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Cura, preghiera e benessere.Le stazioni curative termominerali nell’Italia romana, a cura di M. Annibaletto, M. Bassani, F. Ghedini, Padova, 2014, pp. 161-188 PER UN CARTA DISTRIBUTIVA DEGLI SPAZI SACRI ALLE FONTI CURATIVE Maddalena Bassani (tavv. II, VI) RIASSUNTO L’articolo offre una panoramica degli spazi di culto alle sorgenti termominerali dislocati nella penisola italiana, discussi in rapporto alle macroregioni geotermiche note dagli studi geologici. La disamina parte analizzando i casi della macroarea oc- cidentale, corrispondente alle regioni di Lazio, Campani, Calabria e Toscana; si sofferma poi su alcuni esempi significativi della macroarea orientale (Umbria, Abruzzo, Marche), per discutere poi i casi dell’Emilia Romagna, del Veneto e del Friuli. PAROLE CHIAVE: geotermia, Italia, santuari, sorgenti, culti, termalismo. ABSTRACT The article offers an overview of the thermal-mineral places of worship throughout the Italian peninsula, discussing them in connection to the known thermal geological macro-regions. The analysis starts from the western macro-area, corre- sponding to the Italian regions of Lazio, Campania, Calabria and Tuscany; it then goes on to explore some examples from the eastern macro-area (Umbria, Abruzzo, Marche), ending with cases from Emilia Romagna, Veneto and Friuli. KEY-WORDS: geothermal science, Italy, shrines, springs, cults, thermalism. In un’Italia antica costellata di spazi cultuali preromani e romani, può forse essere di qualche interes- se una disamina di una serie particolare di evidenze archeologiche quali si presentano gli spazi sacri presso le sorgenti curative (calde o fredde, definite in senso generale come “termominerali”), al fine di fornire un quadro di riferimento circa la fenomenologia del culto delle aquae dalla Cisalpina al Meridione. Se si rimanda al saggio precedente per un quadro di sintesi sui vari aspetti tipologici, materiali e cro- nologici di tali contesti sacri 1 , in questa sede verranno esaminati i principali santuari censiti, che insieme ad altri minori spazi sacri (depositi votivi, accumuli di oggetti sacri, resti frammentari di manufatti cul- tuali) ammontano a circa 70 luoghi di culto. Essi risultano concentrati per lo più nei due versanti occi- dentale e orientale della dorsale appenninica, con alcune situazioni puntiformi nell’Italia settentrionale, trovando così una significativa corrispondenza con le ripartizioni idro-geologiche delle sorgenti italiane (cfr. tav. II). Seguendo dunque la distinzione fra comparto occidentale e quello centro-settentrionale e classificandoli per regioni, si offrirà una panoramica dei contesti maggiormente significativi, rinviando alla consultazione della Appendice bibliografica per una visione complessiva dei siti censiti. 1. I SANTUARI NELLA MACROAREA OCCIDENTALE Le regioni facenti parte del comparto occidentale sono quattro (Toscana, Lazio, Campania e Ca- labria) e contano luoghi di culto in contesti termominerali prevalentemente caldi, anche se non manca qualche caso presso sorgenti fredde; talora, anzi, in uno stesso sito vi è una presenza multipla di fon- ti ipotermali, termali o ipertermali, nelle quali le differenti composizioni chimico-fisiche oggi rico- 1 Cfr. il contributo di chi scrive, I santuari, in questo volume; in precedenza cfr. anche BASSANI M. 2011; BASSANI M. 2012a; BASSANI M. 2012b; BASSANI M. 2013.
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THERMAL CULTS. Per una carta distributiva degli spazi sacri alle fonti curative, 2014

May 12, 2023

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Cura, preghiera e benessere.Le stazioni curative termominerali nell’Italia romana, a cura di M. Annibaletto, M. Bassani, F. Ghedini, Padova, 2014, pp. 161-188

Per un carta distributiva degli sPazi sacri alle fonti curative

Maddalena Bassani

(tavv. II, VI)

riassunto

L’articolo offre una panoramica degli spazi di culto alle sorgenti termominerali dislocati nella penisola italiana, discussi in rapporto alle macroregioni geotermiche note dagli studi geo logici. La disamina parte analizzando i casi della macroarea oc-cidentale, corrispondente alle regioni di Lazio, Campani, Calabria e Toscana; si sofferma poi su alcuni esempi significativi della macroarea orientale (Umbria, Abruzzo, Marche), per discutere poi i casi dell’Emilia Romagna, del Veneto e del Friuli. Parole chiave: geotermia, Italia, santuari, sorgenti, culti, termalismo.

abstract

The article offers an overview of the thermal-mineral places of worship throughout the Italian peninsula, discussing them in connection to the known thermal geo logical macro-regions. The analysis starts from the western macro-area, corre-sponding to the Italian regions of Lazio, Campania, Calabria and Tuscany; it then goes on to explore some examples from the eastern macro-area (Umbria, Abruzzo, Marche), ending with cases from Emilia Romagna, Veneto and Friuli. Key-words: geothermal science, Italy, shrines, springs, cults, thermalism.

In un’Italia antica costellata di spazi cultuali preromani e romani, può forse essere di qualche interes-se una disamina di una serie particolare di evidenze ar cheo logiche quali si presentano gli spazi sacri presso le sorgenti curative (calde o fredde, definite in senso generale come “termominerali”), al fine di fornire un quadro di riferimento circa la fenomenologia del culto delle aquae dalla Cisalpina al Meridione.

Se si rimanda al saggio precedente per un quadro di sintesi sui vari aspetti tipologici, materiali e cro-nologici di tali contesti sacri1, in questa sede verranno esaminati i principali santuari censiti, che insieme ad altri minori spazi sacri (depositi votivi, accumuli di oggetti sacri, resti frammentari di manufatti cul-tuali) ammontano a circa 70 luoghi di culto. Essi risultano concentrati per lo più nei due versanti occi-dentale e orientale della dorsale appenninica, con alcune situazioni puntiformi nell’Italia settentrionale, trovando così una significativa corrispondenza con le ripartizioni idro-geo logiche delle sorgenti italiane (cfr. tav. II). Seguendo dunque la distinzione fra comparto occidentale e quello centro-settentrionale e classificandoli per regioni, si offrirà una panoramica dei contesti maggiormente significativi, rinviando alla consultazione della Appendice bibliografica per una visione complessiva dei siti censiti.

1. i santuari nella macroarea occidentale

Le regioni facenti parte del comparto occidentale sono quattro (Toscana, Lazio, Campania e Ca-labria) e contano luoghi di culto in contesti termominerali prevalentemente caldi, anche se non manca qualche caso presso sorgenti fredde; talora, anzi, in uno stesso sito vi è una presenza multipla di fon-ti ipotermali, termali o ipertermali, nelle quali le differenti composizioni chimico-fisiche oggi rico-

1 Cfr. il contributo di chi scrive, I santuari, in questo volume; in precedenza cfr. anche bassani M. 2011; bassani M. 2012a; bassani M. 2012b; bassani M. 2013.

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nosciute lasciano immaginare una pluralità di possibili cure già in età antica. Data la rilevanza storica dell’area laziale, si inizierà la disamina proprio da questo comparto regionale, proseguendo poi a sud con la Campania e la Calabria, per risalire in Toscana con i casi di maggiore rilievo.

1.1 il lazio

La regione Lazio è il comprensorio regionale maggiormente ricco di attestazioni cultuali legate a sorgenti terapeutiche (18 siti), le quali sono in prevalenza calde; la loro composizione chimica, quan-do è nota, è abbastanza varia, anche se allo stato attuale dei dati sembrano prevalenti le acque ricche di solfati (fig. 85)2. Date le potenzialità disinfettanti di questo elemento, è plausibile immaginare un utilizzo delle sorgenti per guarire ferite, infezioni interne e della pelle, ma anche problemi respirato-ri; non mancano poi acque ricche di carbonati o di ossidi di ferro, utili a combattere malattie dell’ap-parato digerente e riproduttivo, nonché i reumatismi e il diabete3. Il riscontro delle capacità terapeu-tiche di queste acque dovette essere noto almeno dall’età arcaica, se non già da prima, giacché alcuni dei luoghi di culto considerati mostrano materiali databili a partire dall’VIII-VII sec. a.C., con esten-sioni di frequentazione che possono arrivare fino alla tarda antichità.

1.1.1 I santuari di età arcaica e repubblicana

Il Lago di Bracciano, a nord di Roma, conosce due luoghi di culto importanti: quello di Vicarel-lo e quello di Stigliano, già frequentati in età etrusca e poi potenziati con la romanizzazione. Il primo è costituito da un deposito votivo rinvenuto nell’Ottocento all’interno della sorgente, attorno alla quale nel Settecento era sorto un impianto curativo per contrastare reumatismi e artrosi nonché problemi re-spiratori (App. n. 45). Com’è noto, si scoprirono migliaia di oggetti, per lo più costituiti da monete4, ma

anche da vasi in materiali preziosi (oro, ar-gento e bronzo), talora iscritti e con dedi-che ad Apollo, Asclepio, alle Ninfe e a Sil-vano. Non è esclusa la possibilità, peraltro, che il sito fosse noto già in età preistorica, come lascerebbero intuire alcuni manufatti situati sul fondo del deposito.

È probabile che in età repubblica-na lo spazio sacro principale fosse situa-to nel ninfeo, poi ampiamente decorato

2 Cfr. il contributo di Paolo Fabbri et alii in questo volume. 3 Per informazioni di dettaglio, si rimanda alle singole schede del database, mentre per alcune valutazioni sulle

caratteristiche generali dei bacini termali considerati cfr. le parti introduttive dei seguenti paragrafi “regionali”; dati importanti si ricavano inoltre dalla lettura delle fonti letterarie in rapporto alle peculiarità curative delle acque laziali e di altre regioni: cfr. i contributi di Cecilia Zanetti e di Andrea Rizzi in questo volume; cfr. infine il contributo di Loredana Mantovanelli per alcuni dati sull’uso terapeutico delle acque, in questo volume.

4 Si contano esempi di aes rude, monete romano-campane e romane repubblicane, nonché conii di città dell’Italia centrale e meridionale: cfr. michelini tocci 1967-1968 e Panvini rosati 1967-1968.

Fig. 85 – Distribuzione geografica dei luoghi di culto censiti nel Lazio e numerati in base alla cro-nologia: 1. Vicarello; 2. Stigliano; 3. Gabii; 4. Pon-te di Nona; 5. Casale Pescarolo; 6. Tratturo Ca-niò; 7. Tor Tignosa; 8. Bagni della Regina; 9. Ter-me di Cretone; 10. Terme di Suio; 11. Musignano; 12. Terme del Bacucco; 13. Aquae Caeretanae; 14. Aquae Tauri; 15. Aquae Albulae (2 siti); 16. Ter-me delle Zitelle; 17. Fontiloro (elaborazione di M. Annibaletto su base ortofotografica Google 2013).

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in età imperiale (fig. 86): sulla parete di fondo di quest’ultimo, infatti, si apri-va un grande arco ancora in parte visi-bile, nel quale fu rinvenuta la statua di culto frammentaria, in origine posizio-nata per essere costantemente bagnata dall’acqua dall’alto. Il dio era ritratto nudo e stante sulla gamba sinistra, con la mano destra portata alla fronte e la sinistra recante un attributo, come pro-posto in alcuni studi5. Si suppone peral-tro che vi fosse un secondo spazio sa-cro riservato ad Asclepio, del quale si trovò una grande testa in marmo presso la sorgente. Con l’avvento dell’impero il complesso termale divenne forse pro-prietà imperiale6: all’entourage di Do-miziano si riconduce l’ultimo posses-sore dei quattro prestigiosi bicchieri in argento trovati nel deposito, che recano inciso il percorso da Cadice a Roma e che dovettero essere dedicati alle acque da qualche personaggio molto vicino all’imperatore, detentore di una lussuo-sa villa proprio nei pressi delle terme7.

Ma Vicarello non era l’unico sito termale presso il lago di Bracciano: a Sti-gliano, infatti, è attestato un importan-te santuario dove resta traccia di un vero e proprio edificio di culto (App. n. 60), che rappresenta uno dei pochi esem-pi conservati presso sorgenti terapeuti-che del Lazio ma anche nelle altre regio-ni considerate8. Pure qui l’area sacra era a ridosso delle sorgenti, allineate lungo il fiume Lenta, e sembra aver costituito il fulcro attorno al quale si sono svilup-pati i vari locali terapeutici, riconosciuti più a sud (fig. 87). Si tratta infatti di un tempio etrusco-italico su podio, irrime-diabilmente compromesso da una stra-da moderna che ha obliterato metà del-la costruzione, con gradinata di accesso sul lato orientale dove era anche una fossa votiva. Molti sono i materiali recuperati, tra cui prevalgono le ceramiche di produzione etrusca9. Si ritiene che raffiguri Apollo la statua in parte mutila e perduta che fu scoperta nel Novecento alle Terme moderne di Stiglia-no; inoltre sono state recuperate monete medio-repubblicane, qualche statuetta, varie basette e soprat-

5 fabbrini 1983. 6 Cfr. i rispettivi contributi di Matteo Annibaletto e di Patrizia Basso in questo volume.7 cordiano 2003. 8 Il tempio era lungo circa 15 m. 9 gasPerini 2006b, p. 222.

Fig. 86 – Bracciano, località Vicarello. Planimetria delle sale facenti capo al ninfeo di Apollo (cordiano 2003, p. 114, fig. 6).

Fig. 87 – Bracciano, località Stigliano. Planimetria del contesto sacro-curativo: n. 1, tempio; n. 2, ingresso pentagonale; n. 3, ambiente; n. 4, corte: nn. 5-7, celle di reazione; n. 8, ambiente circolare; nn. 9-12, picco-li ambienti riscaldati (rielaborata da chellini 2002, p. 98, fig. 43).

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tutto un bisturi in bronzo, forse dedicato da un medico che curava i malati anche grazie alle acque. Queste ultime sono ancor oggi ampia-mente sfruttate mediante bagni e fangature per dermatiti, infiammazioni e problemi respirato-ri: del resto, l’importanza di questo e dell’altro centro curativo di Vicarello, distanti fra loro poche decine di chilometri, dovette essere tal-mente grande che nella Tabula Peutingeriana il bacino termale è indicato con il termine Aquae Apollinares10. Ambedue i centri erano dunque posti in primis sotto la protezione di Apollo, raffigurato qui a Stigliano secondo un proto-tipo greco forse riconducibile all’Apollo Liceo di Timarchide, mentre a Vicarello secondo un modello elaborato da Leocare.

Oltre a questi due centri di culto si cono-scono altri luoghi sacri legati a sorgenti cu-rative, che detennero una certa rilevanza so-prattutto in età arcaica e repubblicana, anche se qualcuno venne frequentato ancora nel IV secolo d.C.

Si considerino i due siti di Gabii e di Ponte di Nona, entrambi situati a est di Roma lungo la via Prenestina. Il primo (App. n. 69), già noto in età repubblicana per il santuario di Giunone, è conosciu-to in età augustea e imperiale per essere sede di un complesso termale di acque fredde, con le quali lo stesso Augusto si era curato: nonostante ad oggi non si conosca il luogo preciso in cui dovette sorge-re l’impianto terapeutico, non mancano ipotesi secondo le quali, visto l’accumulo di tubuli e bessa-li da suspensurae nel settore a est del santuario di Giunone, le terme dovevano trovarsi in questo lato del lago Castiglione (fig. 88)11. D’altra parte, è proprio qui che scorreva il fosso San Giuliano, nel quale confluivano le acque della Sorgente “Fonta-na Amara” localizzata più a nord, con sali di zolfo disciolti: pur trattandosi di ipotesi che andranno avvalorate anche grazie ad analisi chimiche, è possibile che i resti di impianti e di uno spazio sacro noti in questo settore della località possano essere ricondotti pro-prio alla componente di zolfo di quest’ac-qua e dunque alle sue potenzialità sanan-ti. In tale contesto, infatti, è stato scoperto un santuario detto “orientale” proprio nei pressi della Fontana Amara, che fu frequen-tato dal VII al II secolo a.C. (figg. 88.21 e 89)12: l’edificio subì vari rifacimenti soprat-tutto fra IV e II secolo a.C. ed era provvi-sto di un pozzo e di tre altari, nei cui strati si

10 Sul problema dell’attribuzione cfr. da ultima morandini 2013; cfr. inoltre il contributo di Francesca Ghedini in questo volume.

11 guaitoli 1981, p. 50 e nota 122. 12 Si ringraziano il dott. Musco e la dott. D’Agostini, della Soprintendenza per i Beni Ar cheo logici del Lazio, per le

informazioni fornite e per le indicazioni in merito alla probabile natura curativa del sito in rapporto alle acque con componente sulfurea qui presenti. Va altresì ricordato che di recente è stata data poca rilevanza alla valenza sanante dei culti qui praticati, a favore di più generiche motivazioni di ordine “sociale” (riti di passaggio e acquisizione di status: cfr. mancini, Pilo 2006, p. 122).

Fig. 88 – Roma, località Gabii. Carta topografica delle evidenze archelogiche intorno al Lago Castiglione. 1) sorgente solfidrica Fontana Amara; 21) Santuario Orientale; 22) Tempio di Giuno-ne Gabina (guaitoli 1981, tav. II).

Fig. 89 – Roma, località Gabii. Veduta del Santuario Orientale presso la sorgente Fontana Amara (musco 2006b, p. 315).

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rinvennero molti materiali attribuibili anche alla sfera della sanatio. Oltre a migliaia di ceramiche si contano laminette e bronzetti, ma soprattutto statue, alcune forse pertinenti a un donario, e statuette anche di ani-mali (bovini), nonché anatomici. Le divinità dovette-ro essere varie, pur non ancora specificabili nel detta-glio: sicuramente femminili (Matuta o Minerva), ma forse anche maschili (Ercole?).

Non distante da Gabii, sempre lungo la Prenesti-na, vi è poi il sito di Ponte di Nona (App. n . 70): qui, presso una sorgente con sali di magnesio disciolti utili a combattere dermatiti e disordini intestinali, in epo-ca romana sorse una mansio, provvista di terme, di un ninfeo e di altri edifici sparsi. Già dal IV secolo a.C., però, dovette esservi pure un santuario, di cui sono note alcune aree con depositi votivi: nelle campagne di scavo realizzate fra Ottocento e Novecento si re-cuperarono migliaia di oggetti, tra cui spiccano voti-vi fittili anatomici umani, con prevalenza di piedi, ma anche statuette di animali (bovini, cavalli, tori, maia-li), oltre che molta ceramica, alcune monete e frammenti di statue anche di grandi dimensioni. La crono-logia della frequentazione è molto estesa, dall’età repubblicana al tardo impero, e si ipotizzano anche in questo caso divinità legate all’agricoltura e all’allevamento.

Ma è ancora a questa sfera pertinente al mondo agreste e pastorale che rimandano le divinità po-ste a tutela di altri due santuari laziali, situati in modo significativo lungo percorsi legati alla transu-manza: quello di Casalvieri-Casale Pescarolo, presso Frosinone (App. n. 47), e quello di Tratturo Ca-niò, in provincia di Latina (App. n. 71).

Il primo contesto manca oggi di analisi chimiche utili a chiarire l’esatta composizione delle ac-que, che alimentavano prima un santuario e poi un impianto termale13: tuttavia nei pressi si segnalano acque sulfuree (il Riofete: da Rivus foetidus o da Rivus Mefitis), che potrebbero essere state presenti già in epoca antica in un quantitativo sufficiente al loro sfruttamento prima cultuale e poi terapeutico. Il santuario infatti fu utilizzato a partire dal VII secolo a.C.: inizialmente doveva prevedere il lancio di offerte da una passerella posta sulla riva di un laghetto, poi prosciugato, della quale si notarono le impronte dei pali. In seguito vi furono interventi di riqualificazione datati fra il IV e il II secolo a.C., attestati anche da un’iscrizione che ricorda un’aedes: gli scavi hanno registrato rifacimenti di un por-tico in muratura e forse della stessa struttura templare, di cui restano parti dell’alzato (antefisse, into-naci, frammenti vari). La celebrazione dei riti avveniva probabilmente presso un altare, di cui un’anta fu reimpiegata nelle terme installate a partire dal I secolo a.C. Negli strati sono stati trovati moltissi-mi materiali (oltre 5000 reperti): fra i più antichi si segnalano oggetti in bronzo (lance, spiedi, punte di lancia, lamine ritagliate e lavorate a sbalzo), mentre nella fase medio-repubblicana prevalgono i fitti-li, sia anatomici che statuette ammantate e di animali (bovini, ovini, un cavallo); infine, sempre al IV-III secolo a.C. si attribuiscono le centinaia di monete campane, apule, di influenza sannitica e di area locale recuperate in situ. È stato ipotizzato il nome di Mefite per connotare almeno idealmente la di-vinità che potrebbe aver presieduto il santuario, ma per il momento si tratta di un dato da verificare.

Come a Ponte di Nona, la presenza di votivi legati alla sfera della sanatio tanto dell’uomo quanto degli animali è un dato assai utile per cercare di interpretare questi spazi cultuali presso sorgenti ter-mominerali: se alcune osservazioni sono già state avanzate al riguardo14, occorre segnalare che si trat-ta di un’occorrenza rilevata in vari siti censiti nel territorio nazionale, tra cui quello di Tratturo Caniò (App. n. 71). Qui è stato scoperto un santuario forse legato a Giunone sorto presso una sorgente sulfu-

13 Cfr. bellini 2004, con bibliografia precedente.14 bassani M. 2013 con rimandi precedenti e il contributo di chi scrive I santuari, paragrafo 1.3.2, in questo volume.

Fig. 90 – Sezze, località Tratturo Caniò. Frammento di antefissa fittile con “Testa di Giunone Sospita” (Culti e luoghi di culto dell’antica Setia s.d., quarta di copertina).

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rea chiamata “Acqua che puzza”: se già una frequentazione è nota per l’e-tà del Bronzo medio e finale (XVI-IX secolo a.C.), all’edificio arcaico (fine VI-inizi V secolo a.C.), forse costrui to inizialmente con materiali deperibili, pertengono frammenti di antefisse, tra cui spiccano quelli con “Testa di Giunone Sospita”, secon-do il modello che ritrae la dea con elmo corinzio e corna di capra (fig. 90). La scoperta di rocchi di colonne, capitelli, cornici e fregi dà percezio-ne della cura riservata al contesto in età repubblicana, sul finire della qua-le è stata postulata anche l’esisten-za di un altare monumentale o di un donario: a tale costruzione va riferi-

ta infatti l’iscrizione che nomina il console Spurio Postumio Albino fra i promotori del rinnovamento dell’area. Dal punto di vista dei materiali15, la fase arcaica conta votivi in bronzo (kouroi, laminette) e vasetti miniaturistici ad impasto, cui seguono tra IV e III secolo a.C. altri tipi di oggetti, per lo più fitti-li: i consueti anatomici (occhi, orecchie, mani, piedi, organi riproduttivi, tra cui una trentina di falli, un utero), ma anche statuette di animali per lo più da pascolo, oltre che centinaia di monete.

Rispetto ai contesti analizzati e spostandosi più a sud, merita di essere citato uno spazio sacro particolarmente suggestivo, legato ai culti più antichi di Roma. Presso Pomezia, infatti, lungo la via che univa Alba a Lavinio e che attraversava una valle ricca di laghetti sulfurei oggi in parte scomparsi, furono scoperti quattro cippi iscritti, in occasione di arature effettuate in un campo della località Tor Tignosa (Riserva Naturale Decima Malafede: App. n. 68). Datati fra il IV e il III secolo a.C., essi reca-no iscrizioni menzionanti il Lar di Enea e i tre Fati (Parca Maurtia, Neuna e Neuna Fata)16, che coin-cidono con le divinità citate da Gellio e da Virgilio in un luogo a vocazione oracolare presieduto da Fauno e poi da Albunea (di cui resta memoria nel toponimo ancora in uso nella zona)17. Essi potreb-bero indicare che il sito di Tor Tignosa costituiva un importante santuario legato alle origini di Roma, posto non a caso in prossimità delle località connesse ad Enea. In effetti, il nome di Albunea sembra afferente alle acque sulfuree qui presenti (fig. 91), tutte caratterizzate dal classico colore biancastro dovuto ai sali di zolfo disciolti, mentre di recente sono state rilevate forti emissioni gassose molto pe-ricolose per l’uomo e per gli animali (per la presenza di CO2). Se per un verso esse impediscono oggi una permanenza stabile nei punti in cui si manifestano, per un altro possono suggerire il timore che in età antica il luogo poteva suscitare. Anzi, è possibile che già in età arcaica proprio il ribollire sponta-neo delle acque e il riconoscimento di aree non frequentabili dall’uomo e dunque “riservate” alle di-vinità, possano essere stati i presupposti per ubicare un santuario di tipo oracolare: dotato forse anche di una qualche struttura stabile, come lascerebbero supporre parti di rivestimento fittile qui recupe-rati, esso dava i responsi mediante l’incubazione e va immaginato inserito in un paesaggio suggestivo, ricco di boschi e di grotte, in cui Fauno sussurrava ai fedeli il loro destino. Tale funzione sembra in parte attenuarsi con il II secolo a.C., mentre in età imperiale qui prevalsero attività legate all’estrazio-ne mineraria dello zolfo, utile per vari impieghi agricoli e industriali18.

15 Per l’età bronzo si conoscono frammenti di materiali ceramici. 16 guarducci 1971. 17 gell. 3, 16, 9-10; serv. ad Aen. 7, 83-84. 18 Per una panoramica degli usi non curativi delle sorgenti termominerali, cfr. il contributo di Angelo Bassani in

questo volume.

Fig. 91 – Pomezia, località Tor Tignosa. Veduta delle acque sulfuree (foto di Giorgio Clementi).

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1.1.2 I luoghi di culto di età tardo repubblicana e imperiale

A partire dal I secolo a.C. la documentazione relativa a santuari e a luoghi di culto presso sorgen-ti termominerali cambia in maniera piuttosto netta, sia nel Lazio che altrove: emerge infatti una chia-ra diminuzione di questi santuari a favore del proliferare di più generici spazi dove trovavano posto i votivi dei fedeli, inseriti in ampie strutture curative19.

Gli unici due esempi di edifici cultuali laziali presso sorgenti curative datati fra il I secolo a.C. e il II secolo d.C., sono quelli scoperti a Musignano, in provincia di Viterbo (App. n. 46), e alle Aquae Albulae, presso Tivoli (App. nn. 73-74).

Il primo edificio è stato segnalato durante scavi ottocenteschi svolti per conto di Luciano Bona-parte, ai quali sono seguite indagini stratigrafiche alla fine del Novecento, per ora inedite; l’area termale era situata nei pressi dell’agglomerato abitativo di Maternum e il tempio pare sorgesse all’interno di un contesto occupato da un impianto termale, che sfruttava sorgenti bicarbonato-solfato-calcico-magne-siche. Sulla base dei resoconti e delle perlustrazioni odierne, sembra che l’area fosse monumentalizzata e molto articolata: l’edificio di culto, per ora privo di una planimetria restitutiva, era a pianta centrale e doveva essere abbellito da statue, tra le quali si segnalano un esemplare femminile (cd. Igea), ora al Mu-seo Torlonia, e una base di statua di Apollo, dedi-cata da un certo Lucio Minucio Natale.

Il secondo esempio è stato individuato nell’a-rea termale delle Aquae Albulae, e precisamen-te nel settore settentrionale facente capo al Lago di S. Giovanni, dunque in un luogo ugualmen-te provvisto di sorgenti di tipo sulfureo-carboni-che ma più distante rispetto al nucleo meridiona-le del Lago della Regina e delle Colonnelle, dove si ergeva l’impianto terapeutico principale (fig. 92). Come nel caso di Musignano, anche qui sca-vi non sistematici e opportunamente documenta-ti hanno rilevato un tempio rotondo (diam. 7 m: cfr. fig. 92.C), con peristasi di otto colonne o pi-lastri; inoltre, è sempre da questo settore setten-trionale che provengono vari manufatti votivi, tra i quali basi marmoree iscritte con dediche alle Aquae e statue di divinità (una ninfa, un nume fluviale, un giovanetto, alcune erme ecc.).

Se allora un possibile contesto cultuale sem-bra riconoscibile a nord ed era forse intenzio-nalmente separato dal settore curativo vero e proprio localizzato a meridione (presso il Lago della Regina), anche a sud non dovevano manca-re spazi nelle terme stesse in cui dedicare votivi ai numi tutelari delle acque: gli scavi registrano infatti vari elementi statuari, tra i quali si segna-lano una grande statua di Apollo Liceo accom-pagnato da un grifone20, un’altra grande statua cd. di Igea ispirata a un originale di IV secolo, e due basi iscritte, di particolare interesse. La pri-ma ricorda la dedica di un’immagine femminile

19 Per alcune considerazioni sulla rarefazione dei santuari “termominerali” in età tardorepubblicana, cfr. il contributo di chi scrive, I santuari, in questo volume.

20 Riflessioni interessanti sul tipo statuario in comPatangelo-soussignan 2012, in partic. pp. 134-135.

Fig. 92 – Tivoli, località Acque Albule. Topografia dei rinve-nimenti e veduta dei ruderi delle terme (rielaborata da mari 1983, p. 319 n. 537, foto di M. Annibaletto).

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Cura, preghiera e benessere

pertinente a una matrona guarita da Albula Lympha: fu il marito a far comporre i distici, quale rin-graziamento per la salute ritrovata della moglie21. L’altra è la famosa base anch’essa redatta in forma di carme, dedicata alle Aquae per aver guarito da una ferita il cavallo Samis: si è pensato che il commit-tente fosse addirittura Adriano22, i cui possedimenti sono nominati nell’epigrafe.

Alla fase tardo-repubblicana e imperiale vanno poi datati altri ritrovamenti cultuali presso impianti terapeutici famosi: essi, tuttavia, non possono essere attribuiti a edifici sacri evidenti, dal momento che sono stati recuperati genericamente dentro le terme. Ad esempio, sia alle Aquae Caeretanae (Pian della Carlotta, Cerveteri: App. n. 49) scavate solo parzialmente, sia alle Aquae Tauri (App. n. 57), note invece nella loro estensione (fig. 61), sono stati tratti vari oggetti votivi nei pressi delle vasche23; parimenti alle Terme di Suio (Castelforte: App. n. 48) e a quelle di Cretone (Montelibretti: App. n. 61) si scoprirono frammenti di statue e alcuni oggetti votivi, non riferibili però ad alcuna costruzione sacra24. Altri oggetti sporadici provengono poi dalle Terme del Bacucco (Viterbo: App. n. 85) e dalle Terme delle Zitelle (Vi-terbo: App. n. 84), dove si è scoperto un piccolo deposito votivo di III secolo a.C. precedente di almeno due secoli alla fase di impianto dello stabilimento curativo: ma sfugge il luogo esatto del rinvenimento25. L’assenza in età imperiale di precisi spazi cultuali all’interno di molti impianti terapeutici della penisola è un dato interessante, sul quale sono state avanzate alcune ipotesi interpretative26.

1.2 camPania e calabria

Se si valuta la documentazione cultuale pertinente alle regioni di Campania e Calabria, la situa-zione è molto meno articolata di quella laziale. In effetti, a fronte delle circa quaranta attestazioni di strutture terapeutiche presso sorgenti curative, in Campania si contano solo sette contesti cultuali27, tra i quali i santuari sono solo due, mentre gli altri cinque siti corrispondono a semplici depositi voti-vi o a situazioni non meglio definibili (fig. 93). A sua volta la Calabria mostra tre contesti cultuali su quattro schedati, anche se solamente due possono essere valutati come parzialmente strutturati, es-sendo il terzo indiziato solo da fonti letterarie e itinerarie (fig. 94).

Da un punto di vista idrologico e focalizzando l’attenzione sul comprensorio campano, si può inoltre specificare che i sette contesti cultuali sono localizzati in tre casi presso acque fredde, a preva-lente componente sulfurea (all’Ansanto e al Tifata) e acidulo-ferruginosa (alle Calderelle); in altri tre casi in corrispondenza di sorgenti calde con prevalenza di sali di bicarbonato e di zolfo disciolti, op-pure presso polle alcalino-sulfuree28. Viceversa, per le attestazioni calabre i luoghi di culto si trovano all’interno di grotte con acque calde sulfuree, sovente caratterizzate da un forte odore acre e dal con-sueto colore lattigginoso.

1.2.1 I santuari campani. Il contesto sacro nella valle d’Ansanto

Il caso più antico documentato in Campania è quello del santuario presso la Valle dell’Ansanto, nell’Irpinia settentrionale (provincia di Avellino), sorto lungo percorsi diretti verso la Lucania occi-dentale e l’Apulia (App. n 25) e oggi non lontano dall’impianto termale di San Teodoro29. Si tratta di un

21 Per una panoramica sui frequentatori delle stazioni termali, cfr. il contributo di Patrizia Basso in questo volume. 22 Sul manufatto, cfr. da ultima bassani M. 2012b, con bibliografia precedente. 23 Dal primo sito, datato al I-III secolo d.C., vengono statuette, cippi, colonnine, una mensa, per lo più iscritti (fra gli

ultimi cfr. chellini 2002, pp. 82-86); dal secondo, risalente dal II secolo a.C. all’eta altomedievale, provengono un altare iscritto e frammenti statuari (fra gli ultimi cfr. chellini 2002, pp. 87-93).

24 saPelli ragni, mari 2011, pp. 287-288; per la statua di Apollo Liceo cfr. PaPadoPoulos 1979, pp. 64-65, n. 53. 25 zucca 2006, pp. 403-408. 26 cfr. il contributo di chi scrive, I santuari, in questo volume. 27 I casi sono otto se si conta anche il sito dei Bagni Sulfurei, dove le sorgenti sono connesse a una villa: qui tuttavia la

cultualità è legata al recupero di una statuetta di Apollo e pertanto essa sembra pertinente alla sfera della religiosità privata. 28 In loc. S Croce (settimo caso) mancano dati al riguardo. 29 Sulle potenzialità turistica dell’Ansanto e in generale dell’Irpinia cfr. cresta, greco 2010.

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luogo sacro famoso già in epoca antica30, ma a noi noto solo in parte sia per la scarsa documentazione di scavo, sia per le alterazioni geomorfologiche avvenute nei secoli. Infatti, la vallata è caratterizzata da sorgenti ricche di anidride carbonica e di idrogeno solforato, che danno luogo tanto al caratteristico “ribollire” delle acque, presenti a ridosso del fiume come pure nel lago vulcanico (entrambi chiamati “dell’Ansanto”), quanto a eruzioni di fango. In alcuni punti vi sono inoltre forti gas nocivi, che posso-no rivelarsi letali se respirati da uomini e animali (cfr. fig. 37); e a causa della presenza di cristalli di zol-fo e di gesso, la vegetazione risulta piuttosto scarsa lungo i pendii, creando così un paesaggio “lunare”.

In questo ambiente quasi surreale, nel quale si alternano zone con ricca vegetazione ad altre del tutto prive di esseri viventi, un posto di rilievo doveva occupare l’area sacra, situata, si crede, sulla collina sopra il lago dell’Ansanto, in un luogo protetto dai temibili gas: a valle, invece, nel cosiddetto “Vado Mortale”, venivano forse compiuti i sacrifici in onore della dea Mefite, titolare del santuario, come confermano varie iscrizioni e le fonti letterarie31.

Il contesto sacro però doveva essere ben più articolato di quanto ora attestino i dati ar cheo logici: le fonti antiche ricordano sia un edificio di culto, definito ora aedes ora fanum32, sia un nemus sacro a Mefite33, sia pure un oraculum34, che poteva essere collocato all’interno di una grotta: questa forse coincide con quella menzionata da uno storico settecentesco come sede appunto di un oracolo, ubi-cata sul lato destro del torrente35.

I dati ar cheo logici oggi noti su quest’area sacra sono di due tipi.Il primo attiene agli scavi compiuti a metà degli anni Cinquanta del Novecento da G.O. Onorato,

che lasciò vari appunti ma la cui documentazione grafica andò dispersa: tali indagini non riguardaro-no lo spazio sulla collina, ma un deposito di oggetti individuato nell’alveo del torrente Ansanto, alveo che con il suo strato fangoso conservò oggetti organici preziosissimi, oltre che altri in vario materia-

30 In partic. verg. Aen. 7, 563-571. 31 Cfr. il contributo di Maria Federica Petraccia e Alfredo Buonopane in questo volume. 32 Di una aedes parla Plinio il Vecchio (nat. 2, 95, 208), mentre un generico fanum è ricordato da Tiberio Claudio

Donato nelle sue Interpretazioni Virgiliane (7, 565, 11-12). 33 claud. don. 7, 565, 11-12. 34 PorPh. Comm. in Hor. Flac. 3, 18. 35 Su tutto cfr. rainini 1985, p. 4 e per la classificazione dei reperti bottini, rainini, isnenghi colazzo 1976.

Fig. 93 – Distribuzione geografica dei luoghi di culto censiti in Cam-pania e numerati in base alla cronologia: 1. Ansanto; 2. S. Angelo in Formis; 3. Caldarelle; 4. Nitrodi; 5. Aquae Sinuessanae; 6. Contrada S. Croce; 7. Agnano (elaborazione di M. Annibaletto su base ortofoto-grafica Google 2013).

Fig. 94 – Distribuzione geografica dei luoghi di culto censiti in Calabria e numerati in base alla cronologia: 1. Galatro; 2. Grotta delle Ninfe Lu-siadi; 3. Terina (elaborazione di M. Annibaletto su base ortofotografica Google 2013).

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le. Si trovarono infatti sette xoana lignei e altre cinque testine lignee con volti schematizzati, riconducibili a un orizzonte di VI secolo a.C., oltre che alcune tavo-lette di abete, ossa di pecore e resti alimentari (noccioli di frutta, vinaccioli, grano ecc.). A questi si aggiunsero centinaia di manufatti in bronzo, oro, ambra, pasta vi-trea, ma soprattutto in terracotta, tra cui statuette fem-minili in prevalenza di offerenti (400 esemplari), testi-ne, alcuni ex voto anatomici, ceramiche, pesi da telaio; inoltre si recuperarono numerose monete (quasi 300 esemplari), datate dal IV secolo a.C. al III secolo d.C.36.

Il secondo gruppo di informazioni pertiene inve-ce ai risultati ottenuti dagli scavi sulle pendici nord-occidentali della collina, effettuati per conto della So-printendenza per i Beni Ar cheo logici della Campania a partire dagli anni Settanta del Novecento. Qui si scoprì un’area porticata della tarda età repubblicana, che fu poi soggetta a interventi di restauro pavimen-tale nel corso del I secolo d.C.; si individuò inoltre un camminamento all’estremità orientale su muri di ter-razzamento, anch’esso interessato da ristrutturazioni nel I secolo d.C. (fig. 95). Dalle varie trincee di scavo furono recuperati moltissima ceramica e vari oggetti votivi; inoltre, nonostante la mancata individuazione dell’edificio sacro, durante le ricognizioni si scopriro-no sopra la collina notevoli quantità di cocci e di fram-

menti di tegole, assenti altrove, e massi sagomati di medie dimensioni, tutti materiali che parvero po-tenzialmente pertinenti alla struttura cultuale37.

In ogni caso, il complesso santuariale dovette ricoprire un’importanza notevolissima nel corso dei secoli: sia durante la fase arcaica, epoca cui risalgono gli xoana lignei, sia nella piena età ellenisti-ca (IV-III secolo a.C.), periodo cui viene ricondotta la maggior parte degli ex voto e delle monete, sia pure in età tardo repubblicana, quando si procedette a realizzare (almeno) il portico. Se con il I seco-lo d.C. il santuario continuò ad essere oggetto di interesse pubblico, come attestano i restauri, la fre-quentazione sembra rarefarsi in età imperiale: con il III secolo d.C. si esauriscono anche le poche of-ferte monetali, così come al secolo successivo si data una torre sovrapposta alla strada, che in qualche modo segna un totale cambiamento di funzione dell’intero contesto.

1.2.2 I santuari campani. Il complesso del Monte Tifata

Una vicenda per certi aspetti analoga è quella dell’altro importante santuario campano sul Mon-te Tifata, ubicato nell’entroterra campano parimenti presso sorgenti termominerali a spiccata compo-nente sulfurea. Se sull’importanza strategica che questo santuario sembra aver rivestito nel tempo si ri-manda all’altro contributo di chi scrive presente in questo volume38, vale qui soffermarsi sugli aspetti più propriamente ar cheo logici, utili a delineare le fasi e le modalità di occupazione del sito (App. n. 17).

Il luogo di culto in onore di Diana dipendeva da un punto di vista amministrativo dalla città di Capua, cui era collegato grazie a una via Dianae per circa 3 miglia, almeno a partire dall’età tardo re-

36 Queste ultime furono trovate sia durante gli scavi Onorato sia in quelli effettuati poi negli anni Settanta del Novecento.

37 rainini 1985, pp. 9-10; ritrovamenti occasionali intorno al colle fanno ipotizzare che in età antica qui si sviluppasse anche un pagus, con modeste strutture abitative e con un piccolo emporio.

38 In partic. al capitolo 2.

Fig. 95 – Avellino, Valle dell’Ansanto. Particolare del-le fasi di pavimentazione del camminamento lungo le pendici nord-occidentali del colle, in direzione del santuario (rainini 1985, tav. XIV).

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pubblicana se non già prima39; esso ebbe origini antiche e fin dal principio potrebbe essere stato stret-tamente legato alle sorgenti sia calde sia fredde che costellavano le pendici del rilievo. Tali sorgenti, a causa di mutamenti geomorfologici e soprattutto in relazione ai continui prelievi per l’acquedotto di Capua-Napoli, sono oggi quasi del tutto scomparse, ma fino al pieno Ottocento venivano ricordate per le loro proprietà curative; esse in età antica erano certamente sfruttate a fini terapeutici, dato que-sto confermato sia dai manufatti ar cheo logici sia dalle fonti scritte e iconografiche.

Le indagini ar cheo logiche effettuate alla metà del Novecento hanno interessato lo spazio occupato dalla chiesa di S. Angelo in Formis (ovvero di S. Michele Arcangelo), eretta nell’XI secolo su una prece-dente chiesa longobarda, a sua volta sovrapposta al tempio romano: un dato, questo, estremamente in-teressante circa il perdurare nei secoli di pratiche di devozione in un contesto legato all’acqua termale.

Nel periodo più antico è stato ipotizzato un culto legato a una divinità italica femminile, protet-trice della natura e della nascita, alla quale nel corso del VI secolo a.C. sarebbe stata sostituita Artemi-de-Diana40. Se per questa fase si conoscono solo alcuni elementi architettonici dell’alzato del tempio, a sostegno di un culto tributato alla dea già in questa epoca alcuni studiosi hanno ricordato un passo dei Punica di Silio Italico41, in cui si racconta l’uccisione da parte di Fulvio Flacco di una cerva sacra a Diana, che abitava quei luoghi da centinaia d’anni42. Il dato, pur di matrice antiquaria, potrebbe esse-re stato presentato da Silio Italico a sostegno dell’antichità del culto “tifatino”, un culto che potreb-be essere avvalorato anche dalla notizia trasmessa da Ateneo secondo la quale, fra gli oggetti sacri del tempio, vi era pure una “coppa di Nestore”43. Si tratta, certo, di un oggetto che sovente viene citato nei santuari come prova di una frequentazione antichissima, ma in questo caso potrebbe essere letta come una testimonianza ulteriore di un culto antichissimo della dea.

Più sicuri sono invece gli interventi nel santuario a partire dal IV secolo a.C., come attestano sia il rifacimento di una parte del peribolo e del podio del tempio, sia alcune terrecotte votive di IV-III seco-lo a.C.: già in questa fase l’edificio parrebbe di tipo etrusco-italico, su podio con gradinata di accesso, periptero sine postico con cella sul fondo44 e un altare lungo e stretto davanti alla scalinata (cfr. fig. 73).

Che poi fra il II e il I secolo a.C. l’area sacra abbia goduto di imponenti interventi, si coglie in una iscrizione su marmo in parte mutila45, nella quale vengono elencati i monumenti comprati o realizzati per conto di due consoli con i soldi della stipe della dea46: vengono così ricordati un muro (probabilmen-te quello del peribolo a contenimento del monte, ancora in parte visibile47), compreso fra una gradinata e un calcidicum, poi una porticus davanti a una cucina “privata” della dea (di lunghezza non precisabile), nonché due signa di Castore e Polluce. Vi era quindi un complesso articolato di edifici e di statue, che ben si possono giustificare in un santuario rilevante come questo, forse organizzato a terrazze per supe-rare il declivio del monte e provvisto anche di un particolare tipo edilizio quale appunto il chalcidicum: questa struttura viene infatti citata, pur con grafia non corretta, per ben due volte nell’iscrizione e come è stato ben dimostrato48 si tratta di una tipologia edilizia che poteva comprendere una porticus, un sa-cello con statue e altri edifici. Inoltre, un’altra iscrizione pavimentale del 108 a.C. ricorda alcuni restauri compiuti da dieci magistri49, che portarono all’ampliamento e al rifacimento del tempio.

Occorre dunque immaginare all’interno della grande platea in cui sorgeva l’edificio molteplici co-struzioni, utili a svolgere le varie funzioni di amministrazione e di culto, che dovettero amplificarsi

39 Quilici gigli 2000, in partic. pp. 20-31. 40 de franciscis 1956, con riferimenti a p. 45, nota 1. Ora anche chioffi 2012. 41 sil. ital. Pun. 13, 115-137. 42 trotta 1991, pp. 271-274. 43 athen. 11, 489b e 466c: cfr. cerchiai 1995, pp. 157-158. 44 Ampiezze proposte da de franciscis 1956: edificio 17,40 x 21,40 m, cella interna 5,80 x 9,90 m. Per ulteriori

riflessioni cfr. ora Quilici gigli 2012, pp. 35-36. 45 CIL X, 3781 = CIL I, 680 (pp. 930, 932) = ILS 5561 = ILLRP 717 = AE 2003, 159. 46 Ampia trattazione in de franciscis 1956, pp. 18 ss. 47 de franciscis 1956, pp. 40-41 e Quilici gigli 2012, pp. 44-46. 48 torelli 2005, con bibliografia precedente. Sul calcidicum di questo santuario cfr. ora Quilici gigli 2012, p. 44, che

pensa a una sorta di vestibolo. 49 carafa 2008, p. 122; Quilici gigli 2012, p. 36-37.

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dopo le donazioni di Silla a seguito della sua vittoria su Norbano; sotto Augusto e poi sotto Vespasia-no vennero censite le proprietà della dea, probabilmente di grande entità, tanto da indurre Vespasiano a ridefinirne i confini, come attestano alcuni cippi50. Infine, tra V e VI secolo si registra solo un ponte altomedievale presso l’attuale ponte di Annibale, quest’ultimo eretto nel 1886.

Solo di recente si è ripreso lo studio dei materiali cultuali, reso possibile grazie a una rilettura del-le testimonianze ottocentesche, essendo gli oggetti in gran parte dispersi51. Infatti, durante gli scavi del Novi alle spalle del tempio fu rintracciata una probabile favissa, ubicata all’interno di una serie di vani rettangolari con funzione di pozzi: qui, misti a ceneri di origine animale, si recuperarono moltis-simi oggetti, tra i quali vasi, statuette (di cui molte di Attis), teste e anatomici fittili, bronzetti, monete, nonché oggetti in osso e lucerne. Se tali oggetti risultano tipologicamente del tutto simili a quelli già registrati con sicurezza in altri santuari termominerali, una ricerca archivistica accurata potrebbe indi-care una loro possibile presenza nei depositi dei Musei di Capua o di Napoli, oppure una loro vendi-ta a seguito dello scavo. Dal punto di vista cronologico essi risalgono in gran parte alla fase repubbli-cana, ma non mancano anche elementi strutturali della piena età imperiale, a testimoniare il perdurare della frequentazione del santuario anche dopo l’avvento del Principato.

1.2.3 I casi calabri

Lasciando la Campania, appaiono decisamente ridotte le evidenze della Calabria, che, come si è detto, sono solo tre, per quanto il sito delle Sorgenti di Caronte (Terina) sia piuttosto incerto. Gli ele-menti che le accomunano sono però molteplici: sono tutte situate all’interno di grotte nelle dorsali appenniniche e sono connotate da acque calde con prevalenza sulfurea, dal caratteristico odore acre e dal colore biancastro; inoltre, da un punto di vista storico-ar cheo logico mostrano in due casi su tre una lunga frequentazione umana, la quale, se non si può precisare nel dettaglio per la scarsità dei resti conservati, consente comunque di delineare alcuni aspetti significativi.

Si consideri per prima la grotta di Galatro (App. n. 4): essa si trova nella gola del fiume Fermano presso le odierne Terme di Galatro (Fonti S. Elia), dove si curano artrosi e dolori muscolari; i rinveni-menti ar cheo logici sono avvenuti in occasione della posa di condutture negli anni Trenta del Novecen-to, senza che risulti alcuno scavo sistematico delle giacenze antiche. Giacenze, comunque, che se pur esigue, sono sia di tipo strutturale che materiale: in una fase alta (V-IV secolo a.C.) la grotta doveva es-sere frequentata per usi cultuali, come documentano un rilievo, un’erma e una mascherina fittile e for-se già in questa fase essa fu interessata da una qualche attenzione decorativa, come lascerebbe intuire un frammento architettonico fittile a palmette. Per l’età romana un muro di una certa ampiezza e lunghez-za, attestato da un documento ottocentesco, potrebbe costituire un indicatore di una costruzione, che si ipotizza sacra, in base al recupero di varie lucerne tardoantiche nello stesso contesto. Il perpetuarsi nei secoli della vocazione cultuale e curativa della grotta è provata anche da leggende popolari, che ubicava-no qui un palazzo delle fate capaci di assicurare salute e benessere agli abitanti di Galatro.

L’aura magico-sacrale si registra anche nelle altre due grotte calabre, in primis in quella delle Nin-fe Lusiadi (App. n. 5)52: situata presso il torrente Caldana e scoperta nel Novecento durante lavori di arginatura del corso d’acqua, la grotta con sorgente sulfurea termale (33°) è tutt’ora utilizzata per sco-pi curativi e presenta resti di età genericamente greco-romana53. Se infatti all’epoca arcaica viene ri-condotto un frammento di colonna monolitica in tufo, lungo il greto del torrente per circa 50 m sono state riconosciute fondazioni e pavimenti di età romana, oltre che resti di tubature fittili con concre-zioni sulfuree, che confermano una regimentazione delle acque per trarne benefici. Secondo una pos-sibile interpretazione di un passo di Ateneo54, gli effetti positivi di queste acque erano già noti ai gio-vani Sibariti: essi erano soliti riunirsi nell’antro soprattutto nei mesi estivi, in maniera analoga, forse,

50 granino cecere 2009, in partic. pp. 53-62; Quilici gigli 2012, p. 31. 51 Riletture e approfondimenti in Quilici gigli 2012, pp. 57-68; nonnis 2012; chioffi 2012. 52 Da ultimo cfr. givigliano 2007, pp. 714-715. 53 Si segnala peraltro che qui è stato trovato anche un deposito protostorico di sei asce in bronzo. 54 athen. 12, 17.

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a quanto si registra nell’ultima grotta calabra, quella individuata a Terina (App. n. 6). Il sito, che sem-bra coincidere nella Tabula Peutingeriana con le Aquae Angae e che è connotato da numerosi antri situati lungo percorsi battuti dalla transumanza, in età post-antica è sede di vari luoghi di culto lega-ti ai Santi Quaranta: fra tutti spicca anche qui, come a Galatro, S. Elia, noto per la sua predilezione di grotte e venerato per le capacità sananti. Non si conoscono elementi certi nella grotta di Terina che diano prova di culti antichi, per quanto una tradizione riferita da Licofrone ricordi qui un culto di Li-gea connotato da proprietà oracolari55.

1.3 toscana

Spostandosi ora a considerare la documentazione toscana, il censimento complessivo delle sta-zioni termali conta 27 record, ma tra questi i contesti sacri sono circa quindici (fig. 96), di cui i san-tuari strutturati sono solo tre; vi si affiancano peraltro anche altri esempi meno fastosi ma comunque indicativi, quali depositi votivi o altri elementi cultuali.

In generale, i luoghi di culto della Toscana sono ubicati presso sorgenti prevalentemente calde, per quanto non manchino anche qui, come nel Lazio o in Campania, polle fredde di natura curativa; la loro composizione chimica è varia, ma si può segnalare una certa ricorrenza oltre che di sali di bicarbona-to, di solfato e di calcio, anche di sali di ferro, che contribuiscono a dare un colore rossastro alle ac-que: così a Sillene, ad Acquaborra, alla Buca del Tesoro, al Bagnone, ai Soffioni e ad Acqua Bor-ra. Quest’ultima località è ricordata nell’Inferno dantesco proprio per questa insolita colorazio-ne56, che evidentemente ancora nel pieno Me-dioevo risultava suggestiva se non inquietante, come già era successo nelle epoche precedenti, ad esempio in occasione della guerra annibalica57.

Le cure che oggi si praticano negli stabi-limenti toscani sono molteplici e si rivolgono all’apparato digerente, alle patologie cardio-vascolari, alle malattie respiratorie e traumati-che, nonché a quelle dell’apparato riprodutti-vo; si possono prevedere sia la balneoterapia sia la fangoterapia, sia infine la terapia inalatoria e dei vapori. È dunque possibile che anche in età antica vi fosse percezione delle potenzialità te-rapeutiche di queste sorgenti, potenzialità delle quali potrebbero costituire un’eco i vari manu-fatti mobili trovati nei pressi: a parte gli ogget-ti recuperati nei santuari di cui a breve si parle-rà, vi sono infatti depositi votivi di età arcaica ed ellenistica58, ma anche materiali ed elemen-ti architettonici di età tardo ellenistica e roma-na, con continuità estesa a volte fino alla media e tarda età imperiale59.

55 lycoPhr. 726 ss. Sul toponimo di Aquae Angae, cfr. il contributo di Francesca Ghedini in questo volume. 56 Dante, Inf. X, 85-87. 57 Sui culti idrici preromani e romani in questa zona cfr. ora giontella 2012. 58 Costituiti per lo più da bronzetti e da qualche statuetta: cfr. i siti di Buca del Tesoro (App. n. 105), Il Bagnone (App.

n. 99), Acquaborra (App. n. 114) e Acqua Borra (App. n. 98). 59 Si contano altari, basi e tavole iscritte, statue e statuette, mentre quasi assenti sono le monete: cfr. siti di Bagno

Grande (App. n. 120), S. Giuliano Terme (App. n. 121), Soffioni (App. n. 116) e Bagno di Roselle (App. n. 107).

Fig. 96 – Distribuzione geografica dei luoghi di culto censiti in Toscana e numerati in base alla cronologia: 1. Sillene; 2. Fuculi; 3. Bagno della Ficoncella; 4. Buca del Tesoro; 5. Acqua Borra; 6. Il Bagnone; 7. Acquaborra; 8. Bagno Grande; 9. Mezzomiglio; 10. Grotte Parlanti; 11. Bagno di Roselle; 12. Acquasanta; 13. S. Giuliano Terme; 14. Soffioni; 15. Montecatini Terme (elabora-zione di M. Annibaletto su base ortofotografica Google 2013).

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1.3.1 I santuari di area senese

Il principale polo santuariale toscano, con continuità di vita fino alla piena età romana e legato alla risorsa termale, è situato nell’area di Chianciano Terme (Fontes Clusini). Qui vi sono due luoghi di culto in località Sillene (App. n. 104) e Fucoli (App. n. 102) e un terzo, possibile ma non sicuro, nel-la vicina località Acquasanta (App. n. 101)60.

Che questi tre centri potessero essere in rapporto fra loro è un’ipotesi altamente probabile: dista-vano infatti l’uno dall’altro circa 500 m (fig. 97), ma si riferivano a sorgenti differenti. Mentre la pol-la di Sillene è calda, aveva forse sali di ferro disciolti (riconosciuti negli strati) ed è utilizzata oggi nel caso di patologie cardiovascolari e ipertensione arteriosa, quella di Fuculi è fredda e a prevalenza bi-carbonato-solfato-calcica, idonea per la cura delle patologie dell’apparato digerente. Quanto poi alla sorgente di Acquasanta, è sì calda, ma, come a Fuculi, è solfato-bicarbonato-calcica e sembra efficace nella cura del fegato e delle vie biliari, nonché degli organi del ricambio.

Da un punto di vista ar cheo logico, il principale luogo di culto è quello di Sillene, datato a partire dal VI secolo a.C.61. Esso sorgeva in un piazzale orientato a nord-ovest62, di cui però sfuggono le strut-ture murarie: gli scavi hanno riconosciuto nei manufatti conservati solo partizioni degli alzati, costi-tuiti da frammenti di legno e da tegole del tetto, ma anche un pavimento in calce e smalto, forse assi-milabile a un cementizio, del quale però non è specificabile la pertinenza.

Ciò che invece risulta certo è il gruppo statuario in bronzo recuperato in situ, il quale, pur in stato frammentario, si configura come un insieme omogeneo e di altissimo pregio: si contano infatti parti di due divinità, una femminile, forse la principale, identificata con Tiut-Luna-Diana alla guida di una biga; e un’altra maschile, probabilmente Apollo, al quale potrebbe pertenere una pregevole capigliatura con apertura posteriore (per fissaggi esterni o per sistemi di illuminazione: fig. 98). Vi si aggiungono poi re-

sti di cavalli, un donario di Diana su carro con fal-ce, statuette di minori dimensioni e altri votivi, tra cui aes rude, un semisse etrusco e monete imperiali.

Per il gruppo bronzeo, datato tra la metà del V e il II secolo a.C., sono state immaginate due collocazioni: una lo pone nella parte superiore del tempio, dove però ci si aspetterebbe una decora-zione in materiale fittile; un’altra all’interno di un donario o di un altare monumentale. Questa se-conda ipotesi sembra la più probabile, che lascia peraltro aperto il problema dell’esistenza o meno di un edificio di culto, distinto dal donario e lega-to più strettamente alle sorgenti. In ogni caso, se, come pare, è a Diana-Selene che va riferita la tito-larità del santuario63, quest’ultimo potrebbe esse-re ricondotto a Porsenna64: il tiranno, per imitare i grandi luoghi di culto laziali tra i quali quello di Ariccia – legato alle acque e dedicato a Diana –, potrebbe aver voluto riproporre anche in Etruria un grande e prestigioso centro religioso, dedican-dolo a una divinità dalle molteplici e sfaccettate capacità tutelari, non ultima quella sanante.

60 Cfr. in partic. chellini 2002; in questo lavoro, inoltre, è possibile verificare il numero rilevante di altri siti legati a contesti salutiferi (non solo termo-minerali) sparsi nella regione toscana dall’età antica all’età medievale (chellini 2002, pp. 153-159).

61 bonamici 2003. 62 Dimensioni calcolate: 17 x 19 m. 63 Piuttosto probabile è la derivazione dell’odierno toponimo Sillene dal nome della divinità, Selene. 64 bonamici 2003, p. 55.

Fig. 97 – Carta topografica di Chianciano Bagni: n. 4.39.1, sito di Acquasanta; n. 4.39.2, sito di Sillene; n. 4.39.3, sito di I Fuculi (chellini 2002, p. 154, fig. 85).

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Cura, preghiera e benessere

Che anche l’altro santuario di Fuculi potesse essere collegato alla sfera della guarigione sembra confermato dal fatto che i ritrovamenti di parti della decorazione fittile di un probabile tempio e di oggetti cultuali siano avvenuti poco distanti dalle sorgenti fredde, all’interno di uno spiazzo a forma triangolare65. Si contano infatti numerosi frammenti fittili ad altorilievo pertinenti a un frontone, in cui compaiono sei figure, femminili e maschili; ma si raccolsero anche otto dischi di pietra fetida e roc-chi di colonne, travi lignee decorate, sime frontonali e molte tegole del tetto. Si rinvennero inoltre due torsi maschili (uno forse di Ercole: fig. 99), bronzetti schematici, un’ascia sacrificale, vari coltelli, pesi da telaio e monete di III-II secolo a.C.; sembrano invece scarseggiare i resti ceramici, un dato, questo, indicativo forse di un ruolo meno centrale della libagione nella sfera del rituale.

Non è possibile per il momento specificare perché questo secondo luogo di culto esaurisca la sua importanza con il II secolo a.C., mentre quello di Sillene continui ad essere frequentato fino all’età tar-doantica, anche se si potrebbe ipotizzare un venir meno temporaneo della sorgente di Fuculi. Ciò spie-gherebbe il ruolo assunto dal nuovo nucleo di Acquasanta soprattutto in età imperiale, quando qui è attestata una vasca circolare connessa alla polla, in cui si raccolsero varie monete e una statua di Pria-po, oltre ad altre statue decontestualizzate: una di Venere tipo “Dedalsa” in travertino, una in marmo di Bacco, altre di minori dimensioni in terracotta e in metallo66, ora disperse e non meglio qualificate.

Se è corretta l’ipotesi secondo la quale Acquasanta andò a sostituire, ovvero a compensare, l’esau-rito centro santuariale di Fuculi, c’è da chiedersi se questo nuovo polo non ne abbia ereditato almeno in parte anche la funzione curativa. Come si è visto, le acque qui sono sì calde e non fredde, ma come a Fuculi hanno la stessa componente chimica: potevano quindi curare malattie dell’apparato digeren-te e degli organi gastro-enterici, magari in un complesso reso più articolato e ricettivo dalle capacità costruttive degli ingegneri romani.

1.3.2 Il ninfeo in località Grotte Parlanti

L’ultimo sito toscano a spiccata valenza cultuale si trova a ridosso dell’Appennino tosco-emilia-no, nel bacino termale di Monsummano (App. n. 110): qui esiste un sistema di grotte naturali, chia-mate “Grotte Parlanti”, caratterizzate dalla presenza di acque termali e calori umidi; furono sfruttate

65 rastrelli 1993b. 66 chellini 2002, pp. 154-155.

Fig. 98 – Chianciano Ter-me, località Sillene. Capi-gliatura in bronzo di una statua maschile (bonamici 2003, p. 52).

a destraFig. 99 – Chianciano Ter-me, località I Fuculi. Tor-so maschile fittile forse di Ercole (rastrelli 1992, tav. XIII).

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almeno a partire dall’Ottocento e venne-ro nominate “Paradiso”, “Purgatorio” e “Inferno” (o “Termine”), a seconda del-la temperatura raggiunta dai vapori (fig. 100). Tra questi antri si segnala pure la presenza di un laghetto termale, acces-sibile da un ponticello, per il quale però mancano informazioni riguardanti un suo utilizzo in età antica. Va infine ricor-dato che le acque, i fanghi e i vapori sono oggi impiegati per curare varie malattie, tra cui quelle che colpiscono gli arti (ar-trosi, postumi da fratture, lussazioni), l’apparato riproduttivo, le vie aeree, ma pure l’epidermide (acne e cellulite).

Che anche i Romani abbiano sfrut-tato le potenzialità terapeutiche di que-ste grotte sembra accertato dalla presen-za di un ninfeo-sacello (seconda metà

del I secolo a.C. – IV secolo d.C.): esso risulta inserito in un complesso sistema di locali ipogei non ancora riconosciuti (perché obliterati da frane e smottamenti), che era dotato di infrastrutture idrauli-che per l’incanalamento dei vapori. Ma all’interno dovevano essere previsti vari tipi di comfort: fram-menti di tegole, di stipiti e di cornici, di cementizi e mosaici, nonché un capitello denunciano una cer-ta cura nei rivestimenti delle superfici, mentre il ritrovamento di cospicue quantità di vasellame (sia di pregio che d’uso comune67) farebbero immaginare rituali legati all’acqua, anche se non si può esclude-re che servissero più banalmente per usi terapeutici.

La vocazione cultuale di questa grotta è peraltro confermata dall’etimologia del toponimo: Mon-summano rimanda infatti a Iuppiter Summanus, venerato per le sue capacità di controllare i fulmi-ni notturni rispetto a Iuppiter Capitolinus, nume delle saette diurne; Summanus inoltre presiedeva ai tuoni e ai fragori provenienti dalla terra, come attesta con puntualità Plinio68, e dunque si può ben giu-stificare un culto in queste grotte. Che “parlano” ancor oggi con i gorgoglii delle loro acque.

2 i santuari nella macroarea centro e nord-orientale

L’analisi delle attestazioni cultuali presso sorgenti termominerali prende ora in considerazione la macroarea centrale (Umbria, Abruzzo e Marche: figg. 101-102) e nord-orientale (Emilia Romagna, Veneto e Friuli; cfr. anche tav. II), connotata da un flusso di calore medio-basso ovvero da una preva-lenza di siti cultuali presso sorgenti fredde, pur con qualche località (come l’area euganea) in cui sono attestate acque calde. Si tratta naturalmente di una ripartizione di comodo, che comunque può rive-larsi utile nell’analisi e nell’interpretazione dei manufatti ar cheo logici, i quali, come per la macroarea occidentale, vengono presentati per regione, dando maggior risalto ai casi più significativi.

2.1 umbria

Nella regione umbra sono stati schedati quattro siti termali: di questi la maggior parte (tre casi) cor-risponde a santuari chiaramente legati alle acque terapeutiche, mentre un quarto è incerto; le sorgenti sono in genere fredde, di tipo bicarbonato-alcalino-ferrose e sulfuree e le loro acque sono efficaci nel-

67 Si contano frammenti di ceramiche a pareti sottili (coppe carenate, coppe cilindriche), di sigillata africana, a vernice rossa; non mancano poi vasellame da cucina, anfore da asporto, lucerne del tipo Firmalampen.

68 Plin. nat. 2, 138.

Fig. 100 – Monsummano Terme, località Grotte Parlanti. Veduta dell’Antro dell’Inferno (Acque segrete 1999, p. 85, fig. 29).

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Cura, preghiera e benessere

la cura delle dispepsie, delle dermatiti e dei problemi respiratori. Nel computo complessivo sono state espunte le sorgenti del Clitumno, tanto note nell’antichità quanto poco studiate da un punto di vista chi-mico-fisico e terapeutico69; tuttavia, le informazioni fornite dagli antichi su tale bacino idrografico pos-sono servire come riferimento per confronti e spunti di riflessione70.

Il santuario più importante per la durata del culto (II secolo a.C. – IV secolo d.C.), per l’organizza-zione strutturale e per la quantità di materiale recuperato è certamente quello scoperto fra il 2004 e il 2005 a seguito della fuoriuscita improvvisa di una polla di acqua calda, in località Aisillo (App. n. 125). Gli scavi condotti dalla Soprintendenza hanno posto in luce un’area organizzata attorno a una vasca circolare e a una corte porticata (cfr. fig. 76), sulle quali si affacciavano alcuni ambienti serviti da canalizzazioni e pre-posti a diverse funzioni. Il vano 3 corrisponde alla sala di culto principale: era provvista di un basamento sul fondo per la statua e di un pavimento in tessellato. Il locale non subì alcun rimaneggiamento, effettua-to invece nelle altre sale, tra cui nel contiguo vano 4: fornito anch’esso di una base sul fondo, questo am-biente venne poi modificato per consentire un accesso al retrostante corridoio 6. Le altre stanze laterali, nn. 5 e 7, sono state indagate solo in parte, anche a causa di allagamenti nel corso dello scavo.

I reperti comprendono sia parti degli alzati decorativi (terrecotte architettoniche e figurate), sia frammenti di statue in marmo, ma anche monete, utensili di uso comune e per la preparazione di pa-sti, oltre che oggetti in vetro e lucerne. Si tratta di materiali datati fra la tarda età repubblicana e l’età augustea e la piena età imperiale, che attestano la continuità della frequentazione del santuario. Il qua-le era raggiungibile grazie alla strada Mevania-Perusia, come dimostra l’orientamento delle strutture in senso nord-ovest / sud-est in conformità al tracciato viario, e doveva trovarsi in un’area ricca di al-tre sorgenti salutifere: lo attesta l’edificio a probabile destinazione termale trovato non distante in lo-calità Limigiano, presso la fonte Tina, di tipo sulfureo e ferrugginosa.

Il secondo luogo di culto presso una fonte usata per scopi terapeutici è quello ubicato nel territo-rio di Collazzone, in località Cesadoro (o Cascadoro-Perugia: App. n. 126). Il ritrovamento fu effet-tuato nel 1734 in una grotta, dove sgorgava un’acqua sulfurea, e altre perlustrazioni furono compiute nel 1745 a qualche metro di distanza: delle scoperte si lasciò traccia in un manoscritto, recentemente pubblicato. Si scoprì così un santuario della prima età imperiale (I-II secolo d.C.), caratterizzato dal-la presenza di una fontana-ninfeo che intercettava la fonte, attorno alla quale si rinvennero moltissimi

69 Cfr. melelli, fatichenti 2001, in partic. p. 788, che osservano come il mancato sviluppo in Umbria del termalismo terapeutico sia oggi da imputare non a una carenza di sorgenti curative, di cui la regione è ricchissima, ma all’assenza di una tradizione idrico-termale. Sul sito cfr. Petraccia, tramunto 2012 e nessi 2012.

70 Alcune osservazioni sono già state presentate in bassani M. 2012a, in partic. pp. 405-406.

Fig. 101 – Distribuzione ge-ografica dei luoghi di culto censiti in Umbria e nume-rati in base alla cronologia: 1. Aisillo; 2. Terme di Santo Raggio; 3. Vasciano; 4. Ce-sadoro (elaborazione di M. Annibaletto su base ortofo-tografica Google 2013).

a destraFig. 102 – Distribuzione ge-ografica dei luoghi di culto censiti in Abruzzo e Mar-che, numerati in base alla cronologia. Abruzzo: 1. S. Agata; Marche: 2. Cingoli; 3. Lucus Pisaurensis; 4. Ca-stel Trosino; 5. Via Moro; 6. Acquasanta Terme (elabora-zione di M. Annibaletto su base ortofotografica Google 2013).

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materiali, in parte inviati a Roma, in parte abbandonati sul posto o distrutti perché ritenuti inutili, in parte rivenduti. Tra i manufat-ti statuari spiccava un esemplare di circa 0,9 m di altezza, che raf-figurava un personaggio maschile con testa radiata, cornucopia e vaso, molto simile da un punto di vista tipologico alla statua cosid-detta di dignitario scoperta a Montegrotto Terme (fig. 144). Oltre a una piccola riproduzione di Ercole e a un frammento di un’altra statuetta, si ricordano un bassorilievo di Arpocrate (fig. 103), la-strine a rilievo, una tavola marmorea, alcuni piedistalli; sono men-zionati poi molti contenitori ceramici, lucerne, varie monete, al-cuni votivi organici (una pigna, uova di gallina e di pavone), pezzi di legno a forma di tavole e doghette, nonché altri oggetti in ferro.

La regimentazione delle acque, comprovata da fistule, la pro-babile monumentalizzazione interna della grotta, il perdura-re della frequentazione fino alla tarda età imperiale (almeno in base alle monete rinvenute), inducono a ritenere questo santuario come un luogo di culto rilevante, da immaginare forse all’interno di un lucus e posto lungo percorsi e tratturi che univano le valli del Tevere e del Paglia.

2.2 abruzzo e marche

La documentazione relativa a queste due regioni è disomogenea: l’Abruzzo conta su tre siti sche-dati un solo caso “cultuale”, peraltro problematico; nelle Marche invece tutti e cinque i contesti cata-logati presentano un luogo di culto.

Per quanto attiene alle caratteristiche chimico-fisiche delle acque, va evidenziato che non sono noti dati sicuri per la sorgente abruzzese di S. Agata (presso l’antica Superaequum: App. n. 1), che pure era considerata “miracolosa” tanto da farvi erigere nei pressi una chiesa; viceversa, gli spazi di culto mar-chigiani sono in quattro casi su cinque presso acque fredde, sulfuree o salso-bromo-iodiche oppure al-calino-ferrose. A ben vedere, però, manca una trattazione complessiva sul loro impiego terapeutico: solo per Acquasanta e per Cingoli sono esplicite le cure mediante fangature, sudazioni e assunzione d’acqua; negli altri casi le proprietà salutifere sono probabili, ma al momento ancora indiziarie. Vale quindi discutere i casi principali per individuare analogie e differenze con gli altri esempi trattati.

2.1.1 Il caso abruzzese

Agli inizi del Novecento, in occasione di lavori di riparazione dell’acquedotto locale, in locali-tà Campo di Macrano si effettuò uno scavo ubicato fra la chiesetta di S. Agata e il punto di fuoriscita della sorgente, per la quale, come si è detto, la documentazione ar cheo logica non riporta analisi chi-mico-fisiche utili ad accertare la presenza di sali disciolti e le eventuali proprietà curative. Tuttavia, vari ritrovamenti inducono a ritenere probabile che qui vi fosse un’area sacra: si scoprirono un piano pavimentale in opus spicatum, un nucleo cementizio interpretato come resti del podio, parte di un fre-gio a bucrani ed elementi decorativi, nonché alcune canalizzazioni in rapporto alla sorgente. Ma so-prattutto di un culto tributato a Ercole parlano i bronzetti di piccole dimensioni che lo raffigurano nel tipo Promachos (cfr. fig. 77)71, oltre che basette per sostenere statuette e altri votivi, qualche moneta e tre cippi in travertino con dedica a Ercole. In effetti, questa divinità, che è presente anche in altri siti termominerali censiti, annovera fra le sue sfere di competenza anche quella di titolare di fonti medi-camentose72, per quanto tale aspetto non sia sempre così pregnante73.

71 Le dimensioni vanno da 6,5 a 16 cm. 72 Cfr. il contributo di Maria Federica Petraccia e Alfredo Buonopane in questo volume. 73 Sull’analogia fra i manufatti recuperati presso le sorgenti termominerali e quelli provenienti da altre località dove

sgorgavano fonti benefiche non necessariamente curative, cfr. il contributo di chi scrive, I santuari, in questo volume.

Fig. 103 – Collazzone, località Cesado-ro. Disegno riproduttivo (n. 7) del bas-sorilievo di Arpocrate (sensi 2006, p. 336, fig. 9).

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Per l’Abruzzo va infine ricordato un recente rinvenimento presso L’Aquila, in loc. Forcona, sostan-zialmente inedito74: qui è stato posto in luce un complesso di stanze e di terme, articolato su terrazze, con una grande vasca circolare al centro. Alcuni indizi hanno fatto supporre una sua funzione di san-tuario-valedutinarium, ma si attendono dati sicuri per un suo riconosciento anche in chiave cultuale.

2.1.2 I casi marchigiani

Spostandosi ora ai santuari marchigiani, vale sottolineare che su cinque contesti solo due insedia-menti sono di uso sacro: quello di S. Vittore di Cingoli, in provincia di Macerata (App. n. 90), e quel-lo di Lucus Pisaurensis, nelle vicinanze di Pesaro (App. n. 92).

La prima località, nota anche come Fonte del Bagno vicina alla moderna area termale di Fonte S. Giovanni (dove si curano patologie intestinali), fu oggetto di scavi a metà dell’Ottocento e poi a metà del Novecento: si portarono in luce i resti di un articolato impianto termale datato tra il I e il II secolo d.C., che si sovrappose a un precedente santuario frequentato dal VI secolo a.C. Questo fu poi arricchi-to e monumentalizzato nel corso della fase ellenistica, come attestano i rilievi architettonici e gli ogget-ti votivi recuperati, tra cui molte ceramiche (fig. 104). Ma anche in seguito, fra il I secolo a.C. e il I seco-lo d.C., dovettero esservi interventi di rilievo: lo documentano gli oggetti votivi di questa fase, tra cui si segnalano statue, arule cilindriche, monete, oggetti preziosi, vasellame, pesi da telaio e alcune iscrizioni. Interessante risulta l’epigrafe rinvenuta sotto il piano pavimentale di uno degli ambienti del complesso, datata al 6 d.C., che riporta il divieto di sporcare in qualunque modo le acque: queste erano pertanto “vi-gilate” da un’autorità centrale, proprio in rapporto alla loro riconosciuta validità terapeutica.

Pari importanza e pari controllo “municipale” sembra aver avuto anche l’altro santuario terapeutico di Lucus Pisaurensis in località Santa Veneranda, dove fino agli anni Sessanta del Novecento c’erano nu-merose “fontanine”: si trattava di sorgenti di acque fredde reputate curative, che furono poi prosciugate per il passaggio dell’autostrada A14 nel 1963. Inoltre, non lontano da questo sito, noto anche come Mon-te della Salute, vi è oggi il centro termale di Carignano, dove si curano soprattutto problemi ginecologici.

Il luogo di culto fu oggetto di sterri settecenteschi per conto di Annibale degli Abbati Olivieri, il quale, pur promettendo una trattazione completa della scoperta, lasciò solo pochi appunti manoscrit-ti, dai quali comunque si evince che l’area sacra era situata sulle pendici del Monte della Salute e non doveva essere strutturata. Era probabilmente una zona boschiva, in cui a partire dal III secolo a.C. veniva praticato un culto rivolto a più divinità75: si trovarono infatti quattordici cippi iscritti, datati

74 tuteri 2012.75 Apollo, Diana, Feronia, Mater Matuta, Salus, Giunone, Liber, i Dii Novensides, Marica, Fides. Il santuario conti-

nuò ad essere frequentato con assiduità fino al I secolo a.C., poi con l’età augustea e l’età imperiale il culto sembra contrarsi fino a esaurirsi del tutto nel IV secolo d.C.

Fig. 104 – Cingoli, località Fon-te del Bagno. Lekythos a vernice nera (baldelli 1991, p. 124).

a destraFig. 105 – Pesaro. Bronzetto di Liber con fulmine dal Lucus Pi-saurensis (Lucus Pisaurensis 2004, p. 23, fig. 16).

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secondo alcuni al III secolo a.C.76, secondo altri al II-I secolo a.C.77. Tali oggetti potrebbero testimo-niare una richiesta di protezione e di cura da parte degli abitanti di Pesaro in occasione di momenti cruciali per la cittadinanza: o per timore della discesa di Annibale alla fine del III secolo a.C., oppure subito dopo la fondazione della città, negli anni successivi al 184 a.C.

Tra i votivi si contano moltissimi bronzetti (tutti dispersi tranne uno: fig. 105), molti anatomici tra cui genitali maschili e soprattutto femminili, statue di varie dimensioni, riproduzioni fittili di ani-mali domestici e delle loro zampe, nonché 4000 monete, che forse confluirono nella cospicua colle-zione oliveriana senza che se ne fosse registrata la provenienza.

Il santuario era dunque un centro salutifero di grandissima rilevanza e la superficialità con cui fu compiuto lo scavo ci priva oggi di dati fondamentali per capirne la morfologia (un semplice bosco con cippi e depositi votivi? oppure un’area comunque delimitata e strutturata con elementi lignei e materiale deperibile?) e le azioni rituali. Vale però la pena segnalare che in esso potrebbero aver trovato posto an-che pratiche divinatorie legate alla disciplina fulguratoria, come lascerebbero immaginare alcuni reper-ti ar cheo logici ed epigrafici. Il primo è proprio l’unico bronzetto rimasto, che ritrae Liber con il fulmine nella mano destra, un attributo che lo connota chiaramente come un dio “profetico” (fig. 105). Il secondo coincide con una delle iscrizioni dei cippi, ossia quella che riporta la dedica agli dei Novensides: divinità, queste ultime, connotate proprio come fulguriatores78. Inoltre, a Pesaro si conosce un fulgator etrusco vis-suto nel I secolo a.C., che potrebbe costituire la spia di una tradizione oracolare ben radicata nella zona.

Dunque, che al Lucus Pisaurensis oltre che ritrovare la salute si potessero anche prendere gli au-spici è un’ipotesi possibile, ancorché da suffragare: resta infatti per ora indiziaria la provenienza da qui della sors conservata al Museo di Fiesole, costituita da un ciottolo con scritti i nomi di Fortuna e Servio, datata al III secolo a.C.79, la quale tuttavia, se effettivamente fu tratta da un’area sacra di Pisau-rum, potrebbe confermare una pratica oracolare in questo territorio.

2.3 emilia romagna

Risalendo verso nord, la regione emiliana e romagnola conta nove siti a possibile vocazione cultua-le (cfr. fig. 106), tra i quali però sono cinque i casi sicuri, giacché negli altri contesti i dati sono probabi-li o ipotetici. In ogni caso vale evidenziare che le realtà censite si trovano per lo più in prossimità di ac-que fredde, salso-bromo-iodiche e sulfuree, indicate per le cure dermatologiche, ginecologiche, rettali, respiratorie, dell’udito e dell’apparato digerente. Nel caso del santuario di Caverzago, invece, le acque sono sempre fredde ma ricche di sali di Glauber, utili per funzioni lassative. Si può immaginare che in età antica servissero per problemi gastro-enterici e forse anche per problemi dermatologici, legati alla

76 coarelli 2000, che riprende una ipotesi di T. Mommsen. 77 cresci marrone, mennella 1984, pp. 42-60. 78 CIL I, 2, 375: cfr. ancora cresci marrone, mennella 1984, pp. 57-58. 79 coarelli 2000, p. 202.

Fig. 106 – Distribuzione geografica dei luoghi di culto censiti in Emilia Romagna e numerati in base alla cro-nologia: 1. Fonti Romane della Fratta; 2. Grotta del Re Tiberio; 3. Montegib-bio; 4. Ponte d’Ercole; 5. Terme di S. Agnese; 6. S. Pietro in Sylvis; 7. Por-retta Terme; 8. Caverzago; 9. Salvaro-la; 10: Terme di Quara (elaborazione di M. Annibaletto su base ortofoto-grafica Google 2013).

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frequentazione assidua degli animali: questi ultimi potevano trasmettere alle persone dermatiti di vario genere se non malattie cutanee gravi, come la scabbia80.

2.3.1 I luoghi di culto più antichi

Addirittura preistorica sembra la frequentazione dell’area nota come Fonti Romane della Fratta, presso Bertinoro (Forlì-Cesena: App. n. 31): se in questa località sorse un impianto termale di età roma-na complesso e articolato, riconosciuto tuttavia solo in parte perché non indagato nella sua interezza, nei pressi, in località Panighina, nel 1870 si compirono alcune indagini volte a comprendere l’esistenza di sorgenti terapeutiche. Fu così che si scavarono due pozzi, detti il Rosso (fig. 107) e il Verde, molto vicini fra loro e variamente profondi: nel primo si trovò un tronco cavo rinforzato esternamente, nel quale vi erano molti vasi per attingere e bere acqua, sia integri che frammentari. Sulle anse di alcuni di essi si notarono resti di fibre vegetali, pertinenti forse alle funi con cui vennero calati nella cavità; inol-tre all’interno dei contenitori si riconobbero ocra e sostanze alimentari, mentre nel riempimento del pozzo erano presenti frutti, cereali, ossa di pecora e di bue. A circa 2 m dal pozzo fu intercettata inol-tre un’area con frammenti di ceramica preistorica e protostorica (ciotole, scodelle, vasi, brocche, orci, una situla), a testimonianza della frequentazione molto antica del sito.

Che dunque già in età preistorica vi fosse percezione delle potenzialità curative delle acque è un’i-potesi che non va esclusa a priori, tanto più se si considera l’analogo caso siciliano delle Grotte termo-minerali del Kronio, utilizzate per scopi cultuali dal VI al III millennio a.C. e ampiamente citate dagli antichi come sedi di eventi mitologici81. D’altra parte, a Panighina sono troppo pochi i dati per postu-lare il permanere di una qualche forma di cultua-lità delle sorgenti ancora in età romana: infatti la serie di strutture e infrastrutture scoperte nel No-vecento, datate fra il I e il II secolo d.C., sembra-no genericamente pertinenti a un impianto terma-le, né risulta probativo di “sacralità” il frammento di un panneggio di statua rinvenuto vicino al pia-no pavimentale di uno dei vani messi in luce.

Molto più chiare sono invece le tracce di un culto presso una fonte curativa sulfurea nella Grotta del Re Tiberio, nel Comune di Riolo Ter-me (App. n. 36), dove esiste una stazione terapeu-tica che sfrutta varie sorgenti, tutte fredde. La ca-vità, scavata a più riprese a partire dalla metà del XIX secolo, è priva oggi della polla sorgiva, ma ne restano residui minerali all’ingresso della grotta (fig. 108). Quest’ultima risulta essere frequentata per usi cultuali dall’età del Ferro (VI secolo a.C.), se non già dall’età del Bronzo medio-recente: dal V secolo a.C. si trovano, infatti, vasi e pesi da te-laio, bronzetti votivi e una statuetta di devota; si moltiplicano pure i vasetti miniaturistici (fig. 78), gli skyphoi e la ceramica etrusca a vernice nera. Diversamente dal contesto della Panighina, con l’età romana permane la sacralità della caverna: dal II secolo a.C. fino al IV secolo d.C. sono at-

80 Mancano invece analisi significative per le acque di Bagnacavallo (S. Pietro in Sylvis), dove il recupero di cippi iscritti con dediche a divinità salutari ha fatto supporre l’esistenza di un santuario curativo: cfr. susini 1960; cfr. inoltre in questo volume App. n. 29 e il contributo di chi scrive, I santuari, in questo volume, paragrafo 1.1.1.

81 Da ultimi cfr. tiné, torelli 2013.

Fig. 107 – Bertinoro, Fonti Romane della Fratta. Sezione del pozzo della Panighina (ugolini 1923, tav. 1).

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testati molti votivi in terra sigillata (piatti), in ceramica a pareti sottili (boccali, bicchie-ri), in ceramica verniciata, grezza o depura-ta, nonché qualche moneta e lucerna e vaghi in pasta vitrea.

Tutti i manufatti dedicati alla sorgente sono stati trovati nell’area d’ingresso, dove erano pure alcune nicchie scavate nella pare-te: indicatori chiari di una funzione cultuale e rituale allo stesso tempo. Non si sa quando si estinse la sorgente: fra il IX e il XVI secolo la grotta servì come riparo e forse come zec-ca clandestina, che impiegava i bronzi antichi per coniare monete false82.

2.3.2 I santuari di età romana

Fra i luoghi di culto di età romana spicca il sito di Bagno di Romagna (presso Forlì-Cesena), ogget-to di studi accurati e di un volume a più mani, che fu scavato alcuni anni or sono dalla Soprintendenza per i Beni ar cheo logici dell’Emilia Romagna e che si trova presso un centro termale odierno (App. n. 30).

L’impianto, a circa 200 m a est di una statio, nasce fin da subito distinto in due settori83: il primo era costituito da un bacino di raccolta delle acque, circolare e abbellito da colonne di cui ne rimane una sola; era forse servito da una scaletta, dalla quale si poteva accedere alla sorgente per gettarvi i vo-tivi. Il secondo settore, separato da un portico, prevedeva un’altra vasca e altri locali prettamente ter-mali, in parte mosaicati. Con l’età imperiale si procedette a mettere in sicurezza l’impianto dalle pro-babili esondazioni del vicino fiume Savio, approfittando così per ingrandire le vasche, moltiplicare gli ambienti e per monumentalizzare la fonte sacra (fig. 109): in essa sono stati recuperati un bronzetto di offerente, un gruzzolo di monete, vasi fittili in frammenti, un anello e una lucerna, nonché un fram-mento di iscrizione con il nome di Tito Lepido, vissuto nel II secolo d.C. In questa località, inoltre, Marziale ricordava un lago sacro in onore di una ninfa84 e alcuni edifici di culto eretti da Cesio Sabi-no, in età traianea: la mansio offriva quindi anche un “centro benessere” articolato, dove era possibi-le cambiare i cavalli, curare le più diverse malattie e ringraziare le divinità per la protezione nel viag-gio e per la eventuale guarigione ricevuta. Del resto, in età post-antica la leggenda della scoperta delle terme si lega a una giovane cristiana malata, che scappando di casa, era andata a curarsi presso questa sorgente, che le era stata indicata dal suo cane: risanata dalle acque, iniziò da qui il suo proselitismo e rese famose le potenzialità curative di quelle fonti85.

L’ultimo caso emiliano è quello del santuario di Minerva Medica, in provincia di Piacenza, recen-temente oggetto di studi multidisciplinari (App. n. 34). La sua esatta ubicazione è stata oggetto di varie ipotesi, che però ora sembrano orientate a porre il santuario presso Caverzago, nel cui toponimo po-trebbe restare traccia di un fundus posto sotto l’influenza di Piacenza e Veleia. Se è possibile una fre-quentazione dell’area precedente al I secolo d.C., sicura è la fama del santuario fino al III secolo d.C. Da qui infatti provengono vari manufatti iscritti (tre altari, due basi votive, un cippo votivo, due stele), nei quali la dea Minerva viene invocata come sanctissima, augusta, medica, memor, Cabarbacensis86: as-

82 gelichi 1996. 83 La prima fase si data alla fine del II secolo a.C., mentre gli interventi successivi risalgono al I-II secolo d.C., con

continuità d’uso fino al V secolo d.C. 84 mart. 9, 58, 4. 85 Sul ruolo riconosciuto agli animali domestici nella scoperta delle potenzialità curative di alcune sorgenti, cfr.

bassani M. 2012b. 86 Cfr. il contributo di Maria Federica Petraccia e Alfredo Buonopane in questo volume.

Fig. 108 – Riolo Terme, Grotta di Tiberio. Veduta dell’area di in-gresso (La Grotta del Re Tiberio 1996, p. 421, fig. 1).

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sai significativo si rivela quello che la connota come guaritrice (medica, appunto)87, nonché quello che la qualifica come rivelatrice di oracoli (memor)88. Ma era una divinità che poteva anche proteggere chi ritornava da guerre e attività militari89, era sanctissima come l’Apollo di Vicarello90, era augusta nella sua accezione più marcatamente “imperiale”91. Rappresentava insomma una divinità “dai tanti saperi” e dalle tante virtù tutelari92, forse già venerata come dea indigena prima della romanizzazione.

2.4 veneto e friuli

A conclusione di questa panoramica dedicata ai santuari presso le sorgenti curative, è opportuno considerare gli esempi della Cisalpina, che curiosamente sono attestati solo in Veneto e in un caso, al-tamente probabile, in Friuli (fig. 110). Il censimento fin qui condotto, infatti, non ha rilevato evidenze ar cheo logiche cultuali rapportabili con plausibile sicurezza a sorgenti termali in nessuna delle regioni dell’Italia settentrionale, ad eccezione, appunto, dei casi veneti e friulano. In Piemonte, nel famoso cen-tro terapeutico di Acqui Terme (App. n. 94), sono attestati resti di impianti curativi ma non vi è alcun indizio di un culto tributato alle fonti, a meno che non si riconoscano qui quelle Aquae Bormaie che rinvierebbero al culto del dio Bormio93. Nessun dato è emerso nemmeno per la Liguria e la Valle d’Ao-sta, che pure ospitano oggi centri termali di una certa rinomanza, né per la Lombardia e il Trentino Alto Adige, dove gli stabilimenti odierni sono molteplici e sfruttano acque con varie temperature e proprie-tà. A ragion del vero, tuttavia, per la Lombardia è stato ipotizzato un centro di cura e di culto presso Bormio (App. n. 87): da qui viene un rilievo con scena sacra ricondotta al dio Velchans-Vulcano, pro-tettore degli elementi del sottosuolo, tra cui le acque calde, forse le stesse presenti oggi sul Monte Reit. Ma si tratta di dati solo ipotetici, mancando qui del tutto elementi strutturali e infrastrutturali antichi.

La scarsezza di dati per ipotizzare una vocazione sacra di spazi presso sorgenti termominerali vale anche per il Trentino, dove solo nelle Terme di Comano sono stati rinvenuti resti di un impianto ter-male di età romana (App. n. 123): ma nemmeno qui vi è traccia di una cultualità legata alle sorgenti, che oggi risultano fredde e utili per cure dermatologiche.

87 CIL XI, 1297 = CIL XIV, *295 = AE 2008, 537.88 CIL XI, 1293 = AE 2008, 537. 89 CIL XI, 1303 = AE 2008, 537, su cui cfr. il contributo di Patrizia Basso in questo volume. 90 CIL XI, 1292 = AE 2008, 537. 91 CIL XI, 1295 = AE 2008, 537.92 scheid 2008. 93 Dati riassunti nel contributo di Francesca Ghedini, nota 29, in questo volume.

Fig. 109 – Bagno di Romagna. Ipotesi ricostruttive della sorgente sacra monumentalizzata: a) fase repubblicana (ortalli 2004, tav. 1); b) fase imperiale (ortalli 2004, tav. 2).

a) b)

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Tale carenza di documen-tazione può essere ascritta a più fattori: per un verso alla ogget-tiva difficoltà di recuperare ma-teriale bibliografico, talora as-sai “localistico” e non sempre esauriente da un punto di vista informativo94; per un altro alla scarsità di indagini chimico-fi-siche e a verifiche sull’efficacia terapeutica delle acque là dove vi siano tracce di una frequen-tazione antica95. Infine, si po-trebbe ipotizzare che almeno per il settore nord-occidentale, dove gli studi geo logici indica-no sostanzialmente un’assenza di fenomeni legati alla geoter-mia (cfr. tav. II), in età antica siano mancati centri di cura e/o

luoghi di culto di chiara vocazione terapeutica, perché mancavano sorgenti utilizzabili per fini me-dici96. Sorgenti che invece risultano ben attestate nella Venetia preromana e romana, là dove anche la geo logia individua aree interessate da fenomeni termominerali.

2.4.1 I casi veneti

Nel Veneto sono stati censiti in totale undici siti a vocazione terapeutica, all’interno dei qua-li si possono contare cinque luoghi di culto; in questo sottoinsieme le acque sono per lo più calde (in quattro casi su cinque): quelle euganee risultano salso-bromo-iodiche, le altre due (Lagole e Santorso) sono rispettivamente carbonato-solfato-alcalino-terrose e bicarbonato-calcico-magnesiche97.

Nello specifico, in zona euganea si conosce almeno un santuario preromano ubicato presso uno specchio d’acqua termale: è il noto luogo di culto di S. Pietro Montagnon a Montegrotto Terme, interes-sato da ritrovamenti occasionali e da scavi a partire dall’Ottocento (App. n. 136), che portarono alla sco-perta non di un’area strutturata, ma di un probabile spazio sacro affacciato su un bacino lacustre, dove si dedicavano coppette e vasetti, presenti a migliaia, ma anche bronzetti di cavalieri a cavallo e cavalli, in gran parte dispersi. L’ipotetica edicola al centro del laghetto, postulata per la scoperta di frammenti li-gnei, non trova per ora alcuna conferma: poteva anche trattarsi di una passerella lignea, estesa dalla riva verso il centro del laghetto per lanciare le offerte, analoga a quella presente nel santuario di Casalvieri più sopra ricordato98. I materiali rimasti, conservati fra i Musei Civici di Padova e il Museo Nazionale di Este, indicano una frequentazione del santuario a partire dalla seconda metà del VII secolo a.C. fino al III secolo a.C.; peraltro, la scoperta di alcune monete che non superano la prima età imperiale potrebbe lasciar immaginare una qualche continuazione di devozione anche in età romana.

Se resta ignoto il nome della o delle divinità venerate, il legame con l’acqua termale sembra sicuro soprattutto per il luogo in cui furono trovati ammucchiati gli ex voto: essi risultavano infatti deposti

94 Indicativo il caso ligure del lago Pigo, presso Imperia, le cui acque solforose non sono così immediatamente riconducibili ai resti antichi (?) trovati nei pressi: cfr. sicardi Petracco 1950.

95 valvo 1996. 96 cenerini 1994. 97 Questo dato si riferisce in realtà alle sorgenti del vicino monte Pasubio; non sono note al momento analisi chimiche

per le fonti del Monte Summano. 98 Tale ipotesi è stata già formulata da chi scrive in un lavoro precedente (bassani M. 2012a, in partic. p. 401, nota 48);

per il santuario di Casalvieri cfr. supra, paragrafo 1.1.1.

Fig. 110 – Distribuzione geografica dei luoghi di culto censiti in Veneto e Friuli Ve-nezia Giulia, numerati in base alla cronologia: 1. Bormio; 2. Montegrotto Terme, S. Pietro Montagnon; 3. Montegrotto Terme, Loc. Lastra; 4. Lagole di Calalzo; 5. San-torso; 6. Abano Terme, Loc. Montirone; 7. Monfalcone, Collina S. Giovanni, Fons Timavi (elaborazione di M. Annibaletto su base ortofotografica Google 2013).

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sull’argine dello specchio d’acqua, vero polo di attrazione cultuale, che forse si prosciugò nei secoli fino a scomparire quasi del tutto.

Non si sa, per il momento, quanto fosse esteso il laghetto termale almeno nella fase preromana (fig. 111), giacché le ipotesi fin qui formulate mancano di riscontri geomorfologici precisi; ma che esso potes-se estendersi anche verso sud-est, in direzione della località Lastra – così chiamata per le ingenti quantità di lastre marmoree romane recuperate in più occasioni –, si potrebbe dedurre dal ritrovamento di votivi analoghi a quelli scoperti nel santuario, datati al VII-VI secolo a.C. (ceramiche e bronzetti)99.

Se allora per la fase preromana il principale nucleo cultuale sembra essere quello di Montegrot-to Terme, ubicato fra il Monte Castello e il Colle di S. Pietro Montagnon, non mancano neanche in età romana tracce di una cultualità presso le sorgenti, desunte sia da reperti mobili sia da fonti scrit-te. Infatti, per quanto a Montegrotto Terme non si conosca oggi un vero e proprio edificio di cul-to, l’esistenza quanto meno di uno spazio sacro nella zona fra Via degli Scavi e il Colle Bortolone potrebbe essere postulata sulla base dei reperti, pur sporadici (App. nn. 133 e 135): qui si recupera-no sia la famosa statua di dignitario (o di divinità, come alcuni hanno sostenuto) assai simile a quel-

99 Delle antiche terme di Montegrotto 1997, pp. 22-25.

Fig. 111 – Montegrotto Terme. Carta topografica dei ritrovamenti ar cheo logici, tra cui si segnala al n. 1 l’area dove si rin-vennero i reperti del santuario preromano (San Pietro Montagnon 1986, p. 42, Abb. 4).

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la della grotta umbra di Cesadoro100, sia le basi di due statue di Esculapio e Iside nella zona del grande edificio poliloba-to sul Colle Bortolone101. D’altra parte, nell’area di Abano Terme, in località Montirone (App. n. 129), a metà del No-vecento fu scoperto oltre un centinaio di bicchieri firmati da alcuni vasai, a impasto grigio o arancio, in ceramica a pare-ti sottili, nonché dodici rhytà invetriati, tutti della fine del I secolo a.C. (fig. 112)102. Si crede che essi facessero parte di un deposito di vasi pertinenti a un emporion, sorto nei pressi di un luogo sacro connesso anche in questo caso a sorgenti cu-rative: il ritrovamento avvenne in occasione degli scavi per la costruzione dell’Hotel Due Torri-Morosini, che sfrutta tut-tora sorgenti termali. Anche in questo caso è ignoto a quale divinità potessero essere destinati i vasi potori. Si è pensato al dio Aponus, citato espressamente da una delle cinque iscri-zioni provenienti dal vicino Colle Montirone: ad esso riman-derebbero anche le altre quattro epigrafi recanti la sigla A A, da sciogliersi come Aquis Aponi, oppure come Aquae Apo-niae, o infine come Apono Apollo103.

In effetti il dio Aponus è ricordato da vari autori antichi come nume delle sorgenti euganee104, al quale però si dovette affiancare anche Apollo, citato appunto in una delle epigra-fi dal Montirone105. Tuttavia, il gorgoglìo delle acque, calde e

fumanti, aveva richiamato in questo comprensorio anche Gerione, dio benefico e oracolare secondo la testimonianza di Svetonio106, che presiedeva insieme alle altre divinità, tra cui Ercole, alla cura e alla salute degli uomini e degli animali: un dio positivo e di fama non solo locale, dunque, se vi si recò da Roma lo stesso Tiberio per chiedere gli auspici.

Viceversa, una fruizione meno “nazionale” e più localistica sembra quella che connota l’area ter-male ancor oggi in uso nel Bellunese, a Lagole di Calalzo (App. n. 131), le cui acque fredde carbonati-che e solfato-alcalino-terrose sono efficaci tanto per dermatiti quanto per varie altre terapie.

Si tratta di un santuario che ha conosciuto un ampio utilizzo dal VI secolo a.C. fino al tardo IV secolo d.C., ma non risulta edificato con strutture permanenti: infatti sia in occasione di perlustra-zioni compiute da appassionati locali, sia durante indagini della Soprintendenza ar cheo logica, non è emersa nessuna costruzione sacra, mentre sono moltissimi i manufatti votivi recuperati. Tra questi si contano coltelli, armi celtiche, simpula e lamine decorate talora iscritte, con raffigurazioni di caval-li e di cavalieri a cavallo, bronzetti di divinità (Apollo, Mercurio, Marte, Ercole, Giove, Vittoria) e di devoti, votivi anatomici, ma anche vasi in bronzo, oggetti di ornamento, ceramiche, monete e iscri-zioni. In queste ultime si nomina la divinità che presiedeva il luogo, Trumusijatei, che vantava i due epiteti di Tribusiatei e di Sainatei107: il primo rimanderebbe al concetto di divinità poliade, cui de-dicava teuta, la comunità; il secondo, attestato anche per l’atestina Reitia, richiama una divinità sa-lutare, maschile o femminile che fosse, che poteva garantire anche una guarigione a chi la chiedesse.

100 Delle antiche terme di Montegrotto 1997, p. 116 n. 35.101 Delle antiche terme di Montegrotto 1997, p. 26. 102 Dall’area viene anche una statuetta di Mercurio in bronzo con marsupium. 103 Da ultime zanovello, basso, bressan 2010, con bibliografia precedente. 104 bassignano 2006. 105 CIL V, 2782 e zanovello 2012, pp. 123-124, con rimandi precedenti; sulle problematiche toponomastiche legate

alle divinità, cfr. il contributo di Francesca Ghedini in questo volume. 106 svet. Tib. 14, 3: … et mox, cum Illyricum petens iuxta Patavium adisset Geryonis oraculum, sorte tracta, qua

monebatur ut de consultationibus in Aponi fontem talos aureos iaceret, evenit ut summum numerum iacti ab eo ostenderent; hodieque sub aqua visuntur hi tali.

107 Prosdocimi 2009, in partic. p. 363.

Fig. 112 – Este, Museo Nazionale Atestino. Uno dei rythà recuperati in località Montiro-ne, presso Abano Terme (zanovello 2012, p. 125, fig. 7).

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Una medesima frequentazione localistica, da parte di uomini con al seguito il bestiame da pasco-lo, si registra nel Vicentino, in località Santorso, dove sul Monte Summano è stato posto in luce un santuario legato a sorgenti e a grotte frequentate fin dall’età preistorica (App. n. 138). Come per il caso bellunese, pure qui l’utilizzo del luogo di culto è assai ampio, dal VI secolo a.C. alla tarda antichità, per quanto siano state elaborate leggende fra l’età umanistica e il pieno Seicento che ricordavano cul-ti inferi praticati sul monte e legati al mondo pastorale: si narrava addirittura di sacrifici di montoni neri al dio Summanus, eco “pagana” di una tradizione evidentemente molto radicata fra le genti locali.

Da un punto di vista ar cheo logico, si conoscono alcuni sacelli (o aree recintate) articolati su ter-razzi, previa la bonifica e la sistemazione dell’area mediante un muraglione di contenimento (cfr. fig. 74): gli spazi sacri sono connotati inizialmente da roghi per i sacrifici, poi da un altare e da un’area pa-vimentata, in cui oltre alle offerte votive dovevano praticarsi anche culti oracolari, come si ricava da una sors con scritte retiche. In epoca imperiale è probabile che esistesse anche una costruzione cultua-le stabile, della quale rimangono embrici e coppi della copertura. Fra i votivi, poi, si ricordano bron-zetti di Ercole in assalto (IV-I secolo a.C.), due statuette in argento di età romana (un Marte e una di-vinità femminile: cfr. fig. 81), fibule, un simpulum, coppe e ossa animali.

Da un punto di vista cultuale, nella fase preromana le divinità richiamano il mondo agreste e pasto-rale, nel quale la sfera della cura degli animali oltre che dell’uomo doveva rivestire un’importanza cen-trale. Con la romanizzazione questo aspetto viene incrementato con le figure di Ercole e Marte, che ri-mandano ancora al mondo della pastorizia, dell’allevamento, del commercio ma anche dell’estrazione mineraria; inoltre la divinità femminile, di cui resta una statuetta in argento (cfr. fig. 81), sottolinea un ulteriore legame con le acque e dunque con la fertilità. Il santuario, insomma, si configura come un polo di riferimento assai importante, situato lungo tragitti di percorrenza di ampio respiro.

2.4.2 Il caso friulano

L’ultimo contesto da considerare è quello del Fons Timavi, nell’estrema propaggine del caput Adriae e meta di rotte commerciali facenti capo ad Aquileia e alla Venetia orientale (App. nn. 41-42)108. Gli studi effettuati negli ultimi decenni hanno dimostrato che nella Piana del Lisert in età antica sor-geva un’isola caratterizzata da due colline, ora spianate, note come collina di S. Antonio e della Punta (fig. 113); è attestata oggi anche una terza collina, chiamata S. Giovanni, che però risulta ubicata in una posizione un po’ distaccata rispetto alle due principali, ma che doveva for-se rientrare comunque nel complesso curativo indicato anche nella Tabula Peutingeriana.

Il primo sito aveva sorgenti calde, il secondo sorgenti fredde, dato questo che confermerebbe la testimonianza pliniana circa la presenza di una plura-lità di fonti curative; in effetti, queste acque si rivelano oggi utili nelle terapie dermatologiche, reumatiche e gineco-logiche, essendo ricche di idrogeno solforato, carbonato, acido carbonico e solfato di magnesio.

Oltre a un edificio termale inda-gato in più occasioni sulla collina di S. Antonio109, da cui vengono anche due

108 Per una sintesi cfr. ora La voce dell’acqua 2011. A nord dell’edificio, presso la collina della Punta, viene anche un’imbarcazione lignea romana.

109 ventura, casari 2011.

Fig. 113 – Monfalcone, località Fons Timavi. Ricostruzione delle esten-sioni delle tre isole. A: collina di S. Antonio; B: collina della Punta; C: collina di S. Giovanni (La voce dell’acqua 2011, p. 16).

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arette con dedica a Fons (Timavi)110, si ipotizza che a S. Giovanni esistesse un’area sacra dove veniva-no venerate le divinità legate alle sorgenti, tra cui il Fons Timavi stesso, Ercole, Silvano, Spes Augusta, Dioniso, Saturno. Tale ipotesi è legata al recupero di varie arule votive iscritte, di cui però è ignoto il luogo esatto di rinvenimento.

Che il lacus Timavi fosse sentito come particolarmente suggestivo e teatro di miti e culti antichis-simi lo si ricava anche da alcuni scrittori, che ricordano presso il Fons un santuario di Diomede e un emporium con due boschi sacri dedicati a Era Argiva e ad Artemide Etolia111. Inoltre si discute ancor oggi della possibilità che qui Caio Claudio Sempronio Tuditano abbia fatto costruire un sacello a se-guito delle sue vittorie militari allo scorcio del II secolo a.C.112: a tale edificio potrebbe infatti rinviare un’iscrizione recuperata dal Castello di Duilio sulla Collina di S. Giovanni, la cui precisa provenien-za, tuttavia, resta per ora incerta113.

In conclusione, allora, anche quest’area connotata da sorgenti curative fin dall’età antica si con-figura come un luogo a spiccata vocazione sacra, la quale anzi poteva risultare vieppiù amplificata da quell’andirivieni di pellegrini provenienti da varie località del bacino adriatico e dell’entroterra nord-orientale: lo si deduce da una delle arette votive dedicata a Ercole, offerta da un Opitergino (fig. 123)114.

Se da un punto di vista prettamente ar cheo logico i manufatti indicano un arco cronologico com-preso fra il I secolo a.C. e il III secolo d.C., è altamente probabile che la zona fosse nota e sfruttata an-che in precedenza e che abbia continuato ad essere luogo di frequentazione anche in età medievale e moderna: la tradizione indica infatti una grotta delle Fate fra le due colline di S. Antonio e della Pun-ta segnalata dallo speleologo E. Boegan, ma che oggi risulta scomparsa.

La positività e le capacità curative che queste Fate sapevano donare agli uomini ricordano peraltro le medesime azioni benefiche e taumaturgiche che ulteriori tradizioni post-antiche ascrivono ad altre figu-re “fantastiche” in contesti termali della Penisola: nel tempo cambiarono i culti e i soggetti divini, ma il riconoscimento delle proprietà terapeutiche delle acque rimase ben radicato nella coscienza collettiva115.

Maddalena BassaniUniversità degli Studi di Padova, Dipartimento dei Beni culturali

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110 Inscr. It X, 4, 320-321, risalenti agli inizi del I secolo d.C.; cfr. inoltre il contributo di Maria Federica Petraccia e Alfredo Buonopane, in questo volume.

111 strab. 5, 1, 8-9; mart. 4, 25 5 e 8, 28. 112 Sul quale cfr. Plin. nat. 3, 19, 129. 113 Inscr. It. X, 4, 317. braccesi 1981, p. 66; comPatangelo-soussignan 2012, p. 125 con bibliografia. 114 Inscr. It. X, 4, 322. Cfr. il contributo di Patrizia Basso in questo volume. 115 Ad esempio una tradizione popolare ricorda a Lagole di Calalzo le Ninfe Adganae, protettrici delle acque e delle

donne; un “palazzo delle fate” viene ubicato nelle vicinanze della grotta di Galatro, in Calabria; a Baia una delle sorgenti era chiamata “Bagno delle Fate”. Per ulteriori spunti su tali figure cfr. il contributo di chi scrive, I santuari, in questo volume; cfr. inoltre le problematiche avanzate nel contributo di Francesca Ghedini, Maddalena Bassani, Risultati, in questo volume.