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TEORIA DEL DIRITTO E DELLO STATO RIVISTA EUROPEA DI CULTURA E SCIENZA GIURIDICA 2005/1
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TEORIA DEL DIRITTO E DELLO STATO - Aracne editrice · nione contro globalizzazione e individualismo. 1. Introduzione: principi, astrazioni ed Europa Come nelle moderne codificazioni

Feb 16, 2019

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TEORIA DEL DIRITTO E DELLO STATO

RIVISTA EUROPEA DI CULTURA E SCIENZA GIURIDICA

2005/1

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THEORY OF LAW AND STATE

TEORIA DEL DIRITTO E DELLO STATO

RIVISTA EUROPEA DI CULTURA E SCIENZA GIURIDICA

RECHTS – UND STAATSLEHRETHÉORIE DU DROIT ET DE L’ÉTAT

TEORIA DEL DERECHO Y DEL ESTADO

2005N. 1

ARACNE

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Copyright © MMVARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma(06) 93781065

ISBN 88–548–0174–7

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di cia-scun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previstodall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato traSIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO,CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.

Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di paginenon superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata daAIDRO, via delle Erbe, 2, 20121 Milano, telefax 02809506, e-mail [email protected].

Finito di stampare nel mese di ottobre del 2005dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. »di Santa Rufina di Cittaducale (RI)per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma

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Indice

pag.

Articoli e saggi

BACCARI M.P., Alcuni principi del diritto romano per la

difesa dell’uomo nella globalizzazione 1

GARCÍA HERRERA M.G., Derechos nuevos y nuevos derechos en

la Unión europea 27

HAALAND-MATLARY J., A matter of life or death: restoring

the Christian roots of European politics 55

LOSANO M.G., Una carta fondamentale per l'Unione

Europea: costituzione o trattato? 69

STERN K., Europäische Verfassung und Grundrechte-Charta

nach dem Nein der Franzosen und Niederländer 97

Interpretazioni e opinioni

MISTRETTA E., All’origine dei Grundrechte 111

ROSSI S., Esiste il rappresentante giusto? 135

Discussioni e recensioni

SÁNCHEZ FERRIZ R., recensione a SÁNCHEZ NAVARRO A.J.,

La actividad de las cortes generales en defensa de la

constitucionalidad de las leyes, Valencia 2004 151

SCACCIA G., discussione su C. MÖLLERS, Staat als Argument, München 2000 156

VESPAZIANI A., recensione a T. HERBST, Legitimation durch

Verfassungsgebung, Baden-Baden 2003 168

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INDICE

VI

Letteratura e diritto

SPANTIGATI F., Gli effetti giuridici della transizione dal fa-

scismo alla Repubblica: il crollo del diritto borghese 173

Segnalazioni

AA.VV. La democrazia riformata, (a cura di A. Bevere),

Quaderni di Critica del Diritto, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2004 (E. Lehner) [189]; A. D’ALOIA, Eguaglianza sostanziale e diritto diseguale: contribu-to allo studio delle azioni positive nella prospettiva costituzionale, Cedam, Padova 2002 (A. Marrades Puig) [191]; N. IRTI, Nichilismo giuridico, Laterza, Bari 2004 (R. Tomei) [193]; G. ROLLNERT LIERN, La Jefatura del Estado. Símbolo e integración política en la Constitución vigente, Minim, Valencia 2002 (Andrea Buratti) [194]; U. VINCENTI, L’universo dei Giuristi, Legislatori, Giudici. Contro la mitologia

giuridica, Cedam, Padova 2003 (R. Tomei) [197]

Abstract 199

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Articoli e saggi

MARIA PIA BACCARI Alcuni principi del diritto romano per la difesa dell’uomo nella globalizzazione (*)

SOMMARIO: 1. Introduzione: principi, astrazioni ed Europa. – 2. Diritto alla vita fin dal concepimento: il curator ventris. – 3. Matrimonio. – 4. Famiglia, “dirit-to di famiglia” e individualismi. – 5. Cittadinanza. – 6. Conclusioni: comu-nione contro globalizzazione e individualismo.

1. Introduzione: principi, astrazioni ed Europa

Come nelle moderne codificazioni e costituzioni, così nella

compilazione dell’imperatore Giustiniano si trovano talune enun-ciazioni che ben potremmo chiamare, con linguaggio d’oggi, princi-pi fondamentali (1).

E con rigore terminologico possiamo con Ulpiano parlare di praecepta iuris e possiamo aggiungere che questi praecepta vengo-no elaborati scientificamente dai prudentes i quali usano concetti concreti quali, ad esempio, homo, civis, peregrinus, populus Roma-

(*) Relazione presentata a Bucarest al Colloque “Tradition roumaine, droit romain et codification” 13-15 giugno 2002, con aggiunta di note e qualche aggior-namento.

(1) A tal proposito sia consentita una riflessione sulla base delle prime “leggi” del Digesto giustinianeo: initium, principium, origo sono tutti termini che richiamano in generale la nascita, concetto ‘necessariamente’ connesso al ‘conoscere’ (con-naître) giuridico. Si vedano i passi di Ulpiano, Gaio e Pomponio: D. 1,1,1: “iuri operam daturum prius nosse oportet unde nomen iuris descendat (…)”; D.1,2,1: “Fac-turus legum vetustarum interpretationem necessario prius ab urbis initiis repetun-dum existimavi (…) certe cuiusque rei potissima pars principium est (…)”; D. 1,2,2: “Necessarium itaque nobis videtur ipsius iuris originem atque processum demon-strare. Et quidem initio civitatis nostrae sine lege certa, sine iure certo (…)”.

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MARIA PIA BACCARI – Alcuni principi del diritto romano per la difesa dell’uomo

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nus, conceptus, qui in utero est, curator ventris e non mere astra-zioni concettuali, quali diritto soggettivo, soggetto di diritto, perso-nalità giuridica, capacità giuridica che non si trovano nelle fonti giuridiche romane (2).

Massima attenzione deve essere data alla terminologia, e il romanista Biondo Biondi, ha dedicato, alla metà del secolo XX, un la-voro alla terminologia romana come prima dommatica giuridica(3).

Non minori sono gli inconvenienti derivanti da mancanza di quel rigore terminologico che dovrebbe essere una delle necessa-rie risposte alla sfida della globalizzazione. Questa, caratterizzata dalla ‘rapidità della comunicazione’, comporta l’uso di un linguag-gio rozzo e impreciso e, dunque, ambiguo e fuorviante.

Il disagio del giurista è grande anche perché si trova a fron-teggiare diversi nemici, interni ed esterni, con atteggiamenti con-trapposti e, talvolta, illogici (4).

(2) Contro le concettualizzazioni “astratte” e “positivistiche” riguardanti la condizione giuridica del nascituro, vedi P. CATALANO, Osservazioni sulla “persona” dei nascituri alla luce del diritto romano (da Giuliano a Teixeira de Freitas), in Ras-segna di diritto civile, 1988, I, 45 ss. (ora in ID., Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, I, Torino 1990, 195 ss.); F.D. BUSNELLI, “Persona” e sistemi giuridici contemporanei, in Roma e America. Diritto romano comune. Rivista di diritto dell’integrazione e unificazione del diritto in Europa e in America Latina, 1, 1996, 137 ss.: “tra uomo e persona si introduce uno schermo (…) lo schermo della ca-pacità giuridica (Rechtsfähigkeit). L’uomo-persona cessa di essere tale per diventare soggetto giuridico, soggetto ad una norma che può anche disconoscerlo” (137 ss.).

(3) B. BIONDI, La terminologia romana come prima dommatica giuridica, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz, II, Napoli 1953, 73 ss.

(4) Nemici del diritto, inteso come ars boni et aequi, sono, ad esempio, il positivismo, il relativismo. Una cultura squassata dalla frammentazione etica pro-pria della società contemporanea, in nome della quale “si pretenderebbe far arresta-re il diritto positivo alla mera funzione di dettar regole, senza scelte valoriali. Que-sta chimera di un diritto delle regole, di un ‘diritto debole’ senza l’ardire ad un dirit-to dei valori produce l’effetto tra l’altro di impedire al diritto la funzione sua pro-pria: essere strumento di tutela e di attuazione del valore giustizia. Il ‘diritto debole’ in realtà, anziché porsi quale unico diritto possibile in una società eticamente plura-lista degenera in una parodia e negazione di sé”: G. DALLA TORRE, Le vie della giu-stizia: itinerari per il terzo millennio, in L’Osservatore romano del 4. 1. 2004, 3; per ulteriori approfondimenti mi permetto di rinviare ad un mio lavoro Concetti ulpia-nei per il “diritto di famiglia”, Torino 2000; Concepito: l’antico diritto per il nuovo millennio, Torino 2004, spec. 8 ss., in particolare per l’analisi dei nemici del diritto romano che, in parte, sembrerebbero coincidere con i nemici del concepito. In gene-rale su questi punti qui sfiorati vedi R. BALDUZZI, Tra relativismo e pluralismo (…), in AA.VV., Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia. Itinerari per il terzo millennio (Omaggio dei giuristi a Sua Santità nel XXV anno di Pontificato), Roma 2003, 4 s.: “L’approccio relativista, quale supporto delle concezioni (per lo più di matrice giu-

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ARTICOLI E SAGGI

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Purtroppo, da qualche decennio, i cultori delle diverse di-scipline giuridiche, abdicando al ruolo di ‘giuristi’, si sono limitati a fotografare o “avallare la realtà dei fatti” (5) rincorrendola, senza sforzarsi di ricuperare strumenti a difesa dell’uomo, proponendoli poi ai legislatori e ai giudici.

Altrettanto pericolosa è la creazione ed elaborazione di nuove categorie di diritti della personalità(6)

Le astrazioni sempre maggiori delle elaborazioni dottrinali contemporanee di derivazione codicistica hanno eliminato la con-cretezza del rapporto naturale, ad esempio, tra qui in utero est ed homo con conseguenze assai pericolose, in particolare, per la condi-zione giuridica del concepito (7). L’uso crescente e prevalente di spositivistica tradizionale) secondo le quali il diritto altro non sarebbe che una tec-nica, tra le tante, di coesistenza/coabitazione sociale; quello pluralista, quale sup-porto delle concezioni che vedono nel diritto un insieme di tecniche di integrazio-ne/coordinazione delle azioni in vista della piena realizzazione della persona uma-na”; D. NOCILLA, Il diritto alla verità nell’età della globalizzazione (prime note), in I diritti umani tra politica, filosofia e storia, I, I diritti dell’uomo nella prospettiva europea, Roma 2003, 167 ss. sul rapporto tra diritto e verità, in particolare sull’identificazione della verità con l’opinione della maggioranza; cfr. N. IRTI, Feno-menologia del diritto debole, in AA.VV., Nuove frontiere del diritto, Bari 2001, 35; ID., Nichilismo giuridico, Roma Bari, 2004, 3 ss.

(5) F.D. BUSNELLI, Vita umana (e sue ‘nuove’ frontiere), in Bioetica e diritto pri-vato, Torino 2001, 271 ss.: “il rispetto dell’essenza umana (…) è una scelta dell’uomo (…) e in quanto riferita al diritto del giurista. È una scelta che non intende semplicemente avallare l’ordine dei fatti, ma che mira a proporsi un ordine di fini”. Queste poche righe servono molto di più di qualsiasi trattato per rispondere a chi va invece sostenendo, con eccessiva disinvoltura: “Ci risiamo con i progressi della scienza e l’impaccio dell’etica che, nell’età della tecnica, diventa patetica, perché si trova ad affrontare i problemi che i suoi principi formulati in epoca pre-tecnologica non avevano assolutamente previsto” (così il filosofo U. GALIMBERTI, in La Repubblica del 12. 1. 2004, 1).

(6) Tra i tanti esempi mi limito a citare un “diritto a non nascere”, un “di-ritto alla clonazione”, un “diritto ad essere lasciati soli” o un “diritto alla solitudine”, un “diritto all’oblio”: su alcuni di questi “diritti” vedi, da ultimo, G. GIACOBBE, Le-zioni di diritto privato, Torino 2002, 51 s. Taluno addirittura sostiene esservi da parte della donna un “diritto al parto epidurale” o un “diritto al ripensamento”, ad esempio in materia di procreazione assistita. Ancora più paradossalmente si parla oggi di un “diritto alla programmazione familiare” con la conseguenza che la nascita di un “bambino sano ma non voluto” integra gli estremi di un danno da bambino indesiderato; al riguardo vedi M. BONA, v. Danni al nascituro e da procreazione, in Digesto delle discipline privatistiche, Sezione civile, Aggiornamento, I, 2003, 600 ss., con riferimenti a sentenze.

(7) Basti pensare, ad esempio, all’art. 1 del codice civile italiano del 1942, che recita: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita”. Il

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MARIA PIA BACCARI – Alcuni principi del diritto romano per la difesa dell’uomo

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concetti astratti, cioè “l’astrattismo” moderno (8), serve a nasconde-re manipolazioni concettuali (9) o, comunque, a edulcorare situa-zioni antigiuridiche, sottraendole al rigore del diritto, e a costruire docili strumenti nelle mani “di poteri privati, statali e internazio-nali, oggi tutti ‘soggetti’ della (o alla) globalizzazione” (10). Pensia-mo, ad esempio, agli “interventi umanitari” o ad altre metafore (11) illogiche quali, ad esempio, “operazioni chirurgiche” che sono vere e proprie azioni di guerra, alla legge che tutela la maternità “fin dal concepimento” e l’infanzia e invece disciplina l’aborto, al “testa-mento biologico”, o alla battaglia che si sta conducendo per un “di-ritto alla morte” – che purtroppo trova crescente favore

concetto concreto di qui in utero est viene eliminato dalla memoria, sovrapponendosi ad esso quello di “capacità giuridica”.

(8) Giorgio La Pira aveva pubblicato nel 1934 (l’anno stesso della famosa pro-lusione fiorentina su La genesi del sistema nella giurisprudenza romana) un articolo su Il diritto naturale nella concezione di S. Tommaso d’Aquino che si concludeva con una critica del tecnicismo giuridico quando ignori che hominum causa ius constitutum est (secondo il noto passo di Ermogeniano D. 1,5,2), e cada nell’astrattismo.

(9) Vedi F.D. BUSNELLI, Vita umana (e sue ‘nuove’ frontiere), in Bioetica e diritto privato cit., 271 ss., in particolare sulle rielaborazioni delle fonti romane “per costruire un concetto astratto di persona (…) attorno a cui si sviluppano le teorie della Begriffsjurisprudenz e si consolida il mito dello statual-legalismo”. Una chiara denun-cia delle manipolazioni della verità si trova nell’Enciclica Evangelium vitae, 58: “Di fronte a una così grave situazione, occorre più che mai il coraggio di guardare in fac-cia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla tentazione di autoinganno. A tale proposito risuona categorico il rim-provero del Profeta: ‘Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre’ (Is 5, 20). Proprio nel caso dell’aborto si registra la diffusione di una terminologia ambigua, come quella di ‘in-terruzione della gravidanza’, che tende a nasconderne la vera natura e ad attenuar-ne la gravità nell’opinione pubblica. Forse questo fenomeno linguistico è esso stesso sintomo di un disagio delle coscienze. Ma nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga at-tuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il con-cepimento e la nascita”.

(10) P. CATALANO, Diritto, soggetti, oggetti: un contributo alla pulizia con-cettuale sulla base di D. 1,1,12, cit., 117 ss., a proposito del “soggetto di diritto” ha sostenuto che la pulizia concettuale deve essere condotta fino alla radice. Da ultimo vedi G. OPPO, Declino del soggetto e ascesa della persona, in Rivista diritto civile, 48, 2003, 829 ss., a dimostrazione che non si tratta di disputa sulle parole.

(11) Sulla bellezza della metafora ma anche sulla sua pericolosità vedi R. ORESTANO, Diritto. Incontri e scontri, Bologna 1981, 723 ss., in una Sezione intitola-ta “Altre metafore” si trova un articolo su Il ‘metabolismo’ dei giuristi.

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nell’opinione pubblica occidentale (12) – che non ha niente a che fa-re con il diritto ed è contro la natura!

Contro questo antiumanesimo sta l’ars boni et aequi dei Romani: uno ius universale e concreto, che gli uomini ancora oggi (nell’epoca c.d. della globalizzazione) possono utilizzare.

Principale obiettivo odierno dei romanisti deve essere quello di ricostruire la memoria storica dei giuristi tornando alle fonti, rico-struire alcuni antichi concetti del sistema giuridico-religioso romano. Si tratta di eliminare incrostazioni, stratificatesi nei secoli, che hanno talora alterato le caratteristiche stesse degli istituti, contribuendo, talvolta, a fuorviare addirittura i legislatori.

I principi dello ius Romanum (che comprende lo ius natura-le, lo ius civile e lo ius gentium) possono suscitare ulteriori rifles-sioni e, soprattutto, dare risposte ai problemi dell’uomo all’alba del terzo millennio? Le tendenze del legislatore e, non solo di quello i-taliano, oggi, sembrano ignorare l’utilità formativa del diritto ro-mano a fronte di una iper-specializzazione e iper-tecnicizzazione che ha fatto perdere di vista i principi (13), frantumando l’unità del-lo ius e facendo sì che la frase “non c’è futuro senza passato”, o qualcosa di simile, si riduca ad un mero slogan.

Come è noto il tema dei “principi generali del diritto” ha su-scitato dibattiti assai ampi già agli inizi del secolo scorso (14). È pas-sato un secolo, variamente definito e definibile, indubbiamente terri-bile, nel quale abbiamo assistito (anche noi giuristi!) ad un progresso

(12) La stessa opinione pubblica che, però, prova sgomento di fronte a chi invece decide di non farsi amputare una gamba, pur sapendo di andare incontro, ma naturalmente, alla morte.

(13) È difficile per un romanista partecipare alle discussioni in corso tra i costituzionalisti e tra i filosofi circa l’uso del termine “principi” (della prima, della seconda o della terza generazione) o valori: vedi per tutti A. D’ATENA, Lezioni di di-ritto costituzionale, Torino 2001, 1 ss.

(14) N. COVIELLO, Prolusione al Corso ufficiale di diritto civile nella Regia Università di Palermo, Santa Maria Capua Vetere 1908, auspicava la distruzione del “pregiudizio che non esistesse altro diritto all’infuori del diritto dello Stato” e sperava che nella riforma del codice civile venisse concessa “all’interprete una mag-giore libertà di scoprire il diritto in armonia ai tempi nuovi, quando si è fuori del campo chiuso della legislazione positiva. Solo così il diritto cesserà di essere rigido e morto, e la giurisprudenza diverrà una valida cooperatrice della legislazione, e sarà davvero la viva vox juris”.

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MARIA PIA BACCARI – Alcuni principi del diritto romano per la difesa dell’uomo

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enorme della tecnica e, al tempo stesso, ad una violazione e cancella-zione (paradossalmente sistematica) dei “principi” (15).

L’unico dato certo oggi è l’insufficienza del diritto territoria-le e di quello degli Stati in generale a governare la “globalizzazio-ne” che da un lato tende ad omologare tutto ciò che riguarda l’uomo e dall’altro esaspera le tensioni e le disuguaglianze tra gli uomini. Si avverte dunque la necessità di ritrovare, prima di ogni altra co-sa, un piano di principi che garantisca le compatibilità ed assicuri la convivenza possibile, una “comunione” (communio) di uomini, di popoli. Il populus Romanus non è una razza, né un’etnia, né una nazione ma una moltitudine di uomini unita dal consensus iuris e dalla communio utilitatis, secondo la nota definizione di Cicerone di popolo (16).

Il consensus iuris disvela la dimensione specifica del diritto, che ci induce a riscoprire quella concezione che risale al diritto ro-mano, nel quale mos e ius erano profondamente compenetrati. Un itinerario e una linea di continuità nel tempo, utili, invero, anche per il tema dei “diritti fondamentali inviolabili” (17). Si tratta di tornare ad antiche consapevolezze: quelle consapevolezze che parlavano del diritto come “sistema del buono e del giusto” e che cominciano a riaf-fiorare nell’ambito del diritto comunitario. Come ha evidenziato re-centemente Rolf Knütel, professore di diritto romano a Bonn, i nu-merosi “principi generali” del diritto che la “giurisprudenza comuni-taria” ha enucleato affondano le loro radici, implicitamente o esplici-tamente, nella tradizione romana e il loro sviluppo e la loro elabora-

(15) Nel gennaio del 1939 nasce Principî, quale supplemento della rivista Vita cristiana. Giorgio La Pira nella “Premessa” al primo numero afferma con forza che “urge il ritorno alla luce chiarificatrice dei principî”. Nel gennaio 1940 esce l’ultimo numero (dedicato alla libertà), la rivista viene “scoperta” dal fascismo fio-rentino e viene immediatamente soppressa (“per mancanza di carta”).

(16) CICERONE, De rep. 1,25,39: “populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus sed coetus multitudinis iuris consensu atque utilitatis com-munione sociatus” e, mi sia consentita un’osservazione attuale, Cicerone è l’unico auto-re pagano citato nel Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, a proposito della lex na-turalis. Sull’importanza del concetto di multitudo vedi J. RATZINGER, Volk und Haus Gottes in Augustins Lehre von der Kirche (1971) cito la tr. it. Popolo e casa di Dio in Sant’Agostino, Milano 1978, pp. 33 ss., spec. p. 38: “così il concetto di multitudo si pre-senta come la faccia esterna del concetto di popolo di Dio”.

(17) S. SCHIPANI, La codificazione del diritto romano comune, Torino 1996; ID., Principi generali del diritto e iniquità nei rapporti obbligatori, in Apollinaris LXV (1992), 627-663. Cfr. J. RATZINGER, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, Cinisello Balsamo 2004, pp. 9 ss.

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zione nello ius commune. Trovano così ingresso nel sistema giuridico comunitario le “massime dell’antico ius commune, che, in parte, pro-vengono direttamente dalle fonti giuridiche romane”, e in parte, sono costruite sulla base di queste e sulle fonti del diritto della Chiesa, tanto da giungere “in qualche maniera ad una sorta di rinascita dell’unità del diritto ricca di varianti”; quella “unità del diritto che era stata interrotta con l’avvento dei codici nazionali” (18).

Esclusa, infine, ogni identificazione tra romanità e cristia-nità (19), il sistema del diritto romano è utile ancora oggi soprattut-to per gli elementi di laicità ed universalità che nel tempo hanno sempre continuato a contraddistinguere il sistema romano stesso, in vista della costruzione di quel ‘demos possibile’ di cui parla Lu-ciani a proposito di organizzazioni sovrannazionali “formate da componenti almeno minimamente omogenee” (20).

Il sistema giuridico-religioso romano può dare soluzioni. Basti qui riferirci nell’ambito dei principi generali del diritto, in particolare, al diritto alla vita, al matrimonio, alla famiglia ed alla cittadinanza.

(18) R. KNÜTEL, Derecho romano y ius commune frente a las Cortes de la Unión europea, in Roma e America. Diritto romano comune, I, 1996, p. 41 ss.; ID., Rechtseinheit in Europa und römischen Recht, in ZEUP, 1994, 244. Sul concetto di ius commune, nei secoli, a partire dalle Institutiones di Gaio e dalla Compilazione giustinianea, vedi J. GAUDEMET, Du ius commune au droit communautaire, in Clés pour le siècle, Droit et science politique. Information et communication. Sciences éco-nomiques et de gestion, Paris 2000, 1011 ss.; L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Riflessioni su “i fondamenti del diritto europeo”: una occasione da non sprecare, in Iura, 51, 2003, 1 ss.: “Solo in tal modo la nostra tradizione eviterà il degradarsi ad un’attività meramente ragionieristica e inventariale per cogliere il senso delle trasformazioni in corso e ricercare uno strumentario concettuale che, traendo le sue radici nel pa-trimonio comune, sia sufficientemente incisivi per aiutare le generazioni nuove a comprendere e quindi a governare la loro storia e il loro futuro”.

(19) Sulla esclusione della identificazione tra romanità e cristianità mi permetto di rinviare a M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996, 311 ss. G. GRIFÒ, Profili del diritto criminale romano tardoantico, in Diritto romano e identità cristiana, a cura di A. Saggioro, Roma 2005, 84 ss. Deve essere approfondita l’idea della “sinfonia” di imperium e sacerdo-tium teorizzata da Giustiniano, che può farsi risalire, in certo qual modo, all’epoca repubblicana (Livio, 4,4,4).

(20) L’idea della comunità di diritto – sostengono taluni autori – è l’idea di una comunità nella quale vi sia “l’accoglimento e la condivisione di eguali valori so-stanziali” o “un minimo di credenze comuni”: così M. LUCIANI, Rc. a M.P. BACCARI, Cittadini popoli comunione nella legislazione dei secoli IV- VI, in Rivista diritto co-stituzionale, 2, 1997, 227 ss.; vedi, in generale, M. LUCIANI, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, in Rivista di diritto costituzionale, 1, 1996, 124 e ss.

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2. Diritto alla vita fin dal concepimento: il curator ventris Il diritto alla vita è il primo dei diritti dell’uomo è un diritto

inalienabile per lo sviluppo di ogni popolo libero e sovrano: “il diritto dei diritti” (21). Il diritto alla vita comprende la difesa degli interessi delle donne, dei concepiti, dei minori: della donna alla propria fertili-tà, del concepito alla nascita, del minore alla sopravvivenza.

Il concetto giuridico “naturale” di homo (persona) include, se-condo i principi generali del diritto propri della tradizione romanisti-ca, liberi e servi, nati e concepiti (qui in utero est o qui in utero sunt). Nel linguaggio giuridico, il termine homines comprende i liberi e i ser-vi: D. 1,5,3; e i nascituri D. 1,5,7 e 26 (qui in utero est e qui in utero sunt). Il concetto giuridico “naturale” di homo è fondamentale nella sistematica ed ha rilevanti conseguenze normative (22). E sempre nel titolo V del Libro I dei Digesta, sotto la rubrica de statu hominum, il primo frammento, ancora oggi attuale, è quello nel quale Gaio tratta della sistematica dello ius, ponendo al primo posto le personae (23).

Orbene, il concetto di persona è adoperato in Gaio (Institutio-nes II, 242) anche per il postumus, in riferimento appunto al concepito: “Ac ne heres quidem potest institui postumus alienus; est enim incerta persona” (II, 242) (24). Il concetto di persona sarà adoperato da Giusti-niano a proposito del concepito, in materia ereditaria: “personam iam natam vel ante testamentum quidem conceptam” (C. 3,28,30,1) (25).

Qui in utero est riceve tutela giuridica per l’interesse attua-le e immediato al nutrimento, o come oggi diremmo, per il diritto agli alimenti. Il concepito è considerato così come il nato (sicuti li-

(21) “Il diritto dei diritti, la libertà delle libertà”: così A. BALDASSARRE, Lo statuto costituzionale dell’embrione, in G. BISCONTINI – L. RUGGERI (a cura di), La tutela dell’embrione, Napoli 2002, 35 ss.

(22) Vedi P. CATALANO, Diritto e persone, cit., 167 ss.; 196 ss. (23) G. GROSSO, La sistematica gaiana come vertice conclusivo nei confronti

dei precedenti sistemi di ius civile, in L. LANTELLA, Problemi sistematici del diritto nel diritto romano. Cose – contratti, Torino 1974, 3.

(24) P. CATALANO, Osservazioni sulla “persona” dei nascituri alla luce del diritto romano, cit., 47 ss. (ora in ID., Diritto e persone, cit., 197 s.); da ultimo, anche per la bibliografia e per i rilievi critici, vedi E. BIANCHI, Fictio iuris. Ricerche sulla finzione in diritto romano dal periodo arcaico all’epoca augustea, cit., 275 ss. Anche a questo proposito è da ricordare la prospettiva, esattamente opposta, di P. BON-FANTE, Corso di diritto romano VI, Le successioni, Milano 1974, 384 s.

(25) P. CATALANO, Osservazioni sulla “persona” dei nascituri alla luce del diritto romano, cit., 47 s. (ora in ID., Diritto e persone, cit., 197).

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berorum eorum, qui iam in rebus humanis sunt). Sullo stesso piano è vista la protezione da parte del pretore (praetor habuit curam […] e hac parte edicti eos tuitus est) dei figli nati e di quelli che nasce-ranno (propter spem nascendi non neglexit), concedendo la missio in possessionem (26). Il riferimento alla spes nascendi indica il rico-noscimento del diritto perché egli deve nascere (potremmo dire og-gi: il diritto alla vita del concepito) e non una spes di essere (27).

A tal fine è nominato il curator ventris: questi deve assicu-rare il rispetto delle modalità di adempimento delle prestazioni a-limentari fino al momento della nascita. Pertanto, la nascita è pre-sa in considerazione, ma soltanto come termine entro il quale si e-saurisce il compito del curator ventris.

Di Ulpiano è il lungo frammento (tratto dal libro XLI ad edic-tum) che apre il titolo IX del libro XXXVII dei Digesta, sotto la rubrica de ventre in possessionem mittendo et curatore eius, dedicato al curator ventris ed in particolare ai suoi compiti. E proprio all’inizio del passo Ulpiano considera il principio di quanto stabilito nell’Editto del preto-re per la difesa del concepito. Il passo ulpianeo evidenzia interessi at-tuali del concepito, che poi si configurano in veri e propri diritti in ca-po allo stesso: l’interesse del concepito di venire alla luce, il diritto agli alimenti. L’Editto del pretore regola minuziosamente l’istituto del cu-rator ventris stabilendone la nomina e i compiti. Questo istituto è do-vuto all’opera dei pretori dell’età repubblicana, nello svolgimento di una “funzione di supplenza del popolo” (28).

Il concepito è il diretto destinatario di provvedimenti. Il cu-rator ventris deve fissare gli alimenti (alimenta mulieri statuere

(26) Quanto al concepito e alla sua esistenza si può richiamare una frase di Giorgio La Pira: “il concepimento determina il sorgere di un nuovo posto di suus nel-la familia”. Quest’affermazione lapiriana richiede, però, un approfondimento alla luce del passo ulpianeo, posto in D. 38,16,1,11: “non solum autem naturales, verum etiam adoptivi quoque iura consanguinitatis habebunt cum his qui sunt in familia vel in utero vel post mortem patris nati”: G. LA PIRA, La successione ereditaria inte-stata e contro il testamento in diritto romano, Firenze 1930, 87; sulla concezione ro-mana di famiglia in G. LA PIRA, vedi P. CATALANO, “La famiglia sorgente della sto-ria” secondo Giorgio La Pira, in Index, 23, 1995, 25 ss.

(27) M. BALESTRI FUMAGALLI, Spes vitae, cit., 337 ss., sostiene che: “il legislatore e i giuristi romani trasformano in res iuris tali aspettative facendo leva sul concetto di speranza”.

(28) L’espressione è di F. GALLO, Un nuovo approccio per lo studio del ius honorarium, in SDHI, 62, 1996, 55 (anche in ID., L’officium del pretore nella produ-zione ed applicazione del diritto, Corso di diritto romano, Torino 1997, 121 s.).

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debet) affinché il concepito possa concretamente nutrirsi (29). Assai importante è l’interpretazione fornita da Ulpiano riguardo alla missio in possessionem data al venter: “satius est enim sub incerto eius, qui edetur, ali etiam eum qui exheredatus sit, quam eum qui non sit exheredatus fame nefari” (D. 37,9,1,3). L’esigenza di garan-tire il sostentamento al concepito è primaria, benché possa esservi incertezza sulla posizione giuridica di colui che nascerà (filia, plu-res filii, filius et filia): è meglio (satius est) che siano comunque dati gli alimenti, anche a qui exheredatus sit, anziché far morire di fame eum qui non sit exheredatus. Ulpiano ribadisce questo principio ri-guardante la rilevanza dell’alimentazione aldilà di ogni incertezza: “quia sub incerto utilius est ventrem ali” (D. 37,9,1,5).

Il passo riguarda in generale la missio in possessionem e quanto stabilito nell’Editto del pretore per la difesa della donna in-cinta e del concepito. Il giurista esplicita qui i motivi per i quali il pretore deve intervenire in favore del concepito più che in favore del fanciullo affinchè sia introdotto nella famiglia, concernenti non solo la familia ed i parentes, ma anche e soprattutto la res publica. A questo concepito devono essere assicurati gli alimenti perché na-sce non solo per i genitori, ma anche per la res publica: D. 37,9,1,15 (30). Il sistema giuridico romano non razzista e non individualista proteggeva il più debole ed insieme la res publica.

Ulpiano precisa che il curator ventris deve provvedere agli alimenti e alle altre necessità della madre e del figlio e, nel-l’adempiere i propri compiti, dovrà considerare le facultates (31) del

(29) Di “diritto del nascituro alla vita” parla, sebbene in altro contesto, E. CO-STA, Storia del diritto romano privato dalle origini alle compilazioni giustinianee, Torino 1925, 161 s.; l’Autore tratta del curator ventris nel Capitolo VIII intitolato “L’individuo libero”, al paragrafo 3 intitolato “Il concepito di fronte allo Stato” (dopo due paragrafi in-titolati rispettivamente “La nascita di fronte alla famiglia” “E di fronte allo Stato”). È interessante notare che nella precedente edizione, del 1911, si accennava all’istituto del curator ventris sempre nel Capitolo VIII, intitolato però “‘Caput, capitis deminutio’ con-dizioni sociali modificatrici della capacità giuridica”, nel paragrafo 3 intitolato “La prote-zione pubblica alla personalità del nascituro”.

(30) “Et generaliter ex quibus causis Carbonianam bonorum possessionem puero praetor dare solitus est, ex hisdem causis ventri quoque subvenire praetorem debere non dubitamus, eo facilius, quod favorabilior est causa partus quam pueri: partui enim in hoc favetur, ut in lucem producatur, puero, ut in familiam inducatur: partus enim iste alendus est, qui et si non tantum parenti, cuius esse dicitur, verum etiam rei publicae nascitur”.

(31) Cfr. H.E. DIRKSEN, Manuale latinitatis fontium iuris civilis Romanorum, cit., s. v. facultates: sinonimo di patrimonium, census, fortunae substantia.

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defunto, nonché la dignitas di questo e della donna: D. 37,9,1,19 (32). Più precisamente deve dare alla donna cibum, potum, vesti-tum, tectum, anche al fine di tutelare la dignità di lei. È evidente il primario scopo alimentare della missio in possessionem e della isti-tuzione del curatore, commisurati entrambi anche alla dignitas della donna.

Il concetto di dignitas è adoperato per definire quale debba essere il contenuto delle prestazioni dovute alla donna ed al conce-pito. Esso è anche legato “au train de la vie” (33); nota brevemente il Lévy: “Chez les jurisconsultes, les dépenses à faire pour (…) une femme enceinte (…) dépendent des ressources, mais aussi de la di-gnitas des parties” (34).

Il passo di Ulpiano (D. 37,9,1,19) riguardante il curator ventris che deve provvedere agli alimenti è da leggere in stretta correlazione con Gaio D. 37,9,5. Secondo Gaio il curator ventris de-ve fissare gli alimenti per la donna a prescindere dalla dote con la quale ella potrebbe mantenersi: “curator ventris alimenta mulieri statuere debet nec ad rem pertinet, an dotem habeat, unde sustenta-re se possit” (D. 37,9,5 pr.).

Ciò implica che la dignitas della donna, che il curator deve tutelare, riguarda non tanto l’aspetto economico della vita, ma la importante funzione procreativa (oggi potremmo anche dire demo-grafica) della mulier in quanto tale, ancor prima che della madre o della moglie.

Dignitas è concetto giuridico che riguarda appunto sia l’uomo sia la donna (ed è nota la differenza tra uomo e donna: Ul-piano D. 1,9,1) (35). Dignitas è concetto strettamente connesso an-che a iustitia (36).

(32) “Mulier in possessionem missa ea sola, sine quibus fetus sustineri et ad partum usque produci non possit, sumere ex bonis debet: et in hanc rem curator con-stituendus est, qui cibum potum vestitum tectum mulieri praestet pro facultatibus defuncti et pro dignitate eius atque mulieris” (D. 37,9,1,19).

(33) Vedi J.PH. LEVY, Dignitas, gravitas, auctoritas testium, in Studi in o-nore di Biondo Biondi, I, Milano 1963, 43.

(34) J.PH. LEVY, cit. (35) “Consulari feminae utique consularem virum praeferendum nemo am-

bigit, sed vir praefectorius an consulari feminae praeferatur, videndum, putem pre-ferri, quia maior dignitas est in sexu virili”: vedi P. ZANNINI, Studi sulla tutela mu-lierum, I, Profili funzionali, Torino 1976, 47.

(36) CICERONE, Ret. II, 160: “Iustitia est habitus animi communi utilitate conservata suam cuique tribuens dignitatem”.

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L’istituto del curator ventris ha una lunghissima vita: oltre venti secoli di storia, dall’età repubblicana fino al 1975! Questo i-stituto era previsto nel Codice civile italiano del 1865 e poi, sia pu-re per certi aspetti trasformato, in quello del 1942. Nel 1975, con la legge di “Riforma del diritto di famiglia”, il Parlamento italiano ha cancellato questo istituto dall’ordinamento giuridico (37).

Eppure si avverte da più parti oggi l’esigenza di una prote-zione giuridica del concepito e, infine, la creazione di un curatore dell’embrione in vitro (38).

Anche sotto la spinta di nuove scoperte scientifiche e di continui esperimenti di dubbia prevedibilità, in mezzo ad una prassi selvaggia, il Parlamento si trova costretto a tornare sui pro-pri passi, discutendo l’adozione degli embrioni umani. Sembra ne-cessario colmare una lacuna determinata dalla eliminazione di quell’antico istituto del curator ventris, che la profonda sensibilità giuridica degli antichi Romani aveva previsto, pur in assenza delle tecniche che si sarebbero sviluppate dopo oltre venti secoli!

I giuristi romani ‘pre-vedevano’ basandosi sui principi (an-che al di là delle tecniche) laddove oggi faticosamente i “legislatori” inseguono le tecnologie (39).

(37) Il legislatore del 1975 ha eliminato l’istituto sulla spinta, a mio avviso, di concettualizzazioni, errori o equivoci, stratificatisi via via negli anni, ai quali hanno contribuito sia le codificazioni precedenti sia le ricostruzioni della dottrina: ad esempio, la confusione presente già nel XIX secolo, fra istituti assai diversi e nettamente distinti nelle fonti giuridiche romane quali la cura ventris e la custodia partus: mi sia consentito rinviare a Concetti ulpianei per il “diritto di famiglia”, cit., 5 ss., 29 ss., 90 ss.; Concepi-to: l’antico diritto per il nuovo millennio, cit., 34 ss., 54 ss., in particolare per i riferi-menti ai principi di ordine costituzionale riguardanti il concepito.

(38) A ciò ha forse contribuito la difficile applicazione, quanto alla protezione del nascituro, della l. 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della mater-nità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Basti qui ricordare la l. 27 maggio 1991, n. 176, Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, nel cui preambolo sta scritto: “come indicato nella Di-chiarazione dei Diritti dell’Uomo il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”; vedi, da ultimo, F.D. BUSNELLI, L’inizio della vita umana, in Rivista di diritto civile, 2004, 4, I, 559 ss.

(39) La legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di procreazione me-dicalmente assistita, è stata finalmente approvata, da più parti si avvertiva insi-stentemente la necessità di colmare questo vuoto legislativo. L’iter è stato assai tra-vagliato: approvata dalla Camera nella precedente legislatura, è stata poi ripresen-tata in questa e, finalmente, approvata a larga maggioranza trasversale e pubblica-ta nella Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2004, n. 45 S. g.. Numerose sono state le polemiche alimentate da diverse parti politiche nei confronti della legge (ivi compre-

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Qual è la risposta secondo lo ius, ars boni et aequi: l’“arte” che dovrebbe essere propria di legislatori e giuristi (40)?

Secondo il Digesto giustinianeo il curator ventris tutela in-teressi, per dir così, pubblici e privati. Le attribuzioni del curator ventris sono definite in funzione della res publica, della donna, del concepito. Quanto all’interesse della res publica, l’aumento del po-polo (civitas augescens) è principio ribadito sia nella giurispruden-za (Pomponio) sia nella legislazione (Giustiniano). Quanto all’inte-resse della donna, si tratta in particolare della dignitas della donna ed anche, si direbbe, della di lei “qualità della vita” (41). Quanto all’interesse del concepito è ben evidente nelle fonti il diritto agli alimenti, in funzione della vita del concepito stesso, considerato, almeno implicitamente, come persona.

In questa sede non è possibile ripercorrere le vicende stori-che che hanno portato, nella legislazione italiana, all’abrogazione dell’istituto del curator ventris. In sintesi: il curator ventris era sta-to sempre più considerato sotto l’aspetto della limitazione della po-testà della madre, piuttosto che sotto quello della protezione del concepito oltreché della madre, con un crescendo sino agli anni ’70 del XX secolo, anni di forti rivendicazioni delle donne, che talvolta si sono tradotte in vittorie a scapito dei più deboli.

Nel clima culturale degli anni ’70, la figura del curator ven-tris, visto come istituto che avrebbe leso la dignità della donna o addirittura la libertà personale, fu considerato un “inutile retaggio del passato” (E. Protettì - C.A. Protettì), e conseguentemente ne fu sollecitata l’abrogazione. Dagli Atti parlamentari riguardanti la ri-forma del diritto di famiglia, che nel decennio tra il 1960 ed il 1970

si alcuni esponenti politici che l’avevano votata in Parlamento). La Corte costituzio-nale ha ammesso quattro dei cinque referendum promossi per abrogare tutta, o par-ti salienti della stessa legge. L’esito referendario si è rivelato un clamoroso insuc-cesso per i promotori: il 75% degli aventi diritto al voto si è astenuto. Nonostante una martellante propaganda, attraverso i media, favorevole all’abrogazione e l’impegno di partiti politici e potenti lobby ha prevalso il buon senso.

(40) Sulla definizione di ius vedi F. GALLO, Sulla definizione celsina del dirit-to, in SDHI, 53, 1987, 7 ss., ora in ID., L’officium del pretore nella produzione e ap-plicazione del diritto. Corso di diritto romano, Torino 1997, 221 ss. Per una diversa prospettiva, U. VINCENTI, L’universo dei giuristi, legislatori, giudici. Contro la mito-logia giuridica, Padova 2003, 2 ss., 27 ss., 83 ss.

(41) Nelle Pauli Sententiae V,15,1 leggiamo: “in teste enim et vitae qualitas spectari debet et dignitas” (cfr. Coll. 9,3,1).

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ricevette un impulso decisivo, si avverte in modo palese l’av-versione per questo antico istituto (42).

Dall’interpretazione congiunta dell’art. 1 e dell’art. 339 del Codice civile, si è messo in moto un meccanismo che sembra rag-giungere livelli sempre maggiori di astrazione e, correlativamente, di minore considerazione per il ‘nascituro’, fino poi ad aprire la strada, forse inconsciamente, all’abrogazione dell’istituto del cura-tor ventris. In altri termini: poste al centro del sistema le astrazioni “capacità giuridica” e “soggetto di diritto”, dalle quali si fanno di-scendere le attribuzioni di diritti, diventò difficile intendere la vera ed originaria funzione del curator ventris.

Peraltro, come ha notato recentemente l’illustre maestro Giorgio Oppo, il venire meno dell’istituto del curator ventris non ha certamente “cancellati o resi irrilevanti gli interessi già affidati al-la sua tutela” (43).

3. Matrimonio Nel primo titolo del primo libro dei Digesta di Giustiniano

(sotto la rubrica de iustitia et iure) leggiamo la definizione del ma-

(42) L’abrogazione dell’art. 339 del Codice civile venne proposta con il disegno di legge 5 giugno 1963, n. 10, di iniziativa dei senatori Giuliana Nenni e Tullia Roma-gnoli Carettoni: “l’abrogazione degli articoli 327, 331, 338 e 339, ovviamente coerente al principio della parità giuridica e morale dei coniugi nel rapporto coi figli, cancella dal Codice civile le formule che più crudamente ricordano una sorpassata condizione di in-feriorità femminile (…). L’applicazione dell’articolo 29 della Costituzione a quell’aspetto del diritto familiare che contempla il rapporto fra i genitori ed i figli (…) è oggi una esi-genza profondamente sentita anzitutto dalle donne che hanno viva coscienza della loro capacità e dignità di madri, di educatrici, di cittadine; sentita e sinceramente professata anche da uomini di dottrina, e da uomini semplici, che dalla legge attendono una chiara norma di civiltà e di giustizia” (Atti Senato della Repubblica – IV Legislatura, Disegni di legge e Relazioni). A proposito della riforma del diritto di famiglia, nella proposta di legge Iotti (presentata il 30 aprile 1969, n. 1378 in Atti parlamentari – V Legislatura, Disegni di legge e Relazioni) si rileva che: “uno degli aspetti più inammissibili e più anacronistici del vigente ordinamento, è quello che statuisce la netta inferiorità della donna nel rapporto con i figli, ledendo così profondamente la dignità e sensibilità di madre. La sfiducia dell’attuale codice nei confronti della madre è stata da ogni parte sottolineata e censurata ed in essa più che in ogni altro istituto sono da riscontrarsi le ispirazioni ed i residui di pregiudizi e concezioni radicalmente superate”.

(43) G. OPPO, L’inizio della vita umana, in Il diritto e la vita materiale, (Roma, 28-29 maggio 1982) Atti dei Convegni dei Lincei, 61, Roma 1984, 85 s. Egli tuttavia parla di tutela anticipata del futuro interesse del nato.

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trimonio come istituto di diritto naturale: “ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit: nam ius istud non humani generis proprium, sed omnium animalium, quae in terra, quae in mari na-scuntur, avium quoque commune est. Hinc descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc libe-rorum procreatio, hinc educatio” (D. 1,1,1,3).

Il matrimonio, secondo quanto afferma Ulpiano, giurista del III secolo d.C., è dunque un istituto fondato sulla natura, cioè che ha la sua regola nello ius naturale considerato comune a tutti gli animali (44). La nozione di matrimonio ha come primo elemento la coniunctio maris atque feminae, che è però connessa, sempre se-condo lo ius naturale, alla procreazione ed educazione della prole (45); e qui possiamo richiamare i Tituli ex corpore Ulpiani (III.3): “liberorum quaerendorum causa”.

L’affermazione del carattere giuridico (secondo il diritto na-turale) della coniunctio maris atque feminae, alla quale conse-guono la procreatio e la educatio, risale almeno alla giurispru-denza dell’età dei Severi; essa verrà fatta propria poi dall’im-peratore Giustiniano: Institutiones 1,2 pr. (vedi anche la Para-frasi di Teofilo 1,2 pr.).

Lo ius naturale è dunque quello che la natura insegna a tutti gli animali; di qui deriva (hinc descendit) la maris atque feminae co-niunctio, che “noi” chiamiamo matrimonio (quam nos matrimonium appellamus), di qui la procreazione (hinc liberorum procreatio), di qui

(44) Si noti poi che in moltissimi passi di Ulpiano è adoperato l’aggettivo natu-ralis: oltre a ius ed aequitas, naturalis specifica concetti giuridici quali familia, pater, avus, filius, liberi, possessio, obligatio. In generale, vedi W. WALDSTEIN, Saggi sul diritto non scritto, Padova 2002, spec. 57 ss.; 268 ss.

(45) Il concetto di educatio merita grande approfondimento, anche per il le-game con lo ius naturale (e/o il concetto di disciplina); per un testo non giuridico voglio richiamare Eph. VI,3: “Honora patrem tuum et matrem tuam, quod est man-datum primum in promissione: ut bene sit tibi et sis longaevus super terram. Et vos patres nolite ad iracundiam provocare filios vestros: sed educate illos in discipli-na…”. Sul concetto di disciplina Romana, intesa come sinonimo di ius Romanum e di leges Romanae mi sia consentito rinviare a Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996, pp. 256 ss. Per il concetto di educatio, an-che in riferimento agli alimenti (e a D. 25.3.5.14 Ulpiano), vedi, per tutti, P. BON-FANTE, Corso di diritto romano, vol. I, Diritto di famiglia, Roma 1925, p. 280: a pro-posito dell’obbligo che non comprende “i puri alimenti, cioè quanto è necessario alla vita ed ai suoi elementari bisogni (vitto, vestito, ricetto), ma anche i pesi dell’edu-cazione”. Per una prospettiva diversa sull’educazione ai valori in connessione con l’insegnamento del diritto, vedi D. MANTOVANI, Insegnamento del diritto e educazio-ne ai valori, in AA.VV., Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia, cit., 618 ss.

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l’educazione dei figli (hinc educatio) (D. 1,1,1,3). La sequenza degli av-verbi hinc … hinc … hinc sembra indicare atti concatenati.

Come ha rilevato il Di Marzo, nell’età più antica la procrea-tio “designava” l’essenza stessa del matrimonio (46). Secondo alcuni studiosi la procreatio è il fine del matrimonio nella concezione ro-mana, anche se ciò non è direttamente espresso nelle definizioni (47). Si vedano le espressioni “liberorum quaerendorum causa uxo-rem duxerit” nei Tituli ex corpore Ulpiani (48), III.3, e “liberorum procreandorum causa” in C. 5,4,9 (dell’Imperatore Probo) (49).

Questa definizione giuridica del matrimonio nonché, più in generale la definizione di diritto naturale, come diritto comune a tutti gli animali, è stata, purtroppo, svalutata dalla dottrina romanistica contemporanea, nonostante la posizione assegnatale da Giustiniano, in apertura dei Digesta (50).

Questa definizione del diritto naturale ci offre, a ben ve-dere, la possibilità di comprendere a pieno il concetto giuridico di

(46) S. DI MARZO, Lezioni sul matrimonio romano, I, Palermo (s.d. ma del 1919), 3 s.

(47) Vedi O. ROBLEDA, El matrimonio en el derecho romano. Esencia, requisi-tos de validez, efectos, disolubilidad, Roma 1970, 61 ss., anche a proposito di Gaio 1,29, Tit. Ulp. III.3 e C. 5,4,9; ID., Riflessi romanistici nella definizione canonica del matri-monio, in Gregorianum, 56, 1975, 407 ss.; G. FRANCIOSI, Famiglia e persone in Roma antica. Dall’età arcaica al principato, Torino 1992, 34; 130 s. (questi ricorda: “il matri-monio è preordinato al fine della procreazione della prole”).

(48) Adopero la dizione Tituli ex corpore Ulpiani avendo ben presente che essa non è “pienamente corretta”: vedi F. MERCOGLIANO, Tituli ex corpore Ulpiani. Storia di un testo, Napoli 1997, 13.

(49) Vedi O.M. PETER, Liberorum quaerundorum causa. L’image idéale du mariage et la filiation à Rome, in RIDA, 3e s., 38, 1991, 285 ss., per i riferimenti alle fonti extragiuridiche.

(50) Vedi più diffusamente il mio lavoro Concetti ulpianei per il “diritto di fami-glia”, cit., 13 ss. Assai diversa fu invece la sorte che essa ebbe nella dottrina medievale ed anche in quella moderna. Per un rapido esame della dottrina medievale e specialmente dei glossatori, vedi J. HERVADA, Historia de la ciencia del derecho natural, Pamplona 1991, 123 ss., il quale nota la divergente opinione di Martino, glo. Ius a Inst. 1,2: “es de destacar que no faltó entre los glosadores quien hiciiera notar que el derecho es una realidad especificamente humana – el arte de lo bueno y de lo justo – y por consiguiente no es derecho, en el sentido proprio de la palabra, lo que encontramos en los animales”; F. SALERNO, Sacramentalità e validità del matrimonio nella giurisprudenza del Tribunale della Rota Romana, in ID., La sacramentalità nella definizione del matrimonio, Città del Vaticano 1995, 35 ss. Circa il pensiero di Tommaso d’Aquino vedi J.M. AUBERT, Le droit romain dans l’œuvre de Saint Thomas, Paris 1955, 91 ss.; 109 ss.

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uomo in riferimento alla natura e agli animali (51) e, altresì, di approfondire il problema della valenza normativa o descrittiva delle categorie giuridiche (52); essa è comunque foriera di sviluppi attuali (53).

La dottrina romanistica contemporanea, oltre al concetto ulpianeo di matrimonio, ha trascurato le conseguenze giuridiche implicite in tale concetto ed ancor più il relativo problema siste-matico. Alcuni autori hanno dubitato, variamente, della rilevanza giuridica delle antiche definizioni di matrimonio (54).

(51) In questa linea vedi già, ad esempio, C. ARNÒ, Jus naturale, cit., 117 ss., il quale, a proposito di uno ius comune agli uomini ed agli animali, affermava: “il congiungersi del maschio e della femmina, la procreazione, l’allattamento, la nu-trizione e l’allevamento della prole sono altrettanti rapporti di questo ius naturale, e che pur si riscontrano presso gli animali”. In questa linea si possono collocare, va-riamente, O. ROBLEDA, El matrimonio en el derecho romano, cit., 61 ss.; ID., Intorno alla nozione di matrimonio nel diritto romano e canonico, in Apollinaris, 50, 1977, 24 ss.; F. CAMACHO EVANGELISTA, Ius naturale en las fuentes jurídicas romanas, in Estudios jurídicos en homenaje al Profesor Ursicino Alvarez Suarez, Madrid 1978, 45 ss.; C. CASTELLO, La definizione di matrimonio secondo Modestino, cit., 269 ss.; A. MANTELLO, Il sogno, la parola, il diritto. Appunti sulle concezioni giuridiche di Paolo, in BIDR, 94-95, 1991-1992, 349 ss. e spec. 401 ss.: “con Filostrato ed Ulpiano – unici fra gli autori della prima metà del III secolo – si arriva a qualcosa di diverso, all’individuazione concreta di norme comportamentali comuni su basi naturali”; G. EISENRING, Die römische Ehe als Rechtsverhältnis, Wien-Köln-Weimar 2002, 109 ss; P. ONIDA, I sacrifici di animali nella legislazione costantiniana, in Poteri religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino imperatore tra Oriente e Occidente, a cura di F. Sini e P. Onida, Torino 2003, 73 ss. Diversamente P. DIDIER, Les diverses concep-tions du droit naturel à l’oeuvre dans la jurisprudence romaine des II et III siècles, in SDHI, 47, 1981, 250 s.; M. KASER, Ius gentium Forschungen zum römischen Recht, herausgegeben von R. Knütel und W. Selb in Verbindung mit M. Kaser und F. Wieacker, 40, Köln – Weimar – Wien 1993, 64 ss., il quale intitola il paragrafo 25 “Recht auch für Tiere?” (70 ss.).

(52) Vedi ora M. TALAMANCA, Recensione a M. Kaser, in Iura, XLIV, 1993, 272 ss. e spec. 290 s.

(53) Per un uso attuale della concezione di Ulpiano vedi, ad esempio, X. DIJON, Droit naturel, I, Les questions du droit, Paris 1998, 181 s. (“or si la conception aristotéli-cienne da la justice domestique rappelle l’irréductible lieu de naissance de la justice poli-tique, ne peut-on remonter plus haut encore pour reconnaître avec Ulpien, non d’ailleurs sans paradoxe, l’enracinement de la dignité dans l’animalité?”) e passim.

(54) Su questa problematica vedi C. CASTELLO, La definizione di matrimonio secondo Modestino, in Atti Colloquio romanistico-canonistico (febbraio 1978), Roma 1979, 267 ss., specialmente 270 e 272, il quale conclude: “tuttavia credo che tali giudizi possono essere omessi senza danno”; J. GAUDEMET, Le mariage en Occident, cit., 24. Per contro secondo M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, 131, la defini-zione di Modestino “enfatizza momenti a carattere etico-religioso, non immediatamente rilevanti ai fini della disciplina giuridica del matrimonio romano”.

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Dal concetto ulpianeo di matrimonio derivano la definizione di Modestino (“Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consor-tium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio” D. 23,2,1) e quindi quella delle Institutiones di Giustiniano (55). La definizione di Ulpiano, riportata in D. 1,1,1,3, è più concreta, specie nell’ultima parte, rispetto a quella di Modestino (56).

Comunque, anche nella definizione del matrimonio data da Modestino si coglie la “derivazione naturalistica” dell’istituto giuri-dico del matrimonio (57).

La definizione del matrimonio che si trova nelle Institutiones di Giustiniano (“Nuptiae [...] sive matrimonium est viri et mulieris coniunctio, individuam consuetudinem vitae continens”: I. 1,9,1) de-ve leggersi unitamente alla definizione del diritto naturale. Sul con-cetto di coniunctio si sono basate diverse concezioni (moderne) del matrimonio romano (58).

È stato giustamente osservato che “la coniunctio mette co-munque sempre in evidenza che per le nuptiae è essenziale la di-versità di sesso tra animali appartenenti alla stessa specie” (59). Ulpiano e Modestino parlano di coniunctio maris et feminae, Giu-stiniano di viri et mulieris coniunctio.

(55) Ulpiano, come è noto, fu maestro di Modestino: vedi, a proposito del matrimonio, S. DI MARZO, Lezioni sul matrimonio romano, cit., 1 ss.

(56) G. FRANCIOSI, Famiglia e persone in Roma antica, cit., 130 s. (57) C. CASTELLO, La definizione di matrimonio secondo Modestino, cit.,

267 ss., spec. 271. (58) Vedi, da ultimo, U. BARTOCCI, Le species nuptiarum nell’esperienza romana

arcaica. Relazioni matrimoniali e sistemi di potere nella testimonianza delle fonti, Roma 1999, 17 ss.; M. HUMBERT, La concezione giuridica del matrimonio romano, modello per il legislatore odierno?, in Diritto romano e terzo millennio. Radici e prospettive dell’esperienza giuridica contemporanea, a cura di F. Milazzo, Napoli 2004, 293 ss.

(59) Così C. CASTELLO, La definizione di matrimonio secondo Modestino, cit., 267 ss., spec. 272; l’A. richiama anche diversi sinonimi di coniunctio: amicitia, amor, benevolentia, caritas, cognatio, commixtio, communicatio, communitas, com-prehensio, concordia, confusio, congregatio, coniugatum, coniugium, consortium, conspiratio, continuatio, convenientia, conventio, convictio, copulatio, familiaritas, germanitas, harmonia, matrimonium, necessitudo, nexus, societas. Da ultimo, a proposito della terminologia, vedi G. DE BONFILS, La “terminologia matrimoniale” di Costanzo II. Uso della lingua e adattamento politico, in Labeo, 42, 1996, 254 ss., il quale afferma, alla luce di alcuni testi, che consortium non può essere ritenuto un sinonimo di matrimonium. Vedi, anche a proposito di CTh. 9,7,8, F. GORIA, Studi sul matrimonio dell’adultera nel diritto giustinianeo e bizantino, Torino 1975, 65.

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4. Famiglia, “diritto di famiglia” e individualismi Nel sistema giuridico-religioso romano il matrimonio crea un

un “essere nuovo”: una unità (ontologica) sociale nuova, una società nuova che i Romani videro quale ‘seminarium rei publicae’ e ‘pusilla res publica’ pietra fondamentale della civitas. La communio dei coniu-gi fa nascere un corpus familiae (60).

Nell’ultimo libro dei Digesta, nel titolo XVI (sotto la rubri-ca de verborum significatione) Giustiniano ci dà la definizione di familia, come istituto incentrato nella potestas del paterfamilias, attraverso un passo del noto giurista Ulpiano (tratto dal libro XLVI ad edictum). “Familiae appellatio qualiter accipiatur, vide-amus. Et quidem varie accepta est: nam et in res et in personas deducitur”; la familia proprio iure è definita dalla potestas alla quale sono “soggette”, o per natura o per ius, le plures personae che la compongono (D. 50,16,195) (61).

Ancora di Ulpiano è il noto passo dei Digesta di Giustiniano sulla condizione dei figli: “lex naturae haec est, ut qui nascitur sine legitimo matrimonio matrem sequatur, nisi lex specialis aliud in-ducit” (D. 1,5,24).

Sulla natura si basano il matrimonio, la condizione del nato (al di fuori del legittimo matrimonio) e, almeno in parte, la stessa potestas che definisce la famiglia romana “aut natura aut iure” D. 50,16,195,2; il confronto tra familia (parentes) e res publica va con-siderato in questa ottica.

È stato rilevato dal Barcellona che spesso si “tende a identifi-care la nozione di famiglia con quella di diritto di famiglia” (62). Orbene potremmo dire che all’importanza della familia, nel quadro degli iura personarum, corrispondeva, nel sistema giuridico-religioso romano, la mancanza di un “diritto di famiglia” (63). Come è noto, il

(60) Questo è il pensiero di Giorgio La Pira, romanista, uomo politico, sindaco di Firenze, servo di Dio; vedi P. CATALANO, La famiglia sorgente della storia, cit., 25 ss.

(61) “Familiae appellatio refertur et ad corporis cuiusdam significatio-nem, quod aut iure proprio ipsorum aut communi universae cognationis contine-tur. Iure proprio familiam dicimus plures personas, quae sunt sub unius potesta-te aut natura aut iure subiectae, ut puta patrem familias, matrem familias, fi-lium familias (…) pater autem familias appellatur, qui in domo dominium habet, recteque hoc nomine appellatur, quamvis filium non habeat”.

(62) P. BARCELLONA, Famiglia (dir. civ.), in Enc. dir., Milano 1967, XVI, 779 ss.

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no, la mancanza di un “diritto di famiglia” (63). Come è noto, il “diritto di famiglia” è stato costruito, in connessione con l’affermarsi delle dot-trine soggettivistiche ed individualistiche, a partire dalla fine del XVIII secolo. Anche dal punto di vista romanistico ci appare perciò giustificata “l’esigenza di porre il problema della definizione del con-cetto di famiglia su un piano nettamente diverso da quello della deli-mitazione dell’ambito del cosiddetto diritto di famiglia” (64).

La nascita e lo sviluppo del “diritto di famiglia”, nella scienza giuridica dei secoli XVIII-XIX, è tema vastissimo. Mi limiterò a ripor-tare alcune riflessioni che possono illuminare l’utilità dei concetti an-tichi in funzione di una critica di concezioni giuridiche odierne.

Il Pugliatti, a proposito del “diritto di famiglia” e della scienza giuridica del XIX secolo, fa una rapida sintesi, ricostruendo lo sviluppo del pensiero a partire dal Kant (65); questi non adoperava tuttavia il termine “Familienrecht” largamente poi utilizzato dal Savigny (66). Come ha rilevato Pugliese, i pandettisti, differenziandosi dai giuristi romani, tendono a staccare dal diritto delle persone il diritto di fami-glia (67). Egli, a tal proposito, richiama lo Schwarz, il quale vedeva in

(63) Si veda G. LOBRANO, Pater et filius eadem persona. Per lo studio della patria potestas, Milano 1984, 16 ss., per la critica della “impalcatura della contem-poranea costruzione di un antico Familienrecht”.

(64) La frase è di P. BARCELLONA, cit., 780. (65) Vedi S. PUGLIATTI, Diritto pubblico e privato, in Enc. dir., Milano 1964,

XII, 709 ss., il quale precisa che il Kant prendeva in esame “una categoria speciale, accanto ai diritti reali e ai diritti personali, indicata colla espressione ‘persönliche Rechte auf dingliche Art’”.

(66) Vedi F.C. VON SAVIGNY, System des heutigen römischen Rechts, VIII, Berlin 1849, 324 ss. (cfr. Sistema del diritto romano attuale, tr. it. V. Scialoja, VIII, Torino 1898, 328 ss.); nel paragrafo 379, intitolato “Familienrecht”, si legge: “Das Familienrecht hat am meisten Ähnlichkeit mit dem Zustand der Person an sich (Rechtsfähigkeit und Handlungsfähigkeit), und unterscheidet sich wesentlich von den Verhältnissen des Vermögens, welche die Person mit äusserlichen, willfür-lich gemählten Gegenständen in Verbindung bringen”.

(67) Vedi G. PUGLIESE, I Pandettisti fra tradizione romanistica e moderna scienza del diritto, in Rivista it. scienze giuridiche, 17, 1973, 89 ss. (ora in ID., Scritti giuridici scelti, III, Diritto romano, Napoli 1985, 419 ss. specialmente 441). In generale, sulla collocazione del diritto di famiglia nel sistema giuridico, a par-tire dallo Hegel, vedi V. FROSINI, Il diritto di famiglia nella teoria generale del diritto, in Foro it., vol. C, 4, 1977, 3 ss. Su famiglia e individualismo liberale, vedi L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Sir Henry S. Maine e l’Ancient Law, in Quaderni Fio-rentini, 10, 1981, 111 s.; F.D. BUSNELLI, La famiglia nella cultura giuridica euro-pea, in Rassegna di diritto civile, 1, 1986, 148 ss.

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questo orientamento un’influenza giusnaturalistica (68); ma aggiunge che “essa può anche venire collegata col posto che il diritto delle per-sone (almeno riguardo alla capacità e agli status) doveva di necessità occupare nella Parte generale” (69).

Le riforme del diritto di famiglia nella seconda metà del nostro secolo sono, secondo Mengoni, un portato dell’indivi-dualismo di impronta illuministica: “esse risentono dell’ambi-valenza caratteristica dell’illuminismo, il quale, da un lato esalta il soggettivismo e l’individualismo, ma dall’altro, proprio perché è ostile alle potestà private, è sempre stato propizio all’intervento dei controlli sociali” (70).

La storia della cultura giuridica europea è caratterizzata, se-condo il Busnelli, “da una dialettica riducibile in termini di ‘resisten-za’ della tradizione canonico-romanistica di fronte alla penetrazione delle ‘moderne idee’ introdotte, prima dall’individualismo liberale, poi dall’individualismo libertario” (71). Uno studioso statunitense ha evi-denziato che nel sistema latino-americano la famiglia costituisce “l’unità sociale”, non l’individuo (72).

(68) Vedi A.B. SCHWARZ, Zur Entstehung des modernen Pandektensystems, in ZSS, 42, 1921, 578 ss. (ora in ID., Rechtsgeschichte und Gegenwart. Gesammelte Schrif-ten zur Neueren Privatrechtsgeschichte und Rechtsvergleichung, Karlsruhe 1960, 20 s.).

(69) Così G. PUGLIESE, I Pandettisti fra tradizione romanistica e moderna scienza del diritto, cit., 111 (ID., Scritti, cit., 441).

(70) Vedi L. MENGONI, La famiglia tra pubblico e privato negli ordinamenti giuridici europei, in La famiglia e i suoi diritti nella comunità civile e religiosa, Atti del VI Colloquio giuridico (24-26 aprile 1986), Roma 1987, 239 ss., specialmente 246; inoltre l’A. aggiunge, a proposito dell’art. 147 del Codice civile italiano, riguar-dante il processo educativo: “è stato soppresso il vincolo dell’attività educativa ai ‘principi della morale’, che era uno degli indici più significativi della concezione isti-tuzionalistica, di matrice idealistica, sottesa al codice del 1942, la quale postulava l’integrazione dell’etica familiare nell’etica dello Stato e nell’interesse pubblico alla conservazione e allo sviluppo ordinato della società politica. La cancellazione del rinvio ai principi della morale non va intesa nel senso di un modello di educazione assiologicamente neutrale, ma piuttosto nel senso che i genitori non sono vincolati a nessun sistema etico, e tanto meno alla c.d. morale corrente” (242 s.).

(71) F.D. BUSNELLI, La famiglia nella cultura giuridica europea, cit., 150. (72) P.J. EDER, Principios característicos del “common law” y del derecho

latinoamericano, Buenos Aires 1960, 149 ss. Nella prospettiva della “resistenza” del “sistema giuridico romanista” vedi P. CATALANO, Sistemas jurídicos, sistema jurídi-co latinoamericano y derecho romano, in Revista General de la Legislación y Juri-sprudencia, segunda época, 85, Madrid 1982, 175 s.; ID., Diritto romano attuale, si-stemi giuridici e diritto latinoamericano, in Acta Universitatis Szegediensis de Attila József nominatae. Acta Juridica et Politica, 33,8, Studia in honorem Elemér Pólay septuagenarii, Szeged 1985, ora in ID., Diritto e persone, 116 ss.; vedi anche H.

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5. Cittadinanza

Il sistema giuridico romano raggiunge con Giustiniano ri-sultati che neanche gli ordinamenti sovrannazionali odierni rag-giungono: l’eliminazione del concetto di peregrinus.

Di fronte alla constatata insufficienza del diritto statuale ad affrontare e risolvere i problemi della società multietnica l’idea di una societas iuris civium non legata alla territorialità potrebbe essere una via d’uscita, proprio per un’efficace tutela dei principi (valori) di cui ogni uomo è portatore.

Il termine civis indica l’essere parte, volontariamente, di quella concreta “società di diritto” che è la civitas. Cicerone, con una frase essenziale, ribadisce che la civitas è iuris societas civium (73).

Il giurista belga Fernand De Visscher ha messo in luce che “la fondamentale originalità del concetto romano della cittadinanza consiste nella sua elasticità, che ne fa un elemento di unione fra i popoli, tutto al contrario del concetto moderno, la cui rigidità ne fa un elemento di divisione ed anche d’opposizione”.

Il giurista deve oggi guardare all’esempio romano, libe-rando la cittadinanza dai limiti della territorialità e della naziona-lità o origine (identità etniche, religiose) che impediscono la comu-nione dei popoli.

La cittadinanza romana non è fondata sull’origine (lo aveva sostenuto Savigny), né sul territorio. Essa può essere acquistata da ogni uomo senza differenze etniche o religiose (74).

Dall’asylum aperto da Romolo sul Campidoglio, istituito per accogliere nella cittadinanza stranieri liberi e schiavi, alla con-stitutio Antoniniana, che nel 212 d.C. estende la cittadinanza a

EICHLER, Privatrecht in Lateinamerika, in Aus Österreichs Rechtsleben in Geschich-te und Gegenwart. Festschrift für Ernst C. Hellbling zum 80. Geburtstag, Berlin 1981, 502 ss.

(73) De rep., 1,32,49 “quid est enim civitas nisi iuris societas civium?”; qual-che riga prima aveva spiegato: “(...) cum lex sit civilis societatis vinculum ius autem legis aequale, quo iure societas civium teneri potest, cum par non sit condicio civi-um?”. Quanto all’elemento volontaristico, si ricordi CICERONE, Pro Balbo 13,31: “ne-quis invitus civitate mutetur, neve in civitate maneat invitus!”; cfr. 12, 29.

(74) Sulla cittadinanza e non su un principio di territorialità si costruiscono la nozione e la realtà dell’Impero romano: vedi H.A. STEGER, Europäische Geschi-chte als Kulturelle und politische Wirklichkeit. Hornruf von der anderen Seite des Limes, München 1990, 13 ss.; M. CACCIARI, Geo-filosofia dell’Europa, Milano 1994, 39 ss.; 110 ss. (“Lo sradicamento del nomos”); 149 ss. (“Congettura di pace”).

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tutti gli abitanti dell’orbe romano (salvo eccezioni), fino alla riaf-fermazione del favor libertatis e all’eliminazione del concetto di pe-regrinus nella compilazione di Giustiniano, continua coerente la “crescita” della civitas, potenzialmente universale, senza condizio-namenti etnici (o nazionali) e religiosi (75).

In questa civitas augescens (cfr. Digesta Iustiniani 1,2,2,7 e 28) e civitas amplianda (Codex Iustinianus 7,15,2), che unisce gli uomini contro ogni esclusivismo etnico o religioso, abbiamo assunto come emblematica la posizione di Paolo di Tarso, ebreo e cittadino romano (Atti degli Apostoli, 22,27-28). Parallelamente si è plasma-ta nelle fonti giuridiche (da Diocleziano a Giustiniano) la nozione di ius Romanum, visto come universale “sistema (ars) del buono e dell’equo”; anche i Giudei poterono vivere secondo lo ius Romanum (Codex Iusitnianus 1,9,8) ed essere quindi Romani (cfr. Interpreta-tio ad Codicem Theodosianum 2, 1,10).

L’idea romana di “crescita” della cittadinanza, di aumento del popolo risale all’antica repubblica. Essa sintetizza la politica di conferimento della cittadinanza, condotta anche attraverso la libe-razione dei servi compiuta dal singolo paterfamilias.

Con una continuità che abbraccia un lungo arco di secoli si precisa dunque, nel pensiero dei giuristi e degli Imperatori, l’idea giuridica della civitas augescens (76).

(75) Già alla fine del III secolo a.C. il re di Macedonia Filippo V, in una lettera alla città greca di Larissa nella quale chiedeva di iscrivere come cittadini i meteci, ave-va osservato: “i Romani danno libertà agli schiavi, accogliendoli nella cittadinanza e facendoli partecipi delle magistrature (...) in questo modo, non solo hanno ingrandito la loro patria, ma hanno anche dedotto una settantina di colonie” (Dittenberger, Syll., II, 543). Grande è la consapevolezza, negli scrittori latini e greci, di questa politica della cittadinanza: da Fabio Pittore a Cicerone a Livio a Velleio Patercolo a Seneca; da Poli-bio a Dionigi d’Alicarnasso a Elio Aristide. La formulazione più espressiva, in riferi-mento anche alle cariche pubbliche, si ha forse in un discorso dell’imperatore Claudio al Senato (48 d.C.), conservato in parte nelle Tavole di Lione (CIL, XIII, 1668), riassunto e alquanto trasformato in Tacito, Ann. 11, 24. Vedi T. SPAGNUOLO VIGORITA, Città e Im-pero, Napoli 1996, spec. 30 ss.; da ultimo, M.P. BACCARI, Dall’urbs alla comunione dei popoli, in Euntes Docete, N.S., LVI, 2003, 3 Inculturazione diritto canonico e missione, 181 ss., ivi ampia bibliografia.

(76) Livio, “il più giurista degli storici antichi” (Orestano), elabora l’idea della crescita dell’urbs. Gli homines, stranieri, liberi o schiavi, sin dai tempi di Ro-molo, attraverso l’asylum, sul Campidoglio, erano accolti nella cittadinanza: “Cre-scebat interim urbs munitionibus alia atque alia adpetendo loca, cum in spem magis futurae multitudinis quam ad id quod tum hominum erat munirent. Deinde, ne va-na urbis magnitudo esset, adiciendae multitudinis causa vetere consilio condentium urbes (...) asylum aperit. Eo ex finitimis populis turba omnis, sine discrimine liber

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L’idea, espressa con forza in età imperiale dal giurista Pomponio con il termine civitas augescens, sintetizza nel diritto giustinianeo (Digesta 1,2,2,7) (77) gli aspetti demografici, spazia-li e temporali del quadro storico-sistematico entro cui si colloca-no con evidenza sia la generalizzazione dello status di civis e l’eliminazione di quelli di peregrinus e Latinus, sia il favor liber-tatis (vedi le costituzioni del 530 e 531: Codex Iustinianus 7,6,1; 7,15,1 e 2). Interpretazione dello ius e legislazione imperiale so-no guidate da questa grande idea. L’aumento della multitudo dei cives è un principio da salvaguardare. I processi di ampliamento della civitas sono dunque legati alla convinzione che essi ridon-dino a giovamento di tutto il populus.

Importante ideologicamente, per definire la complessa realtà giuridica implicita nel concetto di civitas augescens, è una costituzione di Giustiniano del 530, la seconda del titolo Communia de manumis-sionibus (C. 7,15,2). Essa dispone che “si quis servo suo libertatem im-ponat (...) nullo coartetur modo”, abroga i limiti di età già stabiliti nel-la lex Aelia Sentia. L’Imperatore spiega così le ragioni della disposi-zione: “ut sint omnes cives Romani constituti, ampliandam enim ma-gis civitatem nostram quam minuendam esse censemus”.

an servus esset, avida novarum rerum perfugit” (Livio 1, 8, 4-5). La crescita dell’urbs è da Livio strettamente connessa all’idea dell’aeternitas, come è detto nella bellissi-ma frase del tribuno Canuleio: “Quis dubitat quin in aeternum urbe condita, in im-mensum crescente, nova imperia, sacerdotia, iura gentium hominumque instituan-tur?” (Livio 4,4,4). E la crescita della res Romana è connessa alla politica della cit-tadinanza nei confronti dei popoli vinti: “vultis exemplo maiorum augere rem Roma-nam, victos in civitate accipiendo” (Livio 8,13,16).

(77) Il sintagma civitas augescens è usato da Pomponio nel noto passo del Liber singulari enchiridii: D. 1,2,2,7 “augescente civitate”; cfr. “postea aucta ad aliquem modum civitate” (par. 2); “populo aucto” (par. 18); “quod multa turba etiam peregrinorum in civi-tate veniret” (par. 28). Per precisazioni terminologiche e concettuali e per un’analisi di altri passi su civitas augescens e civitas amplianda rinvio ad un mio scritto: Il concetto giuridico di civitas augescens: origine e continuità, in Studi in memoria di Gabrio Lom-bardi, in Studia et documenta historiae et iuris, 61, 1995, 759 ss.; vedi anche Cittadini popoli e comunione, cit., 55 ss.; ivi bibiliografia, in particolare per quanto riguarda l’analisi del pensiero, su queste tematiche, di D. Nörr e P. Catalano; M. CACCIARI, Il mito della civitas augescens, in Il Veltro. Rivista della civiltà italiana, 2-4, 41, marzo-agosto 1997, 161 ss.; per importanti considerazioni vedi G. OPPO, Declino del soggetto e ascesa della persona, in Rivista diritto civile, cit., 835 ss. a proposito della iuris societas civium: “come comunione di diritto, avente la capacità di allargarsi al di là delle differenze terri-toriali, etniche e religiose” e della ‘corrispondente’ civitas amplianda… “meglio che quello pomponiano di civitas augescens, concetto quest’ultimo che sa piuttosto di allargamento della sfera di azione di un diritto dato”.

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6. Conclusioni: comunione contro globalizzazione e individuali-smo All’alba del Terzo millennio è di moda l’uso del termine “globa-

lizzazione”. Si tratta, come dovrebbe essere noto, di un concetto non giuri-

dico, che attiene, in generale, ai fatti dell’economia, della finanza e dell’informazione. Esso significa l’opposto del concetto giuridico di co-munione universale. La globalizzazione provoca l’appiattimento, l’oppressione delle pluralità istituzionali dei popoli, soprattutto dei popoli poveri e degli Stati indebitati. Gli Stati nazionali oggi sono in-capaci di crescere ‘umanamente’: basti pensare alle legislazioni ri-guardanti il concepito o a quelle riguardanti gli stranieri, variamente discriminati. L’istituto del matrimonio e, più in generale, quello della famiglia non hanno ricevuto, in più di cinquant’anni di Repubblica, un’organica politica di sostegno, ma anzi crescenti strumenti di lace-razione e disgregazione.

Per cercare di contrastare gli effetti negativi della globalizza-zione e contro l’individualismo il giurista deve utilizzare gli strumenti concettuali che gli sono propri (ad esempio il concetto di communio o quello di imperium) prendendo in considerazione l’esempio romano, liberando la cittadinanza romana dai limiti della territorialità e della nazionalità o origine (identità etniche, religiose) che impediscono la comunione dei popoli.

Nel secolo ventesimo la Chiesa cattolica adopera i concetti di communio e di publica auctoritas universalis (distinta, si badi, dagli hodierna suprema gremia internationalia, che dovrebbero “dedicarsi con tutto l’impegno alla ricerca dei mezzi più idonei a procurare la si-curezza comune”): vedi Gaudium et spes 23 e 82 (78).

Ha di recente rilevato Giovanni Reale che strettamente con-nesso con il concetto di “partecipazione” è quello di “solidarietà”, la quale “consiste nella disponibilità dell’uomo a svolgere la parte che gli compete all’interno di una comunità, per il bene comune” sopra ogni particolarismo; e che “la solidarietà impone all’uomo il dovere di accet-

(78) Giovanni Paolo II ha, di recente, ribadito la necessità “della ricerca di strumenti giuridici idonei, per un effettivo governo sovranazionale dell’economia”. E di “economia di comunione” ha trattato ripetutamente Chiara Lubich: vedi, in gene-rale, L. BRUNI, L’economia di comunione: per una cultura economica a più dimen-sioni, Roma 1999.

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MARIA PIA BACCARI – Alcuni principi del diritto romano per la difesa dell’uomo

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tare questo compito per la comunità” (79). Egli dedica un intero para-grafo al concetto di communio come “realizzazione completa della per-sona e sua fondazione teologica”; e, in particolare, all’uomo d’oggi lan-cia un messaggio “che potrebbe aiutarlo a uscire da quella crisi in cui si dibatte, dopo che ha imboccato la via senza uscita dell’indi-vidualismo” (p. XCIX).

Francesco De Martino negli anni ’40, in un noto lavoro su Individualismo e diritto romano, si chiedeva “se davvero il diritto romano appartenga a queste forze del passato o se esso possa anco-ra darci non solo gli strumenti tecnici creati dai giuristi, ma anche alcune fondamentali categorie del pensiero giuridico”, aggiungendo che “in ogni tempo il diritto romano ebbe aspre inimicizie, le quali passarono come soffi di vento sulle vette di boschi, che avevano sfi-dato le tempeste e la lunga notte dei secoli di mezzo” (80).

Credo che communio e imperium siano concetti ancora oggi utili, e spero che su questi termini ancora riflettano i giuristi, in funzione della ricerca di uno scopo comune, in vista di una comu-nione di popoli.

È difficile disegnare puntualmente lo scenario del futuro: eppure il compito del giurista, secondo l’insegnamento di Pompo-nio, è proprio quello di trarre dalla propria scienza quotidianamen-te gli strumenti per progredire ed offrirli ai legislatori e ai giudici: possit cottidie in melius produci (D. 1,2,2,13). E la giurisprudenza, come insegna Ulpiano, è divinarum atque humanarum rerum noti-tia iusti atque iniusti scientia (D. 1,1,10).

(79) G. REALE, Saggio introduttivo, in G. REALE – T. STYCZEŃ, Karol Wo-jtyla. Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, Milano 2003, XCVI ss.: “si dà il caso, però, che si imponga la necessità che taluno assuma, in certi momenti, qualche compito che va oltre le sue abituali responsabilità (…) al fine del bene comune (…)”.

(80) F. DE MARTINO, Individualismo e diritto romano privato, (1941) CNR Università di Roma ‘La Sapienza’ Centro per gli Studi su diritto romano e sistemi giuridici, Testi 2, Torino 1999, 12 ss, 2-3: “Ma ciò non basta, come sostiene l’autore, per darci la fede nell’eternità di quel sistema. Né basta il pensare che la crisi del diritto romano in taluni casi europei sia determinata, fra l’altro, dalla rottura dell’unità europea in seguito alle guerre di questo secolo, essendo stato il diritto ro-mano appunto un fattore della cultura e della civiltà europea”.

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Abstract BACCARI M.P., Alcuni principi del diritto romano per la difesa dell’uomo nella globalizzazione ......................................................... 1 Emperor Justinian’s account (Corpus iuris) contains certain pronounce-ments that we could also call, using today’s language, fundamental prin-ciples. Today, Romanists’ main purpose must be to rebuild jurists’ his-torical memory by going back to the sources and recovering some ancient concepts of the Roman juridical-religious system. That means eliminat-ing incrustations stratified throughout the centuries, conceptual abstrac-tions that made us lose sight of concrete concepts used by Roman jurists such as homo, cives, peregrini, populus Romanus, coniunctio maris atque feminae, qui in utero est and curator ventris. The terminological rigour is essential today in a “globalized” world, characterized by “high-speed communication”. Can the Roman juridical system still teach us some-thing? Can the principles of ius Romanum (that is ius naturale, ius civile and ius gentium) give an answer to the problems of man at the dawn of the third millenium? A universal and concrete ius, that men even today (in the so-called period of globalization) can use against anti-humanism, is the ars boni et aequi of the Roman jurists. Rule of law, when defined solely as rights determined by the state, is evidently limited in address-ing and solving the problems of a multiethnic society. Therefore, the idea of a societas iuris civium with no links to the territory could be the only way to effectively protect the principles (values) that every man carries within himself. GARCÍA HERRERA M.G., Derechos nuevos y nuevos derechos en la Unión europea................................................................................... 27 The central core of this paper is the difference between “new rights” and “new rights” in the European Constitutional Draft. That brings us to focus the attention on constitutional rights as regulated by the member States and rights not incorporated in the current Constitutions. Even though, we seemingly live in the “Rights age”, this article tries to demonstrate it is more correct to talk about an ideology of rights. Anyway, the Draft in-cludes rights that permit the use of an important concept: biopolitic, by the capacity of life control, State power, using juridical terms. This establishes a complex relationship between politics and the market and it permits a discretional use of Government power.

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ABSTRACT

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HAALAND-MATLARY J., A matter of life or death: restoring the Chris-tian roots of European politics ......................................................... 55 This article argues that Christianity has affected, in a profound way, the development of European law, and that law itself intrinsically deals with the moral or ethical question of right and wrong. Through a historical analysis of the impact of Christianity on Viking society in Norway the Author shows how Christian ethics replaced pagan mores. She then turns to a general analysis of the language of law in order to highlight the normative content of the latter, arguing that natural law remains the key to Europe’s legal tradition. LOSANO M.G., Una carta fondamentale per l’Unione Europea: costi-tuzione o trattato? ............................................................................. 69

At this time in which the various Member States of the European Union are ratifying the constitutional Treaty, it appears helpful to review the history of the Community, which led to this document. European dictator-ships have already thought of a united Europe, yet under the guidance of hegemonic States. In the current democratic atmosphere, the new consti-tutional text takes shape in a treaty, an agreement stemmed from gov-ernment compromises, and not in a Constitution voted by a constitutional assembly. National parliaments shall approve a ready-made text. The “oc-troy constitutional Treaty” appears as a prudent document, in the need of improvements even when it will become an effective Constitution. In re-sponse, some Member States, called to ratify the Treaty, strive to replace the original lack of democracy with popular referendum; moreover, each State shall have to modify its national Constitution in harmony with the Treaty. The latter document, though, refers shortly to social solidarity and dwells upon European bureaucracy. Notwithstanding the mistrust, the constitutional Treaty may be considered as a foundation for the existing community framework, even though it is still uncertain if we shall be heading towards a closer political union, or a wider free trade zone. STERN K., Europäische Verfassung und Grundrechte-Charta nach dem Nein der Franzosen und Niederländer.................................... 97 The Author, having taken into account the negative outcome of the French and Dutch referendum procedures on the ratification of the Treaty estab-lishing a Constitution for Europe, explores the genuine significance of the so called “European Constitution”. The results show the conceptual hur-dles Public Law scholars often encounter and the consequences of the adoption of the text for the European Union. Following an illustration of

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ABSTRACT

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the subjects of the Treaty, the Author analyses the effects of the incorpora-tion of the Charter of fundamental Rights of the European Union in the constitutional text. Beyond the results achieved in France and Holland – and afar from foreseeing the fortune of the Treaty – the adoption of a “European Constitution” yet appears to be necessary. MISTRETTA E., All’origine dei Grundrechte................................... 111 This article describes, from a historical and legal standpoint, the German Bill of Rights approved, on December 1848, by the assembly of Frankfurt, the so called Paulskirche assembly. The goals of the Paulskirche assembly were to create a united German State, overcome the ancient feudal system and establish the Rule of law in the new State. The Paulskirche assembly’s experience ended with a complete political failure but its Bill of Rights had an enormous influence on the future German concept of Rights. The article highlights the main differences between the German Bill of Rights of 1848 (in which rights derive from the specific characters of the German nation) and the French Declaration of Human Rights in 1789 (in which rights ap-ply to all humans). The concept of Rights that emerges from the German Bill of 1848 is greatly influenced by the Historical School and in particular by the so called “Germanists” whose thought is examined in detail. More-over, the Author reports several examples of the concept of rights in the ancient feudal system that was still in force in several German territories at the time. These examples allow us to understand the significance of the change proposed by the Paulskirche assembly. ROSSI S., Esiste il rappresentante giusto? ..................................... 135 Who is the “right representative”? Behind this deliberately polemic ques-tion, this composition shows the different constitutional uses and mean-ings of political representation. Representation is here defined as one of the possible ways through which political decisions are made by a small part of the political community, but are shared and have to be lived with by the society as a whole. Democratic representation needs some irre-placeable elements and if these are not present in practice, they must be committed to writing by law. The Author examines three of those ele-ments, which are linked to the Person of the representative. These are: election as strong political choice made by every citizen (Part 3 of the arti-cle); the representative as temporary officeholder (Part 4) and last but not least the representation as a public office (Part 5). The contemporary parliamentary system is still based on government by discussion. There is no hope for a reasonable discussion, if the representatives represent only their own interest.

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