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Collana Gli Alberi “Saggi” Serie Soundscapes Ideata e curata da Alessandra Calanchi e Andrea Laquidara Vol. I
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Tabula Musicalis. Per una rappresentazione sinestesica dei paesaggi.

May 01, 2023

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Collana Gli Alberi “Saggi”

Serie Soundscapes

Ideata e curata da Alessandra Calanchi e Andrea Laquidara

Vol. I

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IL SUONO PERCEPITO, IL SUONO RACCONTATO

Paesaggi sonori

in prospettiva multidisciplinare

A cura di

Alessandra Calanchi

Galaad Edizioni

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© 2015 Galaad Edizioni www.galaadedizioni.com

ISBN 978-88-98722-21-1

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Sommario Presentazione della collana 007 Introduzione 015

Alessandra Calanchi PARTE I. Teorie L’approccio scientifico al paesaggio sonoro come nuovo strumento per una gestione etica dell’ambiente 033 Almo Farina Ecosofia sonora. Per un ascolto del paesaggio e del mondo 061 Roberto Barbanti PARTE II. Applicazioni Tabula musicalis. Per una rappresentazione sinestetica dei paesaggi 087

Donatella Mazzoleni Fuori sincrono. Il contrappunto di suono e immagini nel cinema 119

Andrea Laquidara

I suoni della natura nei documentari 149 Philip James*

PARTE III. Laboratori Il suono, mediatore per l’inclusione. Un’esperienza educativo-didattica con un alunno autistico nella scuola dell’infanzia 171 Federica Franceschelli

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L’importanza della musica e dei suoni nella costruzione di A Streetcar Named Desire di Tennessee Williams 193 Sandra Curina

Ascoltare il paesaggio. Appunti su una passeggiata sonora effettuata a Urbino 207

Mechi Cena e Francesco Michi PARTE IV. Esperienze artistiche Del vento dell’aria della terra e della volta celeste. Etherotopie e Meteophonie, dall’Osservatorio Meteo e Sismico “Lorenzo Valerio” di Pesaro 219

Eugenio Giordani e Roberto Vecchiarelli Suoni di scena 235

Giulia Bocciero

Interpelled: considerazioni psicologiche sulla tecnologia del suono direzionale 243

Victoria Estok** Postfazione 261

Albert Mayr Note sul curatore, sugli autori e sui traduttori 273 _________________________ * Traduzione dall’inglese di Luca Ambrogiani ** Traduzione dall’inglese di Luca Sartori

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Tabula musicalis. Per una rappresentazione sinestetica dei paesaggi Donatella Mazzoleni La Tabula Musicalis è uno strumento sinestetico costruito mediante un processo di meditazione sull’identità e sulla posizione cosmica di un paesaggio specifico, e poi usato per celebrarne la bellezza: viene suonato attraverso l’esercizio dello sguardo, del tatto e dell’udito. Rappresenta un paesaggio in un modo archetipico e polisemico e offre, al termine di un percorso di conoscenza, la possibilità di rendere omaggio al suo genius loci in una meditazione polisensoriale condivisa. In questo articolo presento la teoria e il metodo relativi alla costruzione di questo strumento, e ne mostro un prototipo costruito in riferimento al paesaggio della città di Napoli. The Tabula Musicalis: a synesthetic representation of landscape The Tabula Musicalis or “Music Compass” is a synesthetic instrument built through a process of meditation on the identity and cosmic placing of a specific landscape, and then used to celebrate its own beauty: it is played through the exer-cise of sight, touch and hearing. It represents a landscape in an archetypal and polysemic way, offering, at the end of a path of knowledge, the possibility of cele-brating its genius loci in a shared polysensorial meditation. In this essay we pre-sent the theory and the method for the construction of this instrument, and show a prototype of the Musical Compass, built in reference to the landscape of the city of Naples.

La Tabula musicalis è un’opera ibrida: prodotto di un esercizio del pensiero inizialmente logico e storico-scien-tifico, poi analogico ed estetico, è uno strumento pittori-co-plastico-cronografico-musicale costruito attraverso un processo di meditazione sull’identità e la collocazione co-smica di uno specifico paesaggio, allo scopo di rappresen-tarne e celebrarne la struttura di senso, la specifica “bel-lezza”. Questo strumento può essere giocato mediante

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l’esercizio contemporaneo dello sguardo, del tocco e del suono. Rappresenta un paesaggio in modo archetipico, sinestesico e polisemico, e può consentire la condivisione di una meditazione collettiva sul genius loci in un evento vi-sivo, musicale, coreografico. Si presentano qui alcuni rife-rimenti teorici e metodologici che sono alla base dell’idea-zione e della costruzione di questo strumento, e un proto-tipo di Tabula musicalis costruito in riferimento al paesag-gio della città di Napoli. Paesaggio

Sembra che la parola “paysage” sia stata pronunziata

per la prima volta da un poeta francese, nel Quattrocento, e che nella lingua italiana la parola “paesaggio” sia stata acquisita nella prima metà del Cinquecento, in una lettera di Tiziano a Carlo V. Ma, nel contesto europeo-medi-terraneo, l’origine della nozione di paesaggio va fatta risa-lire già al cuore del XIV secolo, quando – nella fase di transizione dal Medioevo al Rinascimento, agli albori del-l’umanesimo dell’età moderna – lo sguardo umano ha ampliato il campo della visione, rivolgendosi non più solo all’interno ma anche all’esterno dello spazio abitato, e ha “visto” il territorio esterno alla città non più solo come una indeterminata res extensa ma come uno scenario di ri-ferimento per le attività umane. Emblema di questo pas-saggio sono le immagini rappresentate da Ambrogio Lo-renzetti negli affreschi del Palazzo Civico di Siena quali “allegoria del buono e del cattivo governo e dei loro effet-ti”: immagini della città dentro le sue mura e della campa-gna al suo intorno fuori le mura, caratterizzate, nel caso del buon governo, dalle tracce ordinate dell’armoniosa cooperazione umana, e incorniciate le prime dal profilo delle architetture urbane, le seconde da quello delle alture

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naturali che si profilano all’orizzonte. Questa iniziale coscienza europea del paesaggio si

struttura nel corso del Rinascimento parallelamente allo sviluppo dello strumento conoscitivo della prospettiva, e conosce un’ulteriore estensione nel corso del XVII seco-lo, quando i tracciati architettonici urbani, proprio grazie alla padronanza acquisita nelle costruzioni prospettiche, si proiettano al di là delle mura in assi visivi extraurbani che agganciano i loro punti di fuga all’orizzonte, mentre le rappresentazioni grafiche e pittoriche – e le stesse mappe planimetriche delle città – si ampliano per includere brani di territorio esterni alle parti costruite. Il paesaggio del-l’epoca tardorinascimentale e barocca non ha tuttavia an-cora una sua piena autonomia nell’immaginario collettivo: è ancora sentito come un intorno della città, una cornice di territorio che inquadra le tracce dell’attività umana. È il “dentro” della città a essere percepito come lo spazio amico, mentre il “fuori” della città, sia pure addomesticato nelle campagne al suo intorno, a mano a mano che ci si allontana da essa resta uno spazio incerto, pericoloso, ignoto.

Un profondo cambiamento nella maniera di leggere il “paesaggio” avviene intorno al XVIII secolo, quando la rivoluzione industriale muta profondamente e drastica-mente la struttura sociale e le condizioni della vita urbana. Le città industrializzate diventano sovraffollate, sporche, invivibili. È il “dentro” della città a essere percepito, ades-so, come lo spazio nemico, incerto, pericoloso. E il “fuo-ri”, per quanto lontano, per quanto non-umano, non fa più paura, anzi diventa un altrove sognato, promette un rapporto diretto con la natura, ora idealizzata come Eden delle origini. La nozione di paesaggio si tinge così di pa-thos, nelle due versioni del pittoresco e del sublime. La ricerca di nuovi paesaggi è anche all’origine dei viaggi del “Grand Tour”. Il paesaggio diventa finalmente un’imma-

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gine autonoma, oggetto di un’indipendente elaborazione culturale e di una specifica produzione pittorica.

Fin dall’inizio, la parola che ha dato nome a questa immagine dello spazio esterno dell’abitare umano – “pae-saggio” – ha custodito un significato molto ampio. Nelle lingue della koiné mediterranea, la parola “paesaggio” (“paysage”, “paisaje”, “paisagem”) discende dal latino pagus (paese), a sua volta derivato dalla radice indoeuropea pag/pak, che si ritrova, oltre che in pangere (piantare), an-che in pace e patto1. È interessante notare che nel nome – e quindi nel concetto – di “paesaggio” è insito dunque non solo un rimando pratico all’uso agricolo del suolo, ma anche un rimando simbolico alla pacificazione, ovvero alla risoluzione, e prevenzione, di un possibile conflitto. Que-sta seconda accezione connota dunque qualcosa di atti-nente alla strategia di mitigazione di un pericolo di conflit-to che, del resto, è implicito nel primo significato del ter-mine: se si fa riferimento al primitivo uso agricolo del suolo, è evidente infatti che una fra le principali ragioni di contrasto risiede nella spartizione iniqua della terra fra i suoi abitanti. Il “paesaggio” sarebbe dunque, in origine, ciò in cui si trasforma un territorio: una volta che gli esseri umani che lo popolano vi diventano stanziali, entrano fra loro in potenziale conflitto, ma stabiliscono delle regole al fine di coltivarne la terra e di convivere in pace.

“Dividere” la terra, d’altronde, è resecare, da cui “ri-schiare”2. È dunque la divisione del territorio in sé a rap-

1 Cfr. G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana. Dizionario etimologico, Le Monnier, Firenze 1968. 2 Secondo un’altra linea interpretativa, la parola “rischio” proverrebbe da una diversa trafila, ma da un significato originario comunque connesso con i valori della terra: dall’arabo dei conquistatori rizq e dal greco dei papiri rouzikon, “tassa in natura che gli indigeni pagano agli occupanti”, divenuto poi rizikòn, “sorte, ventura”, attraverso l’espres-sione andres tou rizikou, “soldati di ventura”. Cfr. M. Cortellazzo, P.

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presentare qualcosa di intrinsecamente pericoloso, quando non sia sostenuta da una visione mentale generale del suolo da frammentare e degli interessi dei suoi abitanti, in assenza cioè di una pacificazione (potrebbe dirsi di una paesaggizza-zione) del territorio stesso. I concetti di “paesaggio” e di “rischio” sembrano quindi contenere fin dalla loro radice etimologica un profondo rimando reciproco. La relazione non è speculare, ma piuttosto gerarchica: in essa, il con-cetto di “paesaggio” è il contenitore che reca già in sé, come contenuto parziale, il concetto di “rischio”: questo però vi è rappresentato in modo indiretto e capovolto, cioè attra-verso il suo antidoto, il concetto di “pace”, la cui presenza attiva nel significato del termine “paesaggio” è compren-sibile solo attraverso l’ammissione del suo presupposto contrario3.

Nell’area nordeuropea, è invece l’olandese landschap, dall’antico landscap, parola composta da land (terra) + scap (condizione), ad aver generato i termini “landscape”, “Landschaft”, “landskapet” e per estensione – attraverso la transgenerazione dell’inglese internazionale – una mi-riade di termini recenti, quali “townscape”, “soundscape”, fino a “moonscape”, “dreamscape”, e così via, che fanno dunque riferimento piuttosto a una compresenza di ele-menti oggettivi sui territori abitati (realmente o anche idealmente) dagli uomini.

La Convenzione Europea del Paesaggio del 2000, nel proporre una definizione da adottarsi come unica e con-divisa nella cultura occidentale, ha sancito un’accezione

Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 1985-89. 3 D. Mazzoleni, Il valore iconologico / The Iconological Value, in D. Mazzo-leni e M. Sepe (a cura di), Rischio sismico, paesaggio, architettura /Seismic Risk, Landscape, Architecture, Università degli Studi di Napoli Federico II, Centro Regionale di Competenza Analisi e Monitoraggio del Ri-schio Ambientale, Napoli 2005, pp. 31-40.

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percettiva del termine “paesaggio”. Tuttavia la densità semantica del termine rischia di essere tradita – non solo nell’uso corrente, che in genere fa riferimento stretto alla pittura e in particolare al realismo di certe vedute paesisti-che, ma anche nei campi di esplorazione teorica – se que-sta percezione viene intesa come relativa solo ad alcuni privilegiati canali sensoriali (quello visivo, per esempio) e non viene invece costantemente riportata alla originaria sinestesia del corpo.

Di qui l’importanza dello sviluppo di campi di ricerca più recenti, quali quello sul “paesaggio sonoro” (“sound-scape”), cui però auspicabilmente dovrebbero affiancarsi anche altri studi – sul “paesaggio tattile” (“touchscape”?), per esempio, o sul “paesaggio olfattivo” (“smellscape”?). L’insieme di tali approfondimenti permetterebbe la co-struzione di un’area di studio olistica sulla cinestesi globale del paesaggio: la qualità per cui esso – in quanto nozione generata e generante un’esperienza collettiva – trasmette alla mente collettiva della comunità abitante sensazioni indeterminate, connesse con lo stato generale del suo cor-po comunitario e risultanti da impressioni varie inerenti ai processi della vita materiale e immateriale, avvertite dalla coscienza quando la tonalità complessiva ne viene turbata, con un senso particolare e ineffabile di benessere o di ma-lessere. Ciò permetterebbe di definire filosoficamente la funzione del senso del paesaggio come quella del senso interno (di una comunità abitante) che associa singole sensazioni riducendole a unità, riportandole dunque a una sorta di radice sinestesica – per cui il paesaggio verrebbe in sostanza a coincidere con la stessa unità della coscienza (individuale e collettiva), ovvero con il senso stesso del-l’identità (soggettiva e ambientale) dei luoghi.

La Tabula musicalis si riferisce a un concetto globale di

paesaggio, inteso come percezione umana sinestesica e coscienza

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cenestesica collettiva delle qualità materiali e immateriali dello spazio che accoglie un habitat umano.

Percezione dello spazio, percezione del tempo La nostra capacità di percezione dello spazio si esercita

in uno stadio precoce dello sviluppo ontogenetico, nei primi mesi di vita, dall’acquisizione dell’esperienza della separazione. L’alternanza tra l’attaccamento e il distacco dal seno materno crea la progressiva acquisizione cognitiva del distacco dal corpo della madre, generando così la co-gnizione della differenza tra un “dentro” e un “fuori” di sé, e tra un “sé” e un “mondo” separati eppure in contat-to; quindi della pelle come limite corporeo, confine e de-finizione del sé («le moi-peau»)4.

La nostra capacità di percezione del suono si origina invece in uno stadio più antico dello sviluppo ontogeneti-co, nella vita pre- e peri-natale, all’interno di un processo che possiamo definire solo come pre-esperienza – antece-dente alla separazione e al taglio della nascita –, nello stato della fusione, del “non-due” madre-figlio. La percezione del suono si sviluppa dalla trasmissione vibratoria, non solo all’orecchio ma all’intero organismo, dei suoni del corpo materno: i suoni ritmici del battito cardiaco e del respiro, i suoni di fondo della peristalsi intestinale, i suoni melodici della voce. Dalla percezione del suono scaturisce la perce-zione del tempo: tempo ciclico (ritmo) e tempo continuo (melodia). L’attitudine alla ricezione di suoni/vibrazioni viene inoltre radicata ancor più nel corso dell’infanzia dal-l’interazione madre/figlio mediante la gestualità del don-dolamento, della cantilena ritmata, che, attraverso il “mi-

4 D. Anzieu, Le moi peau, Editions Dunod, Paris 1985 (trad. it. L’io-pelle, Borla, Roma 1987).

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maggio”, creano progressivamente le leggi mnemotecni-che di concatenamento del pensiero e dei linguaggi5.

La Tabula musicalis si riferisce all’esperienza di una per-

cezione primaria (spazio-temporale-musicale) e archetipi-ca del paesaggio.

Sinestesia La facoltà di percepire il “colore”, l’“odore” e il “sapo-

re” dei suoni, oppure il “suono”, l’“odore” e il “sapore” dei colori, oppure ancora il “colore” e il “suono” dei sa-pori, o il “colore” e l’“odore-sapore” delle forme, o le “forme” e i “colori” dei numeri e delle sequenze di nume-ri, o il “sesso” dei numeri, o il “colore”, l’“odore” e il “suono” dei sentimenti, e così via, ovvero la facoltà di una percezione corporea sincretica, che attiva simultaneamen-te aree cerebrali connesse a più canali sensoriali, sembra essere propria dei primi stadi della vita umana, e pare co-stituire il serbatoio fondamentale delle capacità percettive-rappresentative che verranno sviluppate nel corso dell’in-tera esistenza.

Marcel Jousse ha creato un’intera «antropologia del ge-sto» studiando temi quali la «manducazione della parola», il «mimismo», gli «utensili gestuali» della memoria, il «ritmo-melodismo» e il «ritmo-topografismo» dei linguaggi 6.

Normalmente, la facoltà sinestesica viene sacrificata nel processo di crescita, a causa della “potatura” educativa a favore della distinzione e della specializzazione delle ri- 5 M. Jousse, L’Anthropologie du Geste, Gallimard, Paris 1974 (trad. it. L’antropologia del gesto, Edizioni Paoline, Roma 1979). 6 M. Jousse, scritti vari 1925-1952. In particolare, La Manducation de la Parole, Gallimard, Paris 1975 (trad. it. La manducazione della parola, Edizione Paoline, Roma 1980).

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sposte percettive attraverso i distinti canali sensoriali della visione, dell’udito, del gusto, dell’olfatto, del tatto. Alcune persone, però, conservano l’attitudine sinestesica anche nell’età adulta. La stessa attività “artistica” potrebbe essere in fondo descritta anche come la capacità di ricreare con-dizioni di percezione/espressione sinestesica globale.

Nelle estreme propaggini ottocentesche della cultura romantica, e nel passaggio alla sperimentazione delle avanguardie della prima metà del Novecento, molti artisti hanno nutrito esplicitamente la loro immaginazione crea-tiva indagando in molteplici direzioni sul piano percettivo le corrispondenze intime tra suoni, colori, forme, odori. Dal campo della ricerca poetica letteraria, Charles Baude-laire parla di sinestesia quando scrive della natura come di un tempio che lascia trapelare «confuses paroles», o di «parfums frais comme des chairs d’enfant, doux comme les hauboits»7. Nel campo della ricerca musicale, Aleksan-der Scriabin è affascinato dalla sinestesia: per il Prometeo8 scrive una partitura contenente una linea per «tastiera per luce» – strumento immaginario che avrebbe dovuto ese-guire un cambiamento del colore della luce in relazione al mutare delle tonalità – e alla sua morte lascia incompiuta l’opera Mysterium, che aspirava a fondere tutte le possibili sensazioni in una apocalittica sintesi cosmica, con suoni che, secondo il teologo Pavel Evdokimov, sarebbero stati addirittura capaci di uccidere o resuscitare i morti per la loro potenza sinestesica. Mentre Vladimir Baranoff-Ros-sine costruisce e presenta a Mosca al Teatro Bolshoi un «piano ortofonico», capace di produrre suoni e colori9.

Nel campo della ricerca pittorica, Paul Klee e Kazimir 7 C. Baudelaire, Correspondences, IV sonetto della raccolta Les fleurs du mal, Parigi 1857. 8 A. Scriabin, Prométhée, le Poème du Feu, sinfonia n. 5, op. 60, 1910. 9 V. Baranoff-Rossine, “Piano Optophonico”, presentazione al Tea-tro Bolshoi, Mosca 1924.

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Malevič rappresentano graficamente e cromaticamente timbri sonori e ritmi musicali. Tutta la ricerca artistica di Vasilij Kandinskij si svolge all’insegna dell’esplorazione della potenza “spirituale” del colore, che – contenendo calore, suoni, odori, sapori “interiori” – è capace, attraver-so il canale della visione, di evocare nell’anima emozioni complesse e profonde10. Infine, la nuova forma di espres-sione artistica costituita dal cinema è una forma di lin-guaggio che nasce inizialmente, nel cinema muto tra la fi-ne dell’Ottocento e il primo Novecento, come cenestesico (fondato sulla connessione tra movimento e sensazione), e poi, con l’avvento del sonoro, e in particolare della “co-lonna sonora”, diviene più compiutamente sinestesico.

La Tabula musicalis si propone come uno strumento di

rappresentazione dei paesaggi, sinestesico nella percezio-ne, polisemico nell’espressione.

Rappresentazione cosmica La Tabula musicalis trae tuttavia ispirazione – “laica”, in

senso lato – principalmente da quel grande serbatoio del-l’immaginario che ha origine, nelle radici greco-mediter-ranee e nello sviluppo della storia occidentale, dalla teoria della “musica delle sfere” (Pitagora, sec VI a.C.), ripresa da Platone (V-IV sec. A.C.) e successivamente da Tolo-meo (sec II), Al Kindi (sec IX), e sviluppata infine da Ke-plero (sec XVII).

In effetti, essa si rifà, all’interno di quel filone, alla specifica tradizione dell’invenzione di strumenti reali o fantastici pensati per rappresentare musicalmente l’ordine dell’universo: dal tetracordo dell’antica Grecia, al mono-

10 V. Kandinskij, “Uber das Geistige in der Kunst”, 1912.

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cordo di Pitagora (ripreso dopo secoli da Robert Fludd11), all’“organo cosmico” che rappresenterebbe l’armonica na-scita del mondo progettato da Athanasius Kircher12. E ri-sale in qualche modo, al di là delle stesse immagini di strumenti fantastici, a ciò che viene alluso dal concetto di Viriditas, nonché alle potenti visioni “sinfoniche” dell’ar-monia del mondo, rappresentate in forme cosmico-musi-cali, di Hildegarde von Bingen13. E si ispira infine anche alle intuizioni di Giordano Bruno sugli strumenti cognitivi e comunicativi che possono essere usati per creare dei vincoli fra gli esseri umani, con particolare attenzione al «vincolo secondo, che ha radice nella voce e nel canto»14.

La Tabula musicalis cerca di dare corpo alla fantasia

dell’esistenza di un “suono dello spazio”, impercettibile all’orecchio umano, ma intelligibile alla mente come pro-porzione armonico-matematica, nei luoghi che gli uomini hanno prescelto per radicarvi la propria discendenza, im-piantandovi un axis mundi e fondandovi – con lo stesso gesto, simultaneamente – una città, e il suo paesaggio. La musica del paesaggio

La visione di un territorio produce immagini visive del

11 R. Fludd (Robertus de Fluctibus), Utriusque Cosmi, maiores scilicet et minores, metaphysica, physica atque technica Historia, Utriusque Cosmi Histo-ria, Oppenheim, 1617-1621. 12 A. Kircher, Musurgia universalis, sive ars magna consoni et dissoni, Roma 1650. 13 H. von Bingen, Scivias, 1141-1150, edizione critica Adelgundis Füh-rkötter and Angela Carlevaris, eds. Hildegardis Scivias, Turnhout, Brepols 1978. 14 G. Bruno, De magia. De vinculis in genere [1590], trad. it. La magia dei vincoli, Filema, Napoli 2008.

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paesaggio, che possono essere realizzate in forma di map-pe e vedute, con l’ausilio di varie tecniche grafico-pit-toriche-plastiche. Una visione completa di tutto ciò che è visibile in un certo luogo fino all’orizzonte è il pan-orama, letteralmente la visione del tutto. Ciò che noi percepiamo come panorama è un’immagine ottica costituita dalle for-me della terra (pianure, colline, montagne), dell’acqua (fiumi, mare, laghi), dell’aria (cielo), del fuoco (sole, luna, stelle) e dalle tracce delle forme di vita vegetali, animali, umane che abitano quei luoghi. Ma l’identità di un pae-saggio (inteso come immagine olistica, non ridotto alla so-la immagine visiva) è complessa, così come è complesso il nostro corpo, che è strumento di conoscenza e misura dello spazio attorno a noi e del tempo attraverso di noi.

Spostando il focus dell’attenzione dallo sguardo all’u-dito, ecco allora configurarsi un altro tipo di percezione del tutto, un altro tipo di “panorama”, che potremmo chiamare pan-akousma: l’ascolto del tutto. L’immagine acusti-ca del paesaggio è costituita dai suoni minerali (i suoni del vento, delle acque, dei fuochi, il silenzio della terra e delle stelle), vegetali (i movimenti e le sottili “voci” delle pian-te), animali (i rumori e i richiami delle varie specie viventi, i suoni e i rumori della specie umana). Questa immagine può essere registrata e trascritta in forma di una sorta di partitura musicale, comprendente indicazioni sui timbri, le ampiezze, le altezze, le frequenze, i ritmi, dei suoni pre-senti nei luoghi. Tale partitura, se ordinata secondo una o più scale evolutive, diviene in realtà anche una sorta di rappresentazione sincronica dello sviluppo diacronico dell’evoluzione delle specie viventi in un certo sito, sub spe-cie di registrazione sinottica ordinata delle voci e delle tracce sonore degli esseri viventi in quel sito.

Si può allora pensare che, percorrendo la scala evoluti-va fino al suo culmine, quello dell’evoluzione culturale della specie umana, e spingendosi fino all’apice della capa-

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cità di sviluppo del pensiero astratto, sia possibile ascolta-re in un paesaggio qualcosa che va oltre i suoni materiali, trasmessi all’aria all’acqua e alla terra del luogo dalle varie presenze viventi e non viventi, e udibili attraverso le no-stre orecchie. Con un’attenzione di ordine superiore, si possono infatti cogliere nel paesaggio quei suoni immate-riali, quelle vibrazioni – udibili/visibili solo nella nostra mente umana – che noi percepiamo come trasmesse diret-tamente dal luogo alla nostra capacità di sentire nella mente l’ordine delle cose.

Intendo questo “sentire l’ordine delle cose” come «quel più ampio sapere che è la colla che tiene insieme le stelle e gli anemoni di mare, le foreste di sequoie e le commissioni e i consigli umani […] perché vi è un unico sapere che caratterizza tanto l’evoluzione quanto gli ag-gregati umani»; come la capacità di afferrare «la struttura che connette»; come la facoltà di percepire «quel senso di unità di biosfera e umanità che ci legherebbe e ci rassicu-rerebbe tutti con un’affermazione di bellezza»15.

Si comprende a questo punto come si possa parlare di “musica” del paesaggio: intendendo “musica” non nel moderno significato di “arte dei suoni”, ma nel significato originario della parola greca mousiké, ovvero come l’arte totale delle Muse (figlie divine di Zeus, padre di tutti gli dei, e di Mnemosyne, dea della memoria e della dimenti-canza), arte dell’armonia che connette tutte le forme di espressione.

Tabula musicalis Nessuna rappresentazione di paesaggio è una registra-

15 Gregory Bateson, Mind and Nature. A Necessary Unity 1979 (trad. it. Mente e natura, Adelphi, Milano 1984).

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zione passiva delle qualità percettive di un sito. Anche le vedute paesaggistiche più realistiche comportano una se-lezione di elementi, che definisce la scelta poetica e stili-stica dell’opera. La Tabula musicalis, pur proponendosi co-me rappresentazione sinestesica del paesaggio, non consi-ste in una passiva registrazione delle caratteristiche panot-tiche e panacustiche di un sito. Essa è costruita, con un esercizio post-scientifico del pensiero, astraendo dall’im-magine sinestesica di un paesaggio le sue caratteristiche fondamentali, le quali stanno alla base dell’antropizza-zione del sito, ovvero della scelta fondativa che ha fatto sì che in quel sito e non altrove si producesse quel paesaggio mediante il riconoscimento e la fissazione di un’immagine specifica da parte di un insediamento urbano. Sono le ca-ratteristiche che di un sito definiscono la collocazione co-smica, l’orientamento, la natura materiale primaria: carat-teristiche che restano immutabili nel tempo anche attra-verso le estese modifiche storiche prodotte dalla presenza antropica, e che quindi, di quel paesaggio, costituiscono l’immagine primaria, l’archetipo.

La Tabula diventa quindi un’opera descrittiva e inter-pretativa delle caratteristiche globali, sinestesiche e spazio-temporali, di un paesaggio. Funziona in certo senso come bussola di orientamento di un territorio, ma anche orolo-gio e calendario di uno specifico tempo locale.

La costruzione della base plastico-pittorica della Tabula è realizzata a partire da una sorta di mappa prospettica: una rappresentazione del paesaggio, realizzata come im-magine circolare bidimensionale disegnata su un disco piano, montato su un tamburo cilindrico cavo al suo in-terno (questa struttura funzionerà poi da cassa di risonan-za nella costruzione dell’apparato musicale). Tale immagi-ne pur essendo piana non è tuttavia una planimetria: è bi-dimensionale, ma costruita come una prospettiva sferica del sito (pan-orama, visione del tutto), avente il suo centro

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visivo in un punto significativo del sito stesso (pan-optikon, il punto da cui si vede tutto).

Attorno al pan-optikon di partenza viene costruito il pan-orama: ovvero l’immagine visiva circoscritta dall’Orizzonte Terrestre (Cerchio della Terra), il profilo che l’orizzonte presenta circolarmente a trecentosessanta gradi rispetto al punto di vista stabilito nel punto di partenza. In una co-rona circolare più esterna viene tracciato l’Orizzonte Cele-ste (Cerchio del Cielo).

A questo punto si procede all’orientamento dell’imma-gine, prima con l’identificazione dell’orientamento terre-stre (le emergenze paesistiche e architettoniche che carat-terizzano il campo della visione), poi con l’identificazione dell’orientamento celeste (la direzione dell’Oriente equi-noziale). È ora possibile costruire la traiettoria del Sole (ovvero della banda celeste definita dall’escursione della traiettoria solare tra i solstizi estivo e invernale, contenen-te al suo centro la traiettoria equinoziale). Si può quindi identificare il(i) Punto(i) Cardinale(i) dominante(i), ovvero la(e) direzione(i) di visione preferenziale della mappa pa-noramica.

La mappa panoramica così realizzata costituisce già di per sé una sorta di bussola, per l’orientamento non solo fisico ma anche simbolico del luogo, una «Mappa di Orientamento Globale»16 che permette di orientarsi visi-vamente e cosmologicamente nel paesaggio di quello spe-cifico sito. All’oggetto vengono ora aggiunte ulteriori ca-ratteristiche tecniche e sensoriali. La costruzione dell’ap-parato sonoro viene realizzata in modo da “dare voce” al-la immagine visiva del paesaggio. Alcuni punti significativi 16 D. Mazzoleni, An instrument for the holistic representation of environmental identity: the “Symbolic-phisical orientation map” / Uno strumento di rappresentazione olistica dell’identità ambientale: la “Mappa di orientamento fisico-simbolico”, in Ibid. (ed), Nature Architecture Diversity / Natura Architettura Diversità, Electa Napoli, Napoli 1998, pp. 396-430.

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della Mappa vengono resi sensibili al tatto, in modo da costituire delle tastiere produttrici di suoni. Alcune tastiere saranno dedicate ai suoni rappresentativi della Terra; i ta-sti saranno posizionati in corrispondenza di punti signifi-cativi dell’orientamento terrestre, oppure disposti in se-quenze radiali, posizionate secondo gli assi di orientamen-to preferenziale del sito a partire dal punto centrale della visione. Una triplice “tastiera-orizzonte” circolare sarà de-dicata ai suoni rappresentativi del cielo e dei cicli del tem-po. Le tastiere “terrestri” daranno voce, per analogia, alle materie archetipiche presenti nel paesaggio primario delle origini ma – proprio in quanto archetipiche – permanenti nella configurazione del paesaggio attuale: non solo la Terra stessa delle pianure, colline e montagne, ma anche l’Acqua del mare e dei fiumi, l’Aria dei venti, il Fuoco in-domato (vulcanico) o domestico (i punti di calore della presenza umana).

Le tre tastiere “celesti”, che costituiscono la “tastiera-orizzonte”, circolare appunto come l’orizzonte celeste, daranno voce, per analogia, nelle loro tre estensioni, alle diverse ampiezze della traiettoria solare alle tre stagioni (estiva, equinoziale, invernale). In un certo senso, esse da-ranno dunque voce al tempo, così come viene percepito e misurato nei suoi cicli circadiani e stagionali in quello spe-cifico luogo. Queste tastiere svilupperanno quindi una scala di suoni ascendente (dall’Est al Sud) e discendente (dal Sud all’Ovest) avendo, in analogia con le misure delle ore di luce, una stessa nota di base comune – di inizio a Est e fine a Ovest – ma una diversa estensione (massima per la scala “estiva”, media per la scala “equinoziale”, mi-nima per la scala “invernale”). Dunque esse culmineranno al centro (a Sud) in tre note di diversa altezza, in analogia alla diversa angolazione del sole rispetto all’orizzonte al mezzogiorno nelle diverse stagioni.

La scelta delle scale musicali è parte del lavoro creativo

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della Tabula. Ma conviene forse ricorrere a un esempio concreto per rendere più facilmente comprensibile il crite-rio costruttivo delle tastiere. Volendo procedere secondo la scala temperata codificata nella musica occidentale, l’escursione della tastiera “estiva” sarebbe, per esempio, di un’ottava e mezza (a cominciare dalla tonica all’Est solsti-ziale estivo, diciotto intervalli di un semitono per la scala ascendente, una nota centrale a Sud che è la quinta mino-re un’ottava più in alto, diciotto intervalli di un semitono per la scala discendente, che ritorna alla tonica all’Ovest solstiziale estivo, per un totale di trentasette tasti). L’e-scursione della tastiera “equinoziale” sarebbe di un’ottava (a cominciare dalla tonica all’Est equinoziale, dodici inter-valli di un semitono per la scala ascendente, una nota cen-trale a Sud che è la tonica un’ottava più in alto, dodici in-tervalli di un semitono per la scala discendente, che ritor-na alla tonica all’Ovest equinoziale, per un totale di venti-cinque tasti). La tastiera “invernale” coprirebbe infine una mezza ottava (dalla tonica all’Est solstiziale invernale, sei intervalli di un semitono per la scala ascendente, nota cen-trale a Sud che è la quinta diminuita, sei intervalli di un semitono per la scala discendente, che ritorna alla tonica all’Ovest solstiziale invernale, per un totale di tredici tasti). Il sistema della triplice “tastiera-orizzonte” occuperà dun-que un ampio settore circolare che andrà in senso orario dall’Est estivo all’Ovest estivo. Per una Tabula relativa a un paesaggio alla latitudine della fascia temperata dell’emi-sfero boreale, approssimativamente coprirà l’arco Nor-dEst-Est-SudEst-Sud-SudOvest-Ovest-NordOvest. Il set-tore Nord del disco resterà libero, essendo il Nord in ogni stagione, nell’emisfero boreale, la direzione dell’assenza di luce solare e dunque del “silenzio”.

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L’uso della Tabula musicalis La Tabula deve essere posizionata come una bussola,

facendo coincidere gli assi cardinali del disegno della mappa panoramica con gli assi cardinali dello spazio che orientano il paesaggio cui essa fa riferimento.

La fruizione visiva della Tabula – che è un’immagine circolare, osservabile da qualsiasi punto di vista e in qual-siasi direzione – deve poter essere libera, deve quindi es-sere permessa e agevolata la sua circumambulazione.

La fruizione musicale della Tabula potrà avvenire ag-giungendo all’osservazione visiva l’esplorazione tattile del-la superficie della mappa panoramica, e comporterà dun-que dei gesti delle braccia e delle dita della persona esplo-ratrice/esecutrice, secondo traiettorie circolari periferiche e concentriche al disegno dell’orizzonte del paesaggio (alla ricerca dei punti sensibili dei tasti che produrranno suoni “celesti”) e secondo traiettorie lineari o radiali (alla ricerca dei punti sensibili dei tasti che produrranno suoni “terre-stri”) percorrenti la superficie circolare della immagine del corpo del paesaggio. La posizione iniziale dell’esecutore, nel caso di una Tabula relativa a un paesaggio dell’emi-sfero boreale – come quello che sarà illustrato nel proto-tipo relativo alla città di Napoli – potrebbe essere a Nord, ma l’esecutore potrebbe anche compiere una circumam-bulazione dello strumento, o degli andirivieni lungo la sua circonferenza, e orientarsi quindi momento per momento nella direzione preferita in funzione delle intenzioni sim-bolico-musicali. Il movimento dell’esecutore musicale ag-giunge un’ulteriore componente gestuale alla fruizione vi-siva-tattile-sonora dello strumento, che può essere specifi-camente curato assumendo la consapevolezza di una dan-za.

La fruizione complessiva della Tabula sarà quindi visi-va, orientativa nello spazio e nel tempo, tattile, acustica,

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coreutica… e, in una sintesi finale, sinestesica.

Un prototipo: la Tabula Musicalis Neapolitana La città di Napoli è stata fondata dai Greci nel V seco-

lo a.C. Ma alcune fonti romane ci danno notizia di un in-sediamento più antico, fondato da popolazioni pre-gre-che. Questo insediamento era dedicato a una divinità del mare, una Sirena, e da essa prendeva il nome: Parthenope. Per costruire la Mappa di Orientamento Globale di Napo-li, da porre a base della Tabula musicalis Neapolitana, sceglie-remo dunque come centro e come panoptikon il sito di fondazione dell’insediamento originario, la collina-pro-montorio di Monte Echia. Per ritrovare realmente la per-cezione originaria, fondativa, di questo paesaggio, dob-biamo immaginare di avere raggiunto questo piccolo pro-montorio dal mare.

Immaginiamo dunque di essere entrati nel golfo di Napoli dal mare, da quel varco che si apre tra la Punta della Campanella e l’isola di Capri, e di essere approdati sullo scoglio antistante il monte Echia, su quell’isoletta, un tempo chiamata Megaride, che oggi si presenta in forma di castello sull’acqua: il Castel dell’Ovo. Immaginiamo di dover capire dove siamo, avendo a disposizione soltanto i nostri sensi per comprendere la nostra posizione nel mondo. Venendo dal mare Mediterraneo, noi immaginia-mo che tutti i luoghi dell’Universo siano fatti delle stesse materie elementari: il Fuoco, la Terra, l’Aria, l’Acqua. Ma per capire dove siamo dobbiamo orientarci. Dobbiamo cioè cercare l’Oriente, la direzione dello spazio da cui sor-ge il sole.

Sull’isola di Megaride, per chi venga dal mare, l’Oriente è a destra. Guardiamo a Oriente. E ci accorgiamo che qui, in questo luogo preciso del mondo, a Oriente si verifica

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una congiunzione cosmica: l’energia del Fuoco nascente, presente nel cielo, nel sole che sorge dalla terra, è raddop-piata nella terra, nella presenza di un grande vulcano atti-vo, esplosivo, che si eleva alto a definire in quella direzio-ne l’orizzonte. Guardiamo alla nostra sinistra, a Occiden-te, la direzione dello spazio in cui il sole tramonta nella terra, la direzione della prevalenza della Terra. Anche qui, in questo luogo preciso del mondo, si verifica una con-giunzione cosmica molto particolare. Come nel cielo, così nella terraferma l’energia del Fuoco è accolta, trattenuta, spenta dalla energia della Terra: il tramonto del sole è co-me duplicato dalla presenza di molti vulcani dormienti o spenti, alcuni divenuti ormai laghi. E lì, la Terra respira, si solleva e si abbassa lentamente nel tempo, in fasi alterne di bradisismo. Percepiamo di essere, lì su quello scoglio (l’isoletta che una volta era detta Megaride, e che oggi chiamiamo Castel dell’Ovo), in un punto dello spazio in cui convergono con forza straordinaria, da Est e da Ovest, le energie elementari dell’universo.

Ora che ci siamo orientati, guardiamo davanti a noi. La terraferma, incurvata a destra e sinistra in due grandi ar-chi, come due braccia (o due teatri) aperte verso il mare, al centro, nella tangenza di questi due archi, si protende ver-so di noi, in un piccolo promontorio di tufo circondato da tre parti dal mare. Dalla punta di quel promontorio, una dorsale sale verso Nord, a formare una collina più alta. La terra si eleva verso il cielo. Il cielo si popola di luci e di nuvole. È la direzione dell’ascesa, e quella in cui spira il vento, di giorno e di notte con verso contrario: la direzio-ne della prevalenza dell’Aria, e della conquista dello sguar-do. Ci rendiamo conto che, andando in quella direzione, possiamo operare una conquista dello spazio in due fasi. Già alla prima collina (quella che oggi chiamiamo Monte Echia), potremo dominare con lo sguardo tutto il territo-rio circostante. Quel primo punto – luogo della prima

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combinazione dei due gesti primari: il gesto orizzontale della separazione, il gesto verticale dell’elevazione – “sarà” (è stato) il sito di fondazione dell’antica Parthenope. Ora, e in questo punto, sappiamo perché questa città si trova in questo posto del mondo.

Ma da lì andando oltre, fino alla cima della collina più grande, a poco a poco guadagneremo un controllo visivo totale di tutto il territorio circostante. In quel secondo momento, in quel secondo punto, la vetta della collina più alta (quella che oggi chiamiamo Vomero e sulla quale da alcuni secoli si erge Castel Sant’Elmo), ci impossesseremo di un culmine visivo da cui potremo dominare tutto lo spazio. Ma da lì, in un certo senso, potremo dominare an-che il tempo. Perché ci rendiamo conto che da lì, non solo della Napoli antica ma anche di quella attuale, potremo vedere tutto. Da lì potremo ricapitolare con lo sguardo il perché totale di questa città, Napoli, com’era “allora” e co-me è giunta a noi fino a oggi: perché essa sia stata costrui-ta qui, perché abbia questa forma, ma anche perché tutto-ra vi si abiti e in cosa questo abitare sia unico al mondo.

Sulla cima della collina (oggi, il camminamento degli spalti di Sant’Elmo) potremo chiudere il cerchio del no-stro orientamento, e, rivolgendoci nell’ultima direzione cardinale dello spazio, potremo riguardare all’indietro il percorso fatto. Lì, volgendo appunto lo sguardo a Sud, potremo cogliere nel mare, in tutta la sua potenza e bel-lezza, la presenza dell’energia dell’Acqua.

Avremo, a quel punto, forse senza essercene nemmeno resi conto, compiuto per tre volte (la prima sul Castel dell’Ovo, la seconda sul Monte Echia, la terza sulla vetta di Sant’Elmo) quel rito che è il più antico di ogni altro ri-to, quel rito che precede lo stesso rito di fondazione della città: il rito circolare dell’orientamento, della identificazione della relazione tra noi e il mondo. Al compimento di que-sto rito, rivolti infine verso Sud, verso il mare, verso

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l’Acqua, potremo ricordare, appunto, e riconfermare, che da lì vengono le nostre origini17.

Non solo. L’orientamento del paesaggio delle origini rivela il perché della potenza immutata nei millenni di questo sito di fondazione. Da questo punto del territorio campano e dell’intera costa mediterranea, per l’irripetibile configurazione del suo paesaggio, il mondo intero è ap-parso agli antichi fondatori – e tuttora può essere percepi-to – come un kosmos perfetto: perché le grandi forze pri-marie della natura trovano qui una straordinaria forma di pulita distinzione, rispettosa compresenza, equilibrio, e vengono a disporsi secondo il tracciato elementare di una perfetta croce cosmica. L’uovo del caos originario in questo punto del mondo spontaneamente si divide, e genera, proiet-tandole verso l’orizzonte, le quattro materie del mondo: a Est il Fuoco, a Ovest la Terra, a Nord l’Aria, a Sud l’Acqua.

Il punto significativo di partenza per la costruzione della Tabula Neapolitana è quindi il sito originario di fonda-zione della città: la collina di Pizzofalcone – anticamente detta Monte Echia, acropoli del primo insediamento ur-bano nel VII secolo a.C. a opera di coloni greci venuti dal mare – dove fu fondata la prima città di Parthenope (ab-bandonata, prese poi il nome di Palaepolis, città vecchia, quando Neapolis, la città nuova, fu rifondata più a est e un po’ più lontano dal mare).

La rappresentazione del panorama del paesaggio delle origini di Napoli (tuttora percepibile da chiunque nella contem-plazione del territorio fisico) sarà dunque un’immagine circolare, che potrà essere ruotata in tutte le direzioni, 17 La descrizione del paesaggio delle origini di Napoli è tratta con al-cune modifiche da: Donatella Mazzoleni, Tra Castel dell’Ovo e San-t’Elmo. Napoli, il percorso delle origini, 1995, ed è riportata anche in Donatella Mazzoleni, An instrument for the holistic representation of envi-ronmental identity: the “Symbolic-phisical orientation map”, cit.

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permettendo a est l’identificazione del Vesuvio e del sole nascente, a ovest l’identificazione di Posillipo e alle sue spalle dei campi Flegrei, a nord l’identificazione delle col-line e delle loro cime fortificate, a sud l’identificazione del mare e dell’isola di Capri sull’orizzonte.

Le qualità materiche e cromatiche naturali di questo paesaggio suggeriscono secondo una sinestesia spontanea le analogie sonore. La rappresentazione della musica del paesaggio delle origini di Napoli (tuttora perfettamente e di-rettamente udibile a un livello superiore di ascolto, me-diante l’attivazione di uno stato di rêverie sinestesica) sarà data dalla possibilità di far risuonare nella direzione dell’Est suoni di “fuoco”, nella direzione dell’Ovest suoni di “terra”, nella direzione del Nord suoni di “aria”, nella direzione del Sud suoni di “acqua” e nel cielo suoni di “luce”. La trascrizione analogica in suoni musicali di que-ste caratteristiche archetipiche del paesaggio, proposta dalla Tabula Neapolitana, è la seguente: per i suoni di fuo-co timbri di ottoni, per i suoni di terra timbri di percus-sioni, per i suoni d’aria timbri di strumenti aerofoni, per i suoni d’acqua timbri di cordofoni; per i suoni di luce, in-fine, il timbro della voce umana.

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Apparato iconografico

Fig. 1 Mappa di orientamento cosmico di Napoli

Fig. 2 La croce cosmica dell’orientamento del sito

di fondazione di Napoli

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Fig. 3 Corpi e musica immaginaria del paesaggio di Napoli:

la direzione Est e la materia del Fuoco

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Fig. 4 Corpi e musica immaginaria del paesaggio di Napoli:

la direzione Ovest e la materia della Terra

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Fig. 5 Corpi e musica immaginaria del paesaggio di Napoli:

la direzione Nord e la materia dell’Aria

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Fig. 6 Corpi e musica immaginaria del paesaggio di Napoli:

la direzione Sud e la materia dell’Acqua

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Fig. 7 Tabula Musicalis Neapolitana:

i punti sensibili del paesaggio

Fig. 8 L’orchestra/partitura immaginaria

del paesaggio di Napoli

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