismo, e addirittura opprimenti; ora non solo lo gnostico “si sveglia e la vita gli

appare un incubo da cui si fugge, non sapendo dove andare oppure si rimane inerti,

schiacciati327

”.

Tra l‟epoca di Cicerone e quella degli Antonini, la religione cessa di essere

indegna di un uomo di cultura e si apre a nuovi orizzonti. Per Cicerone, e si prende lui

come esempio e rappresentante di tutti gli intellettuali che erano abituati a cibarsi di

parole e ragionamenti, la religione era pura formalità e non rivestiva importanza se non

a livello politico; per la sua epoca infatti, in cui la religione si riduceva a mere

superstizioni, il paganesimo antico sembrava infatti limitarsi ad un folklore rituale,

perché l‟unica ad avere dignità e importanza era l‟espressione verbale che arrivava a

contare tanto quanto gli atti e che rappresentava un demarcatore sociale: infatti

“cultura” indicava anche “non pensare come il vulgus”, privilegio che denotava,

marcava e distingueva la nobilitas328

. Ora invece si è di fronte ad un cambiamento

radicale, frutto forse proprio di quelle mutate condizioni politiche e del diverso ruolo

che la politica e gli affari dello stato richiedono al cittadino. Certo il Pantheon romano

ufficiale sopravvive ancora, immutabile, almeno in apparenza, e le cerimonie

continuano a compiersi secondo il costume degli antenati: il problema è che sono gli

uomini che lo stanno abbandonando329

.

Con questa crisi, tuttavia, non si può dire che una propensione religiosa fosse

scomparsa da Roma né che fosse diminuita o che si fosse verificata all‟improvviso e

tutta insieme. Con un processo graduale, la fede romana si era semplicemente staccata

dal politeismo romano ufficiale e si orientava verso le sette filosofiche, le confraternite e

327 Ferguson 1970, pp. 88-98, Carcopino 1982, p. 150. 328 Veyne 1990, p. 247. 329 Carcopino 1982 p. 143.

Page 105: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

105

le religioni misteriche330

. Qui ottenevano risposte ai loro interrogativi e trovavano una

tregua alle loro inquietudini; qui i seguaci si sentivano proporre una spiegazione del

mondo, delle regole di condotta e una possibile via di liberazione dal male e dalla morte

che precedentemente non avevano avvertito331

.

L‟aspetto curioso è che Roma inizia ad avere una vita religiosa nel momento in

cui la religione di stato cessa di vivere nelle coscienze. Questo cambiamento si verifica

e avviene anche grazie al mondo orientale, all‟ellenismo, per mezzo della quale si

afferma e si diffonde la rivelazione di nuovi dogmi. L‟insegnamento delle filosofie

greche e orientali, per assurdo, anche quando arrivano a negare una vita dopo la morte o

quando gli esseri immortali vengono relegati nell‟inazione degli intermundia – come ad

esempio avviene per l‟epicureismo332

– professano comunque di essere liberatrici dalla

morte e dai suoi terrori, e rimandano ad un‟esistenza non legata o connessa a quelle

attuale, concreta e presente. Che vengano dall‟Anatolia o dall‟Iran, dalla Siria o

dall‟Egitto, che siano maschili o femminili, con riti cruenti o inoffensivi, queste nuove

divinità orientali mostrano caratteri simili, quasi identici: gli dei che vengono alla luce,

assicurano agli iniziati, senza distinzione di nazionalità o di condizione, protezione e

salvezza, facendosi portatrici di nuovi e più potenti messaggi di speranza. Oltre a questo

aspetto, esse abbagliano il fedele con lo splendore delle loro feste, con la pompa delle

loro processioni; con i canti e le musiche inebrianti, con la grandiosità e la

330 Niente rivela più chiaramente il clima di vivace cambiamento instauratosi nel III secolo, che il ruolo assegnato ai demoni che finirono per essere identificati come elementi del male intrufolati in qualsiasi

situazione di malattia o disgrazia; cfr. Fishwick 2002, p. 197-198. 331 Carcopino 1982, p. 150. 332 Turcan 1991, p. 144; sempre l‟autore pone in evidenza proprio questo aspetto e questa connessione tra

decadenza della partecipazione politica ed emergere di una più sentita partecipazione religiosa: la novità,

l‟innovazione di culti come quello di Iside o dei riti misterici più in generale, risiedeva nel fatto che

queste religioni non colpivano solo gli occhi e le orecchi, il cuore o l‟emotività. Davano ai fedeli una

ragione per vivere e per morire, una spiegazione del mondo, della creazione e della loro stessa esistenza.

Esse reintegravano l‟individuo nell‟ordine cosmico e divino e davano un‟identità, una speranza alle

coscienze angosciate che si ponevano problemi esistenziali.

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106

spettacolarità: è la stessa cosa che avveniva in precedenza per le manifestazioni, le

celebrazioni civili e politiche – come il trionfo o l‟investitura e l‟assegnazione di cariche

ed onorificenze – e che ora trova applicazione in questo nuovo campo. E a proposito di

salvezza, proprio questo termine si presta a ben spiegare gli stravolgimenti che stanno

capitando già nell‟alto impero e sfoceranno nel basso impero: il termine salus passa

dall‟indicare la “salute fisica” della repubblica e degli inizi del Principato, ad un

significato morale ed escatologico, che racchiude l‟idea di liberazione dell‟anima e la

beatitudine nell‟eternità celeste333

.

Man mano che si esaurisce la forza propulsiva che aveva caratterizzato il

Principato, iniziano a palesarsi i primi sintomi di declino, di distacco e di

allontanamento dalla religione tradizionale; soprattutto la maschera e la concezione

classica degli abitanti dell‟Olimpo subiscono forti contraccolpi, ed iniziano a sbiadire

perché non si adattano più all‟universo indistinto e imperscrutabile che sta emergendo

nella nuova realtà tardo imperiale. La religione romana tradizionale scivola sempre più

e sprofonda in maniera inesorabile verso il baratro: non sembrano esserci appigli e anzi,

con il progredire della crisi del III secolo, con l‟intensificarsi degli attacchi esterni ed

interni, con una situazione che diventa sempre di più difficile soluzione, il civis inerme

ha bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa cui sostenersi per provare a risalire, a

riguadagnare fiducia e speranza. La religione tradizionale non gli basta più, ma cerca e

trova lo stesso risultato nelle religioni alternative, soprattutto quelle misteriche. Nel

nuovo paganesimo cresce l‟importanza e l‟aspetto del rapporto personale, diminuisce il

numero delle divinità, le quali però perdono il loro regale capriccio per acquisire buona

fede. L‟essere celeste diventa un buon re – fino a quando non ci sarà una vera e propria

333 Carcopino 1982, p. 156; inoltre cfr. Caropreso P, et al., Salvezza, vol. XIX, p. 660; inoltre per un

confronto tra le due accezioni; Molari 1991, p.1384.

Page 107: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

107

coincidenza tra re ultraterreno e re in terra334

– che governa con le regole della ragione,

e l‟uomo attende di essere istruito dagli oracoli provvidenziali degli dei che però si

rivelano più chiari, diretti e profondi.

La crisi dopo Marco Aurelio, trovò applicazione nella monarchia militare di

Severo e la sua svolta assolutistica; infatti egli stabilì legalmente l‟eredità dinastica,

ponendo un energico accento sull‟assistenza data all‟imperatore dagli dei, che iniziano a

caricarsi di nuovi significati: le finzioni costituzionali gelosamente rispettate fino ad

allora, vengono messe da parte per favorire il successo dell‟assolutismo monarchico.

Nella sua posizione, il monarca, riconosciuto ora come divinamente favorito, appare

prima mediatore fra gli dei e gli uomini, e infine dotato di divina maiestas, in particolar

modo a partire da Diocleziano335

, ma con la considerazione che il terreno era già stato

preparato da Aureliano336

.

Venuta anche meno la fiducia nelle concezioni tradizionali e negli istituti che

incarnavano il potere centrale, ora si sente il bisogno di nuove visioni della vita e di

nuove prospettive, che rispondano alle nuove inquietudini ed esigenze. Il III secolo fa

nascere l‟esigenza di un maggior livello di profondità anche nella coscienza imperiale

che è, e dovrà essere, alimentata dai pilastri di un‟altra religione che rivaluterà

primariamente l‟aspetto militare: dall‟idea e dai valori di Roma Eterna, Vittoria

Augusta337

, genius Augusti338

, o dal numeroso panteon greco-romano, arricchito da ogni

possibile essere sovraumano incontrato nel processo di conquista, si finisce con una

communitas deorum sempre più ristretta, per poi arrivare al Sol Invictus di Aureliano e

334 È proprio con Aureliano che abbiamo il primo e legalmente riconosciuto legame e accostamento tra

Deus e Imperator, cfr. Turcan 1991, p. 221. 335Gigli 1947, p. 194. 336 Vedere Fig. 8, 9. 337 Si tratta di epiteti che rimarranno nel corso della storia dell‟impero romano, ma che verranno anche

ampliati ed estesi caricandosi sempre più di valenze e di riferimenti religiosi, sacri, divini. Cfr. figura 6. 338 Giardina 1989, p. 118

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108

infine al cristianesimo e al monoteismo in generale. D‟ora in poi si affermeranno

sempre più le idee orientali e l‟idea di monarchia assoluta, fondata sulla forza delle armi

e sul crisma religioso339

. Anche l‟alta civiltà e l‟autorità morale dell‟impero e del suo

sovrano esigevano che lo Stato onorasse pubblicamente un dio dalla superiorità

incontestabile, che rispondesse alle più alte esigenze dello spirito moderno.

Questa esigenza di generale centralizzazione e di rafforzamento della relazione tra

religione e corpo politico è avvertita proprio a partire da Aureliano, ma il problema che

si pone è sempre legato alle modalità con cui realizzarla, a quali processi dare maggior

risalto e su quali aspetti porre maggiormente l‟accezione. Quindi come riformare il

sistema e le credenze religiose in modo da legare e vincolare il maggior numero di

persone? Rivolgendosi al potente passato, come appoggiarsi ad esso senza reprimere i

mutamenti e porsi in linea di continuità? Come trasformarsi senza perdere le proprie

radici? Come far accettare questo cambiamento?

Dietro l‟azione di Aureliano, profondamente conscio di questi cambiamenti che

stavano avvenendo nella società, si cela una chiara ricerca di rivalutazione e rilancio

della Romanitas, in un grande progetto che arrivi ad cambiare e rifondare l‟intera

società romana. L‟idea che soggiace ad un simile progetto è una visione che si richiama

al passato e che ha nell‟istituzione del culto e nella formazione di un collegio

sacerdotale, con il princeps stesso che ne diventa pontifex maximus, il punto nodale, con

la ripresa dell‟evocatio340

repubblicana341

. Sicuramente può rappresentare un tentativo

di focalizzare e raccogliere la fedeltà delle persone intorno all‟impero e

all‟imperatore342

, per centralizzare cioè e condensare il potere e per assicurare ordine in

339 Figura 18. 340 Vedi supra p. 92. 341 Homo 1975, pp. 188-194; Ferguson 1970p.54; Halsberghe 1972, pp. 141-143. 148-152. 342 Parker and Warmington 1958 p. 208.

Page 109: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

109

un impero diviso e sconquassato343

. Lo sviluppo dato al culto del Sole, doveva servire a

porre il nuovo monoteismo al di sopra del politeismo, ma anche come alternativa valida

e profonda al cristianesimo e alle religioni misteriche; si trattò di una meditata

imposizione di carattere pubblico, fatta perché il sovrano fosse considerato di origine

divina e per preservargli e giustificarne il potere.

Elagabalo: il Sole pallido dell’inverno

La monarchia aveva bisogno di una teologia che la legittimasse. Gli imperatori si

accorgono che ci va un‟anima all‟impalcatura amministrativa, un qualcosa di più intimo

e profondo del culto di Roma e di Augusto e così anche loro si rivolgono ai culti

d‟Oriente344

. Il sole poteva essere il simbolo di un‟eventuale convergenza delle

coscienze in funzione di un ordine cosmico, giovandosi dei vari sincretismi che

spingevano i differenti culti a riconoscersi nell‟astro della vita345

. Il sole infatti, nel

mondo celeste, poteva rappresentare quello che l‟imperatore era nel mondo degli

uomini: Sol Invictus Imperator. Il giorno in cui il sommo sacerdote del Dio Sole fosse

diventato imperatore, si sarebbe giunti ad una sorta di conclusione anche logica e

teologica.

La devozione per il Sole è tipicamente Araba; l‟ammirazione per questa

onnipotenza tipica della Siria interna e del deserto: città siriache come Edessa, Hatra,

Hatra di Shamash, sono tutti esempi di luoghi in cui il culto del Dio Sole era molto

diffuso, con l‟aquila costantemente collegata all‟astro sovrano346

: da qiu, il passaggio

dall‟aquila imperiale all‟astro nascente è abbastanza immediato; gli attributi di Zeus o

343Homo1975, pp. 193-4; Mattingly 1961, p. 309; Halsberghe 1972, pp. 152-3. 344 Whittaker, C.R., Acculturation and Resistance in Religion, in Mattingly (1997), p. 143. 345 Turcan 1991, p. 96. 346 Turcan 1991, p. 27.

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110

Bàal di Heliopolis-Baalbek si ricollegano ugualmente al culto solare e presentano

caratteristiche molto affini. Il sole è un potente simbolo di trionfo, potenza, forza e

resistenza347

, e lo è sempre stato; troviamo sue attestazioni e un suo utilizzo come

simbolo e strumento di propaganda, già a partire dalla dinastia Giulio-Claudia348

. Nel

corso di tutta la storia romana esso si carica di un grande valore e di una grande

simbologia, e inizia ad apparire sotto forma umana con Vespasiano, poi con Adriano. È

con Settimio Severo che il sole pare acquisire valenze più istituzionali349

e ancora di più

lo sarà con Elagabalo (218-222)350

. Senza dilungarci troppo sulla sua riforma, possiamo

dire che quello che egli ha fatto è stato provare a concentrare nella figura del Dio Sole

Invincibile tutte le potenzialità divine che potevano riunire misteriosamente le diverse

testimonianze sacre dell‟impero in un‟unica realtà351

. Il tentativo era poi fallito proprio

nel suo progetto di collegare l‟imperatore alla popolazione e alla realtà circostante;

serviva ancora un passaggio obbligato che neanche Aureliano è riuscito a capire appieno

e che avverrà con il cristianesimo: nonostante tutto, anche questa nuova religione, non li

univa al dio; non li confortava, né forniva agli adepti la consapevolezza di lottare per la

salvezza di una creazione divina e o per un qualcosa comunque di più alto. Nonostante

tutto, la riforma introdotta da Eliogabalo rimaneva formale e non stabiliva un passaggio

dalla condizione di mortale a una immortale, dalla precarietà alla felicità; essa non

implicava un‟iniziazione che stabilisse un patto tra il fedele e la divinità prescelta e che

gli assicurasse una posizione privilegiata; non aveva escatologia e non offriva

347 Fig. 8, e poi e soprattutto, fig. 10. 348 Ferguson 1970, pp. 44-52, pp. 88-9; Turcan (1991) dice che certamente il culto dell‟astro diurno aveva

da molto tempo un suo posto nel pantheon ufficiale, tenuto anche conto che la teologia solare era sempre

più spesso associata al culto imperiale, tramite il simbolismo legato a Iupiter Maximus, Turcan 1991, p.

218. 349 Cain 2009, pp. 21-44. 350 Ferguson 1970, pp. 52-54; Halsberghe 1972, pp. 57-107. 351 Il fuoco perpetuo di Vesta, per esempio, veniva accostato e legato al fuoco celeste del Sol Invictus,

Turcan 1991, p. 110.

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111

apparentemente nessuna prospettiva di immortalità352

. Oramai l‟uomo tardo antico

aveva bisogno di sentirsi speciale; non garantiva affatto ai devoti una sicurezza in

questo o nell‟altro mondo, contro il destino o i demoni, contro le potenze del cielo o

dell‟inferno: era questa quello che veniva inconsciamente richiesto e che avverrà poi

pienamene con la religione di Cristo. Tuttavia, se Aureliano ha fallito nel capire e

introdurre questi aspetti, è stato comunque in grado di compiere un passo ulteriore

rispetto a Elagabalo; infatti Eliogabalo ha attuato una riforma che ha stravolto

completamente le istituzioni romane e si è fatta portatrice di cambiamenti troppo

radicali; la sua riforma si è presentata come completamente estranea alla tradizioni

romane e alla cultura dei senatori e della società in generale; Eliogabalo ha sconvolto

completamente le gerarchie umane, sociali e morali, Aureliano no.

Aureliano: il solstizio d’estate 353

Nello specifico, con Aureliano, possiamo dire che il dio Sole è stato sicuramente

un elemento comune e a lui ben noto sin dagli esordi; infatti è possibile tracciare una

sorta di evoluzione del “rapporto” dell‟imperatore con il Dio Sole, proprio a partire

dalla sua vita e dalla sua esperienza personale. Probabilmente il Dio Sole gli è stato

familiare fin dalla sua giovinezza354

, anche semplicemente perché era un culto molto

352 Turcan 1991, p. 143-146. 353 Il solstizio d‟estate qui l‟ho voluto intendere e riferire alla riforma di Aureliano che si può considerare – proprio come il sole nel giorno del solstizio d‟estate – come un sole che non è ancora quello tipico e

pieno dell‟estate, ma che è agli esordi; infatti la riforma di Aureliano, anche se non è stata in grado di

affermarsi e di dimostrarsi duratura, ha comunque rappresentato l‟esordio, la premessa e il trampolino di

lancio del cristianesimo. Esso, senza Aureliano, avrebbe probabilmente riscontrato maggiori difficoltà

nell‟affermarsi come religione del popolo e dello stato. 354 In genere si tende a non considerare veritiera e affidabile l‟HA, Vita Aureliani quando parlando della

fanciullezza dell‟imperatore riporta come, nonostante le sue origini fossero oscurior (3.1), si sa che i suoi

genitori fossero modici (4.1), e che sua madre fosse una sacerdotessa del tempio del Sole (4.2). Una

simile attestazione è stata sconfessata principalmente perché non è presente nelle altre fonti e perché

appare troppo evidente la forzatura di legare in una sorta di predestinazione, la futura riforma religiosa e i

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112

diffuso nel III secolo; inoltre grande influenza aveva sicuramente avuto su di lui il

servizio prestato nelle legioni dal momento che il culto del Sole era conosciuto e molto

diffuso, proprio per il suo legame con la vita militare355

. Inizialmente, anche se

Aureliano sulle monete inizia ad apparire maggiormente come Giove, successivamente,

addirittura prima della riforma monetaria, alla fine del 273, si hanno le prime incisioni e

raffigurazioni, in un nuovo slancio ed enfasi che porterà il Sol Invictus ad affermarsi

come divinità super partes356

.

Più in generale, nelle fonti, l‟introduzione o comunque la riproposizione di questo

nuovo progetto, risale alla campagna di Palmira. Provando a sintetizzare, si può allora

dire che è nel tardo 274 che Aureliano pare abbia provato ad introdurre ufficialmente il

culto del Dio Sole, o Sol Invictus, nella capitale357

, quando cioè l‟imperatore ordinò che

il Tempio del Sole a Palmira venisse restaurato, dopo che esso era stato saccheggiato da

soldati della III legione358

; una volta riportato al suo antico splendore, sappiamo che

portò il tempio359

a Roma360

e lo introdusse come culto, fondendo l‟immagine del Sol

trascorsi personali dell‟imperatore. Rimane comunque il fatto che il dio sole, noto nel corso dei secoli con diversi nomi, era conosciuto nella società romana. 355 Halsberghe 1972, pp.116-117. 356 Ad esempio, Soli Invicto, Oriens Aug(usti), presenta con Aureliano (RIC 5.1, p. 293-294 #254,257);

Gordiano III (RIC 4.3, p. 37 #10), Gallieno (RIC 5.1 p. 39 #10), e Claudio (RIC 5.1, p. 217 #76). Vedere

Ferguson 1970, p. 49. 357 Vict:Caes, 35.7; Eutrop, 9.15.1; SHA:Aur, 25 .6, 35.3; Chronica Urbis Romae, p. 148; Sync, 721;

Hieron:Chron, 223a,b . Tuttavia solo Zos 1.61.2 fornisce informazioni in più al riguardo e non si limita a

dire che venne costruito un tempio a Roma, ma lo colloca in un preciso e determinato contesto,

menzionando anche l‟istituzione di nuove cariche pontificie per gestire il culto; Homo p. 186; Halsberghe

p. 144. 358 SHA:Aur, 31.7, affermazione vagamente confermata da alcuni studi recenti, nei pressi di Palmira che

hanno rilevato la presenza di numerose devastazioni e la presenza di un tempio. 359 Anche del tempio, abbiamo solo accenni e riferimenti vaghi sul suo splendore e sulla sua

magnificenza; infatti abbiamo qualche sporadica osservazione sulle decorazioni interne, (gemme prese da

Palmira SHA:Aur, 28.5; Zos, 1.61.2 con il tempio decorato da offerte votive sempre di Palmira; invece

Vict:Caes, 35.7 parla solo di grande opulenza e di ricchi doni, mentre Eutrop, 9.15.1 nota come Aureliano

dedicasse una grande quantità di oro e Hieron:Chron, riporta che fu costruito nel Campus Agrippae. Per il

resto cfr. Fisher 1929, pp. 143-144; Pearson 1976, pp. 66, 80;. 360 Non c„era in Roma un vero e proprio santuario in cui se ne praticasse il culto. Aureliano dedicò un

tempio gigantesco al Dio Sole, creando un collegio di pontefici incaricati di curarne la liturgia ed infine

dedicandogli dei giochi: in questo modo egli aveva istituzionalizzato e consacrato il punto di arrivo

spirituale di un secolo che si era dedicato al culto del sole.

Page 113: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

113

Invictus, con “l‟immagine dell‟esistente Zeus-Giove, in particolar modo con la divinità

greca di Zeus benevolente361

. L‟imperatore, nella sua teologia, diventa immagine e

manifestazione diretta del Sol Invictus, cui si accompagna tutta una serie di titoli e

attributi quali dominus imperii romani, deus et dominus, deo et domino nato Aureliano,

restitutor orbis, deus Aurelianus362

: non si è più solo chiamati dio dopo la morte, ma si

è dio anche in vita, deus natus, per cui l‟appellativo si innalza e la sfera di riferimento si

impreziosisce e lo eleva o accosta al mondo ultraterreno363

.

Aureliano non è stato un innovatore in campo religioso e non voleva creare

nessuna nuova religione che si andasse a sostituire al paganesimo romano; ha

semplicemente cercato di creare e di forgiare specifici elementi della religione e del

culto imperiale in strumenti per consolidare, rafforzare, incrementare la fedeltà della

popolazione, il proprio ruolo e il proprio potere. È in quest‟ottica che si pone la sua

persecuzione del Cristianesimo, oppresso non per le proprie caratteristiche intrinseche,

ma perché si poneva come antagonista al progetto di rinnovamento religioso. Non è

quindi il cristianesimo in sé, ma l‟idea di contrapposizione che esso racchiude; un simile

pensiero vale anche per gli imperatori successivi che si porranno su questa stessa linea

di pensiero, fino ad arrivare a Costantino: l‟unica vera differenza è che Costantino si

rivolgerà alla “parte avversa”, alla confessione perseguitata, anziché porsi in linea di

continuità con i suoi predecessori, ma questo solo perché il Cristianesimo gli sembrerà

più forte e garante di una maggiore presa sulla popolazione e sulla società, di una

maggiore efficacia a livello di gestione, controllo e organizzazione dell‟impero.

Comunque la si voglia mettere, emerge che anche il potere centrale si è accorto

dell‟esigenza di avere non solo un dio in più e diverso, ma soprattutto uno comune a

361 Webb 1919, pp. 235-243; inoltre vedere figura 3, 8, 11. 362 CIL, XI. 6308; CIL II. 3832; VIII. 4877. 363 Gigli 1947, p. 203.

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114

tutti i sudditi dell‟impero, che si potesse adorare accanto alle proprie creature

ultraterrene: secondo questa considerazione il sole poteva essere proprio quel dio che si

cercava. È una nascita frutto di un vero e proprio calcolo politico, ma non bisogna

commettere l‟errore di ridurlo a puro e semplice strumento di propaganda364

perché era

comunque avvertita l‟esigenza di poter essere a contatto diretto con qualcosa di più

grande di sé; era di grande aiuto in un‟epoca di mutamenti rivoluzionari, ed era poi

perfettamente compatibile con l‟acume politico365

.

È per questo che nasce il desiderio, il bisogno di trovare un dio il cui incarico

fosse delimitato e personale e non si disperdesse in opere vuote, vacue e profondamente

impersonali; si cerca una nuova concezione che miri al cuore di una divinità, di un

qualcuno che abbia una potenza e un‟incidenza sulla vita, e che non si dimostri più

subordinato, assecondato e asservito alle mere esigenze umane; una divinità che guidi e

non sia guidata.

La proposta di Aureliano quindi prova a coinvolgere e a raggruppare al proprio

interno tutta questa seria di fattori e di elementi ed è il primo passo verso l‟affermazione

del Dio-Imperatore, del rappresentante di Dio sulla Terra, di Diocleziano e

dell‟imperatore tardo-antico. Aureliano ha cercato di connettere e legare saldamente tra

loro la politica e la popolazione, il governo dello stato e i suoi componenti, cercando di

ritrovare e rinsaldare quei vincoli che si erano rotti, quella frattura che si era creata tra

Istituzione e popolo e che minava le fondamenta di Roma stessa. È a mio avviso in

questa chiave che va interpretata l‟opera di Aureliano: dopo secoli di principato, anche

se comunque luminoso come quello degli Antonini, la società romana si è diseducata

364 Anche se la legittimazione politica rimane una sua caratteristica importante, come quando si dice che

Aureliano, affrontando un ammutinamento, dice che solamente Dio ha l’autorità di dare la porpora e di

porre un termine/ una fine al suo regno”; vedere anche CIL II 3832, VIII 4877, XI 556 che parlano di

Deus Aurelianus, con un evolversi ed estendersi ad ogni aspetto – statue, vestiti, monete, dimora e

famiglia – della vita dell‟imperatore. Gigli 1947, pp. 204-206. 365 Brown 1974, p. 38-41.

Page 115: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

115

alle grandi responsabilità, ed è arrivata così all‟innalzamento del princeps a dominus, e

del civis a servus”. Si è creato, per esigenze di controllo e di gestione, uno stato

dispotico che non prova più a mantenere il rapporto con gli altri componenti, ma lo

subordina completamente e ne distingue addirittura le nature e le sfere di appartenenza,

umana e divina. Già a partire da Diocleziano, la figura dell‟imperatore si ammanta di

un‟aura divina, di una ieraticità e di una intoccabilità che lo vogliono allontanare dal

mondo. Ora tutti gli sforzi sono rivolti a far sentire, vedere e percepire l‟imperatore

come un‟Entità sacra, astratta e lontana; la sua persona e la sua vita verranno scanditi da

rituali, da cerimonie e da espedienti volti e mirati a immolarne la figura e il ruolo366

. In

tutti questi aspetti e rituali, il sacro e il profano rimangono legati tra loro, correlati e

difficilmente scindibili e uno si mantiene in funzione dell‟altro; soprattutto l‟aspetto

religioso, che è asservito al potere politico. Per comprendere meglio il passaggio si può

citare l‟esempio dell‟ippodromo; infatti esso era contiguo al palazzo imperiale, era

l‟unico posto in cui l‟Imperatore del Tardo Impero si mostrava al popolo, probabilmente

il posto dove avveniva la sua apparizione367

, e che rimaneva comunque la più

impressionante ed emozionante apparizione in pubblico. L‟ippodromo, come l‟arena368

aveva anche l‟altro scopo di far vedere alla folla il princips in persona, in mezzo al suo

popolo; tramite queste rare occasioni, l‟abitante romano poteva sentirsi vicino

all‟imperatore, dato che aveva l‟onore di condividerne addirittura le emozioni. Così

l‟autorità centrale esaltava e impreziosiva ancora di più alcuni eventi della vita pubblica,

si stemperava nella familiarità dei sentimenti comuni e riceveva in cambio ondate di

366 Mi ha molto colpito Il Libro delle Cerimonie, dell‟Imperatore Costantino VII Porfirogenito; (Toynbee

1973, pp. 575-605) in cui viene spiegato ogni singolo momento della vita dell‟imperatore, con ogni

minimo accenno e spiegazione dei gesti e del loro valore, in una regolamentazione completa, totale del

cerimoniale imperiale. 367 Cannadine 1987, p. 110. 368 E forse come anche solo l‟arena, salvo rare eccezioni ed eventi,

Page 116: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

116

popolarità che si frangevano ai suoi piedi369

, durante i giochi. E queste occasioni erano

ancora più importanti perché davano la possibilità al popolo di esprimere ancora una

qualche tipo di opinione o anche petizioni, di pensare di esercitare ancora un potere

decisionale. Addirittura gli imperatori più capaci o sottili usavano la folla per incanalare

e dirigere la corrente popolare verso riforme ed idee che volevano far approvare ai

nobili e spesso sfavorevoli ai nobili. La loro abilità permetteva di rigettare e scaricare

sulla moltitudine la responsabilità di sanzioni e decisioni che avevano già meditato di

adottare370

. Anche in questo modo gli spettacoli erano stati ripresi e ritemprati, riadattati

alle nuove esigenze, entrando nuovamente a far parte dell‟ossatura del governo

imperiale, dato che ne alimentavano la fiamma e la durabilità.

I raggi del Cristianesimo

Ed è in questa luce che si può prendere – e forse si deve prendere – in

considerazione il cristianesimo371

, da cui non si può prescindere nella trattazione della

vita di Aureliano e nella descrizione dei mutamenti sociali avvenuti. Se si è visto come

le trasformazioni e le riforme di Aureliano si rivelarono inefficaci o comunque non così

fondate e valide da sopravvivere sul lungo periodo372

, altrettanto non si può dire del

cristianesimo che si affermerà come religione, e che deve anche ad Aureliano la sua

369 Queste le parole di Watson (1999) quando parla dell‟importanza dei giochi per la politica imperiale;

infatti – continua Watson – I giochi avevano innanzitutto un qualcosa di sacro ed è per questo che

rientravano sotto il controllo statale, cosa che accadeva per ogni aspetto e considerazione in materia di religione, Watson 1999, p. 187. 370 Carcopino 1982, P. 235. 371 Uno dei suoi meriti è stato quello di aver trasformato l‟Immagine di un Dio astratto e comunque

invisibile, in un‟immagine concreta e reale, vicina alle persone, attraverso la figura di Cristo, come sole di

Salvazione (Sol Salutis), l‟astro vivificante confermava così la sua conquista simbolica del mondo

romano e diventa cristiano, Turcan 1991, p. 221. 372 La proposta di Aureliano celava però, tra le varie cose, il difetto di aver attinto al mondo orientale e in

particolar modo ad un Dio che si pensava fosse peculiare della detestata Siria, visto che il Dio Bel di

Palmira era considerato, a torto, come suo dio nazionale. (Anche Elagabalo lo portò da Emesa e fu

assassinato anche per questa ragione). Veyne 2007, pag. 278.

Page 117: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

117

fortuna. Infatti esso si affermò perché, tra tutte le varie dottrine e pratiche religiose di

quel tempo, anche esso predicava un distacco dal mondo e dalle vicissitudini terrene;

tuttavia, rispetto alla altre religioni, esso ha compiuto un ulteriore passo e si è spinto più

in là del paganesimo. Il cristianesimo arriva a prospettare l‟introduzione del principio

dinastico, dell‟importanza della gerarchia e della realtà e dell‟unità politica, trovando

giustissimo che il potere si trasmettesse di padre in figlio e che l‟autorità si sviluppasse

con la sottomissione di tutti gli altri componenti della società, proprio in virtù della sua

stretta relazione con la divinità. La chiesa non solo ha accettato l‟Impero come dato di

fatto, ma lo ha anche consacrato formalmente come unica istituzione, ricreando e

fornendo nuovamente il legame covalente tra religiosità e istituzioni, che spesso la

nobiltà aveva contestato, e come aveva provato a fare Aureliano373

. La menzione della

religione dei seguaci di Cristo è tanto più importante perché offriva agli uomini una

soluzione alla confusione che si era creata dal non sentirsi più parte della realtà cui

erano vissuti fino a quel momento374

. L‟assurdo era che intorno al 250 essere cristiano

assicurava per molte persone una maggiore protezione da parte dei propri confratelli che

essere civis romanus. La Chiesa forniva quindi sostegno, supporto per quei servizi che

prima erano sovvenzionati, garantiti dalla città, dalle loro élite o dallo stato375

. Il fascino

cristiano stava proprio nel carattere “profondo” della comunità: attraeva la gente perché

conduceva l‟individuo dal vasto mondo impersonale a una comunità più ridotta, dove le

esigenze, i rapporti e le situazioni erano esplicite e ben determinate. E acquisirà il pieno

successo, nel momento in cui sarà in grado – proprio come aveva auspicato Aureliano

quando aveva scelto il Sol Invictus – di attecchire tra i ranghi dell‟esercito. Non è vero

come sostengono alcuni studiosi, che il cristianesimo allontanasse dalla vita militare gli

373 Gigli 1947, p. 48. 374 Brown 1974, p. 46. 375 Brown, I. P. 177; Garnsey 1987 p. 175.

Page 118: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

118

abitanti dell‟impero romano, anzi, esso sarà proprio in grado di dimostrarsi una

religione militare, dato che il Dio cristiano si presenterà come un Dio vincente, un Dio

conquistatore che dà forza e successo a chi gli si sottomette. Esempio banale ma sempre

attuale è quando Costantino affermerà di aver avuto una visione di Dio che gli

prometteva la vittoria se avesse aderito al culto, prima della famosa battaglia del ponte

Milvio376

. Proprio per le caratteristiche della battaglia, per l‟incertezza e le forti

emozioni o che le si accompagnano, ogni esercito ha sempre avuto l‟esigenza di avere

Dio dalla propria parte377

, per le garanzie che offre: la vittoria in primis, ma anche per le

promesse che fornisce in caso di morte, sul fatto che la propria anima e la propria

esistenza non si consumino e non si riducano in un nulla, ma confluiscano in un

qualcosa di più grande e bello. Un‟immagine di un Dio Vittorioso, potente, che dà la

gloria378

. E nuovamente, anche in questo, Aureliano costituisce un importante e forse

imprescindibile antecedente, nel momento in cui era rifatto al Sol Invictus, a quel dio

cioè che era in tutto e per tutto una divinità militare che assicurava e garantiva la

supremazia379

e forniva spiegazioni e assicurazioni anche per la morte.

Il cristianesimo fu in grado di diffondersi per il solito motivo visto e rivisto nel

corso del tempo, cioè per l‟abilità di incontrare i bisogni sociali e psicologici degli

individui, ma anche per la capacità mostrata di fare miracoli380

; a questo però dobbiamo

aggiungere la capacità di dimostrarsi un Dio potente, in grado di far vincere; di essere

376 Zos, II, 16, 1-4; inoltre cfr. Le Bohec, 2008, p.46. 377 Sono abbastanza numerosi gli imperatori che hanno avuto rivelazioni durante o prima di una battaglia,

e che sono state determinanti nel conseguire la vittoria: parla principalmente di Vespasiano (Suet:Vesp, 7.1 con Serapide), Marco Aurelio (SHA:Mar.Aur, 27.1 con Cerere; Aureliano (SHA:Aur, 25.5 con

Elagabalo); Costantino con il dio cristiano; cfr. a questo proposito MacMullen 1976, pp. 32-33, 36. 378 Ad esempio, Euseb:Cost, 4.5-14. 379 SHA:Aur. 25.3-6 riporta come durante la battaglia di Emesa, la vis numinis rivitalizzò il cavillante

spirito dei soldati di Aureliano, dopo essergli apparso in sogno; quando Aureliano entrerà a Palmira e

visiterà il tempio del Dio sole, ecco che si troverà davanti la stessa immagine, apparizione e che lo induce

ad adottarne il culto e ad importare il tempo a Roma. Questo episodio acquista e avrebbe molto senso

perché permette ad Aureliano di assicurarsi la lealtà, l‟appoggio e il sostegno di tutta quell‟area, in primis,

di Palmira stessa in nome di un comune culto; Downey 1950, pp. 57-68. 380 Cfr. MacMullen 1984, pp. 17-24, quando riporta Orig, 8.47.

Page 119: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

119

complementare con il governo, di integrarlo e sostenerlo in tutti quei campi in cui

l‟autorità centrale era carente. Per tutti questi motivi e per la debolezza del paganesimo

politeista, amorfo e senza struttura propria, privo oltretutto di precise gerarchie381

, il

cristianesimo è arrivato ad essere la religione di stato, ma, di nuovo, un passo decisivo e

fondamentale per orientare le persone verso un monoteismo e verso una nuova

concezione era stato compiuto da Aureliano.

Conclusione Per ritornare alla riforma di Aureliano, possiamo dire che essa ha costituito un

ulteriore passo in quel processo di rafforzamento del potere imperale che porterà poi

alla Tetrarchia; Aureliano quindi e ancora una volta, si dimostra precursore dei tempi,

anticipatore di quella riforma religiosa che troverà poi in Costantino il realizzatore vero

e proprio. Benché non sia stato il primo a capire l‟importanza della relazione tra potere

centrale e religione, e nonostante siano esistiti prima di lui altri imperatori che hanno

provato ad affermare un potere assoluto tramite e grazie ad una relazione con la divinità,

l‟imperatore illirico è stato senz‟altro tra i primi a capire come i tempi fossero maturi

per un simile progetto e a legarlo ad un processo riformatore dell‟intera società. Infatti

tutti gli esperimenti precedenti, come ad esempio Vespasiano o Elagabalo, erano

finalizzati principalmente al rafforzamento dell‟autorità dell‟imperatore, erano

strumentalizzati o rivolti a consolidarne il ruolo e il potere, ma non prevedevano di

coinvolgere anche la popolazione; la differenza che si riscontra in Aureliano è che egli

ha incluso il progetto di riforma delle prerogative e delle caratteristiche del proprio

potere in una riforma religiosa con una visione più ampia che puntava a suscitare

consensi anche nel resto della società; un rafforzamento quindi non fine a se stesso, ma

381 Garnsey 1987 p.176.

Page 120: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

120

inserito in un quadro d‟insieme più grande che mirava a cementificare e a rendere più

coesa tutta la comunità romana, proprio attorno alla figura dell‟imperatore-dio.

L‟imperatore quindi che diventa dio non solo per poter agire con maggiore libertà, ma

anche ,e forse soprattutto, per raccogliere adesioni attorno alla propria figura.

In definitiva, in materia religiosa, si può strutturare o considerare la riforma di

Aureliano secondo diverse direttive o punti di vista; da un lato, l‟importanza

dell‟operato di Aureliano si colloca nell‟aver capito come servisse una tipologia più

sicura e salda di successione imperiale; infatti uno degli insegnamenti del III secolo, che

è stato poi trasmesso alle epoche successive, è stato sicuramente il trovare o provare a

rendere l‟istituzione del potere imperiale più sicura e certa, contro eventuali pretendenti;

l‟esperienza o le riflessioni di Aureliano l‟hanno portato a rivolgersi principalmente

verso il mondo degli oracoli, dell‟ultraterreno e del divino. In questo processo,

l‟imperatore illirico ha rafforzato il potere centrale, il potere dell‟imperatore che è stato

ricondotto e portato inevitabilmente verso un potere monarchico382

.

In secondo luogo, Aureliano è stato in grado di capire proprio come occorresse un

rafforzamento del proprio potere in senso assoluto, senza più adottare forme velate di

supremazia o controllo, ma in maniera esplicita, reale concreta. E di nuovo l‟imperatore

ha fatto e impiegato a tale scopo, la sfera religiosa, dato che presentare qualcosa come

istituito o impartito da una fonte sovraumana vince e ottiene più rispetto di un potere

soddisfatto e fornito da criteri terreni e spesso neanche ben esplicitati. Una tale

rivelazione arriva da un‟introspezione personale che si cerca di suscitare in tutte le

coscienze, da uno sguardo rivolto verso l‟interno e verso pensieri mistici e spirituali383

.

Appare evidente, quindi, come alla base delle riforme religiose, indipendentemente dal

382 MacMullen 1976, p. 47. 383 MacMullen 1976, p. 13.

Page 121: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

121

tipo di religione introdotta, ci sia un fondamento teocratico del governo imperiale, la cui

storia o cronologia può essere interpretata come un‟ottima radiografia dell‟evoluzione

delle caratteristiche del potere centrale. Se vogliamo, Aureliano pone le basi per la tappa

finale di un‟evoluzione le cui radici risalgono ad Augusto, e che ha nei Flavi un

momento decisivo384

: è vero che fin dalla dinastia giulio-claudia la casa imperiale è

sempre stata circondata da un‟aura di sacralità, però, si deve notare come nel corso del

tempo, essa si sia sempre più legata alla vicinanza con la divinità385

, arrivando sempre

di più a legarsi, a coincidere con essa386

. Ad essa si lega anche e sempre il concetto di

culto imperiale, che non è altro che una forma per veicolare la lealtà dei sudditi nei

confronti del loro signore, in un omaggio quindi in forma di onori divini387

. Secondo

queste due prospettive, sono emerse le caratteristiche di questo periodo, che

comporranno anche l‟eredità per i posteri, ossia quegli insegnamenti cui faranno ricorso

tutti i sovrani successivi: per preservare il potere, per gestire i territori e i vari

possedimenti, è necessario vincolare e giustificare il proprio potere con lo slittamento

verso un monoteismo e con un ritorno al passato. Secondo il connubio dominus et deus

appunto, per cui l‟antichità, per quanto sia stata disprezzata, svalutata o considerata

come inutile e vuota, ha tramandato ai secoli successivi due grandi idee, ossia quella di

una monarchia e di una religione universale, interpretate proprio come chiavi di volta di

tutto l‟impianto di governo.

Di pari passo con la religione quindi, dal momento che non sono scindibili, la

figura dell‟imperatore si è evoluta verso una nuova forma e una nuova concezione dei

diversi aspetti e prerogative della propria persona. Dal modo di vestire alla titolatura, da

384 Infatti è dai Flavi che il culto per il singolo imperatore si trasforma a quello dell‟imperatore in senso

collettivo e impersonale, Carandini et. al., 1993, p. 228. 385 Cfr. Liebeschuetz, Continuity and Change in Romna Religion, Oxford 1979. 386 Carandini et. al., 1993, pp. 223-226. 387 Fishwick 1978, pp. 1201-1253.

Page 122: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

122

come si presenta al popolo alle peculiarità e agli incarichi religiosi che si arroga: ogni

aspetto della sua vita è proteso alla promozione della propria immagine come di un dio,

di un capo di governo che non è più primus inter pares, ma deus. Senza lasciare più

nulla al caso, ogni momento della sua giornata è impostato e prefissato, caricandosi di

rituali, simbologie e valenze sacre, divine, tutte volte a sottolineare la sua alterità

rispetto alla popolazione. La sua estraneità rispetto al mondo e la sua superiorità rispetto

alla gente normale è progredita e si è ampliata in ogni aspetto e per ogni ambito – statue,

vestiti, dimora e famiglia – della vita dell‟imperatore che così riproduce e ricorda quel

divino e quel fasto delle corti imperiali, secondo gli usi Persiani, Tolemaici, Babilonesi

o comunque Orientali388

. Il potere adesso viene accostato e legato ancora di più alla

sfera divina e sono poche le occasioni in cui la vita dell‟imperatore – il divino – si lega a

quella dei suoi subalterni – gli esseri umani e terreni – creando così una totale e

completa scissione tra potere centrale e resto dell‟impero389

.

In definitiva, spero sia emerso come a Roma, così come nella maggior parte di

tutte le società non solo antiche, la religione, le festività, le sue istituzione e ogni altro

aspetto mondano legato all‟imperatore e alla sua manifestazione, mostrino e riflettano la

relazione di potere all‟interno della società e forniscano la giustificazione per l‟ordine

esistente390

; a testimonianza di una simile affermazione si può notare come le questioni

religiose, anche in epoca cristiana, rimangano e rimarranno sempre prerogativa del capo

388 Gigli 1947, pp. 204-206. 389 In questo ambito, di nuovo, l‟esempio di Aureliano è illuminante perché mostra la relazione e la

connessione dell‟imperatore con il Sole, e la sua completa e totale lontananza con la sfera umana; cfr.

Zonar 12.27, quando viene mostrato come durante il trionfo l‟imperatore proceda su di un carro trainato

da quattro elefanti, allora simboli del sole e legati al concetti di predestinazione astrologica. 390 Si pensi anche alla valenza del carnevale per le società posteriori, come cioè occasione caricata di forti

ed eversive valenze politiche, ma utilizzate proprio dal potere centrale come valvola di sfogo per le classi

subalterne; cfr. Colangeli, Mario, Fraschetti, Anna, Carnevale: i luoghi, le maschere, i irti e i protagonisti

di una pazza, inquietante festa popolare, Roma 1982.

Page 123: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

123

dell‟impero391

. Il merito di Aureliano quindi, è stato proprio orientare i propri sforzi e le

proprie riforme secondo i binari religiosi e non altri. La religione era quindi, abbracciata

e sovraimpressa alla struttura politica dello stato, proprio nell‟ottica di rafforzamento

dello stato e di coesione attorno ad esso392

. Come abbiamo visto, all‟istituzione di un

nuovo culto, divenuta ora la divinità di riferimento e di protezione per e

dell‟imperatore393

, si affianca una riforma dell‟apparato burocratico e della coniazione

delle monete.

391 Garnsey 1987, p. 163. 392 Ad esempio, CIL VIII, 5143. 393 R ICV 1,3 07-8; CIL II 3832, VIII 4877, XI 556 parlano tutte di Deus Aurelianus, mentre RIC V 1,301

hanno scritto Sol Dominus Imperi Romani.

Page 124: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

124

CONCLUSIONI GENERALE

n linea generale, questa analisi delle attività e delle riforme di Aureliano ha

voluto mostrare alcuni dei cambiamenti avvenuti nel tardoantico romano,

ha provato a spiegare come l‟imperatore abbia cercato di porvi rimedio, e

soprattutto ha tentato di portare all‟attenzione come inserire o analizzare tali riforme in

una discussione più generale sull‟Impero.

Bisogna allora chiedersi quali riflessioni si possano estrapolare o dedurre da un

simile tentativo di rinnovamento: quali cambiamenti siano necessari per rinnovare e

reiventare uno stato che sembra destinato inesorabilmente al declino? Le riforme e le

innovazione che sono avvenute grazie ad Aureliano, possono considerarsi una premessa

di rinnovamento, oppure non sono altro che un preludio della fine? Sono state

veramente in grado di rilanciare il ruolo dell‟impero, oppure hanno semplicemente

ritardato quella che era una fine inevitabile?

Anche se i cambiamenti in campo militare sono tra i primi elementi da

menzionare e rappresentano un aspetto imprescindibile per la vita di Aureliano, non mi

sembra il caso di sviluppare ulteriormente una tale tematica, visto anche i numerosi

approfondimenti ad esso dedicati e di conseguenza è doveroso soffermarsi sugli altri

fattori del progetto di restauro da parte di Aureliano, del potere imperiale.

Sicuramente egli ha avuto il merito di stringere quella relazione tra istituzioni e

religione che si dimostrerà una costante per il successivo millennio; indubbiamente

l‟imperatore illirico ha capito l‟importanza dei valori astratti, della magnificenza e dei

termini altisonanti per suscitare coesione interna e aderenza al progetto monarchico,

interpretato come elemento essenziale, come punto di riferimento e di sostegno in una

I

Page 125: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

125

società spaesata, in crisi e senza punti di riferimento. Tuttavia è altrettanto vero che

l‟idea iniziale e gli effetti auspicati non si sono verificati o comunque non si sono

manifestati nella loro interezza; infatti il limite del sovrano è stato lo scollegamento tra

teoria e prassi, tra la coscienza e la consapevolezza di cosa servisse, e la sua reale e

concreta attuazione o realizzazione.

La soluzione trovata – principalmente quella di stampo religioso – benché giusta

o comunque valida nelle sue linee generali, non ha saputo trovare i consensi voluti tra i

diversi strati della popolazione. Infatti vediamo come la relazione tra religione e stato,

tra imperatore e dio funzioni e funzionerà solo fino a quando il controllo del governo si

mantiene saldo e appare portatore di stabilità e di sicurezze, o comunque incrollabile e

coeso al proprio interno. Nel momento in cui però alle parole altisonanti, ai ruoli divini

e alle prerogative o alle richieste eccessive del centro, non corrisponde un‟effettiva e

concreta validità, si crea nuovamente quella forbice tra istituzione e abitante che aveva

caratterizzato già l‟epoca dei Severi. E ancora. Nel momento in cui lo stato non solo

non risponde ai requisiti e ai doveri che gli spettano o gli competono, ma si rivela anche

incapace di mantenere e preservare una propria personale stabilità e compattezza

interna, ecco che emergono quelle divere forze centrifughe che prima erano tenute sotto

controllo394

, e che ora lottano per ritagliarsi un proprio spazio autonomo e

indipendente395

.

In fin dei conti una delle funzioni dello stato è quella di assicurare protezione,

tranquillità e sicurezza ai propri sottoposti, di fornire all‟individuo i mezzi minimi e

394 Mi è sembrato particolarmente interessante, con un gran fondamento di verità alla base, il commento

di MacMullen relativo alla disaffezione che può nascere nei membri di un impero o di uno stato, quando

sostiene che “se sei disperato, provi qualsiasi esperimento; se l’imperatore incarica lo vedi come un

nemico, provane un altro; se Roma non ti protegge, sia ben accetta l’indipendenza o un altro stato

dominatore” (MacMullen 1976, p. 2). 395 Per i processi di scissione e separazione, si pensi proprio al caso di Palmira o di Zenobia, o per risalire

ancora più indietro nel passato, alla Spagna di Sertorio, cfr. Plut:Sert e Plut:Pomp; Appian:BCiv,

Appian:Hisp, Appian:Mith Eutrop, VI,1.

Page 126: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

126

indispensabili per condurre la propria vita, all‟insegna di una libertà personale, sia essa

culturale, economica o sociale. In cambio di questa garanzia e di questa ristretta visione

della vita, che si limita alle private vicissitudini personali, è mia convinzione che

l‟individuo non abbia problemi a rinunciare anche a parte delle proprie prerogative o dei

propri diritti. Alla fin fine davvero, per molte persone la Politica, l‟Economia o le grandi

questioni non sono importanti o rilevanti, ma rappresentano fenomeni indifferenti nella

misura in cui non interferiscono con loro stessi, con la loro libertà e la loro realtà

contingente. Ciascuno guarda al proprio tornaconto personale e al proprio piccolo

interesse privato e se questi ci sono e si mantengono, allora non importa chi ci sia al

governo o come esso si presenti. Il cittadino non dimostra un particolare interesse per il

tipo di organizzazione statale sotto cui risiede, purché non ci sia commistione tra i due

ambiti – privato pubblico – e si stia bene; purché non ci siano pericoli e minacce alla

propria persona – sia fisica che astratta, dove con astratta intendo principalmente a

livello economico – egli non presta attenzione quindi alla situazione generale, al quadro

d‟insieme in cui è inserito396

. Le difficoltà nascono quando c‟è interferenza tra le due

sfere, quando lo stato o comunque il potere centrale si inserisce nelle vicende personali

e tocca nel vivo l‟individuo, soprattutto nei suoi aspetti economici. In questa occasione

iniziano a crearsi i primi attriti e le prime difficoltà di relazione, ma la compagine statale

e la sua validità agli occhi del privato rimangono ancora validi, almeno nelle sue idee e

legittimazioni di fondo: il cittadino è o dovrebbe essere ancora disposto e pronto a

soprassedere a maggiori e ulteriori richieste e interferenze dello stato, se vede

396 Per molti, oggi come allora, è molto meglio perdere un‟ipotetica e astratta libertà che soffrire. A

questo proposito, è importante anche il fatto che tutta la popolazione fosse esasperata e stremata dalle

continue guerre civili e dall‟alta conflittualità presente nel mondo romano. Adesso, come al tempo delle

guerre civili, il populus Romanus avverte una grande stanchezza, pesantezza interiore. A questo proposito

si pensi anche soltanto a Plutarco, uno dei più convinti apologisti delle libertà antiche che arrivava a

scrivere, auspicando una pace e una tranquillità: “alle città oggi tocca di libertà solo quanta coloro che ci

governano lasciano ad esse; ma forse è bene non possederne di più, se questi sono i risultati, Plut:Praec,

XXXII.8.

Page 127: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

127

comunque dei risultati, se vede che gli sforzi compiuti si traducono in maggiore

sicurezza e protezione. I veri problemi nascono quando a queste pretese e richieste,

l‟individuo non nota gli effetti o le concrete e reali manifestazioni di tali pretese. È

allora che nascono le difficoltà, le inquietudini397

e le opposizioni; sorgono reazioni che

possono essere di contrasto e di volontà di sovvertire tale sistema, oppure di una

completa e totale estraniazione da quel mondo, che porta le persone rifugiarsi in un

opposto e lontano “altrove”, completamente scisso dalla realtà contingente398

.

A questo riguardo, essendo lo Stato diventato un padrone dispotico, si cerca di

evadere dalla sfera della sua influenza o dalla esistenza in generale, e si cercano altrove

le risposte alle proprie domande e inquietudini. Non a caso il III secolo vede aumentare

il prestigio di quei gruppi religiosi nei quali si affermava che gli adepti avrebbero

goduto di una pace nell‟aldilà, con una chiara traslazione e uno spostamento della vita

terrena che arriva ad essere svalutata e messa in secondo piano, trascurata.

Per questi motivi, si può dire come Aureliano abbia individuato i punti

fondamentali su cui fare leva, ma anche come abbia sbagliato nel trovare la soluzione;

infatti sarà il cristianesimo a portare avanti e a realizzare quello che si era riproposto

l‟imperatore illirico; sarà infatti la chiesa cattolica che darà pace e cementificherà i

legami all‟interno dell‟impero: nel 363, la grandiosa invasione di Giuliano della Persia

finirà in un disastro, ma comunque – contrariamente agli anni di anarchia precedenti –

non ci saranno ribellioni o guerre civili, ma al contrario ci saranno 140 anni di pace

397 Tert:Anim, 54; DioCass, 71.36.4; Vict:Caes, 28.3 e ss.; Mazzarino 1988, pp. 21-40. 398 Il rivolgersi ad un mondo che è semplicemente “altro”, rispetto a quello contemporaneo è proprio il

caso del periodo ce inizia con l‟anarchia militare e proseguirà fino e oltre il medioevo; questa maggiore

religiosità si vede anche nel proliferare di oracoli, profezie, atti e rituali magici e misticismo (MacMullen

1976, p. 37), ed è testimoniata nella vita di Aureliano, oltre a quello già detto finora, da altri episodi o

vicende, come ad esempio, il rivolgersi ai Libri Sibillini (MacMullen, 1992, pp. 121, 127 e ss., 155). A

proposito proprio della relazione tra I libri sibillini e l‟imperatore illirico, vedere Tamassia, Nino,

L’imperatore Aureliano ed i libri sibillini: note per la storia del Cristianesimo nel secolo III, Padova

1899; Monaca, Mariangela, La Sibilla a Roma: i Libri sibillini fra religione e politica, Cosenza 2005.

Page 128: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

128

ininterrotta in Oriente399

. È il cristianesimo che, dopo aver dato agli uomini un‟unica

fede, postula – ed è in grado di tradurre concretamente, ecco la differenza con il nostro

sovrano – un‟unica autorità politica e religiosa, intesa come universale e unificante. La

coincidenza tra politica e religione trova il proprio modello nella città celeste di

Agostino, quando unisce la pace terrena e le cose che sono proprie della natura mortale

con il mondo divino400

, in un continuum logico e temporale. È sempre la religione di

Cristo che trova e presenta la nuova idea di imperium, riprendendola sì da Aureliano ma

– nuovamente – riuscendo a renderla efficace e operativa anche all‟atto pratico, creando

cioè un‟ideologia e una missione imperiale – omnis potentia ad unum conlata401

– che si

presenta e si giustifica perché provvede al bene collettivo, pur sopprimendo la libertà e

l‟uguaglianza.

In aggiunta a quanto finora sostenuto, dalle opere di Aureliano emerge un‟altra

riflessione finale ed essa riguarda il processo di unità e di espansione territoriale; infatti

il nostro sovrano ha operato su due fronti che sembrano escludersi reciprocamente,

prevedendo un‟azione di accorpamento e concentrazione dei territori, ma dall‟altra

ampliando e dilatando lo spazio su cui esercitare il controllo. Infatti da una parte

abbiamo osservato l‟abbandono della Dacia, e dall‟altra il lettore ha assistito alla

riconquista dei regni di Zenobia e di Tetrico. Se la perdita della Dacia si pone sotto il

concetto di overstretch, di non sostenibilità di una conquista402

, il processo di

unificazione sotto un‟unica guida dei territori di Palmira e delle Gallie sembra negarlo;

399 Gigli 1947, p. 247. 400 Agost:Civ, XIX, 17. 401 Tac:Hist, I, 1. 402 “Annche Roma ha commesso nel III e nel II secolo a.C. lo stesso errore che commetterà poi

Giustiniano, ossia la conquista di territori refrattari all‟assimilazione. A questo fattore di per sé non

determinante, si è aggiunto il fatto che Roma si è successivamente e ulteriormente “dilatata” e si è

espansa oltre il proprio potere e le proprie capacità di controllo, aspetto questo che, quando sono venute

meno le forze morali, ne ha causato la fine, che però che era già insita nella sua storia, nel momento

stesso in cui ha inglobato l‟Oriente” (Gigli 1947, p. 253).

Page 129: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

129

che motivazioni possono sussistere nella rinuncia ad un territorio, vista la difficoltà

oggettiva di controllarlo, e l‟estensione dei territori da controllare? Se è vero che uno

dei fattori decisivi nell‟abbandono della Dacia, è stato l‟impossibilità – pena il

dissanguamento delle già esigue risorse dell‟impero – di difenderla e di esercitarvi un

saldo controllo, per lo stesso motivo si potrebbe contestare ad Aureliano403

la decisione

di riportare sotto l‟egida romana territori che non si erano distaccati da Roma – almeno

non ufficialmente – e che al contempo mantenevano lontani i nemici di Roma. Tuttavia,

come ho precedentemente mostrato, mi pare giusta l‟idea o la tesi per cui un potere

forte, che voglia ribadire una propria egemonia, non debba accettare altre realtà a lui

parallele, antagoniste o concorrenziali, e che si siano affermate senza il consenso del

centro, ma abbiano agito di propria spontanea iniziativa. L‟errore a mio giudizio si è

verificato successivamente quando, una volta ribadita la propria supremazia,

l‟imperatore non abbia provveduto lui stesso ad una decentralizzazione, vista la vastità

dei territori da controllare. Sarebbe stato comunque appropriato se – per assurdo – una

volta riportato le periferie sotto il controllo romano, Aureliano avesse mantenuto la

situazione iniziale404

, riconsegnando i territori agli stessi governatori precedenti;

appropriato perché in questo caso la decentralizzazione sarebbe partita dal centro, in

virtù di un potere decisionale riconosciuto e affermato, e non più come azione della

periferia, come decisione imposta al centro, frutto di una carenza politica e di un potere

debole.

Di nuovo quindi, emerge l‟importanza di Aureliano che è il primo a comprendere

le difficoltà insite nell‟impero di Roma, ma che poi per un motivo o per l‟altro fatica a

tradurle in soluzioni reali ed efficaci; personaggio di un grande perspicacia, il quale ha il

403 Ed è quello che è stato fatto da diversi studiosi, cfr. 404 Situazione analoga, come è già apparso, a quanto era successo per le guerre sociali.

Page 130: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

130

merito di porre le basi per futuri cambiamenti, che ha il pregio di mettere in evidenza

delle difficoltà e delle problematiche che però verranno risolte successivamente. Infatti

non è un caso che di lì a poco, l‟impero romano venga diviso in due tronconi, in due

entità politiche diverse, nominalmente ancora come metà di una stessa realtà, ma

fattualmente già divise e svincolate405

e che poi esse vengano ulteriormente frazionate.

Se vogliamo, l‟attività di Aureliano è stata caratterizzata da un‟acuta

consapevolezza di riforma e di cambiamento che, pur se non si sono tradotte sempre in

soluzioni e riforme efficaci, hanno comunque avuto il merito di essere esplicitate e di

essere poste alla ribalta. Infatti i processi iniziati da Aureliano sono poi stati portati

avanti da Diocleziano e da Costantino, sono stati ulteriormente sviluppati nelle epoche

successive e addirittura hanno rappresentato i cardini delle realtà statali fino e oltre il

medioevo.

L‟unica contrarietà o obiezione in merito all‟operato di Aureliano è quanto queste

innovazioni abbiano costituito una reale ed efficace riforma del potere – anche se essa

avverrà con gli imperatori posteriori – e quanto invece siano state riflessioni o

considerazioni inutili, dal momento che l‟impero era inevitabilmente destinato a

sfaldarsi? Detto in altri termini, gli interventi operati o che verranno attuati

successivamente, hanno rappresentato una rinascita dell‟impero oppure hanno

semplicemente ritardato la sua morte?

Innegabile appare come l‟intervento di Aureliano e degli imperatori tardoantichi

abbia costruito e fornito una risposta valida alla crisi, dato che la percezione di segnali

di recupero emerge anche dalle fonti contemporanee ad Aureliano, con la percezione

405 Sarà infatti a partire da Diocleziano e dalla tetrarchia che si mette in pratica quello che Aureliano

aveva già mostrato, e che cioè l‟impero non possa più essere governato come realtà unitaria, unica e

inscindibile. Per la tetrarchia di Diocleziano, cfr. CIL VIII, 22116, CIL VIII, 22187; Vict:Caes, 39.30;

Lact:Mort, VII, 1.2, XVIII; mentre per studiosi e critici più moderni, vedere Grant 1985, p.265; Scarre

1999, pp.197-198.

Page 131: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

131

che si stesse affermando una nuova era406

, e che si stesse andando verso una situazione

migliore407

, per cui ad un certo punto non sono più avvertite in maniera traumatica o

deleteria né guerre o conflitti, o anche avarizia, complotti e litigi, e si assiste ad un

riuscito sviluppo delle prerogative dell‟imperatore che arriva a decidere sempre di più,

anche per questioni della vita privata dei cittadini dell‟impero408

, in particolar modo

mantenendo un controllo stretto e serrato secondo il vecchio stile romano – ecco la

ripresa ennesima della tradizione per giustificare i diversi tipi di riforme – in un

processo iniziato proprio a partire dalla disciplina di Aureliano409

. Altrettanto evidente

però è il fatto che la struttura che si è affermata è di grandi dimensioni, composta da

diverse parti, assemblata con esperimenti ed errori, in circostanze di una grandissima

urgenza, che ha costretto tutti i cittadini in una grande e dolorosa condizione. È sì

servita allo scopo, dal momento che ha fornito un‟armata in grado di affrontare i nemici

interni ed esterni, ha permesso di reperire risorse per pagare e mantenere l‟esercito

fedele, oltre che i mezzi per produrre tali risorse e ha infine suscitato obbedienza nei

governatori romani. È servito perché è stato ottenuto ben più di quanto non sia mai stato

ottenuto prima, a livello di impianto e strutturazione di uno stato; e poi l‟alternativa era

o vivere o morire e scomparire, mentre grazie a questi interventi l‟esistenza del dominio

di Roma si è protratta ancora a lungo, ha esercitato tutta la propria influenza ancora per

un lungo periodo ed è stata in grado di reinventarsi e di dar vita ad un vero modello di

organizzazione e di gestione di stato che è stata la base di tutte le esperienze imperiali e

non del futuro.

406 Vict:Caes, 37.3; SHA:Prob, 23 e ss.; Eutrop, 9.17.3; Lact:Inst. 5.5-8. 407 MacMullen 1976, p. 26. 408 DioCass, 52.21.3 e ss.; SHA:Alex.Sev, 27.4 e 41.1; SHA:Aur, 45.4-46.6; Tac:Ann, 11.6. 409 CIL13.11831 (Sept. Severus); Eutrop, Aureliano e la sua disciplina…”disciplinae …militaris et

mororum dissolutorum …corrector”.

Page 132: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

132

Page 133: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

133

ILLUSTRAZIONI

Figura 1. Binione aureo di 6,79 grammi, coniato a Siscia nel 272. Al diritto: busto

radiato e legenda IMP C L DOM AVRELIANVS AVG. Al rovescio: la Concordia

seduta con doppia cornucopia e la legenda CONCORDIA AVG. Cohen 31 var., R.I.C

164 var. (a).

Figura 2. di 5,44 grammi coniato ad Antiochia nel 273. Al diritto IMP

AVRELIANVS AVG e busto laureato. Al rovescio Marte andante con un prigioniero ai

suoi piedi: la legenda dice VIRTVS ILLVRICI. Cohen 281, R.I.C. 379. (b).

Page 134: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

134

Figura 3. Aureo di 5,29 grammi coniato ad Antiochia nel 273. Al diritto busto

laureato e legenda AVRELIANVS AVG. Al rovescio Aureliano a cavallo attacca due

nemici appiedati: la legenda è RESTITVTOR ORIENTIS. Ricordo che da poco il

principato di Palmira era stato eliminato e la Syria era tornata sotto il dominio romano.

Cohen -, R.I.C. -. (c).

Figura 4 . Aureo di 4,57 grammi coniato a Roma nel 274-275. Al diritto busto

laureato dell‟Imperatore con legenda IMP C L DOM AVRELIANVS P F AVG. Al

rovescio Marte andante con prigioniero ai suoi piedi e legenda VIRTVS AVG. Cohen

269, R.I.C. 15. (d).

Page 135: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

135

Figura 5. Aureo di 3,46 grammi coniato a Mediolanum, o forse a Siscia, nel 270-

271. Al diritto IMP C D AVRELIANVS AVG con busto laureato. Al rovescio

CONCORDIA MILI con due Vittorie affrontate e tre stendardi. Cohen 49, R.I.C. 167.

(e);

Figura 6. Antoniniano di 4,14 grammi coniato nel 271 a Siscia. Al diritto IMP

AVRELIANVS AVG con busto radiato. Al rovescio la Fortuna seduta a sinistra con

legenda FORTVNA REDVX. * T in esergo. Cohen 95, R.I.C. 220. (f):

Page 136: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

136

Figura 7. Antoniniano di 5,3 grammi coniato a Mediolanum nel 272. Al diritto

IMP AVRELIANVS AVG e busto radiato. Al rovescio Aureliano riceve una Vittoriola

da un soldato: la legenda è VIRTVS MILITVM - T in esergo. Cohen 285, R.I.C. 147.

(g).

Foto 8. Antoniniano di 4,05 grammi coniato a Serdica nel 272. Al diritto busto

radiato e legenda IMP AVRELIANVS AVG. Al rovescio Giove e l‟Imperatore

affrontati con la legenda IOVI CONSER - P in esergo. Cohen 105, R.I.C. 260 . (h);

Figura 9. Antoniniano di 4,08 grammi coniato a Cyzico nel 274-275. Al diritto

busto radiato dell‟Imperatore e legenda IMP AVRELIANVS AVG. Al rovescio Marte e

Page 137: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

137

Aureliano affrontati; la legenda è RESTITVTOR EXERCITI- Lettera E tra le due

figure; XXI in esergo. Cohen 206, R.I.C. 366. (i):

Figura 10. Antoniniano di 4,66 grammi coniato a Roma nel 274-275. Al diritto

busto radiato e legenda IMP AVRELIANVS AVG. Al rovescio ORIENS AVG - B nel

campo: in esergo XXI R: Il Sole, inteso come divinità, in atto di calpestare un nemico.

Cohen 159, R.I.C. 64. (j) Questa tipologia di antoniniani con il Sole protagonista è

molto comune e variata: e si troverà anche negli imperatori cristiani successivi.

Figura 11. Antoniniano di circa 4 grammi coniato a Serdica o a Cyzico nel 274-

275. Al diritto busto radiato e legenda IMP C AVRELIANVS P F AVG. Al rovescio

Page 138: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

138

l‟Imperatore riceve una corona da una figura femminile: la legenda dice RESTITUTOR

ORBIS - in esergo KA G (gamma); stella tra le due figure. Cohen 194, R.I.C. 288. (k);

Figura 12. Antoniniano di 3 grammi coniato ad Antiochia tra la fine del 270 e la

primavera del 272. Al diritto busto radiato di Aureliano e legenda IMP C

AVRELIANVS P F AVG- lettera H in exergo. Al rovescio busto di Vaballato, figlio di

Zenobia, e legenda VABALATHVS V C R IM D R (Vir Clarissimus Rex Imperator

Dux Romanorum). Cohen 1, R.I.C. 381. (l);

Figura 13. Denario di 2,69 grammi coniato a Roma nel 274-275. Al diritto IMP

AVRELIANVS AVG e busto laureato. Al rovescio La Vittoria andante a sinistra con

Page 139: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

139

prigioniero ai suoi piedi: la legenda è VICTORIA AVG – B in esergo. Cohen 252,

R.I.C. 72. (m).

Figura 14. Denario di 2,60 grammi coniato a Roma nel 274-275. Diritto IMP

AVRELIANVS AVG e busto laureato. Al rovescio PROVIDEN AVG e la Provvidenza

stante con globo ai suoi piedi. Lettera B in esergo. Cohen 181, R.I.C. 69. (n)

Figura 15. Dupondio di 14.05 grammi coniato a Roma nel 274-275. Diritto, busto

radiato dell‟Imperatore e legenda IMP AVRELIANVS AVG. Al rovescio busto di

Page 140: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

140

Severina su crescente lunare e legenda SEVERINA AVG. Cohen 1, R.I.C. 1 (Aureliano

e Severina). (o);

Figura 16. Asse di 8,55 grammi coniato a Roma nel 274-275. Diritto, IMP

AVRELIANVS AVG e busto laureato. Al rovescio Aureliano e Severina si danno la

mano, tra loro un piccolo busto del sole; la legenda dice CONCORDIA AVG. Cohen

34, R.I.C. 76. (p).

Page 141: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

141

Figura 17. Antoniniano di 3,39 grammi coniato a Serdica per Severina nel 274-

275. Diritto, busto su crescente lunare dell‟Imperatrice, e legenda SEVERINA AVG. Al

rovescio Aureliano e Severina si stringono le mani: la legenda dice CONCORDIA

AVGG - in esergo KA.G(gamma). Cohen 2, R.I.C. 16. (q).

Figura 18. Diritto, IMP C AVRELIANVS AUG, testa radiata dell'Imperatore

Aureliano e busto con corazza verso destra; Rovescio: ORIENS AVG. In essa vediamo

chiaramente la commistione tra sacro e profano, il nesso tra forza delle armi, il dominio

del mondo e il legame con il divino; infatti il connubio tra il Sole con i raggi in piedi

verso sinistra, un mantello corto (clamide) sulle spalle, la mano destra alzata verso il

cielo tiene una globo; due prigionieri seduti ai suoi piedi a destra e sinistra; in esergo

Q(uarta) XX T; 22 mm, 3.44 gr, 5 h (zecca di Ticinum, quarta officina; RIC V 151;

MIR 47, 71b4; BN 615.

Page 142: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

142

Page 143: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

143

APPENDICE – Il Racconto

VALLYAR Tutto cominciò quando volle soddisfare il morboso desiderio di scoprire le proprie

morti; si lanciò verso gli illimitati sentieri del futuro, rintracciando le numerose linee dei

propri futuri, cercando sempre le proprie morti più strane, possibili e immaginabili,

arrivando così a vedersi morire perché si strozzava con un pezzo di carne, in un altro

moriva di fame perché cadeva in un burrone, o ancora, ed era tra le più spassose – e lo

faceva ridere ancora adesso – la morte in seguito ad una caduta da cavallo, animale che

lo disgustava a tal punto che davvero non capiva come avessero fatto a mettervelo

sopra; aveva addirittura provato a trovare l‟uomo che era riuscito a convincerlo a

montare su di una simile bestiaccia, ma come accadeva quando si aveva a che fare con

il futuro, anche la ricerca più accurata e i maghi più sviluppati non riuscivano a vedere

ogni cosa, ma solo alcuni sprazzi, spesso sbiaditi. Seguendo a caso le diverse possibilità,

il divertimento e il piacere di un simile vagare era stato oscurato da un aspetto

inquietante: infatti in molti futuri – in troppi ad essere sincero – appariva sempre

un‟ombra scura nel limitare del suo campo visivo e in qualunque modo si fosse visto

morire, l‟ombra era sempre stata presente. Come era possibile tutto ciò, tenuto conto

delle migliaia di futuri possibili? Come poteva giustificare quell‟ombra onnipresente? E,

mentre cercava di capire meglio, di carpire più informazioni riguardo a quella sinistra

presenza, il disagio si era trasformato in timore, preoccupazione e ansia per arrivare

addirittura alla paura e oltre i confini del terrore stesso, nel momento in cui si era reso

conto che l‟Ombra stava complottando a sua volta nel tentativo di instaurare il dominio

del caos. La situazione era poi peggiorata quando l‟Ombra si era accorta dell‟esistenza

di Myredos e aveva iniziato così a dargli la caccia, a combatterlo e a ostacolarlo. Si era

Page 144: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

144

allora messo al lavoro con maggiore intensità per trovare se ci fossero vie di salvezza,

modi per impedire la sua venuta, con una determinazione acuita dalla prospettiva che, a

quanto pareva, l‟attimo della battaglia finale sarebbe arrivato dopo la sua morte. E nella

ricerca, mentre lottava con l‟Ombra, nel mondo silenzioso ed etereo dello spirito, un

fatto aveva attirato la sua attenzione e infuso nuovo coraggio; infatti c‟era

un‟informazione che l‟Ombra cercava di nascondere, un elemento che si ripresentava

sempre connesso in qualche modo al suo nemico e ciò gli dava speranza, lo aiutava a

non arrendersi: dalle nebbie del tempo, un volto era emerso, dal grigio del nulla un volto

che Myredos era riuscito a rendere sempre più nitido e a cui poi era riuscito ad attribuire

anche un nome, strappandolo all‟oblio dell‟incertezza. Ma era il nome di un salvatore o

di un distruttore? Del campione della luce da lui cercato o dell‟incarnazione del

Dominatore del Caos da lui temuto? Perché non era fornita una spiegazione su quale

fazione appartenesse il misterioso individuo. Myredos non poteva saperlo, ma vista la

situazione, avrebbe dovuto farselo bastare e rischiare ugualmente. Fu così che decise di

affidarsi e aggrapparsi a quell‟esile filo di speranza, mentre quel nome continuava a

ripresentarsi nelle sue visioni, a rimbombargli nei suoi pensieri come eco di un tuono

lontano: Aureliano.

Page 145: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

145

…NEI PRESSI DI BISANZIO410…

TARDA ESTATE, 275 411

“Perché soldati e amici412

, perché questo?413

Dai, Mucapor414

, rispondimi! Posa la

tua spada e prima che la mia vita se ne vada via troppo in fretta, spiegami! Avrei piacere

di sentire qualche tua parola!”

Detto questo, strinse con una presa d‟acciaio il polso di Mucapor e aggiunse:

“Davvero non capisco. Romani, siete stati ingannati! Voi tutti siete miei compagni415

e

lo sarete sempre. Mai più di adesso!” Disse mentre la voce diventava sempre più flebile.

Allora Probo416

, andandogli incontro, gridò in tono disperato e accusatorio,

srotolandogli davanti agli occhi la lista maledetta: “Guarda qui, tiranno! Sono questi i

tuoi amici?” A quelle parole, con un rinnovato scatto di energia, gli occhi di Aureliano

410 Alcune fonti sostengono che Aureliano sia stato ucciso nei pressi di Caenophrurium in Tracia

(Chronica urbis Romae p.148; Vit:Caes, 35.8; Consularia Costantinopolitana p. 229; Malalas 12.301.

Tuttavia altri autori sostengono che si trovasse tra Eraclea e Bisanzio (Eutrop 9.15.2; Hieron:Chron 223c;

SHA:Aur 35.5; Sync 721; mentre Zosimo parla di Perinto, rinominata Eraclea (Zos 1.62). 411 Homo, Essai, pp. 337-339 parla di agosto, primi di settembre, mentre Peachin (p.44) parla di metà

settembre. Inoltre i primi papiri su Tacito ci parlano di due suoi tribunati che lasciano presupporre come Tacito stesso sia stato proclamato imperatore prima del 10 dicembre, dal momento che ha regnato meno

di un anno in totale (Syme, Emperors, pp. 271-276). Questa notizia però è contraddetta da SHA:Aur,

41.3 che dice come la morte di Aureliano sia stata proclamata al Senato il 3 febbraio, anche se

un‟iscrizione (CIL VI 30976) parla di un consolato di Aureliano e Marcellino il 25 aprile, usando il

termine dominus noster e non divus (Homo, Essay, p. 336; Groag. P.1358). 412 A suggerire il fatto che Aureliano sia stato ucciso da suoi compagni e amici, sono le testimonianze di

Eutrop 9.15.2; [Vict]:Epit 35.8; SHA:Aur 41.1 fa addirittura riferimento alla lettera di Eros. 413 Sulle motivazioni che sono state addotte per la congiura contro Aureliano, credo siano significative le

testimonianze fornire da Vittore ([Vict]:Caes. 35.7-8) che lega l‟episodio con la severità di Aureliano nel

trovare e reprimere o stroncare la corruzione presso gli ufficiali e i funzionari provinciali, mentre HA lo

lega con l‟odio sorto contro di lui dagli ufficiali e dagli uomini a lui più vicini (SHA:Aur 36.3-4).

Sicuramente escluderei l‟osservazione di Malalas per cui Aureliano fu ucciso in quanto comandante incapace, vista la striscia quasi ininterrotta di successi, tenuto anche conto che questa spiegazione non

compare da nessun‟altra parte o fonte. 414 L‟unico vero nome riportato dalle fonti letterarie è proprio Mucapor, allorché Vict:Caes 36.2 riporta

che il successore di Aureliano, Tacito torturò a morte gli uccisori di Aureliano, “incluso il comandante

Mucapor”. 415 Questi ufficiali erano probabilmente comites Augusti: Giovanni di Antiochia (FHG IV 599) lo chiama

tribuni militari e amici dell‟imperatore; Eutrop 9.15.2 e [Vict]:Epit. 35.8 dice “viri militares amid ipsius”;

mentre Vict:Caes 35.8 li chiama tribuni militari e Zosimo (Zos. 12.27) li individua tra i membri della

guardia pretoriana e Zonara li definisce solamente come “alcuni uomini potenti”- 416 Ware, William, The last days of Aurelian, Nabu Press, 2010, pp. 234-235.

Page 146: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

146

si alzarono, guardarono quel fatale rotolo e lo analizzarono attentamente – quindi, dopo

aver richiuso stancamente gli occhi, disse mentre estraeva la spada di Mucapor: “Questa

è la mano di Eros417

, non la mia. Siete stati ingannati...” Con queste ultime parole,

chiuse gli occhi e si lasciò andar giù, ormai persa ogni energia residua418

.

A quel punto, gli sventurati uomini si guardarono l‟un l‟altro, mentre la verità li

colpiva veloce come un maglio; in quell‟istante seppero che per salvare la vita di un

omo meschino e di animo abietto, loro avevano ucciso il benefattore di molti di coloro

presenti nella stanza, l‟amico di tutti loro, il generale ed imperatore che, nonostante tutti

i suoi difetti, Roma avrebbe pianto come colui che aveva cinto di rinnovata gloria i suoi

Sette Colli. Come potevano non accusarsi per la loro insensata fretta, la loro cieca

credulità? Come avrebbero potuto non disperarsi per quei fatali colpi che avevano

privato loro di uno che sì temevano enormemente, ma che ancor di più amavano? E

soprattutto come potevano aver ucciso colui che, maestro in quell‟arte che gli avrebbe

fruttato l‟ammirazione del mondo intero, loro stessi ammiravano e veneravano più di un

dio?

Qualcuno a quel punto iniziò a rimproverarsi; altri iniziarono ad accusarsi a

vicenda; altri ancora si gettarono presso il corpo esamine di Aureliano, distrutti e provati

dal rimorso e dal dolore; ma tutti giuravano in cuor loro di punire quello scellerato che

aveva osato tradirli…419

417 SHA:Aur 36.4-5 e 37.2 lo chiamano Menesteo, probabilmente però confondendosi con il termine greco “menutès” che fa riferimento alla carica, al ruolo dell‟ufficiale responsabile (Fisher 1929, pp. 129-

138, Pearson 1976, p. 88; Barnes 1978, p. 67-75). Le altre fonti invece (Zos 1.62; Zonar 12.27; Synopsis

Sathas p.39) lo chiamano Eros. 418 Per la morte di Aureliano, come fonti letterarie abbiamo Zosimo 1.62.2-3; Zonar 12.27; John:Ant, 156;

Vict:Caes 35 e 36.2; Eutrop 9.15.2; [Vict]:Epit 35.8 SHA:Aur 36.5-6). 419 L‟intero passo è preso e tradotto dall‟opera di Ware (Ware 2010, pp. 234-235); ho riportato e tradotto

questo episodio perché sulla morte di Aureliano, tutte le fonti letterarie (Vict:Caes 35,8; Eutrop 9.15.2;

[Vict]:Epit. 35.8; SHA:Aur 36.4-6; Zos 1.62; Cedreno p.455; Zonar 12.27; Synopsis Sathas p.39)

concordano nel dire che un subordinato dell‟imperatore, per paura di essere punito con la morte o

comunque in maniera terribile perché scoperto e accusato di corruzione, creò una lista di nomi di persone

Page 147: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

147

“Non potete fare più nulla”. Queste parole echeggiarono all‟improvviso come uno

scoppio di tuono e spaventarono tutti i congiurati che si voltarono simultaneamente

verso l‟ingresso della tenda, per trovarsi davanti ad una delle apparizioni più strane che

avessero mai visto. Una lunga tunica bianca scendeva fino alle caviglie da cui

spuntavano due paia di scarpe con la punta all‟insù; le ampie maniche e il mantello

erano di un giallo accesso, ma tutto questo passava in secondo piano, perché tutta

l‟attenzione veniva catturata dal bastone: anch‟esso di un bianco abbacinante, avrebbe

potuto passare per un normalissimo, anche se lungo, bastone levigato di abete bianco, se

non fosse stato per una pietra nera che vi era posata in cima e che mandava bagliori

dorati che nascondevano il volto e che sembravano provenire da diverse venature della

pietra stessa. “Direi che avete fatto anche troppo, non vi pare? Gettare anni e anni

trascorsi insieme sui campi di battaglia, tradire un giuramento fatto, tralasciare il proprio

senso di lealtà, per che cosa? Avete prestato attenzione alle parole di un codardo, senza

riflettere e senza preoccuparvi delle conseguenze vostre, ma soprattutto dei guai che

avrebbero potuto nascere per l‟impero! E per che cosa? Per salvare la vostra pelle! È

proprio vero che la società è degenerata! C‟è davvero da chiedersi come sia stato

possibile arrivare a questo punto!”

La voce, dura e perentoria proveniente da dietro la luce, perforava come lame

incandescenti i cuori e le anime di quei generali, ancora intontiti e frastornati, preda di

quegli ultimi eventi. Fu Caro a riprendersi per primo e a farsi avanti, riguadagnando

parte del proprio orgoglio perduto, spinto da quelle sferzanti parole: “Tu chi sei? Da

dove arrivi? E soprattutto come ti permetti di insultarci in questo modo? Vuoi essere

squartato?” La poca baldanza acquisita scomparve nuovamente quando si intravide il

che Aureliano avrebbe voluto uccidere e li convinse della veridicità del documento e ad uccidere

l‟imperatore stesso (cfr. Randall 1991, p. 273.

Page 148: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

148

viso di quell‟uomo: due occhi neri, profondi e arcani che si intravedevano nella

penombra del cappuccio catturarono il suo sguardo e subito si sentì mancare; un non so

che di selvaggio, primordiale, brillava in essi, dando a quel volto un senso di mistero e

saggezza, accresciuto dalle numerose rughe di quel volto.

“Squartato dici? Puah! Gente che si fa manovrare da uno scrivano, e che non è

capace di distinguere tra un vile e un grande generale, cosa credi che possa mai fare?!

Non minacciare cose che non puoi fare. E anzi, è meglio che non facciate altro perché di

danni ne avete fatti anche troppi! Per tutte le manticore! Dopo anni di ricerche, spero di

non essere arrivato troppo tardi!” Detto questo, davanti agli ancora attoniti dei generali,

con un‟insospettata forza, si mise in spalla il corpo inerme di Aureliano e uscì dalla

tenda, veloce così come era arrivato.

Solo allora, anche tutti gli altri si ripresero dalla sorpresa e si precipitarono fuori,

per fermare quell‟individuo, per esigere delle spiegazioni, per provare a fare qualcosa

che non fosse star fermi e pensare a ciò che avevano appena fatto, ma niente. Al limite

dell‟inverosimile, di quello strano individuo non c‟era nessuna traccia.

Increduli si guardarono l‟un l‟altro, sempre più sconvolti e incapaci di capirci

qualcosa, troppo frastornati per quegli ultimi istanti. Cosa stava succedendo per Ecate?

Era tutto un grande sogno? Erano tutti impazziti? E oltre a loro, stavano impazzendo

anche gli dei? Dove era finito quel vecchio? E dove aveva portato Aureliano? Già,

Aureliano. Il pensiero di ciò che avevano fatto ritornò più opprimente e pesante di prima

e si aggiunse a quel senso di irrealtà e straniamento che quella apparizione aveva

causato…

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149

CAPITOLO 1

Buio e sofferenza. Un dolore fisico lancinante che sembrava pervadere ogni fibra

del suo essere. Era questa la morte? Se l‟era immaginata diversa la patria di Ecate, la

terra di Ade420

. Di sicuro non una stanza grigia dalle pareti di roccia. E poi un continuo

sprofondare in un vertice di sofferenza. Sprazzi di luce alternati a un buio profondo, con

nient‟ altro che l‟immagine di un vecchietto con un mantello giallo e un bastone in

mano che appariva sporadicamente nella sua visuale, sempre chino su di lui e circondato

da una luce che cambiava repentinamente colore; un salmodiare assurdo, senza un

minimo di senso, con dei suoni ancora più assurdi. E poi di nuovo giù, si sentiva

sprofondare sempre di più in un vortice di oscurità e oblio da cui emergeva solo per

provare fitte lancinanti e ritornare nell‟oscurità di prima…

Ancora luce e poi buio e ancora luce; un alternarsi di dolore e atarassia, di

momenti che puntualmente si trasformavano in angoscia e in un vuoto desolato,

Decisamente no; la morte non era piacevole. Ma era davvero la morte? Perché adesso

qualcosa era cambiato; adesso la luce e le masse sfocate acquisivano sempre più

nitidezza, diventavano sempre più chiare e con i contorni definiti; ora tutti i suoi sensi

gli dicevano che la realtà in cui si trovava era dannatamente simile alla vita, anzi

peggio: spossatezza e tormento, stordimento, nausea e ancora patimenti. Questa volta

provò ad aprire gli occhi e ci riuscì, ritrovandosi a guardare un paio di occhi neri

420 Aldilà – Gli inferi, detti anche Ade, erano i luoghi dove risiedevano le anime dei morti, situati a volte sotto la terra, a volte al di là del fiume Oceano, all'estremo occidente, in una regione dove non

giungevano i raggi del sole, e dove regnava Ade, dio non solo della morte ma anche delle Ricchezze, dato

che esse si trovavano nel sottosuolo.

I Romani ponevano l'entrata agli inferi nei pozzi del lago di Averno o nelle grotte di Cuma. Ma tutti gli

anfratti e le incrinature potevano essere un'entrata potenziale del regno delle tenebre, un posto frequentato

non solo dalle anime dei defunti, tramite un preciso rituale con offerte precise, ma anche da mortali,

purché eroi, artisti, o sibille o streghe, che potevano avvicinarsi e parlare con le ombre dei morti, per

conoscere il futuro. Per ulteriori informazioni o riferimenti cfr. Ade in “Tesauro”, BNCF; De Ceglia 2014,

p. 39.

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150

contornati da una miriade di rughe che lo scrutavano da vicino: “Beh era ora che ti

svegliassi! Tre giorni di sonno sarebbero troppi anche per un vecchietto come me!”

Sconcertato li aprì ancora di più e si accorse che la creatura che avevano popolato la sua

mente non era affatto incubo, ma sprazzi di realtà; era davvero in una grotta dalle grigie

pareti spoglie e davanti a lui si trovava veramente una campionatura fenomenale di

rughe e capelli bianchi.

“Allora, come stai? Mi sei costato parecchie energie e sudore, lo sai? Che Falach

mi incenerisca! Tre giorni e tre notti non sono mica una sforzo da poco, neanche per

uno come me! Ma devo dire che il risultato non è niente male, anzi è molto

soddisfacente!”

“Chi sei? Cosa vuoi? Che ci fai qui? Da Dove vieni e soprattutto dove mi trovo?”

disse guardandosi ancora attorno, con voce roca. L‟ultimo ricordo che aveva era la sua

tenda da campo e… Mucapor! Caro!421

Come avevano potuto credere alle parole di

Eros? Ed Eros, quando lo avesse preso, altro che quel soldato sorpreso con la moglie di

quel contadino422

, al confronto quello che gli avrebbe fatto sarebbe parsa una carezza423

!

Poi, subito dopo, il pensiero si spinse oltre: era stato colpito a morte. Ma allora, come

faceva ad esser vivo? E di nuovo, chi era quel tipo? E dove si trovava? Tutte queste

domande gli davano l‟impressione che la testa gli dovesse esplodere da un momento

all‟altro.

421 Ware 2010, pp. 234-235. Inoltre Vittore 38.1 ci dice che Caro era una valente comandante e che era stato nominato praefecto

pretorio da Probo, con Diocleziano che era con Caro al momento della campagna contro i Persiani

(Vict:Caes 39.1). 422 Per esempio, fu l'unico fra i comandanti a infliggere la seguente punizione a un soldato che aveva

violentato la donna presso la cui casa alloggiava: fece piegare le cime di due alberi, ci legò i piedi del

soldato e subito comandò che fossero rilasciate. L'uomo restò appeso ai rami col corpo diviso in due (

SHA:Aur, 19, 1-4). 423 HA dice che Eros, o meglio Menesteo, venne legato ad uno steccato e fatto sbranare selvaggiamente

dalle bestie selvatiche (SHA:Aur 37.2 aggiunge anche che la descrizione della sua morte era presente

sulla tomba.

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“Già già – disse il vecchio – guardandolo in faccia e capendo le sue perplessità –

mi rendo conto che ci possa essere una leggera confusione, ma se mi dai tempo, proverò

a spiegarti tutto, anche se ti avverto che non sarà una cosa facile da credere e

avrai…come dire…un po‟ di difficoltà, parecchia ad essere sincero.” Allo sguardo

incerto e dubbioso di Aureliano, l‟altro proseguì: “prima mi devi promettere che

qualsiasi cosa io dica, mi farai finire e provare a spiegare tutto; dopodichè mi potrai

interrompere per chiedermi tutto quello che vorrai, va bene? Allora…Mi chiamo

Myredos e tu sei morto! O meglio, sei morto nel tuo mondo ma sei vivo in questo. Oh

perdiana che pasticcio! Così non funziona! Cambiamo strategia: vediamo, vediamo. Beh

sì, iniziamo proprio dall‟inizio: come ti ricorderai, sei stato vittima di un attentato,

organizzato da Eros, e mi duole inoltre ammettere che la congiura ha avuto successo: i

tuoi generali e compagni hanno dato credito alle sue parole e ti hanno aspettato nella tua

tenda, dove poi ti hanno trafitto a morte; ci sei fin qui? Ti ricordi?” al vago cenno di

assenso di Aureliano, egli proseguì: “bene! Ora, dopo che sei stato colpito, sono

intervenuto io e ti ho portato qui, dove, nonostante le tue condizioni critiche, ti ho curato

e ti riportato nel mondo dei vivi. Il problema è che QUI, non è il tuo mondo, ma uno

parallelo e il mondo dei vivi non è quello che conosci tu!”

“Tch, tch, avevi promesso – disse Myredos quando Aureliano aprì la bocca e

iniziò a protestare, ad insultarlo in ogni modo possibile – bene!” continuò Myrdos,

quando più per la spossatezza che per altro, Aureliano si acquietò. “Dicevamo che ti ho

guarito. Ora devi sapere che la realtà in cui tu hai sempre vissuto non è l‟unica, ma una

delle tante; ne esistono a milioni e decine di milioni ad essere sincero: ogni singola volta

che ciascuno di noi compie una scelta, che si trova ad un bivio e decide, ecco che la

possibilità scartata non si perde, ma rimane, continua ad esistere in un altro mondo o

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dimensione, chiamalo come vuoi, e si sviluppa parallelamente. Capisci? È facile quindi

capire che esistono infinite possibilità o realtà ed esistenze, ciascuna delle quali è è

determinata da ogni scelta che compiamo. Quindi ora tu ti trovi a Vallyar, una di quelle

tante possibilità di cui ti ho parlato e che…” questa volta non riuscì a finire la frase

perché Aureliano, saltò su e nonostante le improvvise vertigini che lo assalirono, spinse

da parte Myredos e si avviò verso quella che sembrava l‟unica porta della stanza. “Che

Giove mi fulmini se sto ancora un secondo in più ad ascoltare i vaneggiamenti di un

folle! Per la Triade Capitolina, al tuo confronto le Erinni 424

erano gentili e ringrazia che

non ti faccia squartare! Puah! Altro mondo!” Quando aprì la porta, si trovò dinnanzi un

uomo – dell‟ età di quarant‟anni – basso e un po‟ tarchiato, con capelli neri e un sottile

pizzetto; indossava una tunica rossa e sulle spalle aveva un ampio mantello grigio scuro,

mentre era intento a dar da mangiare enormi pezzi di carne a…un drago! A quella vista,

si bloccò, paralizzato; davanti a lui c‟era veramente un drago! Non esisteva nessun‟altra

altro possibile nome – un drago! – benché ogni fibra del suo essere gli gridasse che non

era possibile! Che non esistevano i draghi! Dopodichè, svenne!

“Oh ma – oh ma – oh ma – disse Myredos; “chi se lo aspettava che avesse già

tutta questa energia! Dopo solo tre giorni! Devo dire che ha una tempra eccezionale

oppure sono io che sono stato proprio bravo a guarirlo. Mah, comunque, la cosa non mi

dispiacerebbe in entrambi i casi! Su forza Lapers, lascia perdere per un attimo Scarim e

aiutami a portarlo dentro!” L‟uomo tarchiato, sbuffando e con mala voglia, posò la

carne e aiutò lo stregone a riportare Aureliano sul giaciglio. Detto questo, chiuse la

porta.

424 Cic:Nat.Deo III,18,46;

Page 153: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

153

Quando aprì nuovamente gli occhi, tutte le allucinazioni che credeva e sperava se

ne fossero andate, si rimateriallizarono davanti a lui, a cominciare da quel pazzo

scriteriato – come è che si chiamava? Myrdaios, Mireidos – che gli aveva fatto venire

un mal di testa incredibile, blaterando di mondi paralleli e scelte diverse.

“Allora, ben tornato! Ti senti meglio? Anche se mi hai sorpreso, devo dire che

come paziente non sei il massimo, e non mi faciliti le cose, vero?”

“Oh no, non di nuovo lui – biascicò Aureliano, va via! Voglio vedere i miei

soldati, i miei compagni! Tu, sparisci o ti farò frustare!”

“Oh ma – oh ma – oh ma – non sei molto gentile con chi ti ha salvato la vita vero?

“Sparisci… Ahaha, bel ringraziamento davvero! Comunque, mi dispiace per te ma non

ti posso accontentare. Vedi, si dà il caso che io abbia bisogno di te e dato che ti ho

salvato la vita, direi che il minimo che tu possa fare è contraccambiare il favore; perciò

scegli: o mi ascolti un attimino oppure mi ascolti lo stesso, visto che hai la forza di un

lattante; alla fin fine devi solo ascoltare questo povero vecchietto e lasciargli il tempo di

spiegare. Viste le tue condizioni e il fatto che no ti puoi ancora muovere, non è che ti

faccia perdere chissà quanto tempo. Te la senti di assecondarmi un attimino? Di

assecondare le richieste di questo povero vecchietto? E visto che l‟approccio di prima

non è servito a molto, provo quello più diretto: te la senti di appoggiarti a me un

secondo e di fare due passi? Ecco così bravo; appoggiati a me e tieniti ben saldo. Ah

non ti preoccupare; non sono così vecchio da non poterti sostenere”, disse Myredos.

Con sua grande sorpresa infatti, Aureliano scoprì che nonostante l‟aspetto fragile

e il bastone, Myredos nascondeva molta più forza di quanto non lasciasse intendere.

Intanto erano ormai giunti alla porta, “ora ti prego non svenirmi di nuovo, va bene?

Riesco a sostenerti se tu ti dai una mano, ma da solo mi sa che cascheremmo come due

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154

pere! Anche perché sennò poi Scarim si offende; penserà che lo trovi butto e lui è

abbastanza permaloso.”

“Chi è Scar… – fu sul punto di chiedere Aureliano, quando Myredos aprì la porta

e di nuovo l‟immagine di un enorme drago d‟argento comparve davanti ad Aureliano.

“Ma, ma, maaa, non era un sogno! Non era un incubo!” Tenendosi saldamente al mago,

la verità si presentò davanti al vecchio imperatore in tutta la sua maestosità. Un enorme

drago d‟argento si stagliava davanti ai suoi occhi e lo scrutava con uno sguardo

sornione. “Bene. Un deciso miglioramento. Almeno non sei svenuto!” disse Myredos

mentre ad Aureliano si piegavano le ginocchia, con un misto di terrore e sbigottimento –

e adesso che abbiamo superato questa fase, lascia che ti presenti Scarim, il drago che ti

ha causato tanto turbamento e la cui storia ascolterai tra breve; ma prima, che ne dici di

un boccone? Mia madre diceva sempre che ogni cosa appare migliore dopo un buon

stufato”. Aureliano non dovette neanche replicare, che il suo stomaco rispose per lui. Il

mago scoppiò allora a ridere e lo invitò, verso una diversa porta; Aureliano lo seguì

dopo l‟ennesima occhiata a Scarim, ancora frastornato. Arrivarono così in un‟altra

stanza, ancora più strana; di dimensioni circolari, la stanza presentava sulla parete di

sinistra un caminetto in cui un fuoco scoppiettava allegro; al centro si trovava una tavola

apparecchiata con Lapers che stava finendo di sistemare una pentola fumante. “Ah

bravo Lapers! Sono sicuro che hai fatto una gran roba!” A quelle parole, Lapers ribatté

voltandosi verso lo stregone con uno sguardo indignato e con voce irosa: ”Robe saranno

le porcherie che provi a cucinare tu, quando non ricorri ai tuoi abracadabra da due soldi,

perché questo si chiama stufato di cervo ed è una leccornia!” Poi, come se avesse notato

Aureliano solo in quel momento,, in tono brusco, soggiunse, “Ah ci sei anche tu! Sei

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guarito. Ciò vuol dire che devo mettere un piatto in più.” Detto questo sparì dietro

l‟ennesima porta.

“Ah sì, non farci caso; Lapers è sempre così. Non so se sia la sua natura congenita

o se si impegni proprio ad essere più antipatico di una manticora, ma prova

un‟avversione particolare per gli sconosciuti, per te in particolare. Comunque non ti

preoccupare perché è innocuo: se provasse a fare una magia finirebbe per bruciarsi il

pizzetto!”

Aureliano, per nulla confortato da quella spiegazione e ancora troppo frastornato

dagli ultimi avvenimenti e dalla fame425

, si accomodò sulla sedia, notando a malapena la

mancanza di triclini,: “Per Giove, ho l‟impressione che nel mio cervello ci sia soltanto

una scimmia426

cui è stata data una buccina e che si stia divertendo a suonarla a

ripetizione! Da dove è sbucato fuori quel coso, e…e… che cosa sta succedendo, per

Saturno!” Intanto era rientrato Lapers e gli venne servita una dose abbondante di carne:

“almeno questa sembra essere vera carne – disse tra sé e sé Aureliano, ricevendo

un‟altra malevole occhiata da Lapers – e se tutto sembra fuori posto, almeno questo

sembra cibo e che cibo!” Esclamò dopo averlo addentato con quella che sembrava

davvero una fuscinula, ma da usare per mangiare427

”.

“Bene bene, son contento che ti piaccia – disse Myredos – ancora di più perché

così ascolterai ciò che ti sto per dire. Dunque, dunque, dove eravamo rimasti? Ah sì, a

Vallyar; come ti avevo accennato, ogni nostra scelta, ogni bivio in cui ci imbattiamo ha

ripercussioni anche sugli altri mondi e, per scendere a discorsi più concreti, su quello

che era il tuo mondo e su questoi; è come se esistessero tanti futuri quante sono le scelte

425 Nell‟antica Roma i pasti principali erano lo ientaculum e la coena, mentre il prandium era solo un

pasto veloce da fare nella pausa, tra le attività mattutine e quelle pomeridiane – Carcopino (2005). 426 L‟esistenza della scimmia al tempo dei romani è documentata sin dai tempi antichi, dalle origini, tant‟è

che rientra nelle pene previste per il parricidio – nota come poena cullei – secondo quanto ci dice

Cicerone (Cic:Amer, XXV, 70). 427 Charlton T. Lewis, Short, Charles, A Latin Dictionary, Oxford: Clarendon Press, 1879.

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156

che compiamo e ciascuno di essi è diverso nella misura in cui si è frutto di scelte

diverse. Ora, visto che esistono diversi mondi, è normale pensare che uno sia diverso

dall‟altro perché ciascuno è frutto dell‟intrecciarsi delle scelte diverse delle diverse

persone. Dal momento che ti vedo ancora perplesso, ti basti sapere che questa non è la

Terra, tu non sei sulla strada per Bisanzio e che – e non mi dispiace neanche dirtelo, per

ragioni che spero capirai – per te non è più possibile ritornare là. Non so se ti ricordi, ma

sei stato vittima di una congiura, e ora tu sei per loro bello che morto! Certo, ti hanno

celebrato un grande funerale428

e ti hanno definito come invitto restauratore del

mondo429

, ma rimani comunque morto ed è già stato proclamato il tuo successore430

.

Prima che tu faccia qualsiasi obiezione, protesta o anche solo pensiero per cercare di

ritornare sulla terra, prova a pensare un attimo: come reagiresti se spuntasse

all‟improvviso una persona data e creduta morta? Come reagiresti tu? Eh sì, esatto; vedo

che inizi finalmente a ragionare! Non la prenderesti molto bene, per usare un

eufemismo. Finalmente la famosa praticità romana sta ritornando…”.

“Maialis431

! Tutto questo è colpa tua! Se adesso mi trovo in questa situazione, in

un mondo astruso, ad ascoltare quelle sembrano solo farneticazioni, che mi fanno solo

428

Zos 1.62.3 dice che Aureliano fu bruciato con una magnifica e solenne cerimonia funebre nello stesso

posto in cui fu ucciso; SHA:Aur 37.4 riprende questa versione e aggiunge che venne eretto un tempio cui

seguì una statua dello stesso dove venne ucciso Menesteo: il difetto di queste ultime informazioni è che

non sono comprovate o presenti da nessun‟altra parte. 429 Watson 1999, p. 28%. 430 Per quanto concerne il successore invece, Vict:Caes 35.9 e SHA:Aur 40.2 dicono che dopo la morte di

Aureliano le legioni a Caenophrurium insistettero per chiedere al Senato di esprimere un sostituto; l‟unica

plausibile spiegazione per un simile agire –visto il modus operandi soprattutto del III secolo in cui le

legioni eleggevano spontaneamente e ad ogni piè sospinto i propri comandanti come imperatori – è spiegato da Saunders (1991) che sostiene come questa sia una prova del fatto che non esistesse nessuna

congiura per sostituire Aureliano con qualcun altro, ma rimane comunque improbabile, come sostiene

Syme (Syme, Emperors, pp. 237-247), che l‟esercito non abbia giocato nessun ruolo anche in questa

situazione.

Tacito venne scelto a Roma (Zos 1.63.1 e Zonar 12.28), anche se Vict:Caes 35.9-36-1; [Vict]:Epit. 10;

SHA:Aur 40-41 sostengono come ci sia stato un interregno di sei o sette mesi tra Aureliano e Tacito,

anche se questo sempre essere più un fraintendimento dovuto alla brevità del governo di Tacito, oltre al

fatto che un interregno di circa sei mesi sembra essere troppo lungo per un periodo che ha visto

l‟esistenza simultanea di tre o quattro imperatori. 431 Cfr. Calonghi, Dizionario Latino, 2014.

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venire i sudori freddi e mi causano un mal di testa allucinante, devo soltanto ringraziare

te! Io…”

“ Tu cosa? Ti ricordo che se non fosse stato per me tu sì che saresti veramente

morto! Saresti già nel Tartaro, altro che Campi Elisi, vista la tua ingratitudine! Sono

stato io che ti ho tirato fuori da là, e tu anziché ringraziare, o almeno mostrarti un

minimo riconoscente, che fai? Mi insulti!? Avanti, perché non rispondi? Non mi aspetto

ringraziamenti, visto che anche io non è che sia del tutto disinteressato, però almeno non

mi insultare, anche se ho apprezzato la varietà! Non sapevo che anche gli imperatori ne

conoscessero di questo tipo!”

Quest‟ultima frase lasciò Aureliano interdetto per un attimo, e poi esplose in una

fragorosa risata, “hai ragione! Davvero imperdonabile! Dovremo andremo a finire se

non mostro neanche il minimo ringraziamento? Perciò visto che mi hai salvato la vita,

anche se a quanto pare l‟hai fatto con un secondo fine, lascia che ti esprima la mia

gratitudine e che ti dica che ti assicuro che farò il possibile per sdebitarmi, o almeno ti

prometto che ci proverò, o forse sarebbe più corretto dire che farò almeno finta di

provarci – disse sogghignando apertamente. A quelle parole anche Myredos sorrise e fu

come se la parete invisibile che sembrava aver diviso i due uomini si sciogliesse.

“Rimane solo da definire – proseguì Aureliano – l‟entità dell‟aiuto che dovrei fornirti

come possibile ulteriore ringraziamento; ma dovresti finire un certo racconto,

soprattutto prima che quel residuo di ottimismo e altruismo che mi è spuntato, sparisca

da un momento all‟altro.”

“Ahaha giusto! Bravo! Devo dire che il pragmatismo romano mi piace sempre

più! Allora vediamo…

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Il pianeta o mondo su cui ti trovi si chiama Vallyar e ha una storia abbastanza

lunga da poterci diventare vecchi e decrepiti a raccontarla tutta come si deve. Diciamo

che essa si perde nel buio degli eoni, ma a noi, cioè a te, interessi sapere essa si divide

generalmente tra forze del caos e non. Come saprai o avrai capito, il mondo si

caratterizza da sempre per la conflittualità; è insito proprio negli esseri viventi il

combattere, l‟antagonismo o il conflitto e da sempre questa competizione riguarda il

bene e il male, l‟ombra e la luce, l‟ordine e il disordine, la vita e la morte, o in qualsiasi

altro modo tu li voglia chiamare. Nell‟ambito di simili scontri, circa duecento anni fa

c‟è stato uno delle più grandi battaglie tra gli eserciti delle ultime razze libere contro le

forze delle tenebre che stavano rapidamente e inesorabilmente conquistando il mondo;

quest‟ultima alleanza di tutte le razze libere affrontò le forze dell‟ombra, che volevano

riportare in vita Smaurn nella battaglia di Rittenfield e riuscì a sconfiggerlo. Quella sì

che fu una grande vittoria e comportò la salvezza e dalle grinfie dell‟ombra e del caos.

Da allora il mondo non ha più visto una simile malvagità, non ha mai più corso un

pericolo così grave; fino ad ora almeno. Infatti ho motivo di credere e temere che

qualcosa stia nuovamente covando nell‟ombra e che in qualche modo l‟oscurità stia

riguadagnando potere ed è qui che entri in gioco tu perché, anche se non so bene come,

ho il sospetto che tu possa c‟entrare qualcosa”.

“Il…sospetto?” Tu sì che sai dare risposte chiare e rassicuranti!” Che cosa

significa il sospetto e soprattutto cosa dovrei farmene io dei tuoi sospetti, delle tue

elucubrazioni mentali, avute in chissà quali momenti di stordimento?! E ancora! Che

cosa potrei mai fare io per questo mondo? Che cosa c‟entro!?”

“Allora, chiariamo due concetti base; innanzitutto e come prima regola, si dà il

caso che tu stia parlando con una delle persone più autorevoli e importanti di questo

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mondo per cui “i miei vaneggiamenti”, come li chiami tu, anche quando fossi ubriaco,

valgono più di tute le più grandi riflessioni di questo mondo e del tuo; in secondo luogo

vale la prima regola e per finire indovina un po‟? Considera ancora una volta la prima

regola! Ma visto che sono gentile e che ci tieni proprio ad avere una spiegazione, non

dimenticare che è in seguito alla mie “fantasticherie” che tu sei vivo. Senza di me tu

saresti un imperatore bello che defunto; certo equiparato ad un dio432

e celebrato con

tutte le onorificenze possibili, ma comunque morto e sepolto e quindi dovresti anche

dimostrarti un pochino più fiducioso e grato no?”

Aureliano, spiazzato da quell‟improvviso sfogo, non riuscì a trovare nulla da dire

e solo in seguito soggiunse, con un tono leggermente più mite: “Hai ragione; è che sono

ancora tutto scombussolato da questi fatti e non mi sono ancora riperso del tutto. Ma in

tutto questo, una cosa è chiara; per quanto mi dolga ammetterlo, sono vivo grazie a te e

ti posso promettere che proverò a sdebitarmi. Poi come sorpreso e pentito egli stesso da

quell‟improvviso atto di gentilezza, soggiunse: “Permettimi allora solo un‟ultima

domanda; al di là del fatto che mi hai salvato la vita spinto da motivazioni personali che

neanche tu conosci, dimmi, Myredos, nella tua logica stringente e nella tua superba

esposizione dei fatti, non ti sei forse dimenticato di raccontarmi qualcosina? Perché

riconosco che hai grandi capacità di sintesi, ma non ti sembra manchi qualche

informazione?” Allo sguardo ancora interrogativo di Myredos, Aureliano insistette:

”No? Niente? E allora che mi dici sull‟esistenza di quel coso argentato ed enorme

che si trova qui fuori? Sai, non so come funzioni nel tuo, ma dove vivevo io non c‟era

l‟abitudine di avere come cagnolino da guardia un enorme e mastodontico drago

d‟argento! Da dove salta fuori? Ci sono per caso altri animaletti piccoli e graziosi o altri

432 Eutrop 9.15.2 e SHA:AUr 37.4 fanno notare infatti come Aureliano sia stato anche deificato.

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esseri viventi di cui, nella tua infinità perspicacia e nella tua grande magniloquenza, ti

sei dimenticato anche solo di accennare?”

A quelle parole, il viso di Myredos si aprì in un radioso sorriso ed proruppe in una

fragorosa risata; “Ahahah, complimenti, l‟ironia non ti manca di certo! Tu hai ragione

ma ti ricordo che sei tu che continui ad interrompermi. Comunque vedi, è una situazione

strana e inverosimile anche per me e anche io faccio fatica ad essere presente.”

Comunque, per continuare la spiegazione, eravamo rimasti alla battaglia di

Rittenfeld, avvenuta tra le forze del bene e quelle del male; devi sapere che la principale

differenza tra il tuo mondo e il mio risiede principalmente nell‟esistenza di diverse razze

e soprattutto nella magia. La magia! In questo mondo la magia e il ricorso ad essa sono

all‟ordine del giorno e tutte le razze possono ricorrervi, ovviamente c‟è chi è più capace

e chi meno, chi è più dotato e chi meno, ma rimane il fatto che essa pervade la nostra

esistenza, fa parte della nostra vita e ci circonda. Ed è sempre a questo proposito che

possiamo inserire il discorso delle razze che parteciparono a quella battaglia. Tra le

razze più importanti ci sono i nani, esseri alti poco più del metro e cinquanta che trovi

nelle montagne in una continua e costante ricerca di minerali preziosi. Sono famosi per

essere robusti e cocciuti, burberi, e bravi minatori, scarsi di magia anzi, completamente

estranei ad essa tranne che per i pochi rudimenti necessari per la fabbricazione di armi,

ma ottimi fanti e tenaci combattenti; nel tempo libero, comunque, quando cioè non si

accapigliano tra loro, hanno una sola occupazione che sarebbe l‟estrazione dei minerali

e la loro lavorazione, ambito in cui sono maestri: la metallurgia non ha quasi segreti per

loro, sviluppata in anni e anni di volontario isolamento nelle montagne433

. Poi ci sono

433 Ho attribuito ai nani un ordinamento politico e istituzionale che rassomiglia e riproduce le poleis

greche, divise in tanti piccole unità o comunità – qui trasformate nei clan maneschi –in conflitto tra loro e

raramente capaci di unirsi e cooperare, salvo qualche rara eccezione e solamente in condizioni di gravi

difficoltà e pericolo.

Page 161: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

161

gli elfi, austeri altezzosi e poco passionali, sono esili e flessuosi, ma la loro costituzione

non ti tragga in inganno perché non sono per nulla gracili o deboli, anzi sono tra i più

temibili e potenti. Sono infatti tra gli esseri viventi più potenti, e la loro origine risale

agli albori della storia. Si dividono a loro volta in elfi dei boschi ed elfi oscuri e per

aiutarti o per non annoiarti a morte, possiamo dire che sono l‟uno l‟opposto dell‟altro:

gli elfi silvani vivono a completo contatto con la natura, prediligono la luce del sole e

sono esperti nelle arti curative, mentre gli elfi oscuri popolano le aree più nascoste e

profonde della terra, amano la guerra e il sangue e tra tutte le cose, bramano il dominio

e il potere434

. Oltre agli uomini435

, e non mi dilungo oltre perché in tutti i mondi, gli

uomini sono sempre gli stessi – capaci dei più grandi slanci di lealtà, coraggio e

altruismo, e allo stesso tempo i migliori paladini dell‟egoismo, dell‟atrocità e dell‟odio –

c‟è la progenie dell‟ombra, tra cui annoveriamo troll, orchi e goblin; di tutti loro ti basti

solo sapere che quando li incontri, vale una sola regola: uccidili prima che facciano

fuori te, ricordandoti che la loro intelligenza e perspicacia è inversamente proporzionale

alla loro stazza, forza fisica e pericolosità. Bene; tutti questi possiamo dire che hanno

una vaga forma umana, chi più chi meno ovviamente – per intenderci, orchetti e goblin

hanno la pelle olivastra, gambe tozze e braccia che strisciano quasi per terra, mentre i

troll, a parte le dimensioni inusitate che ricordano piccole montagne, hanno il pregio di

emanare uno sgradevole odore per cui li senti anche a miglia di distanza – non

dobbiamo scordarci dei vari animali che popolano Vallyar, ma sono cose che imparerai

un po‟ per volta. Non puoi assimilare tutto in un colpo solo; ti parlerò invece di Scarim,

il drago d‟argento che hai visto prima. È uno degli ultimi esemplari di drago che siano

rimasti sulla Terra, , se non addirittura l‟ultimo, e la sua storia risale sin dall‟alba dei

434 Ho deciso invece di modellare l‟ordinamento degli elfi riprendendo la classica monarchia. 435 Agli uomini, invece, ho attribuito l‟istituzione di un‟oligarchia allargata che racchiude al proprio

interno i pregi e i difetti della stessa, ma anche della democrazia.

Page 162: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

162

tempi, quando cioè i draghi dominavano incontrastati su tutti gli altri esseri viventi.

Devi sapere infatti che la loro mole, la loro forza fisica e la pelle ricoperta di scaglie li

rende nemici formidabili; se poi consideri che vivono molto a lungo, sputano fuoco,

sono esseri senzienti e molto intelligenti, e che sono creature dotate di magia cui

possono ricorrere, anche se inconsapevolmente – dato che cioè non ne hanno un pieno

controllo – allora non farai fatica a credere se ti dico che sono combattenti senza eguali.

La situazione è cambiata quando è iniziata la Grande Guerra delle Razze per la

supremazia. Secondo le cronache deve essere stato una cosa sconvolgente e spaventosa;

esplosioni di energia pura; scontri e schianti tra magie titaniche si susseguivano nel

tempo e nessuno riusciva a prevalere: nani combattevano draghi che a loro volta si

scontravano con gli elfi che affrontavano ancora nani e draghi in una spirale di violenza

e morte che non aveva mai fine e che si acuiva con il passare del tempo. Ciascuna razza

possedeva qualche cosa che le permetteva di sconfiggere i propri avversari, senza che

nessuno riuscisse a predominare sugli altri: per esempio, un punto debole di draghi ed

elfi rispetto ai nani era la bassa natalità della popolazione per cui una morte

rappresentava una grande sciagura; gli elfi riuscivano ad affrontare i draghi grazie alla

magia cui però i nani sono particolarmente resistenti; i nani, poco agili e non così

longevi, a loro volta negli scontri con i draghi, ricorrevano ai grifoni – animali per metà

leoni e per metà aquile, che però si sono praticamente estinti, a causa delle numerose

guerre e della caccia cui sono stati sottoposti per le proprietà magiche del loro sangue e

delle loro piume – e i cui artigli perforavano con maggiore facilità le scaglie di drago.

Le stagioni passarono, gli anni si susseguirono e i conflitti si protraevano senza

sosta; questa situazione senza fine arrivò ad una svolta parecchi anni dopo, con la

Grande Frattura, cioè con una scissione che avvenne tra gli elfi e che fu la vera sciagura

Page 163: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

163

per il nostro mondo. Infatti, tra i vari guerrieri elfici che combattevano a quell‟epoca, ad

un certo punto, emerse la figura di Smaurn, un elfo particolarmente dotato e potente il

quale, nella ricerca di un modo per ottenere ancora più potere, si spinse troppo in là e

trovò e sviluppò quella che oggi è comunemente definita la Magia del Sangue. Egli

scoprì infatti un particolare impiego della magia che prevede sacrifici umani con un

insieme di riti e pratiche abominevoli e cruente, che tra le altre cose, porta a bere il

sangue dei propri nemici e ti permette così di appropriarti della sua energia vitale.

Quando Smaurn era ancora all‟inizio della propria opera, il consiglio degli anziani e

Rifail – il re degli elfi – venne a conoscenza dei suoi esperimenti e ne nacque una

furiosa lite che portò alla rottura con i seguaci di Smaurn che si allontanarono dalla

Bailiwick – la foresta degli elfi – e si scomparvero nelle Murky Bleaknen, le lande

desolate del Nord. Gli altri fecero il madornale errore di dimenticarsi di loro, ma fu un

grave errore; rifugiatisi nelle regioni più lontane e buie infatti, avevano sviluppato nuovi

poteri, addentrandosi così tanto in profondità nei sentieri del male che quando emersero

dall‟Ombra, non erano più riconoscibili: così nacquero gli elfi oscuri e tutta la progenie

del male, frutto di esperimenti e pratiche magiche tra le più abominevoli. Tra tutti

campeggiavano, per malvagità e potenza, i generali di Smaurn, i suoi servi più fedeli e

devoti, quelli che divennero poi tristemente famosi come i Cinque, tra cui primeggiava

Falach, secondo solo a Smaurn stesso: esseri eccezionalmente potenti, esperti nelle arti

magiche più di tutti gli altri e dotati di una forza che rivaleggiava ed eguagliava quella

dei più grandi guerrieri e perfino con quella di molti draghi. Inesorabilmente le sue

armate incominciarono ad avanzare e a distruggere chiunque sbarrasse loro il cammino

e nessuno sembrava in grado di fermarli. Fu allora che dal mare dell‟Est, arrivarono gli

umani. Non si sa molto della loro terra di origine ma solo che arrivarono perché spinti

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164

da carestie e da cataclismi che stavano sconvolgendo la loro terra d‟origine e che li

spinse a quell‟imponente migrazione di massa. Rappresentarono comunque la salvezza

per Vallyar. Esseri in tutto e per tutto simili agli elfi, non erano però in grado di usare la

magia e non ne condividevano la longevità, ma fu proprio grazie a loro che si riuscì a

organizzare una resistenza, a far cooperare tra loro quelle razze che si erano combattute

fino ad allora; venne infatti creata un‟alleanza e il loro aiuto fu tanto più importante

perché riuscirono in qualcosa che non era stato neanche pensato e provato: un patto

venne siglato tra uomini e draghi e fu così che nacquero i Signori dei Draghi, esseri

straordinariamente potenti, frutto della cooperazione di tutte e tre le principali razze di

Vallyar che unirono le loro conoscenze e le loro arti. Grazie all‟unione con il draghi, gli

uomini acquisirono nuove capacità, come l‟uso della magia o una maggiore forza e

resistenza, mentre i draghi divennero più mansueti, in grado di usare la magia con

maggior consapevolezza e di metterla così a disposizione del proprio cavaliere. Questa

nuova alleanza ribaltò le sorti del conflitto e pian piano le genti libere riuscirono a

riguadagnare terreno e arrivarono alla battaglia di Belessin, quando Smaurn venne

arrestato. Le cronache ci dicono che la terra stessa si ribellò a quella battaglia, con

eruzione di fiamme, fumi e gas velenosi e scosse. Nella Battaglia dei Tre Giorni,

avremmo potuto assistere allo scontro di forze titaniche, a gesti di coraggio e altruismo

senza eguali, che videro il sacrificio di Boradin, Primo Signore dei Draghi, che

sconfisse a prezzo della propria vita Falach, il più forte dei servi di Smaurn. Bene! Direi

che per oggi hai sentito abbastanza – disse Myredos, guardando fuori dalla finestra –

anche perché davvero troppe informazioni credo possano confonderti ancor di più. Ci va

tempo per assimilare tutte questi fatti e tu sei comunque e ancora in via di guarigione

Page 165: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

165

per cui, come diceva il mio maestro, pace all‟anima sua, la miglior forma di guarigione

è il riposo.”

Aureliano guardò fuori a sua volta e vide che, o meglio non vide, niente altro che

buio e oscurità, realizzando che nonostante tutto il suo scetticismo, quel racconto lo

aveva intrigato e si era lasciato prendere dalla narrazione, non accorgendosi che fosse

già notte inoltrata.

“Riprenderemo tutto domani; per ora, Buona Notte! Ti farò accompagnare da

Lapers nella tua stanza.

Lapers! Lapers! Benedetto quell‟uomo, dove si sarà cacciato? Lapers!”

“Eccomi, eccomi! Non mi pare il caso di gridare tanto”, disse trafelato,entrando

nella sala e guardando prima Myredos e poi Aureliano, “Di cosa avete bisogno,

Maestro?”

“Che ne diresti di mostrare ad Aureliano la sua stanza? Detto questo, salutò

entrambi e si alzò da tavola, uscendo dalla stanza e scomparendo alla vista. Aureliano,

allora, guardò Lapers, e si alzò a sua volta, seguendo l‟apprendista e arrivando così

all‟ennesima porta, che si dimostrò portare ad un‟altra sala abbastanza scarna,

contenente un letto e una seggiola.

“Beh, non sarà una reggia, ma spero sia di tuo gradimento”, commentò Lapers,

con malcelato sarcasmo; detto questo uscì.

“Un vero pozzo di simpatia quello là; roba da mangiarsi pane e acidità ogni

mattina” disse, guardando il letto – sembra comunque meglio della mia branda da

campo436

.”

I raggi del sole che entravano dalla finestra lo sorpresero ancora a letto e dopo

qualche attimo di confusione e smarrimento – gli riusciva ancora difficile abituarsi alla

436 Rinomata a questo proposito, tra le fonti antiche, la proverbiale austerità, il rigore di Aureliano che…

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166

sua nuova vita – si vestì e si diresse verso la sala da pranzo, aspettandosi di trovare

Myredos; rimase alquanto sorpreso dato che l‟unica traccia di vita era il sempre

scontento Lapers che lo accolse con un laconico buongiorno e senza ulteriori indugi gli

servì una ciotola di una sostanza bianca fumante. Al suo sguardo interrogativo, Lapers

gli chiese: “Beh?! Che hai da guardare? Ti conviene mangiare in fretta che poi

dobbiamo partire.”

Incollerito per come era stato apostrofato, si limitò a contenere la rabbia ed chiese:

“Partire? E per dove?” Mentre aspettava la risposta, iniziò a bere quello che si dimostrò

essere latte caldo cui Lapers fece seguire delle fette di miele, per poi finire con della

frutta.

“ Abbiamo perso fin troppo tempo e dobbiamo incamminarci verso Spallid, la

capitale di Varigon e a cavallo ci vanno parecchi giorni”…

Page 167: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

167

APPENDICE – Le Fonti

Dexippo (210 c.ca – 271). Di lui abbiamo un‟opera – Scythica, il titolo fa

riferimento ai Goti, dal momento che quello è il nome erroneo con cui veniva spesso

indicata quella popolazione – che riguarda la vita di Aureliano, dato che parte dal 238

per arrivare fino agli anni del regno di Aureliano, probabilmente fino agli anni del suo

trionfo nel 274, contenendo quindi al proprio interno le informazioni sulle prime guerre

di Aureliano. Egli riveste una sua importanza nel momento in cui si vogliono avere dati

sugli scontri di Aureliano contro gli Iutungi e i Vandali, mentre l‟aspetto per noi

importante è che Dexippo, insieme alle opere di Eunapio, rappresenta la principale

fonte per la storia della Grecia nel III secolo, e viene spesso indicato tra le più

attendibili fonti in nostro possesso, tenuto anche conto che è il più contemporaneo tra i

vari autori che scrivono di Aureliano.

Eusebio di Cesarea (260 c.ca – 339). Egli è l‟autore di due opere che riguardano

indirettamente anche Aureliano; il primo è La Cronaca, una storia universale pubblicata

in due edizioni, e che inizia a partire da Abramo e integra e riguarda questioni giudeo-

cristiane. La prima edizione viene fatta finire, con qualche controversia nel 267, mentre

la seconda edizione si spinge fino al 325. Il problema principale riguardo a questa

edizione e all‟autore in generale è che lo stampo e l‟indirizzo che l‟autore dà all‟opera

sono principalmente rivolti agli argomenti e alle problematiche affrontate dal

Cristianesimo, a partire dalle vicende dei primi seguaci di Cristo. Per quanto riguarda

Aureliano in senso stretto, possiamo dire che egli fornisce notizie e informazioni sulla

guerra di Aureliano contro Zenobia e, successivamente, contro Tetrico, oltre che la

persecuzione contro i cristiani, ovviamente secondo un‟ottica prettamente cristiana. A

Page 168: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

168

questo punto però sorgono i problemi dal momento che il valore e il contributo delle

informazioni fornite da Eusebio si dimostrano vari; infatti da una parte, ci sono errori di

cronologia che suggeriscono come non avesse informazioni affidabili sul regno di

Aureliano negli anni a lui precedenti; dall‟altra, in qualità di scrittore contemporaneo di

Aureliano, anche se giovane, Eusebio merita comunque il beneficio del dubbio,

dimostrandosi comunque uno storico da cui non si può prescindere nell‟analisi

dell‟Imperatore.

Lattanzio (prima del 250 – dopo 325). Sappiamo essere stato un contemporaneo

più anziano di Eusebio e di nuovo, il suo De Mortibus Persecutorum scritto nel 314/5

c.ca, riporta notizie su Aureliano sempre in relazione alle sue persecuzioni cui bisogna

aggiungere degli aneddoti sulla sua morte. Proprio a proposito della morte di Aureliano,

bisogna dire che le informazioni in suo possesso si rivelano molto attendibili e

confermate dai diversi confronti incrociati e questo fatto implica come l‟autore dovesse

avere accesso a qualche fonte scritta o comunque affidabili cui attingere. L‟aspetto

particolare, curioso di questo autore è capire come mai quest‟opera non abbia giocato un

ruolo importante nell‟elenco delle fonti su Aureliano, e la spiegazione elaborata

probabilmente risiede nel fatto che anch‟egli fornisca un resoconto dei fatti secondo

un‟interpretazione di chiara matrice cristiana.

Cronografo. È il nome dato ad un editore anonimo di una raccolta di liste,

calendari, e cronache – la maggior parte delle quali sono state compilate nel 354 – e

delle quali quattro sono considerate importanti perché contengono notizie su Aureliano

imperatore: la Dedicatio et Natales Caesarum (CIL2 I.1p. 255) che riporta al 9

Page 169: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

169

Settembre il giorno di nascita di Aureliano; i Fasti Consulares, ossia una lista di consoli

che arriva fino al 354; la Praefecti Urbis Romae, una lista di prefetti dal 254 al 354; e

per concludere, ed è anche la più importante, Chronica Urbis Romae, un‟annotata lista

di re del Lazio, di Alba Longa e di Roma, cui si affiancano dittatori di Roma e

imperatori, e che si conclude con Licinio nel 324, con la lista che pare essere pressoché

finita e completata. Per quanto riguarda le notizie su Aureliano, esse si trovano

principalmente in Chronica p. 148, con uno stringato ed essenziale stile, che ci fornisce

giusto le informazioni basilari, come ad esempio la durata del regno, i vari progetti

edilizi dell‟imperatore, le elargizioni di cibo alla popolazione, i giochi legati al culto del

sole e il luogo della sua morte, senza però dilungarsi troppo o aggiungere altro. Le fonti

dell‟autore non paiono chiare e lo stile della lista implica, presumibilmente – che

esistessero all‟epoca numerose liste o elenchi dei fatti, delle date e dei politici o

governanti, anche se ci sono arrivate spesso incomplete e lacunose. Tutti questi aspetti

non negano comunque il fatto che la Chronica Urbis Romae sia probabilmente l‟ultima

fonte che possa essere definita di un testimone oculare dei fatti, della vita o del periodo

di Aureliano.

Altre fonti. Oltre a queste fonti che potremmo definire coeve, contemporanee o

comunque le più vicine cronologicamente al regno di Aureliano, non dobbiamo

tralasciare altri autori successivi, che comunque forniscono e parlano dell‟imperatore e

con il confronto dei quali riusciamo ad ottenere un quadro più ampio, complesso ed

esaustivo, senza dimenticare di esercitare le dovute cautele e i necessari paragoni o

relazioni reciproche.

Page 170: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

170

Sesto Aurelio Vittore, Eutropio, e la Kaisergeschichte. I primi due giocano un

ruolo particolare, dal momento che forniscono le prime informazioni e notizie sul regno

di Aureliano; di Vittore (320-390), sappiamo che è stato un burocrate romano di

Sirmio, nella metà del IV secolo, e poi nel 361, è stato nominato governatore della

Pannonia dall‟imperatore Giuliano. Successivamente veniamo a sapere che intorno al

388/9, è stato nominato prefetto della città. Attorno al 358-360 ha scritto il De

Caesaribus, una breve biografia sugli imperatori, a partire da Augusto, per arrivare al

360. Il regno di Aureliano occupa pochi paragrafi (35.1-14), e addirittura anche un

piccolo riferimento alla morte di Claudio il Gotico, funzionale all‟introduzione

dell‟inizio del successivo governo di Aureliano (34.7).

Eutropio sembra essere stato anche lui come Aurelio Vittore, un prominente

membro della burocrazia imperiale; ha scritto il Breviarium, che è una storia romana da

Romolo fino al regno di Gioviano del 363/4 e che contiene una biografia imperiale; di

Aureliano, gli unici residui che abbiamo sono 9.13-15 fanno riferimento a (manca). La

fortuna del Breviarium di Eutropio, uno dei pochi testi di storiografia latina che sono

stati tradotti in greco, è testimoniata dalla sua diffusione e dalla sua lunga circolazione

nella cultura bizantina. Si conoscono, comunque, diverse versioni greche di questa

sintesi di storia romana, composta dal magister memoriae dell'imperatore Valente negli

anni 369-370, e una di queste versioni, la più accreditata e ritenuta degna di fede, si

ritrova nei frammenti di Giovanni di Antiochia, autore di una Istoria Kronike, risalente

ai primi decenni del VII secolo. Uno dei primi studiosi dell‟opera di Giovanni e di

conseguenza di Eutropio, è stato un certo Valesius, il cui lavoro e studio non ha ricevuto

critiche nel corso del tempo, venendo largamente accettata ancora oggi dagli studiosi437

.

437 L‟autorità del Valesius , e la mancanza di studi sulla Istoria kronikè indussero i successivi studiosi ad

accettarne senza riserve la congettura, pur in mancanza di ogni prova. Procedendo alla sua importante

Page 171: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

171

Credo importante a questo punto, procedere con un confronto tra Vittore ed

Eutropio, dal momento che esso rivela molte affinità, come la lunghezza della

narrazione; i fatti descritti che sono molto simili tra loro, come dimostrato dalla guerra

contro Tetrico e i monetarii, la costruzione delle mura Aureliane, la descrizione sulle

modalità della sua morte. La spiegazione di queste affinità risiede molto probabilmente

nel fatto che usano la stessa fonte, quella che è arrivata a noi come la Kaisergeschichte

(KG), che fornisce una descrizione delle campagne militari. L‟esistenza della KG e il

ruolo da lei giocato, può essere in parte vero, vista gli evidenti aspetti comuni che

spesso si notano, ma ci sono elementi che mostrano come esistesse più di una fonte

latina da cui attingere, fatto questo testimoniato da tre discordanze principali esistenti

tra Vittore ed Eutropio; la prima si nota quando Vittore 34.3-5, (ripreso da Ammiano

Marcellino 16.10.3, 31.5.17 e Epit. 34.3) parla dell‟imperatore Claudio II che sacrifica

la propria vita per la salvezza dell‟impero; Eutropio 9.11.2 invece riporta come Claudio

II sia morto per malattia; situazione analoga si presenta a proposito del luogo della

morte di Alessandro Severo, dell‟identità dell‟Imperatore Didio Giuliano e della carriera

del giurista Ulpiano. In secondo luogo, a parte Caracalla, Eutropio non ripota nessuna

età dei diversi imperatori del III secolo, cosa che invece farà per il IV secolo, a

testimonianza proprio del fatto che non le possedeva lui stesso. L‟autore dell‟Epitome

invece è in disaccordo per quanto riguarda Caracalla (21.7, a ragion veduta dice 30 anni,

mentre Eutropio diceva 43)438

e poi fornisce anche le età di diversi altri imperatori come

Settimio Severo (20.10), Elagabalo (23.7), Severo Alessandro (24.4), Gordiano III

(27.2), Filippo II (28.3), Decio (29.4), Emiliano Alessandro (24.4), Gallieno (33.3),

Diocleziano (39.3) e Massimiano (40.11). Ora, se fosse vero che Eutropio prende le

edizione di Eutropio per i MGH (1878), Droysen, uno dei massimi studiosi di Eutropio, confermò la tesi

del Valesius. Parlare di Valesius = Henri de Valois 438 Eutropio, 8.20.2.

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172

informazioni dalla KG, sorge spontaneo chiedersi come mai Eutropio stesso non abbia

preso anche le informazioni sulle età degli imperatori, così come ha fatto l‟Epitome.

Infine, a parte Vittore 35.4, ci sono soltanto l‟Historia Augusta – Vita Aureliani 38.1 – e

Zosimo 1.60-61.1 che parlano della campagna di Palmira, a proposito di Vaballato e

Antioco e non si trovino da nessun altro parte. Più in generale quindi, alcuni studi

recenti tendono a sostenere come i lavori di Vittore precedano di circa dieci anni i lavori

di Eutropio, spiegazione che pare così giustificare il fatto che in questo modo possa aver

attinto a qualcosa di diverso e nuovo. Pare che l‟Epitome abbia attinto a quattro diverse

fonti.

Ritengo ancora importante riportare l‟errore di Vittore 19.4 e Eutropio 8.17

secondo cui Settimio Severo abbia sconfitto Didio Giuliano nel 193 presso il ponte

Milvio, dato che questo fatto suggerisce l‟uso di fonti risalenti alla fine del III secolo e

all‟inizio del IV.

Più in generale per queste prime fonti, si può affermare che queste dimostrano

come a quel tempo esistesse una cultura letteraria, anche se non a livello di Tacito o di

Sallustio e come si fosse comunque in grado di produrre opere storiche, pur nella

difficoltà dei tempi e della situazione geopolitica, economica e sociale. L‟unica

difficoltà è che non si può parlare dell‟affidabilità di Vittore e di Eutropio, dal momento

che esiste la possibilità che Eutropio segua Vittore, che entrambi seguano la stessa

fonte, o che entrambi seguano fonti diverse, a seconda dei fatti e delle vicende narrate,

ma comunque rimangono importanti se li si confronta e li si paragona continuamente. In

fatti così facendo emergono aspetti rilevanti e non contradditori, come ad esempio il

fatto che entrambi presentano la propria narrazione secondo uno schema biografico non

vincolanto a rigidi sviluppi cronologici; in aggiunta, Eutropio pone inoltre l‟accento

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sulla severità di Aureliano (9.13.1, 14), cosa che Vittore fa solo di sfuggita a 35.5, 12),

mentre una particolarità è che Vittore abbia guadagnato la reputazione di storico tra i

contemporanei senza però poi godere di particolare fortuna nei secoli successivi, mentre

Eutropio non è stato popolare all‟inizio, ma lo divenne solo successivamente, quando

cioè è stato ripreso dall‟Epitome, dalla HA.

Festo, Il Breviarum. Oltre al fatto che apparentemente sembri avere Eutropio

come magister memoriae, si può dire come esso sia stato scritto nel 369/370 e si

presenti come un lavoro insolito dal momento che, invece di un approccio cronologico,

inizia e si sviluppa secondo la tipologia di un resoconto, di una ricerca delle varie

regioni dell‟impero (Brev. 4-14), cui segue una breve narrazione della guerra Persiana/

Partica del regno di Gioviano nel 363/4 (15-29). Per quanto riguarda Aureliano,

abbiamo poche righe relative all‟abbandono della Dacia (8) e la guerra contro Zenobia

(24). Anche lui rientra nel novero di coloro che sembrano aver seguito la KG, anche se

integrata da una fronte greca, per cui sussiste la convinzione che ci possano e ci

debbano essere collegamenti o connessioni tra Festo ed Eutropio, dal momento che pare

che il primo abbia usato il secondo come sua fonte. Di per sé non riveste un ruolo o

un‟importanza significativa perché emerge come non sia stato usato come fonte dagli

autori successivi.

Gerolamo (331 – 420). Di lui sappiamo che ha tradotto la seconda edizione della

Cronaca di Eusebio in latino, a cui però ha aggiunto nuovi dettagli, arrivando così a

continuare la narrazione della storia di Roma fino al 378. Limitatamente alle

informazione che fornisce su Aureliano, le notizie e le informazioni da lui aggiunte

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174

riguardano sia Zenobia che Tetrico (Cronica 222d, e, g, 223b, c). inoltre risulta in

qualche modo degno di menzione per il fatto che pare come anche lui abbia usato

Eutropio e la versione KG, che abbia ripreso Eunapio e che soprattutto sia stato

importante per le fonti cristiane successive che lo hanno ripreso più volte.

Ammiano Marcellino. Egli era un greco latinizzato sotto l‟imperatore Giuliano

durante la campagna di Persia del 363 e ha scritto una storia dell‟impero romano in 31

libri, per un arco di tempo che va dal 96 al 378 d.C, con i primi 25 libri sembrano essere

stati scritti tra il 382 e il 392439

. Nonostante i libri che vanno fino al 353 siano andati

quasi completamente perduti, la Storia di Ammiano è importante per Aureliano per il

fatto che si trovino comunque riferimenti sull‟imperatore anche nei passi successivi

(Storia, 22.16.15; 26.6.7-8; 30.8.8; 31.5.17) e per il fatto che sono stati trovati

all‟interno del testo anche riferimenti e riprese di Eutropio, un uso in generale di

Eunapio440

, in particolare nei riferimenti all‟austerità di Aureliano (30.8.8), secondo lo

stesso schema che abbiamo per Valentiniano I (364-375).

Epitome de Caesaribus. Come le Storie di Vittore e di Eunapio, l‟Epitome è una

breve ricerca biografica di diversi imperatori, e continua fino alla morte di Teodosio del

395, anno in cui è stata scritta. Le informazioni su Aureliano si trovano nell‟Epitome 35

e occupano una pagina soltanto. Inoltre bisogna dire che l‟opera presenta qualche

problema di fonti a cui attinge dato che è comunemente accettato come ci siano

parallelismi con Vittore ed Eutropio, i quali a loro volta implicano un uso della KG,

439 Vedere Syme, Ronald, Emperors and biography : studies in the Historia Augusta, Clarendon, Oxford

1971, pp. 5-24, 25-71, e anche Matthews, John, L'impero romano di Ammiano, Edizioni scientifiche

italiane, Napoli 2006, pp. 17-27. 440 Syme, Ammianus, Ronald, Emperors and biography : studies in the Historia Augusta, Clarendon,

Oxford 1971, p. 105.

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175

diretto indiretto che sia, proprio tramite Vittore ed Eutropio, anche tenuto conto delle

grandi somiglianze esistenti tra loro (Eutropio 9.15.2 e l‟Epitome 35.8 relativamente alla

morte, per esempio). Tuttavia, Schlumberger441

riporta nella sua analisi come le

differenze che esistono con Eutropio e Vittore vadano riferite a degli Annales perduti di

Nicomaco Flaviano – che sarebbe alla base anche dell‟Epitome – di Ammiano, e di

Eunapio e Zosimo 442

. Strictu sensu, le informazioni dell‟Epitome su Aureliano sono

relative alla sue doti di un guerriero che lo accostano ad Alessandro Magno e Giulio

Cesare (35.2), e alla sua crudeltà, con un‟evidente ripresa di Eutropio (35.4, 9).

Eunapio di Sardi (349 – dopo 404). Questo autore è stato un sofista greco noto per

le sue Vite dei Sofisti, e fonte di ispirazione per molte e differenti storie successive.

Secondo lo studioso bizantino Fotio, del IX secolo, pare abbia anche scritto Storia¸ una

continuazione di Dexippo, in due edizioni che coprono lo stesso periodo e che sono

praticamente le stesse, con l‟unica eccezione che la seconda è molto meno anti-cristiana.

Inoltre bisogna aggiungere che le fonti di Eunapio per Aureliano potrebbero includere la

Scythica di Dexippo, che sembra aver coperto almeno i primi sviluppi del suo regno,

Eusebio (da non confondere con il vescovo cristiano). Sempre in riferimento ad

Aureliano, Eunapio è stato una fonte sicuramente di Zosimo e forse di uno storico

bizantino come Pietro Patrizio e Synopsis Sathas; infine è stato più volte suggerito

come la prima edizione sia stata una fonte dell‟Historia Augusta, dell‟Epitome, e di

Ammiano.

441 Schlumberger, Die Epitome de Caesaribus, Munich, 1972. 442 Schlumberger Epitome, pp. 58-62, 158-165, 172-182, 235-246.

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176

Consularia Costantinopolitana e lista di consoli. Scritta nel 468, essa è uno dei

primi esempi di lista di Consoli e per il governo di Aureliano, è rilevante perché

riprende l‟ascesa al trono, la costruzione delle mura romane, e la morte dell‟imperatore

a Caenophrurium, datate rispettivamente 270, 271, 275; anche se sono anni

cronologicamente corretti, non c‟è garanzia alcuna che tutto il resto sia giusto, non

costituiscono prova inconfutabile che sia un‟opera storicamente fondata e affidabile.

Zosimo. Storico greco che scrive attorno al 500, viene ricordato per la sua opera

intitolata Storia Nuova, che è una delle ultime grandi opere storiche dell‟antichità; essa

è relativa la declino di Roma e finisce improvvisamente nel 410, poco prima del sacco

di Roma da parte di Alarico nel 410. Lo spazio dedicato ad Aureliano è trattato in 1.47-

62, e in esso viene fornito il più dettagliato e affidabile resoconto della guerra contro

Palmira (1.50-61.1), così come alcune notizie relative alle sue prime guerre (1.47-49), le

riforme interne e la sua morte (1.61.2-62). Aspetto interessante o quantomeno singolare

risiede sua diversità rispetto alle altre fonti latine, dal momento che è uno dei pochi a

non parlare della severità di Aureliano: infatti, quando si trovano episodi di esecuzioni

di senatori e di altri cospiratori, dopo la secondo guerra Iutungia (1.49.2), non solo si

premura di riportare la loro colpevolezza e la loro responsabilità, ma compie anche il

passo di non associare le loro morti direttamente ad Aureliano. Per quanto riguarda le

fonti cui l‟autore attinge, basandosi su di un commento di Fotio (Bibliotheca codex 66),

si riporta come Zosimo abbia avuto come prima fonte, se non come unica fonte,

Eunapio.

Page 177: Thesis: Aurelian and the Renovatio Imperii

177

Pietro Patrizio. Noto anche come l’anonimo continuatore di Dio, questo autore è

vissuto nella prima metà del VI secolo e della sua opera rimangono solo frammenti; in

particolar modo quelli che riguardano Aureliano (FHG IV, p. 188), sono per la maggior

parte aneddoti (ad esempio consigli dati ad Aureliano su come governare, oppure

l‟appello dell‟imperatore stesso ad un diritto superiore e divino, per placare

l‟ammutinamento dell‟esercito durante l‟assedio di Tyana).

Giovanni Malalas. Vissuto anche lui nella prima metà del VI secolo, è l‟autore di

una delle più complete e datate opere sull‟impero bizantino, in un resoconto che va da

Adamo a Giustiniano (565); l‟opera è curiosa perché è composta con uno stile e un

registro stilistico basso o medio basso, essendo apparentemente rivolta agli strati

inferiori della popolazione e a monaci. La sezione dedicata ad Aureliano (12.299-301)

tratta della costruzione delle mura Aureliane e di alcuni episodi della campagna

orientale. Tra le sue fonti, paiono esserci le cronache delle città, fonte abbastanza

curiosa e singolare, cui poi si devono aggiungere anche Eutropio per quanto riguarda i

fatti della rivolta dei monetarii e l‟abbandono della Dacia. Sicuramente però il suo

valore è sminuito dal fatto che spesso compaiano errori e anacronismi.

Giovanni di Antiochia. Vissuto nel VII secolo, ha scritto anche lui una storia

universale che inizia con Adamo e prosegue fino al 610 di cui però rimangono solo

pochi frammenti, tra i quali, quelli concernenti Aureliano sembrano riprendere quasi

fedelmente Eutropio (FHG IV, p. 599# 155-6).

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178

Giorgio Sincello. È scrittore del IX secolo, e ha scritto una storia a noi pervenuta,

che si estende da Adamo fino a Diocleziano. Per le notizie su Aureliano (721-722),

assistiamo ad una ripresa e riproposizione di autori precedenti, a partire da Dexippo,

Eusebio ed Eutropio; la caratteristica della sua narrazione è che è maggiormente

orientata verso i singoli episodi che verso uno sviluppo in senso cronologico, con uno

sguardo complessivo e d‟insieme, e include gli episodi delle guerre orientali, la

persecuzione , le guerre galliche, l‟evacuazione della Dacia e la morte dell‟imperatore.

Suda. questo è il nome dato ad un‟enciclopedia del X secolo che contiene passi e

estratti di autori precedenti. Per noi è importante solo perché preserva frammenti della

traduzione greca di Eutropio.

Giovanni Zonara. È uno scrittore del XII secolo e ha scritto un‟opera a noi

pervenuta che copre un arco di tempo che va dalla creazione al 1118. Le informazioni

che fornisce su Aureliano (12.25, 27) sembrano essere state prese da Eusebio e da Pietro

Patrizio. Al di là delle mere informazioni biografiche, è un autore significativo per

diversi aspetti, dal momento che fornisce in più di un‟occasione più versioni di uno

specifico evento, dimostrando un acuto spirito critico e un‟alta attenzione e

considerazione per le fonti, e poi perché presenta tracce di una narrazione cronologica,

che si ispira a Dexippo e a Eunapio.

Ho lasciato per ultima la Historia Augusta perché a mio avviso merita una

trattazione a se stante, dato il ruolo particolare che riveste e considerato che è una delle

opere più vaste e integre che possediamo del periodo finale dell‟impero romano.

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179

Essa rappresenta sicuramente uno dei problemi e dei dilemmi più intriganti e

complessi della storiografia della tarda antichità romana443

. Si presenta infatti come una

raccolta di biografie di imperatori – coprendo un arco di tempo che va da Adriano (117)

a Caro e i suoi figli (285) – ad opera di autori differenti; tuttavia al proprio interno, la

narrazione risulta altalenante, dato che mancano i riferimenti al periodo che va da

Filippo a Emiliano (244-253), e dato che quelli che parlano di Valeriano e Gallieno si

presentano lacunosi. Nonostante tutti questi problemi, rimane il fatto che, qualunque

studioso di Roma del tardo Antico non possa prescindere da essa, proprio perché rimane

l‟unica fonte latina arrivata a noi completa, per quanto riguarda gli anni 117-284444

. Da

qui però la sfida vera: separare il vero dal falso.

Punto sul quale tutti gli storici concordano è che la maggior parte della HA sia

artificiale e inventata, e che ci si sia anche la concordia degli studiosi sul periodo di

composizione, fatto risalire, più o meno, al 395445

. Un punto che invece si presenta

ancora controverso è se essa sia un insieme di vite redatta da scrittori differenti oppure

se si possa considerare l‟opera di un unico autore. L‟idea inizialmente dominante era

quella per la quale si pensava che alla stesura dell‟opera avessero preso parte diverse

mani o autori, sei per l‟esattezza e rispondenti ai nomi di "Aelius Spartianus", "Iulius

Capitolinus", "Vulcacius Gallicanus", "Aelius Lampridius", "Trebellius Pollio" e

"Flavius Vopiscus"; in seguito tuttavia, questa teoria ha subito una forte scossa partire

443 Syme, Historia Augusta, Bonn, 1971; Soverini, P. Scrittori della Storia Augusta, v. I, Torino 1983, pp.

9-57. 444 A questo proposito per un‟analisi complete e più dettagliata dell‟opera, mi sono rifatto a Syme,

Roland, Historia Augusta Papers, Clarendon Press, Oxford 1983. 445 Un buon studio viene esercitato a questo proposito attraverso un confronto incrociato dei vari autori e

dei termini o dei fatti che i vari autori usano; per capire forse meglio il discorso si può riportare il caso p.

113 delle leggi, dei termini e delle istituzioni, presenti sia a livello militare che civile; infatti un esempio

può essere dato dalla carrozza militare, il carpentum, assegnato anche al Prefetto della città (Aur. 1.1).

Con riferimento alle frasi di Simmaco, il carpentum è termine che diventa in uso non prima del 382, e che

si presenta proprio come termine di datazione ante quem; altro caso, sempre legato al carpentum,

abbiamo un‟enfasi particolare sul titolo di vir illustris, assolutamente sconosciuto per il prefetto nel 368.

cfr. anche Syme (1983), Historia Augusta Papers, pp. 5-23, p. 113.

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dalla fine dell‟Ottocento, con alcuni studiosi, tra cui annoveriamo principalmente H.

Dessau446

, i quali hanno contestato la teoria della pluralità degli scrittori e si sono fatti

portatori dell‟ipotesi dell‟unicità. In particolar modo, proprio a proposito di Dessau, nel

1889 si sono affermate due sue idee che hanno lasciato il segno e hanno cambiato le

teorie ad essa relativa; in primis, la conferma dei dubbi già esistenti sull‟attendibilità

dell‟opera, dovuta non solo alla presenza di invenzioni, di narrazioni fittizie e di episodi

falsi e inventati, ma anche legata al fatto che i troppi anacronismi e le incongruenze o le

affinità stilistiche, avrebbero avuto origine dalla ripresa di diversi autori precedenti,

come ad esempio Vittore e Eutropio, i quali sarebbero stati poi rielaborati e alterati per

rispondere alle finalità della narrazione447

. In secondo luogo, aspetto ancor più

significativo e importante, l‟autore sosteneva come bisognasse rifiutare l‟ipotesi dei sei

autori diversi, e invece si potesse considerare l‟esistenza un unico autore. Quando

Dessau sosteneva la propria teoria, ad esempio, riportava il caso della la vita di Settimio

Severo che appariva copiata da Aurelio Vittore o quella di Marco Aurelio che era intrisa

di elementi che richiamavano Eutropio448

. Queste considerazioni vanno tenute

particolarmente presenti perché gli studi condotti ai nostri giorni hanno dimostrato e

confermato come le sue ipotesi fossero sostanzialmente corrette e che HA sia stata

davvero scritta da un singolo autore, negli anni 90 del IV secolo449

, con la seconda parte

della HA, che presenta un grande avanzamento e un miglioramento stilistico e narrativo,

anche se meno attendibile storicamente. Un turning point a questo riguardo è trovato

dopo la Vita Caracallae in cui appare una profonda frattura ed emerge una distinzione

anche di affidabilità, veridicità e attendibilità; infatti fino a Settimio Severo, e Caracalla

446 Uber Zeit und Personlichkeit der Scriptore historia Augustae, Hermes 24, 1889, pp. 337-392. 447 Mommesn, Die Scriptores historia Augustae, Hermes 25, 1890, pp. 228-292; oppure anche

Momigliano, “An Unsolved Problem of Historical Forgery”, in Studies in Historiography, London 1966,

pp. 143-180. 448 Syme (1983), pp. 5-23. 449 Syme (1983), p. 213.

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compreso, la narrazione è ritenuta più veritiera e degna di attenzione, mentre

successivamente si presenta più fittizia e artificiosa, se non addirittura inventata; con

Macrino infatti emergono fatti e situazioni inventate, con la possibilità neanche tanto

remota che l‟autore stesso sia un mero espediente letterario, tipica caratteristica dei

romanzi e dei racconti in generale.

Rimane però ferma la convinzione che lo scrittore di HA non sia uno storico, ma

piuttosto un romanziere e essa appare molto di più come una raccolta di annotazioni e

aneddoti, argomento spesso utilizzato per spiegare anche l‟apparente e scarsa coerenza

di alcuni passaggi. Laddove la narrazione salta, quindi, non vuole significare e implicare

necessariamente il fatto che ci sia stata un‟erosione, un‟abrasione o anche e

semplicemente un atto di censura o invenzione, ma può semplicemente essere dovuto –

e si pensi ai casi e alle storie degli imperatori che vanno da Adriano a Caracalla – al

genere biografico sotto cui rientra l‟opera, che ama procedere attraverso una raccolta di

dettagli e di informazioni spesso bizzarre, inconsuete o particolari450

. Tale

giustificazione sembra essere confermata dai continui tratti di carattere scherzoso

dell‟opera, spesso faceto e leggero, utilizzati anche per criticare gli storici precedenti, e

in particolare quelli ritenuti i capisaldi della storiografia latina, come ad esempio Livio o

Tacito. Sempre interessante rimane l‟esortazione a scrivere come più si preferisce,

iocando, dato che sarà in buona compagnia come bugiardo/ inventore; “habiturus

mendaciorum comites quos historicae eloquentiae miramur auctores451

”. E ancora su

questa linea si pone la distinzione tra chi è storico, e chi è solo un ” biografo”, con

l‟aggiunta che precisa come i primi possano anche scrivere con uno stile alto, colto e

450 Syme, Roland, Historia Augusta Papers, Clarendon Press, Oxford 1983, p. 33. 451 Vita Aur. 2.2.

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ricercato, ma che, i secondi, contrariamente ai primi, abbiano il pregio di riportare la

verità, “non tam diserte quam vere452

”.

Altra considerazione generale è il fatto che HA si segnali anche per la

fabbricazione o la creazione ex novo di legami parentali, di connessioni e di intrecci tra i

vari protagonisti, anche forzati, se non quando addirittura inventati e fittizi. Un esempio

per noi attinente potrebbero essere i generali che complottarono contro Gallieno nel 268

(e i nomi di Claudio ed Aureliano come i primi “sospettati”) o coloro che complottarono

contro Aureliano stesso nel 275, tutti apparentemente accomunati da relazioni strette.

Una delle problematiche di HA è che scivola nell‟errore di “riempire i buchi”, creando

tutta una serie di legami e relazioni tra i diversi imperatori, creando cioè un continuum,

una lunga e ininterrotta successione di eventi tra loro collegati e correlati, che vanno da

Decio a Caro e anche oltre, fino alla Tetrarchia. Sicuramente nella sua realizzazione e

stesura, questo è stato facilitato dalla assenza di notizie certe già a quell‟epoca e dalla

grande ignoranza connessa soprattutto alla nomenclatura di tutti gli imperatori.

Inoltre HA si fa portatrice di variegate e numerose pubblicazioni di fonti e di testi

falsi, fabbricati all‟occorrenza e quindi inventati, con personaggi pretestuosi di ogni

rango, classe e condizione sociale; sono infatti più o meno trentatré gli storici e i

biografi citati o usati, di cui noi non abbiamo nessun altra testimonianza, e che non si

trovano da nessun altra parte453

, così come non si riescono neanche a contare i fatti e i

discorsi ripresi e riproposti. Ad esempio, qualche dubbio può emergere sull‟ esistenza di

Flavio Vopisco (nostro in quanto sarebbe l‟autore della Vita Aureliani); in particolar

modo mi riferisco alla sua esistenza sotto Costantino, dal momento che, come riporta

452 Prob. 2.7. 453 Syme (1983), pp. 98-109.

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Syme454

, sarebbe più attendibile collocarlo in un‟epoca successiva, come ad esempio

all‟epoca di Costanzo II (337-360), anche considerando espressioni come “est quidem

iam Costantius imperator” (Aur. 44.5). Sempre a proposito di personaggi, di nomi, e di

fatti inventati, ad un certo punto della descrizione della vita di Aureliano, si dice come

la madre nel loro villaggio natale fosse la sacerdotessa del Dio Sole (Aur. 4.2), secondo

anche l‟opinione di un fantomatico Callicrate, il Tiro; ora però Sole e Tiro sono

giustapposizioni e riprese che riguardano episodi presenti e rintracciabili nell‟orazione

di Didone (nec tam aversus equos Tyria Sol iungit ab urbe – Aen. I.568). Ecco che

quindi, arriviamo ad un altro aspetto che va considerato della Storia Augusta: in

quest‟occasione come in altre, il background storico e letterario dei periodi precedenti

era ben conosciuto al narratore che arriva a riprenderlo e a servirsene per impreziosire la

narrazione. In questa caso specifico, appare evidente come HA riprenda e sfrutti

ripetutamente l‟Eneide455

, a testimonianza di un‟erudita fantasia che si manifesta

ripetutamente nel corso della narrazione, come ad esempio nella riproposizione degli

oracoli o delle lettere, o come avviene nel libro VIII, in occasione della decennale festa

di Gallieno, quando troviamo un‟eco del trionfo di cesare Augusto riprodotto o descritto

sullo scudo di Enea (Gall. 8.4, e Aen. VIII 717)456

.

Questa considerazione non sminuisce l‟importanza dei nomi e dei personaggi più

in generale, perché sono comunque funzionali a illustrarci uno spaccato di vita

senatoriale, ma anche della società come della vita privata, e a farci pervenire il punto di

vista delle classi più elevate, in maniera molto marcata e diretta; a questo proposito e

454 Syme (1983), p. 98. 455 Un altro episodio potrebbe essere quando Tetrico, mentre scappava dalle proprie truppe, pone se stesso

sotto la clemenza di Aureliano, venne apostrofato così: “eripe me his, invicte, malis” (Eutropio IX.13.2);

così come è riportato per Giulio Crispo, quando durante l‟assedio di Hatra, apostrofò così Severo,

“scilicet ut Turno contingat regia coniunx nos animae viles inhumata infletaque turba sternamur

campis”, chiara ripresa del passo virgiliano Aen. XI.371, e riportato da Dione Cassio in LXXV.10.2. 456 Syme (1983), p. 40.

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secondo quest‟ottica, il discorso vale anche quando vengono riportati gli interventi

contro il cristianesimo, dato che diventa il modo per dire come le persecuzioni (Aur.

20.5) avvengano perché sono i membri del senato ad essere interessati e preoccupati.

Per tutta questa serie di motivi e altri ancora, HA rimane un “libro aperto”, una

fonte al contempo affascinante e piacevole, ma anche incerta per affidabilità e

attendibilità. Tra i vari aspetti, rimane la curiosità sul motivo per cui sia stata scritta: se

infatti è stata composta per propaganda, a favore di chi o con quale motivazione?

Altrimenti può essere spiegata come pure e semplice esercizio letterario? Nonostante

presenti spesso tratti superficiali e popolari, si nota anche un alto grado di

sofisticazione, di curiosa erudizione e affettazione, con una retorica comunque

rimarchevole – questo soprattutto per quanto riguarda la riproposizione dei dialoghi

dell‟alta nobiltà senatoria (come ad esempio l‟orazione di Vectius Sabinus, Max. et

Balb. 2.2) che presuppone un uditorio comunque colto dei riferimenti e che sembra

proprio scritta per essere letta. Rimane inoltre vivo l‟aspetto secondo il quale la nobiltà

ancora legata al paganesimo, venga incitata a mantenere la propria elevata, importante e

notevole tradizione. Tutte queste considerazioni sembrano convogliare l‟idea che ci sia

un disegno politico dietro, a prescindere da qualsiasi sia il progetto, e rimane il fatto che

questo pone lo/ gli scrittore/i in un gruppo vicino all‟ambiente colto e senatorio, se non

addirittura di propaganda imperiale.

HA riveste un ruolo importante, al di là dei possibili dubbi di autenticità,

affidabilità o storicità che si possano avere, perché rimane comunque la sola fonte

latina, l‟unica biografia degli imperatori che si abbia dal periodo che va dal 117 al 284,

dalla morte di Traiano fino all‟ascensione di Diocleziano457

. Di conseguenza, l‟errore

principale che ha portato alla condanna e al biasimo di HA, risiede principalmente nel

457 Syme (1983), p. 210.

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fatto che gli storici si sono accostati ad essa ricercando e pretendendo esatti, precisi e

esaustivi elenchi dei contendenti, delle date, dei protagonisti e dei singoli episodi; errore

perché l‟approccio dovrebbe essere principalmente letterario: sia dal punto di vista

strutturale, delle fonti, del linguaggio e degli scrittori stessi. Dei sei biografi, Vopisco è

l‟ultimo, nomina tre dei suoi predecessori, ma lui, come del resto gli altri scrittori, non

dice mai di scrivere in collaborazione o in accordo con gli altri. Sicuramente appare

come la Vitae sembri ibrida, eterogenea e caratterizzata da un‟ampia gamma di stili, che

spaziano da espressioni e dal parlare volgare, per arrivare ad una retorica ed

un‟eloquenza elevati. Troppo spesso HA è stata descritta e trattata come una

falsificazione e questo termine probabilmente è troppo fuorviante: suggerisce

criminalità, intenzione e idea di ricavarne un profitto. Come invece ho provato più volte

a sottolineare, sarebbe meglio riflettere maggiormente sull‟humor, la voglia di burlare e

di divertirsi dell‟autore, come di un genuino hoax, di una burla rivestita di serietà e

storicità, che non ha mai nascosto le proprie opinioni: l‟autore ammira le tradizioni

imperiali, celebra il prestigio del senato ed è completamente devoto alla memoria della

dinastia degli Antonini.

La Vita Aureliani. Volendo quindi entrare nello specifico della vita Aureliano, si

può dire come essa sia costruita secondo lo stile delle agiografie, con fatti assurdi,

esagerati, mitici e leggendari, i quali mostrano già come tutta la narrazione non possa

essere considerata molto affidabile, aspetto questo confermato dai numerosi nomi

riportati ma del tutto sconosciuti, o non riscontrati altrove. Secondo la stessa logica si

pongono anche le lettere di corrispondenza, spesso false458

, che si rifanno all‟esigenza di

verosimiglianza459

.

458 Cfr. XVII, lettera di Claudio. 459 A questo proposito, cfr. soprattutto a F. Roncoroni, , Storia Augusta, trad it. Milano 1972, p. 758.

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Ancor più in generale, si può dire che le fonti storiche, per quanto avverse, non

abbiano potuto disconoscere i meriti di questo imperatore, potendo solo cercare di

limitarne la portata. Sintomatica è la sua vita: benché farcita, specialmente nella prima

parte, di dati e documenti falsi e/o dubbi, essa rimane la nostra fonte più vasta, accanto

ai pochi frammenti degli autori cui ho accennato prima, come lo storico ateniese

Dexippo, a lui contemporaneo, alle rielaborazioni successive e tardive sia latine

(Aurelio Vittore, Caes. XXXV; Epit.. XXXV; Eutropio IX, 13-15), che greche (Zonara,

XII, 25 e ss.; Zosimo I, 47 e ss.), risalenti e riconducibili ad Eunapio. Essa riconosce

tutto quello che doveva riconoscere al nostro imperatore, ma al contempo non può fare a

meno di marcare gli inconvenienti del suo rigido centralismo e della sua inesorabile

tendenza alla monopolizzazione del potere, che ledeva gli interessi senatori e

aristocratici in generale, e da cui sono poi scaturiti tutti i giudizi negativi su questo

imperatore, come ad esempio che “Aureliano fu senza dubbio un principe severo,

crudele e sanguinario (XXXVI)”; che fosse un princeps utile allo stato ma non buono,

nel senso di gentile e magnanimo (cap. XXXVII) cui seguì la definizione ambigua

secondo la quale, non è possibile poterlo collocare né tra i buoni né tra i cattivi (cap.

XXXVII).

Di conseguenza, pur non potendo negare i suoi meriti (tra cui menzionerei come

principali, la pacificazione delle Gallie così come dell‟Oriente), si pone maggiormente

l‟accento sul fatto che avesse dato un colpo ulteriore e ancor più decisivo al progressivo

allontanamento dei senatori dalla condotta degli affari e della vita dell‟impero, nello

stesso modo in cui le fonti cristiane danno un giudizio negativo, per l‟atteggiamento di

Aureliano verso il cristianesimo, come era naturale per un imperatore che aveva dato

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vita ad un nuovo monoteismo solare e che stava attuando una politica fortemente

accentratrice.

Più specificatamente, comunque, il periodo che interessa la vita di Aureliano, è

presente nella sezione dei Tyranni Triginta (TT), Quadrigae Tyrannorum (QT), e poi

VA, con le prime due che si mostrano tendenzialmente fittizie, poco attendibili se non

addirittura completamente inventate460

.

In conclusione, l‟importanza di HA e delle altre fonti, potrebbe già solo risiedere

nelle caratteristiche comuni, nei temi ricorrenti che si presentano continuamente nel

corso del tempo e che ci mostrano quali potessero essere gli aspetti e episodi della vita

di Aureliano, dato che fanno emergere quali fossero i fatti più importanti, per i

contemporanei e successori dell‟imperatore. Un altro aspetto che merita essere

segnalato è che le persecuzioni, totalmente assenti dalle fonti pagane, e trattate a partire

da Eusebio e Gerolamo, non si sono però mai intersecate o accavallate con l‟immagine

di Aureliano come imperatore crudele – immagine ricorrente e prominente nelle fonti

latine – né sono state tra loro correlate, ma anzi, sono sempre rimaste svincolate

dall‟aspetto religioso, suggerendo quindi l‟idea che la crudeltà di Aureliano debba

rientrare nell‟usuale schema e concezione per cui è severo chiunque si schieri o agisca

contro il Senato: questa “tradizione” trova riscontro in molti scrittori e autori latini,

come ad esempio Vittore, Eutropio, Festo, Ammiano, l‟Epitome e la Vita Aureliani di

HA.

Nonostante tutte queste problematiche, nonostante tutte le evidenti incongruenze e

i dubbi di attendibilità e di storicità, ho deciso di prendere e adottare comunque come

linea guida per la mia trattazione, proprio la Vita Aureliani della Storia Augusta,

avendo l‟accortezza e la premura di riportare e sottolineare le discrepanze e le versioni

460 Syme, Emperors and Biography, Oxford 1971, p.17.

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degli altri autori. Questa decisione deriva dall‟unicità della HA in qualità di più integra

fonte latina a noi pervenuta, che mi permette quindi di ripercorre passo a passo le

diverse fasi della vita di Aureliano, e di analizzarle alla luce e secondo la prospettiva del

suo progetto di renovatio imperii, facendo sempre attenzione a intervallare, integrare o

confrontare anche le altre versioni e tradizioni storiografiche, ogniqualvolta HA

differisca dalle altre.

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