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Comportamenti Aggressivi e Sviluppo
dellAtmosfera Morale nel Contesto Scolastico:
una Ricerca sugli Studenti delle Scuole Superiori
di Silvia Borghi
tesi di laurea
Dipartimento di Psicologia
Facolt di Lettere e Filosofia dellUniversit di Parma
Parma 04/12/2002
Ai miei nonni
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Ringraziamenti
Provo una grande emozione, nel ripensare a tutte le persone che mi
state vicine in questi cinque anni e che hanno partecipato in diversi modi, al
raggiungimento di questobiettivo tanto faticoso quanto importante.
Alla citt di Parma, che nel 1996 ha dato vita ad un nuovo corso di laurea
con il quale io ho mossi i primi passi da studentessa universitaria e che mi ha
accompagnata durante tutto questo percorso, permettendomi di restare vicina
alla mia citt e ai miei affetti evitandomi notevoli disagi.
Tra le molte persone che fanno parte del sistema di rapporti entro i quali
il progetto ha acquistato vita, desidero ricordarne qui alcune in particolare.
Sento il bisogno di ringraziare la Prof.ssa Tiziana Mancini per avermi
scelta con fiducia e considerazione nello svolgimento di questo progetto
sperimentale, per la solerzia con cui ha curato e seguito costantemente il mio
lavoro e per il suo particolare sostegno tecnico formativo e morale.
Sono sinceramente riconoscete al Prof. Daniel Brugman per la sua
disponibilit e prontezza nelloffrirmi consigli, suggerimenti e per aver
supervisionato sempre tutto il mio lavoro.
Sono grata alla Prof.ssa Laura Fruggeri per aver rispettato il mio
interesse nei confronti dei due argomenti che sono poi diventati il nucleo della
mia tesi e per aver confidato in me per la buona riuscita del piano di lavoro.
Un pensiero speciale di riconoscenza lo rivolgo a tutti i presidi e agliinsegnanti delle sei scuole superiori della citt di Parma: liceo linguistico
Marconi, liceo scientifico Ulivi, ITC Melloni, ITIS Da Vinci, IP Giordani e IPSIA
Levi, per la grande disponibilit che mi hanno dimostrato nellaccogliere il
progetto e per aver contribuito a superare le difficolt burocratiche e
organizzative dovute alla somministrazione dei questionari.
Ringrazio con affetto tutti gli studenti delle sei scuole superiori di Parma
che si sono impegnati a rispondere in modo coerente al questionario e hannoespresso interesse per la conoscenza dei risultati finali.
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Da ultimo, ma non per importanza, unisco con un immenso abbraccio
tutti coloro che mi sono stati vicini offrendomi un sostegno morale e materiale
per raggiungere questa importante meta. La mia famiglia, Enrico, Elisa, Davide,
Rosi, Maurizio, Luca, Ilaria, Angela, Benedetta.
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Comportamenti aggressivi e sviluppo dellatmosfera morale nel contestoscolastico: una ricerca sugli studenti delle scuole superiori
INDICE
Ringraziamenti ............................................................................2
Ringraziamenti ............................................................................2
INDICE .........................................................................................4
INDICE .........................................................................................4
Introduzione ..................................................................................8
Introduzione ..................................................................................8
Capitolo 1 ...................................................................................10
Capitolo 1 ...................................................................................10
Adolescenza e socializzazione secondaria nel contesto
scolastico: i due contesti oggetto danalisi in questa ricerca ...... 10
Adolescenza e socializzazione secondaria nel contestoscolastico: i due contesti oggetto danalisi in questa ricerca ...... 10
1.1 LAdolescenza......................................................................101.2 Apprendimento di norme......................................................121.3 Ragionamento morale e moralit della condotta..................171.4 Daniel Brugman e il costrutto di atmosfera morale scolastica
........................................................................................191.5 Socializzazione secondaria..................................................23
1.6 Bullismo, condotte devianti e comportamento aggressivo.. .28violazione propriet ....................................................................31
violazione status .........................................................................31
Capitolo 2 ...................................................................................34
Capitolo 2 ...................................................................................34
Il comportamento aggressivo .....................................................34
Il comportamento aggressivo .....................................................34
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2.1 Teorie sullaggressivit.........................................................3434
2.2 Laggressivit come istinto...................................................352.3 Frustrazione e aggressivit..................................................37
2.4 Laggressivit come comportamento appreso......................412.5 La costruzione sociale dellaggressivit...............................442.6 Teoria delle interazioni sociali delle azioni coercitive...........46
Capitolo 3 ...................................................................................49
Capitolo 3 ...................................................................................49
Obiettivi della ricerca e aspetti metodologici..............................49
Obiettivi della ricerca e aspetti metodologici..............................49
3.1 Obiettivi e Ipotesi..................................................................493.2 Descrizione dello strumento.................................................513.3 Procedure di somministrazione............................................55
553.4 Campione.............................................................................573.5 Descrizione dellelaborazione dei dati..................................64
Capitolo 4 ...................................................................................66
Capitolo 4 ...................................................................................66
Lelaborazione dei dati...............................................................66
Lelaborazione dei dati...............................................................66
4.1 Il Costrutto datmosfera morale scolastica e i suoi indicatori.........................................................................................66
4.2 La scala dellaggressivit.....................................................684.3 Atmosfera Morale Scolastica e Comportamenti Aggressivi..79
4.4 Un confronto in funzione della scuola frequentata dai soggetti........................................................................................81
4.5 Un confronto in funzione del genere e della scuolafrequentata dai soggetti...................................................87
4.6 Un confronto in funzione della classe frequentata dai soggetti........................................................................................96
Capitolo 5 .................................................................................100
Capitolo 5 .................................................................................100
Riflessioni conclusive ...............................................................100
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Riflessioni conclusive ...............................................................100
5.1 Uno sguardo dinsieme.......................................................100
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI...............................................105
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI...............................................105
Immagina che Giovanni sia un tuo compagno di classe ..........119
COSA ACCADE NELLA TUA SCUOLA? ..............................128
Immagina che Anna e Marco siano tuoi compagni di classe ...128
IN UNA SITUAZIONE COME QUELLA DESCRITTA:.............1283 MOTIVI PER NON DERUBARE UN COMPAGNO DI CLASSE
......................................................................................1294 MOTIVI PER DERUBARE UN COMPAGNO DI CLASSE ... .1305 LA TUA OPINIONE SUL FURTO ..........................................1316 RUBARE E SBAGLIATO? ....................................................1317 MARCO RUBA I SOLDI........................................................1318 MOTIVI PER DIRE A MARCO DI RIMETTERE A POSTO I
SOLDI............................................................................132MOTIVI PER NON DIRE NIENTE A MARCO .........................13210 DIRE O NON DIRE AL PROFESSORE CHE MARCO HA
RUBATO I SOLDI..........................................................133
13 DIRE O NO ALLO STUDENTE CHE DEVE RIMETTERE APOSTO I SOLDI ...........................................................135
14 DIRLO O NO AD UN PROFESSORE O AL PRESIDE ......13615 CHE COSA SUCCEDE NELLA TUA SCUOLA? ................136
Appendice B .............................................................................147
SCALA: VALUTAZIONE DELLA SCUOLA ...............................147
Valutazione estrinseca della scuola:........................................147
Identificazione entusiastica:.....................................................147Relazioni sociali: .......................................................................148
SCALA: LA SCUOLA COME COMUNIT ................................148
Negazione della comunit ........................................................148Senso di comunit ....................................................................148
SCALA CONTENUTO DELLE NORME: AIUTO ......................149
SCALA CONTENUTO DELLE NORME: FURTO .....................150
SCALA:DEMOCRAZIA/INFLUENZA STUDENTI.....................150
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SCALA:STADIO DELLE NORME ............................................151
F 3- MOTIVI PER NON DERUBARE UN COMPAGNO DICLASSE ........................................................................153
F 4- MOTIVI PER DERUBARE UN COMPAGNO DI CLASSE 155
F 8- MOTIVI PER DIRE A MARCO DI RIMETTERE A POSTO ISOLDI............................................................................156
Appendice B .............................................................................157
Appendice B .............................................................................157
Coodbook ................................................................................157
Coodbook ................................................................................157
SCALA: LA SCUOLA COME COMUNIT................................159SCALA CONTENUTO DELLE NORME: AIUTO......................161SCALA CONTENUTO DELLE NORME: FURTO.....................163SCALA: STADIO DELLE NORME............................................164F 3- MOTIVI PER NON DERUBARE UN COMPAGNO DI
CLASSE ........................................................................165F 4- MOTIVI PER DERUBARE UN COMPAGNO DI CLASSE
......................................................................................167F 8- MOTIVI PER DIRE A MARCO DI RIMETTERE A POSTO I
SOLDI............................................................................168SCALA: DEMOCRAZIA/INFLUENZA STUDENTI....................169
Appendice C .............................................................................170
Appendice C .............................................................................170
Analisi dei dati..........................................................................170
Analisi dei dati..........................................................................170
Capitolo quarto.........................................................................170
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Introduzione
Lo studio presentato in questo testo fa parte di un pi ampio progetto di
ricerca condotto in Olanda da D. Brugman e coll. (1999), successivamente
effettuato in Russia da un gruppo di psicologi dello sviluppo ed infine realizzato
in Italia allo scopo di validare lo strumento utilizzato anche nel nostro contesto.
La scelta del nostro paese tra il palinsesto europeo motivata dalla stima
professionale, dallinteresse verso il contesto sociale della scuola e dalla
prospettiva privilegiata: quella psicosociale.
Gli argomenti esaminati chiaramente da un punto di vista relazionale
sono: il costrutto datmosfera morale scolastica e i comportamenti aggressivi nel
contesto scolastico, in particolare in sei scuole superiori della citt di Parma.
Entrambi i concetti sono considerati in rapporto ad una precisa fascia det,
ladolescenza.
Scopo principale della mia tesi di verificare se il costrutto datmosfera
morale scolastica correlato ai comportamenti aggressivi espressi nel contesto
scolastico. Ad un aumento della percezione dellatmosfera morale scolastica
corrisponde una riduzione dei comportamenti aggressivi degli studenti?
Nella prima parte sar presentato un approfondimento della letteratura
riferita, in generale, alle principali problematiche adolescenziali e in particolare
ai compiti di sviluppo specifici di questa fascia det. Sar poi indagato il
rapporto delladolescente con le norme, i valori, la moralit, il costrutto
datmosfera morale scolastica e la scuola considerata come un contesto di
socializzazione secondaria in cui possono manifestarsi, con forme diverse,
disagi e difficolt, che talvolta evolvono in comportamenti trasgressivi e
aggressivi (Capitolo primo).
Nel (Capitolo secondo) sar effettuata un analisi accurata delle diverse
teorie sullaggressivit.
Nella seconda parte, dedicata alla ricerca empirica, saranno espressi: le
finalit, i soggetti, lo strumento di rilevazione, le procedure di somministrazione
danalisi dei dati (Capitolo terzo).
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Nel Capitolo quarto sar eseguita lelaborazione dei dati, passando in
rassegna tutte le ipotesi alla luce dei risultati ottenuti.
In ultimo, si tenter di cogliere il filo conduttore che sintetizza i principali
risultati emersi e che conferisce al lavoro un significato dinsieme al fine dioperare una riflessione sui possibili risvolti operativi di questa ricerca Capitolo
quinto.
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Capitolo 1
Adolescenza e socializzazione secondaria nel contesto
scolastico: i due contesti oggetto danalisi in questa ricerca
1.1 LAdolescenza
Ladolescenza costituisce un periodo di rapidi e profondi cambiamenti
che si realizzano in ambiti molteplici e con tempi e modalit variabili da
individuo ad individuo. E quella fase della vita umana, normalmente compresa
tra gli 11 e i 18 anni, nel corso della quale lindividuo acquisisce le competenze
e i requisiti necessari per assumere le responsabilit dadulto (Palmonari,
1997, p. 45). Nel processo di transizione verso lo stato dadulto entrano in gioco
ed interagiscono tra loro fattori di natura biologica, psicologica e sociale. Anche
se ha cominciato ad essere definita e studiata come fase specifica della vita
soltanto nel momento in cui la rivoluzione industriale ha imposto lesigenza di
un periodo assai prolungato di preparazione alla vita adulta e anche se si
presenta secondo modalit assai differenti da cultura a cultura, ladolescenza
sembra contrassegnata da alcuni fenomeni peculiari che possono essere
considerati universali.
Ladolescenza inizia con la pubert, ma non solo il mutamento
biologico connesso con la pubert che provoca il momento adolescenziale; al
cambiamento fisico si associano esperienze emozionali molto intense:
lindividuo trattato, dalle persone con cui abitualmente in contatto, in modo
diverso da come era trattato da bambino. Le richieste che gli sono rivolte si
modificano, ci si aspetta da lui (o lei) un comportamento da adulto, ma
contemporaneamente lo si continua a considerare non autonomo, non in grado
di prendere da solo certe decisioni rilevanti per il suo destino (bere alcool o no,
uscire la sera coi coetanei, scegliere lorientamento scolastico, ecc).
Di questo mutamento di relazioni ladolescente particolarmente
consapevole, in rapporto ad esso modifica il proprio atteggiamento verso se
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stesso e il mondo circostante. Il primo indice, frequentemente conflittuale, di
questo cambiamento di atteggiamenti si manifesta nel fatto che egli/ella non
accetta pi di essere totalmente dipendente dalla propria famiglia e dalle varie
forme di sostegno sociale-affettivo che la famiglia gli/le ha fornito sino a quel
momento. E in momenti critici di questo tipo, in cui in atto una vera e propria
riorganizzazione del sistema del s, che la specificit di un sistema sociale offre
alla persona la possibilit di trovare soluzioni adeguate.
Lorganizzazione della vita sociale di tutti i giovani in gruppi di et, tipica
della societ odierna, diviene decisiva a questa et (Sherif, 1984). Essendo
costantemente a contatto con tanti coetanei che condividono gli stessi problemi
(a scuola, sul lavoro, nel tempo libero), ladolescente rafforza ed estende leproprie relazioni con il gruppo di pari cos che tali relazioni diventino pi
frequenti, intense e significative. La riorganizzazione del sistema del s,
dunque, si verifica anche grazie a questa fitta rete di relazioni e di scambi in cui
il soggetto, consapevolmente almeno in parte del cambiamento che lo
concerne, verifica il proprio valore e riflette su se stesso. In questo processo
gioca un ruolo non irrilevante anche lacquisizione, o meno, da parte
delladolescente della capacit di ragionare in termini formali o ipotetico-
deduttivi (Piaget e Inhelder, 1955). Se, infatti, il soggetto in grado di ragionare
su se stesso in termini astratti cercher una rappresentazione di s molto
coerente da un punto di vista logico e potr anche considerare la propria
immagine attuale come una tra le varie alternative possibili.
Non certo che tutti gli adolescenti raggiungano lo
stadio del pensiero formale; in primo luogo si pu ben affermare che, a certe
condizioni, gli adolescenti sono in grado di , di
elaborare un insieme combinato di ipotesi, di ricercare le verifiche ma anche di
falsificarle, di dedurre da premesse generali conseguenze logicamente
connesse anche se concretamente non realizzate (Carugati, 1997). E poi ci
sono le norme e le regole della vita sociale che veicolano alcune condizioni di
realizzabilit dei progetti: permessi, obblighi e divieti anche solamente evocati in
maniera pertinente svolgono un ruolo cruciale nellattivare forme di
ragionamento adulto. Ladolescenza si conclude quando lindividuo in grado
di stabilire rapporti stabili e significativi con se stesso, con i gruppi di riferimento
pi prossimi e con il proprio ambiente di vita pi ampio (Palmonari, 1997, p.
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47). Questassunzione, fondata sul carattere attivo del rapporto s-altri-mondo
(Mead, 1934), indica che nel corso delladolescenza accadono avvenimenti che
obbligano lindividuo a comportarsi e a definirsi in rapporto sia con lambiente in
cui inserito, sia con i gruppi di cui membro, sia con le proprie trasformazioni.
Assumendo la metafora fornita da Siddarda, il libro di Hermann Hesse
che, a torto o a ragione, considerato da molti un resoconto prototipico delle
vicende adolescenziali, let adolescenziale pu essere vista come la traversata
di un gran fiume impetuoso. C, ad un estremo, chi gi sperimentato nella
navigazione, pu attraversarlo in un giorno di quiete, guidato da un barcaiolo
saggio che chiede la collaborazione attiva del passeggero e napprezza le
qualit. C, allaltro estremo, chi assolutamente privo di esperienza, deveimbarcarsi nella traversata in un giorno di tempesta, su un battello sgangherato
guidato da un barcaiolo ubriaco e disorientato. Le metafore hanno sempre un
valore limitato, tuttavia questa permette di sottolineare due cose: in tutte le
adolescenze il protagonista deve affrontare una gran mole di problemi; non
esiste adolescenza senza problemi, anche se nella maggior parte dei casi tali
problemi possono essere, con costi pi o meno alti, risolti. Inoltre nel percorso
adolescenziale il protagonista non mai del tutto solo: egli sempre in
compagnia di altri (genitori, insegnanti, coetanei, altre persone significative) che
possono offrirgli una guida sicura e comprensiva, oppure richieste
incomprensibili tali da svalorizzare il senso del suo impegno, o al limite dargli
indicazioni frammentarie e contraddittorie che aggiungono confusione alla
mancanza di esperienza.
1.2 Apprendimento di norme
Lacquisizione di norme ha le sue radici nellinfanzia, nel contesto
della socializzazione primaria. Con questo termine mi riferisco ai processi per
mezzo dei quali i modelli di ciascuna societ sono trasmessi da una
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generazione a quella successiva e il modo in cui i bambini vi si adeguano ed
eventualmente li adottano. Questo processo non inizia con i principi morali di
carattere generale del tipo >, dal momento che questi
sono, per i piccoli, prncipi troppo astratti da afferrare. Diversamente viene
avviato con esempi concreti di comportamento come: usare un cucchiaio invece
del dito per mangiare, non sottrarre giocattoli ad un altro bambino e cos via
(Schaffer, 1998).
Le norme che regolano il comportamento sociale assumono varie
forme, ma una distinzione fondamentale che, secondo Turiel (1983), gi
presente nei bambini piccoli quella tra regole pertinenti alle convenzioni
sociali e alla moralit. Le regole convenzionali esprimono una norma arbitraria,sono una questione di scelta; sono specifiche di certi insiemi come la famiglia,
la scuola o i gruppi di coetanei e servono a mantenere un particolare sistema
sociale nellambito di modalit prevedibili. Le regole relative alla moralit, daltra
parte, sono universali; sono valide sia che intorno ad esse ci sia consenso o
meno, dal momento che si riferiscono a modelli etici comuni allumanit e sono
quindi obbligatorie. La trasgressione di una convenzione sociale pu offendere
altri membri del gruppo, mentre la trasgressione di una prescrizione morale
una violazione dei prncipi che garantiscono i diritti e il benessere degli altri.
Il prodotto finale del processo di socializzazione un individuo che
pu distinguere il giusto dallo sbagliato ed pronto ad agire
conseguentemente; un tale individuo pu considerarsi in possesso di senso
morale, ovvero il suo comportamento sosterr lordine sociale e lo far in modo
convinto e non a causa della paura della punizione. I genitori e gli educatori
dedicano molti sforzi a controllare i bambini e a insegnar loro ad accettare i
modelli degli adulti; mentre lobbedienza dipende da sanzioni esterne, la
moralit basata su convinzioni profonde proprie dellindividuo in merito alle
modalit secondo le quali le persone dovrebbero comportarsi nella societ
(Schaffer, 1998, p. 337).
Qual il rapporto tra apprendimento delle norme e sviluppo morale? Tale
questione ha catturato linteresse specifico di due psicologi: Piaget e Kohlberg.
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La teoria di Piaget. La convinzione dellesistenza di una natura
attiva del bambino nel costruire dei prncipi morali si deve a Piaget, il cui libro
(1932), analizza numerosi aspetti del
pensiero morale. Di questi uno riguardava la natura delle regole sociali e la loro
validit, un altro aspetto riguardava cosa i bambini pensassero di trasgressioni
come rubare, mentire, danneggiare propriet; e un altro aspetto ancora si
riferiva ai concetti che i bambini possiedono dellautorit e delle origini della
giustizia.
Piaget, in base a tutti i risultati presentati nel suo libro, concluse che nei
primi 4 anni di vita i bambini sono ancora in un periodo premorale. In questa
fase i bambini hanno scarsa conoscenza di cosa sia una regola e a che cosaserva. Dopo i 4 o 5 anni entrano nella fase del realismo morale, cos chiamato
perch i giudizi sembrano essere basati sul danno reale che stato compiuto.
Intorno allet di 9 o 10 anni i bambini diventano capaci di soggettivismo morale,
comprendono che le regole sono degli accordi arbitrari che possono essere
sfidati e cambiati di comune accordo e capiscono che sbagliata la
trasgressione dei principi morali. In questo processo devoluzione, i bambini
diventano consapevoli che le regole non sono immutabili, ma possono essere
modificate in base ad un accordo reciproco passano cio da un realismo
morale (legge proveniente dallesterno) e da una regola coercitiva a una morale
di cooperazione e di giustificazione razionale, su cui si basa la morale
autonoma (Favretto, 2001, p. 55).
Il modello di Piaget basato sulla progressione a 3 stadi dello sviluppo
morale stato estremamente influente, in modo particolare a causa dellenfasi
posta sul ruolo costruttivo del bambino. Allo stesso modo il modello stato
molto criticato per la natura monolitica degli stadi e perch troppo poco
sofisticato: si basa soltanto su 3 stadi ed stato centrato principalmente su una
transizione (quella dal realismo al soggettivismo) e sostiene che lo sviluppo
morale raggiunga la maturazione nella media infanzia, senza possibilit di
ulteriori progressi. Le ricerche successive hanno cercato di rimediare a queste
carenze.
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La teoria di Kohlberg. Lo schema di gran lunga pi conosciuto oltre al
lavoro di Piaget quello di Kohlberg il quale considera che lo sviluppo morale si
produce grazie alla maturazione cognitiva ed ai conflitti interpersonali i quali,
generando disequilibrio, facilitano levoluzione verso strutture morali pi
adeguate.
Kohlberg considera il giudizio morale come un percorso che si snoda
attraverso strutture cognitive sempre pi complesse ed estende la sua
riflessione anche a soggetti adolescenti e adulti. Egli individua le diverse forme
del giudizio morale attraverso compiti >
sottoposti inizialmente ad 84 ragazzi dai 10 ai 16 anni della periferia di Chicago
nel quadro di uno studio longitudinale (Kohlberg, 1969). I soggetti dovevanopronunciarsi su una serie di dilemmi morali (ad esempio, per salvare la sua
compagna gravemente ammalata, un uomo ha diritto di rubare non avendo la
possibilit economica di acquistare le medicine necessarie?) ed esplicitare il
loro ragionamento, esprimendo non ci che essi avrebbero fatto in quelle
circostanze, ma ci che essi ritengono debba essere fatto. Interessato alla
strutturazione dellargomentazione morale e non ai contenuti, Kohlberg ha
individuato sei stadi.
Gli stadi 1 e 2 si collocano a livello pre-convenzionale: la qualit morale
delle azioni determinata dalle conseguenze fisiche delle azioni stesse
(punizione, ricompensa) senza che i valori in gioco vengano considerati. Esso
lo stadio tipico dei bambini sino a circa 9 anni di et. Segue il livello
convenzionale, caratteristico di molti adolescenti e adulti, che corrisponde ad
una conformit legale ed interiorizzata delle aspettative famigliari, gruppali o
nazionali, per le quali il soggetto rinuncia ai suoi interessi immediati. Pi
specificatamente lo stadio 3 corrisponde alle aspettative interpersonali;
considerato come morale il comportamento che reca piacere agli altri; ed ,
pertanto volto alla ricerca dellapprovazione altrui. Nel quarto stadio sono
preponderanti invece il rispetto delle regole sociali e della buona condotta. Il
livello post-convenzionale, che contraddistingue il ragionamento morale di una
minoranza di adulti, concepito da Kohlberg come quello dellautonomia
morale e dei principi fondamentali. Lo stadio 5 quello del contratto sociale;
lidea di base quella secondo cui la convivenza collettiva resa possibile
dalladesione ad un contratto sociale che prevede il rispetto di alcune norme. Lo
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stadio 6 sispira a principi etici universali; se le regole e le leggi esistenti sono in
conflitto con tali principi, a questi ultimi che il soggetto d la priorit. Sono
fondamentalmente dei principi di giustizia, di reciprocit e di uguaglianza fra le
persone.
Questi stadi sono concepiti come delle strutture universali, invarianti e
gerarchiche dello sviluppo morale. Laspetto gerarchico implica che il passaggio
da uno stadio allaltro sia determinato dalla maturazione endogena delle
capacit cognitive del soggetto e dalle vissute
attraverso interazioni sociali. Quando tra questi fattori si crea uno stato di
, il soggetto portato ad effettuare una
ristrutturazione cognitiva che consente il passaggio da uno stadio inferiore aduno superiore. Ogni stadio non comporta una sostituzione o una modificazione
quantitativa di quello precedente, ma una trasformazione qualitativa degli
elementi dello stadio precedente che sono riorganizzati cos in una struttura
emergente pi differenziata e integrata. Boom, Brugman & Van Der Heijden
(2001) hanno verificato empiricamente la supposta struttura gerarchica degli
stadi proposta da Kohlberg, utilizzando il principio dellastrazione selettiva di
Piaget (1977a, 1977b) ed attraverso il
(WJST).
Laspetto dellinvarianza nel senso che, secondo il modello cognitivo-
evolutivo, e in linea con lo strutturalismo genetico di Piaget, levoluzione morale
degli individui si produce necessariamente secondo la stessa sequenza, anche
se la rapidit della progressione pu variare secondo i soggetti e le culture. La
struttura sembrerebbe essere universale, ad eccezione della fase post-
convenzionale, il cui accesso sembrerebbe invece essere influenzato da
condizioni socio-ambientali. La principale critica che viene mossa al modello
stadiale di Kolhberg che esso ha trascurato i processi di interazione; essi
contribuiscono alla definizione delle norme le quali, a loro volta, regolano i
rapporti interpersonali e sociali; il contesto sociale quindi non pu essere
considerato solo uno sfondo praticamente incidentale rispetto al processo di
sviluppo di un soggetto epistemico che giudica in modo universale e astratto
(De Piccoli, 2001, p. 58).
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1.3 Ragionamento morale e moralit della condotta
Il rapporto che intercorre tra giudizio, o ragionamento morale (che riflette
il modo in cui lindividuo conferisce senso al mondo, come egli concettualizza le
regole e le norme che governano il comportamento), e condotta, o azione
morale oggetto di riflessione da parte di numerosi autori. La relazione pur
plausibile, non tuttavia semplice e scontata. Seppure logicamente
ipotizzabile che, per un principio di coerenza, un certo livello di ragionamento
morale sia correlato ad un determinato modo di agire, tuttavia non possibile
dimostrare lesistenza di un rapporto di causalit diretta o lineare tra giudizio
morale e azione conseguente. Il tema rientra nellampia letteratura psicosociale
che affronta la relazione tra atteggiamento (generico e generalizzabile) e
comportamento (specifico e contestualizzato): si veda ad esempio Fishbein &
Ajzen, (1974; 1975). In letteratura, vi accordo nel riconoscere una differenza
sostanziale tra giudizi morali e giudizi di responsabilit personale. Mentre con i
primi il soggetto si esprime sul valore oggettivo della norma in s, i secondi
sono piuttosto giudizi sul proprio personale rapporto con la norma, sono
rappresentati nei soggetti come principi di azione sulla base non della norma in
s, ma del valore che la norma ha per lui. La connessione tra giudizio e
condotta si avrebbe con lentrata in gioco del , o pi precisamente del
, limmagine di s come centro organizzatore dellazione proprio
degli individui umani, dotato di qualit specifiche come lintenzionalit e
lautoriferimento. Il che attiva lagire rispetto alla norma il
mantenimento dellautostima, la spinta alla coerenza con se stessi, tanto pi
forte quanto pi la norma rappresentata nellindividuo come elemento centrale
del (Paolicchi, 1991, p. 95).
Pensare alla moralit quindi un conto; agire in modo morale un
altro. Ma le due cose sono legate? Un livello maturo di comprensione della
morale garantisce un livello elevato di condotta morale? Secondo Kohlberg
(1981) si pu ragionare in termini di principi e non rispettarli. In altre parole, non
ci si pu attendere una corrispondenza uno a uno: un individuo pu sapere
cosa giusto e comportarsi in ogni caso in modo disonorevole. Ciononostante
difficile credere che i due regni, conoscenza e comportamento, siano
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totalmente separati e che il raggiungimento di risultati in uno di essi non
influenzi la natura dellaltro. A dire il vero Kohlberg stesso conveniva che i due
avevano pi probabilit di mostrare delle corrispondenze mano a mano che
lindividuo raggiungeva i livelli pi elevati di maturit cognitiva: un argomento
sostenuto dalla sua scoperta che tra gli studenti capaci di ragionamento morale
postconvenzionale soltanto il 15% imbrogliava quando gli veniva data
lopportunit, contro il 70% degli studenti che ragionavano ad un livello
preconvenzionale (Schaffer, 1998). Eppure anche in questo caso emerge
soltanto una tendenza: le eccezioni nei due gruppi sono degne dattenzione e
rappresentano la maggioranza e la possibilit di prevedere il passaggio dalla
conoscenza allazione chiaramente unimpresa incerta.
Un problema costituito dal fatto che la condotta morale o azione
morale in se stessa non necessariamente una caratteristica completamente
coerente. Almeno in una certa misura il comportamento delle persone varia da
una situazione allaltra: un individuo che in nessuna circostanza ingannerebbe
la famiglia e gli amici pu non avere scrupoli nel mentire al fisco. Un vecchio
studio di Hartshorne e May (1928-30) esemplifica questa mancanza di
coerenza, come parte della loro ,
hanno studiato fino a che punto 10.000 ragazzi di et compresa tra gli 8 e i 16
anni erano tentati di mentire, imbrogliare o rubare in unampia gamma di
situazioni. I risultati mostravano che i bambini che imbrogliavano in una
determinata circostanza non necessariamente imbrogliavano, mentivano o
rubavano in unaltra. Le conclusioni dello studio di Hartshorne e May puntavano
a mostrare come lonest di un individuo sia influenzata da tanti fattori
motivazionali e situazionali e come la costanza della condotta morale non
possa essere considerata certa (Schaffer, 1998). Fu, infatti, Kohlberg (1981) ad
introdurre il concetto datmosfera morale come collegamento tra il giudizio
morale e lazione morale (Brugman, Podolskij, Heymans, Boom, Karabanova &
Idobaeva, 2002). In generale, tutti i contesti sociali hanno una propria atmosfera
morale, si pu parlare datmosfera morale in famiglia, nel gruppo dei coetanei, a
scuola, nelle aziende, nellesercito, o pi in particolare in una batteria di soldati.
Hst, Brugman, Tavecchio, Beem nel (1998) riprendono il concetto di Kohlberg
(1981) rivolgendosi per ad uno specifico contesto sociale: la scuola, con
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preciso riferimento alla misurazione della percezione che degli individui
(studenti) hanno riguardo allatmosfera morale (a scuola).
1.4 Daniel Brugman e il costrutto di atmosfera moralescolastica
Uno degli autori che si focalizzato sulle condizioni sociali che
influenzano lo sviluppo morale Daniel Brugman, professore ordinario di
psicologia dello sviluppo morale e sociale presso luniversit dUtrecht, in
Olanda, lautore ha condotto diverse ricerche mettendo a punto il concettodatmosfera morale scolastica.
Cosa significa atmosfera morale scolastica?
Il concetto, si riferisce allinsieme di norme informali e valori, che
regolano le relazioni sociali nellambito della scuola e al grado in cui queste
norme e valori sono condivisi dagli studenti. Questo costrutto stato studiato da
Hst, Brugman, Tavecchio, Beem nel 1998 analizzando la percezione che gli
studenti delle scuole superiori hanno dellatmosfera morale scolastica. Gli
studi di Brugman si sono ispirati principalmente alla teoria della (Just Community Approach) di Power, Higgins e Kohlberg (1989).
Partendo dalla teoria educativa di Kohlberg 1969 (vedi paragrafo tre), gli autori
considerano latmosfera morale come un importante tra la
competenza degli individui nel ragionamento morale e il loro comportamento o
azione morale (Higgins, Power e Kohlberg, 1984; Kohlberg, 1984, 1985). La
conseguenza logica derivante dal loro modello, che quando si vuole
migliorare il comportamento morale, si deve migliorare latmosfera morale
contestuale in cui il comportamento occorre. (Hst, Brugman, Tavicchio, e
Beem, 1998).
E importante rilevare laspetto innovativo del costrutto datmosfera
morale scolastica: il contesto relazionale; non pi il soggetto che esprime la
sua opinione, ma la esprime sulla base dellatmosfera morale scolastica che
riflette la prospettiva della maggioranza. A questo proposito le scuole superiori
si sono dimostrate come migliori contesti di ricerca: I problemi del crimine e di
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disgregazione morale nelle nostre scuole, hanno le loro origini nel declino della
cultura scolastica o pi specificatamente, in un pi basso livello datmosfera
morale (Power, 1985, p. 223).
La teoria della Comunit Perfetta, descrive il processo che i membri diunistituzione intraprendono quando sviluppano latmosfera morale allinterno
della loro istituzione (Hst, Brugman, Tavecchio, Beem, 1998, p. 48). Una
comunit un organizzazione sociale in cui i membri si conoscono e si
supportano reciprocamente, hanno scopi comuni e un senso di condivisone
degli obiettivi a cui contribuiscono attivamente sentendosi personalmente
impegnati (Solomon, Watson, Battistich, Schaps, e Delucchi, 1996, p. 720);
lapproccio della Comunit Perfetta ben conosciuto per il sua potenzialit ditrasformare latmosfera morale di un scuola normale nellatmosfera morale di
una comunit giusta e democratica (Kohlberg, 1985). Questo processo di
sviluppo caratterizzato da 6 costrutti (Power, Higgins e Kohlberg, 1989),
ciascuno dei quali suddiviso in passi, fasi o stadi leggeri (soft):
Valutazione della scuola come istituzione, che si riferisce al modo in cui gli
studenti valutano la scuola di per s:
- Stadio 0: rifiuto della scuola (ad esempio, landare a scuola considerato uno spreco di tempo).
- Stadio 1: valutazione strumentale-estrinseco (ad esempio, landare a
scuola considerato importante per il proprio futuro).
- Stadio 2: identificazione entusiastica con la scuola (considerata come
unetichetta sociale di s favorevole)
- Stadio 3: relazioni sociali (la scuola come contesto didentificazionesociale nelle sue relazioni positive).
Stadio della Comunit, che si riferisce alla percezione condivisa della comunit
come valore terminale:
- Stadio 1: affermazione di potere (ad esempio, gli studenti vanno male a
scuola perch sono i professori a decidere la loro sorte).
- Stadio 2: reciprocit concrete (ad esempio, gli studenti si aiutano a
vicenda solo se ottengono aiuto in cambio).
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- Stadio 3: relazioni e condivisione; amicizia (ad esempio, gli studenti
pensano che la scuola sia una grande famiglia).
- Stadio 4: contratto sociale (ad esempio, studenti e professori sono
corresponsabili di ci che accade a scuola).
Grado di collettivit, che si riferisce al grado in cui una norma condivisa dagli
studenti:
- Stadio 1: individuale
- Stadio 2: autorit
- Stadio 3: condiviso nel gruppo (include contronorme e norme)
- Stadio 4: norme collettive
Fase della norma, che si riferisce allimpegno degli studenti a verificare che le
norme siano rispettate.
Stadio della norma, che si riferisce al modo in cui il significato della norma
condiviso:
- Livello 1: pre-convenzionale
- Stadio 1: moralit eteronoma, paura della punizione (ad
esempio, se non aiuti un tuo compagno di classe il
professore potrebbe arrabbiarsi).
- Stadio 2: scambio strumentale (ad esempio, aiuto un mio
compagno di classe, perch piacerebbe anche a me essere
aiutato se avessi bisogno daiuto).
- Livello 2 : convenzionale
- Stadio 3: relazioni, aspettative interpersonali reciproche e
conformit interpersonale (ad esempio, provi ad aiutare uno
studente della classe impopolare che in difficolt, dopo
tutto uno dei tuoi compagni di classe).
- Stadio 4 : sistema sociale & coscienza (ad esempio, se uno
studente non riesce a mantenere il livello degli altri lintera
classe responsabile).
- Livello 3: post-convenzionale
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- Stadio 5 : contratto sociale e diritti individuali (la convivenza
collettiva resa possibile dalladesione ad un contratto
sociale che prevede il rispetto di alcune norme procedurali
per conseguire il consenso sociale).
Contenuto della norma, si riferisce alle norme e mutamenti nellambito di una
comunit: le norme riguardano il prendersi cura, il dare fiducia, linterazione, la
partecipazione, la pubblicit, la responsabilit collettiva, lequit procedurale e
sostanziale, leguaglianza e lordine:
- Stadio 1 : norme di comunit, cura, fiducia, partecipazione, integrazione,
pubblicit, responsabilit
- Stadio 2 : norme di rispetto e onest
- Stadio 3 : norme donest procedurale
- Stadio 4 : norme dordine
Nello studio effettuato da Hst et al. (1998), il Contenuto della Norma
riguardava il fatto di prevedere di fronte ad un dilemma scolastico, di aiutare o
non aiutare un altro studente.
In alcune scuole superiori con una popolazione di studenti volontari
provenienti da backgrounds socio-economici differenti, Brugman et al. 1994,
hanno sviluppato latmosfera morale per mezzo di un programma Just
Community. Il programma consisteva in: a) discussioni aperte focalizzate
sullequit, moralit e comunit; b) conflitto cognitivo stimolato dallesposizione
a diversi punti di vista e a ragionamenti di livello pi alto; c) partecipazione
allelaborazione e allapplicazione delle regole e dellesercizio pubblico del
potere e della responsabilit; d) sviluppo della solidariet allinterno dellacomunit o del gruppo. Nelle scuole in cui stato applicato il Just Community
Approach, gli autori hanno riscontrato che gli studenti sidentificavano di pi con
la scuola, che valutavano, adducendo motivazioni di natura relazionale; lo
stadio di Comunit si era sviluppato nellimpegno e nella lealt verso la
comunit;erano state stabilite Norme Collettive.Mentre, per quantoriguarda la
Fase della Norma, gli studenti avevano sviluppato un senso di responsabilit
verso il mantenimento e le difese alle regole collettive. Lo Stadio della Normarisultava inoltre compatibile o anche maggiore per quanto riguarda i dilemmi
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morali relativi alla scuola e alla vita normale, rispetto ai dilemmi ipotetici. I
dilemmi ipotetici mirano ad elicitare lo stadio pi alto di ragionamento morale
che i soggetti possono raggiungere a quel punto del loro sviluppo, mentre il
ragionamento pratico suscitato dai dilemmi di vita-reale inseriti in un contesto
familiare, istituzionale, per esempio il contesto scolastico. Higgins et. al.(1984) e
Power et. al. (1989) hanno chiamato questi dilemmi istituzionali, dilemmi pratici
e li hanno utilizzati per misurare il rendimento morale o azione morale
(Brugman, Tavecchio, Jan van Os e Hst, 1999). I ricercatori, Brugman et al.
1994, che hanno partecipato a questi programmi dintervento nelle scuole
hanno osservato cambiamenti di rilievo nel comportamento morale degli
studenti: furti, litigi, inganni, fughe da scuola, abuso di sostanze stupefacenti e
dalcool durante le ore scolastiche, sono stati eliminati. Altri risultati positivi sono
stati osservati nel miglioramento dellintegrazione degli studenti di colore, nella
maggiore partecipazione ad incontri democratici e nellintensificazione delle
aspirazioni professionali (Brugman, Hst, Tavecchio, Beem, 1998).
I concetti utilizzati dagli autori nei loro interventi, nelle scuole, sono stati
operazionalizzati e tradotti in uno strumento carta e penna per misurare la
percezione da parte degli studenti dellatmosfera morale scolastica . Per
confermare laffidabilit, la validit e il potere dello strumento, stato effettuato
uno studio che ha coinvolto 1553 studenti provenienti da 32 scuole superiori
olandesi (Hst, Brugman, Tavecchio, Beem, 1998), le scuole furono selezionate
tra 4 tipi di scuole che variavano per livello educazionale. Lanalisi della
varianza ha rilevato differenze significative tra le scuole e i tipi di scuole; le
analisi della covarianza, in cui la competenza morale degli studenti
rappresentava la covariata e latmosfera morale la variabile dipendente, ha
mostrato che leffetto della scuola, per tutte le scuole prese insieme e per ogni
tipo di scuola, rimasto significativo.
1.5 Socializzazione secondaria
La socializzazione secondaria uno dei due contesti oggetto danalisi inquesta ricerca. Gli anni della piena adolescenza tradizionalmente individuati
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come il periodo in cui si realizza la socializzazione secondaria (Carugati e
Selleri, 1995, p. 219) si dimostrano cruciali per lesperienza scolastica. Gli
adolescenti attribuiscono una notevole importanza al superamento dellinsieme
di compiti di sviluppo connessi alla scuola e si dimostrano consapevoli
dellimportanza di concludere positivamente il proprio percorso formativo, sia ai
fini dellinserimento lavorativo o universitario, sia in vista della propria
emancipazione personale (Harper e Marchall, 1991).
Il contesto scolastico come contesto di socializzazione secondaria non
limitato solo allapprendimento inteso come rendimento scolastico, ma anche,
come prima estesa relazione con unistituzione sociale, che contribuisce in
modo rilevante alla formazione degli atteggiamenti verso le autorit formali(Rubini e Polmonari, 1995); il modo in cui gli adolescenti si
alleducazione formale , infatti , considerata come unesperienza incisiva del
rapporto stabilito con il sistema istituzionale globalmente inteso.Gli orientamenti
espressi nei confronti dellautorit formale sono inoltre considerati come un
buon indicatore dei comportamenti trasgressivi o, al contrario, normativi messi
in atto dagli adolescenti (Mancini, 1999). E a questaspetto che ci riferiamo
quando parliamo del processo di socializzazione e, pi specificatamente, a
quella parte della socializzazione secondaria che riguarda la trasmissione, la
rielaborazione, ladattamento, la trasgressione agli elementi normativi. Per
capire meglio questo tema necessario inquadrare alcuni concetti, in
particolare il significato e lobbligatoriet delle norme e la centralit dei soggetti
nellapplicazione delle norme stesse. Com stato ricordato, le norme possono
anche essere definite come schemi per linterpretazione dei comportamenti, i
quali consentono di rendere stabili le interazioni stesse e, allo stesso tempo,
sono fondamento per le relazioni future. Uno degli elementi centrali della norma
la capacit di conferire al comportamento carattere dobbligatoriet.
Lobbligatoriet una modalit, una propriet, un requisito del
comportamento. La semplice propagazione osservabile di una condotta sociale
non basta. La norma procede dallapprendimento di comandi normativi espliciti,
oppure dalla diffusione delle aspettative associate alla propagazione di una
condotta sociale, aspettative che lagente sociale riconosce come obbligatorie
(Conte, 1997, p. 23). Lapprendimento e la diffusione daspettative chiamano
direttamente in causa i processi di socializzazione, allinterno dei quali sono
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esplicitate linsieme delle norme che regolano e organizzano i molteplici contesti
sociali cui partecipano gli individui. Inoltre, se si assume la centralit dei
soggetti non come meri applicatori di norma ma, come utilizzatori consapevoli
delle norme stesse, allora possibile sostenere che allinterno dei processi di
socializzazione si viene a costituire quel utilizzato dagli
individui per interpretare e rendere stabili le proprie interazioni. Inoltre, questo
tessuto normativo continuamente sottoposto a costanti interventi rielaborativi
da parte dei soggetti, al fine di poter essere adattato alle molteplici situazioni
sociali (Zaltron, 2001).
E inevitabile quando si riflette sulle norme, riflettere anche sulla devianza
poich, com noto, la norma in quanto tale, permette di identificare edetichettare ci che non coerente con essa, vale a dire il suo opposto inteso
come devianza. Mi sembra che il termine devianza sia utilizzato in letteratura
soprattutto in relazione a comportamenti che si trovano allestremo di un
continuum che vede, da un lato, un comportamento totalmente deviante e,
dallaltro, un comportamento perfettamente normato; ma tra questi due estremi
sono presenti moltissime sfumature. Talvolta mettiamo in atto comportamenti,
che seppure non sono completamente coerenti con le norme sociali, non per
questo sono definibili come devianti.
Questa considerazione richiama una riflessione sul concetto di devianza;
con questo termine veniva designato un insieme eterogeneo di condotte, il cui
elemento che le accomunava era ovviamente il carattere di trasgressivit. Oggi
la letteratura specifica utilizza il concetto di devianze (e non di devianza)
ritenendo che la devianza, il comportamento antisociale e laggressivit
(argomento che verr ampiamente trattato nel capitolo successivo) siano
fenomeni multidimensionali rispetto alle loro manifestazioni, ai meccanismi che
li provocano ed agli effetti che essi producono (Bonino, Cattelino, 1999).
Nelladolescenza, si assiste ad un costante incremento di comportamenti
devianti, sia per quanto riguarda il numero di soggetti coinvolti, sia il numero
datti commessi, che tende a ridursi intorno ai 18-20 anni (De Piccoli, 2001, p.
69). Questi comportamenti non completamente aderenti alle norme sono
spesso etichettati come trasgressivi: marinare la scuola, trafugare un piccolo
oggetto da un grande magazzino, cimentarsi in prove dabilit che possono
mettere a rischio la propria vita, sono esempi che testimoniano come la
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trasgressione, a diversi livelli di , faccia parte della vita dei giovani.
Ovviamente, non possiamo interpretare nello stesso modo azioni che
pregiudicano pesantemente la vita di se stessi, con azioni che hanno il sapore
di una . E importante considerare la possibilit
che la trasgressione sia anche conseguenza di una devianza contingente che
appartiene alla storia di ciascuno di noi e dogni adolescente, la cui funzione
rinvia allesigenza di sperimentare il rapporto con la norma, la possibilit di
elaborare e gestire il confronto con le conseguenze della sua infrazione e con il
controllo sociale (De Leo e Patrizi, 1999, p. 37).
La maggior parte degli studi sulla devianza n offrono spiegazioni in
chiave individualistica, considerando la trasgressione come il risultato di disturbipsicopatologici del deviante. Tali disturbi, a loro volta, rifletterebbero la storia
evolutiva dellindividuo deviante, piuttosto che la presenza del . Le teorie esplicative della devianza in chiave sociale, per lo pi
elaborate dai sociologi, vedono questultima come il risultato delleffetto
dalcune variabili che definiscono la posizione sociale dellindividuo (per
esempio classe, genere, provenienza geografica ecc.); (Emler, Reicher, 2000).
Per quanto i due approcci esplicativi possano apparire, antitetici, essi
condividono per un assunto fondamentale: la devianza il prodotto di forze
alle quali lindividuo non in grado di resistere; o
che sia, chi compie atti di devianza mosso da forze che sono al di l del suo
controllo.
Queste impostazioni, trascurano completamente di analizzare le basi
sociopsicologiche delle azioni devianti, cio il contesto immediato in cui la
devianza si attiva (o non si attiva) e il significato che essere, o non essere
devianti ha per il mondo sociale degli adolescenti. Le critiche alle
interpretazioni, sia psicologiche sia sociologiche, della devianza sono
argomentate da Emler e Reicher (2000) la cui pars construens della loro
posizione teorica organizzata attorno ad alcune nozioni-chiave.
a) Non vero che la vita sociale attuale si caratterizzi inevitabilmente per
lassenza di scambi significativi tra attori anonimi perch privi di storia. I
rapporti sociali sono la sostanza dellesperienza quotidiana, lacomunicazione avviene non tra estranei, ma generalmente tra persone
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che si conoscono e che nutrono reciproci sentimenti, siano essi positivi,
negativi o ambivalenti.
b) Lazione umana ampiamente controllata dallesigenza di avere una
reputazione. Questesigenza sostenuta dal fatto che le persone siconoscono, hanno aspettative reciproche e si rappresentano le
caratteristiche dei propri interlocutori.
c) La reputazione implica che ogni attore sappia anche che gli altri
esprimono giudizi su di lui (o su di lei) e questo fa s che lattore si sforzi
di confermare o modificare limmagine di s che ha fornito agli altri e che
questi elaborano.
d) A differenza di quello che diverse teorie psicologiche sostengono, gli
autori argomentano che non vero che gli atti devianti siano commessi
da individui isolati e preoccupati soprattutto di tenere nascosto quello che
fanno. Ogni azione deviante ha fin dallinizio un suo pubblico: il fatto che
sia progettata e realizzata di nascosto rispetto a tutori e rappresentanti
della legge non deve fare inferire che non se ne discuta, per progettarla,
in un certo contesto e con un certo pubblico ; chi di
fronte ad un particolare pubblico, si costruito una solida reputazione dadeviante probabile che si impegni per riaffermarla e consolidarla.
e) Gli autori danno rilievo nello svolgimento delle loro argomentazioni, a
due aspetti del contesto: lordinamento istituzionale della societ, che gli
adolescenti sperimentano direttamente grazie al contatto con il sistema
scolastico in cui sono inseriti e mediante il rapporto con le altre agenzie
statali (la polizia, il sistema sanitario, i centri commerciali, le banche,
ecc.); i gruppi sociali informali e in particolare i gruppi di coetanei.
Emler e Reicher (2000), provengono da posizioni teoriche differenti: dalla
teoria della gestione della reputazione sociale luno; dai processi intergruppi
nella prospettiva teorica dellidentit sociale/categorizzazione sociale del s
laltro. I due approcci condividono lattenzione per le modalit attraverso le quali
il s si sviluppa attraverso processi psicosociali; si pu affermare che mentre
lapproccio teorico della gestione della reputazione sociale pone lattenzione
sulle strategie sociali che sono funzionali alla strutturazione del s; quello
dellidentit sociale teso a rintracciare le origini di questo processo nelle
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relazioni intergruppi. Ciascuna di queste due tradizioni teoriche in grado di
sopperire alle debolezze euristiche dellaltra, di conseguenza il loro utilizzo
congiunto un utile strumento concettuale.
Il loro obiettivo quello dillustrare le modalit attraverso le quali, lamessa in atto di condotte devianti, costituisce una strategia potente per
affermare e rivendicare identit sociali che rivestono particolare importanza nel
mondo giovanile. Emler e Reicher (2000) ritengono che lazione, tanto deviante
che conforme, sia espressione di una scelta guidata dalla preoccupazione di
costruire e mantenere una determinata reputazione. Gli autori considerano la
devianza un mezzo con il quale gli individui comunicano qualcosa di s a
persone che conoscono e dalle quali sono conosciuti. (Berti, 1997, p. 347). Laprospettiva dalla quale si osserva il fenomeno devianza quella di una societ
reale dove le persone si conoscono tra loro e gli adolescenti, in particolare,
appartengono a piccoli gruppi in cui ciascun membro a conoscenza di ci che
gli altri fanno e i gruppi stessi sono in relazione con altri gruppi di persone.
1.6 Bullismo, condotte devianti e comportamentoaggressivo.
Il concetto di devianza stato ampiamente argomentato nel precedente
paragrafo e definito come comportamento che devia da una norma sociale,
costituito per la maggior parte dei casi da occasionali trasgressioni,
coinvolgimenti in piccoli reati, irrilevanti dal punto di vista giuridico e della
riprovazione sociale. Solo una percentuale minima di questi soggettiintraprende una (quando il comportamento rimane
stabile nel tempo e la gravit degli atti sembra pi preoccupante). La frequenza
e la gravit degli atti commessi divengono cos indicatori del vero e proprio
comportamento effettivamente deviante sul quale let influisce poco
(Polmonari, 1997).
A questo punto ci sembra doveroso fare riferimento al concetto di
bullismo. Riteniamo, infatti, importante fare assoluta chiarezza circa gliindicatori che, permettono di definire una comune espressione di aggressivit,
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come un fenomeno di bullismo. Il bullismo considerato come uninterazione
deviata tra due o pi soggetti (Fonzi, 1997) nella quale possibile distinguere
due diversi ruoli: laggressore, ossia il soggetto o i soggetti che
sistematicamente provocano, molestano e prevaricano un bambino o un gruppo
di bambini; la vittima, ossia il soggetto o i soggetti che sono esposti
ripetutamente alle azioni offensive messe in atto da uno o pi compagni.
Linterazione tra aggressore e vittima avviene in un contesto specifico, quello
scolastico. Il bullismo non si manifesta soltanto attraverso il contatto fisico e
quindi picchiando, prendendo a calci o a pugni, rovinando o appropriandosi
degli effetti personali di qualcuno, tormentando o dominando la propria vittima.
Esso pu manifestarsi anche attraverso luso di parole o gesti offensivi e quindi
minacciando, deridendo, insultando o facendo affermazioni razziste nei
confronti di un compagno. Esso pu apparire anche senza luso delle parole o
del contatto, semplicemente beffeggiando qualcuno, con smorfie e gesti sconci,
diffondendo pettegolezzi non piacevoli su di lui, escludendolo inizialmente dal
gruppo o ignorando i suoi desideri (Mancini, 1999).
Queste forme di bullismo pi sottile, indiretto e subdolo come
lisolamento sociale, lesclusione intenzionale dal gruppo dei pari, la
manipolazione e lalterazione dei rapporti amicali, sembrano caratterizzare il
bullismo prevalentemente femminile. Al contrario i maschi, oltre che
commettere un maggior numero di atti di bullismo, preferiscono adottare forme
di bullismo pi dirette. I maschi, inoltre sono in gran parte responsabili del
bullismo rivolto alle femmine (pi del 60% delle ragazze prevaricate ha riportato
di essere stata vittima dei ragazzi), mentre pi dell80% dei maschi ha riferito di
essere stato prevaricato da soggetti del loro stesso sesso (Olweus, 1996). Dagli
stessi studi si evince che il fenomeno si manifesta in forme pi gravi e con
maggior frequenza rispetto a dieci, quindici anni fa.
Lincidenza maggiore di questo fenomeno si verifica nellambito
scolastico e non, come sarebbe logico attendersi, nel tragitto casa-scuola. Le
dimensioni delle scuole e delle classi non sembrano comunque essere variabili
rilevanti. Il bullismo non si manifesta prevalentemente nelle grandi citt, anzi se
mai in questi contesti gli insegnanti e i genitori sembrano maggiormente
informati e consapevoli del fenomeno. Tuttavia in generale il personale
scolastico non sembra dedicare la giusta rilevanza e attenzione a fenomeni di
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bullismo, n mette in atto strategie di intervento diretto per contrastarne la
presenza; i docenti sembrano trascurare anche la discussione con gli studenti.
In realt un consistente numero di insegnanti che effettuano supervisione
durante lorario dei pasti o della ricreazione incide profondamente nella
riduzione del fenomeno.
Proviamo ora ad analizzare che tipo di relazione ha il bullismo con altri
comportamenti spesso etichettati come , , , , ? Vorrei
cominciare presentando un grafico (vedi grafico 1) tratto da una metanalisi di
studi sui disturbi della condotta effettuato da Menesini (2000). In esso, si cerca
di sintetizzare la relazione tra le diverse espressioni del comportamentoaggressivo (vedi cap. 2) e dei disturbi della condotta. Questo grafico, in
particolare, individua due dimensioni:
1) dimensione orizzontale: va dalle forme pi nascoste di comportamento
violento e aggressivo, a forme aperte. Le forme nascoste possono essere, per
esempio, rubare, fare atti di vandalismo, infrangere regole, usare sostanze
stupefacenti. Le forme aperte includono comportamenti come laggressivit, la
violenza, la rabbia ed altre forme di natura pi psicologica come lostinazione e icomportamenti di sfida;
2) dimensione verticale: include le forme pi distruttive (in alto) e quelle
meno distruttive (verso il basso) dei disturbi della condotta.
Grafico 1.1 Rappresentazione bidimensionale dei disturbi della
condotta
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violazione propriet aggressivit
formenondistruttivedistruttive
crudelt animali aggressivitdisprezzare
furtilotta accuse
piromania vandalismo
crudelt bullismobugie
ira
scappare bestemmiare sfidare disturba
marinare infrangere regole discutere ostinazione
drogherabbia
permalosit
violazione status opposizione
forme nascoste - aperte
Dallincrocio di queste due dimensioni si pu rilevare come il bullismo siapresente nel quadrante dei comportamenti aggressivi, compreso nella categoria
pi ampia dellaggressivit. Per la posizione che occupa, il bullismo si colloca
tra le forme un po meno distruttive daggressivit, sicuramente meno distruttiva
rispetto ad altre, quali la violenza e la crudelt. Per questo il bullismo raccoglie
molti fenomeni, alcuni pi lievi quali loffesa e la derisione, altri pi gravi quali
laggressione fisica e la violenza (Menesini, 2001).
Fin qui abbiamo definito il bullismo come una sottocategoria delcomportamento aggressivo. Cerchiamo ora di capire con quali caratteristiche
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vuoi per un minor supporto e comprensione verso i soggetti prepotenti da parte
dei compagni. Tuttavia a livello individuale questo pattern comportamentale si
sclerotizza in una modalit abituale di comportamento aggressivo e di
risoluzione di conflitti. Olweus (1996) sostiene che questa forma di continua
oppressione violenta e protratta produce effetti a lungo termine di drammatica
entit sia sulla personalit del persecutore che su quella del perseguitato. Col
tempo e con la generalizzazione di un pattern aggressivo di azione, il bullo pu
giungere a sviluppare e a legittimare condotte antisociali, a sviluppare problemi
con la giustizia e ad entrare comunque in conflitto con lordinamento delle leggi.
Cos il fenomeno del bullismo pu anche essere letto come un aspetto di un
comportamento antisociale precoce che si caratterizza per una generale
mancanza di rispetto per le regole (Olweus, 1996, p. 66).
Abbiamo nominato spesso il termine aggressivit come substrato sia
della devianza sia del bullismo, prima di procedere nella descrizione delle
diverse forme del comportamento aggressivo, vorremmo precisare che, proprio
per le modalit con le quali le relazioni con i compagni di classe sono state
rilevate in questa ricerca (in particolare ci riferiamo alla scala dellaggressivit,
parte terza del questionario Appendice A), esse non saranno caratterizzate
come manifestazione di bullismo. Perch, questo fenomeno non molto
presente nelle scuole superiori, soprattutto in relazione allet del nostro
campione (da 15 a 23 anni), infatti, le prepotenze perpetrate e subite a danno
dei compagni sono diffuse tra i bambini delle scuole elementari (Fonzi, 1997) e
tendono a diminuire progressivamente con il crescere dellet: nella scuola
media e nella scuola superiore in cui il fenomeno scarsamente rappresentato
(Mancini, 1999).
Olweus (1996), tra gli altri, puntualizza che il bullismo una relazione
negativa costante e ripetuta nel tempo. Linterpretazione privilegiata in questa
ricerca, non ci permette quindi di cogliere la reale od oggettiva intensit delle
relazioni analizzate. Parleremo quindi, pi semplicemente, di modalit di
rapportarsi ai compagni di classe che presentano diversi livelli di aggressivit.
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Capitolo 2
Il comportamento aggressivo
2.1 Teorie sullaggressivit.
Si consideri il seguente episodio di cui io stessa sono stata testimone
questestate. Il teatro una famosa discoteca della Versilia, affollata di giovani,alcuni sono in pista a ballare, altri accalcati contro il bancone del bar e altri
ancora seduti ai tavoli. Fra di loro c un gruppo di ragazzi milanesi, venuti l a
fare serata.
La discoteca intasata, fa caldo e c un frastuono assordante. Due
ragazzi Claudio (fiorentino) e Francesco (milanese) iniziano a discutere
animatamente. Improvvisamente il fiorentino balza in piedi, aggredisce
verbalmente il milanese e lo colpisce con un pugno sul mento. Il ragazzomilanese cade e batte la testa contro il vaso di una pianta e crolla sul
pavimento. Gli esce sangue dalla bocca e dal naso.
A quale teoria potrei ricorrere per identificare il comportamento
aggressivo del ragazzo fiorentino?
Due posizioni fondamentali hanno condizionato fortemente la ricerca
psicologica sullaggressivit. Una concepisce laggressivit come una forma di
comportamento che guidata da istinti o pulsioni innate. Laltra invece,
considera laggressivit come qualsiasi altro comportamento acquisito
attraverso lesperienza individuale. C inoltre una terza versione, a met strada
tra le prime due, che unisce i concetti di pulsione e apprendimento, lipotesi
della frustrazione-aggressivit.
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2.2 Laggressivit come istinto.
Lipotesi della psicoanalisi, da un lato, e dalletologia dallaltro, hanno
influenzato, pi dogni altra teoria, le nostre idee quotidiane sulle cause
dellaggressivit.
Allinterno del quadro concettuale della psicoanalisi Freud svilupp per
primo una concezione dellaggressivit posta al servizio del . Laggressivit vista come una reazione dellindividuo alla
frustrazione sperimentata durante la ricerca del o
dellappagamento della libido (lenergia sessuale che parte dell).Per sostenere limportanza dellaggressivit nel comportamento umano
Freud si basa su dati osservati, che interpreta per con una modalit
tipicamente filosofica. Per esempio, in (1930), Freud
scriveva Una parte di vero in tutto questo c, anche se sovente non
riconosciuta, ed che luomo non una creatura mansueta, bisognosa damore
capace al massimo di difendersi quando attaccato; vero invece che bisogna
attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose daggressivit(Freud, 1930, p. 599).
Freud continuava commentando che listinto aggressivo costituisce il
sostrato dogni relazione tenera e amorosa tra esseri umani, con lunica
eccezione, forse, di quella tra la madre e il figlio maschio (Freud, 1930, p. 601).
Va osservato che Freud aveva pubblicato la sua teoria dellaggressivit e
, nel 1920, dopo il lungo e sanguinoso
periodo della Prima guerra Mondiale. Lenergia distruttiva creata da questistintova continuamente allontanata dallindividuo, indirizzandola verso lesterno per
impedire lautodistruzione e mantenere la stabilit intrapsichica. Secondo Freud
il comportamento aggressivo consente di deviare lenergia distruttiva e di ridurre
anche la tensione, proprio come lattivit sessuale allontana lo stato di tensione
(Freud, 1933). Da ci nacque lidea della catarsi, considerata da Freud come
possibilit di rilascio dellenergia distruttiva attraverso il comportamento
espressivo, ma avente solo effetti temporanei. Si possono cos esprimere letendenze ostili ed aggressive in forme non distruttive, come lumorismo
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tagliente o le fantasie, allontanando dal soggetto lenergia distruttiva e
impedendo che si esprima apertamente attraverso manifestazioni di
aggressivit.
Secondo tale prospettiva, laggressivit umana quindi inevitabile.Questo profilo riassuntivo, della teoria psicoanalitica ortodossa sullaggressivit,
solleva il problema di come sia possibile verificare queste assunzioni a livello
empirico. Per tali ragioni, la teoria non ha avuto incidenza effettiva sulle ricerche
contemporanee sullaggressivit, anche se ha originato alcune prospettive a s
stanti, in seno alle quali sono emersi alcuni concetti cruciali: il caso dellipotesi
frustrazione-aggressivit. Anche in etologia, come nella psicoanalisi, vi sono
alcune posizioni teoriche che postulano lesistenza di unenergia istintuale dinatura aggressiva.
Diversamente dal concetto psicoanalitico di pulsione, lapproccio
etologico accorda allaggressivit una funzione al servizio della specie.
Laggressivit vista come una disposizione comportamentale innata che ha
origine dalla selezione naturale, e che, come altre disposizioni, quali il prendersi
cura dei piccoli, accresce la probabilit di sopravvivenza e la conservazione
della specie (Lorenz, 1963).Lorenz sostiene che lorganismo sviluppa continuamente energia
aggressiva. Il verificarsi del comportamento aggressivo dipende da due fattori:
a) lammontare dellenergia aggressiva accumulata allinterno dellorganismo in
un determinato periodo, e b) la forza degli stimoli esterni (ad esempio vedere o
sentire lodore di un predatore) che fa scattare la risposta aggressiva (Krah,
1996, p. 347, trad. aut.). Quando lenergia stata consumata nel
comportamento, la tendenza a continuare le azioni aggressive diminuisce. Se ilsoggetto non incontra uno stimolo scatenante dopo un lasso di tempo
abbastanza lungo, laggressivit pu accumularsi fino al punto di esplodere
spontaneamente, anche in assenza chiari stimoli esterni (Lorenz, 1963). Lorenz
e Freud concordano quindi sul fatto che laggressivit umana sia ineliminabile.
Le conclusioni cui giunge Lorenz sulla possibilit di controllare la violenza, ed
evitare lesplosione spontanea dellaggressivit incontrollata, sono tuttavia
leggermente diverse da quelle di Freud. Lorenz suggerisce di controllare chepiccole quantit di energia siano scaricate attraverso manifestazioni aggressive
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accettate dalla societ, come la partecipazione attiva o passiva ad attivit
sportive competitive.
Lipotesi di Lorenz ha sollevato una serie di critiche che ne mettono in
dubbio la validit. Le scene di violenza tra fazioni opposte di tifosi di calcio,unite ai risultati della ricerca empirica, documentano che le competizioni
sportive sovente producono un crescendo di violenze invece di contribuire a
controllarle e ad indebolirle (Gabler, Schulz e Weber, 1982).
Ritorniamo al caso di Claudio e Francesco e a ci che provoc
lesplosione di aggressivit nella discoteca. Ammettendo che laggressivit sia
un istinto, dobbiamo assumere che al momento in cui Claudio comp lazione
violenta aveva accumulato una forza (energia) sufficiente a generare ilcomportamento aggressivo, nella situazione, Francesco rappresentava
semplicemente lo stimolo scatenante. Linterpretazione, a prima vista, potrebbe
essere plausibile. In realt ci sono alcuni aspetti che rimangono oscuri. Per
esempio, perch Claudio divenne violento proprio in quella situazione? Per
quale motivo fu Francesco a provocare laggressione?
2.3 Frustrazione e aggressivit
Nel 1939 cinque autori, conosciuti come il gruppo di Yale, pubblicarono
un libro intitolato Frustrazione e aggressivit, che diede lavvio alle ricerche
sperimentali sul fenomeno dellaggressivit nellambito della psicologia sociale
(Dollard et. al. 1939). Questi autori rifiutarono il concetto di istinto di morte e
lidea circa lesistenza di pulsioni innate verso laggressivit. Si affidarono pi
alle vecchie idee di Freud, dando risalto alla formulazione di concetti operativi e
di ipotesi verificabili a livello empirico. Il loro modello, prospetta che una
persona sia motivata ad agire in modo aggressivo non da fattori innati, bens da
una pulsione indotta dalla frustrazione. Con il termine frustrazione gli autori
intendono una condizione che sorge quando il raggiungimento di un fine
incontra un ostacolo, laggressione invece unazione che ha lo scopo di
nuocere ad un altro organismo. Il legame tra questi due concetti espressodalla seguente asserzione: la frustrazione conduce sempre a qualche forma di
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aggressivit e laggressivit sempre conseguenza della frustrazione
(Mummendey, 1991).
Se la persona che allorigine della frustrazione fisicamente possente
o ha una forte autorit a livello sociale, lindividuo che sperimenta la frustrazionepu rivolgere la propria aggressivit ad unaltra persona meno pericolosa. Ci
significa che il bersaglio del comportamento aggressivo sostituibile, cos come
la forma assunta dalla reazione aggressiva. La sostituzione del bersaglio e
della risposta sono forme di spostamento dellaggressivit (Mummendey, 1991,
p. 297). Questo concetto come quello di catarsi mutuato dalla psicoanalisi; la
sostituzione serve a scaricare lenergia aggressiva prodotta dalla frustrazione,
mentre la catarsi elimina la prontezza ad agire in modo aggressivo.Lipotesi della frustrazioneaggressivit ricevette molte critiche. Subito
dopo la pubblicazione del libro del Gruppo di Yale, ci fu chi avanz critiche sulla
semplice ipotesi riguardante la relazione causale tra frustrazione e aggressivit.
Si afferm che la frustrazione non conduce sempre allaggressivit, ma pu
essere accompagnata anche da altri tipi di reazione come il pianto, la fuga, o
lapatia. Inoltre, se uno stato di frustrazione pu portare allaggressivit, non
sempre la condizione necessaria: laggressivit pu anche verificarsi in assenzadi una precedente frustrazione. Un assassino a pagamento pu portare a
termine il suo compito senza nemmeno conoscere la sua vittima, e tanto meno
aver subito una frustrazione per causa sua (Mummendey, 1991, p. 297). Altre
critiche sono impostate sul concetto di catarsi e di impulso aggressivo. Le
persone non diventano meno aggressive dopo che hanno compiuto unazione
aggressiva come mostrano le prove sperimentali di Tedeschi e Felson
(Tedeschi e Felson, 1994). Esprimere rabbia, lasciarla sfogare non ci calma e
non ci rende tranquilli, anzi a volte ci rende pi aggressivi. I vari tipi di eventi
negativi che conducono al comportamento aggressivo sono molto specifici. Le
persone tendono a diventare aggressive quando credono che qualcuno le abbia
attaccate o quando pensano di avere sbagliato. In laboratorio il modo migliore
per far diventare i soggetti aggressivi attaccarli, non frustrarli. Per esempio un
insulto, ha molto pi impatto che perdere una gara (Felson, 2000). Gli individui
rispondono alle frustrazioni e agli eventi negativi in altri modi: capovolgendo il
loro ritmo di vita, ubriacandosi, impegnandosi nella risoluzione di problemi o
lasciando stare e ricercando nuovi stimoli. Sono principalmente le frustrazioni
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ingiustificate che spingono gli individui a diventare aggressivi come dimostrano
le prove di laboratorio. In altre parole colpevolizzare qualcuno fondamentale
nel determinare se unesperienza negativa porta al comportamento aggressivo.
Infatti in una ricerca di laboratorio i soggetti hanno reagito a shocks intenzionali
anche quando non avevano realmente ricevuto tali shocks (Epstein e Taylor,
1967). Le cattive intenzioni, non le cattive esperienze conducono a
comportamenti aggressivi perch implicano colpa. Altri studi di laboratorio
mostrano una maggior reazione negativa da pare dei soggetti quando lo shock
provocato da unaltra persona piuttosto che da una macchina (Sermat, 1967).
Il dolore lo stesso, ma il significato diverso. Quando il soggetto colpito,
pensa di essere maltrattato e umiliato di conseguenza reagisce (Felson, 2000,
p. 12, trad. aut.).
Queste obiezioni stimolarono gli autori a modificare in breve tempo le
loro ipotesi originarie. Laggressivit fu cos interpretata unicamente come uno
stimolo che induce una risposta aggressiva inclusa nella gerarchia delle
possibili tendenze di risposta dellindividuo, anche se vista ancora come la
risposta dominante ad uno stato di frustrazione (Miller et. al. 1941). La
frustrazione crea pertanto uno stato di preparazione allaggressivit, ma
leventualit che essa trovi uneffettiva espressione nel comportamento dipende
da altre condizioni. La questione relativa alle specifiche condizioni che
stimolano le manifestazioni di aggressivit ci conducono al lavoro di Berkowitz e
alla sua versione riveduta dellipotesi della frustrazione-aggressivit. Tra i due
concetti cardine egli introduce un principio interveniente, ossia le condizioni (o
stimoli) appropriate per laggressivit.
La frustrazione non provoca immediatamente una reazione aggressiva,
ma suscita nellindividuo uno stato dattivazione emotiva (arousal), cio la
rabbia, la quale crea una condizione interna di preparazione al comportamento
aggressivo. Tuttavia, affinch avvenga unazione violenta necessario che
nella situazione siano presenti stimoli provvisti di un significato aggressivo, in
altre parole stimoli che siano associati a condizioni che liberano rabbia o
semplicemente alla rabbia stessa. Gli stimoli acquisiscono la qualit dindizi
aggressivi grazie a processi di condizionamento classico; in questo modo
qualsiasi persona od oggetto pu trasformarsi teoricamente in uno stimolo per il
comportamento aggressivo. Un atto aggressivo ha dunque una duplice origine:
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la rabbia suscitata nellaggressore e gli indizi presenti nella situazione.
Berkowitz e i suoi colleghi condussero una serie desperimenti per verificare in
modo sistematico tutte queste ipotesi della teoria del segnale-stimolo (Berkovitz
1974). Uno di questi esperimenti in particolare ha destato un considerevole
interesse nei ricercatori, dando adito ad ampie critiche e tentativi in parte riusciti
di replicare un fenomeno divenuto noto con il nome deffetto arma (weapons
effect). Secondo Berkowitz, lesperienza ci porta ad associare determinati
oggetti ad azioni aggressive; tali oggetti possiedono pertanto un alto valore
come indizi aggressivi. Le armi, e soprattutto le rivoltelle, ne sono un eccellente
esempio. Diversamente dai coltelli e dai bastoni, le rivoltelle hanno una
funzione precisa ed evidente. Pertanto la presenza di una rivoltella, in virt del
suo significato aggressivo, dovrebbe produrre tendenzialmente forme
daggressivit pi estreme della presenza doggetti forniti di connotazioni
neutre. Alcuni esperimenti non sono tuttavia riusciti a confermare le ipotesi di
Berkowitz, o perch non hanno trovato alcun effetto arma come (Turner e
Simons 1974) o perch leffetto stato riscontrato in soggetti che non erano
stati sottoposti preventivamente ad unesperienza frustrante (Fraczek 1974;
Schmidt e Schmidt- Mummendey 1974). Sembra pertanto pi opportuno
interpretare leffetto arma come risultato di caratteristiche situazionali che
rafforzano le manifestazioni aggressive, mentre meno certo se si possa
considerarlo un classico stimolo condizionato come nellipotesi di Berkowitz.
Secondo alcuni studiosi, leffetto rinforzante esercitato dagli stimoli aggressivi
pu essere dovuto al fatto che essi segnalano allindividuo che lazione violenta
una forma di comportamento appropriata in quella situazione (Page e Scheidt
1971).
Se applichiamo lipotesi frustrazione-aggressivit nel suo pi ampio
significato al nostro esempio iniziale di Claudio e della sua azione aggressiva
nei confronti di Francesco, linterpretazione di ci che avvenne in discoteca si
rivelerebbe leggermente diversa. Senza dubbio Claudio era frustrato;
probabilmente ci che ha detto Francesco durante la discussione lo ha
sconvolto, forse si sentito insultato e ha reagito in modo aggressivo a questa
frustrazione. Non da escludere che la rabbia di Claudio fosse dovuta ad altre
ragioni, ma Francesco era il bersaglio adatto per scaricare la sua aggressivit.
Parimenti ci si potrebbe interrogare sui potenziali stimoli aggressivi che hanno
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trasformato la rabbia di Claudio in una vera azione violenta. Per esempio tra i
ragazzi fiorentini molto diffuso lo stereotipo dei milanesi come individui
. E dunque possibile che Francesco, poich
milanese, sia stato associato a tale immagine e che abbia assunto il ruolo di
stimolo aggressivo per Claudio. Ma per quale motivo Claudio ha scelto questa
particolare forma daggressivit al posto delle numerose alternative
immaginabili? Le conseguenze previste del comportamento aggressivo sono
state approfondite dalle teorie dellapprendimento.
2.4 Laggressivit come comportamento appreso
Com appresa laggressivit?
Diverse teorie sullapprendimento dellaggressivit sono state proposte
tra 1960 e 1970 da Bandura (1973), Berkowitz (1962), Patterson (1986) e altri.
Pi recentemente i ricercatori hanno introdotto modelli di apprendimento basati
sul pensiero corrente della psicologia cognitiva (Berkowitz, 1990; Dodge, 1980;
Huesmann, 1988). Le specifiche condizioni che hanno mostrato empiricamente
essere le pi conduttive nellapprendimento e nel mantenimento del
comportamento aggressivo sono quelle in cui i bambini sono rinforzati nei loro
comportamenti aggressivi (Patterson, 1986); quando sono fornite opportunit di
osservare il comportamento aggressivo (Bandura, 1973; Eron, Huesmann,
Lefkowitz, Walder, 1972); e quando sono offerte poche possibilit per
sviluppare legami affettivo-sociali positivi con altri (Hawkins e Weis, 1985).
(Felson, 2000, trad. aut.). Mentre queste condizioni possono convivere in tuttele classi sociali, pi probabile che si verifichino nel centro delle citt in cui
lambiente caratterizzato da una deprivazione sociale economica estrema
(McLoyd, 1990). Quindi questambiente incrementa il livello generale di rischio
per tutti i bambini che vi crescono.
Secondo le teorie dellapprendimento le domande che necessario porsi
sono le seguenti: in che modo lindividuo acquisisce le forme di comportamento
aggressivo? Cos che fa s che il comportamento aggressivo sia eseguito nonuna volta, ma ripetutamente, diventando cos abituale? A proposito delle
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condizioni che determinano linsorgenza dellaggressivit, ho gi esposto, degli
stimoli scatenanti e del legame che esiste tra frustrazione e aggressivit.
Vediamo ora come il comportamento aggressivo acquisito e mantenuto.
Condizionamento strumentale. Nella prospettiva del condizionamento
strumentale, il concetto di frustrazione come fomentatore del comportamento
aggressivo irrilevante. Ci che importante invece, la reazione
dellambiente a qualsiasi risposta aggressiva specifica elicitata dallindividuo. Le
risposte aggressive che sono rinforzate a lungo nel tempo si ripetono, quelle
che sono punite invece tendono ad estinguersi. Tali principi operanti sono stati
impegnati con successo da Gerald Patterson e dai suoi colleghi (1993), chehanno proposto una teoria