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Indice Tesi:
Introduzione…………………………………………………………......2
Dalla subway alle gallerie………………………………………….........3
Roma 1979 e Bologna 1984……………………………………...……..27
- “THE FABULOUS FIVE: calligraffiti di FREDerick Brathwaite e
LEE George Quinones”…………………………………………………………………………………………………27
- “ARTE DI FRONTIERA: New York
Graffiti”..……………………………………..………………………………………………………………………….37
Conclusioni...……………………………………………………………49
Glossario……………………………………………………………...…66
Bibliografia……………………………………………………………...68
Abstract………………………………………………………………….73
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Introduzione:
I "graffiti", termine originariamente spregiativo usato per identificare un movimento
che preferisce definirsi "aerosol art" o "writing"1, nascono a Philadelphia nella
seconda metà degli anni ’60 per stabilirsi ed evolversi in seguito a New York 2, dove
conosceranno il loro autentico sviluppo. Ancora oggi, nonostante siano passati ormai
più di 40 anni da quando Super Kool 223 dipinse nel 1972 il primo vero pezzo nella
subway di New York3, vedere una di queste eterogenee composizioni di colori e
lettere più o meno esasperate difficilmente lascia indifferenti, così come non ha
accennato ad affievolirsi il forte dibattito tra chi si ritiene a favore di una libera e
creativa espressione di strada e chi si ritiene contrario ad un insensato atto di
vandalismo. Nemmeno la sempre più stringente repressione legislativa e delle forze
dell'ordine è riuscita a fermare un fenomeno che nel suo animo è tanto metropolitano
e contemporaneo quanto arcaico e profondamente ancestrale, capace di comunicare
su tanti livelli differenti.
Voglio chiarire subito che non mi occuperò in questa sede di quella che è stata la
storia dei graffiti: sarebbe infatti impossibile pretendere di riuscire in un lavoro tanto
ambizioso quanto già ampiamente trattato. Quello che mi ripropongo di fare è di
circoscrivere in questa storia quello che fu il contatto che avvenne tra il mondo
dell'arte ufficiale e la realtà urbana del writing. Questa tendenza coinvolse presto sia
gli intellettuali ed i galleristi di New York, sia quelli che da tutto il mondo (in
particolar modo dall' Europa) tornavano dai loro soggiorni newyorkesi con gli occhi e
i rullini delle macchine fotografiche ancora pieni di ciò che era allora una novità
assoluta e circoscritta alla metropoli americana. L'aver scoperto, con mia grande
sorpresa, che la prima esposizione internazionale dedicata al movimento ebbe luogo
qui in Italia, alla Galleria “La Medusa” di Roma nel dicembre 1979, dovrebbe fornire
uno stimolo alla riflessione su che cos'è il writing e qual'è il suo rapporto con il
sistema dell'arte. Ripercorrere la mostra “Arte di Frontiera”, che ebbe luogo a
Bologna nel 1984, significa ripercorrere quello che fu senza dubbio l'evento più
importante e meglio organizzato nel nostro paese, in un periodo in cui il fenomeno
non era ancora maturato, ma durante il quale vennero piantati i semi di quello che si
svilupperà in seguito. Nelle conclusioni verranno considerati i lasciti di questa
contaminazione avvenuta oltre trent'anni fa, prendendo in esame l'evento “Frontier”,
organizzato a Bologna tra il 2012 e il 2013 con l’esplicito intento di celebrare la
seminale mostra dell'‘84.
1 Stampa Alternativa, IGTimes, Style: Writing From The Underground, Nuovi Equilibri, Viterbo, 1996, pp. 6-7
2 Caputo Andrea, All City Writers, Kitchen93, Bagnolet 2009, pp. 1
3Stampa Alternativa, IGTimes, Style: Writing From The Underground, Nuovi Equilibri, Viterbo, 1996, pp. 39-41
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Dalla Subway alle Gallerie
Nel 1971 per la prima volta il writing suscita un forte interesse mediatico: un giovane
fattorino greco di nome Demetrius durante i suoi turni di lavoro segna qualsiasi
superficie con la sua firma a pennarello, TAKI 183. Taki non è il primo (il primo,
tralasciando i primissimi writer di Philadelphia come Cornbread e Cool Earl, è Julio
204) ma decide di scrivere il più possibile e dappertutto, tanto da diventare famoso4 e
farsi intervistare dal quotidiano “New York Times”, nell’articolo “”Taki 183”
spawns pen pals”5. L’eco della notizia si sparge e molti ragazzi iniziano ad imitarlo. I
due anni successivi conoscono un vero e proprio boom del writing, con una costante
evoluzione: dalle semplici tag fatte a pennarello si passa ai pezzi veri e propri e
nascono i primi, fondamentali, archetipi stilistici. Si stabilisce inoltre la pratica di
dipingere sulle carrozze della subway, i supporti ideali per far conoscere il proprio
nome in tutta la città. La diffusione del fenomeno è ormai fuori controllo: durante
l’agosto 1972 l’allora sindaco di New York, John Lindsay, è costretto a prendere
posizione dando il via ad una campagna volta a ripulire la città, campagna che potrà
dirsi conclusa solo alla fine degli anni ’80, con un grande dispendio di mezzi, molto
spesso sperimentali ed inefficaci. Per l’opinione pubblica i graffiti diventano il
simbolo di tutto ciò che è sbagliato in una metropoli condannata alla decadenza.
Ma a questa reazione negativa non tarderanno a fare da contraltare alcune prese di
posizione che, al contrario, guardano con interesse al fenomeno. Nel dicembre 1972
un giovane studente di sociologia del City College, Hugo Martinez, fonda la UGA6
(United Graffiti Artists), un collettivo in cui entreranno a far parte alcuni tra i più noti
esponenti della prima generazione di writer, come Phase II e Coco 144.
Martinez riconosce le pulsioni ed il talento artistico dei ragazzi; il suo intento è quello
di educarli ad incanalare le loro energie in una direzione produttiva e legale. Dopo
una prima mostra all’interno del City College, l’UGA prende parte con successo allo
spettacolo “Deuce Coupe” di Thyla Tharp dove i writer partecipano alla performance
teatrale, dipingendo la scenografia durante la rappresentazione. L’evento più
significativo per il collettivo avviene nel settembre 1973, con la mostra inaugurata
alla “Razor Gallery”, accreditata come la prima vera rassegna a tema graffiti
realizzata in una galleria d’arte. Tutte le tele verranno messe in vendita con prezzi che
variano tra i 300 ed i 3000$ (c.a. 1200/12000€ al cambio attuale) mentre diverse
recensioni da parte di importanti giornali (persino da parte del “New York Times”,
storicamente contrario al fenomeno graffiti) sono favorevoli.
In questo periodo altri intellettuali di stampo liberale si schierano a difesa dei writer:
il 26 marzo 1973 Richard Goldstein pubblica un lungo articolo nella rivista
4 Nelli Andrea, Graffiti a New York, Whole Train Press, Roma 2012 ( I ed. Lerici, Cosenza 1978), pp. 17
5 “Taki 183” Spawns Pen Pals”, “New York Times”, 21/7/1971, pp. 37
6 Nelli Andrea, Graffiti a New York, Whole Train Press, Roma 2012 ( I ed. Lerici, Cosenza 1978), pp. 21
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settimanale “New York”7, dove denuncia il sostanziale fallimento della costosa
guerra che la municipalità ha dichiarato a quella che Goldstein identifica come la
prima cultura giovanile nata dalla strada, dopo quella che negli anni ’50 si era
espressa con il rock ‘n’ roll8. Sempre nello stesso numero viene presentata una
“Graffiti Hit Parade”, suddivisa in categorie, dove ai vincitori verrà consegnato il
“Taki Award”, mettendo in ridicolo il sindaco Lindsay ed il “New York Times” per il
loro atteggiamento reazionario verso la nuova forma d’arte. L’esponente della pop-art
Claes Oldenburg commenta in quelle pagine:
“avrei sempre voluto mandare una steel band con delle ballerine in giro per la subway…sei in una stazione
grigia e triste, quando improvvisamente un treno di graffiti sfreccia portando la luce di un mazzo di fiori
tropicali. Pensi: è l’anarchia, e ti chiedi se i treni funzioneranno ancora. Ma poi ti ci abitui”9
Nel 1974 Norman Mailer scrive il libro The Faith of Graffiti, documentando assieme
agli scatti del fotografo John Naar l’esperienza di quei ragazzini che la notte escono
di nascosto per lasciare i loro segni nelle stazioni e nelle carrozze della subway.
Riconoscendone la carica ideologica e le profonde motivazioni artistiche, Mailer
alterna cronache dalla strada ad una contrapposizione che individua tra lo spirito
vitale e primordiale del ghetto e la futilità di un’arte contemporanea che ha perso, a
suo parere, il proprio spirito:
“(…) se i graffiti della metropolitana non fossero mai esistiti, qualche artista avrebbe ritenuto necessario
inventarli, dato che si trovavano all’interno di quella catena evolutiva. Essendo la pittura moderna sempre
disponibile a essere descritta quale entropia delle forme rappresentative, si potrebbe anche supporre che gli
artisti abbiano rinunciato alla terza dimensione della prospettiva spaziale al fine di guadagnare la possibilità
di una visione della quarta, cosa che nel peggiore degli stati d’animo sarebbe anche un modo di poter
affermare che l’arte era rotolata lungo una linea di caduta da Cézanne a Frank Stella, da Gauguin a Mathieu.
Su una mappa del genere, i graffiti della metropolitana rappresentavano un delta alluvionale, l’imboccatura
incrostata di fango di un centinaio di corsi d’acqua pittorici. Se l’obiezione, ovvia, era che si potevano anche
intervistare migliaia di neri e portoricani che si precipitavano a scrivere il loro nome senza aver mai avuto in
mente, e addirittura aver mai visto, un dipinto di arte moderna, la risposta, senz’altro meno ovvia, era che le
piante parlano con le piante (…) In questo secolo si è liberato qualcosa di rabbioso. Magari non stiamo
convertendo l’arte nella comprensione di un processo sociale al fine di tappare il buco, stiamo piuttosto
servendoci dell’arte per intasare quel buco, come se la società fosse così priva di speranza, cioè così
attorcigliata in nodi di spaghetti ideologici senza fede, che la gioia consiste nello strangolare le vittime.
(…)”10
Il momento segna un radicale cambiamento di prospettiva per molti writer, che
iniziano a sentirsi qualcosa di più che semplici vandali: l’etichetta che viene utilizzata
da quel momento in poi da parte dei media è “graffiti artist”:
7 Goldstein Richard, “This Thing Has Gotten Completely Out of Hand”, “New York Magazine”, 26/3/1973, pp. 35-39
8 Nelli Andrea, Graffiti a New York, Whole Train Press, Roma 2012 ( I ed. Lerici, Cosenza 1978), pp. 23
9 Oldenburg Claes, cit. in “The Graffiti “Hit” Parade”, “New York Magazine”, 26/3/1973, pp. 64
10Mailer Norman, The Faith of Graffiti, Praeger Publishers, New York 1974 (trad. Italiana Andrea
Marti/Grandi&associati)
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“A lot of people don’t like it, man, but like it or not, we’ve made the biggest art movement ever to hit New
York City”11
Tuttavia questo contatto tra due diversi mondi fa presto emergere delle
incompatibilità: i writer che espongono alla “Razor” si dimostrano riluttanti
nell’accettare le regole ed i compromessi necessari per intraprendere una carriera
artistica e molti nella tranquillità di un atelier, davanti ad una tela bianca, si bloccano,
paralizzati nell’esprimere quella creatività che veniva loro naturale nelle rimesse dei
treni. Nel 1975, dopo un’ultima mostra all’”Artists Space” di SoHo, l’UGA si
scioglie, mentre la maggioranza degli esponenti di questa prima generazione viene
presto dimenticata.
Agli occhi della critica comincia a palesarsi la forte differenza in termini di
autenticità ed efficacia che esiste tra le opere che i writer eseguono per la strada e
quelle che vengono commissionate loro su tela. In un articolo pubblicato sulla rivista
settimanale “The Nation”12
l’influente critico di origine britannica Lawrence Alloway
nota come uno dei motivi di interesse del movimento del writing risieda in una
brillante contestualizzazione con l’ambiente circostante e si interroga circa l’interesse
che il mondo delle gallerie ha riservato al lavoro di questi giovani neri e latino-
americani. Alloway affronta l’argomento mettendo in relazione il fenomeno con
artisti come Paul Klee, influenzato dalla cosiddetta arte "primitiva", Brassai, che
fotografò le scritte sui muri di Parigi all'inizio del XX secolo, Cy Twombly e i suoi
segni grafici liberamente associati e, soprattutto, Jean Dubuffet, promotore di ciò che
definì Art Brut13
. Sulla scorta di tali affermazioni è possibile affermare come la
“gallerizzazione” dei graffiti non rappresenti altro che un ritorno a quel primitivismo
che già aveva segnato il corso della storia dell’arte da Gaugin in poi. Nel 1976 il
filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard afferma in un saggio come il writing
funzioni come controparte rivoluzionaria ai mass media, “un attacco ai codici
dell’egemonia culturale”14
. Per Baudrillard è significativo il fatto che i graffiti non
contengano alcun contenuto o messaggio e distingue due distinti atteggiamenti volti
al loro recupero: quello dell’umanista borghese che impone loro il significato di
un’affermazione di identità e quello del mondo dell’arte che impone una “riduzione
estetica” del fenomeno che, di fatto, nega il potenziale rivoluzionario.
D’altro canto gli stessi writer cominciano a dibattere circa la differenza tra i graffiti
realizzati su tela per le gallerie e quelli che circolano per la città. Chi scrive nelle
11
Super Kool 223 cit. in Shirey L. David, “Semi-Retired Graffiti Scrawlers Paint Mural at C.C.N.Y. 133”, “New York
Times”, 8/12/1972, pp.49
12 Alloway Lawrence, “Art”, “The Nation”, 27/9/1975, pp. 285-286
13 produzioni artistiche realizzate da non professionisti che operano al di fuori delle norme estetiche convenzionali
(autodidatti, psicotici, prigionieri, persone completamente digiune di cultura artistica).
14 Baudrillard Jean, Kool Killer, ou l’insurrection par les signes, in Id., L’ echange symbolique et la mort, Gallimard,
Parigi 1976, pp. 118-128
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carrozze della subway critica pesantemente quelli che, intuendone un ritorno
economico e di immagine, entrano all’interno del mercato dell’arte spacciando come
autentica una forma espressiva che ha bisogno del confronto con la strada per potersi
giudicare davvero come tale. La tendenza segna per molti una perdita dell’innocenza
all’interno del movimento:
"The graffiti changed once that dollar figure came in...It took the purity out of the graffiti of us artists, of
what we were doing."15
Tuttavia sono molti anche quelli che ad un’attività illegale su strada ne affiancano
un’altra propriamente dedicata ad essere commercializzata ed esposta nelle gallerie:
“UGA was the first to organize graffiti art. The first to do collective work; to exhibit; and to work on canvas.
It just wasn't time for it to be accepted”16
Nella seconda metà degli anni ’70 verrà a crearsi una seconda, nuova, generazione di
writer, più consapevole del proprio lavoro in quanto espressione artistica. I graffiti
della subway si evolvono, passando dai masterpiece ai primi wildstyle, ai whole car e
ai whole train, diventando delle vere e proprie opere murali itineranti. Questi lavori
dimostrano un grado di complessità sempre crescente, che sottende un grande lavoro
di preparazione e pianificazione oltre che di abilità tecnica. Un writer che
simboleggia questa evoluzione è George “Lee” Quinones. Di origine portoricana, Lee
è il più giovane, nonché il più dotato, membro della crew Fabolous Five, assieme alla
quale dipingerà innumerevoli whole cars e, se non il primo, uno dei primissimi whole
train, nel periodo di Natale 1977. Il suo stile sembra essere radicato tanto nella
tradizione murale latino americana quanto in quella del writing. Le sue opere,
apocalittiche e arricchite da motti poetici e messaggi politici, si rivolgono ad un
pubblico ampio, piuttosto che solo ad una ristretta cerchia di writer. Nella primavera
del 1978 Lee sposta la sua attenzione dalle carrozze della subway, dipingendo i muri
abbandonati del cortile della sua vecchia scuola nel Lower East Side. Le murate di
Lee rappresentano un inedito per complessità formale e padronanza dei mezzi. Lo
scalpore che suscitano lo portano ad essere contattato dal gallerista italiano Claudio
Bruni il quale organizzerà una mostra a Roma presso la Galleria “La Medusa” nel
dicembre 1979, portando per la prima volta l’aerosol art al di fuori dei confini
americani. Nel novembre 1978 apre la galleria “Fashion Moda”, nel South Bronx. Il
proprietario, l’austriaco Stefan Eins, membro del collettivo newyorkese Colab17
, si
15
Mike 171 cit. in, Gastman Roger & Neelon Caleeb, The History of American Graffiti, HarperCollins Publishers, New
York, 2010, n.p.
16 Coco 144 cit. in "Interviews:Phase, Amrl, Coco, WG, TB, Stan, Vinnie, Livi, Sahara”, “International Graffiti Times”
n.2, 3/1984, n.p.
17 Colab, è un’abbreviazione comunemente usata per “Progetti Collaborativi” di gruppi di artisti della città di New
York, fu fondata dopo una serie di incontri aperti tra artisti di diverse discipline. Colab si trasformò in vera collettività
nel 1977 (fonte Wikipedia)
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ripropone di fornire uno spazio che possa divenire un “museo di scienze, arte,
tecnologia, invenzione e fantasia” con esibizioni di artisti, membri della comunità
locale, bambini, writers e altri creativi18
. La sfida è quella di creare un centro
culturale in un’area urbana segnata da forte degrado, criminalità e disparità
economiche, affrancato dalle logiche commerciali e chiuse del mondo dell’arte di
Manhattan. Il quartiere di South Bronx permette a “Fashion Moda” di esplorare con
molta libertà la questione su “Che cos’è l’arte” e “Come si può definire”,
incoraggiando una produzione artistica separata dal mercato e soprattutto dalla
formazione dell’arte accademica. L’inaugurazione che precede l’apertura è un
successo sorprendente e inaspettato considerando il difficile impatto con il luogo.
Tutte le notti si organizzano concerti e performance. Questa grande flessibilità ed
apertura da parte di Fashion Moda a svariati tipi di media, presentati da personalità
spesso agli antipodi tra loro, porta all’organizzazione dell’evento “Graffiti Art
Success for America”, nell’ottobre 1980. Curato da Crash19
, l’evento rappresenta la
prima grande mostra sulla graffiti art da quando l’UGA tenne la sua ultima
esposizione all’”Artists Space” cinque anni prima. Alla partecipazione dei nomi più
in vista della scena del writing come Lee, Fab 5 Freddy, Futura 2000, Zephyr, NOC
167 ed altri ancora, vengono affiancati i lavori di artisti bianchi provenienti dal
downtown newyorkese. Ciò rivela al pubblico che buona parte di questo movimento
non è composta esclusivamente da appartenenti di minoranze etniche; una mossa che
lo stesso Crash ammetterà come essenziale al successo dell’esposizione. Il successo
di questa mostra fa entrare in contatto il mondo dei writer delle subway con il
downtown newyorkese, in particolare con l’East Village, dove esiste una vitale scena
di club underground frequentati dai giovani artisti della città. E’ in questa
commistione che Jean Michel Basquiat, Keith Haring e Kenny Sharf fanno il loro
ingresso nel mondo dell’arte.
Nel febbraio 1981 Jean-Michel Basquiat è la rivelazione della mostra New York/New
Wave organizzata al “P.S.1”20
. Nella primavera dello stesso anno Fab 5 Freddy e
Keith Haring curano due esibizoni al “Mudd Club”21
, mentre durante l’estate Patti
Astor22
apre nell’ East Village lo spazio “Fun Gallery”, con lo scopo di dare
all’aerosol art la sua prima sede commerciale. La logica curatoriale che motiva
queste esposizioni si dimostra più sociale che fondata su basi estetiche: Basquiat,
Haring, Scharf espongono assieme ai writer della subway in quanto frequentano gli
18
Glueck Grace, “The New Collectives-Reaching for a Wider Audience”, “New York Times”, 1/2/1981, pp. 23
19 writer al tempo diciannovenne residente nella zona, entrato in contatto con Eins tramite Fab 5 Freddy (che l’ anno
precedente aveva esposto le proprie tele a Roma assieme a Lee)
20 attualmente MoMA P.S.1
21 The Mudd Club was a TriBeCa nightclub opened in October 1978 by Steve Mass, art curator Diego Cortez and
downtown punk scene figure Anya Phillips. Located at 77 White Street in downtown Manhattan, it quickly became a
major fixture in the city's underground music and counterculture scene until its 1983 closing. (fonte Wikipedia)
22 Attrice underground, promoter della scena dell’ East Village negli anni ‘80
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stessi luoghi di ritrovo del downtown23
. Nell’analizzare il processo che porta alla
nascita di queste realtà è necessario tornare indietro a qualche mese prima della
mostra “Graffiti Art Success for America”. Nel giugno 1980 apre l’esibizione “Times
Square Show” a cui prendono parte Lee e Fab 5 Freddy assieme ad artisti emersi
grazie ai loro lavori nelle strade, come Jenny Holzer, Christy Rupp, Kenny Scharf,
Keith Haring e Jean Michel Basquiat (SAMO). Organizzata dai membri del collettivo
Colab, con la collaborazione di Stefan Eins e Joe Lewis della galleria “Fashion
Moda”, la mostra ha luogo in un ex salone per massaggi abbandonato fra la Settima
Avenue e la Quarantunesima Strada. Lo spettacolo presenta installazioni disposte
disordinatamente e senza targhette identificative su tutti e quattro i piani dello stabile.
Il “Times Square Show” si ricollega a quegli stessi ideali di arte di protesta propri di
Colab, che vuole dare voce alle minoranze escluse. Questo primo ingresso dei graffiti
all’interno dell’estetica anti-estabilishment24
del neoespressionimo, dell’arte “punk” e
“new wave”25
, così come l’apertura di punti commerciali (in cui i visitatori possono
acquistare merce correlata alla produzione artistica esibita), fanno del “Times Square
Show” il primo evento a presentare le caratteristiche salienti dell’intera scena East
Village.
Sulla base del successo e della risonanza mediatica ottenuta da questi eventi,
all’inizio degli anni ’80 il writing diventa la nuova tendenza del mondo dell’arte
newyorkese, entrando a far parte di un sistema sempre più commerciale, in cui
diventa importante valutare un’opera come investimento. L’appartenenza alla linea
genealogica della storia dell’arte è ciò che stabilisce il valore al tempo stesso estetico
e monetario del lavoro di un artista. Nel breve periodo di massimo fulgore del
movimento East Village (1981-1983) si delineano due opposte visioni del fenomeno.
I fautori ravvedono nei graffiti artist i portavoce di una cultura del ghetto vivace ma
incompresa, la cui mancanza di preparazione formale equivale ad una freschezza ed
una spontaneità non contaminata da logiche di mercato, contrapposta al modernismo.
Gli oppositori, invece, sospettano che l’intera scena dell’East Village e dei graffiti
nelle gallerie non sia altro che una montatura commerciale, supportata da
un’influente macchina pubblicitaria e volta a far presa su un pubblico poco
sofisticato.
Nel 1982 il critico d’arte Hal Foster discute circa il recupero dei graffiti in quanto arte
assieme alle correnti post-moderne del periodo26
. Riprendendo in analisi le
considerazioni di Baudrillard27
, afferma come l’ingresso del writing nel sistema arte
23
Thompson Margo, American Graffiti, Parkstone Press, New York 2009, pp.87
24 Contro il sistema, in opposizione ai principi sociali, politici ed economici convenzionali
25 Che si rifanno alle culture giovanili “punk” e “new wave”, sorte attorno al club CBGB’S di New York nella seconda
metà degli anni ‘70
26 Foster Hal, “Subversive signs”, “Art in America”, 11/1982, pp.88
27 Baudrillard Jean, Kool Killer, ou l’insurrection par les signes, in Id., L’ echange symbolique et la mort, Gallimard,
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abbia privato il movimento del sua autentica carica rivoluzionaria. Al contrario, per
René Ricard28
il writing non possiede implicazioni rivoluzionarie, rimandando la sua
analisi del movimento alla cultura pop. Nell’articolo “The Radiant Child”, pubblicato
nel 1981 dalla rivista Artforum, Ricard illustra la connessione che si sta venendo a
creare tra writing e l’emergente cultura hip-hop:
“I remember the first Tags (where is Taki?), Breaking (where you spin on your head), Rapping (where I first
heard it). I know the names, but are the names important? Where is Taki? Perhaps because I have seen
graffiti, then seen something else, thrown myself on the dance floor, then gone on to dance another way, I
say that the reason for abandoning so much during the '70s was that each fad became an institution (…)”29
Ponendo la domanda ricorrente “Where is Taki?”, Ricard accetta la storia perduta
delle origini del writing come inevitabile, simile alla perdita delle origini del blues.
E’ emblematico notare come sia Foster che Ricard, nelle loro disamine, facciano
riferimento solo a Keith Haring e Jean Michel Basquiat. Entrambi adottano il graffito
come mezzo espressivo, ma il loro lavoro differisce notevolmente dai pezzi delle
subway. Nessuno dei due dipinge sui treni; Haring disegna figure a gessetto nelle
bacheche pubblicitarie delle stazioni, Basquiat si firma SAMO, ma il soggetto
primario sono le poesie e i motteggi che accompagnano quella tag, non la tag stessa.
Il motivo che porta Basquiat ed Haring ad emergere come uniche vere celebrità dal
mondo dei graffiti a quello dell’arte sembra avere a che fare con il loro retroterra
culturale. Nonostante abbiano iniziato il loro lavoro nella strada, entrambi
provengono da un ambiente artistico e il loro lavoro riflette una conoscenza della
storia dell’arte perlopiù sconosciuta ai writer, i quali lavorano secondo metri di
giudizio non necessariamente artistici, fondamentalmente autoreferenziali al writing
stesso:
“(…)Le gallerie hanno un ruolo importante su quello che viene presentato al pubblico, ma non si tratta di ciò
che facciamo. Quello che mettono in mostra non è mai la roba vera, hardcore, la roba mega che manda fuori
di testa i writer (…).”30
“(…) Hanno portato la gente a pensare che persone come Keith Haring che non è mai stato un writer e che
non appartiene né rientra nella nostra categoria era la punta trainante della creatività nel regno del
movimento dell’aerosol writing (…)”31
Nello stesso periodo, oltre alla rivelazione di nomi quali Haring e Basquiat, abbiamo
la testimonianza di molte mostre a cui partecipano con successo writer come Lee,
Futura 2000, Fab 5 Freddy, Zephyr, Lady Pink ed altri ancora. Il successo di pubblico
del movimento va ravvisato nella moda che riesce a creare attorno a se, radicata nella
28
Poeta, pittore e critico d’ arte americano. Talent scout di Jean Michel Basquiat.
29 Ricard, René, "The Radiant Child", “Artforum Magazine”, 12/1981, pp. 35-43
30 Vulcan cit. in Style: Writing From The Underground, Nuovi Equilibri, Viterbo, 1996, pp. 94
31 Phase II cit in. “Trap Magazine” n.0, 1992 pp. 4
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vita notturna newyorkese e nella diffusione della cultura hip-hop e della musica rap32
,
di cui il writing rappresenta la controparte visiva33
:
“The so-called elements that supposedly complete the cycle that “create” Hip Hop as a whole (Writing,
Breaking, Beats, MC-ing, Scratch DJ-ing), have always existed on separate, yet without a doubt, related
pleateaux, with neither being imperative to the life of the other and/or were birthed at different times. Upon
hitting the downtown scene in New York and making the jump to mainstream publicity, they simultaneously
came to be “one”. Prior to that, not many would claim this as so”34
Nel momento in cui la Graffiti Art arriva al successo i mercanti iniziano a reclamarla
all’interno del mondo delle belle arti. Nel 1° dicembre 1983 apre, alla “Sidney Janis
Gallery” della Cinquantasettesima Strada, la mostra “Post-Graffiti”. Con questa
esibizione l’aerosol art esce dalle gallerie alternative dell’East Village e del Lower
East Side per entrare nel prestigioso mondo dell’arte di Manhattan. A “Post Graffiti”
partecipano diciotto writer della subway come Crash, Toxic, Daze, Lee, Lady Pink
assieme a Basquiat, Haring e Scharf. La mostra viene ricordata come una delle
esibizioni a tema graffiti più controverse. Le recensioni si dimostrano generalmente
poco entusiaste. Imputando alle opere esibite quegli stessi difetti ravvisati in
precedenza nella graffiti art, la critica va oltre. Al contrario delle recensioni che i
writer ricevono nelle esibizioni di “Fashion Moda” e di “Fun Gallery”, pochi
ravvisano in questa mostra un’autenticità o una qualità primitiva che possa
compensare le lacune estetiche dei lavori. Le uniche opere che ottengono il consenso
unanime della critica sono quelle di Haring e Basquiat. Il problema della mostra
nasce apparentemente sin dal suo stesso nome: l’aggettivo “post” viene percepito
come uno stadio successivo ai graffiti. Essendo la definizione imposta da personalità
totalmente rimosse dalla realtà dei graffiti, la cosa fa indispettire più di un writer:
“All of a sudden, everyone starts jumpin' on the bandwagon claiming they've been writing for years and I
had never even heard of 'em! The Sidney Janis Gallery blows the whole art scene out of the water...[but]
collectors really didn't know their a** from their elbows; they would go by word of mouth as to who was
good and who wasn't...They would sit there and talk about who was great and who wasn't when they never
even rode a train, never even know how much dedication a writer actually had”35
Nonostante le recensioni contrastanti molti dei writer di “Post-Graffiti” continuano
ad esporre in gallerie di stampo commerciale a New York e all’estero. Dopo
l’esibizione la critica mostra un interesse mai riscontrato in precedenza verso i
graffiti. Molti continuano la loro carriera in Europa, accolti da musei che organizzano
32
Genere musicale nato nel Bronx attorno al 1973, per anni fenomeno underground circoscritto alla zona di origine. La
prima canzone registrata ascrivibile al genere è “Rapper’s Delight” degli Sugarhill Gang, 1979.
33 Vedi cult movie del 1982 Wildstyle, di Charlie Ahearn. Con la partecipazione di Lee, Fab 5 Freddy, Lady Pink,
Zephyr e Patti Astor
34 Phase II cit. in Austin Joe, Taking the Train, Columbia University Press, New York 2001, pp. 201
35 Duster cit. in Austin Joe, Taking the Train, Columbia University Press, New York 2001, pp. 194
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rassegne a tema graffiti, celebrando il vitalismo e la freschezza delle opere. Tuttavia
lo stesso momento che vede il massimo successo commerciale dei graffiti su tela ne
segna la decadenza. Assieme alle accuse di involontaria ingenuità ed opportunismo
mosse dalla critica, l’ingresso di nuove correnti in campo artistico decreta presto la
fine del movimento. A metà degli anni ’80 l’interesse del mondo dell’arte
newyorkese si sposta verso l’arte neo-pop e neo-concettuale di artisti come Jeff
Koons e Peter Halley. I writer che realizzano tele per le gallerie d’arte vengono
presto liquidati dai dealer e dai collezionisti per cui lavoravano. Il trattamento
riservato a Futura 2000, illustrato da Basquiat, è emblematico della situazione:
“Futura was at the Fun Gallery. Then Tony [Shafrazi] made him cut all his links to other galleries. Then,
after a year, he dropped him…Futura burned all his bridges behind him and he was abandoned. Now he’s
a bicycle messenger. I find that pretty sad. No? He just took the test to become a cop. There are other kids
who were prodded into being artists by dealers and collectors. These kids are only twenty years old and
they’re already washed up”36
Oltre alla frattura tra i vari membri del gruppo, che cominciano ad esporre in gallerie
diverse, e alle recensioni negative della critica, anche le differenze sociali e razziali
tra artisti e galleristi portano al declino della graffiti art. Giudicati inaffidabili e svelti
nello sperperare il denaro guadagnato, molti writer vengono messi dinanzi al fatto
che la loro provenienza etnica e sociale rappresenti un ostacolo per il proseguimento
di una carriera artistica. Lee ricorda come in una festa privata a casa di Carlo Bruni,
data in occasione della mostra alla Galleria La Medusa, venisse appellato dagli astanti
come “il ragazzino che fa i graffiti, venuto per pitturare i muri”, concludendo che i
dealer e i collezionisti erano affascinati dal concetto del writing ma che non avevano
alcuna voglia di studiarlo sul serio o di accettarlo come arte37
. La mancanza di figure
in grado di mediare tra il mondo delle gallerie e quello del writing si rivela alla base
delle frequenti speculazioni e fraintendimenti nell’ascesa della graffiti art38
:
“Pretty early on, we were under no illusion that these folks were just thrilled with the fact that they were
rubbng shoulders with outlaws”39
“The thing about graffiti, before we forced our way into the art-world or however we got into it, was that
there was already our own art-world. We had our own rules.”
- Futura 2000 -
36
Basquiat Jean Michel, cit. in, Haden-Guest Anthony True Colors, Atlantic Monthly Press, New York 1996, pp. 146
37 Thompson Margo, American Graffiti, Parkstone Press, New York 2009, pp. 233
38 Austin Joe, Taking the Train, Columbia University Press, New York 2001, pp. 194
39 Lady Pink cit. in Tanz Jason, Other People's Property: A Shadow History of Hip-Hop in White America,
Bloomsbury, New York 2007, pp. 40
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Nel 1987 un articolo di Elizabeth Hess, pubblicato sul Village Voice e intitolato
“Graffiti R.I.P. How the Art World Loved’Em and Left’Em”40
, testimonia la fine del
movimento.
Pochi mesi dopo, il 12 agosto 1988, la morte di Jean Michel Basquiat a soli 27 anni
sconvolge l’opinione pubblica. L’esperienza dell’East Village, dopo 4 anni di
declino, è completamente finita.
Contemporaneamente alla decadenza in terra americana, i quattro anni antecedenti la
morte di Basquiat vedono uno spostamento della graffiti art verso i lidi europei. La
mostra di Lee e Fab 5 Freddy a Roma nel 1979 aveva già testimoniato l’interesse dei
collezionisti europei verso l’aerosol art. I writer in Europa vengono accolti con
entusiasmo, come autentiche voci dei ghetti americani. Questa apertura porta
all’inaugurazione di gallerie che presentano tele realizzate dai writer e
l’organizzazione di esibizioni che fanno conoscere la scena del writing newyorkese al
pubblico europeo. A Parigi e a Londra, nel 1982, sbarcano i primi “Hip Hop Tour”,
con artisti come Dondi, Futura 2000 e Phase II ad accompagnare le esibizioni dal
vivo di breaker41
ed MC42
, dipingendo sul palco. A partire dal 22 ottobre fino al 4
dicembre 1983 apre la mostra “Graffiti” al museo “Boymans-van Beuningen” di
Rotterdam, presentata successivamente in altre città dell’ Olanda e della Danimarca.
Nel 1984 è la volta di “Arte di Frontiera”, presentata dal 17 marzo fino all’aprile
successivo alla “Galleria Comunale di Arte Moderna” di Bologna. Lo stesso anno,
dal 5 aprile fino al 2 giugno, ha luogo “Classical American Graffiti Artists and High
Graffiti Writers” alla “Galerie Thomas” di Monaco di Baviera. Tutte queste mostre
presentano i lavori degli stessi writer che avevano esposto alla “Sidney Janis”, con
qualche differenza. La mostra di Rotterdam presenta il lavoro di artisti come Blade e
Futura 2000, appartenenti alla vecchia generazione degli anni ’70, mentre a Monaco
vengono esposti i più giovani A-One, Toxic, Rammellzee e Lady Pink, a
testimonianza della longevità del movimento. Arte di Frontiera a Bologna è invece
l’unica ad esporre i lavori di Basquiat, Haring e Scharf.
Entusiasti per il vitalismo delle tele realizzate dai writer (che risuona con le correnti
di “Figuration Libre” francese e “Die Neuen Wilden” tedesca), i curatori e i
collezionisti europei non sembrano avere gli stessi problemi dei colleghi americani
nel notare ed accettare l’aerosol art come una forma d’arte dalle forti connotazioni
politiche. Le commissioni inoltre si dimostrano molto più libere e portate a dare un
completo controllo creativo agli artisti rispetto a quanto non accadesse negli Stati
Uniti.
Diversi writer newyorkesi si stabiliscono definitivamente in Europa, come A-One in
Francia, Toxic in Italia e Quik in Olanda, continuando la loro produzione nel
decennio successivo. Altri come Lee e Futura 2000, rimasti nella città d’origine,
40
Hess Elizabeth, “Graffiti R.I.P. How the Art World Loved’Em and Left’Em”, “Village Voice”, 22/12/1987 pp. 37-41
41 Ballerini di breakdance
42 Acronimo di “Master of Ceremonies”, sinonimo di cantate rap
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alternano sporadiche mostre ad uno lavoro umile per mantenersi. La diffusione di
queste esibizioni, la traduzione di libri come Subway Art43
, di film e documentari
come Wild Style44
e Style Wars45
e la diffusione sempre più ampia della musica e
della cultura hip hop aprono la strada al writing fuori dalla sua città natale.
Diffondendosi come movimento di strada quale era sin dalle origini, in Europa e in
tutto il mondo migliaia di ragazzi si confrontano con questa forma espressiva, nata tra
gli anni ’60 e ’70 a Philadelphia e a New York.
43
Cooper Martha & Chalfant Henry, Subway Art, L’ Ippocampo, Milano 2009 (I ed. Holt, Rinehart and Winston, New
York 1984)
44 Wildstyle (USA, 1982) di Charlie Ahearn
45 Style Wars (USA, 1983) di Tony Silver
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14
Taki 183 “The New York Times”, 21/7/1971
Super Kool 223, carrozza della subway, New York 1972
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Phase II, carrozza della subway, New York 197?
LSD, carrozza della subway, New York 197?
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Tracy 168, carrozza della subway, New York 197?
Don-1, carrozza della subway, New York 197?
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“New York Magazine”, 26/3/1973
Writer nella subway, foto di John Naar, 1974
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Hugo Martinez (foto in alto, in basso a destra) e membri dell’UGA
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Writer dell’UGA durante la messa in scena dello spettacolo “Deuce Coupe” di Thyla Tharp, 1973
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Membri dell’UGA, 1974-75
Lee & The Fabulous Five, “Howard the Duck”, whole car, carrozza della subway, New York 1978
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Lee & The Fabulous Five, whole train, carrozze della subway, New York 1977
Dondi, “Children of the Grave, pt.3”, whole car, carrozza della subway, New York 1980
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CEY, “Southern Comfort Game Room”, murales, Queens (New York) 1982
Galleria “Fashion Moda”, South Bronx (New York), foto di Tommaso Tozzi, 1984
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Patti Astor alla “Fun Gallery” durante una mostra di Keith Haring. Foto di Eric Kroll, 1983
Mostra “Post-Graffiti” alla “Sidney Janis Gallery”. Rammellzee e Fab 5 Freddy intervistati (foto a destra), 1983
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Rammellzee, “Crime of Infinity”, spray su tappeto, 1986
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(sopra) Seen, “Graffiti Explosion”, spray su tela, 1983 (sotto) Futura 2000, senza titolo, spray su tela, 1984
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Dondi, “Modern Prophets”, spray su tela, 1983
Toxic, “Life, Liberty and the Pursuit of Happiness”, spray su tela, 1983
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Roma 1979 e Bologna 1984 THE FABULOUS FIVE: calligraffiti di FREDerick Brathwaite e
LEE George Quinones (Galleria La Medusa, Roma, Dicembre 1979)
A partire dal 30 Novembre, per tutto il mese di Dicembre 197946
, ha luogo presso la
Galleria “La Medusa”47
di Roma una personale dedicata ai due writer newyorkesi
George “Lee” Quinones e Frederick “Fab 5 Freddy” Brathwaite. Facendo riferimento
al catalogo originale48
, la mostra presenta 9 tele di grandi dimensioni (cm. 170-
177x127) realizzate a bomboletta spray e raffiguranti scritte variopinte, che si
identificano nelle tag dei loro autori. Come si può evincere dal frontespizio del
sopracitato catalogo, si tratta di una prima internazionale. Mai infatti l’aerosol art
aveva varcato, fino ad allora, i confini nazionali statunitensi e newyorkesi.
La storia di questa mostra può essere ricostruita a partire dalla primavera del 1978,
quando il writer di origine portoricana, Lee, dipinge i muri del cortile della sua
vecchia scuola media49
. Diventato uno degli esponenti di punta della comunità dei
writer grazie al suo spiccato talento nel dipingere le carrozze della subway (degne di
nota le dieci carrozze che dipinse assieme agli altri membri della sua crew, The
Fabulous Five, nel Natale 1977, uno dei primissimi esempi di whole train50
), Lee è in
cerca di una nuova sfida che possa affermare agli occhi della gente il suo essere
artista di talento:
“(…) I wanted to challenge myself with those walls. I was thinking that the general public would perceive
the walls as my arrival as an artist. The walls were reference points. People tell me they actually made
pilgrimages to go see them, whereas graffiti conceptually made trips to the people(…)”51
Oltre ad essere significative per aver spostato il supporto dei pezzi da mobile a
statico, le murate di Lee presentano quelle caratteristiche che già lo avevano reso
celebre nelle subway: lo spostamento del nome, da elemento unico e centrale del
progetto del pezzo a parte di una composizione più ampia52
, assieme all’inserimento 46
“I graffiti di New York dal subway ai quadri” , “L’ Unità”, 24/11/1979, pp. 10
Micacchi Dario, “Fred e Lee: su tela i graffiti americani della metropolitana”, “L’ Unità”, 13/12/1979, pp. 14
47 Galleria aperta nel 1955 da Claudio Bruni Sakraischik a Via del Babuino 124. Attualmente non esiste più.
48 Bruni Sakraischik Claudio & Buzzati Traverso Adriano, The Fabulous Five, Edizioni La Medusa, Roma 1979,
Catalogo n. 118
49 Corlears Junior High School #56, Lower East Side Manhattan, New York
50 Castleman Craig, Getting Up: subway graffiti in New York, MIT Press, Cambridge, Mass. 1982, pp. 3-17
51 Quinones “Lee” George cit. in Pape Chris, “Lee Quinones”, “Juxtapoz Magazine”, n.123, 4/2011, pp. 49
52 Mininno Alessandro, Graffiti Writing, Mondadori, Milano 2008, pp. 21
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di motti poetici ed istanze politiche (“graffiti is art, and if art is a crime let God
forgive us all”). La realizzazione è inoltre necessariamente molto più accurata
rispetto ai pezzi delle subway. Contattato un giorno da Frederick Brathwaite,
ventenne afroamericano aspirante writer ed impresario, Lee viene convinto a
realizzare opere su commissione, mentre Brathwaite ottiene il permesso di poter
utilizzare il nome della sua crew, Fabulous Five, facendosi chiamare da quel
momento in poi Fab 5 Freddy. In un articolo pubblicato il 12 febbraio 1979 nel
settimanale “The Village Voice”53
, Fab 5 Freddy si fa portavoce del rinnovato gruppo
dei Fabolous Five, affermando la loro disponibilità a dipingere murales a 5$ a piede
quadrato (c.a. 135€ per metro quadro al cambio attuale). In quello stesso articolo, che
presenta un servizio fotografico sui lavori di Lee alla scuola Corlears, Fab 5 Freddy
afferma come il writing sia la più pura espressione artistica mai originata da New
York. Dichiarando come i Fabolous Five fossero influenzati da artisti appartenenti
all’avanguardia e all’underground quali Andy Wahrol, Robert Crumb e Roy
Lichtenstein, Brathwaite sembra consapevole dell’importanza di collegarsi alla scena
artistica del downtown newyorkese. In seguito alla pubblicazione dell’articolo, Fab 5
Freddy viene contattato da molte persone interessate all’annuncio. In particolare tale
articolo arriva all’attenzione del gallerista Claudio Bruni54
. Affascinato
dall’esplosione del writing a New York e dai lavori di Lee presentati nella rivista,
contatta Brathwaite proponendo ai due una mostra nella sua galleria a Roma:
“(…) Italian art dealer, Claudio Bruni, had read about Lee and I in the “Village Voice”. He’d been noticing
graffiti develop on NYC trans and was curious, so from that article he looked us up, loved the work, bought a
couple of paintings, commissioned us to do more, then offered us a show at his gallery (…)”55
Le tele di Lee e Fab 5 Freddy oltre a celebrare il writing come mezzo e processo
creativo, utilizzano tecniche di composizione provenienti dalla subway. “Spray Can
Lee” di Lee mostra un personaggio a forma di bomboletta arancione che, spuntando
al lato inferiore destro della tela, indica con le mani la scritta “LEE”, dipinta come un
softie a lettere rosa. La scritta sta sopra ad una nuvola gialla che esce dal tappo della
bomboletta. L’elemento della nuvola nelle subway, oltre ad essere necessaria per far
risaltare il pezzo, rappresentava anche un espediente stilistico tramite il quale si
poteva dipingere sopra alle tag altrui evitando di crossare, mancando di rispetto ad
altri writer. Il tema della nuvola viene utilizzato nella maggior parte delle opere
esposte nella Galleria “La Medusa” per creare un’illusione spaziale: la scritta appare
sopra ad essa, mentre vengono affiancati elementi decorativi quali frecce, spirali,
stelle e motivi lineari che appaiono su un piano differente rispetto al resto della
composizione. Una delle due tele accreditate a Fab 5 Freddy, “Jungle Fred”,
53 Smith Howard ,“Brathwaite: There’s money in them there walls”, “The Village Voice” 12/2/1979 54
Propietario dello spazio La Medusa e curatore del catalogo dell’ opera di De Chirico della cui fondazione diventerà in
seguito direttore.
55 Brathwaite “Fab 5 Freddy” Frederick cit. in Papillon Michelle Joan, “Fab 5 Freddy”,” Juxtapoz Magazine”, n.123,
4/2011, pp. 92
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presenta delle lettere decorate con motivi zebrati e leopardati, mentre un paio di tele
realizzate a quattro mani da Quinones e Brathwaite rappresentano un omaggio ad
altrettanti membri della crew Fabulous Five, Mono e Doc. Su “Mono” la prima
lettera “o” viene rappresentata come quella che verosimilmente è una caricatura
dell’amico writer ed il gioco di illusione spaziale tra i vari elementi discusso sopra si
fa decisamente marcato. L’ultima opera raffigurata nel catalogo, “Je”, invece,
rappresenta la scritta “JE” ripetuta ossessivamente sull’intera superfice del quadro ed
è di più difficile interpretazione, non essendo l’iscrizione attribuibile ad alcun writer.
Si potrebbe forse ipotizzare che essa stia per “io”56
, un’affermazione d’identità
rappresentata su tela dai due writer.
L’intervento di Bruni nel catalogo della mostra rimarca l’importanza dei graffiti come
“autentico idioma visuale delle minoranze del ghetto”, inserendoli all’interno della
tradizione pittorica della storia dell’arte:
“Mai nessuna arte popolare è stata più rapidamente portata davanti agli occhi di tutti; l’idea di affidare a
delle carrozze viaggianti, per 24 ore al giorno sulle linee della sotterranea di una grande città, il proprio
messaggio visivo si deve ammettere è stata geniale (…) A chiunque, che si occupi di pittura e che abbia
sostato nel subway di New York, vedendo sfrecciare davanti agli occhi le carrozze dipinte, non possono non
essergli venuti in mente quadri come: “Stati d’ animo, gli adii” del 1911 di Boccioni; “Plasticità di luci +
velocità” del 1913 di Balla; “Dinamismo di un’automobile” del 1912-1913 di Russolo (…)”57
Indipendentemente da questa digressione, Bruni rimarca come l’aerosol art
rappresenti un fenomeno eminentemente americano, paragonando i graffiti al jazz e
al blues nel loro essere un’espressione artistica nata nei ghetti americani, con un
messaggio di protesta e di lamento da parte dei primi, sconosciuti, solisti ed
improvvisatori. La portata innovativa della mostra viene inoltre paragonata alla prima
personale di “Assemblage” di Rauschenberg e ai primi riconoscimenti ottenuti da Cy
Twombly, eventi accaduti a Roma, rispettivamente nel 1953 e nel 1957. Come egli
stesso dichiara, la citazione dei due maestri americani non è casuale, essendo
Rauschenberg un precursore dell’ immaginario “Pop”58
nel suo utilizzo di oggetti ed
immagini quotidiani e commerciali ed essendo Twombly fautore di un’arte spesso
accomunata al “graffito” nel suo utilizzo di scarabocchi, nomi e segni calligrafici.
Ma non sono solo i riferimenti culturali a rendere le tele di Lee e Fab 5 Freddy
inequivocabilmente americane. Affermando che l’arte dei Fabolous Five è il frutto
spontaneo dell’incontro tra la “Pop-Art” ed il bisogno ancestrale dell’uomo di
lasciare una traccia nell’ambiente circostante, Bruni osserva come l’utilizzo delle
bombolette spray possa ricordare il dripping59
di Jackson Pollock e la violenza dei
colori e delle immagini la “Pop-Art”:
56
Dal francese Je
57 Bruni Sakraischik Claudio, The Fabulous Five, Edizioni La Medusa, Roma 1979, Catalogo n. 118
58 Proprio della Pop-Art
59 tecnica pittorica caratteristica dell'Action Painting americana, elaborata nella sua forma più tipica alla fine degli anni
quaranta da Jackson Pollock. Il colore (smalto opaco o vernici industriali usate per la prima volta proprio da Pollock
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“(…) la freschezza, il vigore e la spontaneità della grafia sono prettamente americane e spaziano dal fumetto
alla Disney alle simbologie di Calder.”60
Il catalogo si conclude con il commento di Adriano Buzzati Traverso61
, il quale,
parlando come collezionista che ha acquistato le opere di Lee e Fab 5 Freddy, auspica
un ingresso del writing all’interno e all’esterno delle case, nei muri delle periferie e
su monumenti a suo parere di dubbio gusto che trarrebbero vantaggio da un eventuale
incontro con l’arte a bomboletta:
“Mi sono spesso chiesto come mai in questi tempi di opulenza, di gente che possiede un appartamento in
città, una villa al mare, una casa in montagna e magari una fattoria in campagna, non sia diffusa l’abitudine
di ingaggiare un buon pittore per farsi dipingere l’intera facciata o almeno qualche parete all’interno (…) Qui
in Roma, vediamo quel poco che è rimasto dei graffiti dipinti nel 1528 da Polidoro da Caravaggio sulla
facciata del Palazzetto Milesi in via della maschera d’oro. Oggi godiamo degli allegri “American graffiti” –
pieni di vita – dei Fabolous Five. Ma pensate che bello sarebbe se il sindaco della nostra città
commissionasse la copertura dell’ osceno monumento a Vittorio Emanuele II – il cosidetto Altare della
Patria – con i travolgenti colori di questi giovanotti americani !”62
E’ difficile non considerare le posizioni di Bruni e Buzzati come la rappresentazione
di una posizione ideologica e culturale alto borghese che non ha un contatto diretto
con i graffiti (nel 1979 non abbiamo testimonianze di writing in Italia). La società
italiana di allora, inoltre, è lontana dalle problematiche razziali e di classe presenti
negli Stati Uniti, che si riflettevano inevitabilmente sul giudizio che l’opinione
pubblica aveva del writing63
. In questo contesto le tele di Lee e Fab 5 Freddy
rappresentano verosimilmente un esotismo alla portata di pochi:
“(…)Lee and I thought the crowd that would come out to see our work in Rome would be underground, arty
and radical, but we were surprised to learn his friends and clients were the elite of Italian society and
business.”64
intorno al 1947) viene lasciato sgocciolare sulla tela distesa per terra da un contenitore bucherellato o schizzato
direttamente con le mani mediante l'uso di bastoni o pennelli. (fonte Wikipedia)
60 Bruni Sakraischik Claudio, The Fabulous Five, Edizioni La Medusa, Roma 1979, Catalogo n. 118
61 Importante scienziato e genetista, fratello dello scrittore Dino Buzzati
62 Buzzati Traverso Adriano, The Fabulous Five, Edizioni La Medusa, Roma 1979, Catalogo n. 118
63 Lo stereotipo era che il writing fosse prerogativa di vandali ispanici ed afroamericani, con bassa scolarizzazione e
provenienti dalle zone più degradate della città.
64 Brathwaite “Fab 5 Freddy” Frederick cit. in Papillon Michelle Joan, “Fab 5 Freddy”, “Juxtapoz Magazine”, n.123,
4/2011, pp. 92
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In una recensione il critico d’arte de “L’Unità” Dario Micacchi65
, oltre all’effetto
neofuturista di cui parlava Bruni, ravvisa una somiglianza tra i graffiti della subway e
i treni “agit-prop” sovietici66
. La sua disamina riconosce nel writing la volontà di
riappropriazione degli spazi da parte delle classi meno abbienti che abitano i ghetti e
le periferie delle città statunitensi, tramite un atto spontaneo di ribellione:
“(…) A noi sembra un tipo di pittura non di radice avanguardistica e colta, ma una pittura d’invenzione e
derivazione fumettistica (…) non ci troviamo di fronte a un fenomeno pittorico nuovo dello spessore e della
qualità urbana del pop Art ma certo Fred e Lee sono riusciti a portare il fumetto nella pittura con una vitalità
d’espressione popolare ed emarginata quale non ha mai avuto ad esempio, la pittura pop riportata dai fumetti
di un Lichtenstein. C’è ancora – speriamo che non svanisca nella produzione di galleria – in questa pittura
una qualità plebea, ironica e possessiva dello spazio, attraverso la quale si esprime un’immaginazione non
asservita che riesce a sventolare le sue coloratissime insegne che ripetono i nomi gridati come una
liberazione negli stadi (…)”67
Il successo della mostra, presentata come prima mondiale, ottiene eco in tutta
Europa68
, testimoniando un precoce interesse nei confronti della nuova arte di strada
americana da parte del pubblico straniero:
“(…) Fred and Lee were given an exhibition at Galleria Medusa in Rome in 1979. This show was the first
indication in writing as galleried art , and it introduced “graffiti art” to a European art audience for the first
time. (…)”69
Successivamente ad essa i due writer partecipano ad altre esibizioni. Nel 1980 Lee
debutta a New York con la mostra “Third Phase” alla “White Columns Gallery”,
riproposta lo stesso anno alla Galleria “Paolo Seno” di Milano70
. Nel giugno dello
stesso anno partecipa assieme a Fab 5 Freddy, Jean-Michel Basquiat, Keith Haring,
Kenny Scharf ed altri artisti del downtown newyorkese al seminale evento “Times
Square Show”. Ad inizio anni ’80 i graffiti rappresentano ormai l’ultima tendenza in
campo artistico, parte di quel recupero post-moderno dell’arte pittorica che vede il
successo del neoespressionismo e della transavanguardia italiana.
65
Critico d’ arte dell’ Unità fino al 1992. Negli anni sessanta diede vita al gruppo di critici ed artisti “il pro e il contro”
66 Treni dipinti, con compagnie teatrali, film e distribuzione di pamphlet che successivamente alla Rivoluzione d’
Ottobre del 1917, giravano per le campagne russe allo scopo di far conoscere il comunismo alla popolazione
67 Micacchi Dario, “Fred e Lee: su tela i graffiti americani della metropolitana”, L’Unità, 13/12/1979, pp. 14
68 Mininno Alessandro, Graffiti Writing, Mondadori, Milano 2008, pp.31
69 Austin Joe, Taking the Train, Columbia University Press, New York 2001, pp. 188
70 http://www.cviscusi.com/TourdeLee/popup_pages/resume.htm, as it was 31/1/2014, h. 13:20
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Copertina del catalogo della mostra “THE FABULOUS FIVE: calligraffiti di FREDerick Brathwaite e
LEE George Quinones”, Roma 1979
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Lee, “Handball Court Murals”, Corlears Junior High School, Lower East Side Manhattan (New York), 1978
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(sopra)“L’Unità”, 13/12/1979 (sotto) Fab 5 Freddy e Lee a casa di Claudio Bruni Sakraischik, 1979
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IMMAGINI DAL CATALOGO:
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ARTE DI FRONTIERA: New York Graffiti (Galleria Comunale
d’Arte Moderna, Bologna, Marzo-Aprile 1984)
Il 17 Marzo 198471
viene inaugurata presso la “Galleria Comunale d’ Arte
Moderna“72
di Bologna, la mostra “Arte di Frontiera”, che dura fino al mese
successivo. Nata per volere di Francesca Alinovi73
, l’esibizione presenta i lavori di
diciotto tra gli esponenti più in vista della scena graffiti art newyorkese74
.
Nei quasi cinque anni che intercorrono fra “The Fabolous Five”75
e la mostra di
Bologna si ha la testimonianza di altre occasioni in cui il writing approda più o meno
sporadicamente in Italia: nel 1982 la stessa Alinovi durante la “VI Settimana
Internazionale della Performance” a Bologna, organizza l’evento “Telepazzia”, dove
vengono proiettati anche i video di Kenny Scharf e Keith Haring76
. Nel 1983 Haring
compie il suo primo viaggio in Italia, esponendo alla Galleria “Lucio Amelio” di
Napoli e dipingendo le pareti per un negozio Fiorucci77
a Milano. Nello stesso anno
A-One espone alla Galleria “Salvatore Ala” di Milano mentre Achille Bonito Oliva
presenta, in occasione dell’evento “La Scuola di Atene” ad Acireale, Keith Haring,
Jean-Michel Basquiat e Rammellzee. Quest’ultimo viene inoltre invitato a tenere una
conferenza al Politecnico di Milano il 26 maggio di quell’anno. Successivamente la
rivista di architettura “Domus” pubblica l’intervista scaturita dalle domande degli
studenti in occasione dell’evento, oltre ad un articolo riguardante la scena
newyorkese contemporanea ed una retrospettiva sulla figura della Alinovi, scomparsa
pochi mesi prima78
. Emergono le prime testimonianze di pezzi realizzati in Italia,
oltre che da writer americani di passaggio, da parte dei primi italiani che si
avvicinano alla disciplina, come Tritalo, Graffio e Atomo. Questi embrionali eventi
segnano un crescente interesse da parte del pubblico nei confronti del writing e della
cultura hip-hop in generale (che inizia in quel periodo ad avere una certa esposizione
mediatica), con la nascita delle primissime crew di b-boys in vari capoluoghi:
71
Melchionda Achille, Francesca Alinovi: 47 coltellate, Pendragon, Bologna 2007, pp.84
72 http://www.mambo-bologna.org/identitaestoria/lastoria/
73 critica d’ arte e curatrice che aveva dimostrato un forte interesse nei confronti della scena del writing newyorkese.
Muore assassinata in circostanze poco chiare il 12/6/1983, prima della mostra Arte di Frontiera.
74 Lee, A-One, Rammellzee, Futura 2000, Toxic, Keith Haring, John Ahearn, Lady Pink, Kenny Scharf, Jean Michel
Basquiat, Ronnie Cutrone, James Brown, Donald Baechler, Richard Hambleton, Jenny Holzer, Justen Ladda, Koor,
Daze
75 Galleria La Medusa, Roma dicembre 1979
76 Daolio Roberto&Pasquali Marilena, Regesto, in Id., Arte di Frontiera: New York Graffiti, Mazzotta, Milano 1984,
pp.114
77 http://www.fiorucci.it/
78 Domus n. 642, 9/1983, pp. 99-105
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38
“(…) all’età di 12 anni iniziai a bazzicare regolarmente Corso Vittorio Emanuele (Milano, ndA.). Muniti di
radio, con Avellano e mio fratello ci tenevamo aggiornati su ciò che succedeva nei quartieri newyorkesi
tramite alcune conoscenze, iniziando a ballare per strada. Era l’’83 e fondammo ciò che tutt’oggi viene
chiamato “Il Muretto”. (…)”79
Il writing deve tuttavia aspettare la fine del decennio per consolidarsi in quanto
movimento: le pochissime fotografie rimaste a documentare i primi pezzi realizzati da
italiani ne sono la riconferma. In questo contesto, “Arte di Frontiera” si rivela senza
dubbio il progetto più importante e meglio realizzato in ambito writing. L’esibizione
si pone sulla stessa linea di altri significativi eventi organizzati a livello europeo in
quegli anni, in particolare con la mostra “Graffiti” del museo “Boijmans-Van
Beuningen” a Rotterdam e “Classical American Graffiti Artists and High Graffiti
Writers” di Monaco, avvenute tra il 1983 e il 1984. Le mostre espongono i lavori
degli stessi artisti di “Post-Graffiti” alla Galleria “Sidney Janis” di New York. Tra
queste “Arte di Frontiera” ha la peculiarità di presentare le opere di Basquiat, Scharf
ed Haring, artisti che, come è già stato indicato precedentemente, emergono con il
movimento dell’East Village, ma che si discostano dal writing vero e proprio. Il
catalogo presenta circa 120 opere tra tele, sculture, fotografie ed interventi realizzati
in loco dagli stessi autori. Oltre alla vasta quantità di opere esposte risulta
interessante la scelta di dare spazio (attraverso fotografie e testimonianze scritte) ad
allora influenti gallerie underground quali “Fashion Moda” e “Fun Gallery”. Le
disamine sul fenomeno graffiti art presenti nel catalogo si dimostrano più puntuali ed
informate rispetto a quanto era stato espresso in occasione di “The Fabulous Five”. I
commenti degli operatori e dei curatori coinvolti nella mostra rimarcano come ci si
trovi dinanzi ad un fenomeno di rottura:
“(…) mentre in America come in Europa si celebra il trionfo, in arte, della tradizione e del bel quadro, ecco
riemergere come un geiser impetuoso e bollente la irruente corrente dell’underground.(…) L’attuale arte
d’avanguardia, più che sotterranea, è arte di frontiera; sia perché sorge, letteralmente, lungo le zone situate ai
margini geografici di Manhattan (Lower East Side, come ho detto, e South Bronx), sia perché, anche
metaforicamente, si pone entro uno spazio intermedio tra cultura e natura, massa ed élite, bianco e nero
(alludo al colore della pelle), aggressività e ironia, immondizie e raffinatezze squisite. (…)”80
“(…) Siamo testimoni di una straordinaria diversità di espressione che sembra aver rivoltato la storia
dell’arte da cima a fondo e nel far ciò ha rinnovato il piacere di sperimentare l’arte del presente così come
del passato. (…) Stiamo assistendo al lavoro di una generazione di artisti che, in età giovanissima e con
stupefacente sicurezza, hanno assunto la responsabilità di continuare la grande tradizione del nuovo. Il loro
approccio ha veramente il carattere dell’ avventura. Il loro piacere spontaneo nel fare arte è stato reimmesso
in ciò che era divenuto noioso e convenzionale in misura deprecabile. (…)”81
79
Sean Martin, cit in The All City Writers, Kitchen93, Bagnolet 2009, pp. 150
80 Alinovi Francesca, “Arte di Frontiera”, in id. Arte di Frontiera: New York Graffiti, Mazzotta, Milano 1984, pp. 12-
13
81 Shafrazi Tony, cit. in Arte di Frontiera: New York Graffiti, Mazzotta, Milano 1984, pp. 46-47
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39
“Arte di Frontiera” presenta le installazioni scultoree di John Ahearn82
nell’area del
South Bronx. I suoi calchi in gesso, raffiguranti membri della comunità ispanici ed
afroamericani, sembrano avvicinarsi alla scultura iperrealista degli anni ’70 di John
DeAndrea e Duane Hanson. In questo caso viene però accentuata la componente
razziale. Queste sculture colgono azioni quotidiane (come dei ragazzini che saltano
la corda in “Double Dutch”) cristallizzate nei muri del Bronx in cui sono appese, a
testimonianza del nascente fermento artistico. La scelta di esibire queste opere
attraverso le fotografie di Martha Cooper si rivela interessante, in quanto evita di
interrompere il discorso di contestualità con il luogo di installazione.
Martha Cooper ed Henry Chalfant83
sono inoltre presenti nel catalogo attraverso gli
scatti del libro Subway Art, uscito quello stesso anno84
. Ad oggi la loro rimane la
pubblicazione più famosa ed influente nell’ambito del writing.
Jean-Michel Basquiat viene presentato alla mostra con quattro sue tele: “Red Savoy”,
“Early Moses”, “Galileo Galilei” e “Prometheus Bound”. “Red Savoy” presenta
una figura umana stilizzata al centro di uno sfondo rosso con un reticolato bianco.
“Early Moses” raffigura una composizione su fondo giallo, avorio e verde brillante:
al centro si osserva una gamba a cui vengono affiancati un volto di profilo sulla
sinistra, una suola di scarpa, un orologio e un piede sulla destra, dal basso verso
l’alto. Tutte le opere presentano quella commistione tra parola scritta e pittura
volutamente brutale ed istintiva, di impronta neo-espressionista, che caratterizzano
l’intera produzione del pittore di origine haitiana.
Nella mostra sono presenti anche i lavori di Keith Haring. Tutte di grandi dimensioni,
le sue quattro tele si avvalgono di pittogrammi senza soluzione di continuità, suo vero
e proprio marchio stilistico. Il catalogo inoltre presenta la fotografia di una sua
esibizione alla galleria di Tony Shafrazi a New York, nel 1982: immersa in una luce
violacea, la stanza raffigurata mostra, oltre a due suoi quadri, due colonne, un’anfora
e una riproduzione della Statua della Liberta, decorate con i colori e le fantasie
tipiche dell’artista.
Le nove opere di Kenny Scharf sono caratterizzate dall’uso di colori estremamente
sgargianti e da un immaginario contemporaneamente pop e surrealista, dove figure
informi danno vita a personaggi con occhi ed espressioni fumettistiche. Tele come
“Pallets” “I” e “II” presentano una stesura del colore piuttosto piatta ed istintiva. Al
contrario, in altre come “Stop and Look”, la stesura del colore si fa morbida, sfumata
e tridimensionale. In quest’ultima una cornice nera e quadrata al centro della tela
cattura l’attenzione, ponendosi su un piano diverso rispetto al resto della
composizione.
82
membro di Colab e fratello del regista Charlie Ahearn (Wildstyle, USA 1982)
83 Fotografi statunitensi, noti per il loro lavoro di documentazone sul writing e la cultura hip-hop
84 Cooper Martha & Chalfant Henry, Subway Art, L’ Ippocampo, Milano 2009 (I ed. Holt, Rinehart and Winston, New
York 1984)
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Le opere di Richard Hambleton, Donald Baecheler e James Brown85
sembrano rifarsi
ad una pittura neoespressionista che le pone in relazione con il lavoro di Jean-Michel
Basquiat.
Ronnie Cutrone presenta quattro lavori di chiara influenza pop. Campiture piatte, la
presenza di personaggi ripresi dai fumetti e bandiere (americane e non) abbinano
messaggio politico/sociale ad inevitabili rimandi all’opera di Lichtenstein,
Rauschenberg e Jasper Johns.
Le opere di Crash, Daze e Toxic sembrano essere più legate all’immaginario del
writing vero e proprio, dove la centralità della tag è resa su tela attraverso gli stilemi
ed i colori tipici della subway. Anche le otto tele realizzate da A-One si ricollegano al
suo lavoro nelle strade di New York, documentato nel catalogo assieme ad altre
fotografie.
Le tele di Futura 2000 presentano quel carattere astratto che aveva portato la critica
ad accostarlo a Kandinsky. A sfondi nebulosi resi a bomboletta (simili a certi suoi
pezzi realizzati nella subway) si sovrappongono segni geometrici ed informali. Il
teorico del “futurismo gotico”86
Rammellzee presenta dieci lavori. Realizzati a
bomboletta spray, essi si dimostrano eterogenei per i supporti utilizzati e presentano
tutti un forte dinamismo nella loro composizione, alternata da sfondi astratti e
informali, gocciolature e segni appuntiti.
I lavori di Jenny Holzer e Lady Pink87
si identificano come eminentemente politici. A
figure di donne rese a bomboletta si associano motti e slogan che richiamano un
lessico legato all’attivismo femminista.
Considerati i tempi più maturi e la portata dell’esibizione, “Arte di Frontiera” è
ricordata come la mostra che più influenza l’immaginario collettivo circa la questione
writing in Italia. Il pioniere bolognese Deemo88
racconta così la sua visita:
“ (…) Quello (Arte di Frontiera, ndr.) fu davvero un evento inaspettato (…) Credo sia annoverabile
storicamente tra i maggiori eventi del suo genere. Sai cosa? Alcuni artisti vennero proprio a Bologna e
dipinsero le loro tele direttamente alla Galleria, sul tetto. Daze fece perfino un paio di outline in centro e
disegnò i giubbotti dei Puffi, due b-boy della prima scuola di Bologna. (…) Mi rimasero impresse soprattutto
le tele di Crash e Daze. Avevano quell’ elemento di disegno con cui potevo relazionarmi. Al contrario, gli
stili di lettere e le tag erano come entrati e usciti dal mio angolo visivo. Non sapevo che farmene in quel
momento. Avevo capito però che potevo utilizzare la vernice spray per trasferire i miei disegni su dimensioni
85
Pittore statunitense, da non confondere con il celebre cantante soul/funk
86 O “panzerismo iconoclasta”, è una complessa teoria filosofica elaborato dall’artista che arriva a prendere coscienza
del valore della lettera in quanto entità rivoluzionaria, che possiede una propria estetica ed è veicolo di molteplici
significati, a partire dai primi wildstyle della subway newyorkese per ritornare all’opera dei monaci amanuensi
medievali
87 Una delle poche donne ad essersi affermata nel mondo del writing di New York
88 Accreditato come il primo writer italiano ad aver dipinto su treno
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enormi e bastò quella singola visione ad aprirmi nuove possibilità. Dopo Arte di Frontiera iniziai a praticare
un misto di stencil e disegno a mano libera, aggiungendo più colori alla mia palette. (…)”89
“Arte di Frontiera” rimane inoltre legata alla figura di Francesca Alinovi,
rappresentando ipoteticamente una sorta di testamento del suo lavoro di critica:
“(…) Il divertimento si mescola sempre allo spirito d’avventura, portata all’esasperazione di gesti vitali
inconcludenti, votati al nulla, compiuti solo per se stessi. Keith Haring ben presto comincia a disseminare
tutti gli spazi vuoti, lasciati liberi dall’ affissione pubblicitaria, della subway di pupazzetti tecnologici,
irradianti energia magnetica, disegnandoli col gesso bianco. E le stesse figurine si spargono come
un’epidemia sulle porte delle case degli amici (un simpatico saluto, un souvenir), dei supermercati, sui pali
delle staccionate dei lavori in corso, sulle pietre rotolanti nelle strade scalcinate del Lower East Side. (…) I
galleristi fanno la gara per accaparrarsi i nuovi talenti di spicco, ma i kids non si lasciano facilmente irretire
dalle leggi del mercato, e continuano a scherzare anche con i boss dell’arte. Tra i galleristi, però, c’è
qualcuno che si lascia sedurre dalla passione per il gioco. I pionieri della nuova situazione sono due
personaggi outsider e molto anticonformisti, Stefan Eins, un ex-artista austriaco, e Toni Shafrazi, un altro ex-
artista di origine iraniana. (…) se la new-wave infieriva sulle orecchie del pubblico con suoni violenti ed
assordanti, subentra a New York il ritmo festoso e popolare, da danza di strada e megaradio trasportate dai
neri sui treni della metropolitana, della musica rap e della disco-funky sudamericana.(…) Questa musica, del
resto, è anche il sound del graffitismo propriamente detto, fin dalle origini mescolato a gesti di aggressione, e
a piacevolezze esilaranti. I graffitisti fuorilegge del Bronx, insomma, si alleano subito con gli amici bianchi
dello sberleffo, e da qui nasce una nuova situazione compatta che va dai dilettanti delle gallerie ai
professionisti della vernice spray sparata sui treni della metropolitana, e ora anche su tela. (…)”90
Ad oggi la sua figura vuole essere omaggiata dal documentario “Off-Identikit”
(attualmente alla ricerca di una casa di produzione). Girato tra l’Italia e gli Stati Uniti,
con interviste ad esponenti della graffiti art conosciuti ed entrati in contatto con la
Alinovi come Kenny Scharf, Crash e Daze, il documentario vuole ricordare il
contributo scientifico ed artistico dato dalla critica d’arte di Parma. Il progetto
“Frontier”, realizzato a Bologna nell’estate 2012, si ricollega, fin dal titolo, alla
mostra realizzata 28 anni prima, dipingendo questa volta direttamente sui muri della
città. Alla partecipazione di nomi in vista nella scena italiana (Joys, Dado, ecc…)
vengono affiancati importanti writer stranieri, tra cui spicca il nome di Phase II,
autentico pioniere del movimento sin dalla sua nascita nelle subway newyorkesi nei
primi anni ‘70
89
Deemo, cit. in The All City Writers, Kitchen93, Bagnolet 2009, pp. 154
90 Alinovi Francesca, “New York Graffiti”, “Frigidaire” n. 25, 12/1982, pp. 88-89
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Copertina del catalogo della mostra “ARTE DI FRONTIERA: New York Graffiti”, Bologna 1984
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Mostra “Arte di Frontiera”, Bologna 1984. Futura 2000 (in alto a destra, in basso a sinistra), Toxic (in basso a
destra)
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IMMAGINI DAL CATALOGO:
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Conclusioni
Frontier: la linea dello stile ( Comune di Bologna-Galleria MAMbo,
Bologna, Giugno-Luglio 2012/Febbraio 2013 )
Nel giugno 2012 viene inaugurato il progetto “Frontier: la linea dello stile”, voluto
dal Comune di Bologna in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, curato da
Fabiola Naldi e Claudio Musso. In “Frontier” vengono presentati i lavori di tredici
writer, italiani ed internazionali. Strutturato come una piattaforma aperta e in
evoluzione, l’evento porta alla realizzazione di tredici diversi pezzi su altrettanti muri
e siti di Bologna, perlopiù case popolari edificate negli anni trenta gestite da ACER91
.
All’intento di riqualificazione urbana attraverso un mezzo molto spesso considerato
come vandalismo e fonte di degrado, “Frontier” unisce la volontà di creare un filo
conduttore con la mostra “Arte di Frontiera”, realizzata sempre a Bologna nel 1984,
discussa nel precedente capitolo:
“(…) Il progetto è il risultato della lunga storia di Bologna nell’ambito delle discipline della street art e del
writing, dal 1977 ad oggi. Questa infatti è stata la prima città italiana a comprendere l’impatto generazionale
culturale e la forza del writing su tutta la scena artistica. Il titolo del progetto, che in realtà è un’autentica
mostra di strada n quanto contesto naturale dove si sono sviluppate queste discipline, prende spunto da una
mostra che si è tenuta nel 1984 presso la Galleria civica d’arte moderna (l’attuale MAMbo) dedicata alla
curatrice Francesca Alinovi. (…)”92
Terminata ormai da tempo la stagione dei “graffiti in galleria” tipica degli anni ’80,
l’esibizione, pur ricollegandosi alla seminale mostra ideata da Francesca Alinovi93
,
assiste al proprio svolgimento nelle strade. Significativa risulta l’organizzazione di
percorsi di trekking urbano da parte di Urban Center Bologna che permettono di
visitare i cantieri in cui i writer sono all’opera. La questione circa la scarsa autenticità
e significanza dei graffiti realizzata su tela, che ha segnato la storia dell’aerosol art
sin dagli albori, è stata ormai da tempo superata. Proponendo un’esibizione più in
linea con la realtà del writing si è giunti alla nascita di eventi probabilmente più
interessanti e significativi anche per gli astanti.
I ventotto anni che separano le due mostre di Bologna hanno assistito ad uno sviluppo
esponenziale del fenomeno in tutto il mondo: dalla nascita di un’industria dedicata
specificatamente alle necessità dei writer, alla naturale evoluzione degli stilemi (che
si presentano sempre più sofisticati e possiedono particolari connotazioni da paese a
paese), dall’istituzione di jam e alla concessione di spazi legali dove dipingere, alla 91
Azienda Casa Emilia Romagna
92 Naldi Fabiola cit. in Memo Fabrizia, “Le frontiere della street art”, http://www.tafter.it/2012/07/10/le-frontiere-della-
street-art/, as it was 21/2/2014
93 Nonostante diverse opere vennero realizzate in loco e alcuni dei writer presenti realizzarono pezzi nei muri della città,
“Arte di Frontiera” rimane comunque una mostra di galleria
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sempre maggiore influenza che il movimento ha nel mainstream94
(moda, grafica
pubblicitaria, ecc.).
L’avvento di internet ha permesso inoltre una diffusione sempre maggiore di
informazioni a riguardo di importanti writer, stili, ecc...che prima potevano essere
reperibili solo grazie a pochi libri come Subway Art95
, fanzine dalla tiratura molto
limitata o a VHS96
altrettanto rare.
La dura campagna “anti-graffiti” che ha portato a cancellare gli ultimi treni dipinti nel
1989 e la successiva campagna “tolleranza zero”, condotta dal sindaco Rudolph
Giuliani negli anni ’90, hanno invece fatto sì che a New York il fenomeno graffiti
abbia subito un duro colpo. Venire sorpresi a segnare spazi pubblici comporta gravi
sanzioni penali, mentre un treno della subway, se dipinto, viene subito destinato alla
rimessa, dove rimane fino alla sua totale pulizia. La chiusura del 5 Pointz97
nel
novembre 2013 si rivela emblematica della situazione nella città che ha assistito alla
nascita di un movimento ormai da tempo globale e non più circoscritto alla metropoli
statunitense.
Dal 19 al 25 giugno 2012 “Frontier” apre il suo primo cantiere, con la realizzazione
di opere murali di grandi dimensioni da parte dei writer Does (Olandese) in via
Michele Colonna, Honet (Francese) in via del Lavoro 18 ed M-City (Polacco) in via
Scipione dal Ferro 21.
Dal 25 al 30 giugno è la volta degli italiani Hitnes in via Pier de’ Crescenzi 22 e
Etnik in via del Lavoro 3.
Italiani sono anche i writer che realizzano le loro opere murali nei cantieri aperti tra il
2 ed il 15 luglio: Dado in via San Donato 52, Eron in via Michele Colonna, Joys e
Rusty in via Marco Polo 21 e la coppia di artisti Cuoghi-Corsello in via Pier de’
Crescenzi 30.
Il tedesco Daim lavora nel cantiere aperto tra il 10 ed il 16 luglio in via Fioravanti 10,
l’ italiano Andreco tra il 30 luglio ed il 5 agosto in via dello Scalo 32.
L’esponente dell’old school newyorkese Phase II, autentico ospite d’onore
dell’evento, interviene invece a piazza Giovanni Spadolini 3, tenendo segreti fino alla
94
termine inglese usato come aggettivo in vari campi delle arti e della cultura per indicare una corrente che, in un
particolare ambito culturale, è considerata più tradizionale e "convenzionale", comune, dominante, ed è seguita dal più
grande pubblico (fonte Treccani)
95 Cooper Martha & Chalfant Henry, Subway Art, L’ Ippocampo, Milano 2009 (I ed. Holt, Rinehart and Winston, New
York 1984)
96 Acronimo di Video Home System, videocassetta
97 5 Pointz: The Institute of Higher Burnin' è un complesso industriale situato a Long Island City, nel quartiere Queens
di New York, dove i graffiti sono permessi (…) Questo luogo è conosciuto in tutto il mondo e ospita opere di artisti
provenienti da tutte le parti del pianeta (…)Nel 2013 è stata annunciata la sua chiusura. Nella notte compresa tra il 18 e
il 19 Novembre, 5 Pointz è stato imbiancato. Ciò rappresenta la fase precedente alla demolizione. I fratelli Jerry e David
Wolkoff hanno dichiarato che sorgerà al suo posto un complesso residenziale di circa 1300 appartamenti. (fonte
Wikipedia)
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fine località e giorno. Lo svolgersi degli eventi si rivela generalmente ben accetto da
parte della cittadinanza, pur con qualche nota di dissenso testimoniata dalla cronaca:
“(…) un po’ in ritardo rispetto alle previsioni sono arrivate anche le prime proteste: è di ieri la pubblicazione
della lettera recapitata a La Repubblica da parte di 17 condomini di un palazzo in via Pier de’ Crescenzi,
prima periferia bolognese. I toponi e i mandrilli giganti protagonisti del murales del romano Hitnes hanno
talmente offeso gli abitanti da spingerli a chiedere la riverniciatura della parete. Il fatto è che loro si
auguravano la comparsa di figure “spensierate”, tipo “gattoni, pesciolini, cagnolini”. E dopo i topi, “perché
non anche una fogna, una discarica e qualche zulu impaurito?”, si chiedono. La periferia spensierata,
insomma. Quella che si vede nelle fiction tv. (…)”98
“Profondamente contrario a questo tipo di arte è l’architetto Andrea Trebbi: “Nel constatare il grande
“murales” non ho potuto evitare di alimentare ulteriormente il sospetto che tutto sommato alla politica locale
la città imbrattata è probabilmente un’espressione gradita. Magari anche da stabilizzare (…) Sia chiaro: quel
“murales” non appartiene allo scempio dei codardi scarabocchi ma con la sua deliberata autorizzazione “il
Palazzo” pare diffondere il beneplacito agli oltraggi che offendono l’intera città (…)”99
Ciò che sembra differenziare il progetto “Frontier”, rispetto alle innumerevoli
manifestazioni dedicate a writing e street art da nord a sud della penisola, è il
dibattito culturale che riesce a creare attorno alla questione dell’arte di strada, molto
spesso non compresa (quando non addirittura osteggiata) e poco considerata negli
ambienti accademici:
“gli altri progetti mi sembrano ricorrere ad uno stesso modello – quello del festival – che limita l’impatto di
questi progetti nel dibattito intellettuale, artistico e sociale. Le cause di questa situazione sono molteplici,
non dipendono sempre dagli organizzatori e variano di città in città. Due, in particolare, mi sembrano pero'
ricorrere su tutto il territorio nazionale:
1) La tendenza dei comuni e delle istituzioni pubbliche a nascondere queste manifestazioni sotto l'etichetta
del decoro urbano, come se far dipingere una bella facciata bastasse a risolvere i problemi di un quartiere.
Si tarda a capire che il potenziale della street art è di tutt'altro livello e non solo perché è uno dei fattori che
contribuisce a far aumentare il valore degli immobili (non lo dico io, ma uno studio pubblicato nel gennaio
2012 del Sole 24 Ore).
2) Salvo rarissime eccezioni, il silenzio assordante con il quale la street art viene ancora accolta nelle
università e nei musei italiani.
"E' un'arte di serie B, che non contribuisce e non si posiziona nel dibattito artistico internazionale". Cui
prodest studiarla e farla studiare? Il risultato di quest'atteggiamento è che gli storici dell'arte, ovvero gli
studiosi che possiedono degli strumenti utili all'analisi di questo fenomeno artistico, non mettono a
disposizione della società delle analisi degne di nota che favoriscano il perfezionamento di manifestazioni
pubbliche dedicate alla street art.”100
Per quanto riguarda i lavori dei tredici writer che partecipano al progetto, è evidente
come presentino delle caratteristiche molto diverse l’uno dall’altro. Questo è frutto di
una deliberata scelta da parte dei curatori Musso e Naldi per dare rilevanza
all’evoluzione stilistica del fenomeno writing ad oggi.
98
Kostis Alessandro, “Le frontiere della street art”, http://www.sottobosco.info/2012/07/12/le-frontiere-della-street-
art/ as it was 21/2/2014
99 “Graffito su Liber Paradisus: il dibattito”, “Il Resto del Carlino”, 31/7/2012, n.p.
100 “Non chiamatemi festival”, http://legrandj.eu/article/litalia_nuova_mecca_della_street_art/ as it was 21/2/2014
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M-City presenta una composizione realizzata attraverso l’uso di stencil che prende
l’aspetto di un grande macchinario meccanico, reso attraverso un immaginario
industriale ed urbano con rotaie, manovelle e fabbriche dalle ciminiere fumanti.
Joys interviene con la sua tag dipinta attraverso il suo personale lettering dalle
campiture nette e lineari, resa tridimensionale da un rigoroso studio geometrico.
L’opera di Eron raffigura due gru, arrampicate ad una gru meccanica, ed è dipinta
con una tecnica di chiaroscuro monocromatico che ne accentua il carattere
tridimensionale, facendola sembrare un grande bassorilievo.
Il parigino Honet raffigura un elefante che porta sul dorso una castello (idea ripresa
da una scultura voluta da Napoleone Bonaparte101
) utilizzando uno stile che sembra
trarre spunto dai libri per l’infanzia, con linee semplici e nette.
Does ribadisce il suo essere influenzato dall’immaginario virtuale dei videogames
con un pezzo dinamico e dai colori hi-tec, in cui linee e forme appuntite convergono
attraverso un punto centrale ravvisato nella lettera “o”.
Il bolognese Dado dipinge una composizione dalle tonalità calde ed esuberanti; rosso,
arancio, giallo e viola, in cui la tag, resa con una complessa struttura a doppia elica, si
staglia sopra ad un paesaggio roccioso e vulcanico.
Cuoghi-Corsello, pionieri della street art in Italia, dipingono un grosso personaggio
nero stilizzato, simile ad un cane, sopra la silhouette di due bombolette spray
incrociate.
Hitnes lascia sulla parete degli enormi babbuini resi a spray a mano libera,
protagonisti assieme a topi e ricci di una composizione di carattere naturalistico.
Rusty crea un pezzo dal carattere lineare e 3-D sopra ad uno sfondo che richiama lo
schema del tessuto Burberry.
L’opera di Daim si presenta come una composizione in cui la tag dell’ autore è resa
attraverso un’esplosione 3-D estremamente sofisticata, inscritta all’ interno di grosse
stelle.
Andreco, nella vita ingegnere ambientale oltre che writer, interviene dipingendo
un’opera dalle marcate connotazioni ecologiste, dipinta con vernici fotocatalitiche102
di ultima generazione, che rappresenta un albero ispirato al simbolo degli alchimisti
del 1400, con ai lati un uovo e un minerale, simboli di materia organica ed
inorganica103
.
Etnik crea una composizione di carattere astratto e geometrico in cui forme colorate
perlopiù quadrate e rettangolari si incastrano tra loro.
Il lavoro di Phase II alterna figure umane, segni geroglifici ed orientaleggianti su uno
sfondo cosmico reso con polveri di vetro, oltre al riconoscibilissimo wildstyle
dell’artista americano, formato da una composizione molto fitta di forme e linee 101
L'elefante della Bastiglia era il progetto di una gigantesca fontana, con al centro una statua di bronzo che
rappresentava un elefante, voluta da Napoleone Bonaparte, nel 1808, per abbellire place de la Bastille (fonte Wikipedia)
102 Vernici che riescono a depurare l’atmosfera tramite l’effetto catalizzatore di molecole metalliche naturali
103 “A Bologna il murale che depura l’aria”, http://www.lastampa.it/2012/08/08/scienza/ambiente/approfondimenti/a-
bologna-il-murale-che-depura-l-aria-fUSbWA5IF6Ah8Sa4SAE8JN/pagina.html as it was 23/2/2014
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aguzze. Una delle figure, un volto frontale dipinto nell’angolo formato da due muri,
sembra gettare un ponte tra il writing di Phase II e la street art di Obey.
L’evento si conclude successivamente alla galleria MAMbo di Bologna, con la
mostra fotografica “Shooting Frontier” di Luca Capuano e Matteo Monti dal 19
gennaio al 23 febbraio 2013, e con il convegno “konFRONTIER” l’8 ed il 9 febbraio.
Il dibattito vuole essere parte integrante del progetto e vede la partecipazione di
studiosi d’arte, antropologia, giurisprudenza e semiotica, architetti e designer, oltre
agli interventi dei curatori e del writer Dado. Le riflessioni che ne scaturiscono
riguardano il rapporto del writing e della street art all’interno della dimensioni
artistica, sociale e giuridica, fornendo uno stimolo verso la conoscenza di un
movimento spesso poco approfondito al di fuori del suo stesso ambiente.
La presentazione del catalogo dell’opera, avvenuta il 13 febbraio 2014 presso la
galleria MAMbo, mira a presentare un pubblicazione attendibile sia per quanto
riguarda lo svolgimento della mostra, sia per quanto riguarda la storia del writing. A
livello editoriale in Italia, non bisogna tuttavia dimenticare, oltre al catalogo di “Arte
di Frontiera: New York Graffiti”104
, la pubblicazione della tesi di laurea dell’artista e
fotografo Andrea Nelli “Graffiti a New York”105
nel 1978, recentemente riproposta
da Whole Train Press.
Il filo conduttore che lega “Frontier” ad “Arte di Frontiera”, rende palese come il
writing abbia conosciuto uno sviluppo difficilmente quantificabile in queste pagine,
sia per quanto riguarda la disciplina stessa (basti pensare solo all’evoluzione del
concetto di 3-D nei pezzi, dai semplici outline nelle lettere ad una totale
destrutturazione e ristrutturazione spaziale della composizione), sia per quanto
riguarda le pratiche curatoriali ad esso legate che, auspicabilmente, dimostrano molta
più lungimiranza rispetto al passato. Concludendo, se, come affermava Norman
Mailer in The Faith of Graffiti106
, il mondo dell’arte ha dimostrato dal Dadaismo in
poi di aver avuto sempre più interesse verso il messaggio dell’opera (e verso una
conseguente reazione da parte del pubblico) e sempre meno verso il suo contenuto
materiale, il writing ha reso partecipe un pubblico molto allargato ad un contatto
quotidiano tra arte e vita di tutti i giorni, attraverso la parola scritta ed il bisogno
ancestrale dell’uomo di segnare i suoi spazi. Mi sembra giustificato concludere che
l’arte di strada ha rimesso in discussione, tra le altre cose, il concetto di pubblico e
privato, di legale ed illegale, di cultura “alta” e cultura “bassa”, riuscendoci tramite il
semplice fatto di esistere.
104
Arte di Frontiera: New York Graffiti, Mazzotta, Milano 1984
105 Nelli Andrea, Graffiti a New York, Whole Train Press, Roma 2012 ( I ed. Lerici, Cosenza 1978)
106 Mailer Norman, The Faith of Graffiti, Praeger Publishers, New York 1974
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Cuoghi-Corsello
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Glossario
3D: stile tridimensionale delle lettere, che aggiunge profondità al pezzo
AEROSOL: sospensione di particelle di vernice, contenuta in un barattolo sotto
pressione
AEROSOL ART: quello che, nell’ ambito dell’aerosol, si può concepire come arte
BACKJUMP: pezzo veloce, solitamente realizzato durante una breve sosta del treno
nella stazione
B-BOY: chi ha lo stile hip-hop/ballerino
BLOCKBUSTER/BLOCK STYLE: grandi lettere squadrate, spesso dipinte a due
colori, adatte a pezzi di grandi dimensioni, l’invenzione è accreditata ai writer
newyorkesi Blade e Comet
BOMBER/BOMBING: da “to bomb”, scrivere o dipingere illegalmente
BUBBLE STYLE: stile morbido, dalle lettere arrotondate, inventato da Phase II e
tipico del Bronx. Uno degli stili più datati, ancora molto usato per i throw up
BUFF/BUFFING SYSTEM: sistema usato dalle autorità per la pulizia delle
carrozze
BURNER: pezzi colorati e ben elaborati
CLIQUE/CREW: gruppo di writer, solitamente identificato da una sigla, persone
che si conoscono bene
CROSSING/CROSSARE: da “to cross”, dipingere, a sfregio, sopra un pezzo altrui
END TO END: pezzo o sequenza di pezzi che coprono interamente un vagone
ferroviario
FANZINE: periodico prodotto a basso costo e in tiratura limitata, destinato agli
appassionati di un settore
FAT CAP: tappino per bomboletta spray che permette un flusso molto largo di
vernice, scoperta accreditata a Super Kool 223
GRAFFITI: termine generale per identificare qualsiasi intervento relativo al writing,
originariamente derogatorio
GRAFFITI ART: termine usato durante gli anni ’80 per identificare il movimento
artistico originato dal writing
HALL OF FAME: muro dove si può dipingere più o meno legalmente
HIP-HOP: genere musicale-cultura giovanile nata a New York negli anni ’70,
comprende al suo interno il writing
JAM: ritrovo, in cui più writer danno vita a pezzi su spazi legali, spesso assieme ad
esibizioni di musica e ballo hip-hop
KING: re, capo, un writer che si è distinto per la quantità e la qualità dei suoi lavori
LAYUP: binario di rimessa in cui vengono parcheggiati I treni
LETTERING: stile delle lettere
LOOP: aggancio tra due lettere
MARKER: pennarello indelebile a punta più o meno larga
MARRIED COUPLE: due carrozze ferroviare che viaggiano sempre accoppiate
MASTERPIECE: capolavoro, pezzo particolarmente riuscito
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OUTLINE: il contorno delle lettere, la struttura di un pezzo
PEZZO: scritta di grandi dimensioni a più colori
PUPPET: personaggio, elemento figurativo
SOFTIE: ved. Bubble Style
STENCIL: cartoncino sagomato per disegnare figure e/o scritte con bombolette
spray
STICK: asta, come elemento costitutivo di una lettera
STREET ART: forma d’arte che si manifesta in luogo pubblico, diversa dal writing
per tecniche e soggetto
SUBWAY: metropolitana, sistema di transito urbano su ferrovia
TAG: firma realizzata molto velocemente, con un solo colore
THROW UP: scritta realizzata velocemente con uno o due colori
TOP TO BOTTOM: pezzo che copre tutta l’ altezza di una carrozza di un treno
TOY: writer alle prime armi, senza alcuno status ed esperienza
WHOLE CAR: carrozza ferroviaria completamente dipinta in altezza e in lunghezza
WHOLE TRAIN: treno composto da whole car
WILDSTYLE: complicata struttura di lettere incastrate e arricchite da frecce, barre
ed elementi ornamentali
WRITER: uno che dipinge, specie come occupazione principale
WRITING: l’uso di pennarelli o vernice spray
YARD: deposito ferroviario
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2013
Musso Claudio & Naldi Fabiola, Frontier: The Line of Style, Damiani, Bologna 2013
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Dedicato a:
I miei genitori, Roberta e Paolo
Francesco “Seeso” Bertocchi
Anis Saraci
Matteo Segna
Enrico “Ryts” DeNapoli
Giada Pellicari
Grazie per il sostegno, l’aiuto ed i buoni consigli che mi avete dato !
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Carpenè Francesco
Arti Visive e dello Spettacolo
Sessione di Laurea del 26/27 Marzo 2014
“The Fabulous Five” e “Arte di Frontiera”: l’ ingresso del writing nelle gallerie d’arte
Supervisore: Prof. Castellani Francesca
Correlatore: Dott. Di Stefano Chiara
Abstract (Italiano)
Questo elaborato tratta la storia delle due mostre “The Fabulous Five: Calligraffiti
di FREDerick Brathwaite e George LEE Quinones” (una prima internazionale per
la graffiti art) e “Arte di Frontiera: New York Graffiti” (l’esibizione a tema graffiti
più importante e meglio organizzata in Italia), avvenute rispettivamente alla Galleria
“La Medusa” di Roma nel dicembre 1979 e alla “Galleria Comunale di Arte
Moderna” di Bologna nel marzo-aprile 1984.
Lo studio ha cercato, innanzitutto, di riportare alla luce due eventi che sono
testimonianza di un precoce interesse internazionale verso il writing, inserendoli
all’interno di una panoramica storica e dando risalto alla documentazione originale.
Nelle conclusioni del lavoro sono state discusse le eredità di questi eventi, prendendo
in esame il progetto “Frontier: la linea dello stile”, organizzato a Bologna
nell’estate 2012.
Gli interventi citati di artisti, critici, curatori e di altre figure coinvolte vogliono
essere inoltre stimolo alla riflessione su questioni ancora attuali come “Cos’è e cosa
rappresenta il writing?” e “In base a quali criteri possiamo giudicare qualcosa come
arte o meno?”.
L’elaborato è stato essere suddiviso in tre capitoli fondamentali.
Nel primo si è voluto fornire una panoramica generale, ripercorrendo le dinamiche
che portarono il mondo dell’arte ad entrare a contatto con la realtà urbana del writing.
Dalle prime mostre realizzate negli anni ‘70 al successo di artisti come Jean-Michel
Basquiat e Keith Haring, la tendenza vede il suo apice a New York, nella prima metà
degli anni ‘80.
Nel secondo capitolo le due mostre “Fabolous Five” e “Arte di Frontiera” sono state
prese in esame nello specifico, ripercorrendone la storia, analizzandone le opere e
facendo riferimento ai cataloghi originali.
Il terzo capitolo conclude lo studio, riportando il caso dell’evento “Frontier: la linea
dello stile” che ha avuto luogo a Bologna nell’estate 2012. Per “Frontier” il progetto
di riqualificazione urbana attraverso il lavoro di tredici writer italiani ed
internazionali si unisce all’esplicito intento di celebrare la mostra “Arte di Frontiera”,
svoltasi nella stessa città ventotto anni prima.
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Abstract (English)
This dissertation debates about the history of the two exhibitions “The Fabulous
Five: Calligraffiti di FREDerick Brathwaite e George LEE Quinones” (the first
graffiti-themed art show outside of the United States) and “Arte di Frontiera: New
York Graffiti” (the biggest and most influential exhibit of its genre in Italy), which
took place, respectively, at Rome’s “Galleria La Medusa” in December 1979, and at
Bologna’s “Galleria Comunale di Arte Moderna”, between march and april 1984.
The study tries, foremost, to rediscover two events that showed an early interest for
the writing phenomenon by an international audience, putting them in an historical
perspective and giving prominence to the original documentation. In the work’s
conclusions the heritage of these exhibits have been debated, covering the project
“Frontier: the line of style”, organized during the summer of 2012 in Bologna.
The quoted interventions of the artists, the critics, the art curators and other actors
involved, wants furthermore to encourage still relevant questions as “What is writing
and for what it stands for?” and “By which standards can we consider something as
art or less?”.
The dissertation have been divided in three main chapters.
The first one wants to give a general perspective on how the art world came in
contact with the writing’s urban reality. From the first shows in the ‘70s to the
success of artists as Jean-Michel Basquiat and Keith Haring, the trend reached its
peak during the first half of the ‘80s in New York City.
On the second chapter “The Fabolous Five” and “Arte di Frontiera” are debated
specifically, retracing their story, analyzing the art works they showed and making
reference to their original catalogues.
The third chapter close the study, bringing the event “Frontier: the line of style” that
took place in the summer of 2012 in Bologna. In “Frontier”, the project of urban
redevelopment trough the work of thirteen Italian and international writers, goes
along with the open intent of paying homage to the fundamental “Arte di Frontiera”
exhibit, occurred in the same city twenty-eight years before.