Università degli studi di Napoli “Federico II” Dipartimento di Farmacia Corso di laurea specialistica in FARMACIA TESI DI LAUREA SPERIMENTALE IN TECNOLOGIA FARMACEUTICA Preparazione ed ottimizzazione di nanocapsule biostabili per applicazioni di smart delivery - Preparation and optimisation of biostable nanocapsules for smart drug delivery applications Relatore Candidato Prof. Antonio Calignano Luigi Angelillo Matr. 511004916 Correlatore Dr. Raffaele Vecchione Anno accademico 2014/2015
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Università degli studi di Napoli “Federico II” Dipartimento di Farmacia
Corso di laurea specialistica in
FARMACIA
TESI DI LAUREA SPERIMENTALE IN TECNOLOGIA FARMACEUTICA
Preparazione ed ottimizzazione di nanocapsule biostabili per applicazioni di smart delivery
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Preparation and optimisation of biostable nanocapsules for smart drug delivery applications
Relatore Candidato Prof. Antonio Calignano Luigi Angelillo Matr. 511004916 Correlatore Dr. Raffaele Vecchione
Anno accademico
2014/2015
Indice
1. Introduzione
1.1 Introduzione ai Drug Delivery Systems (DDSs)
1.2 Drug Delivery Nano Systems ( DDnSs)
1.3 La tecnica Layer-by-Layer
1.4 Biostabilità in ambiente fisiologico e citotossicità dei sistemi LbL
1.5 Applicazioni in medicina
1.6 Scopo del lavoro
2. Materiali e Metodi
2.1 Materiali
2.2 Depolimerizzazione del chitosano
2.3 Sintesi del chitosano-iminotiolano
2.4 Sintesi di eparina-allilamina
2.5 Preparazione delle nanocapsule con tecnica LbL
2.6 Ellman’s test per tioli liberi
2.7 Risonanza magnetica nucleare
2.8 Spettroscopia UV-Vis
2.9 Irradiazione UV delle nanocapsule
3. Risultati e Discussione
3.1 Funzionalizzazione con 2-iminotiolano
3.2 Funzionalizzazione dell’eparina
3.3 Preparazione delle nanocapsule
3.4 PEGilazione delle nanocapsule
3.5 Cross-linking delle nanocapsule
3.6 Studi di biostabilità
4. Conclusioni
5. Appendice: strumentazione e principi di funzionamento
5.1 Dynamic Light Scattering (DLS)
5.2 Spettrofotometrometro
5.3 Nuclear Magnetic Resonance (NMR)
5.4 Viscosimetro Ubbelohde
Bibliografia
1. Introduzione
1.1 Introduzione ai Drug Delivery Systems (DDSs)
Il drug delivery (rilascio del farmaco) riguarda lo sviluppo di sistemi
alternativi per “indirizzare” i farmaci nell’organismo ed ha come obiettivo
quello di circoscrivere l’effetto biologico su una determinata tipologia di
popolazione cellulare, migliorando l’efficacia e riducendo la tossicità della
terapia. 1
L’idea di base si fonda sulla possibilità di somministrare al paziente il
farmaco in maniera predeterminata.
I sistemi di drug-delivery possono avere dimensioni macro (>1mm), micro
(100-0.1μm) o nano (100-1nm) e possono alterare la distribuzione dei
farmaci così come la cinetica; in alcuni casi inoltre consentono di avere una
riserva di molecole attive nel tessuto target per sostenere l’effetto
farmacologico nel corso del tempo.
Negli ultimi anni, la ricerca in questo campo ha conseguito enormi progressi,
grazie anche alla rapida crescita tecnologica che ha permesso lo sviluppo di
metodi alternativi di rilascio del farmaco, basati sulla nanotecnologia. La
somministrazione di agenti antitumorali, ormoni e vaccini ad esempio è stata
resa più sicura ed efficace, specie se comparata alle modalità convenzionali.
Negli anni, molti agenti terapeutici promettenti non hanno avuto successo a
causa della loro limitata abilità di raggiungere specificamente il tessuto
bersaglio. Ad esempio, nella chemioterapia antitumorale, i farmaci citostatici
danneggiano sia le cellule maligne sia quelle sane in fase di replicazione. Si
evince quindi la necessità di rilasciare in maniera mirata il farmaco solo nella
zona d’interesse. L’obiettivo dei drug delivery systems (DDSs) è di superare i
limiti associati alla terapia biomacromolecolare, che includono una breve
emivita plasmatica (a causa della clearance renale e del metabolismo
epatico), una bassa stabilità ed una potenziale immunogenicità, oltre a
mirare a massimizzare l’attività terapeutica e minimizzare gli effetti
collaterali. Quindi, il drug targeting verso una zona specifica è di 2
fondamentale importanza per migliorare l’efficienza dei trattamenti
antitumorali e può essere conseguita dai nuovissimi sistemi DDSs,
sfruttando la dimensione nanometrica del farmaco incapsulato e/o le
caratteristiche delle cellule bersaglio.
Esistono due tipi di targeting: il targeting attivo e quello passivo. Il targeting
passivo non altera la farmacocinetica del farmaco e sfrutta principalmente
l’effetto EPR (Enhanced Permeability and Retention): i tessuti tumorali sono
caratterizzati da un basso drenaggio linfatico e da un’ampia fenestrazione tra
le cellule endoteliali, così che l’alta permeabilità dei vasi sanguigni nel tessuto
malato consente al farmaco nano-incapsulato di passare, mentre la bassa
permeabilità dei vasi sanguigni nei tessuti sani ne previene il passaggio,
riducendo così la tossicità e gli effetti collaterali del farmaco.
Il targeting attivo invece, può essere raggiunto modificando il carrier: i
cambiamenti possono essere legati alla funzionalizzazione di superficie, per
esempio con anticorpi monoclonali, ligandi specifici (glicoproteine, polimeri
idrofilici) o folati, che sono stati spesso legati covalentemente ad un’ampia
gamma di carriers per il drug delivery (come liposomi, polimeri coniugati e
nanoparticelle) con l’obiettivo di incrementare l’uptake cellulare. In 3 4 5 6
effetti è stato appurato che i recettori per i folati, così come quelli della
transferrina, della biotina e dell’integrina, sono ampiamente espressi in
molte tipologie di tumore: così i ligandi possono essere coniugati ai copolimeri
anfifilici che possono essere usati come carriers. 7
Ulteriori strategie di “design” si basano sulla possibilità di allungare la breve
emivita sfruttando un coating di polimeri come il PEG (polietilen-glicole) che
ha proprietà anti-fouling; è così possibile evitare una rapida clearance e/o
l’opsonizzazione, che consiste nella deposizione di macromolecole chiamate
opsonine (macromolecole che, se rivestono un microrganismo, aumentano
enormemente l'efficienza della fagocitosi in quanto esse sono riconosciute da
recettori espressi sulla membrana dei fagociti) sul corpo estraneo, grazie alla
struttura ad ombrello che crea un carrier “stealth” (invisibile).
Si può inoltre progettare un carrier che degrada, rilasciando il composto
attivo, in seguito a cambiamenti di pH o di temperatura, e parleremo in
questo caso di un targeting fisico.
Nanosistemi promettenti e versatili per il drug delivery (DDnSs) includono
nanoparticelle, nanocapsule, nanotubi, nanogels e dendrimeri che vengono
sintetizzati con composizione, forma, dimensione e morfologia controllate,
così da incrementare la solubilità, l’immunocompatibilità e l’uptake cellulare
di un determinato farmaco. 8
L’esempio più lampante riguardo l’efficacia della riduzione delle dimensioni
riguarda la doxorubicina, antracicilina usata da sola o insieme ad altri agenti
chemioterapici per il trattamento di alcune forme di cancro e di metastasi al
seno. Il suo uso clinico è limitato dalla tossicità che può precludere un
adeguato dosaggio o portare a resistenza. L’accumulo di alti dosaggi aumenta
la probabilità di cardiotossicità, mentre dosi singole sono spesso limitate
dalla mielosoppressione. Alopecia, forte nausea e vomito sono alcuni degli
effetti collaterali che possono limitare la terapia con doxorubicina. Una
formulazione di questa molecola con un'efficacia comparabile e di maggiore
sicurezza ne aumenterebbe l’indice terapeutico e migliorerebbe il suo
beneficio clinico complessivo.
Recenti studi hanno dimostrato che la doxorubicina liposomiale PEGilata
(PLD, prodotto da Alza Corp. con il nome commerciale di DOXIL®) fornisce
un'efficacia comparabile alla doxorubicina, con significativa riduzione di
cardiotossicità, mielosoppressione, vomito ed alopecia. PLD è una 9
formulazione di doxorubicina in liposomi PEGilati a lunga emivita che cambia
drasticamente la farmacocinetica del farmaco e la biodistribuzione: sembra
che Doxil si accumuli preferenzialmente nei tessuti con maggiore
permeabilità microvascolare, che è il caso della maggior parte dei tumori con
neoangiogenesi attiva. 10 11 12
La doxorubicina è presente anche in altre formulazioni innovative: sono state
preparate micelle autoassemblanti a partire da un copolimero di PLGA
(copolimero dell’acido lattice e glicolico) e PEG coniugati con il farmaco ed il
folato, dove le frazioni di folato sono esposte sulla superficie micellare,
mentre il farmaco è fisicamente e chimicamente intrappolato nel nucleo delle
micelle. Le micelle di doxorubicina mostrano assorbimento cellulare
superiore rispetto alla DOX come tale, per via di un processo di endocitosi
mediato da un recettore per il folato che avviene in modo sito-specifico. 13
Queste scoperte suggeriscono che le tecnologie di somministrazione dei
farmaci innovativi rappresentano per i pazienti nuove aspettative di vita.
1.2 Drug Delivery Nano Systems (DDnSs)
Figura 1.1: gamma di nanodispositivi in scala. Il range dei nanodispositivi varia tra 10 e 100 nm. Nella figura le dimensioni di alcuni nanodispositivi vengono confrontate con oggetti di dimensioni diverse.
I sistemi di drug delivery mostrano contestualmente ad una riduzione delle
dimensioni (vedi Figura 1.1), caratteristiche diverse. Inoltre, possono essere
opportunamente trattati in superficie per ottenere determinate proprietà. In
sintesi:
•La variazione delle dimensioni influenza la biodisponibilità e l’emivita
plasmatica: somministrate a livello sistemico, particelle con diametro
variabile tra 70 e 200 nm dimostrano tempi di circolazione lunghi. Al
contrario, particelle con diametro inferiore a 70 nm possono penetrare
anche capillari molto piccoli; se poi sono inferiori a 10 nm sono per lo più
rimosse per stravaso e drenaggio renale. Particelle, invece, con diametro
superiore a 200 nm di solito sono sequestrate dalla milza e poi rimosse dai
fagociti.
•Le particelle piccole hanno rapporti superficie-volume elevati, il che
aumenta la velocità di dissoluzione delle particelle, superando problemi di
solubilità e di biodisponibilità limitata (se rivestite appropriatamente).
•La dimensione nano permette di attraversare le membrane cellulari.
•I DDS possono essere coniugati per il targeting di frazioni cellulari con lo
scopo di migliorare il rilascio mediato da recettori e possono anche essere
modificati per ottenere un targeting intracellulare efficace verso organelli
specifici, come particelle anioniche e cationiche che vengono trattenute, a
loro volta, nei lisosomi o nei mitocondri.
•E’ possibile decorare i DDS al fine di migliorarne emivita e biocompatibilità:
il metodo più consolidato è la PEGilazione, che nasconde l'agente al sistema
immunitario dell'ospite, aumentandone la dimensione idrodinamica,
prolungandone l’emivita plasmatica e riducendone la clearance renale.
•Molte proprietà dei DDnSs, tra cui dimensioni, peso molecolare, carica
superficiale, forma, tecniche di preparazione e di incapsulamento, possono
essere personalizzate per applicazioni specifiche.
•I DDS possono essere concepiti per regolare la cinetica di rilascio e/o la
biodistribuzione e minimizzare gli effetti collaterali tossici, migliorando così
l'indice terapeutico di un daterminato farmaco.
Segue una breve descrizione sui DDnSs più utilizzati (Figura 1.2):
Figura 1.2: esempi di DDnSs. a) Fullerene b) Nanotubi di carbonio c) Micelle d) Liposomi e) Dendrimeri f) Nanoparticelle g) Nanocapsule h) Polimero funzionale.
I dendrimeri sono macromolecole altamente ramificate con un’architettura
tridimensionale controllata, vicina al monodisperso; la crescita della
macromolecola parte da un nucleo centrale e procede verso l'esterno con una
serie di reazioni sequenziali, con dimensioni che variano da pochi nanometri
(10 nm) fino a 100 nm, a seconda dello stadio, da 0 al sesto. Variazioni nelle 14
proprietà chimico-fisiche, come la viscosità, la solubilità, la rigidità, la
densità, ecc, si verificano attraverso l’aumento del peso molecolare nel corso
delle varie generazioni. Agenti terapeutici e diagnostici possono essere 15
caricati sia all'interno dei dendrimeri come pure legati alla superficie, come
nel caso di frazioni di acido α-sialinico, formando composti che sono
altamente attivi nell'inibire l’emoagglutinazione di eritrociti umani da virus
dell’influenza. I dendrimeri sono stati testati come agenti nella boron 16
neutron capture therapy, che rappresenta un metodo per il trattamento delle
forme attualmente incurabili di cancro, e sono stati applicati anche in terapia
genica. Essi possono rilasciare farmaci in siti specifici, proteggendoli 17 18 19
dall'ambiente esterno e riducendo gli effetti collaterali avversi: per esempio il
5-fluorouracile (5-FU) è noto per avere notevole attività anti-tumorale, ma ha
effetti collaterali tossici elevati. Dendrimeri PAMAM, dopo acetilazione,
possono formare coniugati dendrimero-5FU che, per idrolisi, rilasciano 5FU
libera, riducendo così al minimo la tossicità. VivaGelTM, è un prodotto della 20
nanotecnologia attualmente in commercio: il principio attivo è SPL7013, un
dendrimero che è stato progettato specificamente per avere attività
antivirale per HIV e HSV, ma che al tempo stesso non fosse risultato dannoso
per la salute umana.
Le micelle sono formate in soluzione come aggregati in cui le molecole
componenti (ad esempio di tipo anfifilico AB o tipo copolimeri a blocchi ABA,
dove A e B sono componenti idrofobici e idrofili, rispettivamente) sono
generalmente disposte in una struttura sferoidale con il nucleo idrofobico al
riparo dall'acqua grazie ad un manto di gruppi idrofilici. Questi sistemi
dinamici, generalmente inferiori a 50 nm di diametro, sono utilizzati per il
rilascio sistemico di farmaci insolubili in acqua. Farmaci o mezzi di contrasto
possono essere intrappolati fisicamente nei nuclei idrofobici o possono essere
legati covalentemente a molecole che compongono le micelle. Le micelle si 21
formano quando la concentrazione di tensioattivo raggiunge un certo livello
critico, chiamato concentrazione micellare critica (CMC) ad un valore di
temperatura specifico (CMT): quando il tensioattivo supera la CMC, agisce
come un emulsionante. L'efficacia di rilascio del farmaco da micelle
polimeriche può essere migliorata coniugando ligandi di targeting, tra cui gli
anticorpi, sulla superficie micellare: a questo proposito, Torchilin et al. hanno
formulato micelle polimeriche anticorpo-coniugato ad azione antitumorale
(immunomicelle), incapsulando il Taxolo, insolubile in acqua, all'interno del
nucleo idrofobico delle micelle, che vengono efficacemente riconosciute e
legate dalle cellule tumorali in vitro, cedendo loro alte concentrazioni di
farmaco. Nonostante la loro semplicità, questa caratteristica rappresenta 22 23
anche il principale limite nell’essere realmente efficaci contro il tumore, che
richiede lo sviluppo di sistemi più complessi e multifunzionali.
Ritratto di Luca Pacioli (1495)
Fullereni e nanotubi di carbonio sono allotropi sintetici del carbonio con
proprietà che li rendono potenzialmente utili in un ampio campo di
applicazioni. I fullereni sono composti interamente da carbonio assemblati 24
in forma di sfera cava o di ellissoide, la cui parete è costituita da un foglio
dello spessore di un atomo di carbonio, e possono essere impiegati nella
somministrazione di farmaci, dopo aver legato sulla superficie il composto
attivo. I nanotubi di carbonio sono costituiti da fogli di grafite arrotolati in
una forma tubolare, e possono essere ottenuti sia a singolo foglio
(caratterizzati dalla presenza di un unico foglio di grafene) che multi-strato
(formati da diversi fogli di grafene concentrici). Il diametro e la lunghezza dei
nanotubi a parete singola possono variare tra gli 0,5-3,0 nm ed i 20-1000 nm,
rispettivamente. Le dimensioni corrispondenti per i nanotubi a parete
multipla sono 1,5-100 nm e 1-50 micron, rispettivamente. I nanotubi di
carbonio possono essere resi solubili in acqua tramite funzionalizzazione
superficiale. Essi possono apparentemente attraversare la membrana
cellulare come “nanoaghi” senza sconvolgere o disgregare la membrana e
localizzarsi nel citosol e mitocondri mediante un meccanismo scarsamente
compreso. Inizialmente i nanotubi di carbonio si sono rivelati potenzialmente
tossici per la salute umana, tuttavia ricerche successive hanno mostrato
come ancora molto debba essere compreso su questi sistemi: studi in vitro su
cellule del Kupffer in colture 2D e 3D (colture cellulari tessuto-mimetiche)
non hanno mostrato alcuna citotossicità dopo 24h sui modelli 3D, al
contrario dei modelli 2D, dove grosse tracce di nanotubi erano riscontrabili
all’interno delle cellule.
I liposomi sono vescicole create sulla base di molecole fosfolipidiche
organizzate in bilayer, le stesse molecole che compongono le membrane
cellulari. I fosfolipidi sono anfipatici, cioè parte della loro struttura è idrofila e
parte è lipofila. Pertanto, quando aggiunti all'acqua, la parte idrosolubile dei
fosfolipidi interagisce con l'acqua e quella lipofila la evita, formando così un
bilayer. Questo si estende in acqua per formare un foglio che poi si ripiega in
un liposoma. I SUVs (small unilamellar vescicles) sono caratterizzati da un
unico doppio strato intrappolato nello spazio acquoso che lo circonda, così
come i LUVs (large unilamellar vescicles), che differiscono solo per le
dimensioni: il diametro dei SUVs è inferiore a 100 nm, mentre quello dei
LUVs è più grande di 100 nm. I liposomi possono anche contenere strati
concentrici di lipidi, detti liposomi multilamellari, o più liposomi possono
essere formati all'interno di grandi liposomi. Una proprietà importante dei
liposomi è che le molecole non idrosolubili, come i farmaci lipofili, possono
essere intrappolate nella porzione lipidica del doppio strato, mentre quelle
solubili in acqua possono essere intrappolate nello spazio acquoso. Di
conseguenza, essi possono essere utilizzati come vettori per tutti i tipi di
molecole, o anche per una loro combinazione. Aspetto importante dei
liposomi è la loro stabilità nel tempo: essa dipende dal composto bioattivo, dai
fosfolipidi componenti (questi vanno incontro ad idrolisi e/o auto-ossidazione,
che possono, tuttavia, essere rallentate utilizzando agenti chelanti,
antiossidanti o tocoferoli), da variazioni di dimensioni e dalla capacità di
ritenzione del farmaco incapsulato. La loro superficie può essere decorata
anche al fine di migliorare ulteriormente le prestazioni, ad esempio
PEGilandoli (liposomi stealth). I liposomi consentono un drug-targeting verso
siti specifici evitando effetti collaterali avversi, proteggendo il farmaco
dall'ambiente esterno, fornendo un aumento dell’attività e diminuendo la
frequenza delle somministrazioni. Il vantaggio del loro utilizzo è legato alla
loro biocompatibilità, alla biodegradabilità ed alla possibilità di diverse
formulazioni che estendono la versatilità delle applicazioni. Ci sono molti
esempi di farmaci già disponibili sul mercato preparati in forme liposomiali,
come il già citato Doxil®, ma anche AmBisome® (Amfotericina B liposomiale,
utilizzata per infezioni fungine) e Lacrisex® (collirio a spray liposomiale con
Vitamina A ed E). Uno dei principali problemi dei liposomi è l’instabilità in
vivo ed il rapido riconoscimento da parte del sistema immunitario. Le
principali limitazioni nel loro uso comprendono l’elevato costo di produzione
(PEGilazione, ottimizzazione dei processi di incapsulamento del farmaco
ecc.), la rapida ossidazione di alcuni fosfolipidi ed effetti collaterali, come nel
caso della sindrome mano-piede causata da uno stravaso incontrollato.
Le nanoparticelle polimeriche sono vettori colloidali generalmente di forma
sferica per il rilascio di farmaco in siti specifici, con diametro da 10 nm a 300
nm, e possono essere idrofili o idrofobi. Il composto bioattivo può essere
incapsulato al loro interno per evitare l’eventuale degradazione enzimatica o
chimica, o può essere adsorbito sulla superficie, anche se svantaggioso per la
mancanza di protezione del farmaco dall'ambiente esterno. I polimeri come i
poli-alchilcianoacrilati, i poli-esteri (acido polilattico e derivati), le poli-
anidridi, l’albumina e gli alginati possono essere impiegati per costruire
nanoparticelle e, a seconda delle loro proprietà e delle caratteristiche
chimico-fisiche del farmaco, è possibile scegliere il metodo di preparazione
più appropriato. Il meccanismo di rilascio, che può avvenire per
desorbimento dalla superficie, per diffusione dalla matrice polimerica, per
diffusione o erosione della matrice, insieme al coefficiente di diffusione del
farmaco e la velocità di degradazione della matrice, sono i principali fattori
che regolano la velocità di rilascio. E’ possibile, come per altri DDnSs, fissare
sulla loro superficie ulteriori funzionalità per sintetizzare nanoparticelle
biomimetiche: frazioni del target (folato, transferrina, sequenze peptidiche),
anticorpi (trastuzumab, antigene prostatico specifico), peptidi carrier o PEG
(nanoparticelle stealth). Alcuni tipi di nanoparticelle, note come SLN (solid
lipid nanoparticles), sono realizzate a partire da lipidi solidi a temperatura
ambiente, tensioattivi ed acqua; un potenziale vantaggio è l'uso di lipidi
fisiologici che hanno bassa citotossicità con un ampio spettro di potenziali
applicazioni (cutanea, orale, endovenosa). Inoltre, un ulteriore vantaggio è di
evitare di utilizzare solventi organici durante la loro preparazione, che viene
effettuata attraverso un metodo di omogeneizzazione ad alta pressione.
Conseguentemente, ci sono alcuni esempi di nanoparticelle polimeriche che
mostrano una distribuzione di dimensioni molto stretta.
Recentemente, le nanocapsule si sono dimostrate come una delle forme di
DDnSs più innovative e di potenziale grande successo: esse sono costituite da
un nucleo interno, che agisce come un "reservoir" per il composto attivo, ed
un involucro esterno. La composizione del rivestimento esterno in
particolare, è decisiva nel decretare la loro stabilità e la risposta fisiologica
primaria. La preparazione delle nanocapsule può essere ottenuta mediante 25
spettroscopia infrarossa (IR), risonanza magnetica nucleare (NMR) e
spettrometria di massa (MS).
L’energia totale di una molecola può essere considerata come la somma
dell’energia di spin nucleare (NMR), dell’energia vibrazionale (IR),
dell’energia rotazionale (microonde), dell’energia traslazione o dell’energia
elettronica (UV).
Figura 5.10: schema di una postazione NMR
La spettroscopia di risonanza magnetica nucleare sfrutta la differenza di
energia che i vari stati di spin nucleari possono assumere in presenza di un
campo magnetico. Il nucleo atomico, poiché carico ed in movimento, genera
un campo magnetico. Perciò ogni nucleo dotato di spin si comporta come un
piccolo magnete, è cioè dotato di un momento dipolare magnetico. Il momento
magnetico è proporzionale al momento di spin e ne ha la stessa direzione. La
costante di proporzionalità tra il momento magnetico ed il momento di spin è
detta rapporto giromagnetico. Il rapporto giromagnetico è una caratteristica
intrinseca del nucleo, è diverso da nucleo a nucleo, e non può essere previsto
teoricamente, ma solo misurato.
I due stati di spin α e β di un nucleo hanno la stessa energia, a meno che il
nucleo non sia in un campo magnetico. In questo caso, lo stato α assume
un’energia minore dello stato β e diventa possibile un tipo di spettroscopia
che sfrutta il passaggio tra gli stati α e β del nucleo. Questo tipo di
spettroscopia è detta spettroscopia NMR. L’equazione che mette in relazione
la differenza di energia ΔE tra gli stati di spin α e β con il campo magnetico
(B0) ed il rapporto giromagnetico (γ) è l’equazione fondamentale per l’NMR:
ΔE= γhB0
La differenza di energia tra gli stati α e β è molto piccola, quindi il numero di
nuclei nello stato α è molto simile a quello dei nuclei nello stato β. I nuclei
nello stato A assorbono fotoni passando allo stato β, ma i nuclei nello stato B
emettono fotoni per emissione stimolata e passano allo stato α.
L’assorbimento netto di radiazione elettromagnetica è dovuta solo dal piccolo
eccesso di nuclei nello stato α rispetto a quelli nello stato β. La sensibilità
NMR è quindi bassa. La differenza di popolazione tra gli stati α e β è
direttamente proporzionale a ΔE, e quindi a B0 e γ. Quindi la sensibilità di un
esperimento NMR aumenta all’aumentare del campo magnetico applicato; i
nuclei utilizzabili per l’NMR devono avere I ≠ 0, in particolare sono utili i
nuclei con spin ½. Tutti i nuclei con numero atomico pari e massa atomica
pari hanno I ≠ 0. Il nucleo dell’idrogeno è il nucleo più utilizzato per NMR,
poiché ha il rapporto giromagnetico più alto di tutti i nuclei stabili ed ha
abbondanza isotopica del 100%. Le nubi elettroniche intorno ai nuclei sono in
grado di schermare leggermente il campo magnetico subito dal nucleo e
quest’effetto è diverso da atomo ad atomo. Quindi i nuclei chimicamente
differenti risuonano a frequenze leggermente diverse, e queste differenze di
frequenza sono dette spostamenti chimici o chemical shift. Le differenze di
frequenza sono piccole ma possono essere misurate accuratamente. E’
possibile correlare il chemical shift alla distribuzione di elettroni nella
molecola e quindi alla struttura chimica. Il campo magnetico applicato causa
un movimento degli elettroni nella nube elettronica, che produce un campo
magnetico indotto che scherma il nucleo. L’effetto schermante è tanto
maggiore quanto maggiore è la densità elettronica intono al nucleo. Perciò i
protoni circondati da un’alta densità elettronica risuonano a frequenza
inferiore di protoni circondati da una bassa densità elettronica. Quello che è
collegato alla struttura della molecola no è quindi la frequenza assoluta di
risonanza, ma il chemical shift. L’intensità di un segnale nello spettro NMR è
proporzionale al numero di protoni che lo genera. Per l’intensità si intende
non l’altezza del picco, ma l’area sottesa al picco, cioè l’integrale del picco.
I segnali degli spettri NMR hanno struttura fine (o molteplicità): ogni protone
dà luogo a più di un segnale. La causa della struttura fine è l’accoppiamento
spin-spin, ossia l’influenza degli stati di spin di un nucleo sulla frequenza di
risonanza dei nuclei che lo circondano, per via dei momenti magnetici. I
momenti magnetici nucleari possono interagire in maniera diretta o
indiretta, attraverso gli elettroni di legame. L’accoppiamento attraverso
quest’ultimo meccanismo è detto accoppiamento scalare ed è responsabile
della molteplicità dei segnali. L’accoppiamento scalare dipende dal numero di
legami chimici che separano i nuclei e non dalla loro distanza nello spazio. In
generale sono visibili accoppiamenti tra nuclei separati fino a 3 legami.
La cuvetta per NMR è una provetta di vetro con pareti molto sottili,
tipicamente di 5 mm di diametro in cui si pongono da 500 μL ad 1 ml di
soluzione di campione. Per la buona riuscita degli esperimenti è molto
importante che lo spessore del vetro sia estremamente uniforme e che la sua
forma sia esattamente cilindrica. La spettroscopia NMR ad alta risoluzione
può essere effettuata solo su campioni in soluzione, a causa dell’anisotropia
del chemical shift e degli accoppiamenti dipolari. Il solvente non deve
interferire con la misura, e per questo si usano solventi deuterati. E’
comunque possibile usare come solvente anche l’acqua, usando tecniche
particolari per la soppressione dell’enorme segnale dei protoni dell’acqua.
Anche i solventi deuterati contengono una piccola percentuale di atomi di H e
danno luogo ad un segnale residuo.
Per la spettroscopia NMR è necessario un campo magnetico il più possibile
intenso (perché aumenta la sensibilità), uniforme (perché i segnali sono
stretti) e costante nel tempo (perché gli esperimenti possono essere lunghi).
Il campo magnetico è generato da un magnete superconduttore, in cui una
corrente molto intensa circola in una bobina di materiale superconduttore
immerso in elio liquido a -268.8 C°. La cuvetta NMR è posta su un apposito
supporto ed è introdotta nel magnete dall’alto con un sistema pneumatico. La
cuvetta va a finire al centro del magnete, nella zona in cui il campo magnetico
è più intenso, all’interno di un solenoide di rame che funge da antenna
trasmittente e ricevente per la radiofrequenza. La console NMR ha il compito
di produrre la radiazione elettromagnetica che poi interagisce con le
molecole del campione all’interno del magnete. Poiché si tratta di
radiofrequenze, queste sono prodotte da circuiti elettronici, e arrivano al
campione su fili di rame. Inoltre la console riceve la debole radiofrequenza
emessa dal campione, ampliata milioni di volte, è poi elaborata dalla
workstation. Uno spettro NMR può essere ottenuto in 2 modi: per scansione
della frequenza, si varia la frequenza della radiazione elettro-magnetica e si
misura l’assorbimento ad ogni frequenza, o per scansione del campo, si varia
il campo magnetico a frequenza costante.
Bibliografia
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