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T. Cevoli, L’Acropoli di Atene. Sviluppo, definizione e trasformazione del Classico dall’Antichità al tessuto urbano contemporaneo, Napoli 2012. ISBN 978-88-905720-0-5

May 15, 2023

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LIBERARCHEOLOGIA SAGGI

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Tsao Cevoli

L’ACROPOLI DI ATENE

SVILUPPO, DEFINIZIONE E TRASFORMAZIONE

DEL CLASSICO DALL’ANTICHITÀ

AL TESSUTO URBANO CONTEMPORANEO

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T. Cevoli, L’Acropoli di Atene. Sviluppo, definizione e trasformazione del

Classico dall’antichità al tessuto urbano contemporaneo, Napoli 2012.

ISBN 978-88-905720-0-5

Edito da:

Liberarcheologia, Piazza S. Maria La Nova 12, 80134, Napoli.

[email protected]; http://www.liberarcheologia.it

© tutti i diritti riservati.

II edizione, 2015.

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εἰς τὴν κόρη μου

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INTRODUZIONE

«Se uno vuole fare davvero l’archeologo,

prima o poi deve venire ad Atene…»

Antonino Di Vita

La collina rocciosa dell’Acropoli occupa da sempre una po-

sizione centrale e dominante rispetto alla pianura nella quale si

estende la città di Atene. Tale posizione, per comprensibili ra-

gioni di natura difensiva, strategica e simbolica, è stata il moti-

vo della frequentazione e occupazione antropica dell’Acropoli

ancor prima che intorno vi nascesse e si sviluppasse la città.

Una frequentazione che, pur con modalità di utilizzo spesso an-

che radicalmente diverse nel corso dei secoli, non ha pratica-

mente conosciuto significativa soluzione di continuità dalla

preistoria ai nostri giorni.

Le fragili testimonianze di età preistorica e quelle già più

consistenti di età protostorica, che vedono sull’Acropoli la loca-

lizzazione di un centro di potere miceneo, lasciano il posto, a

partire dall’Età arcaica e poi soprattutto in Età classica, ad uno

dei maggiori complessi monumentali, al contempo religioso e

civile, della Grecia antica.

Nei secoli e nei millenni successivi l’Acropoli, mai rimasta

abbandonata o cristallizzata nelle forme e nelle funzioni proprie

dell’Età classica, attraversa l’Età ellenistica, romana, bizantina,

medievale e moderna, fino a quella contemporanea, mutando

costantemente aspetto, connotandosi nel corso della storia della

Grecia, grazie ai riutilizzi funzionali e alle trasformazioni che si

succedono nel tempo, in maniera di volta in volta nuova, arric-

chendosi anche di nuovi edifici, che tuttavia se parzialmente ne

obliterano, paradossalmente anche ne preservano la storia ar-

chitettonica precedente, fondendosi con essa.

Proprio il complesso susseguirsi di processi post-edificativi,

comportanti sovrapposizioni, trasformazioni, riusi funzionali ed

obliterazioni, fa sì che lo studio dell’Acropoli di Atene e dei

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suoi edifici, lungi dall’esaurirsi nell’analisi di singoli aspetti ar-

chitettonici, figurativi e topografici o di una singola fase stori-

ca, non possa prescindere da un più ampio approccio che tenga

adeguatamente conto di tali processi. Anche nell’esaminare una

fase ricca di espressioni figurative e densa di contenuti religio-

si, ideologici e politici, come quella di Pericle e Fidia, è neces-

sario scongiurare la tentazione di isolarsi e sclerotizzarsi in uno

studio di dettaglio, perdendo la visione d’insieme, e mantenere,

invece, la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un oggetto di

studio estremamente complesso, al centro di una fitta rete di in-

terrelazioni estetiche, storiche e ideologiche sia sul piano dia-

cronico sia su quello sincronico.

Questa continua metamorfosi giunge sino all’Età contempo-

ranea, che negli ultimi due secoli vede la “scoperta” archeolo-

gica dell’Acropoli procedere di pari passo con la nascita e lo

sviluppo, da un lato, della Grecia moderna, e, dall’altro,

dell’archeologia e del restauro come discipline sempre più an-

corate a metodi e procedure scientifiche.

L’Acropoli di Atene, forse più di ogni altro grande monu-

mento della Grecia classica, è rimasta costantemente al centro

della storia, in quanto inserita nel tessuto di una città che ha

continuato ininterrottamente a vivere nel corso dei secoli suc-

cessivi all’Età classica. Analizzandone i monumenti possiamo,

perciò, rileggere su di essi la storia degli interventi di restauro,

delle differenti scelte d’uso delle strutture antiche, recuperando

un caso al tempo stesso unico e paradigmatico dello sviluppo

non solo delle discipline dell’archeologia e del restauro, ma an-

che, più in generale, della concezione dell’utilizzo, della tutela,

della gestione e della fruizione del patrimonio culturale, in par-

ticolare delle strutture monumentali, e di come essa si sia evo-

luta in Grecia e a livello internazionale negli ultimi due secoli.

Una storia che è indispensabile conoscere, perché non meno

che dalle scelte architettoniche e figurative di Percile e di Fidia,

è anche dalle trasformazioni delle epoche successive e dalle

scelte di conservazione e di restauro attuate negli ultimi secoli

che deriva la nostra immagine di Acropoli e in definitiva anche

la nostra idea di “classico”.

Nel presente saggio proveremo a riassumere, almeno per

grandi linee, il processo di sviluppo e trasformazione dell’Acro-

poli di Atene, seguendo il filo delle principali azioni antropiche

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di costruzione, distruzione, ricostruzione, riuso funzionale e re-

cupero nel corso dei secoli, soprattutto a partire dall’età classica

fino agli interventi di restauro e alla sua fruizione odierna come

area archeologica, tentando appunto di leggervi o almeno di

chiederci come si sia sviluppato nel corso del tempo l’approc-

cio all’antico.

Guarderemo a questo processo, da un lato, nella sua forte

unicità e caratterizzazione, costituendo l’Acropoli uno dei mag-

giori complessi monumentali della Grecia antica, dall’altro

provando ad elevarlo ad emblematico caso di studio dello svi-

luppo dell’approccio ai beni culturali, seguendo in particolare le

linee di cambiamento dell’atteggiamento dalla nascita dello

Stato ellenico - che diede il primo grande impulso alla monu-

mentalizzazione dell’Acropoli di Atene in una prospettiva di

fruizione estetica, volendone fare un luogo simbolo della na-

zione ellenica, della sua storia e della sua passata grandezza -

sino alla situazione attuale, che nel primo decennio del XXI se-

colo ha visto l’Acropoli al centro di una serie di opere di riqua-

lificazione di ampio respiro: dalla pedonalizzazione di tutta

l’area circostante l’Acropoli, a coraggiosi interventi di restauro

dei suoi monumenti, per affrontare radicalmente, e non più con

interventi-tampone, alcuni secolari fattori di degrado, sino alla

costruzione e all’apertura al pubblico del nuovo Museo dell’

Acropoli, che con la sua straordinaria esposizione e con il suo

innovativo sistema di gestione, porta oggi la Grecia a vantare

una delle strutture museali all’avanguardia a livello internazio-

nale, che apre nuovi scenari non solo per lo sviluppo turistico,

ma anche, come dimostrano i successi diplomatici raggiunti

dalla Grecia proprio facendo leva sulla qualità e sull’eco media-

tica internazionale del nuovo museo, riguardo alla plurisecolare

questione della restituzione alla Grecia dei marmi del Parteno-

ne.

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I. L’ACROPOLI: LO SVILUPPO DIACRONICO

I.1. Preistoria e Protostoria.

Dal punto di vista geologico e orografico l’Acropoli è una

ripida collina che raggiunge i 156 metri di altezza sul livello del

mare, larga 140 x 280 metri per un totale di 39.200 metri qua-

drati di superfice. È formata da calcare duro, poros tenero e da

un conglomerato irregolare di terra, breccia e ciottoli. Fa parte,

insieme a Turcovuni, Licabetto, Areopago, Filopappo, Pnice e

collina delle Ninfe, della serie di colline che si elevano sulla

piana ateniese, complessivamente delimitata da un lato dal ma-

re, dall’altro dai monti Imetto, Pentelico, Parnete ed Egaleo.

Oggi si viene a trovare al centro della città di Atene, delimitata

a sud dal quartiere di Makriyanni, a est/nord-est dal quartiere di

Plaka e infine a ovest/nord-ovest dall’Areopago (fig.1-2).

Per la sua morfologia, che ne fa al contempo una rocca di

difficile accesso al centro di una pianura, ma con una sommità

sufficiente ampia da essere utilizzabile, la collina dell’Acropoli

fu sin dall’epoca preistorica e protostorica un luogo di insedia-

mento privilegiato. Le prime tracce di frequentazione antropica

risalgono all’età neolitica (4000/3500-3000 a.C.). Seguono suc-

cessive evidenze della Prima e della Media età del Bronzo, do-

cumentate soprattutto nella zona dell’Eretteo.

Grazie alla sua conformazione e alla sua posizione strategi-

ca, che ne fanno una fortezza naturale irraggiungibile da tutti i

lati tranne che dal quello occidentale, l’Acropoli assunse parti-

colare importanza in età micenea. Come scrive Della Seta

«L’Acropoli può considerarsi l’esempio tipico di un’acropoli di

civiltà micenea, con mura di difesa e palazzo del principe, tra-

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sformatasi nel corso del tempo in un’acropoli di civiltà greca,

con santuario, templi e doni votivi»1.

Nel corso del XIII sec. a.C. vi è, infatti, attestata la residenza

di un locale sovrano miceneo2, cui si accedeva dal versante oc-

cidentale della collina. In tale contesto si inquadra anche la for-

tificazione poligonale di foggia cosiddetta “ciclopica”, di cui

qualche breve tratto si oggi conserva inglobato nelle fortifica-

zioni di epoca successiva, soprattutto sul versante meridionale

dell’Acropoli, in corrispondenza dei Propilei.

Queste fortificazioni andavano ulteriormente a rafforzare

una posizione già di per sé naturalmente ottimamente difesa,

essendo l’Acropoli di Atene una collina erta e, come abbiamo

detto, inaccessibile da tutti i lati, tranne che da quello occiden-

tale. È questo che portò alla scelta, sin dall’età micenea, di rea-

lizzare l’accesso alla sommità dell’Acropoli proprio su questo

lato: scelta poi rimasta inalterata in età classica, nei secoli suc-

cessivi e addirittura sino ai tempi nostri.

I.2. Dall’Età Arcaica all’invasione persiana.

Nel corso dell’VIII sec. a.C. l’Acropoli assume un carattere

spiccatamente religioso: l’introduzione del culto di Atena Po-

liade trova posto nel settore nord-est dell’Acropoli, che ne ospi-

ta il tempio. L’importanza del culto di Atena già in età arcaica è

testimoniata anche da numerose e preziose offerte votive: kou-

roi e korai marmorei, statuette di terracotta o bronzo, vasi ed al-

tre offerte, spesso accompagnate da iscrizioni votive.

Il culto di Atena acquista poi un risalto monumentale soprat-

tutto a partire dalla metà del VI sec. a.C. Durante la tirannide di

Pisistrato si realizzano, infatti, i primi grandi edifici di culto

dedicati alla dea, tra cui il tempio arcaico e l’Hekatompedon, e

soprattutto si istituiscono in suo onore le feste Panatenaiche3.

Nel 570 a.C. sull’Acropoli si inizia già a lavorare ad un

tempio dedicato ad Atena. Vi sorge in questo stesso periodo an-

1 DELLA SETA 1929. 2 Cfr. IAKOVIDIS 1962. 3 Per un approfondimento sull’arte nell’Atene dei Pisistratidi cfr. ANGIOLILLO 1997.

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che il santuario di Artemide Brauronia. Si tenta, infine, di rego-

larizzare e monumentalizzare l’accesso all’area sacra.4

Dopo la Cacciata dei Pisistratidi nel 510 a.C., il progetto

viene accantonato, ma nel 490 a.C. o poco dopo, tra il 490 ed il

488 a.C., all’indomani dell’epica vittoria contro i Persiani nella

battaglia di Maratona, gli Ateniesi intraprendono la costruzione

di un nuovo tempio in onore di Atena.

La questione dell’avvio della costruzione di un “Partenone”

prima di quello a noi noto dell’età di Pericle è stata a lungo di-

battuta dagli studiosi, che hanno adottato diverse definizioni,

tra le quali “proto-Partenone”, “Pre-Partenone II”, “vecchio

Partenone”. Definizioni e inquadramento topografico e crono-

logico discordano. Certo è, tuttavia, il tentativo di costruire

sull’Acropoli, prima dell’età di Pericle, un tempio dedicato ad

Atena Parthenos in sostituzione del più antico Hekatompedon,

mentre ancora in uso sarebbe rimasto il tempio arcaico dedicato

ad Atena Polias (fig.3-4).

L’edificio in questione doveva essere ancora in costruzione

e ne doveva essere stata probabilmente già realizzata una piatta-

forma di pietra e collocati i tamburi del colonnato, quando nel

480 a.C., dieci anni dopo la battaglia di Maratona, i lavori furo-

no bruscamente interrotti dal nuovo attacco persiano alla Gre-

cia.

La strategia di Temistocle, che decise di far evacuare la po-

polazione da Atene e di trasferirla nell’isola di Salamina, affi-

dando le sorti della battaglia decisiva alla flotta ateniese, diede

ai suoi concittadini un’insperata vittoria, ma al caro prezzo di

abbandonare la città, lasciandone gli edifici in balia dei Persia-

ni.

I Persiani, fiaccati ma al tempo stesso esacerbati dall’eroica

e strenua resistenza spartana che avevano incontrato alle Ter-

mopili, invasero l’Attica e sfogarono la loro ira su di un’Atene

ormai semideserta. Saccheggiarono e devastarono la città e

l’Acropoli, distruggendone i templi, compreso questo “proto-

Partenone” all’epoca in costruzione.

Eppure proprio la devastazione da parte dei Persiani, che

tanti danni arrecò all’Acropoli e a tutta la città di Atene, rappre-

4 Sullo sviluppo della politica edilizia ad Atene tra la prima metà del VI e la fine del V sec. a.C. cfr.

BOERSMA 1970.

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senta la nostra fortuna per lo studio dell’arte greca. Gli Atenie-

si, infatti, tornati vittoriosi dalla battaglia navale di Salamina,

non gettarono, ma raccolsero religiosamente ciò che rimaneva

delle statue distrutte dai Persiani, seppellendole sul sacro suolo

dell’Acropoli stessa. Si tratta della cosiddetta “colmata Persia-

na”, il cui scavo ha dato un apporto fondamentale alla nostra

conoscenza della statuaria greca di età arcaica e severa.5

Tornando al cosiddetto “proto-Partenone”, al di là delle dif-

ferenti denominazioni e definizioni che si incontrano nella sto-

ria degli studi, la costruzione di un tempio in onore di Atena

all’epoca delle Guerre Persiane è supportata sia da fonti lettera-

rie che da evidenze archeologiche: abbiamo, infatti, da un lato

la testimonianza di Erodoto6, dall’altro alcuni elementi architet-

tonici individuati nella facciata settentrionale dell’Eretteo, per-

tinenti con tutta probabilità a tale edificio, ed infine i dati pro-

venienti dagli scavi condotti sull’Acropoli dall’archeologo gre-

co Panagiotis Kavvadias tra il 1895 ed il 1890.7

Sulla base dei risultati di tali scavi Wilhelm Dörpfeld so-

stenne l’esistenza di una sottostruttura che doveva fungere da

piattaforma per il proto-Partenone8. La costatazione che tale

piattaforma non coincideva perfettamente con l’edificio peri-

cleo (fig.3-4), ma che era più piccola e situata leggermente più

a nord di esso, secondo Dörpfeld dimostrava che essa non era

stata concepita per il Partenone dell’età di Pericle, ma, appunto,

per un altro edificio più antico: il cosiddetto “proto-Partenone”.

Questa interpretazione dei dati di scavo fu resa, tuttavia, più

complessa dalla pubblicazione della relazione finale degli scavi

di Kavvadias, che consentirono di avanzare una seconda inter-

pretazione: quella della contemporaneità di tale piattaforma con

le pareti dell’edificio costruito all’epoca di Cimone, lettura che,

in contraddizione con le fonti letterarie, porterebbe ad una data-

zione più bassa della piattaforma e di conseguenza del cosiddet-

to “proto-Partenone”.

Riguardo alle ricerche compiute sull’Acropoli dal Kavva-

dias dobbiamo, in ogni caso, ricordare che si tratta pur sempre

5 Per le statue arcaiche dell’Acropoli e la questione della “colmata persiana” cfr. PAYNE HUMFRY

1950; PAYNE HUMFRY 1981; STENSKAL 2004. 6 ERODOTO, Storie. 7 Cfr. KAVVADIAS - KAWERAU 1906. Per gli scavi realizzati presso l’Acropoli cfr. anche

BRONEER 1938a; BRONEER 1938b; BRONEER 1938c; BRONEER 1939; BRONEER 1940. 8 Cfr. DÖRPFELD 1935, pag. 497-507; PAKKANEN 2006, pag. 275-281.

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di scavi del XIX secolo, con tutti i limiti che le tecniche di sca-

vo e di documentazione dell’epoca possono aver comportato

nella lettura di una stratigrafia muraria così complessa.

Nel 1912 all’estremità sudoccidentale del Partenone, dietro

il gradino più basso dell’edificio attuale, Bert Hodge Hill9 notò

un blocco angolare di una rampa di scalini di un tempio. Tale

blocco si sarebbe trovato ancora in situ, nella sua posizione ori-

ginaria. La successiva scoperta di altri blocchi di marmo, con

dei segni per la collocazione delle colonne, provenienti dal gra-

dino più alto della stessa rampa, e le dimensioni della piatta-

forma attuale permisero a Hill di ricostruire il diametro delle

colonne di un Partenone più antico ed il loro numero, che cal-

colò in sedici sul lato lungo e sei sul lato corto.

Hill fu tra i primi ad occuparsi della questione del o degli

edifici precursori del Partenone di Età periclea. Sempre a lui si

deve, tra l’altro, anche la distinzione tra un “antico Partenone”,

iniziato probabilmente all’indomani della battaglia di Maratona

o di quella di Micale, in costruzione al momento dell’invasione

persiana del 480 a.C., ed un secondo edificio, iniziato invece da

Cimone dopo il 468 a.C.

Dai dati emersi dalle ricerche su campo Hill dedusse, dun-

que, che l’edificio più antico era un tempio periptero esastilo

con sedici colonne sui lati lunghi e che, a differenza del Parte-

none, era simmetricamente centrato sulla piattaforma. Aveva,

inoltre, i muri interni che insistevano su una base profilata, cor-

rispondente a quella delle colonne ioniche. Ciò, tuttavia, lascia

una questione irrisolta, visto che il colonnato del tempio era,

invece, dorico. Secondo la ricostruzione di Hill il colonnato del

tempio era già stato terminato quando Pericle, salito al potere,

ordinò la sospensione dei lavori.

Un riesame della questione fu tentato prima da Graef e Lan-

glotz,10 poi nell’acceso dibattito che si svolse nel 1935 sulle pa-

gine dell’American Journal of Archaeology tra William Bell

Dinsmoor e Wilhelm Dörpfeld sul proto-Partenone e sulla sua

datazione ad un momento immediatamente successivo alla bat-

taglia di Maratona o in età cimoniana.11

9 HILL 1912, pag. 535-558. 10 Cfr. GRAEF - LANGLOTZ 1925. 11 Cfr. DINSMOOR 1935 e DÖRPFELD 1935. Per un quadro delle posizioni dei due studiosi si ve-

dano anche: DÖRPFELD 1892, DÖRPFELD 1902 e DINSMOOR 1934.

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Dinsmoor avanzò una serie di considerazioni sulle modalità

di costruzione del Partenone. Innanzitutto osservò che la grande

piattaforma su cui poggia il Partenone insiste direttamente sul

banco roccioso, il che presuppone all’epoca della costruzione

della stessa una preventiva azione di asportazione di tutta la

stratificazione di terreni accumulatisi sul banco roccioso sino a

quel momento.

L’edificio venne eretto anche con l’ausilio di una trincea,

con funzione di supporto per la messa in posa delle murature.

Per impedire, poi, fenomeni di dilavamento del terreno fu co-

struito un muro di sostruzione in opera poligonale, disposto in

modo pressoché parallelo alla piattaforma, così da creare una

terrazza degradante larga circa 13 metri. La stratigrafia permet-

teva di dedurre che la costruzione della piattaforma e quella del

muro sono contemporanee.

Dalla costatazione che il materiale ceramico restituito risul-

tava tutto databile al VI e ai primissimi inizi del V sec. a.C.,

Dinsmoor dedusse una datazione per le fondamenta del Parte-

none agli inizi del V secolo a.C., datazione che suggerisce

l’ipotesi di una relazione tra il progetto di erigere il nuovo tem-

pio in onore di Atena Parthenos e la battaglia di Maratona. La

costruzione di questa grande piattaforma di sostegno del tempio

sarebbe, dunque, iniziata, non a caso, proprio all’indomani di

una vittoria cruciale per il destino di Atene.

Al momento della successiva devastazione dell’Acropoli da

parte dei Persiani nel 480 a.C., la piattaforma in questione do-

veva essere stata completata e doveva essere iniziata anche la

costruzione del Partenone stesso, come si deduce dalla presenza

dei tamburi e di una serie di elementi architettonici accumulati

a nord della piattaforma, pronti per essere collocati sul tempio,

come già osservato da Collignon12 e coerentemente alle proce-

dure di costruzione del tempio illustrate da Carpenter.13

Riepilogando, la presenza sia della piattaforma, sia dei tam-

buri già messi in opera, nonché dei rocchi di colonne preparati

in prossimità del tempio e ritrovati in situ a nord dello stesso

Partenone, sembra indicare che la costruzione dell’edificio, già

iniziata, fu interrotta improvvisamente. Circostanza che, insie-

12 Cfr. COLLIGNON 1914. 13 Cfr. CARPENTER 1970.

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me al danneggiamento dei tamburi provocato da un incendio,

potremmo collegare con la devastazione dell’Acropoli ad opera

dei Persiani nel 480 a.C., individuando, dunque, verisimilmente

in tale evento la causa dell’interruzione dei lavori di costruzio-

ne del “proto-Partenone”.

I.3. La definizione monumentale in Età Classica.

Fermata l’avanzata Persiana con la decisiva vittoria nel 480

a.C. sotto la guida di Temistocle nella battaglia navale di Sala-

mina, gli Ateniesi iniziarono ad occuparsi della ricostruzione. Il

prezzo pagato per la vittoria era stato, infatti, la distruzione del-

la città da parte dei Persiani, che non avevano risparmiato

nemmeno edifici e oggetti sacri dell’Acropoli. Tutta la decora-

zione scultorea dei templi devastati dai Persiani fu religiosa-

mente raccolta dagli Ateniesi e sepolta sul suolo stesso

dell’Acropoli, sfruttando anche delle cavità naturali presenti,

producendo la già citata “colmata persiana”.

Nel 479 a.C. i Persiani vennero ancora una volta sconfitti,

stavolta a Micale. Intanto i lavori sull’Acropoli proseguirono e,

prima con Temistocle e poi Cimone, videro la realizzazione an-

che di nuove fortificazioni, rispettivamente sul lato nord e sul

lato sud della collina, che riutilizzarono e inglobarono anche

elementi architettonici dei templi distrutti dai Persiani.14

Come accennato, tra il 468 ed il 465 a.C. su impulso di Ci-

mone si intraprese la progettazione e la realizzazione di un

nuovo tempio in onore di Atena, nello stesso luogo e con pianta

uguale al precedente. I lavori vennero, però, interrotti quando

Pericle conquistò il potere. Per ben trentatré anni, dunque, dal

480 al 447 a.C., l’Acropoli doveva apparire in rovina e al tem-

po stesso un grande cantiere con lavori in corso.

Nella mancata realizzazione del Partenone prima dell’età di

Pericle pesarono probabilmente almeno due fattori, uno di ordi-

ne ideologico, l’altro di ordine pratico. Il primo era il giuramen-

to fatto dai Greci prima della battaglia di Platea nel 479 a.C.,

che i santuari distrutti dai Persiani non sarebbero stati ricostrui-

14 Una proposta analitica di datazione di ogni singolo intervento di ricostruzione degli edifici

dell’Acropoli è stata avanzata da Giuliano: cfr. GIULIANO 2001, pag. 124.

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ti: un giuramento che fu sciolto solo con la pace di Callia nel

450 a.C. Il secondo fattore, quello di natura pratica, era rappre-

sentato, invece, dal costo della ricostruzione, una questione

cruciale che fu risolta da un’abile mossa di Pericle.

Con la sua ascesa al potere i lavori si interruppero e si decise

di rifare tutto il progetto. Il motivo principale è certamente di

ordine politico: appare, infatti, comprensibile la volontà di Pe-

ricle di realizzare un edificio ex novo per legarlo simbolicamen-

te e propagandisticamente non all’avversario, ma al proprio

nome, alla propria politica e all’immagine che voleva dare della

nuova Atene, che sotto la sua guida si imponeva come potenza

marittima sullo scenario geopolitico contemporaneo.15

A ciò si aggiunga la diversità e la rivalità politica tra due

forti personalità come Cimone e Pericle. Rivalità anche di lon-

tana origine familiare: nel 488 a.C., infatti, il padre di Pericle,

Santippo, aveva condannato il padre di Cimone, Milziade, no-

nostante i suoi precedenti grandi meriti, tra cui l’aver guidato

appena due anni prima gli Ateniesi nell’epica vittoria della bat-

taglia di Maratona, a pagare un’ammenda per aver fallito una

spedizione militare nelle Cicladi. Milziade ne era morto in car-

cere e alla fine a pagare l’ammenda aveva provveduto proprio

suo figlio Cimone.

Cimone, grazie anche a numerose vittorie militari, godeva

ad Atene di un favore notevole, soprattutto da parte della fazio-

ne aristocratica, ma alcune vicende e rivalità politiche ne pro-

vocarono l’ostracismo nel 461 a.C. Richiamato in patria da Pe-

ricle dieci anni dopo, riuscì a stipulare una tregua con Sparta e,

grazie al denaro della lega Delo-Attica, a guidare una spedizio-

ne contro i Persiani a Cipro, ove morì per un’epidemia. La flot-

ta ateniese, nonostante la morte del suo comandante, nel 450

a.C. riuscì a sconfiggere i Persiani nella battaglia a Salamina di

Cipro.

Alla morte di Cimone e alla vittoria ateniese seguì nel 449

a.C. la Pace di Callia tra Ateniesi e Persiani. Con tale accordo,

così chiamato perché stipulato probabilmente fra il re di Persia

Artaserse I e il delegato ateniese Callia, cognato di Cimone,

Atene rinunciava a compiere interventi militari a Cipro e in

Egitto e, di contro, la Persia rinunciava a richiedere il versa-

15 Cfr. MEIGGS 1972.

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mento di tributi alle città greche d’Asia minore e a tenere navi

nell’Egeo.

L’uscita di scena di Cimone e la Pace di Callia con i Persia-

ni inaugurarono per Atene una nuova e fiorente stagione, che

trovò in Pericle il suo indiscusso protagonista. Dal punto di vi-

sta politico, ideologico e propagandistico, dunque, appare del

tutto comprensibile la sua scelta di non continuare il precedente

edificio di età cimoniana e di voler, invece, intraprendere la

progettazione e la costruzione di un nuovo Partenone: un tem-

pio da erigere nello stesso luogo, ma con una pianta rivista ed

ampliata rispetto all’edificio precedente.

Determinante per finanziare la ricostruzione dell’Acropoli

fu nel 454 a.C. la decisione di trasferire il tesoro della Lega De-

lo-Attica da Delo ad Atene. Nel 450 a.C. dopo il tentativo da

parte di Pericle, vanificato dalla posizione tenuta da Sparta, di

riunire un’assemblea panellenica per discutere della ricostru-

zione delle città devastate dai Persiani, tra le quali Atene forse

era quella ad aver subito i danni più ingenti, gli Ateniesi appro-

varono la proposta di Pericle di utilizzare parte delle imposte

versate dagli alleati per finanziare la ricostruzione dei santuari.

Una decisione dalle pesanti implicazioni politiche ed ideologi-

che, i cui riflessi possiamo leggere anche nelle scelte iconogra-

fiche e simboliche che determinarono l’aspetto del Partenone e

dell’Acropoli di età periclea.

La costruzione, sotto Pericle, del Partenone nella sua versio-

ne definitiva, iniziò nel 447 a.C. con il prelievo del marmo ne-

cessario dal Monte Penteli. Progressivamente, mentre la costru-

zione avanzava e si elevavano le strutture murarie, veniva alza-

to anche il livello del terreno. La piattaforma venne così ad es-

sere sostenuta da un terrapieno sempre più alto e scosceso, per

mantenere il quale fu necessario erigere a sua volta un muro di

sostegno in opera poligonale.

Nel 442 a.C. furono collocati i capitelli e gran parte

dell’apparato scultoreo: le metope, il fregio ionico, i frontoni e

il tetto. Nel 438 a.C. fu inaugurata la statua crisoelefantina di

Atena Parthenos, opera di Fidia. Le squadre di scultori rimase-

ro, tuttavia, all’opera per completare il frontone occidentale fi-

no al 432 a.C., data che segna il termine dei lavori.

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A rivestire sotto Cimone l’incarico di architetto e superviso-

re per i programmi edilizi sull’Acropoli era stato Kallikrates,16

come testimonia anche un’iscrizione frammentaria che restitui-

sce parte di un decreto concernente proprio l’incarico assegna-

togli. Pericle, salito al potere, diede invece l’incarico di ripro-

gettare l’edificio ad Iktinos.

La sostituzione di Kallikrates con Iktinos non è una questio-

ne secondaria. Ciascuno dei due architetti, infatti, appare legato

ad una parte politica e la impersona attraverso la propria visio-

ne progettuale, come osserva Giuliano: «Kallikrates, di forma-

zione ionica, è l’architetto del partito conservatore; egli elabora

ed esalta i canoni dello ionismo, ne rinnova il patrimonio deco-

rativo. […] Iktinos, di formazione dorica, è l’architetto del par-

tito progressista; porta alle estreme conseguenze i canoni del

dorismo, ne rinnova il significato formale, assimila spunti ioni-

ci, costruisce edifici che, sottomessi a un preciso piano

d’insieme, sono complementari in tutte le loro parti. […] La

contrapposizione delle due scuole, l’adesione all’uno o all’altro

degli ordini architettonici, significa, evidentemente, l’esalta-

zione di un preciso programma politico».17

Avere un nuovo progettista contribuì senz’altro a soddisfare

la volontà di Pericle di troncare ogni relazione con Cimone e

con il suo progetto, legando indissolubilmente il nuovo Parte-

none soltanto a sé e alla propria politica. Da parte sua Iktinos,

tuttavia, riuscì a conciliare almeno in parte le radicali innova-

zioni con il progetto precedente, in modo da poter riutilizzare

nel nuovo Partenone alcuni materiali del vecchio edificio, ri-

sparmiando tempo e denaro.

Tale riutilizzo con tutta probabilità non si limitò solo agli

elementi architettonici, ma riguardò anche alcuni elementi figu-

rativi, come le metope raffiguranti la Centauromachia, il cui

stile sembra suggerire che erano state realizzate per un edificio

precedente al Partenone pericleo, forse nemmeno tutte nello

stesso periodo e dalla stessa mano. Visto che nel frattempo

l’intercolumnio era stato ridotto di 11,5 cm. rispetto all’edificio

precedente, per riutilizzarle fu necessario addirittura accorciar-

le, adattandole allo spazio più stretto. E forse non è una coinci-

16 MILONAS SHEAR 1963, pag. 375 e sg. 17 GIULIANO 2001, p. 127

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denza che furono collocate sul lato meridionale del tempio: si

trattava, infatti, del lato del Partenone meno esposto alla vista e

meno frequentato, dove si sarebbero notati di meno gli adatta-

menti e le differenze rispetto alle metope di nuova realizzazione

degli altri lati del tempio.

Oltre alla riduzione dell’intercolumnio, sovrapponendo le

piante dei due edifici (fig. 4) possiamo notare diverse analogie

e differenze. Innanzitutto la nuova pianta riprende in linea ge-

nerale la precedente, ma con dimensioni maggiori e proporzioni

diverse: si presenta, infatti, come un rettangolo leggermente più

lungo e più largo del precedente, un aumento di dimensioni che

non comportò, tuttavia, variazioni nello spessore delle murature

o delle colonne, che conservarono pari diametro. A variare fu,

invece, il numero delle colonne: rispetto al precedente, il tem-

pio di età periclea fu dotato, infatti, di una colonna in più sul la-

to lungo (17 colonne invece delle 16 della pianta precedente) e

di due in più sul lato corto (8 invece delle precedenti, canoni-

che, 6 colonne).

Il nuovo Partenone, dunque, da periptero esastilo con sedici

colonne sui lati lunghi divenne periptero ottastilo con diciasset-

te colonne sui lati lunghi. La nuova impostazione permise, tra

l’altro, di lasciare libera l’entrata esterna, che prima era blocca-

ta da una colonna, e di fare più spazio all’interno del tempio per

ospitare la statua crisoelefantina di Atena Parthenos.

In definitiva possiamo dire che il Partenone di età periclea

fu concepito come una variazione, certamente molto innovativa

ma non radicalmente diversa, dell’edificio precedente. Ciò

permise, da un lato, di dargli un aspetto diverso e inedito, come

voleva Pericle, dall’altro, con molto senso pratico, di recuperare

e inglobare parte delle strutture precedenti nel nuovo edificio.18

Oltre al Partenone, risale sempre all’età di Pericle la mag-

gior parte dei monumenti che connotano l’aspetto dell’Acropoli

di Atene in età classica, come i Propilei, l’Eretteo e il Tempio

di Atena Nike. Con la costruzione di tali edifici il culto di Atena

conquista sull’Acropoli spazi sempre più grandi e rilevanti, ve-

nerata nelle sue molteplici connotazioni e relativi epiteti: come

Parthenos (vergine), Pallas (giovane), Promachos (della guer-

ra), Ergani (del lavoro manuale) e Nike (della vittoria), mentre,

18 Cfr. HILL 1912.

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al contrario, i culti più antichi e quelli in onore degli altri dei

dell’Olimpo vengono a trovarsi sempre più circoscritti.

Questa operazione di “atenaizzazione” dell’Acropoli presen-

ta motivazioni ed implicazioni ideologiche che travalicano il

piano strettamente religioso, ma abbracciano quello politico e

propagandistico: essendo Atene la città per antonomasia di

Atena, celebrando ed esaltando la dea, in realtà, agli occhi dei

suoi abitanti, degli alleati e dei nemici, si celebrava ed esaltava

contemporaneamente la città, il suo sistema di governo e la sua

leadership.

Giocando proprio sul connubio Atena-Atene, dea-città, Peri-

cle portò a compimento l’intento di fare dell’Acropoli uno

strumento di propaganda politica, con la celebrazione della sof-

ferta vittoria ateniese nelle guerre persiane e l’esaltazione della

potenza militare di Atene, la città della dea: in nome della spe-

ciale protezione della dea, della potenza, del sacrificio e delle

vittorie si motivava e si reclamava la raggiunta leadership di

Atene nella Lega Delo-Attica ed in generale nell’Egeo, fornen-

do a Pericle, agli occhi dei concittadini e degli alleati, una nobi-

le giustificazione ideologica alla politica imperialistica di Ate-

ne.

Il Partenone e l’Acropoli, sintetizzando, con Pericle e Fidia

raggiunsero, dal punto di vista estetico, quello che sarebbe ri-

masto il loro aspetto canonico e classico, e che avrebbe influen-

zato tutta l’arte e l’architettura successive; dal punto di vista

semantico, inoltre, rappresentarono il più nitido riflesso monu-

mentale della potenza e della ricchezza dell’Atene dell’età di

Pericle,19 epoca in cui la città raggiunse il suo massimo splen-

dore, diventando uno dei principali centri di potere, cultura e

arte del mondo greco.

Tutto questo fa, senza dubbio, del Partenone e dell’Acropoli

dell’Età di Pericle uno dei massimi emblemi del concetto di

classico.

19 Per un quadro complessivo sull’attività di Pericle sull’Acropoli di Atene cfr. HOCKER - SCH-

NEIDER 1997, pag. 1239-1274.

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I.4. L’Età Romana.

Come già accennato, nell’osservare il Partenone e gli altri

monumenti dell’Acropoli di Atene, pur se razionalmente siamo

consci che il loro aspetto attuale rappresenta il prodotto, l’esito

finale, di almeno duemilacinquecento anni di ininterrotto pro-

cesso di trasformazioni strutturali, funzionali ed estetiche, che

parte dalle realizzazioni pre-periclee e periclee per abbracciare

tutte le successive modifiche, spoliazioni e distruzioni, talvolta

finanche devastanti, ma anche i restauri e le ricostruzioni, no-

nostante tutto ciò, siamo istintivamente ed emotivamente porta-

ti ad associare in modo immediato, quasi inconscio, l’aspetto

attuale dell’Acropoli con l’età classica e l’Atene di Pericle.

Questa impressione si è radicata così prepotentemente e pro-

fondamente nel nostro immaginario, da condizionare impre-

scindibilmente la visione e la concezione da parte di noi con-

temporanei del Partenone e dell’Acropoli, ed in generale anche

la nostra stessa idea di “classico”.

Abbiamo, tuttavia, già sottolineato che chi voglia compren-

dere veramente un monumento, oltre gli stereotipi romantici e

talvolta anche accademici, non può limitarsi a focalizzarne un

singolo aspetto o momento, ma deve necessariamente cono-

scerne sincronicamente e diacronicamente lo sviluppo e le rela-

zioni, prima e dopo la sua costruzione, compresa la sua dimen-

sione materiale, funzionale ed iconica nel mondo a noi contem-

poraneo.

Per quanto riguarda il Partenone e l’Acropoli partiamo, in-

nanzitutto, dalla considerazione che nel lungo arco cronologico

inquadrabile tra la fine della guerra del Peloponneso nel 404

a.C., che segna il declino della potenza di Atene, e la conquista

romana nel I sec. a.C. non si registra l’edificazione di nuove

strutture monumentali. È attestato, al contrario, un importante

episodio di depauperamento: nel 297 a.C. il tiranno ateniese

Lacharis per pagare i mercenari utilizzati nella guerra contro i

Macedoni fa asportare il rivestimento aureo dalla statua

dell’Atena Parthenos.

Anche il contatto tra Atene e Roma è altrettanto traumatico.

Nell’86 a.C. Atene è messa a ferro e fuoco da Silla, come ritor-

sione per l’appoggio dato al re del Ponto. La sua ricostruzione

si deve all’elargizione di 50 talenti da parte di Pompeo nel 62

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a.C.20, somma utilizzata probabilmente in parte anche per la ri-

costruzione del Pireo, devastato anch’esso dalle truppe di Silla.

Più tardi il gesto di Pompeo viene emulato anche da Cesare con

una elargizione analoga, probabilmente nel 47 a.C.21

In seguito alla battaglia di Azio la città, avendo parteggiato

per Antonio contro Ottaviano, si viene a trovare nuovamente in

una situazione delicata. La vittoria di quest’ultimo sembrerebbe

condannarla ad un inevitabile declino. Ottaviano, al contrario,

non scatena sulla città alcuna azione di ritorsione. Intuisce, in-

fatti, la straordinaria opportunità di sfruttarne l’importanza e

l’immagine a proprio vantaggio. Inserendo degli abili richiami

alle proprie gesta nei monumenti e nei luoghi più importanti

della città, fa di Atene uno dei pilastri della propria propaganda

politica, presentando simbolicamente la Roma di Augusto come

faro dell’umanità, erede ideale di Atene nella difesa della civil-

tà contro la barbarie.

Per raggiungere questo obiettivo Augusto arricchisce Atene

di monumenti, cercando di celebrare e ridare luce alle imprese

ateniesi, seppur ora sotto la nuova egida ed ottica romana22.

In questa prospettiva si inquadra anche una serie di ristruttu-

razioni e restauri ad Atene e in Attica, come attesta un’epigrafe

trovata sull’Acropoli (IG II², 1035)23, databile intorno al 65-64

a.C.24 e riutilizzata in una struttura muraria di età ottomana

presso il tempietto di Atena Nike, che riporta due decreti uffi-

ciali, testimoniando una serie di interventi in età augustea per il

ripristino ed il restauro di un’ottantina di monumenti in varie

zone dell’Attica.

Nella stessa strategia propagandistica si inquadrano le visite

effettuate ad Atene dal princeps. La prima nel 31 a.C., subito

dopo la vittoria nella battaglia navale di Azio, in occasione del-

la quale Ottaviano perdona ufficialmente gli ex sostenitori di

20 Plutarco, Pomp., 42, 11. 21 BALDASSARRI 1998, pag. 107. 22 Su Atene romana dopo alcuni studi isolati (GRAINDOR 1927), si è avuta una maggiore serie di

studi dalla fine degli anni ‘80 alla fine degli anni ’90 (MACREADY - THOMPSON 1987;

THOMPSON 1987; BALDASSARRI 1995a; BALDASSARRI 1995b; BALDASSARRI 1998).

Quest’ultimo, corredato di dati epigrafici, numismatici e letterari, costituisce uno dei più approfon-

diti studi sull’edilizia monumentale di Atene in età augustea e fa luce sulla effettiva presenza del

principato nella città, sulla modalità dell’omaggio ateniese alla dinastia imperiale e sul messaggio

della propaganda augustea Tra gli studi più recenti citiamo invece: WALKER 1997; HOFF - RO-

TROFF 1997. 23 BALDASSARRI 1998, pag. 8-9; RAWSON 1985, pp.46-47. 24 MELFI 2007, pag. 359.

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Antonio ed è iniziato ai Misteri Eleusini. Nel 27 a.C. a est del

Partenone viene eretto un monumento dedicato al culto di Au-

gusto e di Roma.

Esso costituisce una testimonianza estremamente indicativa

dell’atteggiamento dei Romani verso l’Acropoli di Atene: men-

tre, infatti, in altri santuari greci la conquista romana porta sac-

cheggi e distruzioni, l’Acropoli di Atene viene risparmiata. Ciò

che le permette di conservarsi pressoché intatta non è solo la

continuità della funzione religiosa, ma soprattutto un’operazio-

ne di reinterpretazione e rifunzionalizzazione semantica dei

suoi monumenti e del loro significato politico, a partire dal Par-

tenone.

In questa operazione la costruzione del santuario di Roma e

di Augusto costituisce un perno importante, in quanto permette

all’Acropoli di non connotarsi più ideologicamente come il

simbolo dell’Atene indipendente, democratica e potente dell’età

di Pericle, ma come segno del legame di continuità tra Atene e

Roma, accomunate dal loro ruolo di leader del mondo civilizza-

to contro la barbarie, punto di unione ideale tra due mondi,

l’Occidente romanizzato e l’Oriente ellenizzato. Connotazioni

semantiche legate tutte alla vittoria di Ottaviano ad Azio.

La seconda visita di Augusto ad Atene, nel 22-21 a.C., si

svolge, invece, in un clima di freddezza: significativa la leg-

genda secondo la quale la statua di Atena sull’Acropoli si sa-

rebbe rivolta ad ovest ed avrebbe trasudato sangue, segno in-

fausto che avrebbe indotto Augusto a trascorrere l’inverno ad

Egina.

Fondamentale ruolo di mediazione nel rapporto tra Augusto

e la città lo svolse, con la sua permanenza ad Atene presumi-

bilmente tra il 17 ed il 13 a.C., Marco Vipsanio Agrippa, uno

dei principali artefici della vittoria di Azio ed uno dei più stretti

collaboratori di Augusto, di cui sposò la figlia Giulia, avendone

cinque figli, tra cui Gaio e Lucio Cesare che poi furono adottati

dallo stesso Augusto.

Agrippa, grazie anche alle sue iniziative benefiche, fu sem-

pre ben visto ad Atene, come testimoniano i numerosi monu-

menti dedicatigli. Tra questi sull’Acropoli il cosiddetto “plinto”

o “base” di Agrippa: un preesistente alto basamento a base ret-

tangolare su cui, dopo la battaglia di Azio, gli Ateniesi posero e

dedicarono ad Agrippa una statua equestre bronzea, ora perdu-

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ta, con una quadriga.25 Più tardi, dopo la morte di Gaio e di Lu-

cio rispettivamente nel 2 e nel 4 d.C., una significativa attesta-

zione dell’immediata accettazione da parte della città del nuovo

assetto dinastico della gens giulio-claudia è rappresentata da un

gruppo di statue dedicato sull’Acropoli dal demos ateniese e

raffiguranti Augusto, Tiberio, Druso e Germanico.

Anche in altri luoghi della città di Atene vi sono diverse te-

stimonianze legate alla figura e all’azione di Agrippa. Nell’area

dell’Agorà greca, ad esempio, in una zona priva di precedenti

costruzioni monumentali, si deve a lui il finanziamento della

costruzione dell’Odeion. Essendo tale edificio utilizzabile forse

anche per riunioni di carattere politico, vi si potrebbe leggere la

volontà di Agrippa di compiere un gesto di formale rispetto per

le antiche istituzioni politiche cittadine, il che ne farebbe un ul-

teriore motivo di quella stima nei suoi confronti da parte degli

Ateniesi che gli valse la dedica della quadriga sull’Acropoli.26

Vi è, tuttavia, un’altra possibile interpretazione, di segno oppo-

sto: che l’intento di Agrippa fosse, al contrario, rendere manife-

sto agli Ateniesi il fatto che Roma non avrebbe tollerato alcuna

attività politica o qualsivoglia altra attività che non fosse stata

puramente retorica o musicale.27

L’ultima visita di Augusto ad Atene risale al 19 a.C., di ri-

torno dall’impresa partica, un successo militare gradito anche

agli Ateniesi. In città egli trovò stavolta un’accoglienza partico-

larmente favorevole, tanto che furono persino rinviate le feste

Eleusine per permettergli di partecipare.

Da questo momento in poi Atene si arricchì di nuovi monu-

menti, il cui motivo conduttore era il parallelo tra le vittorie

greche sui Persiani e quella di Augusto sui Parti, segnata dalla

consegna delle insegne e dei prigionieri romani nel 20 a.C. La

propaganda politica intendeva in tal modo presentare Augusto

come colui il quale aveva simbolicamente raccolto il testimone

da Atene e dalla Grecia per continuare l’eterna lotta della civil-

tà contro la barbarie.

La fusione di motivi classici e augustei facilitava questa as-

similazione, richiamando alla mente degli Ateniesi il periodo

più glorioso della loro storia. Un richiamo alla grandezza passa-

25 SYME 1993, pag. 69. 26 Cfr. BALDASSARRI 1998. 27 GROS - TORELLI 1994, pag. 385.

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ta che era al tempo stesso anche un monito contro la decadenza

morale del presente ed un incitamento a ritornare al mos maio-

rum, in linea con la restaurazione dei costumi fortemente voluta

da Augusto.28

Ad Atene gli interventi architettonici legati al culto imperia-

le modificarono la concezione dello spazio urbano, trasforma-

rono edifici, determinarono e sottolinearono l’importanza di de-

terminati assi viari, attorno a cui si adeguarono e si articolarono

altri edifici, cambiando in modo significativo l’organizzazione

della città ed imponendo le direttrici dello sviluppo urbanistico

successivo.

A testimoniare la riconciliazione tra il principe e la città è la

dedica sull’Acropoli del Tempio di Roma ed Augusto da parte

del demos ateniese. A partire da questo momento è possibile di-

stinguere almeno quattro fasi edilizie.29 Significativi per la pro-

paganda augustea sono anche i lavori di restauro dell’Eretteo,

che interessarono i lati ovest ed est, il propylon ionico a nord ed

i muri perimetrali settentrionali e meridionali, oltre alcune mo-

difiche negli ambienti interni. Il restauro dell’Eretteo, dove

aveva sede il culto di Athena Polias, cioè protettrice della città,

siglò simbolicamente la concordia tra Augusto e la dea: con-

cordia che faceva di Augusto un benefattore e protettore di

Atene.

L’epiteto di “soter” (σωτήρ, salvatore) attribuito ad Augusto

nel suo culto sull’Acropoli seguiva il modello dei culti già atte-

stati per i dinasti ellenistici, in particolare per i Tolomei, i Se-

leucidi e gli Attalidi e per generali romani quali Flaminino,

Pompeo, Cesare ed Agrippa e per lo stesso Augusto a Philae

nell’Alto Egitto, in un tempio costruito per la felice conclusione

della campagna militare contro gli invasori Etiopi. L’epiteto at-

tribuito dagli Ateniesi ad Augusto si prestava ad interessanti ri-

chiami e rientrava nel preciso intento di rievocare imprese co-

me quella partica, che rafforzavano, appunto, l’immagine di

Augusto e della Roma augustea come degni eredi dell’opera di

Atene nella lotta della civiltà contro la barbarie.

Sempre nella prima fase edilizia del rinnovamento augusteo

di Atene si inquadra, al di fuori dell’Acropoli, anche il comple-

28 ZANKER 1989, pag. 279. 29 Cfr. BALDASSARRI 1998.

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tamento della costruzione dell’Olympeion, che ribadisce la ri-

cerca del consenso anche da parte di sovrani amici atque socii

di Roma, cioè degli stati gravitanti nell’orbita romana, e la vo-

lontà di creare un centro del culto imperiale associando il Ge-

nius Augusti alla divinità tradizionale Zeus Olympios. Si tratta-

va, beninteso, non certo di una equiparazione, ma di un’as-

sociazione, differenza che era ben chiara alla mentalità greca.

Pausania30 testimonia la presenza nell’edificio anche di un

tripode bronzeo sostenuto da figure di Persiani scolpite in mar-

mo frigio, a simboleggiare l’asservimento dello storico nemico

orientale. Il riferimento evidente, inoltre, al tripode dedicato a

Delfi dopo la battaglia di Platea del 479 a.C. contro i Persiani

esaltava Apollo e di conseguenza Augusto, che al suo culto era

particolarmente legato.

Un’ulteriore testimonianza della ricerca del favore di Augu-

sto è costituita, d’altronde, dalle numerose ambasciate prove-

nienti dall’Oriente inviategli durante il suo soggiorno a Samos

nell’inverno del 20-19 a.C.31

A questo stesso periodo risale la costruzione o il completa-

mento della nuova Agorà romana di Atene,32 progettata in età

cesariana. Nonostante il propileo dorico si ispirasse direttamen-

te all’architettura attica del V secolo a.C., l’intento politico-

religioso era palese. Lo sottolineavano la presenza di un altare

con dedica ad Augusto, la statua in onore di Lucio Cesare che

coronava la sommità del propylon occidentale - schema estra-

neo all’architettura greca ed ispirato piuttosto alla tipologia de-

gli archi onorari romani - ed infine, nei portici laterali, la statua

di Livia Augusta collocata dopo il 14 d.C., oggi perduta. Il

complesso, che andò progressivamente affollandosi di simboli

del potere romano, esaltava, dunque, Augusto e la famiglia im-

periale.33

La terza fase edilizia della ristrutturazione augustea della

città di Atene, il cui inizio è probabilmente da far coincidere

con la visita di Gaio Cesare durante la sua missione in Oriente,

vide il trasporto e l’inserimento di un tempio dorico periptero,

forse proveniente dal demos di Acharnai, 11 km a Nord di Ate-

30 Pausania, Per., I, 18, 8. 31 Dione Cassio, LIV, 9, 7-9. 32 HOFF 1989. 33 GROS - TORELLI 1994, pag. 383.

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ne, realizzato nella seconda metà del V sec. a.C. in marmo pen-

telico, e di un altare con pianta a T, entrambi dedicati ad Ares, a

completare l’occupazione dello spazio ad ovest della via Pana-

tenaica, in una momento non anteriore alla fine del I secolo a.C.

La quarta e ultima fase edilizia, purtroppo non ben docu-

mentata, iniziò dopo il primo decennio del I secolo d.C. e vide

la costruzione nell’angolo Nord-Ovest dell’Agorà di un tempio

prostilo associato al culto di Hermes Agoraios, dio protettore

del commercio e quindi simbolo e quei valori, come la Concor-

dia, la Felicitas e la Fortuna, di cui Augusto intendeva fare de-

gli elementi intrinseci e caratterizzanti della sua azione politica.

Dopo Augusto, Atene visse una nuova stagione di rinascita

nel II secolo d.C. sotto l’imperatore Adriano, che visitò a lungo

la Grecia e fu iniziato ai misteri Eleusini, come prima di lui

Augusto, e cercò di ridare magnificenza e splendore alla città:

terminò l’Olympeion (il colossale tempio dedicato a Zeus

Olimpio), fece costruire Biblioteca, Ginnasio e Pantheon, avviò

la costruzione dell’acquedotto e molti altri lavori, facendone di

Atene fiorente centro culturale, filosofico, educativo e religio-

so, punto di riferimento per tutto l’Impero Romano.

La rinascita fu tale da guadagnargli la fama di nuovo fonda-

tore della città, come testimoniano due iscrizioni sulla cosiddet-

ta Porta di Adriano, un monumentale arco onorario eretto nei

pressi dell’Olympeion. Secondo l’interpretazione tradizionale,

poi da alcuni contestata, fu posta lungo il tracciato delle mura

di Temistocle, difronte al monumento di Lisicrate, sulla diret-

trice che collegava il centro e la parte orientale della città, per

segnare idealmente il confine tra la vecchia Atene di Teseo e la

nuova Atene di Adriano,34 come testimoniano due iscrizioni

che si trovano sulle due facce della Porta stessa, la prima visibi-

le a chi si dirigeva verso il centro antico di Atene, l’altra verso

la periferia, e che recitano rispettivamente:

ΑΙΔ' ΕIΣΙΝ ΑΘΗΝΑΙ ΘΗΣΕΩΣ Η ΠΡΙΝ ΠΟΛΙΣ

(“questa è l’Atene di Teseo, la città di prima”).

ΑΙΔ' ΕIΣΙΝ ΑΔΡΙΑΝΟΥ ΚΟΥΧI ΘΗΣΕΩΣ ΠΟΛΙΣ

(“questa è la città di Adriano e non di Teseo”)

34 Per le origini del dibattito cfr. STUART - REVETT 1762; Per l’interpretazione secondo cui l'arco

segnava il perimetro della città di Teseo cfr. GRAINDOR 1934; TRAVLOS 1971.

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Con l’ampliamento della città in età adrianea l’Acropoli, si-

tuata a soli poco più di trecento metri dalla Porta di Adriano,

venne a trovarsi nel punto di contatto tra le due parti della città,

diventando, fisicamente ed ideologicamente, una sorta di bari-

centro e di anello di congiunzione tra le due realtà.

Fu questa l’Acropoli e la città che vide Pausania nel II sec.

d.C. e che descrisse nella sua Periegesi della Grecia.35

I.5. Dalla Tarda Antichità al Medioevo.

Nel 267 d.C. Atene e l’Attica furono travolte dall’invasione

degli Eruli, popolazione di stirpe germanica, che tra il II e il III

secolo si era spostata insieme ai Goti nella regione compresa tra

il fiume Dnepr e il Mare d’Azov, da cui aveva iniziato a minac-

ciare prima l’Asia Minore e poi i Balcani.

Il Partenone fu vittima di un incendio che durò diversi gior-

ni, provocando gravi danni all’edificio, tra cui il crollo del tetto

di marmo. Forse proprio in tale circostanza andò distrutta anche

la statua crisoelefantina di Atena Parthenos realizzata da Fidia

e sino ad allora custodita nel tempio. Come hanno evidenziato

gli scavi nell’Agorà, l’invasione degli Eruli ebbe un impatto di-

struttivo anche sul resto della città.

L’avanzata degli Eruli e di altre popolazioni germaniche nei

Balcani fu fermata dai Romani l’anno seguente, nel 268, con la

sconfitta inferta loro dall’imperatore Claudio il Gotico nei pres-

si di Niš, in Serbia.

Il successivo intervento per riparare i danni causati al Parte-

none dall’invasione degli Eruli del 267 d.C. sembrerebbe risali-

re all’epoca dell’imperatore Giuliano,36 tra il 362 ed il 365 d.C.

Se ciò è vero, il Partenone, nel frattempo, potrebbe essere rima-

sto in condizioni fatiscenti per quasi un secolo.

Il restauro, pur rispettando la pianta dell’edificio pericleo, fu

molto parziale: lasciò, infatti, scoperto il colonnato del peristi-

lio, coprendo con un nuovo tetto solo l’area della cella. Inoltre

per effettuare i restauri si utilizzarono vari materiali reperibili

35 Cfr. Pausania, Per., I, 22 e sg. Su Pausania cfr. HABICHT 1985; ARAFAT 1996; ALCOCK -

CHERRY - ELSNER 2001; HUTTON 2005. 36 Cfr. TRAVLOS 1971.

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sull’Acropoli stessa, ovviamente spesso posizionandoli in modo

errato: alcuni elementi architettonici utilizzati non apparteneva-

no neanche al Partenone, bensì agli altri edifici dell’Acropoli,

ormai in stato di abbandono ed esposti alla spoliazione.

Sempre ad un momento successivo all’invasione degli Eruli

risale anche l’ultimo intervento edilizio attestato sull’Acropoli

nell’antichità, che consiste in un rafforzamento delle misure di-

fensive: si data, infatti, al III sec. d.C. la costruzione di un tratto

di mura sul lato ovest dell’Acropoli, con due porte delle quali

resta ancor oggi quella occidentale, chiamata Beule dal nome

dell’archeologo francese che indagò l’Acropoli nel XIX secolo.

Grazie a questi interventi di rifacimento, il Partenone poté in

qualche misura conservare la sua classica forma fidiaca sino al

V secolo d.C. Con il tramonto del mondo antico e la progressi-

va affermazione del Cristianesimo, anche l’Acropoli di Atene,

soprattutto a partire dal VI secolo, divenne un luogo di culto

cristiano ed il Partenone fu trasformato in una chiesa, dedicata

prima a Santa Sofia e, più tardi, alla Madonna.

Il questo processo di trasformazione il Partenone non costi-

tuisce affatto un caso isolato: adattare e riutilizzare dei preesi-

stenti edifici pagani come luoghi di culto cristiani è, infatti, una

prassi adottata delle prime comunità cristiane in tutto il mondo

greco-romano37 soprattutto dal VI secolo. Il motivo era anche di

carattere economico: riutilizzare un edificio preesistente, anche

se era necessario prima adattarlo, era sicuramente meno costoso

rispetto alla costruzione di un nuovo edificio.

A favorire tale pratica furono anche i provvedimenti impe-

riali che, tra la metà del IV e del V secolo, portarono progressi-

vamente alla chiusura dei templi pagani e alla cristianizzazione

dell’impero: un cambiamento che non fu né lineare né unifor-

me. Benché, ad esempio, Teodosio e Valentiniano nel 435 d.C.

37 Basti pensare a Roma al Pantheon, uno degli edifici di Roma antica che si è conservato meglio

proprio grazie alla sua fortunata trasformazione in chiesa cristiana, così come il tempio di Portuno o

quello di Antonino e Faustina, solo per citarne alcuni. Numerosi esempi li abbiamo anche in Magna

Grecia. Citiamo, ad esempio, a Pozzuoli, probabilmente nel V secolo, quando l’acropoli era già in

una condizione di parziale abbandono, la trasformazione in chiesa, nello specifico nel Duomo dedi-

cato al martire puteolano Proculo, del cd. Tempio di Augusto, ossia il Capitolium; a Cuma, invece,

forse intorno alla seconda metà del V secolo la trasformazione in chiesa di due importanti templi

pagani dell’acropoli, quello di Apollo, nonostante fino a poco tempo prima fosse stato ancora uno

dei più importanti luoghi di culto pagani in Italia, in virtù della presenza della Sibilla cumana, ed il

cd. Tempio di Giove situato sulla terrazza superiore. Cfr. CAPUTO-DE ROSSI 2007, pag. 979 e sg.

Sulla questione in generale cfr. CANTINO WATAGHIN 1999. Per Roma cfr. GUIDOBALDI 1989,

PANI ERMINI 1992.

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avessero decretato l’apposizione di croci, lo spoglio e la demo-

lizione degli edifici pagani, alcuni di essi sopravvissero, tanto

che un secolo e mezzo dopo papa Gregorio Magno si trovò ad

esortarne la trasformazione ed il riutilizzo come chiese cristia-

ne, e ciò non solo per una questione pratica, ma anche affinché

il popolo potesse praticare la nuova religione in luoghi che gli

erano già familiari.38

Si trattava di un riuso funzionale, cioè non della costruzione

di nuovi edifici su quelli precedenti, ma del recupero e del riuti-

lizzo degli stessi preesistenti luoghi ed edifici pagani, ormai in

disuso o abbandonati ma strutturalmente e staticamente ancora

validi: edifici che era dunque possibile immediatamente utiliz-

zare appena fossero stati apportati ad essi alcune modifiche per

adattarli alle mutate esigenze liturgiche.

Tale fenomeno interessò edifici sia privati che pubblici, di

precedente uso civile o religioso. Tra le tipologie di edificio che

ebbero a disposizione, i primi cristiani mostrarono una partico-

lare predilezione per le basiliche civili, le aule absidate e i tem-

pli di tipo greco, come il Partenone, poiché si trattava di edifici

che potevano adattare alla nuova funzione apportando delle mi-

nime modifiche. Nella maggior parte dei casi si utilizzava la

cella del tempio, trasformata nella navata centrale della chiesa,

mentre i lati lunghi del peristilio nelle navate laterali, grazie

all’apertura di arcate nelle pareti della cella e alla chiusura con

muri degli spazi tra le colonne del peristilio.

Da parte dell’autorità imperiale nel permettere ai Cristiani la

trasformazione ed il riuso di templi pagani ed altri edifici ab-

bandonati, vi era, infine, anche una seconda finalità di carattere

politico e civile: preservare la continuità d’uso, seppur con una

funzione diversa, di edifici monumentali ed urbanisticamente

fondamentali, come templi o edifici pubblici, significava pre-

servare la vitalità delle città.

Tutto ciò accadde, come accennato, anche ad Atene, dove la

cristianizzazione è simbolicamente segnata dalla trasformazio-

ne in chiesa del principale edificio pagano, il Partenone, situato

38 Nel 601 Papa Gregorio Magno scrive al responsabile della missione in Inghilterra, Agostino, rac-

comandandogli di non distruggere i templi pagani ma di convertirli in chiese cristiane, affinché il

popolo possa volentieri adorare il Dio vero nei luoghi che gli erano consueti («Deum verum cogno-

scens ac adorans ad loca, quae consuevit, familiarius concurrat»), cfr. Gregorio Magno, Lettere, XI,

56.15.

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nel più importante luogo della città, l’Acropoli. Tale trasforma-

zione, dunque, aveva una notevole portata culturale e simboli-

ca, sia per l’importanza storica del Partenone e del culto di

Atena, sia per la posizione elevata e l’imponenza dell’edificio,

che permettevano alla nuova chiesa di dominare dall’Acropoli

tutta la città.

La trasformazione dei templi pagani in chiese cristiane

comportava implicazioni anche di natura ideologica e religiosa:

obliterando l’uso precedente, consentiva al Cristianesimo di at-

tuare una progressiva cancellazione materiale del paganesimo.

Era necessario, tuttavia, un loro mutamento e riadattamento non

solo strutturale e formale, ma anche, anzi soprattutto, semanti-

co, ossia la loro reinterpretazione in chiave cristiana. La nuova

funzione religiosa doveva, infatti, sostituire la precedente non

solo materialmente, ma anche nella percezione comune, il che

talvolta comportava una rielaborazione ed una rilettura popola-

re in chiave cristiana delle preesistenti tradizioni pagane.

Nel passaggio dal paganesimo al Cristianesimo il Partenone

si rivelò un esempio di adattamento non solo strutturale e fun-

zionale, ma anche ideologico, in grado di produrre, pur nella

netta discontinuità religiosa, una sorta di continuità sui generis

tra le due religioni: da Partenone, tempio dedicato ad Atena

Parthenos, ossia ad “Atena vergine”, tra il V e VII secolo fu

trasformato nella chiesa di “Maria Vergine”, poi rinominata

della “Madonna Ateniese” e che alla fine dell’XI secolo diven-

terà anche la metropoli di Atene.

Occorre ricordare che in tale contesto storico e culturale ov-

viamente non si era ancora sviluppata un’idea della conserva-

zione dell’antico, come cominciò sporadicamente ad affacciarsi

solo dal XIII secolo.39 Appare, dunque, comprensibile come nel

VII secolo, benché il Partenone allora avesse già più di un mil-

lennio, la sua migliore sorte possibile fosse quella di un suo riu-

so funzionale che lo preservasse almeno in parte. A salvare il

Partenone dalla distruzione contribuì, probabilmente, una serie

di fattori, tra cui l’autorevolezza dell’edificio, il prestigio della

sua posizione e, non è escluso, una qualche sensibilità per il suo

valore estetico e per la sua valenza storica.

39 MANGO 1997, PEDRETTI 1997.

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Sensibilità confermata dal fatto che, se l’interno del Parte-

none fu affrescato con figure di santi, non furono, tuttavia, di-

strutte, se non in piccola parte, le preesistenti decorazioni figu-

rative scultoree dei frontoni, del fregio ionico e delle metope,

pur trattandosi di immagini palesemente pagane.

Sull’Acropoli di Atene riadattamenti e trasformazioni in

chiave cristiana subirono anche altri edifici: l’Eretteo fu tra-

sformato in chiesa del Salvatore o della Madre di Dio; in una

chiesetta fu trasformato anche il Tempietto di Atena Nike che

dominava la torre sul lato sud dei Propilei, costruito intorno al

420 a.C. su progetto dell’architetto Kallikrates; i Propilei, che

costituivano ancora l’accesso monumentale all’Acropoli, per la

loro posizione strategica e la loro struttura particolarmente im-

ponente furono scelti per diventare la sede episcopale.

Una nuova metamorfosi dell’Acropoli fu provocata dalla

caduta di Atene prima nelle mani dei Franchi e poi in quelle dei

Turchi. Durante il dominio franco (1204-1456), i Propilei ospi-

tarono la residenza dei nuovi dominatori della città. A questo

periodo, in particolare al 1447, risale un altro evento significa-

tivo, la descrizione di Ciriaco di Ancona, che oggi, in quanto

fonte diretta, costituisce una testimonianza preziosa per rico-

struire la storia dell’Acropoli.

Nonostante le radicali trasformazioni formali e funzionali

che si susseguirono nel tempo, l’Acropoli continuò, tuttavia, a

conservare inalterata nel corso dei secoli la dignità di luogo più

eccelso della città, nonché l’altra sua funzione atavica, quella

strategica di controllo e di ultimo baluardo difensivo della città.

I.6. L’Età Moderna.

Durante i quasi quattrocento anni del dominio ottomano

(1456-1833) l’Acropoli fu occupata da un presidio militare tur-

co40 ed il Partenone trasformato da chiesa cristiana in moschea:

mutamento che, come già avvenuto in precedenza con la tra-

sformazione da tempio pagano in chiesa cristiana, per quanto

possa apparire paradossale, ne permise la conservazione, o me-

40 Su Atene sotto il dominio ottomano cfr. MC KENZIE 1992.

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glio la migliore conservazione possibile nel contesto storico e

culturale dell’epoca.

In entrambe le circostanze, prima la cristianizzazione e poi

l’islamizzazione dell’Acropoli, la trasformazione funzionale ri-

spettivamente in chiesa cristiana e in moschea consentì, infatti,

al Partenone di integrarsi nella nuova religione e cultura domi-

nante, di non essere perciò percepito dai nuovi dominatori co-

me elemento contrario o estraneo alle proprie credenze religio-

se e, quindi, di salvarsi.

Nei paesi di religione cristiana finiti sotto il dominio di po-

polazioni di religione islamica, infatti, il patrimonio artistico

proto-cristiano e bizantino spesso subì una cattiva sorte, proprio

perché percepito come estraneo o contrario alla nuova religione

dominante.

Tra le altre chiese proto-cristiane e bizantine che, come il

Partenone, si sono salvate grazie alla trasformazione in mo-

schee citiamo la chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, soprav-

vissuta alla sottomissione della città agli Ottomani. In entrambi

i casi si sono salvati non solo gli edifici, seppur con riadatta-

menti strutturali e funzionali, ma parzialmente persino l’appara-

to figurativo, nonostante la religione islamica bandisca l’icono-

grafia: nel caso del Partenone parte delle metope, del fregio e

dei frontoni, nel caso della Chiesa di Santa Sofia i mosaici bi-

zantini, che vi rimasero preservati e in vista fino al XVIII seco-

lo.41

Sempre all’epoca del lungo dominio ottomano sulla Grecia

risalgono i due eventi più devastanti della storia per l’Acropoli

e il Partenone: il bombardamento ad opera dei Veneziani ed il

successivo saccheggio ad opera di Elgin.

Il primo di questi due episodi si inserisce nella guerra di

Morea, lungo conflitto tra la Serenissima di Venezia e l’Impero

Ottomano, che si concluderà nel 1699 con la conquista vene-

ziana del Peloponneso. Tra il 1683 ed il 1687 Francesco Moro-

sini, al comando della spedizione, nonostante disponesse di for-

ze inferiori a quelle nemiche, riuscì a sottrarre agli Ottomani

parecchie isole e territori, come Santa Maura, Corone, la Mai-

na, Navarino, Modone, Argo, Nauplia, Patrasso, Lepanto, Co-

rinto e la Morea, tranne Mistrà e Monemvasià.

41 MANGO 1997, pag. 83.

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Nel 1687, infine, Morosini attaccò e assediò Atene. Messi

alle strette dall’avanzata delle truppe della Serenissima, i Tur-

chi si rifugiarono sull’Acropoli, utilizzandola come fortezza e il

Partenone come polveriera. Per conquistare la città Morosini

non esitò a ordinare di bombardare l’Acropoli. Per due giorni i

Veneziani la bersagliarono, finché la sera del 26 settembre

1687 un colpo, centrando in pieno la polveriera, fece letteral-

mente esplodere il Partenone, provocando centinaia di morti ed

enormi danni all’edificio, compreso il crollo del tetto del tem-

pio (fig. 5) e la distruzione di parte del complesso decorativo.

Ulteriori danni fece l’incendio innescato dall’esplosione, che

durò ben due giorni. Negli anni successivi la condizione disa-

strata del Partenone provocata dal bombardamento lo espose,

inoltre, al saccheggio e all’utilizzo dei suoi frammenti come

materiale da costruzione o per ricavarne calce.

Per la sua impresa Morosini ebbe dal Senato veneziano di-

versi onori. Molto meno benevolo nei suoi confronti è stato, in-

vece, il giudizio dei posteri.42 Uno dei più grandi monumenti

dell’umanità pagava un prezzo altissimo per una vittoria milita-

re del tutto effimera. Appena sei mesi dopo, infatti, Atene tor-

nerà sotto il dominio Ottomano, come lo era stata sin dal 1456,

per rimanervi fino alla rivoluzione e alla guerra di indipendenza

proclamata il 25 marzo 1821, che avrebbe portato alla libera-

zione della nazione e alla nascita di uno stato greco libero e in-

dipendente.

Con l’affacciarsi dell’Età Contemporanea nel frattempo, tra

il 1801 ed il 1804, mentre Atene doveva sopportare ancora per

un paio di decenni la sottomissione agli Ottomani, l’Acropoli fu

vittima di un altro fatto disastroso: il brutale intervento di spo-

liazione dell’apparato scultoreo del Partenone messo in atto da

Lord Elgin, di cui si dirà più dettagliatamente in seguito. Un

episodio che rappresenta un caso estremo, ma non isolato, del

fenomeno della caccia alle antichità che imperversava in Euro-

pa alla fine del XVIII e agli inizi XIX secolo.

Mentre fino ad allora Winckelmann e gli altri studiosi ave-

vano ricostruito la storia dell’arte greca basandosi quasi del tut-

to su copie d’età romana, agli inizi del XIX secolo i maggiori

musei europei cominciarono, invece, una corsa ad accaparrarsi

42 Cfr. MAGNO 2011.

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statue originali greche in Grecia e in Asia Minore. A farla da

padrone era il British Museum, che riuscì a mettere le mani non

solo sulle sculture del Partenone, ma anche, ad esempio, su

quelle del tempio di Apollo Epicurio a Bassae, di Xanthos e del

Mausoleo di Alicarnasso. Gli facevano concorrenza i musei te-

deschi, come la Gliptoteca di Monaco con i frontoni del tempio

di Aphaia ad Egina, e il Museo di Berlino, che nelle sue colle-

zioni riuscì a vantare, tra l’altro, l’Altare di Pergamo, comple-

tamente smantellato, trasportato e ricostruito nel museo tede-

sco.

Con la conquista dell’indipendenza dall’Impero Ottomano

nel 1830 il neonato stato ellenico tentò sin da subito di arrestare

l’esportazione del suo patrimonio artistico, sancendone il divie-

to addirittura nella Costituzione e iniziando una guerra ai traffi-

ci di antichità destinata a non avere fine nemmeno ai giorni no-

stri.

Il XVIII ed il XIX secolo, per fortuna, non è solo un’epoca

di distruzioni e saccheggi, ma anche l’epoca dei pionieri

dell’archeologia moderna, della scoperta archeologica della

Grecia e della rinascita dell’Acropoli di Atene.

La nascita dell’archeologia moderna è idealmente sancita

dall’inizio degli scavi di Ercolano nel 1738 e di Pompei nel

1748, ma anche dall’avvio delle prime grandi ricerche archeo-

logiche in Grecia, molte delle quali portate avanti da sempre

più numerose missioni, scuole e istituti archeologici stranieri:

nel 1846 nasce la Scuola Francese, nel 1874 l’Istituto Germani-

co, nel 1882 la Scuola Americana, nel 1884 Federico Halbherr

con la scoperta della grande iscrizione di Gortyna, a Creta, da

inizio alla missione archeologica italiana in Grecia, da cui na-

scerà ufficialmente nel 1909 la Scuola Archeologica Italiana di

Atene.

I Greci da parte loro non restano a guardare. Nel 1837, ap-

pena sette anni dopo la liberazione dall’Impero Ottomano, na-

sce la Società Archeologica di Atene, la più antica istituzione

archeologica greca. Tra il 1885 ed il 1890 Panaghiotis Kavva-

diàs conduce sull’Acropoli di Atene i primi scavi archeologici

sistematici. Agli inizi del secolo successivo iniziano i restauri

di Nikolaos Balanos. Scavi e restauri che, pur con qualche di-

scontinuità cronologica, arrivano fino ai giorni nostri.

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È l’epoca in cui l’interesse per le antichità non resta relegato

ai ristretti circoli accademici: le notizie delle scoperte archeolo-

giche che si susseguono iniziano a suscitare nell’opinione pub-

blica un interesse crescente per l’antichità e per i suoi monu-

menti. Dal desiderio di visitarli trae impulso il Grand Tour, il

lungo viaggio finalizzato alla conoscenza dell’Europa e della

sua cultura, che diviene un passaggio fondamentale della for-

mazione culturale dei giovani delle più facoltose famiglie euro-

pee. Tali viaggiatori riportano dai loro viaggi ricordi ed imma-

gini che a loro volta arricchiscono sempre di più la nostra cono-

scenza di paesaggi e monumenti.43

Una Grecia finalmente libera ed indipendente, nonostante la

penuria di risorse economiche, mette subito in atto i primi sfor-

zi per sostenere lo studio e la conservazione del suo patrimonio

culturale, primo tra tutti il Partenone e l’Acropoli di Atene,

monumenti che immediatamente sono percepiti come i simboli

più importanti non solo della città, ma della grecità tutta.

43 Cfr. TSIGAKOU 1981.

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38

II. L’ACROPOLI E I SUOI MONUMENTI

II.1. Il monumento di Agrippa.

Le mura dell’Acropoli di Atene, così come si presentano

oggi, risalgono in massima parte al periodo successivo le Guer-

re persiane: quelle sul versante settentrionale si devono a Temi-

stocle, quelle sul versante meridionale a Cimone. Vi sono atte-

stati, inoltre, interventi dell’età di Pericle e successivi.

Nella zona di accesso all’Acropoli, oltre al tempietto di Ate-

na Nike, di cui si dirà a breve, vi erano anche altri edifici. Tra

questi doveva esservi un santuario dedicato ad Afrodite Pan-

demia. A ovest dei Propilei, davanti l’ala settentrionale e la co-

siddetta “Pinacoteca”, si trovava, invece, il già citato cd. “plin-

to” o “base” di Agrippa, una base rettangolare in principio co-

struita in onore del re Eumene II di Pergamo nel 178 a.C. dopo

la sua vittoria ai giochi panatenaici. Essa originariamente soste-

neva una statua raffigurante una quadriga guidata dallo stesso

re Eumene e da suo fratello Attalo.

Dopo la battaglia di Azio, intorno al 27 a.C. gli Ateniesi vi

posero una statua equestre dedicata a Marco Vipsanio Agrip-

pa,44 uno dei più stretti amici e collaboratori di Ottaviano, che

aveva svolto un ruolo fondamentale in molti dei suoi più impor-

tanti successi militari, tra cui proprio la determinante vittoria

contro Marco Antonio e Cleopatra nella battaglia navale di

Azio nel 31 a.C. Per stringere con lui anche un legame familia-

re, Augusto nel 21 a.C. gli diede in sposa sua figlia Giulia mag-

giore, da poco rimasta vedova di Marcello.

44 SYME 1993, pag. 69.

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39

Secondo alcune ipotesi tra la dedica ad Eumene e quella ad

Agrippa ve ne fu anche una a Marco Antonio, risalente agli an-

ni della guerra civile.45

Del monumento resta oggi solo la base, in marmo attico, sia

quello grigio-azzurrino dell’Imetto, sia quello bianco del Pente-

li, e l’iscrizione sulla base con la dedica ad Agrippa:

[Ο ΔΗ]ΜΟΣ Μ[ΑΡΚΟΝ] ΑΓΡΙΠΠΑ[Ν] | ΛΕ[ΥΚΙΟΥ] ΥΙΟΝ |

ΤΡΙΣ Υ[ΠΑΤ]ΟΝ ΤΟΝ [Ε]Α[Τ]ΟΥ | Ε[ΥΕΡ]ΓΕΤΗ[Ν]

Dall’iscrizione proviene anche l’unica indicazione cronolo-

gica per la dedica del monumento ad Agrippa, cioè la citazione

del terzo consolato, che fornisce un termine post quem al 27

a.C. Sotto tale iscrizione si conservano, inoltre, le tracce di

un’iscrizione precedente, che riportava probabilmente la dedica

al re Eumene.

II.2. Il Tempietto di Atena Nike.

All’estremità occidentale della sommità dell’Acropoli, su

una torre sul lato sud dei Propilei, si trova il Tempietto di Atena

Nike, costruito tra il 426 ed il 420 a.C. su progetto di Kallikra-

tes. La sua costruzione si inquadrava nel programma di ristrut-

turazione dell’Acropoli iniziato già con Pericle.46

Il tempio occupa una zona ove gli scavi hanno permesso di

individuare una fossa per offerte votive databile all’età del

Bronzo. In epoca micenea vi era collocata una torre realizzata

in tecnica isodomica facente parte del circuito fortificato eretto

a protezione della rocca micenea. In età arcaica, intorno alla

metà del VI sec. a.C., vi si trovava un tempio di legno, poi di-

strutto dai Persiani nel 480 a.C., all’interno del quale era anche

una base su cui era collocato uno xoanon della dea.

Dopo la battaglia di Salamina, all’epoca di Cimone, intorno

al 468 a.C. fu eretto un nuovo tempietto in poros, pietra tenera,

calcarea e porosa, che comprendeva sempre una base per la sta-

tua della dea e un nuovo altare all’esterno del tempietto. Di

45 ROMEO 1998, pag. 95. 46 Per un approfondimento sull’architettura e la cronologia del Tempietto di Atena Nike, cfr. MARK

1993.

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queste precedenti strutture restano alcuni elementi inglobati

nella torre, sotto il tempietto di Atena Nike realizzato da Kal-

likrates.47

Pausania, pur dedicandogli solo poche parole, menziona il

tempietto e lo dice dedicato a Nike Aptera (letteralmente “vitto-

ria senz’ali”), riprendendo la tradizione secondo la quale la dea,

personificazione della Vittoria e solitamente alata, nella statua

di culto era, invece, raffigurata senza ali per non volare via, ma

rimanere sempre ad Atene. Secondo un’altra versione la statua

era inizialmente alata, mentre il nome le sarebbe stato dato più

tardi quando le furono rubate le ali d’oro.48 In ogni caso il tem-

pietto conteneva anche la statua di culto arcaica in legno, raffi-

gurata con un melograno nella mano destra ed un elmo nella

mano sinistra.

Sempre Pausania ricorda questo punto dell’Acropoli come il

luogo dal quale si sarebbe gettato Egeo credendo suo figlio Te-

seo morto durante la spedizione a Creta per uccidere il Mino-

tauro. Egli, riportando questa versione del mito, scrive: «Alla

destra dei Propilei c’è il tempio di Nike Aptera. Da qui si può

vedere il mare, e da questo punto dicono che Egeo si gettò giù e

morì».49

Il tempietto di Atena Nike ha la peculiarità di essere comple-

tamente in stile ionico, senza la commistione di elementi dorici

e ionici che caratterizza gli altri edifici dell’Acropoli, primo tra

tutti il Partenone. Si presenta come un tempio anfiprostilo tetra-

stilo, con quattro colonne monolitiche sulla fronte e quattro sul

retro. Dopo il pronao presenta un’unica cella senza divisioni in-

terne, preceduta soltanto da due pilastri sul lato corto di ingres-

so. L’altare era situato a est, all’esterno del tempio.

La decorazione del tempio è costituita da un fregio ionico

continuo, opera di Agoracrito, allievo di Fidia, che presenta su

tre lati scene di combattimenti tra Greci e Persiani, secondo al-

cuni studiosi in particolare la battaglia di Maratona. Sul quarto

lato, quello orientale, si ritengono rappresentati gli dei che os-

servano la battaglia, Olga Palaghia vi legge, invece, la nascita

di Atena.50 Dai pochi frammenti superstiti delle decorazioni

47 Su Kallikrates cfr. MILONAS SHEAR 1963. 48 TORELLI - MAVROJANNIS 1997, pag. 74. 49 Pausania, Per., I, 22, 4-5 50 Cfr. PALAGHIA 2005.

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frontonali è possibile ipotizzare che in quella occidentale il te-

ma fosse legato ai Giganti e in quella orientale alle Amazzoni.

Il fregio è attualmente diviso tra il Museo dell’Acropoli di Ate-

ne ed il British Museum di Londra.

Tra il 410 ed il 409 a.C. lungo il bordo della torre sui cui è

costruito il tempio, fu realizzato un parapetto di marmo di circa

un metro di altezza per motivi pratici di sicurezza, vale a dire

per evitare il pericolo di cadute a chi frequentava il tempio.

Questo parapetto presentava lastre sia decorate a rilievo, sia di-

pinte, con scene raffiguranti delle Vittorie, colte in varie pose,

tra cui una celebre mentre si allaccia il sandalo, ma anche la dea

Atena.

I rilievi del tempietto di Atena Nike furono eseguiti in un

momento storico di gravi difficoltà per Atene, che, appena usci-

ta dalla terribile disfatta di Siracusa del 413 a.C., viveva la fase

finale della Guerra del Peloponneso. Dal punto di vista artistico

rivelano una minore capacità di resa naturalistica delle figure e

dei panneggi. La perdita di creatività e di naturalismo e la ricer-

ca di effetti pittorici sembrano segnare l’inizio del declino arti-

stico di Atene ed la comparsa di aspetti proto-ellenistici. Vi è,

inoltre, anche l’attenzione agli effetti prospettici dovuti al fatto

che il tempietto era osservato dal basso da chi saliva verso

l’Acropoli per accedere all’area sacra attraverso i Propilei.

Nel V sec. d.C. il tempietto fu trasformato in una chiesa cri-

stiana, poi, durante il dominio ottomano, utilizzato come polve-

riera, infine smembrato tra il 1686 ed il 1687, quando i Turchi,

di fronte all’attacco dei Veneziani di Morosini, ne utilizzarono i

pezzi per erigere un bastione difensivo avanti ai Propilei.

L’aspetto attuale del tempio è frutto di numerosi e radicali

interventi di restauro e ricostruzione: il primo fu effettuato nel

1835, all’indomani della nascita dello Stato greco. Un secondo

a ridosso della Seconda guerra mondiale, tra il 1935 ed il 1940.

L’intervento più recente, iniziato nel 1997, si è posto come

obiettivo una nuova ricostruzione del tempio di Atena Nike, at-

traverso il completo smontaggio ed una successiva anastilosi fi-

lologicamente più corretta, in modo da collocare gli elementi

architettonici nella loro giusta posizione, epurare l’edificio, per

quanto possibile, da elementi estranei, erroneamente inglobativi

dalle precedenti ricostruzioni, ed inserirne altri nel frattempo

scoperti e riconosciuti come pertinenti ad esso.

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II.3. La porta Beulé e i Propilei.

I Propilei sono situati sul lato ovest dell’Acropoli, nella stes-

sa posizione in cui era collocata la porta della cittadella mice-

nea. Verso la metà del VI sec. a.C., all’epoca dei Pisistratidi, vi

fu costruito un primo accesso monumentale all’Acropoli, che

aveva già iniziato ad ospitare il culto di Atena. La sistemazione

data tra il 510 ed il 480 a.C. fu distrutta dai Persiani durante

l’invasione e la devastazione di Atene del 480 a.C. Dopo la vit-

toria di Salamina, insieme alle altre opere di riparazione

dell’Acropoli intraprese da Temistocle e Cimone, fu ripristinato

anche l’ingresso all’area sacra.

Subito dopo il completamento del Partenone in età periclea,

tra il 437 ed il 432 a.C., furono eretti anche i Propilei, ad opera

dell’architetto Mnesicle. Il suo progetto architettonico origina-

le, molto innovativo, non fu tuttavia mai del tutto messo in atto.

Il tortuoso percorso di accesso all’Acropoli fu poi modificato in

età romana, all’epoca di Claudio, per ottenere una veduta assia-

le dei Propilei, invece della veduta obliqua che si aveva prece-

dentemente.51

Il lato ovest dei Propilei costituiva, dunque, in epoca classi-

ca l’ingresso monumentale all’Acropoli. L’edificio è costruito

principalmente in marmo pentelico ed è diviso in tre parti. Al

centro è una parete con cinque porte, a est e a ovest della quale

ci sono due portici esastili in stile dorico. L’ingresso all’area in-

terna dell’Acropoli avveniva attraverso la porta centrale, fian-

cheggiata da due torri rettangolari, una a nord e una a sud.

Più tardi, dopo l’incursione degli Eruli nel III secolo d.C.,

furono realizzate due porte, una delle quali, la porta Beulé, co-

stituisce ancor oggi il principale accesso all’area archeologica.

La porta ha preso il nome dall’archeologo francese Charles Er-

nest Beulé, docente dell’École Française di Atene, che nel 1852

portò alla luce i Propilei, liberando l’Acropoli dalle sovrapposi-

zioni ottomane.52

Per la costruzione sia della porta che delle torri furono uti-

lizzati come materiali da costruzione elementi architettonici

provenienti da altri edifici più antichi, soprattutto dal monu-

51 TORELLI - MAVROJANNIS 1997, pag. 72. 52 Cfr. BEULE 1853.

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mento coregico eretto alla fine del IV secolo a.C. in onore di

Nicia,53 lo stratega e uomo politico ateniese il cui nome è legato

al trattato tra Atene e Sparte che nel 421 a.C. pose fine alla

Guerra Archidamica e inaugurò quella che in suo onore gli sto-

rici hanno chiamato “Pace di Nicia”. A lui faceva riferimento

anche un’iscrizione presente sopra l’architrave della porta.

L’ala nord del Propilei era occupata da quella che Pausania

indica come “pinacoteca”,54 dedicandole un’ampia descrizione:

«A sinistra dei Propilei c’è un edificio che contiene pitture; tra

quelle che il tempo ha permesso che non fossero tra le invisibi-

li, c’è Diomede, quello che sottrae a Lemno l’arco di Filottete e

quello che da Ilio porta via (la statua di) Atena. Lì tra le pitture

vi è Oreste mentre uccide Egisto e Pilade che uccide i figli di

Nauplio venuti in soccorso di Egisto; e vi è anche Polissena

mentre sta per essere sgozzata accanto alla tomba di Achille.

Da Omero è stato omesso opportunamente questo atto così cru-

dele; e in modo opportuno mi sembra che abbia raccontato Sci-

ro conquistata da Achille, e non in maniera simile a quanti di-

cono che Achille trascorse un periodo della sua vita in mezzo

alle fanciulle, come lo ha dipinto anche Polignoto. Il quale ha

dipinto pure Odisseo che sta accanto alle giovani che lavano i

panni insieme a Nausicaa, secondo il racconto che fece anche

Omero»55. Continua Pausania: «Vi sono anche altri dipinti; Al-

cibiade, e nel quadro vi sono i segni della sua vittoria con i ca-

valli a Nemea; vi è Perseo che va verso Serifo portando a Poli-

dette la testa di Medusa. Ma non ho l’intenzione di segnalare

tra le cose dell’Attica quello che riguarda Medusa. Ancora, per

chi omette tra i dipinti il fanciullo che porta le idrie e il lottatore

che dipinse Timeneto, c’è Museo. Ho letto versi nei quali si

trova che Museo ebbe da Borea il dono di volare, e mi sembra

che li abbia composti Onomacrito e non vi è nulla sicuramente

di Museo se non solo l’Inno a Demetra per i Licomidi».56

Presso i Propilei era situato anche un ambiente che alcuni

studiosi interpretano come una stanza per far riposare i visitato-

ri dell’Acropoli, dotata persino di posti letto. L’ala sud dei Pro-

53 Cfr. Tucidide, Pel., VII, 15, 1; VII, 77, 2; Plutarco, Vite Parallele, Nicia e Crasso, 17, 3; 18, 1;

19, 10; 26, 4. 54 Pausania, Per., I, 22, 6. 55 Pausania, ibidem. 56 Pausania, Per., I, 22, 7.

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pilei è condizionata dalla presenza del tempio più antico su cui

fu poi costruito quello di Atena Nike, che costrinse ad adattare

il progetto, rinunciando ad una simmetria perfetta.

L’aspetto dei Propilei rimase pressoché invariato fino ai

primi secoli di diffusione del Cristianesimo. Tra il IV ed il VII

secolo essi furono poi trasformati in una chiesa. Durante i seco-

li del dominio franco, tra il XIII ed il XIV secolo i Propilei co-

stituirono la residenza del comandante dei Franchi. In tale pe-

riodo furono anche rafforzate le difese dall’Acropoli, con la co-

struzione di una torre, oggi non più visibile. Durante il dominio

ottomano, tra il 1458 ed il 1830, ospitarono, invece, il quartier

generale del comandante turco. L’edificio principale dei Propi-

lei fu utilizzato anche come deposito di polvere da sparo, circo-

stanza all’origine della sua esplosione nel 1640.

Dopo la liberazione della Grecia dall’Impero Ottomano le

strutture ottomane e medievali furono immediatamente abbattu-

te, nel tentativo di restituire in qualche modo ai Propilei il loro

aspetto antico. Interventi di restauro ed anastilosi vi furono ef-

fettuati tra il 1909 ed il 1917 da Nicolaos Balanos. In tempi più

recenti dei restauri sono stati intrapresi a partire dal 1982 dalla

Commissione per i Restauri dell’Acropoli.

II.4. Il santuario di Artemide Brauronia e la Chalkothèke.

Sul versante sud-occidentale dell’Acropoli, tra il Partenone

e i Propilei, era situato il santuario di Artemide Brauronia, una

sorta di filiazione del grande santuario dedicato alla dea presso

Brauron, in Attica. La sua fondazione risale alla metà del VI

secolo a.C. ed è attribuibile al tiranno Pisistrato, nativo proprio

di Brauron.

La parte principale del santuario era un portico dorico che si

sviluppava su tre lati, per una lunghezza di 38 metri e una lar-

ghezza di 7 metri. Era aperto sul lato settentrionale, con dieci

colonne sulla facciata, mentre il lato meridionale seguiva il

tracciato delle mura dell’Acropoli. Alle estremità erano due ali

chiuse delle dimensioni di circa 10 metri per 7, ove si conser-

vavano i tesori. A nord l’area era chiusa da un recinto, mentre

nell’angolo nord-est era situato l’ingresso al santuario.

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All’interno del santuario era custodita la statua di culto in

legno della dea, lo xoanon, simile a quella del santuario di

Brauron. Vi era, però, già dalla metà del IV secolo a.C. anche

una statua della dea attribuita a Prassitele, la cui testa è al Mu-

seo dell’Acropoli. Testimonia, infatti, Pausania: «c’è poi il san-

tuario di Artemide Brauronia, la statua è opera di Prassitele,

mentre il nome viene alla divinità dal demo di Brauron; il simu-

lacro arcaico è a Brauron, la Artemide Taurica, come dicono».57

Del santuario restano oggi solo poche tracce sul banco roc-

cioso dell’Acropoli, che testimoniano l’ingresso al santuario e

la posizione dei muri di fondazione.

Sempre nella zona sud-occidentale dell’Acropoli, lungo le

mura e affianco al Santuario di Artemide Brauronia, si trovava

un edificio di forma allungata, la Chalkothèke, costruito nella

metà del V secolo a.C., poi successivamente modificato.

Esso presentava pianta rettangolare, con facciata rivolta ver-

so nord-est ed il lato posteriore che seguiva il tracciato delle

mura dell’Acropoli. All’interno era probabilmente diviso in due

navate da una serie di sei colonne che sostenevano il tetto, di-

sposte al centro per tutta la sua lunghezza. L’edificio, con la co-

struzione del Partenone, venne in parte a sovrapporsi alle scale

di accesso allo stesso.

Il nome e la funzione di questo edificio, che non è menzio-

nato da Pausania, ci sono note da alcune iscrizioni, dalle quali

si evince che vi erano raccolte le offerte dei fedeli alla dea Ate-

na, in bronzo o altro metallo, tra cui armi, statuette e vasi. Un

decreto riportato in un’iscrizione degli inizi del IV sec. a.C. ci

informa che tutte le offerte presenti nella Chalkothèke doveva-

no essere schedate e riportate in un’epigrafe di marmo esposta

davanti alla porta dell’edificio.

Come del Santuario di Artemide Brauronia, anche della

Chalkothèke oggi sull’Acropoli restano e sono visibili solamen-

te alcune tracce sul banco roccioso, in corrispondenza delle sue

fondamenta.

57 Pausania, Per., I, 23, 7.

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II.5. L’Eretteo.

L’Eretteo è un edificio situato sul lato nord dell’Acropoli,

dedicato ad Atena Polias, ossia “protettrice della città”. Nelle

iscrizioni tale edificio è citato semplicemente come “il tempio

nel quale è l’agalma antico”.58 Pausania lo chiama, invece,

“Eretteo”,59 dal nome del mitico re di Atene, che vi era

anch’egli venerato e il cui accostamento con l’Acropoli di Ate-

ne è presente anche in Omero: nell’Iliade60 si tramanda che

Eretteo, figlio della Terra, era stato allevato da Atena nel suo

tempio ad Atene; nell’Odissea61 si narra, invece, un episodio in

cui Eretteo ospita Atena nel suo palazzo. È possibile, tuttavia,

che il citato passo dell’Iliade sia stato inserito nel testo omerico

all’epoca di Pisistrato.

L’Eretteo ha carattere e stile architettonico peculiari. Eretto

in marmo pentelico tra il 421 ed il 406 a.C., al posto di un pre-

cedente edificio situato poco più a sud, costituisce l’ultimo mo-

numento di età classica realizzato sull’Acropoli.

L’edificio è formato da un corpo centrale di forma rettango-

lare, anfiprostilo, con intercolumnia chiusi da setti murari con

finestre. L’interno è diviso in due ambienti situati ad una quota

diversa l’uno dall’altro. La forma particolare dell’Eretteo è do-

vuta innanzitutto alla necessità di adattarsi all’irregolare con-

formazione del suolo di questa zona dell’Acropoli: la parte

orientale dell’edificio, che ospitava la statua di culto della dea,

presentava, infatti, un piano di calpestio di ben tre metri più alto

rispetto alla parte occidentale, che ospitava, invece, i culti di

Poseidone ed Eretteo.62 A tale corpo centrale si appoggiavano

due corpi laterali: la loggia delle Cariatidi a sud, con le statue

forse opera dello scultore Alcamene, da cui si accedeva alla

tomba dell’eroe Cecrope, figlio di Eretteo e re di Atene, e a

nord un portico che proteggeva la sorgente di acqua salata fatta

sgorgare da Poseidone con il tridente.

A determinare la particolare conformazione dell’Eretteo ed

in particolare sull’asimmetria della sua pianta contribuì, appun-

58 GULIANO 1980, pag.33-39; GIULIANO 2001, pag. 123. 59 Pausania, Per., I, 26, 5. 60 Omero, Iliade, II, 549. 61 Omero, Odissea, VII, 81. 62 Sulle modalità di costruzione dell’Eretteo cfr. RANDALL 1953, pag. 199 e seg.

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to, anche la necessità di riunire molti culti in un solo edificio:

nella parte orientale, come accennato, quello di Atena Polias, di

cui era custodito lo xoanon, l’antica statua di culto in legno

d’ulivo che in occasione delle Panatenee veniva vestita con il

peplo tessuto dalle ergastine; nella parte occidentale dell’edifi-

cio, invece, i culti di Poseidone, di Eretteo, ma anche di Efesto

e dell’eroe attico Bute, fratello di Eretteo e primo sacerdote di

Atena, e di Erittonio, generato dalla Terra fecondata dal seme

di Efesto, innamorato di Atena ma da lei respinto, accolto tutta-

via nel tempio sotto forma di serpente sacro alla dea. Sul lato

ovest dell’edificio si trovavano, infine, anche un recinto con la

tomba dell’eroina attica Pandroso, figlia di Cecrope, e l’ulivo

sacro donato da Atena agli Ateniesi in occasione della contesa

con Poseidone per il dominio sulla città.

Riporta Pausania: «Vi è anche un edificio chiamato Eretteo:

davanti all’ingresso vi è l’altare di Zeus Hypatos, dove non sa-

crificano nessun essere vivente, ma dopo avervi deposto focac-

ce non usano neppure far uso di vino. Per chi entra dentro vi

sono altari, di Poseidone, sul quale fanno sacrifici anche per

Eretteo secondo un oracolo, dell’eroe Bute e un terzo di Efesto.

Sulle pareti vi sono dipinti della stirpe dei Butadi e, l’edificio è

infatti a due stanze, dentro vi è in un pozzo acqua di mare. Que-

sto non è grande prodigio: infatti altri l’hanno anche quelli che

abitano l’entroterra e pure i Cari di Afrodisia; ma questo pozzo,

è degno di nota, produce l’eco delle onde quando soffia il vento

da sud. Sulla roccia vi è il segno di un tridente: queste cose rac-

contano che Poseidone mostrò come segni per la contesa della

regione».63

Pausania riporta anche il mito della caduta dello xoanon di

Atena dal cielo: «Il resto della città è sacro a Atena e egualmen-

te tutta la regione, e infatti per quanti hanno stabilito nei demi

di venerare altre divinità, non di meno essi portano onore per

Atena; l’oggetto ritenuto più sacro nella comunità molti anni

prima che venissero dai demi è una statua di Atena nella Acro-

poli di oggi, allora detta la città; per essa vi è la fama che ca-

desse dal cielo, e non verifico se questo sia vero o falso».64

63 Pausania, Per., I, 26, 5. 64 Pausania, Per., I, 26, 6.

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Nel I sec. a.C. l’edificio andò bruciato in un incendio. Suc-

cessivamente subì piccole riparazioni e modifiche. Nei primi

secoli di diffusione del Cristianesimo fu trasformato in una

Chiesa dedicata alla Madre di Dio; durante il domino franco

(1204-1456) fu trasformato in palazzo; durante il dominio ot-

tomano (1456-1833) fu infine utilizzato come harem del co-

mandante del presidio turco.

Nel XIX secolo una delle Cariatidi fu staccata e portata via

durante il saccheggio dell’Acropoli perpetrato da Lord Elgin. I

danni più rilevanti l’edificio li subì, tuttavia, durante la lotta di

liberazione dei Greci dall’Impero Ottomano, nel 1827, a causa

di una violenta esplosione.

L’Eretteo fu tra i primi monumenti dell’Acropoli per i quali

subito dopo la nascita dello Stato greco moderno, all’indomani

della liberazione dall’Impero ottomano, si intrapresero dei re-

stauri. Sempre l’Eretteo è stato, inoltre, anche il primo monu-

mento dell’Acropoli in cui negli ultimi decenni è stato comple-

tato il nuovo restauro. Effettuato tra il 1979 ed il 1987, esso ha

ricevuto anche un riconoscimento da parte dall’associazione

Europa Nostra.

II.6. Il Tempio di Roma e Augusto.

Alla fine del I secolo. a.C. a est del Partenone fu eretto il

Tempio di Roma e di Augusto. Ne resta parte degli elementi ar-

chitettonici che lo costituivano, sparsi sia nel punto dove dove-

va sorgere l’edificio, sia sul resto dell’Acropoli. Resta, inoltre,

una fondazione in situ, di forma irregolare, di circa 10,50 x 13

metri, di pietra calcarea, generalmente attribuita proprio al tem-

pio in questione. Secondo un’atra ipotesi, invece, il tempio era

situato altrove, ad est dell’Eretteo.

Si trattava di un tempio di piccole dimensioni, in marmo

bianco, di forma circolare, monoptero, con un tetto di forma

conica, con il colonnato costituito da nove colonne ioniche af-

fini a quelle dell’Eretteo, circostanza che spingerebbe a ritenere

i due edifici opera dello stesso architetto.

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Le caratteristiche del tempio suggeriscono un confronto an-

che con il Tempio di Marte Ultore sul Campidoglio,65 ugual-

mente a pianta circolare. Nelle decorazioni si è, invece, voluto

leggere un richiamo alla decorazione classica dell’Eretteo, di

cui reimpiegava nella fondazione un blocco del geison.

Come attesta l’iscrizione sull’architrave, il tempio era dedi-

cato da Atene alla dea Roma e ad Ottaviano Augusto. Da notare

che Pausania non menziona l’edificio nella sua descrizione

dell’Acropoli.

II.7. Il Partenone.

Il principale edificio dell’Acropoli di Atene, che domina con

la sua mole e la sua posizione strategica, è il Partenone, tempio

dedicato ad Atena Parthenos.

Come già accennato, la sua costruzione fu iniziata a partire

dal 447 a.C. nell’ambito del progetto intrapreso da Pericle per

ricostruire i monumenti dell’Acropoli, devastati e distrutti du-

rante l’invasione persiana e dopo il fallimento dei tentativi di

ricostruzione fatti nei decenni precedenti. Il Partenone rappre-

senta, dunque, il più eccelso prodotto della democrazia ateniese

nel suo momento più florido.

La sua realizzazione fu affidata a Iktinos per la parte struttu-

rale e a Fidia per la parte decorativa. A quest’ultimo, tuttavia,

con l’incarico di episcopos fu affidata da Pericle anche la re-

sponsabilità di soprintendere all’intero progetto.

Nella concezione architettonica e scultorea del Partenone

Jeffrey Hurwit legge una sorta di competizione con il Tempio

di Zeus a Olimpia (470-456 a.C.). Egli suggerisce, infatti, di

considerare il Partenone anche come una risposta artistica e in-

tellettuale dell’Atene di Pericle rispetto al suo immediato pre-

cedente cronologico di Olimpia.66

Il Partenone pericleo, realizzato interamente in marmo pen-

telico, presenta orientamento est-ovest ed è costituito da un edi-

ficio ottastilo, con 8 colonne sui lati brevi e 17 colonne sui lati

65 Cfr. Dione Cassio, LIV, 8,3. Secondo alcuni studiosi il riferimento è al Foro di Augusto, dove le

insegne saranno sistemate solo a costruzione ultimata, cioè il primo agosto del 2 a.C.. cfr. CASSO-

LA 1981, pag. 105 e sg. 66 Cfr. HURVIT 2005.

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lunghi, periptero, anfiprostilo. Dal punto di vista stilistico è un

tempio dorico con la compresenza di alcuni elementi ionici.

Le colonne sono ravvicinate ma molto slanciate. I portici in-

torno alla cella sono strettissimi, il naos è anfiprostilo con 6 co-

lonne sulla fronte e sulla parte posteriore. La cella larga, divisa

in tre navate da due ordini di 10 colonne doriche, aveva sul

fondo un deambulatorio preceduto da una fila di 5 colonne do-

riche. Dietro l’opistodomos un ambiente ridotto, coperto da un

soffitto a cassettoni sostenuto da 4 colonne ioniche, era destina-

to a contenere il tesoro della dea. Il tetto era rivestito in marmo

e ai margini dei lati lunghi presentava delle antefisse a forma di

palmette, mentre agli angoli quattro pseudo-gocciolatoi a testa

leonina.

L’edificio presentava anche una serie di “correzioni ottiche”

che servivano a dare l’impressione dell’assoluta perfezione

geometrica del tempio, anche nel vederlo da lontano o dal bas-

so. Le principali correzioni ottiche consistevano nella “curvatu-

ra delle orizzontali”, adottata in particolare nello stilobate, che

si presentava lievemente incurvato verso l’alto in modo da non

apparire concavo a distanza, e nell’inclinazione delle colonne

verso l’interno, in particolare quelle esterne, affinché non sem-

brassero aprirsi verso l’esterno.

La complessa ricerca di misure, proporzioni, prospettiva e

correzioni ottiche che è dietro la realizzazione del Partenone, ne

fa un modello paradigmatico, che ha colpito anche gli architetti

moderni e contemporanei, esercitando su di essi una notevole

influenza. Basti citare, uno tra tutti, la scelta di Le Corbusier67

di utilizzare il Partenone come immagine di apertura del capito-

lo dedicato all’architettura come «pura creazione della mente»

(fig. 22).

Dal punto di vista iconografico il Partenone rappresenta uno

dei maggiori complessi figurativi dell’età classica, con una

combinazione, così come già osservato nella concezione archi-

tettonica dell’edificio, di elementi dorici e ionici.

Occorre premettere che il termine “decorazione”, spesso uti-

lizzato proprio in riferimento al complesso figurativo del Parte-

none, appare semanticamente del tutto limitato ed inappropria-

to, se non addirittura fuorviante, rispetto a ciò che esso rappre-

67 LE CORBUSIER 1923, pag. 106 e sg.

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senta. All’interno del nostro background linguistico e culturale

il termine “decorazione” rischia di evocare, infatti, una funzio-

ne prettamente estetica dell’elemento figurativo. In qualsiasi

opera d’arte, al contrario, pure quando essa intenda, come spes-

so accade, suscitare anche il gradimento estetico dei suoi com-

mittenti e dei suoi osservatori, quella estetica non è mai la sua

funzione fondamentale. Come di qualsiasi altra forma di

espressione umana, la funzione essenziale dell’arte, anzi pos-

siamo dire ontologica (visto che in caso contrario non la si può

nemmeno definire arte), è quella comunicativa: tradurre un

messaggio in immagini. Funzione tanto più rilevante in opere e

monumenti dal forte carico semantico, come il complesso figu-

rativo del Partenone, cui spettò tradurre un complesso messag-

gio ideologico e politico in una sublime espressione artistica.

Se ciò è esatto, dunque, l’autore dell’apparato figurativo del

Partenone, Fidia, non è solo una delle più grandi personalità ar-

tistiche del mondo antico ed un fondamentale protagonista del

raggiungimento della maturità classica dell’arte greca, ma an-

che o soprattutto uno straordinario interprete e traduttore visivo

dell’ideologia e della propaganda periclee.

Di lui, condividendo la visione di Schweitzer,68 Bianchi

Bandinelli scrive: «Quello che salvò l’arte greca dal cadere,

dopo questo momento, nel manierismo ornamentale o nello

sfoggio anatomico dei corpi “a sacco di patate”, fu, crediamo, il

sorgere contemporaneo, a volo altissimo, di un altro artista che,

bruciate in modo a noi ignoto le tappe delle speculazioni ritmi-

che in cui l’arte era immersa al tempo della sua giovinezza, ri-

prese le ricerche di colore proprie al gusto della sua patria ate-

niese e le condusse fino al raggiungimento di una piena libertà

formale, di un dissolvimento fiammeggiante della forma nella

luce, aprendo un mondo di visioni nuove e inattese. E questo

artista fu Fidia».69

L’apparato scultoreo del Partenone comprendeva 92 meto-

pe, alternate a triglifi; un fregio lungo 160 metri che girava at-

torno alla cella; due frontoni con figure colossali e, collocata

nella cella del tempio, sempre opera di Fidia, la statua crisoele-

fantina di Atena Parthenos, ricordata da Pausania.70

68 Cfr. SCHWEITZER 1967. 69 BIANCHI BANDINELLI 1973, pag. 102. 70 Pausania, Per., I, 24, 5.

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Sculture e rilievi del Partenone, eseguiti tutti in marmo pen-

telico ed arricchiti da elementi in bronzo, erano originariamente

dipinti, come testimoniano alcune labili tracce di colore, soprat-

tutto rosso e blu, riscontrate sul marmo.

L’architrave del Partenone presentava, come accennato, 92

metope (32 sui lati lunghi e 14 sui lati corti), alternate a triglifi,

approssimativamente quadrate e probabilmente col fondo dipin-

to di blu. In tutte le metope erano rappresentate scene di com-

battimento. Esse, dunque, pur articolandosi in quattro temi di-

stinti, uno per ciascun lato dell’edificio, formavano nel com-

plesso un insieme dal contenuto coerente.

Sono purtroppo perdute le figure del lato ovest, ove era rap-

presentata una Amazzonomachia; del lato nord, il cui tema era

era l’Iliou Persis, cioè la caduta di Troia, resta solo la XXXII

metopa, in buono stato di conservazione, che raffigura Iris ed

Hera; in pessimo stato di conservazione sono i rilievi del lato

est, ove era rappresentata una Gigantomachia; infine sono con-

servate meglio le metope del lato sud, probabilmente perché il

pendio troppo scosceso dell’Acropoli rendeva inagibile il lato

meridionale del tempio, nelle quali era raffigurata ed è ancora

leggibile una Centauromachia, allegoria della lotta tra raziona-

lità e bestialità, tra Greci e barbari. Le metope centrali (13-21),

ora perdute, interrompevano tuttavia la narrazione: su di esse,

erano rappresentati miti attici.

Il fregio ionico del Partenone era costituito da una raffigura-

zione a rilievo continua, scolpita su un numero non identificabi-

le di blocchi marmorei, con un unico tema narrativo che si

svolgeva tutt’intorno alla parete esterna della cella del tempio

per 160 metri di lunghezza e circa un metro di altezza. Il tema

raffigurato è quello delle Panatenee, le feste che si svolgevano

ogni quattro anni in onore di Atena, con giochi e sacrifici, cul-

minando con la processione che iniziava dal Dipylon, attraver-

sava la città, passando per l’Agorà e l’Areopago, e giungeva

all’Acropoli, ove terminava con l’offerta alla dea del nuovo pe-

plo, utilizzato per rivestire lo xoanon di Atena Poliade.

Nella rappresentazione sul fregio ionico il corteo delle Pana-

tenee inizia dall’angolo Sud-Ovest del Partenone, da cui parte il

corteo che si biforca lungo i lati del tempio per incontrarsi sul

lato Est del Partenone, dove la scena culmina nella consegna

del peplo alla dea alla presenza delle divinità dell’Olimpo. Nar-

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rativamente possiamo idealmente leggere la scena sia dal suo

punto culminante, sul lato Est, osservando, quasi come virtuali

spettatori ai bordi della processione, il corteo dei fedeli dalla te-

sta verso la coda, sia, all’opposto, leggerla come un climax

ascendente, muovendoci nella stessa direzione delle figure, per-

correndo il corteo, da ideali partecipanti, dalla coda fino al suo

punto culminante.

Il corteo dei fedeli vede in testa i cavalieri e di seguito una

serie di personaggi che portano offerte. Benché il fregio sia og-

gi lacunoso e frammentario, con pezzi sparsi in diversi musei,

tra cui principalmente il Museo dell’Acropoli di Atene, il Bri-

tish Museum di Londra ed il Louvre di Parigi, in totale si sono

salvate 128 figure.

Sul lato occidentale del tempio la composizione è alquanto

rarefatta, con due o massimo tre figure umane e massimo due

cavalli raffigurati su ogni blocco. Il movimento della composi-

zione è di tanto in tanto spezzato da figure statiche, per un tota-

le di 30 figure. Un uomo sembra dirigere e ordinare un corteo

di cavalieri, che si preparano per la processione muovendosi

verso il lato settentrionale. Su entrambi i lati lunghi del Parte-

none, quello settentrionale e quello meridionale, il corteo pro-

cede verso il lato orientale. La cavalcata dei cavalieri si fa via

via più fitta e serrata. La varietà di abbigliamento dei cavalieri

raffigurati si ritiene sia un riflesso delle diverse tribù

dell’Attica.71 I cavalieri sono preceduti dai carri. Seguono gli

anziani, i musici che suonano cetre e flauti, i portatori di

hydriai, i portatori di offerte, coloro che guidano le pecore e i

vitelli al sacrificio: uno spaccato della società ateniese, di una

città industriosa, mobile, che guarda al futuro con intraprenden-

za.

Ciò che resta del lato orientale del fregio è diviso tra Lou-

vre, British e Museo dell’Acropoli. Le figure sono disposte in

maniera simmetrica: uomini, in cui alcuni propongono di vede-

re gli eroi eponimi delle tribù ateniesi, donne, presenti solo qui,

e le dodici divinità dell’Olimpo, compresa Atena. Sul lato

orientale del tempio la rappresentazione della processione delle

Panatenee raggiunge il suo momento culminante: le fanciulle

ateniesi, alla presenza invisibile degli eroi, offrono alla dea il

71 Sulle Panatenee cfr. NEILS 1992; NEILS 1996.

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sacro peplo. Gli dei assistono invisibili: partendo da sud abbia-

mo probabilmente Hermes, Dioniso, Demetra, Ares, Iris ed He-

ra, Zeus seduto sul trono e, sull'altro lato, Atena, Efesto, Posei-

done, Apollo, Artemide, Afrodite ed Eros. Al centro della scena

un anziano piega il sacro peplo offerto ad Atena.

Da notare come nel fregio il ritmo della rappresentazione

muti progressivamente nel dipanarsi della processione a partire

dal lato occidentale del tempio fino a quello orientale: il dina-

mismo dell’azione e quasi una concitazione delle figure sul lato

occidentale si stempera, prima, sui lati lunghi del tempio, fino a

lasciare il posto, sul lato orientale, ad una certa pacatezza ed

una imperturbabile serenità delle figure, sia divine che umane.

Gli dei si distinguono solo per la loro maggiore altezza rispetto

ai mortali: da seduti, infatti, le figure divine arrivano alla stessa

altezza dei mortali, che sono in piedi. È proprio qui, sul lato

orientale del fregio ionico, che l’iconografia del Partenone, con

la sua espressione figurativa del concetto dell’unità di mortali,

eroi e dei, raggiunge il momento più alto, e si fa chiaro riflesso

dell’ideologia politica e della Weltanschauung dell’Atene peri-

clea.

Il successo, sin dall’epoca, del fregio ionico del Partenone è

dimostrato, tra l’altro, dal fatto che parti di esso si ritrovano re-

plicate sui vasi attici a figure rosse della seconda metà del V

sec. a.C.

Boardman ha proposto un’interpretazione del fregio che si

ricollega alla battaglia di Maratona.72 Avendo calcolato che le

figure maschili presenti nella raffigurazione sarebbero, non a

caso, 192, ossia lo stesso numero degli opliti Ateniesi morti

nella battaglia di Maratona, ha proposto di riconoscere nel fre-

gio la simbolica rappresentazione ed esaltazione dei caduti di

Maratona che accompagnano la processione della dea da eroi.

Ian Jenkins73 ha proposto, invece, di leggervi un riflesso, una

sottile e velata allusione, alla riforma della cavalleria voluta da

Pericle, che determinò un aumento del numero dei cavalieri.

Sintetizzando la questione dell’interpretazione del fregio io-

nico del Partenone, la cui complessità esegetica ha dato luogo

nella storia degli studi al susseguirsi delle citate e di altre pro-

72 BOARDMAN 1985; cfr. anche BOARDMANN 1995. 73 Per la lettura del fregio ionico del Partenone ed in particolare per la cavalleria cfr.: JENKINS -

MIDDLETON 1988, JENKINS 1994; JENKINS 1995; JENKINS 2005.

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poste di lettura, osservava acutamente Beschi: «Da un lato si è

inteso riconoscere la prima processione panatenaica, quindi il

momento della sua istituzione a opera di Erittonio, in prospetti-

va mitica. Dall’altro si è voluto identificare una celebrazione

storica, nella prima festa dopo la catastrofe persiana. Tra questi

estremi si collocano letture che vedono proiettarsi nel fregio gli

atteggiamenti ideologici della pòlis democratica, che secondo

alcuni celebra, nella preponderante presenza della cavalleria,

l’eroismo di chi ha difeso la patria contro i Persiani, mentre, se-

condo altri, contrappone strutture e tradizioni del passato ari-

stocratico e del presente democratico nel momento di coesione

della festa evidenziata nelle sue componenti rituali e agonisti-

che e culminante nell’offerta del peplo».74

A proposito di queste e altre letture del fregio e, più in gene-

rale, del complesso figurativo del Partenone emerse nel corso

della storia degli studi, occorre tener presente che le diverse in-

terpretazioni non vanno considerate necessariamente alternative

l’una all’altra: più significati o allusioni potevano, infatti, coe-

sistere nella concezione dell’opera, che, come qualsiasi signifi-

cante, poteva farsi portatore di molteplici significati.

Passando ai frontoni possiamo iniziare dalla testimonianza

di Pausania, il quale riferisce che essi rappresentavano due epi-

sodi della vita di Atena. Scrive: «[...] Per quanti entrano nel

tempio che chiamano Partenone, per essi quante decorazioni

stanno nei cosiddetti frontoni, tutte riguardano la nascita di

Atena, nella parte posteriore c’è invece la contesa di Poseidone

contro Atena per la terra [...]».75

Le statue dei due frontoni sono scolpite a tutto tondo, tranne

la figura di Selene, sul frontone orientale,76 che presenta anche

un’altra particolarità: c’è chi, infatti, ritiene che alcuni cavalli

della decorazione scultorea del Partenone, in particolare quelli-

di Selene e Helios, risalgano a un’epoca precedente l’intervento

fidiaco e siano stati realizzati da un artista della generazione a

lui immediatamente precedente.77 Tra questi maggior pregio ar-

74 BESCHI 1994. 75 Pausania, Per., I, 24, 5. 76 Per la figura di Selene cfr.: BROMMER 1963, pag. 23-24. 77 DONTAS 1995, pag. 49.

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tistico presenta proprio il cavallo di Selene, da cui Goethe fu

tanto colpito da definirlo Urpferd, “archetipo dei cavalli”.78

Le caratteristiche scultoree più salienti delle statue dei fron-

toni sono il dinamismo del rapporto corpi/vesti, ma anche la

forza e la vivacità delle figure, che sembrano finalmente riusci-

re ad infrangere la barriera della bidimensionalità e a superare i

confini dello spazio fisico.

Il frontone occidentale rappresenta la contesa tra Atena e

Poseidone per il dominio su Atene, cui assistono divinità ma

anche gli eroi dell’Attica. Secondo la tradizione, giudici della

contesa erano stati gli dei dell’Olimpo o, in un’altra versione,

soltanto Zeus. Invece qui a giudicare la contesa sembrano esse-

re chiamati anche gli eroi eponimi dell’Attica. Nike attende la

vittoria della sua dea prediletta, Hermes serve da auriga ed Ate-

na, scesa da una biga, mentre i cavalli s’inalberano, dona

l’ulivo ad Atene. Poseidone, sceso a sua volta da cavallo, fa

scaturire una sorgente d’acqua salmastra col tridente. Iris accor-

re verso di lui, quasi a frenare il suo destriero, a dimostrare la

presenza delle forze della natura. Seguono Anphitrite, su un

mostro marino, e altri eroi attici. Gli dei tendono idealmente

verso il centro del triangolo, occupato dall’ulivo, dono di Ate-

na, sottolineato dagli eroi eponimi attici posti agli angoli del

frontone.

Il frontone orientale rappresenta, invece, la nascita di Atena,

come è narrata nella Teogonia di Esiodo. Dalle figure superstiti

possiamo immaginare lo svolgimento della scena pressappoco

nel modo seguente: a sinistra Helios, trainato dai suoi cavalli,

sorge dal profondo del mare, mentre a destra Selene e la sua

quadriga scendono in esso; Dioniso, sdraiato nudo sul proprio

mantello, si rivolge verso il sorgere del sole; seguono, sedute,

Kore e Demetra, e a loro si avvicina Artemide; al centro era se-

duto Zeus, dal cui capo usciva la dea Atena piccola, ma già per-

fettamente formata e armata; all’inizio del secondo spiovente

probabilmente era raffigurato Efesto, che con la sua scure apri-

va la testa di Zeus; seguivano altre divinità, da ultime Estia e

Dione che raccoglieva in grembo Afrodite sdraiata. La disposi-

zione delle figure appariva simmetrica. Osservando la scena

78 GOETHE 1820, pag. 88-89.

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dall’esterno verso l’interno si incontravano, infatti: un carro,

una figura stesa e due sedute.

All’interno del Partenone dominava la statua crisoelefantina

di Atena Parthenos, capolavoro di Fidia, alta circa 12 metri. In-

quadrata dalle colonne presenti su tre lati e dai cassettoni del

soffitto, la statua era preceduta da un bacile nel quale un velo di

olio serviva sia a rispecchiare il simulacro della dea, sia a man-

tenerne sempre oliate le parti in avorio. La base era bassa ed al-

lungata. Su lastre di pietra nera di Eleusi aderivano figure in

marmo: tra le personificazioni di Helios e Selene, venti divinità

assistevano alla nascita di Pandora, la prima donna mortale.

La dea si presentava con la veste lunga, al petto una testa di

gorgone, il capo coperto da un elmo ornato al centro da una

sfinge e sui lati da grifoni. Nella destra teneva una Nike, con la

sinistra reggeva lo scudo rotondo, decorato all’esterno da un

gorgoneion e da un’amazzonomachia, e all’interno da una gi-

gantomachia dipinta. La lancia poggiava sulla spalla sinistra.

Le suole dei sandali erano ornate da una centauromachia. La

statua fu terminata nel 438 a.C.

Scrive Pausania: «La statua di Atena è ritta in chitone lungo

fino ai piedi e nel suo petto è stata fatta la testa in avorio di

Medusa; ha una Nike circa di quattro cubiti e in mano regge

una lancia; ai suoi piedi c’è uno scudo e accanto alla lancia vi è

un serpente: questo serpente dovrebbe essere Erittonio. Sul ba-

samento della statua è rappresentata la nascita di Pandora

[...]».79

Della statua, perduta, ci è giunta qualche replica in formato

ridotto, la migliore delle quali è la cosiddetta Atena del Varva-

keion.80 Si tratta di repliche che, benché abbiano il merito di te-

stimoniarci almeno in grandi linee l’aspetto della statua di Fi-

dia, tuttavia, anche a causa delle dimensioni ridotte, ne hanno

immiserito sia l’estetica complessiva che il fitto contenuto ico-

nografico, non consentendoci di ricavarne un’idea complessiva

e sufficientemente esaustiva della statua. La testa è riecheggiata

anche in una replica in cui la dea appare giovane.

Quanto ai rilievi con l’amazzonomachia presenti sullo scu-

do, sappiamo che, secondo una tradizione, in due dei protagoni-

79 Pausania, Per., I, 24, 7. 80 Per un quadro sintetico delle osservazioni sull’Atena del Varvakeion cfr. KAROUZOU 1984,

pag. 63; KALTSAS 2002, pag. 104.

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sti della lotta Fidia avrebbe rappresentato se stesso e Pericle.

Questa circostanza e l’accusa di aver rubato parte dell’oro e

dell’avorio destinato alla statua costarono a Fidia un processo.

La notizia sembra certa, come pure la data.81 Sull’esito del pro-

cesso, che si si tenne probabilmente nel 438-437 a.C., abbiamo

però notizie contraddittorie: secondo Plutarco, Diodoro e Pseu-

do-Aristodemo egli fu condannato e morì in carcere ad Atene;

secondo Filocoro, che riprende Aristofane, sarebbe invece fug-

gito in Elide, dove avrebbe scolpito lo Zeus e più tardi sarebbe

morto.

Alcuni storici ritengono che i processi a Fidia, Anassagora

ed Aspasia siano collegabili alle trame ordite della fazione av-

versa a Pericle nel periodo immediatamente antecedente la

Guerra del Peloponneso, per screditarne l’immagine, colpendo-

lo indirettamente attraverso personalità a lui strettamente lega-

te. In più nel caso del processo a Fidia egli veniva tirato in ballo

anche direttamente, in quanto era stato membro della commis-

sione che doveva soprintendere alla realizzazione della statua di

Atena.

Finora abbiamo descritto ed analizzato il complesso figura-

tivo del Partenone scomponendolo secondo la consueta classifi-

cazione in metope, fregio e frontoni, ossia, potremmo dire, sud-

dividendolo in senso “orizzontale” ed analizzando prima le me-

tope sui quattro lati, poi il fregio sui quattro lati, poi i due fron-

toni sui due lati corti.

Scomporre ed analizzare secondo questo criterio un com-

plesso figurativo come quello del Partenone, potrà sembrare a

noi moderni, ormai quasi inevitabilmente ed inconsapevolmen-

te condizionati da una forma mentis strutturalista, una cosa

scientificamente corretta e coerente, quasi “naturale”, tanto si è

consolidata nella storia degli studi. Eppure, al contrario, si tratta

in realtà di una scomposizione artificiosa e limitante, in quanto

non tiene conto di un aspetto fondamentale: delle modalità di

fruizione visiva del monumento e del suo apparato figurativo in

antico, vale a dire delle modalità e della sequenza di lettura e

decodifica del messaggio iconografico di cui esso è portatore.

Per comprendere appieno tale messaggio, dovremmo essere

capaci, invece, di una visione “verticale” del monumento e del

81 Cfr. DONNAY 1968, pag. 19-36.

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suo apparato figurativo. È ovvio, infatti, che l’osservatore anti-

co non guardava prima le metope su tutti i lati, poi, facendo un

secondo giro intorno al tempio, tutto il fregio, poi, facendo un

terzo giro, i due frontoni.

Tale divisione è il prodotto della visione e degli schemi in-

terpretativi di noi moderni. Essa può essere certo utile in una

fase analitica, purché non finisca per sclerotizzarsi a tal punto

da limitare, condizionare o pregiudicare la nostra visione e idea

del monumento, e purché resti un passaggio funzionale ad una

successiva più ampia fase sintetica di comprensione del monu-

mento, capace di adottare anche altre prospettive interpretative

e di partire da una concezione olistica del monumento, come

insieme organico e complesso la cui interpretazione non è ridu-

cibile alla somma o alla giustapposizione delle interpretazioni

dei suoi componenti isolati, e non può, inoltre, prescindere

neppure dalla considerazione dei livelli metatestuali ed iperte-

stuali.

Per superare una visione esclusivamente strutturalista e tas-

sonomica del monumento, non in alternativa ma in aggiunta ad

essa, può rivelarsi utile, ad esempio, anche porsi dal punto di

vista dell’osservatore antico, il cui sguardo evidentemente toc-

cava insieme, in rapida successione verticale i tre elementi figu-

rativi di un singolo lato - frontone, metope e porzione del fregio

- mentre girando poi intorno al tempio, spostava progressiva-

mente il proprio punto di osservazione, vedendo la parte del

complesso figurativo del Partenone di volta in volta presente su

ciascun lato: frontone, metope e fregio sui lati corti, e metope e

fregio sui lati lunghi.

Pur considerando la specificità delle diverse tipologie di fi-

gurazione in relazione al supporto - fisicamente continua ma

narrativamente in progress sul fregio ionico, spezzata in se-

quenze nelle metope con un tema per ciascun lato del tempio,

con un episodio fondamentale per ciascuno dei frontoni narrati-

vamente procedente dagli angoli al centro - dovremmo, quindi,

prendere in considerazione anche una seconda possibile moda-

lità di lettura, quella verticale.

Adottando questo punto di vista alternativo possiamo co-

gliere altri aspetti del monumento, come i nessi semantici che

legano verticalmente, lato per lato, le differenti componenti del

complesso figurativo del Partenone, ciascun lato del quale in

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antico rappresentava singolarmente un’unità di visione e, quin-

di, semanticamente una possibile unità di produzione, trasmis-

sione e ricezione di un messaggio tramite tre supporti: frontone,

metope e fregio.

Prendendo, ad esempio, il lato occidentale del tempio, tro-

viamo in sequenza verticale la lotta tra Atena e Poseidone

(frontone), l’amazzonomachia (metope) e la cavalcata dei cava-

lieri (fregio), ossia tre temi, pur diversi, accomunati dall’aspetto

bellico, sotto il segno di Atena.

Il tema, dunque, è quello dall’esaltazione delle imprese e

della forza militare della città di Atene, la rappresentazione de-

gli Ateniesi come incarnazione del bene contro il male, della

civiltà contro la barbarie. Simbolicamente potremmo leggere la

raffigurazione del lato ovest del Partenone come la celebrazio-

ne non solo o non tanto della dea Atena, quanto della città di

Atene, dominatrice dei mari e vincitrice nella battaglia navale a

Salamina, grazie alla ha sconfitto i Persiani e ha salvato la li-

bertà della Grecia, facendo trionfare la civiltà sulla barbarie,

con l’eroico sacrificio degli Ateniesi. Gli elementi figurativi

hanno una precisa funzione iconografica e semantica nel sim-

boleggiare e richiamare nell’immaginario dell’osservatore di

età classica sia le componenti della forza bellica ateniese, ovve-

ro la flotta e la potenza marittima (Atena che sconfigge Posei-

done - frontone) la fanteria (amazzonomachia - metope) e la

cavalleria (fregio), sia i due episodi fondamentali che segnano

la vittoria di Atena, ossia le battaglie di Maratona e di Salami-

na.

In particolare metope e fregio ci mostrano rispettivamente

uomini a piedi che combattono e uomini a cavallo, incarnando

forse simbolicamente opliti e cavalieri, ossia le due componenti

fondamentali dell’esercito e della società ateniese.

Ponendoci dal punto di vista dell’osservatore di età classica,

noteremmo, inoltre, che tale simbolismo non era neppure limi-

tato al solo Partenone: già fuori dei Propilei, infatti, camminan-

do si incontrava il Tempietto di Atena Nike, poi, passati i Propi-

lei e dirigendosi verso il Partenone, con lo sguardo si poteva

abbracciare contemporaneamente, da sinistra verso destra:

l’Eretteo (dedicato ad Atena Polias, “protettrice della città”),

anch’esso simbolo della vittoria di Atena su Poseidone e della

speciale protezione di cui la città godeva da parte della dea del-

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la guerra; l’imponente Atena Promachos di Fidia, raffigurante

la dea armata, incedente e con il braccio alzato che impugnava

una lancia minacciosamente rivolta verso il mare, una statua

che con i suoi circa 9 metri di altezza, base compresa, costituiva

la statua più alta mai eretta sino ad allora ad Atene, tanto da es-

sere visibile dal mare, e non solo dal più vicino Pireo, ma se-

condo Pausania persino da Capo Sounio, chiaro monito per

chiunque, amico, riottoso alleato o nemico, si avvicinasse ad

Atene via mare; infine il lato occidentale del Partenone, sopra

descritto, simbolo della forza bellica ateniese e delle sue vitto-

rie per terra e per mare.

Se colleghiamo, poi, il testo iconografico ad un aspetto iper-

testuale, cioè alla funzione e al carattere di questa parte del

tempio, civile e politico più che strettamente religioso, e al fatto

che vi si custodisse il tesoro della lega delo-attica, che Pericle

volle qui trasferire da Delo ed utilizzare proprio per la ricostru-

zione del Partenone e degli altri edifici dell’Acropoli devastati

dai Persiani, appare ancora più facile leggere in tutta la conce-

zione del complesso figurativo del Partenone un chiaro mes-

saggio propagandistico e politico: celebrare non solo la quasi

solitaria vittoria di Atene sui Persiani ed il debito di ricono-

scenza che ne scaturiva per gli alleati e per tutti i Greci, ma an-

che, in virtù di tali vittorie, legittimare l’uso del tesoro della le-

ga fatto da Pericle per la ricostruzione e, in ultima analisi, giu-

stificare l’egemonia di Atene sulle altre città della lega stessa e

della Grecia in generale.

Analogo metodo di analisi potremmo proporre anche per il

lato orientale del tempio, dove incontriamo, invece, la rappre-

sentazione della nascita di Atena (frontone), la gigantomachia

(metope) e la consegna del peplo alla dea (fregio), vale a dire

tre episodi anch’essi non casualmente accostati, che ci proietta-

no in una dimensione religiosa metafisica e ancestrale, quasi al

di fuori della storia, del tutto contrapposta alla connotazione

semantica del lato occidentale del tempio, con il suo messaggio

ideologico e politico pienamente calato e radicato nella storia.

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III. RESTAURO E CONSERVAZIONE

III.1. I restauri nel loro contesto storico e culturale.

La fase attuale di restauri del Partenone, che possiamo con-

siderare iniziata nel 1975, rappresenta solo la più recente di una

serie di interventi intrapresi nel corso degli ultimi secoli, seppur

con diversi approcci ideologici, metodologici e con l’ausilio di

materiali, tecnologie e strumenti sempre più evoluti, finalizzati

al recupero, alla conservazione e alla migliore valorizzazione e

fruizione del più importante, dal punto di vista simbolico, mo-

numento archeologico della Grecia.82

Gli attuali restauri del Partenone e dell’Acropoli si possono,

dunque, analizzare all’interno di un processo culturale che non

conosce quasi interruzioni, persino nei momenti più bui della

storia degli ultimi due secoli. Processo il cui avvio si può fissa-

re al 1830, anno della nascita della Grecia moderna, libera ed

indipendente, cioè al momento in cui, dopo secoli di sottomis-

sione a potenze straniere, i Greci possono finalmente disporre

autonomamente del proprio destino e per la prima volta, quindi,

hanno la possibilità e la responsabilità di decidere del proprio

patrimonio culturale.

Subito si accende un’attenzione particolare sull’Acropoli e

sui suoi monumenti, con scelte che appaiono condizionate non

solo, come è ovvio, dalle correnti artistiche e culturali e dalle

idee e ideologie che influenzano in tutta Europa l’approccio al

restauro, ma anche, anzi soprattutto, dall’immagine che i Greci

vogliono trasmettere di sé al mondo attraverso i propri monu-

menti.

Solo conoscere il contesto storico e culturale coevo ci per-

mette, perciò, di ricostruire e comprendere oggi quali finalità e

82 Per ua quadro sulla storia dei restauri dell’Acropoli cfr.: MALLOUCHOU-TUFANO 2003c.

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quale approccio ideologico fosse di volta in volta sotteso agli

interventi attuati sull’Acropoli nel corso degli ultimi due secoli.

E non è un caso se tra i primi restauri ad iniziare immedia-

tamente all’indomani della conquista dell’indipendenza della

Grecia, vi furono nel 1830 proprio quelli del Partenone e degli

altri monumenti dell’Acropoli. Già noti all’Europa e al mondo

attraverso la lettura dei classici ed il grand tour, essi furono

considerati dal neonato Stato ellenico una priorità nazionale,

non solo perché erano tra i monumenti più rappresentativi del

mondo classico, ma soprattutto perché erano percepiti sia dai

Greci che dal resto del mondo come simbolo identitario per ec-

cellenza della nazione greca.83

Nell’inedita condizione di coincidenza - o quasi, poiché al-

cuni territori entreranno a far parte dello Stato Greco solo più

tardi, alcuni addirittura dopo la Seconda Guerra mondiale - tra

popolo, nazione, territorio e stato dei Greci, il Partenone e gli

altri monumenti dell’Acropoli di Atene incarnarono la funzione

di costruzione e promozione della coscienza nazionale di un

popolo che per la prima volta nella sua storia si trovava ad esse-

re finalmente unito e indipendente.

Il neonato Stato ellenico si trovò, infatti, a governare su un

ethnos che mai in precedenza nel corso della storia aveva trova-

to un’unità nazionale nel senso europeo e occidentale del ter-

mine: durante l’antichità classica era stato infatti diviso in città

e stati indipendenti, in epoca ellenistica, romana e bizantina era

stato inglobato da entità politiche sovranazionali ben più ampie

dello spazio geografico dell’ethnos stesso, infine in epoca me-

dievale e moderna si era ritrovato smembrato e sottomesso a

potenze straniere.

In politica estera l’immagine ancora debole, quasi inconsi-

stente, di una Grecia moderna povera e arretrata, aveva bisogno

di trovare forza e supporto nel richiamo alla ben più autorevole

immagine della Grecia antica. Del resto, se tanti giovani euro-

pei anche di ceto sociale medio-alto erano accorsi da tutta Eu-

ropa a partecipare alla guerra di liberazione dall’Impero Otto-

mano, spesso sacrificando la propria vita, lo avevano fatto non

certo per ciò che rappresentava per loro e per tutta la cultura

occidentale la Grecia moderna, di cui non conoscevano proba-

83 Sull’impatto culturale del Partenone sulla modernità cfr. TOURNIKIOTIS 1994.

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bilmente quasi nulla, ma piuttosto la Grecia antica, con le sue

idee e le sue conquiste in ogni campo della conoscenza e dei

valori, riflesse ancora dai suoi monumenti.

Grazie alla diffusione degli studi classici, infatti, la Grecia

costituiva ormai un’icona, un ideale astratto ancora tanto vivo e

potente nell’immaginario dell’intellighenzia europea, che gio-

vani istruiti provenienti da tutta Europa erano disposti persino a

sacrificare la propria vita per combattere per sua libertà ed in-

dipendenza. La forza evocativa di questa Grecia ideale era tal-

mente grande da lasciare persino delusi quegli stessi giovani

quando si trovavano faccia a faccia con il mondo concreto, con

una Grecia reale molto diversa e distante dall’idea astratta che

si erano prefigurati attraverso lettura dei classici, attraverso lo

studio dell’arte greca, che si era affermato e diffuso con studio-

si come Winckelmann, o anche attraverso le idilliache rappre-

sentazioni artistiche e letterarie ispirate alla Grecia classica di

moda allora in Europa. D’altronde la stessa diffusione del con-

cetto di classico, promosso da Winckelmann, aveva contribuito

a porre la Grecità su un piano ideale, facendola assurgere a mo-

dello astratto di cui si propugnava la “conservazione” e l’ “imi-

tazione”.84

Il popolo greco, pur riuscendo a conservare la propria identi-

tà linguistica ed etnica, era stato, invece, nei secoli consisten-

temente permeato da elementi allogeni, dall’abbigliamento al

cibo, dalla musica alla lingua, né sarebbe potuto essere altri-

menti, considerato il trascorso mezzo millennio di dominio ot-

tomano ed anche il lungo dominio franco e veneziano in ampie

aree della Grecia. Tali influenze erano ormai evidenti persino

nella lingua, che, pur incredibilmente tramandatasi per quattro

millenni, era ormai un miscuglio nato dall’incontro tra un greco

popolare ormai sgrammaticato e numerosissimi innesti di origi-

ne franca, veneziana e ottomana.

I restauri del Partenone e dell’Acropoli, iniziati concreta-

mente nel 1834, possono essere letti, quindi, come un simbolico

intervento di edificazione di una identità nazionale unitaria, di

una grecità ideale da ricostruire o da costruire a tavolino in tutti

i settori, compreso quello della lingua, che vedrà un corposo in-

tervento di epurazione della lingua comune popolare (dimotikì)

84 Cfr. TESTA 1996.

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dalle forme corrotte e straniere, nel tentativo di avvicinarla ad

una lingua più pura (katharevousa) e più fedele al greco antico,

inizialmente circoscritta ai dotti e alla chiesa ortodossa, poi lin-

gua ufficiale dello Stato Greco, che si cercherà invano di im-

porre, attraverso la scuola, la letteratura e i giornali, a tutti i cit-

tadini della Grecia moderna.85

A questo tentativo si rinunzierà solo tra il 1976, quando la

dimotikì diventerà lingua ufficiale, ed il 1982, con l’abolizione

del sistema politonico e la semplificazione degli accenti: rifor-

me che porteranno all’affermazione di una lingua greca moder-

na certo più pura e razionale dei dialetti e delle forme parlate

circolanti all’epoca dell’unificazione della Grecia, ma parzial-

mente semplificata e modernizzata, dunque certamente più pra-

ticabile come lingua nazionale diffusa alla massa della popola-

zione rispetto alle forme dotte accantonate.

Così, volendo fare un ideale parallelo, possiamo dire che a

partire dalla nascita dello Stato Greco nel 1830, come i linguisti

cominciarono a darsi da fare per cercare di purificare la lingua

greca moderna dalle intrusioni veneziane e ottomane, così i re-

stauratori iniziarono a lavorare per epurare l’Acropoli dalle so-

vrapposizioni architettoniche veneziane e ottomane, e dagli in-

terventi che nel corso dei secoli avevano trasformato il tempio

di Atena Parthenos prima in una chiesa, poi in una moschea e

persino in una polveriera.

Entrambe le azioni erano mosse dall’intento ideale, in con-

creto irrealizzabile, di ricostruire e far rivivere l’antico nella sua

purezza. Ne venne fuori, invece, necessariamente non un antico

ripristinato, ma una sua replica, ossia la costruzione di un qual-

cosa destinato ad essere allo stesso tempo visione, interpreta-

zione e ricostruzione dell’antico, una nuova idea e immagine di

antico, mai cristallizabile ma sempre inevitabilmente legata non

solo ai mutamenti materiali dei monumenti nel corso dei secoli,

ma anche al continuo mutamento di prospettiva e di lettura, che

trasformerà costantemente l’idea dell’antico di pari passo con

l’evoluzione della società moderna.

Il restauro, come magistralmente spiega Eugenio La Rocca,

«discende da quel fenomeno di selezione operato dal tempo e

85 Sulla questione del rapporto tra archeologia e identità nazionale in Grecia negli ultimi due secoli

cfr. anche PLANTZOS 2008.

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dalla storia. L’Acropoli che oggi si vede è il risultato di un ri-

pristino ottocentesco, che ha voluto privilegiare l’isolamento

dei monumenti e la cancellazione di qualunque stratigrafia sto-

rica posteriore alla prima età imperiale. Noi vediamo una delle

tante immagini possibili dell’Acropoli che è frutto di una scelta

culturale di un determinato momento storico».86

III.2. Il periodo 1830-1863.

Il periodo qui considerato, tra il 1830 ed il 1863, parte sim-

bolicamente dalla data di indipendenza della Grecia e com-

prende gli interventi effettuati durante il regno di Ottone I, ossia

di Ottone di Wittelsbach (Salisburgo 1815 - Bamberga 1867),

principe di Baviera, posto dalle grandi potenze europee sul tro-

no del neocostituito “Regno di Grecia”, grazie alla sua discen-

denza dalla dinastia imperiale bizantina dei Comneni e dei La-

scaris.

La Convenzione di Londra, sottoscritta il 7 maggio 1832 da

Gran Bretagna, Regno di Francia, Impero Russo e Baviera, po-

se fine alla decennale guerra di liberazione greca e stabilì le

condizioni per l’indipendenza della Grecia dall’Impero Otto-

mano, facendone una monarchia indipendente sotto la protezio-

ne di tre grandi potenze: Regno Unito, Francia e Russia.

Il regno di Ottone I si caratterizzò, però, per le difficili rela-

zioni proprio con le grandi potenze che lo avevano posto sul

trono, ciascuna delle quali faceva pressione per favorire i propri

interessi politici, economici e commerciali. Complessa fu la

dialettica pure con fazioni e partiti greci, impegnati a cercare di

limitare o bilanciare il potere monarchico di Ottone, supportati

dal popolo ma anche dalle solite grandi potenze. Difficili furo-

no, infine, le relazioni anche con la chiesa ortodossa: Ottone I,

infatti, aveva rifiutato di adottare l’Ortodossia come religione di

Stato. I suoi successori, invece, si convertiranno alla religione

ortodossa, nel rispetto della Costituzione del 1843. Tra le deci-

sioni di Ottone più invise alla chiesa ci furono il distacco della

Chiesa Ortodossa Greca dal Patriarcato di Costantinopoli, che

si trovava ancora sotto il dominio Ottomano, e la confisca dei

86 Cfr. CATTADORI et. al. 2010-2011, pag. 93.

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beni ai monasteri greci. Provvedimenti che suscitarono non solo

l’opposizione della fazione filo-russa, che sosteneva la chiesa

ortodossa, ma anche il malumore della maggior parte dei Greci

verso un sovrano che già portava la tara di essere straniero.

Con il suo comportamento Ottone cercò di mostrarsi un fer-

reo monarca assoluto, ma le sue azioni lo resero inviso al popo-

lo greco. Popolo su cui anche la politica fiscale cominciò a gra-

vare in modo insostenibile, toccando livelli di tassazione persi-

no superiori rispetto all’epoca del dominio ottomano. Il 3 set-

tembre 1843 il rifiuto del sovrano di concedere una Costituzio-

ne provocò un colpo di stato, sotto la guida del colonnello Di-

mitris Kalergis e del Capitano rivoluzionario Ioannis Ma-

kriyannis. Il Re Ottone dovette cedere e da quel momento in

poi fu costretto a confrontarsi con i partiti greci.

I periodo di regno di Ottone I fu, nel complesso, caratteriz-

zato da conflitti politici interni, ma anche da un entusiastico na-

zionalismo che fece crescere il sogno o l’illusione politica di

poter estendere molto di più i confini del neonato regno elleni-

co. Cresceva, infatti, il consenso del popolo e dei partiti alla co-

siddetta “Megàli idèa” (la Grande idea): un piano politico e mi-

litare che puntava all’obiettivo ideale di unificare e riportare

sotto il dominio greco tutto il territorio dell’Impero Bizantino.

Tale idea politica si tradusse nella Guerra di Crimea contro la

Turchia nel 1853, il cui esito fu però negativo. Nel 1861 uno

studente greco tentò di assassinare la regina Amalia. Un anno

dopo i crescenti malumori da parte del popolo greco e dei parti-

ti indusse le grandi potenze a far ritirare il re in Baviera.

Durante il suo regno i restauri dell’Acropoli furono permeati

da fervente spirito patriottico, ma anche dal desiderio di fama e

di consenso personale da parte del giovane sovrano. Il progetto

dei lavori fu affidato a Leo von Klenze, proveniente dalla corte

di Ludovico di Baviera, padre di Ottone.

Tra gli interventi più importanti vi fu innanzitutto la demili-

tarizzazione dell’Acropoli e la sua trasformazione in area ar-

cheologica. Fino ad allora, infatti, l’Acropoli era stata spesso

utilizzata come roccaforte militare, con le gravi conseguenze

che ciò aveva comportato. L’episodio più grave era stato nel

1687 il bombardamento del Partenone, utilizzato dai Turchi

come polveriera, da parte del veneziano Francesco Morosini.

L’esplosione (fig. 5) aveva provocato enormi danni all’edificio,

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compreso il crollo del tetto del tempio, rimasto fino ad allora

miracolosamente intatto nel corso dei secoli.

Un altro importante intervento fu, in questo periodo, lo

smantellamento dall’Acropoli e dai suoi monumenti di tutte le

costruzioni che vi erano sorte nel corso dei secoli dopo l’età

classica, compresi gli edifici medievali, come il palazzo edifi-

cato sui Propilei e il minareto eretto in epoca ottomana al centro

del Partenone. Nel 1858, in linea con tale imperante approccio,

in nome della “liberazione” delle strutture di epoca classica da

tutte le aggiunte posteriori, fu demolita persino l’abside paleo-

cristiana del Partenone.87

Parallelamente si portò avanti anche l’anastilosi dei princi-

pali edifici dell’Acropoli, con la ricollocazione su di essi, in se-

guito però risultata spesso errata, degli elementi architettonici

ancora reperibili al suolo. Ad essere interessati dai lavori furo-

no in particolare il tempietto di Atena Nike (1835-1836 e 1844),

l’Eretteo (1837-1840 e 1846-1847), il Partenone (1841-1844) e

i Propilei (1850-1854). Nuovi lavori furono più tardi resi neces-

sari da un forte terremoto, che nel 1894 arrecò danni notevoli

anche agli edifici dell’Acropoli.

Infine uno degli interventi destinato a segnare maggiormen-

te la visione dell’Acropoli da parte di noi moderni fu il ripristi-

no di quello che all’epoca si riteneva essere l’antico piano di

calpestio, cioè il banco roccioso ancor oggi visibile. Per metter-

lo a vista in alcuni punti dell’Acropoli si attuò un vero e proprio

sterro che, purtroppo, non solo obliterò il vero piano di calpe-

stio età classica, ma cancellò tutta la sequenza stratigrafica

dell’Acropoli nel corso dei secoli e dei millenni, dall’epoca

preclassica sino al momento dei restauri.

In generale possiamo dire che gli interventi dell’epoca di

Ottone I furono condotti in modo alquanto empirico, riflettendo

le conoscenze scientifiche, le tecnologie, le teorie e le metodo-

logie del restauro allora in voga in Europa, rappresentate in

Grecia da Ludwig Ross della Soprintendenza alle Antichità e da

Kyriakos Pittàkis e Alexandros Rizos Ranghavìs della Archeo-

loghikì Eteria di Atene.

Intento ed ambizione dei progettisti era idealmente restitui-

re, per quanto possibile, all’Acropoli il suo aspetto antico, libe-

87 Cfr. GENOVESE 1985, pag. 25.

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randola dalle sovrapposizioni delle epoche successive e facen-

done una vera e propria area archeologica. L’allora limitata co-

noscenza del monumento e l’altrettanto limitata capacità di in-

dividuazione esatta della provenienza e della posizione origina-

ria degli elementi utilizzati per l’anastilosi, comportò non pochi

errori, che nei periodi successivi si è dovuto tentare di correg-

gere, ricorrendo talvolta a complesse operazioni di smontaggio

proprio dei restauri realizzati in questo periodo.

III.3. Il periodo 1863-1910.

Come già detto, Ottone I, che aveva governato con una certa

durezza, fu costretto prima a cedere progressivamente poteri ai

partiti e, infine, a rinunciare al trono, ritirandosi in Baviera. Nel

1863 al posto suo le potenze europee incoronarono il principe

Guglielmo di Danimarca, che regnò con il nome di Giorgio I di

Grecia dal 1863, all’età di appena 17 anni, alla sua morte nel

1913. Il periodo qui considerato (1863-1909) va dalla sua salita

al trono fino al governo Venizelos.

L’incoronazione di Giorgio I portò l’annessione alla Grecia

delle Isole Ionie, cedute dall’Impero Britannico. C’erano, infat-

ti, gli Inglesi dietro la manovra che aveva portato prima alla

deposizione di Ottone I, che in quanto figlio del re di Baviera

era preferito dalla Germania, e poi, anche attraverso le pressioni

sul Parlamento greco, all’incoronazione di Giorgio I, più gradi-

to agli Inglesi. Con il Congresso di Berlino nel 1878 la Grecia

ottenne, inoltre, anche l’annessione della Tessaglia e di parte

dell’Epiro.

A differenza del suo predecessore, Giorgio I cercò di calarsi

maggiormente nel suo ruolo di re dei Greci. Volle, infatti, im-

parare subito a parlare la lingua greca moderna. Si rese conto

che la fama e le vestigia della Grecia antica potevano rivelarsi

utili per dare prestigio al suo regno sullo scenario politico in-

ternazionale. Fu per questo che, tra le altre iniziative, nel 1896

sostenne lo svolgimento ad Atene delle prime Olimpiadi mo-

derne, la cui grande eco mediatica fu una straordinaria occasio-

ne di rilancio nel mondo dell’immagine della Grecia, insieme

antica e moderna.

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Figura politica greca di spicco nei primi anni del regno di

Giorgio I fu il liberale Charilaos Trikoupis, che nel 1877 riuscì

a ridurre i poteri del re a vantaggio di quelli del Parlamento, ad

esempio trasferendo ad esso la prerogativa di sfiduciare il pri-

mo ministro. Fu per la Grecia un periodo di progresso e di pro-

fondi cambiamenti: il sistema politico ormai aveva raggiunto

una relativa stabilità e l’avvio del processo di industrializzazio-

ne iniziava a produrre una certa crescita economica e sociale

del paese.

La condizione di relativa maggiore stabilità della Grecia e

del maggiore interesse che il paese suscitava ormai sullo scena-

rio internazionale, proprio grazie all’affermazione della sua

immagine come culla della civiltà classica, rappresentarono il

contesto nel quale si inserì la grande corsa archeologica alla ri-

scoperta della Grecia antica, non solo attraverso i restauri, ma

anche attraverso l’avvio delle prime grandi missioni di scavo

archeologico in diverse località della Grecia, finanziate e pro-

mosse, in una vera e propria competizione per motivi diploma-

tici e di prestigio, dalle più ricche nazioni occidentali.

Ad Olimpia, nel sito già individuato nel 1766 dall’inglese

Richard Chandler, nel 1829, un anno prima dell’indipendenza

della Grecia, un primo scavo archeologico era già stato effet-

tuato da una missione francese, l’Expedition Scientifique de

Moree. Nel 1870 lo scavo e la conservazione di Olimpia furono

poi affidati all’Istituto Archeologico Germanico di Atene.

Sempre nel Peloponneso, la Società Archeologica di Atene, una

delle più antiche e prestigiose istituzioni culturali greche - fon-

data nel 1837, appena pochi anni dopo la nascita dello stato

greco, con l’obiettivo della ricerca e della tutela delle antichità

in Grecia - nel 1840 affidò all’archeologo greco Kyriakos Pit-

tàkis il compito di riportare alla luce a Micene alcuni monu-

menti che erano ancora parzialmente a vista, tra cui l’esterno

della tomba di Atreo, delle strutture nei pressi della tomba di

Clitemnestra e finanche la celebre Porta dei Leoni. Nel 1874

Heinrich Schliemann ne fu colpito e cominciò ad intraprendere

le sue ricerche ancor prima di avere l’autorizzazione dalle auto-

rità greche, che ottenne due anni più tardi, iniziando quindi i

primi scavi regolari. Per controllare il suo operato i Greci gli

imposero la vigilanza dell’archeologo greco Panaghiòtis Sta-

matàkis, sempre della Società Archeologica di Atene. In questa

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vera e propria competizione archeologica si inserirono anche

gli Italiani: dal 1884 Federico Halbherr intraprese, infatti, le

prime ricerche archeologiche a Creta, a partire da Gortina, se-

gnando un cammino che approderà all’istituzione della Scuola

Archeologica Italiana di Atene.

Il periodo qui preso in esame è, dunque, segnato in Grecia

da un’intensa attività di ricerca e di recupero dell’antico: ab-

biamo, infatti, le prime grandi esplorazioni scientifiche dei più

importanti siti archeologici della Grecia, la costruzione dei pri-

mi musei, la diffusione di interventi di restauro sui monumenti

ancora in vista, ed, infine, la stesura e l’approvazione in Grecia

del primo quadro normativo di tutela del patrimonio archeolo-

gico. In questa stessa temperie culturale si inseriscono anche i

restauri dell’Acropoli di Atene.

La seconda fase del regno di re Giorgio I si caratterizzò, al

contrario della precedente, come un periodo di instabilità di go-

verno, segnato da fermenti nazionalistici e ribellioni, sia contro

i Turchi, che ancora detenevano la sovranità su alcuni territori

greci, come Creta, sia contro la casa regnante. Con la salita al

governo di Theodoros Dilighiannis, si profilarono diverse diffi-

coltà politiche ed economiche, dovute anche ai timori europei

che la Grecia diventasse una potenza regionale. Nel 1897

l’aiuto militare della Grecia a Creta, ribellatasi all’Impero Ot-

tomano cui era ancora annessa, si concluse in una sconfitta, con

conseguenze politiche negative sia per Creta che per la Grecia:

l’isola, infatti, rimase sotto sovranità turca, seppur come gover-

natorato del Principe Giorgio di Grecia, figlio del re di Grecia

Giorgio I. Nel 1905 una rivolta capeggiata da Eleftherios Veni-

zelos determinò il ritiro del principe e la nomina di Alexandros

Zaìmis come governatore. Le rivolte continuarono. Nel 1910,

infine, il governo greco passò a Elefteros Venizèlos, fondatore

del Partito Liberale.

Così come dal punto di vista politico, anche per quanto ri-

guarda i restauri del Partenone e dei monumenti dell’Acropoli il

periodo di regno di Giorgio I si può suddividere in due fasi: una

prima fase, dal 1864 al 1884, che corrisponde al primo venten-

nio di regno di re Giorgio I di Grecia, ed una seconda fase, dal

1885 al 1909, fortemente connotata dalla figura e dall’azione di

Panaghiòtis Kavvadiàs, Soprintendente Generale delle Antichi-

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tà della Grecia e Segretario della Società Archeologica di Ate-

ne.

Sull’Acropoli le grandiose opere dell’epoca di Ottone I la-

sciarono il posto in questo periodo a interventi di restauro più

mirati e limitati, diretti da Panaghiotis Eustratiàdis per conto

della Soprintendenza Generale delle Antichità e da Stefanos

Koumanoudis per conto della Società Archeologica di Atene.

Gli unici interventi più consistenti ed anche in qualche modo

più invasivi di questi anni si attuarono nell’angolo sud-orientale

della sacra rocca, con la costruzione del Museo dell’Acropoli

(1865-1874) e l’abbattimento della cosiddetta “torre franca” si-

tuata presso i Propilei (1875).

Tra il 1885 ed il 1890 lo scavo dell’Acropoli si ampliò fino

a coprirne tutta l’estensione. Contemporaneamente cominciaro-

no grandi interventi di restauro e anastilosi: si tratta del cosid-

detto Primo Programma di Anastilosi del Partenone (dal 1898

al 1902), che in realtà riguardava non solo questo edificio, ma

comprendeva anche l’anastilosi dell’Eretteo (dal 1902 al 1909).

Tali lavori rappresentarono il primo intervento organico e

programmato sull’Acropoli, realizzato secondo la nuova conce-

zione e le conseguenti metodologie che si erano affermate in

questo periodo: restauri effettuati secondo un progetto scientifi-

co vagliato preventivamente da una commissione, incaricata

anche della supervisione e della sorveglianza dei lavori; gli ese-

cutori dei restauri furono tenuti a presentare relazioni preventi-

ve e aggiornamenti sul procedere dei lavori, accompagnate da

documentazione grafica; per i restauri si utilizzarono i più mo-

derni macchinari e materiali reperibili all’epoca sul mercato,

importati dall’estero; nei lavori fu impiegato personale tecnico

e maestranze qualificate, preventivamente istruite sulle opera-

zioni da eseguire e sulle modalità da adottare.

Per tutti questi motivi il Primo Programma Primo Program-

ma di Anastilosi del Partenone, la cui ideazione e attuazione si

deve in gran parte a Nicolaos Balanos, responsabile della pro-

gettazione e esecuzione dei lavori, per i suoi tempi si può con-

siderare all’avanguardia.88

Particolare importanza in questo contesto, per il loro apporto

di conoscenze al progresso della disciplina del restauro in Gre-

88 Per alcuni giudizi controversi sull’opera di Balanos cfr. JENKINS 2007, pag. 32 e sg.

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cia, rivestono i lavori di restauro dell’Eretteo, che rappresenta-

no il primo intervento integrale su un monumento effettuato dal

Balanos. Qui egli mise in pratica per la prima volta metodolo-

gie e sistemi per l’epoca innovativi, che, tuttavia, a lungo ter-

mine mostreranno tutti i loro difetti.

Tra i difetti dei restauri del Balanos vi fu l’incorporare negli

elementi architettonici del monumento dei rinforzi metallici con

funzione strutturale di sostegno: rinforzi altamente invasivi del

monumento, la cui applicazione comportava l’asportazione di

notevoli quantità di materiale marmoreo dagli elementi architet-

tonici antichi. Altra pratica problematica da lui adottata fu

l’utilizzo di elementi e frammenti architettonici reperibili in

grande quantità sul suolo dell’Acropoli come semplice materia-

le per integrare lacune nel monumento antico, quasi come sem-

plice materiale da costruzione, senza, molto spesso, alcuna per-

tinenza rispetto all’originaria provenienza degli elementi stessi.

Nonostante questi difetti, che richiesero nei decenni succes-

sivi e richiedono ancor oggi interventi ancora più radicali per

rimediare alle conseguenze negative provocate ai monumenti,

quello di Balanos fu per l’epoca un intervento all’avanguardia,

almeno in Grecia, e sicuramente la migliore prova data fino a

quel momento dalla giovane disciplina greca del restauro. I suoi

restauri, inoltre, rappresentarono un importante laboratorio teo-

rico e pratico, e contribuirono ad arricchire in Grecia, ma anche

nel resto d’Europa, il dibattito teorico sul restauro e le cono-

scenze tecniche e scientifiche sulle caratteristiche dei materiali

antichi e, di conseguenza, sulla scelta dei materiali moderni da

utilizzare per i restauri.

III.4. Il periodo 1910-1940.

Quello qui preso in considerazione è il difficile periodo sto-

rico che comprende le Guerre Balcaniche e la prima Guerra

Mondiale. Fu un periodo di gravi difficoltà sullo scenario inter-

nazionale, ma anche un periodo di notevole innovazione.

Del resto sin dalla sua indipendenza dal dominio Ottomano

nel 1830 la Grecia aveva avuto una vita politica travagliata, ca-

ratterizzata dalle incessanti guerre nei Balcani e dall’arretra-

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tezza economica e culturale che connotava anche gli altri paesi

dell’Europa orientale rimasti a lungo sotto il dominio ottomano.

Il 2 ottobre 1910, come accennato, il governo passò a Ele-

ftherios Venizelos. Con lui la Grecia si aprì a numerose innova-

zioni in campo politico ed istituzionale, tra cui l’emanazione

della Costituzione nel 1911, l’introduzione dell’istruzione ele-

mentare obbligatoria, la riorganizzazione dell’esercito e dello

stato, ma dovette anche affrontare un aspro conflitto nello scac-

chiere regionale, destinato a cambiare tutto il quadro geopoliti-

co internazionale dell’area egea e balcanica.

Sotto la sua guida la Grecia, alleata di Bulgaria, Serbia e

Montenegro, riuscì ad avere la meglio nella Guerra dei Balcani

del 1912-1913 contro la Turchia, che ne uscì duramente scon-

fitta. Ne conseguì un ampliamento dei confini della Grecia, ma

anche dei malcontenti in patria e all’estero, soprattutto sulla

spartizione dei territori conquistati tra i vari paesi vincitori.

Forse proprio in conseguenza di tali malcontenti nel 1913, nel

pieno delle guerre balcaniche, il re Giorgio I fu assassinato. Gli

successe il figlio Costantino I, il cui regno fu caratterizzato

nuovamente dal contrasto tra la corona ed il primo ministro

Eleftherios Venizelos sulla politica estera della Grecia in questo

difficile periodo alla vigilia della Prima guerra mondiale.

Proprio la Grande Guerra fu motivo di divisioni tra Venize-

los e Costantino I: il primo sosteneva l’entrata in guerra al fian-

co di Regno Unito e Francia, mentre il sovrano voleva che la

Grecia rimanesse neutrale. Dopo alterne vicende alla fine pre-

valse la linea di Venizelos ed il re Costantino I fu costretto

all’esilio, sostituito dal secondogenito Alessandro.

L’evento più significativo dopo la Prima Guerra mondiale fu

la “grande depressione”, ossia la grande crisi economica inizia-

ta con il crollo della borsa di Wall Street il 24 ottobre del 1929,

detto il “giovedì nero”. Una crisi che comportò conseguenze

negative per parecchi anni gravi su tutta l’economia mondiale.

Nel periodo successivo alla crisi del ‘29 al governo liberale

di Venizelos successe il regime nazionalista di Metaxas. Nomi-

nato dal re primo ministro, egli prima sospese il parlamento a

tempo indefinito, poi nel 1936 diede vita ad un regime simile

agli altri regimi nazi-fascisti di Germania e Italia, adottando

provvedimenti filo-popolari, come la riduzione dell’orario di

lavoro giornaliero a otto ore, l’istituzione del fondo sociale di

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sicurezza greco, il rilevamento pubblico dei debiti dei contadi-

ni, il rafforzamento delle difese militari etc., ma anche soppri-

mendo le libertà politiche e civili, arrestando tutti gli oppositori

politici, vietando i partiti politici e gli scioperi ed introducendo

una rigida censura dei giornali. In politica estera tenne, tuttavia,

una posizione filo-inglese, ma il suo tentativo di tenere la Gre-

cia fuori della Seconda Guerra Mondiale si scontrò con le mire

espansionistiche di Mussolini che nell’ottobre del 1940 porta-

rono alla guerra.

Complessivamente, dunque, quello dalla salita al governo di

Venizelos fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale fu

per la Grecia un periodo di vittorie militari e di ampliamento

dei confini nazionali, ma anche, di difficoltà politiche ed eco-

nomiche, sia per fattori interni che per fattori esterni, tra cui

proprio le continue e logoranti guerre.

Facile immaginare come in questo periodo le risorse pubbli-

che, concentrate prevalentemente sugli sforzi bellici, si doves-

sero limitare, per quanto riguarda i restauri, a interventi nume-

ricamente ridotti che potessero però avere un grande impatto sia

sull’opinione pubblica straniera, sia soprattutto su quella greca,

in modo da alimentare lo spirito patriottico e l’orgoglio nazio-

nale in un periodo di grandi conflitti militari.

In tale ottica si possono ben comprendere i motivi per cui si

scelse di concentrare gli sforzi economici proprio su quello che

era giustamente considerato il più importante sito archeologico

e complesso monumentale del Paese. I soli grandi lavori di re-

stauro realizzati in questo periodo in Grecia furono, infatti, i

grandi interventi di Balanos sull’Acropoli di Atene: l’anastilosi

dei Propilei (1909-1917), il Secondo Programma di Anastilosi

del Partenone (1921-1933, che riguardava il pronao, il frontone

orientale, la porta occidentale, i colonnati nord e sud), il rinfor-

zo del banco roccioso delle pendici settentrionali dell’Acropoli

(1934-1935), la seconda anastilosi del tempietto di Atena Nike

(1935-1940).

Nella disciplina greca del restauro, come dimostrano questi

interventi, visione e approccio metodologico del Balanos si

erano ormai affermati in maniera incontrastata. Concretamente,

tuttavia, tali interventi comportarono difetti ancora peggiori dei

precedenti, soprattutto a causa della sopraggiunta difficoltà

economica e pratica nel far giungere dall’estero strumenti e ma-

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teriali necessari. I restauri, perciò, registrarono inevitabilmente

un abbassamento degli standard qualitativi persino rispetto agli

interventi fatti dallo stesso Balanos nel periodo precedente. Si

utilizzava, ormai, qualsiasi materiale, in modo più spregiudica-

to e approssimativo rispetto a prima, arrivando persino a racco-

gliere sull’Acropoli dei frammenti architettonici di marmo ap-

partenenti ad altri edifici antichi e a scalpellarli per adattarli a

forme e funzioni strutturali diverse da quelle originarie. Come

rinforzi strutturali si utilizzarono materiali metallici anche di

cattiva qualità. Per integrare le lacune dei monumenti si ricorse

persino al cemento e a materiali eterogenei.

Affianco al peggioramento sostanziale dei restauri si ebbe,

paradossalmente, un miglioramento dal punto di vista, potrem-

mo dire, “mediatico” dell’immagine dei monumenti restaurati

dal Balanos, e di riflesso della sua opera di restauratore. Ed ef-

fettivamente il suo operato, pur con tutti i difetti qui descritti,

finì comunque col dare al Partenone e all’Acropoli di Atene

l’aspetto che da quel momento in poi attecchirà e si fisserà co-

me canonico nell’immaginario collettivo, più tardi anche grazie

alla diffusione di fotografie, cartoline, edizioni a stampa, filmati

e riprese televisive, facendo del Partenone e dell’Acropoli in

versione Balanos il simbolo più universalmente noto della Gre-

cia nel mondo e persino condizionando le scelte estetiche ope-

rate nei restauri successivi.

III.5. Il periodo 1940-1944.

La Seconda Guerra mondiale rappresentò un’interruzione

traumatica dei lavori sull’Acropoli. Nel 1940 la Grecia fu inva-

sa dalle truppe italiane, alle quali si aggiunsero poi quelle tede-

sche, determinanti per portare a termine l’occupazione del Pae-

se. La Grecia fu uno dei paesi europei che soffrì maggiormente

la guerra. Ai danni prodotti direttamente dall’evento bellico, si

aggiunsero quelli indiretti, tra cui una grave carestia che si ab-

batté sul Paese tra il 1941 ed il 1942.

Durante la guerra in tutta la Grecia si fermarono tutti le atti-

vità di scavo e di restauro, tranne poche missioni archeologiche

portate avanti in alcuni siti dalle stesse truppe di occupazione.

L’Acropoli fu, inoltre, occupata dai Tedeschi con un presidio

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militare (fig. 9): una scelta dovuta non solo alla sua posizione

strategica nel controllo della città, ma probabilmente anche alla

finalità propagandistica e psicologica di rimarcare simbolica-

mente l’avvenuta conquista tedesca della Grecia.

Per comprendere cosa provassero i Greci nel vedere un eser-

cito invasore occupare l’Acropoli e farvi sventolare la propria

bandiera, visibile da quasi tutta Atene, basti pensare alla ri-

schiosissima azione compiuta, come ancor oggi ricorda una la-

pide posta sull’Acropoli stessa (fig. 10), da due partigiani greci,

Manolis Glezos e Apostolos Santas: la notte del 30 maggio

1941 arrampicandosi lungo le pendici riuscirono ad arrivare di

nascosto fino in cima all’Acropoli e vi strapparono via la ban-

diera nazista che vi sventolava. Il loro gesto temerario è consi-

derato da alcuni storici il primo atto della resistenza greca con-

tro l’occupazione nazista.89

Complessivamente, tuttavia, dobbiamo dire che nel corso

della Seconda Guerra mondiale gli edifici dell’Acropoli, riu-

scendo fortunatamente a scampare in larga misura ai bombar-

damenti, non subirono danni particolarmente gravi.

III.6. Il periodo 1944-1974.

Segue il trentennio che va dalla fine della Seconda Guerra

mondiale alla dittatura dei colonnelli negli anni ’70 del secolo

scorso. Iniziamo dalla fine della Seconda Guerra mondiale:

nell’ottobre del 1944 Atene fu liberata dagli Inglesi e le redini

della Grecia furono provvisoriamente affidate ad un governo di

unità nazionale presieduto dal socialdemocratico Papandreu e

comprendente anche i comunisti. Presto, tuttavia lo scontro po-

litico tra estrema sinistra e estrema destra degenerò in una san-

guinosa guerra civile, che costò alla Grecia più vite persino del-

la Seconda Guerra mondiale. Essa vide contrapporsi da un lato

le forze governative filo-monarchiche e filo-inlgesi, dall’altro i

partigiani comunisti dell’ELAS che si erano già impegnati nella

guerra di liberazione dai nazi-fascisti, rifugiandosi poi nelle re-

gioni montuose della Grecia settentrionale.

89 Su Atene e la Grecia sotto l’occupazione nazista cfr. MAZOWER 1993.

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Visto che, come abbiamo accennato, la Seconda Guerra

mondiale non aveva apportato gravi danni all’Acropoli e ai suoi

monumenti, di conseguenza nel periodo immediatamente suc-

cessivo alla fine della guerra gli interventi di restauro effettuati

sull’Acropoli furono quantitativamente limitati. Il più consi-

stente riguardò l’anastilosi del lato sud-occidentale dei Propilei

(1947-1957) da parte di Anastasios Orlando, direttore del Ser-

vizio di Anastilosi dei Monumenti Antichi e Storici, una delle

figure principali nel settore del restauro nella Grecia del dopo-

guerra.

Ciò che caratterizzò i lavori in questo periodo fu che si ini-

ziarono ad evidenziare gli errori e i danni provocati dai restauri

di Balanos: si notarono, ad esempio, i primi fenomeni di ossi-

dazione del ferro da lui inserito nei monumenti come elemento

di rinforzo. Nel corso dei decenni successivi difetti e danni si

aggravarono progressivamente, anche a causa delle mutate

condizioni ambientali, come l’aumento dell’inquinamento at-

mosferico, dovuto alla rapida industrializzazione ed urbanizza-

zione di Atene, e la comparsa delle piogge acide.

I restauratori si trovarono, inoltre, di fronte alla difficoltà di

dover “demolire” non solo i restauri sbagliati, ma, insieme ad

essi, un’estetica del monumento filologicamente errata, ma che

ormai da decenni era entrata a far parte e si era consolidata

nell’immaginario collettivo. Alla difficoltà intrinseca del re-

stauro si aggiungeva, dunque, quella di dover tentare di ripristi-

nare, nei limiti del possibile e senza eccedere negli interventi

integrativi, un’immagine del monumento diversa da quella pro-

dotta dai restauri precedenti e più vicina a quella originaria.

Nel corso degli anni lo stato dei monumenti dell’Acropoli

iniziò ad essere osservato e analizzato sempre con maggiore at-

tenzione e costanza. Tra i maggiori danni rilevati, per i quali ci

si cominciò a porre dei seri problemi di conservazione, citiamo

lo sfogliamento delle superfici e la comparsa di fratture, dovute

all’azione del tempo e all’ossidazione del ferro impiegato dal

Balanos per i restauri, la corrosione del marmo pentelico, dovu-

ta agli acidi contenuti nella pioggia a causa dell’inquinamento

atmosferico, che l’erodendo le superfici rendeva meno leggibili

gli elementi decorativi, l’usura del piano di calpestio dei mo-

numenti e del suolo roccioso dell’Acropoli, dovuta al crescente

aumento del flusso di visitatori, ed infine problemi per la stessa

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stabilità dei monumenti, conseguenza del loro degrado e dei

danni già citati, ma anche dei restauri sbagliati, che ne avevano

modificato gli equilibri statici.

III.7. Il periodo attuale: 1974-oggi.

Per ultimo esaminiamo il periodo attuale, che facciamo ini-

ziare dal 1974, data della fine del regime dei colonnelli e del ri-

pristino della democrazia, che rappresentò una svolta anche nel-

la storia dei restauri. Un anno dopo, nel 1975, fu infatti istituita

la “Commissione per i restauri dei monumenti dell’Acropoli”,

che segnò un nuovo approccio, più collettivo e aperto, nelle de-

cisioni riguardanti gli interventi di restauro.90 Per comprendere

pienamente il significato di questo nuovo approccio dobbiamo

considerare il clima politico e culturale in cui maturò.

La Grecia era appena uscita drammaticamente dalla “dittatu-

ra dei colonnelli” che aveva tenuto in pugno il Paese dal 1967

al 1974. Le milizie agli ordini di un gruppo di ufficiali, capeg-

giati dal colonnello Georghios Papadopoulos, nella notte fra il

20 ed il 21 aprile 1967 avevano messo in atto un colpo di stato,

prendendo il controllo dei palazzi del potere, dei ministeri, dei

servizi di informazione e dei luoghi strategici. La giunta milita-

re aveva soppresso le libertà civili, sciolto i partiti politici, im-

posto la legge marziale e istituito tribunali militari speciali, at-

tuato una ferrea censura limitando ogni libertà di espressione e

di parola ed arrestando circa 10.000 persone, tra politici, magi-

strati, giornalisti e chiunque altro fosse ritenuto una possibile

minaccia per il regime. Il re Costantino II, ignorando gli appelli

del Primo Ministro Kannellopulos a denunciare pubblicamente

la giunta militare, aveva deciso invece di collaborare con essa,

di fatto quindi legittimando il governo golpista: un atteggia-

mento che nel 1974, insieme alla caduta della dittatura, avrebbe

pagato con la fine della monarchia, decretata da un referendum.

Dopo la caduta del regime dei colonnelli il nuovo governo

democratico sentì, dunque, il bisogno di mettere in atto, di pari

passo, una epurazione dalle posizioni chiave dei funzionari filo-

golpisti ed un processo di ricostruzione degli spazi e delle isti-

90 Cfr. BOURAS 2003.

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tuzioni democratiche, a partire proprio dalla creazione di organi

collegiali.

Riflesso della nuova situazione politica fu anche il nuovo

approccio ai restauri: essi erano infatti stati, fino ad allora, so-

stanzialmente frutto della visione, dell’opinione e delle decisio-

ni di un singolo responsabile. Decisioni che talvolta, come nel

caso del Balanos, si erano successivamente rivelate errate. Pro-

prio per evitare di cadere nuovamente in errori del genere, il

nuovo governo democratico greco decise di affidare le decisio-

ni non più ad un una sola persona, con il suo esclusivo punto di

vista, ma ad una equipe. Nel 1975 venne allo scopo istituita la

“Commissione per i restauri dei monumenti dell’Acropoli”: una

commissione scientifica a più membri e multidisciplinare,

composta da archeologici, architetti, ingegneri e chimici, ove

ogni proposta avrebbe dovuto essere argomentata, discussa, e

approvata da una maggioranza di esperti con formazione e,

dunque, competenze, punti di vista e sensibilità diverse.

La commissione costituisce ancora oggi l’organo preposto

in Grecia ai restauri dei monumenti dell’Acropoli. Essa aveva

ed ha il compito di studiare lo stato dei monumenti e conse-

guentemente progettare, programmare e supervisionare tutti gli

interventi necessari.

La Commissione procede nei suoi lavori in modo scientifico

e sistematico, attraverso: 1) la raccolta e l’analisi di tutti i dati

possibili sulla situazione dei monumenti dell'Acropoli; 2) la

diagnosi sulla situazione e sui motivi del degrado dei monu-

menti; 3) lo sviluppo della ricerca in tutti i settori utili al restau-

ro e alla conservazione dei monumenti dell’Acropoli: la ricerca

sulla situazione originaria dei monumenti, sulle loro modifica-

zioni nel corso dei secoli, sui materiali antichi e moderni (rela-

tivi ai restauri) presenti, sulle cause del degrado, sui possibili

materiali, metodi e tecniche impiegabili per la conservazione;

4) l’elaborazione di proposte e progetti, sia in linea teorica che

esecutiva, per il restauro e l’anastilosi dei monumenti.

Con la nascita della Commissione, per la prima volta in

Grecia si cominciò a sviluppare un dibattito, anche al di là degli

stretti membri della commissione e all’interno della più ampia

comunità scientifica e culturale, sugli scopi ed i metodi del re-

stauro, dibattito alimentato anche da una maggiore consapevo-

lezza di avere la responsabilità collettiva di intervenire su uno

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dei più importanti monumenti dell’umanità. Nei restauri

dell’Acropoli, inoltre, con un ritardo che coincide proprio con

gli anni della dittatura militare,91 si adottarono per la prima vol-

ta i principi della Carta di Venezia del 1964, che stabiliva di:

procedere nei restauri attivando la collaborazione tra studiosi di

molteplici discipline; approcciare il restauro e la conservazione

dei monumenti in quanto testimonianza storica, scientifica e

come opera d’arte; mirare, contemporaneamente, anche alla

conservazione dell’ambiente circostante; partire in ogni inter-

vento dal rispetto del monumento; integrare nuove tecnologie e

metodi tradizionali; mirare ad un inserimento armonico degli

elementi nuovi e, tuttavia, alla loro riconoscibilità rispetto a

quelli originali; mirare alla progressiva documentazione di tutti

gli elementi fuori posto o sparsi nell’area circostante il monu-

mento (fig.5-6), in vista di una loro possibile ricollocazione nel-

le posizioni originarie; documentare scientificamente e pubbli-

care tutti gli interventi.92 Sempre per la prima volta, infine, si

mirò alla reversibilità dei restauri, attraverso la riduzione al mi-

nimo degli interventi diretti sugli elementi originali, la docu-

mentazione di ogni azione ed il mantenimento della statica ori-

ginale del monumento.

Nel 1983 fu pubblicato lo Studio per il Restauro del Parte-

none degli architetti Manolis Korres e Christos Bouras, uno

studio a tutto tondo che, partendo da una accurata analisi stori-

ca, architettonica e tecnico-costruttiva del tempio, proponeva

un intervento strutturato in dodici programmi di lavoro in rela-

zione alle parti del monumento: facciate, muri lunghi della cel-

la, porticati interni, pronao e opistodomo, basamento e i pavi-

menti. Tale studio prevedeva tra le altre cose l’anastilosi, trami-

te materiali originali, dei muri lunghi della cella fino a 4-5 me-

tri di altezza, del colonnato del pronao, ma soprattutto la corre-

zione dei vecchi restauri e dei danni da loro provocati tramite lo

smontaggio e la giusta ricollocazione di parti del monumento

mal restaurate, l’individuazione e la collocazione anche di ele-

menti architettonici trovati sull’Acropoli, la sostituzione dei

ferri ossidati e delle aggiunte in cemento del Balanos con mar-

mo Pentelico. I lavori iniziarono nel 1984, sotto la direzione

91 Cfr. BOURAS 1994a. 92 MALLOUCHOU-TUFANO 2003a.

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dello stesso Manolis Korres, coadiuvato dall’architetto Nikos

Toganidis e dall’ingegnere Kostas Zambas.

Come già detto, la “Commissione per i restauri dei monu-

menti dell’Acropoli” è ancora oggi l’organo preposto in Grecia

ai restauri dei monumenti dell’Acropoli. Per quanto riguarda il

Partenone, è in corso un programma di restauro e di anastilosi

dei muri della cella, iniziati nel 1992 per correggere gli effetti

dei restauri precedenti (fig. 6), eseguiti nei periodi: 1841-1844,

1913, 1927-1928.93

Si sta procedendo attualmente allo smontaggio e allo studio

delle collocazioni originarie degli elementi architettonici utiliz-

zati nei precedenti restauri. Parallelamente si sta procedendo

anche all’individuazione sull’Acropoli, di altri eventuali ele-

menti architettonici pertinenti la cella. Ne sono stati sinora in-

dividuati circa 440. Il risultato dei restauri sarà riportare la cella

all’aspetto che aveva agli inizi del XIX secolo.

Si sta, inoltre, affrontando il restauro del colonnato setten-

trionale del Partenone, già restaurato tra il 1923 ed il 1930, e

parzialmente di quelli orientale (fig. 13-14) ed occidentale, col-

locando, tuttavia, numerosi elementi in posizioni non rispon-

denti a quella originaria. Il nuovo programma di restauri è ini-

ziato nel 2000, con lo smontaggio, con l’ausilio di imponenti

macchinari (fig.15), il consolidamento e la ricollocazione nelle

posizioni ricostruibili, dei rocchi delle colonne, nonché con la

sostituzione del titanio al ferro. Scopo del restauro è riportare il

lato settentrionale del Partenone alla situazione antecedente

all’esplosione provocata dal bombardamento del Partenone da

pare dei mortai del veneziano Francesco Morosini nel 1687.

Sono, inoltre, in corso anche dei lavori di anastilosi nei Pro-

pilei (fig.18-19), che mirano a facilitare la fruizione del monu-

mento da parte del pubblico, tramite la ricostruzione di una

porzione delle strutture che sormontano le colonne. Sono, inve-

ce, terminati i lavori presso l’Eretteo (fig.16-17), la cui staticità

risultava gravemente compromessa dai vecchi restauri. Il primo

progetto completo di restauri è stato qui eseguito sotto la super-

visione e la direzione scientifica del Ministero della Cultura el-

93 Per un quadro sui lavori di restauro sull’Acropoli di Atene nel periodo dal 1975 alle Olimpiadi di

Atene del 2004 cfr. FILATICI - GIOVANETTI - MALLOUCHOU-TUFANO - PALLOTTINO

2003. Per il Partenone in particolare cfr: SCHMIDT 2003. Per la prima fase di questo periodo, fino

ai primi anni ’80 cfr. GENOVESE 1985.

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lenico tra il 1979 ed il 1987, anno in cui l’Acropoli di Atene fu

proclamata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.

Sempre motivi di carattere statico hanno spinto ad una solu-

zione ancora più drastica per quanto riguarda il tempietto di

Atena Nike (fig. 20), che si decise di smontare completamente e

ricostruire (fig. 21), operazione parzialmente del resto già av-

venuta nei secoli passati, come provava la posizione non logica

e coerente dei blocchi che formano il monumento.

In conclusione, il Partenone e i monumenti dell’Acropoli di

Atene, che rappresentano il più noto e simbolicamente più rile-

vante complesso monumentale della Grecia antica, sono ogget-

to di restauri da quasi due secoli: come abbiamo visto, infatti, i

primi interventi iniziarono quasi immediatamente all’indomani

della conquista da parte della Grecia della libertà dall’Impero

Ottomano. Abbiamo visto, inoltre, che il programma di restauri

e di anastilosi attualmente in atto si può far risalire al 1975 e,

per la fase dei lavori attuali, al 2000.

III.8. Presente e futuro dei restauri.

Una conseguenza di questo continuo procedere, pressoché

ininterrottamente, dei lavori di restauro e conservazione del

Partenone, è stata che per decenni, salvo brevi periodi, il Parte-

none non è stato più mostrato al pubblico “integralmente”, ma

ha visto la sua immagine quasi sempre parzialmente offuscata

dalla presenza di impalcature esterne (fig.11-12). Un inconve-

niente al quale si è riusciti solo parzialmente ad ovviare adot-

tando speciali impalcature, sistemi di puntellamento e macchi-

nari per i lavori collocabili internamente al Partenone, riducen-

do così al minimo indispensabile le impalcature esterne, purtut-

tavia non eliminabili del tutto.

A queste soluzioni si è affiancata negli ultimi anni, in via

straordinaria ed occasionale, la completa rimozione di tutte le

impalcature esterne, per presentare al pubblico greco ed inter-

nazionale, per la prima volta dopo decenni di lavori, il Parteno-

ne nella sua interezza. Si è trattato di una iniziativa inquadrabile

in un processo culturale che negli ultimi anni ha visto affermar-

si in maniera sempre più decisa e determinante, non solo in

Grecia, ma anche in Italia e in altri Paesi, il concetto di “frui-

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zione” e “valorizzazione” del patrimonio culturale ed il conso-

lidarsi di un modello e di una politica di gestione, che in realtà

grazie al suo alto valore simbolico ed estetico è stata da sempre

presente nelle scelte di conservazione e restauro del Partenone,

che scaturisce da una concezione non più orientata principal-

mente al monumento (object-oriented) e ai suoi problemi mate-

riali di conservazione (problem-oriented), ma alla sua fruizione

da parte del pubblico (public-oriented) e alla relazione e al ruo-

lo del monumento nella comunità (community-oriented).

Si tratta di un processo che, da un lato, include l’idea positi-

va della necessità di passare dalla semplice conservazione del

bene alla sua “fruizione”, o, in altri termini, da una tutela “stati-

ca”, finalizzata solo alla conservazione materiale del bene, ad

una tutela “dinamica”, che abbia come obiettivo non solo con-

servarlo ma anche renderlo fruibile nel modo migliore possibi-

le, nel rispetto della finalità principale della conservazione

dell’antico, ossia quella didattica, e partendo anche dalla con-

sapevolezza che un bene culturale lo si preserva solo se lo si

utilizza, mentre se non lo si utilizza, per quanto vi si possa in-

vestire in restauri, il disuso è destinato a spianare più o meno

rapidamente la strada ad abbandono e degrado.

Dall’altro lato, però, si è assistito spesso all’appiattirsi e allo

svilirsi del concetto di valorizzazione in obiettivi di natura stret-

tamente economica, anzi prettamente lucrativa. Così un bene

culturale ha finito con l’essere apprezzato non più per il suo va-

lore intrinseco, storico e culturale, ma per il “valore” capace di

produrre in termini di profitto economico.

Questa degenerazione dell’idea di “valorizzazione” rende

oggi preferibile fare riferimento a quella di “fruizione”: mentre

mirare alla “fruizione” un bene culturale significa, infatti, sem-

plicemente rimuovere gli ostacoli e porre in atto le condizioni

che favoriscano una piena fruizione del bene in quanto tale

(condizioni ottimali di conservazione, sicurezza, infrastrutture,

collegamenti, servizi, comunicazione etc.), puntare alla “valo-

rizzazione” di un bene oggi significa spesso proporre azioni per

aggiungere valore al bene, sottostimandone il valore intrinseco,

talvolta paradossalmente persino compromettendone una com-

pleta e corretta fruizione (come spesso capita, ad esempio, con

le iniziative che comportano la sovrapposizione a monumenti

antichi di opere d’arte contemporanea o di istallazioni tecnolo-

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giche ed effetti speciali), per arrivare sino all’eccessivo sfrut-

tamento espositivo di un bene culturale a scopo di lucro, con il

conseguente rischio di usura e di danni (ad esempio spostare

frequentemente le opere dalla loro collocazione abituale, punta-

re alla crescita illimitata del numero dei visitatori senza gestirne

il flussi, consentire a pagamento l’utilizzazione del bene per usi

non adatti o non appropriati al bene stesso, come spettacoli, fe-

ste etc.).

Nel caso in questione, la decisione di rimuovere tempora-

neamente dal Partenone tutte le impalcature che ne celavano

parzialmente la visione è stata presa dal governo greco, ed in

particolare dal Ministero della Cultura, come iniziativa ecce-

zionale per rilanciare il turismo: una delle voci più importanti

dell’economia greca, che vale circa un quinto del PIL naziona-

le, dunque settore strategico da rilanciare in un momento in cui

l’indebitamento ha precipitato lo Stato greco in una gravissima

crisi economica. Si è trattato senz’altro di una scelta che ha in-

ciso positivamente sulla sua fruizione da parte del pubblico, ma

non è dato sapere nell’immediato quanto possa aver, invece,

pesato sulle esigenze di conservazione.

Si potrebbe dire che si è trattato di una decisione senz’altro

“politica”, non “tecnica”. Ma non c’è nulla di nuovo in questo:

nel corso dei secoli, come abbiamo visto, le scelte di utilizza-

zione e di gestione che hanno riguardato il Partenone e gli altri

monumenti dell’Acropoli di Atene, come ogni bene culturale in

qualsiasi parte del mondo, non è stata, non è e non sarà mai una

scelta puramente “tecnica”, ma sempre “politica”: un monu-

mento, un bene culturale non costituisce un elemento al di fuori

della storia, completamente immutabile e immune al cambia-

mento; esso è, al contrario, sempre calato in una comunità, con

le sue idee, ideologie, strutture sociali, culturali e politiche, la

sua storia. Così come si evolve nel tempo una comunità, il suo

pensiero, la sua emozionalità, affrontando momenti storici più o

meno felici, si evolve anche il suo rapporto, il suo approccio ed

il suo sentire nei confronti del proprio patrimonio culturale. Co-

sa, quanto, come e se conservare dell’antico è inevitabilmente,

in ogni epoca, una scelta essenzialmente “politica”. Una scelta

che riflette, nel bene o nel male, la società e le idee del tempo.

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IV. TRA ANTICO E CONTEMPOREANEO

IV.1. l’Acropoli e la città: un rapporto complesso.

Nel corso della sua storia Atene, pur risorgendo più volte

sulle proprie rovine, mantenne pressoché immutate la posizio-

ne e le dimensioni della città antica. Dall’età classica fino al

1834 è rimasta, infatti, delimitata dalle mura di Temistocle e

mantenne come suo centro di gravitazione l’Acropoli e i circo-

stanti spazi urbani dell’Agorà, dell’Areopago e del Ceramico:

questa è l’area che anche in età moderna e contemporanea ha

continuato a costituire il centro storico, politico ed amministra-

tivo della città, orbitante tra le piazze Syntagma e Omonia.

In età ellenistica e romana Atene era strutturata in aree fun-

zionali dalle diverse caratteristiche: a sud, dove sorgono le col-

line dell’Acropoli, dell’Areopago, di Filopappo e delle Ninfe,

vi era la zona occupata da templi, monumenti e teatri, che oggi

costituisce l’insieme di zone archeologiche più vasto della cit-

tà e ne include i più importanti monumenti archeologici; a

nord-ovest, fuori le mura, c’erano l’Accademia platonica ed il

Ceramico, con la necropoli; a nord l’Agorà con gli edifici isti-

tuzionali, commerciali e artigianali; a nord-est la zona residen-

ziale.

Il centro della città, con l’Acropoli ed i vicini quartieri di

Plaka, Anafiotika, Monastiraki e Psirì, è tra tutte le aree citate

l’unica abitata senza soluzione di continuità dall’antichità ad

oggi, passando per l’età bizantina ed il periodo del dominio ot-

tomano. Benché, infatti, nel corso della storia Atene abbia vis-

suto anche lunghi periodi di dominazione straniera e di degra-

do, arrivando a ridursi ad un centro di secondaria importanza

afflitto da fenomeni di de-urbanizzazione e ruralizzazione, il

suo centro ha sempre continuato ad essere abitato.

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Dopo lo splendore dell’età classica ed una seconda rinasci-

ta in età romana, soprattutto su impulso di imperatori filelleni-

ci come Adriano, Atene perse, parallelamente al suo ruolo po-

litico centrale nello scenario geopolitico greco e mediterraneo,

la sua monumentalità: dalla tarda antichità, fino praticamente

alla rinascita come capitale dello Stato greco moderno e al

conseguente sviluppo urbano, che non a caso, nelle forme neo-

classiche degli edifici del centro della città, intese riprendere

un legame proprio con l’Atene classica.94

In mezzo, in questo arco cronologico di quasi un millennio

e mezzo, di cui circa mezzo millennio trascorso sotto il domi-

nio ottomano, Atene fu ridotta ad un piccolo borgo arroccato

sulle pendici settentrionali dell’Acropoli, mentre le rovine ar-

cheologiche dei suoi monumenti antichi, affioranti ovunque,

conobbero diversi destini, dal seppellimento, alla spoliazione e

al riuso dei materiali da costruzione, al riuso funzionale delle

strutture migliori per qualità architettonica e posizione topo-

graficamente strategica, come i monumenti dell’Acropoli, tra-

sformati di volta in volta in chiesa, moschea, fortezza, quartier

generale o deposito di munizioni.

Al momento della conquista dell’indipendenza della Grecia

dall’Impero Ottomano, Atene era, dunque, un centro urbano di

dimensioni modeste. Proprio il fenomeno della perdita di im-

portanza della città fino alla parziale ruralizzazione, attestata

oltre che dalle fonti scritte anche dalle testimonianze figurative

coeve, spiega come mai in città vi siano così rare testimonian-

ze architettoniche monumentali del periodo medievale, tra cui

alcune piccole e splendide chiese bizantine. Queste ultime, in-

sieme ad alcune evidenze archeologiche emerse negli scavi nel

centro cittadino, costituiscono l’unico labile legame materiale

che segna la continuità di occupazione della città dall’antichità

ad oggi, pur senza riuscire a colmare il palese iato, che si av-

verte girando per Atene, tra le monumentali forme della città

antica e la città moderna, il cui inizio si può fissare proprio nei

monumentali edifici del centro costruiti a partire dalla metà del

XIX secolo, quando Atene divenne la capitale del neonato Sta-

to greco, facendo da contro-altare alla città classica, spesso ri-

94 Per una analisi diacronica del mondo greco cfr. BROWNING 1985.Sulla formazione dell’Atene

neoclassica cfr. PANETSOS 2003.

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prendendone e reinterpretandone anche esteticamente i motivi

nelle loro tipiche forme neoclassiche.95

Talvolta il legame tra classico e neoclassico diviene palese,

come nel caso, particolarmente simbolico, del Museo Archeo-

logico Nazionale: ospitato, non a caso, proprio nelle forme di

un edificio neoclassico, esso è tra i massimi custodi della clas-

sicità, il museo più importante della Grecia, anzi per eccellen-

za il museo della grecità, in quanto unico museo che raccoglie

alcune tra le più importanti manifestazioni artistiche e materia-

li delle civiltà di tutto l’arco cronologico della Grecia antica,

dalla preistoria alla tarda antichità.

Nel corso del XIX secolo e fino agli inizi del XX secolo la

città fu fatta oggetto del tentativo di una politica razionale di

riassetto urbano, anche attraverso la realizzazione alla fine del

XIX secolo della prima linea metropolitana, pensata come li-

nea suburbana di superficie e poi nel 1930 trasformata in linea

metropolitana sotterranea, con l’attraversamento del centro di

Atene: una linea che collegava e collega ancora i diversi quar-

tieri e sobborghi della città.

Il tentativo di mantenere un certo equilibrio tra sviluppo

urbano e territorio fu sconvolto dall’improvvisa e massiccia

ondata di un milione di profughi greci provenienti dalla Tracia

orientale, da Costantinopoli, dal Ponto e dalla costa dell’Asia

Minore, che tra il 1920 e il 1923 si riversarono principalmente

in Macedonia e in Attica, a seguito degli accordi che posero

fine alla guerra greco-turca. Un altro evento che fece saltare

gli equilibri fu la crisi economica del 1929, che determinò lo

svuotamento delle campagne e dei centri minori, soprattutto di

quelli orbitanti intorno alla città, e l’ulteriore affollamento del-

la capitale greca. Fu solo allora, infatti, che Atene divenne la

città più popolata della Grecia.

Dopo la Seconda Guerra mondiale, durante la quale Atene

aveva conosciuto le devastanti conseguenze dell’occupazione

tedesca e della guerra civile scatenatasi alla fine del conflitto,

si cercò di raggiungere un nuovo assetto urbanistico. Nei de-

95 Sulle trasformazioni di Atene in età contemporanea, dalla nascita dello stato greco fino alle ultime

trasformazioni legate alle Olimpiadi del 2004 cfr tra gli altri: TRAULOS 1960, BURGEL 1981,

PETROPOULOU 2003, BERIATOS-GOSPODININI 2004, ALEXANDER 2005, SALINGAROS

2005. Sul legame tra classico e neoclassico cfr. HERZFELD 1986.

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cenni successivi a partire dalla rapida crescita economica96 de-

gli anni ’50, la città si trasformò progressivamente in una me-

tropoli con milioni di abitanti, conoscendo poi, soprattutto tra

gli anni ‘70 e ’80, l’esponenziale aumento dell’estensione del-

le zone edificate.

L’aspetto architettonico di Atene, soprattutto negli anni del

boom economico europeo, fu segnato da un’ideologia tesa a

sottolineare, fino all’eccesso, la modernità della città, a scapito

di una conservazione e integrazione armoniosa dell’antico e

delle architetture tradizionali del centro storico nel tessuto ur-

bano contemporaneo.

La città e in generale la nazione - anche perché ad Atene

era nel frattempo arrivata a risiedere metà della popolazione

dell’intera Grecia - intendeva presentarsi ostentatamente, an-

che attraverso un nuovo look architettonico, come una città

moderna, europea ed occidentale. Alcuni elementi caratteristi-

ci della città, come le vecchie abitazioni monofamiliari ad uno

o a due piani, i cortili, le vie strette a pressoché esclusivo uso

pedonale, le piccole piazze, etc., finirono per essere percepiti

non come segni identitari della storia e della tradizione della

città, ma viceversa come elementi obsoleti, segno di arretra-

tezza culturale, di ostacolo alla nuova estetica al progresso e

all’emancipazione, anche dal punto di vista estetico, della

nuova Atene, ed in quanto tale abbattuti per lasciare il posto ad

edifici in cemento armato di stile europeo o americano, che

ancor oggi costituiscono l’immagine di buona parte di Atene.97

Tra le conseguenze di questo tipo, allora imperante, di idea

di progresso vi fu l’obliterazione della vecchia struttura urba-

nistica e l’affogamento delle aree archeologiche del centro del-

la città in una colata di cemento. In questo periodo furono co-

struiti, infatti, nuovi quartieri, con fitte palazzine moderne alte

fino a cinque o sei piani, a ridosso delle aree archeologiche

dell’Acropoli, dell’Agorà, del Theseion, del Ceramico, dello

Stadio etc. A salvare, almeno in parte, le pendici dell’Acropoli

dalla ferocia della speculazione edilizia fu proprio la presenza

delle zone archeologiche e dei quartieri tradizionali di Plaka e

96 Cfr. BURGEL 1981. 97 Sull’architettura greca contemporanea cfr. CONDARATOS - WANG 1999.

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Monastiraki, che fecero da zona cuscinetto, impedendo almeno

l’avanzare delle costruzioni moderne fino all’Acropoli.

Nel contempo le strutture preposte alla tutela del patrimo-

nio archeologico e l’archeologia urbana di emergenza, non an-

cora adeguatamente sviluppata, non riuscirono a garantire una

adeguata sorveglianza delle attività edilizie e riscontro delle

evidenze archeologiche emergenti, molte delle quali da inda-

gini più recenti sono risultate obliterate proprio dalle costru-

zioni degli anni ’60, ’70 e ’80. Tale è stato il destino persino di

strutture monumentali pertinenti l’Agorà, le Lunghe Mura di

Temistocle tra Atene e il Pireo, ed il quartiere a sud

dell’Acropoli, riscoperto solo di recente grazie ai lavori e agli

scavi archeologici legati alla realizzazione della Metropolitana

e del nuovo Museo dell’Acropoli.

IV.2. Opere infrastrutturali e riemersione dell’antico: gli

scavi della nuova linea metropolitana.

Negli anni ’90 e nei primi anni 2000 i lavori per la realizza-

zione della nuova linea metropolitana hanno rappresentato la

più importante occasione di archeologia urbana preventiva e di

emergenza mai prospettatasi ad Atene, portando alla scoperta di

importanti evidenze archeologiche in tutti i punti in cui lo scavo

per la realizzazione della metropolitana ha intercettato gli strati

antropizzati, vale a dire in corrispondenza delle stazioni e dei

pozzi di areazione della metropolitana. I tunnel della linea, tutta

sotterranea, sono stati invece realizzati nel sottosuolo ad una

profondità di circa 40 metri, così da passare molto al di sotto

della stratificazione archeologica, senza intaccarla.

La scelta di bypassare dal basso la stratificazione archeolo-

gica fu maturata anche dall’esperienza traumatica delle vecchia

linea della metropolitana, la linea 1 (o linea verde), gestita dalla

società ISAP, che attraversa la città dal porto del Pireo a sud si-

no al quartiere di Kifissià a nord, con 25 stazioni e 26,5 km. di

lunghezza. Fu, come abbiamo accennato, tra le prime realizzate

in Europa, pensata alla fine del XIX secolo come linea subur-

bana di superficie e poi trasformata nel 1930 in linea metropoli-

tana con la realizzazioni di tre stazioni sotterranee nel centro di

Atene: Monastiraki, Omonia, Attikì. Proprio per il fatto che at-

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traversava in superficie o a poca profondità il centro antico del-

la città di Atene, la realizzazione di questa vecchia linea della

metropolitana si rivelò particolarmente traumatica dal punto di

vista dell’impatto sul patrimonio archeologico. Tra i danni più

gravi citiamo quelli all’area archeologica dell’antica Agorà, let-

teralmente tagliata in due dalla linea metropolitana nel tratto tra

le stazioni di Thissio e Monastiraki (fig. 23).

Le nuove linee 2 (rossa) e 3 (blu), entrate in funzione nel

2000 e gestite dalla società Attikò Metrò, collegano il centro di

Atene con i quartieri periferici, raggiungendo anche l’aeroporto

internazionale Elefteros Venizelos. L’intera rete metropolitana,

inclusa la vecchia linea 1, copre attualmente una lunghezza di

85,4 km. con un totale di 61 stazioni. Oltre ai lavori in corso

per la progressiva estensione di tali linee, vi è anche un proget-

to per la realizzazione di una quarta linea.

In occasione della realizzazione della metropolitana si è ri-

proposta anche ad Atene, ovviamente, la questione del rapporto

potenzialmente altamente conflittuale tra una linea infrastruttu-

rale, che per sua stessa natura deve attraversare il sottosuolo del

centro storico di una città, essendo proprio tra le principali fina-

lità e ragioni di esistere delle linee metropolitane in tutto il

mondo quella di ridurre il traffico automobilistico di superficie

nei centri storici delle grandi città, ed il patrimonio archeologi-

co presente nel sottosuolo della città stessa. Il nodo più com-

plesso da questo punto di vista era costituito dai tratti della li-

nea 2 e 3 che attraversavano le zone centrali della città, con zo-

ne come l’Acropoli (fig. 47), l’Agorà, il Ceramico e il quartiere

di Monastiraki.

L’obiettivo, la sfida, era riuscire ad integrare le esigenze del-

la tutela di un patrimonio archeologico di assoluto rilievo e

quelle dello sviluppo infrastrutturale e dei trasporti di una capi-

tale di oltre 5 milioni di abitanti: esigenze evidenti se conside-

riamo che già oggi, non ancora realizzata in tutta la sua lun-

ghezza, la metropolitana di Atene trasporta circa 650.000 pas-

seggeri al giorno. La nuova metropolitana di Atene è, tra l’altro,

considerata dai tecnici una delle più belle ed efficienti metropo-

litane del mondo: sulla base di una ricerca dell’EOQ (Organi-

smo Europeo per la Qualità), la metropolitana ateniese è risulta-

ta la prima in Europa sia per la qualità del servizio offerto (in-

dice EPSI - European Performance Satisfaction Index) che per

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la soddisfazione della clientela (indice CSI - Customer Satisfac-

tion Index).

Ad Atene la soluzione per superare il potenziale conflitto tra

infrastrutture ed archeologia è stata la realizzazione di indagini

archeologiche preventive programmate: le esigenze di tutela del

patrimonio archeologico sono state, infatti, prese in considera-

zione sin dalla fase di progettazione dell’opera. Innanzitutto,

come accennato, per evitare interferenze con la stratificazione

archeologica si è deciso di far passare la metropolitana a 40 me-

tri di profondità, sotto la stratificazione archeologica stessa. Pa-

rallelamente si è concepito e messo in atto un grande progetto

di scavi archeologici preventivi in coincidenza con tutti i punti

in cui occorreva, invece, necessariamente attraversare la strati-

ficazione archeologica: stazioni, sottopassi, pozzi di areazione e

di manutenzione della metropolitana etc. Si è trattato della più

grande attività di scavo archeologico mai intrapresa ad Atene,

con un’estensione della superfice indagata di 79.000 metri qua-

dri e la scoperta di oltre 50.000 reperti archeologici.

La quantità dei reperti è stata così elevata che sarebbe stato

impossibile esporli nelle preesistenti strutture museali cittadine,

che già fanno fatica ad esporre una minima parte dell’enorme

mole di reperti che posseggono, primo tra tutti il Museo Ar-

cheologico Nazionale. Con i reperti più importanti venuti alla

luce negli scavi si è deciso, perciò, di allestire un’esposizione

temporanea, la mostra “la città sotto la città”, che ha avuto

grande successo internazionale di pubblico, fungendo da ulte-

riore incentivo per il turismo. Ma, dal punto di vista della frui-

zione del patrimonio archeologico, la novità è stata un’altra:

trasformare la stessa metropolitana di Atene in una sorta di mu-

seo, con l’esposizione permanente di alcuni reperti rappresenta-

tivi venuti alla luce negli scavi, accompagnati dalla ricostruzio-

ne delle stratigrafie (fig. 24) e delle strutture: le fermate della

metropolitana sono state così trasformate in una sorta di stazio-

ni-museo permanenti. Tutto ciò con l’ausilio di scenografi che

hanno studiato i flussi dei passeggeri e scelto in funzione ad es-

si le soluzioni espositive per ottimizzare la visuale e l’impatto

visivo dei reperti e delle strutture esposte sugli utenti della me-

tropolitana.

La costruzione delle nuovi stazioni della metropolitana ed il

rifacimento delle vecchie stazioni è stata, infine, l’occasione

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per realizzare nel sottosuolo della città degli spazi dedicati non

solo all’arte antica, ma anche alle opere di artisti greci contem-

poranei quali Giorgos Zoggolopoulos, Yannis Moralis e Chrys-

sa, Si è fatto, dunque, della metropolitana uno spazio vivo ed,

ancora una volta, un luogo di incontro e confronto tra antico e

contemporaneo.

IV.3. Il nuovo Museo dell’Acropoli.

Come già gli scavi della metropolitana ed in particolare del-

la stazione “Akropolis”, anche la costruzione dell’edificio del

nuovo Museo dell’Acropoli - che sorge ai piedi dell’Acropoli

stessa, sul versante meridionale, ad un centinaio di metri dal

Teatro di Dioniso, da cui lo separa la via Apostolou Pavlou - ha

rappresentato un’occasione di ulteriore conoscenza archeologi-

ca dell’area oggetto dei lavori, svelando la presenza di strutture

sinora ignote, benché l’area stessa fosse stata già interessata,

soprattutto negli anni ‘60, da un’intensa attività edilizia ed in-

frastrutturale pubblica e privata, evidentemente non accompa-

gnata da un’adeguata azione di conoscenza e tutela del patri-

monio archeologico tramite interventi di archeologia preventiva

o di emergenza.

Le indagini archeologiche preventive connesse alla costru-

zione del nuovo Museo dell’Acropoli, hanno, quindi, rappre-

sentato un’occasione unica ed irripetibile di conoscenza archeo-

logica di una delle rare zone ai piedi dell’Acropoli sopravvissu-

te all’azione di obliterazione delle strutture e stratificazioni an-

tiche provocate dalle costruzioni moderne, scampando in parti-

colare alla forte speculazione edilizia e alla cementificazione

che, come già accennato, soprattutto a partire tra gli anni ‘60 e

‘80 hanno lentamente soffocato l’Acropoli e il centro antico di

Atene.

Le prime indagini archeologiche preliminari in zona sono

iniziate ancor prima che fosse bandito il concorso internaziona-

le di progettazione della nuova struttura destinata ad ospitare il

nuovo Museo dell’Acropoli. All’inizio gli scavi non hanno ri-

velato alcuna evidenza archeologica: un dato strano per un’area

situata immediatamente ai piedi dell’Acropoli e, dunque, cer-

tamente intensamente urbanizzata in età classica. Il motivo sta-

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va nel fatto che l’area stessa durante la Seconda Guerra Mon-

diale era stata interessata dalla costruzione di una caserma, di

depositi di carburante e di rifugi sotterranei, interventi che ave-

vano evidentemente obliterato ogni eventuale preesistenza ar-

cheologica. Il procedere degli scavi ha permesso di individuare,

tuttavia, un’area risparmiata dagli interventi moderni.

Lo scavo ha restituito stratificazioni e strutture che copriva-

no un lungo arco cronologico dal Neolitico al Tardo Medioevo

(fig. 25). In età protostorica l’area è risultata interessata dalla

presenza di un villaggio. A partire, poi, dall’epoca arcaica que-

sta zona di Atene conobbe un notevole sviluppo, nonostante si

trovasse a quei tempi ancora fuori delle mura della città. Vi fu

inclusa, infatti, solo nel V sec. a.C., grazie alle opere di fortifi-

cazione volute da Temistocle. Da quel momento in poi l’area fu

stata densamente abitata, in pratica senza soluzione di continui-

tà, dall’antichità fino al XII d.C. e poi fino ai giorni nostri.

Occorre ricordare, innanzitutto, che la questione della co-

struzione di un nuovo Museo dell’Acropoli risale almeno agli

anni ‘70 del secolo scorso: già da allora, infatti, si discuteva

della necessità di realizzare alle pendici dell’Acropoli, nel quar-

tiere Makriyanni, un nuovo, più ampio e moderno edificio per

sostituire degnamente gli angusti locali seminterrati situati sull’

Acropoli stessa.

Già dal suo concepimento, tuttavia, oltre che ad una funzio-

ne di migliore fruizione delle opere d’arte e dei reperti prove-

nienti dall’Acropoli, il progetto era finalizzato anche a contri-

buire alla pressione sull’opinione pubblica internazionale e sul

British Museum in merito alla restituzione alla Grecia dei mar-

mi del Partenone brutalmente sottratti da Elgin: battaglia che

vide in prima linea l’attrice greca Melina Merkouri (fig. 45), tra

i maggiori attivisti nella lotta contro la dittatura dei colonnelli e

poi, dopo il ritorno della democrazia, dal 1982 Ministro della

Cultura del governo socialista guidato da Andreas Papandreou

e in tal veste tra i principali sostenitori del progetto del nuovo

Museo dell’Acropoli.

Per realizzare il progetto si bandì prima un concorso nazio-

nale (1976), al quale seguì un concorso internazionale (1989-

1991) che raccolse oltre quattrocento partecipanti e fu vinto dal

progetto firmato da due italiani: l’ingegnere Lucio Passatelli e

l’architetto Manfredi Nicoletti.

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Le idee che costituirono i punti di forza del loro progetto,

come sottolinearono gli stessi progettisti, erano tre. La prima

era l’ideazione di uno “Spazio Partenone”, che avrebbe costitui-

to il cuore del Museo: uno spazio vuoto con le stesse dimensio-

ni del tempio, nel quale le opere che costituivano l’apparato fi-

gurativo dell’edificio (fregio ionico, metope e frontoni) sareb-

bero state presentate nella loro disposizione originale e con la

possibilità di osservarle dal basso, come avveniva in antichità

quando erano collocate sul Partenone, o, ciascuna al suo livello,

risalendo vari piani. La seconda idea fondamentale era costitui-

ta da un “occhio”, una sorta di finestrone che sarebbe servito

per collegare visivamente lo spazio interno del museo al Parte-

none. L’ultima idea era quella di un “podio”, cioè un sistema di

curve di livello e terrazzamenti per connettere nel modo più

graduale ed armonioso possibile l’edificio del museo con quelli

del circostante quartiere Makriyanni. All’interno del museo si

prevedeva, infine, un’esposizione organizzata su diversi livelli

in ordine cronologico, come in una sequenza stratigrafica: nei

piani inferiori i reperti più antichi e in quelli superiori quelli più

recenti. All’inizio e alla fine del percorso avrebbe trovato spa-

zio una sintesi di tutta la storia dell’Acropoli attraverso i secoli.

Il progetto del nuovo Museo dell’Acropoli impegnò i due

progettisti italiani per diversi anni, con numerosi studi, integra-

zioni e varianti. Nel frattempo i ritrovamenti effettuati durante

gli scavi archeologici preventivi, dopo diverse polemiche sia tra

i tecnici che nell’opinione pubblica greca e internazionale, fu-

rono ritenuti di importanza tale da dover essere preservati in si-

tu, rialzando l’edificio. Le variazioni progettuali occorrenti fu-

rono ritenute di entità tale da rendere necessario un nuovo pro-

getto, per il quale il governo greco bandì un secondo concorso

internazionale (2001) che fu vinto stavolta dal progetto firmato

dall’architetto greco Michalis Fotiadis e dall’architetto svizze-

ro-francese Bernard Tschumi, esponente dell’architettura “de-

costruttivista” o “disgiuntivista”, che parte dal presupposto che

nella società contemporanea vi sia una “disgiunzione” tale tra

uso, forma e valori sociali, che l’architettura contemporanea,

piuttosto che tentare di riconnetterli, non possa far altro che ri-

flettere la loro disconnessione.98

98 Cfr. TSCHUMI 1996, PLANTZOS 2011.

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96

L’edificio progettato e realizzato da Tschumi e Fotiadis per

ospitare il nuovo Museo dell’Acropoli suscitò subito varie po-

lemiche: la prima riguardava il problema della compatibilità tra

la costruzione del museo e la conservazione in situ delle evi-

denze archeologiche portate alla luce durante gli scavi archeo-

logici che avevano già reso necessaria la progettazione ex novo

dell’edificio.

Per rispondere ad entrambe le esigenze si adottarono degli

accorgimenti progettuali, primo tra i quali il rialzare l’edificio

dal livello delle strutture antiche tramite una serie di pilastri ab-

bastanza alti da far arrivare sugli scavi la luce del sole e da ren-

derli, quindi, visibili e visitabili (fig. 26).

Ciò permetteva di superare, almeno in parte, le polemiche

sull’impatto archeologico del museo, ma restava un’altra que-

stione, persino più complessa, quella del suo impatto visivo ed

urbanistico: il difficile rapporto, cioè, tra l’edificio ed il conte-

sto circostante.

Limitandoci all’osservazione della pura struttura architetto-

nica, dobbiamo ammettere che il nuovo Museo dell’Acropoli è

un ingombrante colosso in cemento, vetro e acciaio, nel cuore

della città, ad appena cento metri di distanza dall’antico Teatro

di Dioniso (fig. 27), quasi addossato all’elegante palazzo neo-

classico sede della Soprintendenza Archeologica di Atene, che

letteralmente sovrasta con la propria mole. Inutile dire che for-

me e materiali costruttivi sono del tutto estranei al contesto cir-

costante, fortemente caratterizzato dalla vicinanza dei monu-

menti dell’Acropoli e dalle forme neoclassiche degli edifici ot-

tocenteschi, ai quali si affiancano le moderne, ma ben più basse

e discrete, palazzine edificate prevalentemente verso gli anni

‘70 del secolo scorso.

Quanto alle dimensioni, l’edificio del museo è stato proget-

tato più alto di tutti gli altri edifici intorno, per far sì che dalla

sua ampia vetrata si potesse godere senza ostacoli della vista

dell’Acropoli e del panorama di Atene (fig. 32-33). Proprio

questa scelta ha creato, però, un problema notevole: esso ha, in-

fatti, privato della vista dell’Acropoli gli edifici e le strade cir-

costanti dello storico quartiere di Makriyanni.

L’edificio è stato, insomma, progettato preoccupandosi prio-

ritariamente del punto di vista dall’interno verso l’esterno e di

creare un rapporto esclusivo con l’Acropoli, senza invece cu-

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rarsi troppo della sua percezione dall’esterno e degli effetti sul

contesto. Forma, dimensioni, stile e materiale la rendono, infat-

ti, una struttura architettonica altamente e palesemente impat-

tante ed in netta discontinuità, anzi rottura, rispetto al contesto

urbanistico circostante. Possiamo essere certi che se si fosse

trattato di un edificio destinato non ad ospitare il nuovo Museo

dell’Acropoli, ma ad altre funzioni abitative o commerciali, i

vincoli architettonici e archeologici vigenti sulla zona circo-

stante l’Acropoli non ne avrebbero mai consentito la realizza-

zione. Tutto ciò comporta un palese paradosso: proprio alla

struttura che ospita il Museo dell’Acropoli, in virtù della sua fi-

nalità, si è consentito di derogare ai severi vincoli edilizi nor-

malmente imposti per tutelare l’immagine dell’Acropoli stessa

e del suo contesto urbano.

Questo rapporto difficile tra edificio e contesto si è tradotto

in un rapporto conflittuale tra l’amministrazione e la comunità

locale. Gli abitanti dello storico quartiere di Makriyanni hanno

anche intrapreso, invano, la strada legale e provato a far valere

le proprie ragioni con appelli, denuncie e ricorsi. Nel cercare un

rapporto visivo esclusivo con l’Acropoli, a vantaggio dei visita-

tori del museo, l’edificio ha, insomma, prodotto una grave frat-

tura proprio tra l’Acropoli e il museo, da un lato, e la comunità

locale, dall’altro.

Se, dunque, vogliamo comprendere le ragioni che hanno

portato le autorità greche alla scelta di realizzare il progetto di

Tschumi, non possiamo scindere il piano dell’estetica da quello

della funzione, pratica e simbolica. Proprio a sanare, infatti, al-

meno in parte questa ferita e questo conflitto con il territorio, a

risolvere le contraddizioni tra l’imponente materialità della

struttura e la sua ideale aspirazione all’immaterialità, è stata fi-

nalizzata la scelta, dalla forte valenza simbolica, del vetro come

elemento fondamentale. L’edificio è stato concepito dai proget-

tisti come un involucro a specchio, caratterizzato dalle superfici

vitree riflettenti (fig. 28-29), quasi che volesse da un lato im-

porsi con orgoglio, dall’altro annullare sé stesso, rimandando o

deflettendo lo sguardo dell’osservatore verso il vero protagoni-

sta, il Partenone e l’Acropoli. Lo stesso Tschumi a tal proposito

arrivò a definire il proprio edificio «umile e al contempo arro-

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gante».99 Sulla propria facciata l’edificio riflette, dunque,

l’immagine dell’antistante Acropoli, a dare l’idea che la mo-

dernità è riflesso della storia, ma anche forse, viceversa, che

l’immagine della storia è in ogni tempo un riflesso dell’epoca e

della sua società.

Per collezioni e concezione dell’esposizione, il nuovo Mu-

seo dell’Acropoli oggi costituisce senz’altro uno dei più impor-

tanti musei della Grecia e dell’intero mondo classico. Un mu-

seo pensato per dare spazio alle numerose opere che affollava-

no il piccolo museo sotterraneo costruito sull’Acropoli stessa

ed ospitare, quindi, alcuni dei massimi capolavori dell’arte gre-

ca. Rispetto al vecchio museo la nuova struttura presenta, inol-

tre, una superfice ed un volume espositivo molto maggiore, che

permette dunque di esporre anche molte opere che erano prece-

dentemente custodite nei depositi.

Nei suoi 14.000 metri quadrati di spazio espositivo, distri-

buiti su tre piani, ospita più di 4.000 opere d’arte e reperti ar-

cheologici, con una concezione dell’esposizione altamente co-

municativa e profondamente innovativa (fig. 30) rispetto agli

standard dei musei della Grecia. Così come altamente avanzata

è la concezione e l’offerta dei servizi ai visitatori. Al centro del

museo è il visitatore, accompagnato sui diversi livelli lungo un

filo cronologico, ma al tempo stesso in un crescendo alla sco-

perta della straordinarietà della civiltà e dell’arte greca, al cui

apice sono poste le opere del Partenone, per la prima volta fi-

nalmente collocate in una dimensione e disposizione filologi-

camente coerenti con quelle originarie ed adeguate a fruirne

contemporaneamente la visione orizzontale e quella verticale

delle sue componenti assolutamente complementari e indivisi-

bili: fregio ionico, metope e frontoni.

Un altro degli elementi innovativi è la presenza di laboratori

di restauro che permettono al museo di essere non solo uno

spazio di fruizione dell’antico, ma al tempo stesso anche un ri-

ferimento importante nelle attività di ricerca e di tutela: attività

che non solo non contrastano con le finalità espositive e comu-

nicative della struttura, ma si fondono simbioticamente con es-

se. Un esempio ne è il restauro delle cariatidi dell’Eretteo (fig.

31), realizzato tramite un laboratorio mobile istallato all’interno

99 Cfr. DAL MASO 2009.

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dello stesso spazio espositivo ad esse dedicato. Ciò ha consenti-

to, allo stesso tempo, di evitare complesse e rischiose operazio-

ni di spostamento delle statue, di ridurre al minimo l’impatto

sulla loro fruizione e, infine, di trasformare il restauro stesso,

tramite monitor con filmati informativi posizionati all’esterno

del piccolo laboratorio mobile, in un’occasione di trasparenza,

comunicazione al pubblico e diffusione della conoscenza sulle

opere antiche e sulle tecniche di conservazione.

Il nuovo Museo dell’Acropoli è stato inaugurato il 20 giu-

gno 2009, con una solenne cerimonia a cui hanno partecipato

autorità e rappresentanti delle istituzioni culturali greche ed in-

ternazionali, tra cui il Presidente della Repubblica Ellenica Ka-

rolos Papoulias, il Primo ministro Kostas Karamanlìs, il Presi-

dente della Commissione Europea, Jose Manuel Durao Barroso,

ed il Direttore generale dell’UNESCO, Koichiro Matsuura. Una

così significativa presenza istituzionale di livello internazionale

si giustifica anche con il fatto che il nuovo Museo dell’Acropoli

è stato da subito riconosciuto come uno dei più importanti e più

avanzati non solo della Grecia, ma d’Europa e del Mediterra-

neo.

Il Museo dell’Acropoli di Atene, con la sua struttura ma an-

che con la sua esposizione, assurge, dunque, a simbolo di una

contemporaneità che si dimostra capace di rinnovare il volto di

una città e del suo patrimonio archeologico. In una città come

Atene, con le trasformazioni che ha vissuto negli ultimi due se-

coli, tentare di fermare lo sviluppo edilizio contemporaneo si-

gnificherebbe, infatti, non tutelare l’antico, ma solo rassegnarsi

a cristallizzazione il volto peggiore della città, quello frutto del-

la speculazione edilizia selvaggia degli anni ‘60-’80. Non signi-

ficherebbe, inoltre, preservare né l’istanza storica né l’istanza

estetica dei monumenti, ma rassegnarsi a vederla attraverso la

lente, comunque deformante, del Balanos e degli urbanisti e ar-

chitetti del secolo scorso.

Il nostro obiettivo deve essere, invece, provare a leggere o

rileggere l’antico in modo diverso, più adeguato all’evoluzione

della visione, alle idee e ai bisogni di noi osservatori e fruitori

contemporanei.

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100

IV.4. Ricostruire l’identità dell’Acropoli: la questione dei

Marmi.

L’Acropoli ed il suo straordinario patrimonio architettonico

e scultoreo, come abbiamo detto, sono stati danneggiati nel cor-

so della storia da invasioni, guerre, spoliazioni e trasformazioni

funzionali degli edifici. Tra gli eventi più disastrosi abbiamo ci-

tato il bombardamento del Partenone da parte delle truppe ve-

neziane comandate da Francesco Morosini ed il saccheggio del

suo apparato scultoreo da parte di Elgin.

Nel 1799 Lord Thomas Bruce, conte di Elgin e Kinkardine,

comunemente noto come Lord Elgin (fig. 7), fu nominato am-

basciatore inglese presso il Sultano di Costantinopoli. Nel 1800

riuscì ad ottenere dalle autorità ottomane il permesso di studiare

ed effettuare rilievi e disegni dei marmi del Partenone, ed ese-

guirne dei calchi, anche ove necessario anche staccandoli. In

seguito ottenne un’autorizzazione anche per asportare sculture

o iscrizioni, a patto di non danneggiare gli edifici dell’Acropoli.

In poco tempo, tra l’agosto del 1801 ed il marzo del 1802,

un “esercito” di oltre trecento operai fu all’opera per divellere

gran parte dell’apparato scultoreo del Partenone e di altri edifici

dell’Acropoli. Al contrario di ciò che, almeno formalmente,

prevedeva l’autorizzazione, nella determinazione e nella fretta

di riuscire a divellere tutto ciò che fosse possibile, il che costi-

tuiva il loro unico obiettivo, gli operai adottarono sistemi bruta-

li, provocando gravi danni alle strutture degli edifici.

Il barbaro saccheggio compiuto da Elgin suscitò non solo la

rabbia della popolazione greca, tuttavia impotente poiché sot-

tomessa all’Impero Ottomano, ma anche la condanna ed il de-

ploro da parte di molti intellettuali di tutta Europa.

Chiarissime ed esplicite furono le parole dello scrittore fran-

cese Francois René De Chateaubriand: «Ha voluto togliere i

bassorilievi del fregio: per poterlo fare, gli operai turchi hanno

prima spezzato l’architrave e atterrato i capitelli; poi, invece di

estrarre le metope dai loro alloggiamenti, i barbari hanno trova-

to più agevole frantumare la cornice. Dall’Eretteo hanno preso

la colonna d’angolo, tanto che oggi l’architrave è sostenuto da

un pilastro di pietre».100

100 CHATEAUBRIAND 1831.

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101

Aspre furono anche le critiche, tra gli altri, di Edward

Dodwell nel suo Classical and Topographical Tour through

Greece, 101 e le invettive del poeta Lord Byron (fig. 8), che nel

Childe Harold’s Pilgrimage (Pellegrinaggio del giovane Arol-

do) accusò apertamente Elgin di essere un predone che aveva

saccheggiato «le misere reliquie di una terra sanguinante»102 e

nel The Curse of Minerva (La maledizione di Minerva), scritto

proprio durante un viaggio ad Atene nel marzo 1811, sebbene

pubblicata più tardi, immaginando un dialogo tra le rovine

dell’Acropoli tra sé stesso e la dea Atena, le fece pronunciare

queste parole: «Qui sorvivendo alla guerra e all’incendio, io vi-

di successivamente finire parecchie tirannidi. Scampata ai de-

predamenti dei Turchi e de’ Goti, doveva il tuo paese mandar

qui un devastatore che quelli superasse. Mira questo tempio

vuoto e profanato: numera i ruderi che pur vi rimangono; quelle

pietre furon qui poste da Cecrope; quelle Pericle le diede; quel

monumento fu eretto da Adriano nei giorni della decadenza

dell’arte. Il di più di cui son debitrice, ma mai gratitudine lo at-

testi... Alarico ed Elgin fecero ciò che rimane. [...] Il primo tol-

se i suoi diritti dalla vittoria; il secondo non ne ebbe, ma rubò

vilmente quello che uomini meno barbari avevano conquista-

to.»103 Lord Byron, come altri giovani del suo tempo, infiam-

mati dalla passione per il mondo classico e dagli ideali di liber-

tà, sacrificò la sua stessa vita per amore della Grecia: invitato

dai patrioti greci, partecipò a Missolungi alla guerra di libera-

zione dall’occupazione ottomana, morendovi di febbre il 19

aprile 1824.

A dirigere i lavori di spoliazione del Partenone per conto di

Elgin fu un italiano, il disegnatore Giovanni Battista Lusieri.

Come pittore era già riuscito ad entrare nelle grazie della fami-

glia regnante borbonica, con cui nel 1799 si rifugiò in Sicilia

per sfuggire alla rivoluzione napoletana. Fu prima in rapporto

con Sir. William Hamilton, diplomatico e noto cacciatore di an-

tichità, attività che ebbe modo di esercitare nel periodo in cui fu

ambasciatore britannico a Napoli, dal 1764 al 1800, mettendo

insieme una notevole collezione di vasi e di altre antichità, poi

101 DODWELL 1819. 102 BYRON 1812-1818. 103 Traduzione italiana da: Opere complete di Lord Giorgio Byron, Torino 1853, vol. V, pag. 454-

455.

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102

in parte finita al British Museum. Proprio tramite Hamilton,

Lusieri entrò poi in contatto con Elgin, che lo assunse con uno

stipendio annuo di 200 sterline per lavorare come disegnatore e

soprintendente ai lavori di rilievo e asportazione dei marmi

dell’Acropoli di Atene. Fu, dunque, in tutto e per tutto al fianco

di Elgin nell’operazione di saccheggio del Partenone: una re-

sponsabilità che non sfuggì ad uno dei maggiori critici

dell’operazione, George Byron, che lo definì «l’agente delle

devastazioni».104

Grazie anche al suo aiuto, complessivamente dal 1801 al

1805, quando gli fu revocata l’autorizzazione, Elgin mise in at-

to un’operazione di saccheggio sistematico dell’Acropoli.105 In

questi cinque anni, approfittando del suo status diplomatico,

delle sue amicizie influenti e, soprattutto, della complicità o

quantomeno dell’indifferenza delle autorità ottomane di fronte

al saccheggio dell’Acropoli, Elgin riuscì ad accumulare sui mo-

li del Pireo un’eccezionale quantità di marmi antichi, tra cui

gran parte della decorazione scultorea del Partenone, del tempio

di Atena Nike e dell’Eretteo. E fu proprio Lusieri, tra le altre

cose, ad occuparsi dell’imballaggio e della spedizione in Inghil-

terra delle casse con i marmi del Partenone.

Forse in un primo momento aveva pensato di tenere sculture

ed elementi architettonici per la propria collezione e per decora-

re la nuova residenza in Scozia, poi, anche in considerazione

dei costi elevati dell’operazione, pensò, invece, di trarre guada-

gno dalla loro vendita, approfittando della perenne fame di ope-

re classiche del fiorente mercato antiquario dell’epoca.

Per trasferire le sculture in Inghilterra, Elgin impiegò due

navi della Marina inglese ed un brigantino di sua proprietà, il

Mentor: in quest’ultimo furono caricate 17 casse contenenti 14

pezzi del fregio del Partenone, quattro pezzi del fregio del tem-

pio di Atene Nike e altri reperti, tra cui un trono. La stazza del

brigantino, tuttavia, si rivelò inadatta ad un trasporto del genere

in mare aperto. Salpato il 16 settembre 1802, appena due giorni

dopo il Mentor fu travolto da una tempesta all’ingresso del por-

to dell’isola di Cerigo, all’estremità meridionale del Peloponne-

104 Cfr. The poetical works of Lord Byron ... Collected and arranged with illustrative notes by Tho-

mas Moore, Lord Jeffrey, Sir Walter Scott and others, with a portrait and numerous illustrations on

steel, London 1851, p. 111. 105 Sulla questione dei marmi del Partenone cfr. tra gli altri: BROWNING 1984; VRETTOS 1997.

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103

so. Il brigantino andò a sbattere contro gli scogli e affondò con

il suo prezioso carico.

Venuto a sapere del naufragio, Elgin tentò subito di recupe-

rare il carico. Assoldò a questo scopo i pescatori di spugne di

Cerigo, che riuscirono a recuperare dai fondali 4 delle 17 casse

perdute. Affidò poi ad una nave della Marina inglese, la Victo-

rieuse, il tentativo di recuperare l’intero relitto del brigantino

agganciandolo con dei cavi.

L’operazione non riuscì, come pure un ulteriore tentativo

fatto dall’armatore italiano Basilio Menachini. Sempre i pesca-

tori di spugne greci, invece, nell’estate del 1803 riuscirono a

recuperare altre 5 casse. Nel 1804 si recuperò, infine, il resto

del carico. Per trasportare le opere in Inghilterra l’ammiraglio

Horatio Nelson fece mandare a Cerigo, sempre su richiesta di

Elgin, un’altra nave della Marina inglese.

Le prime 65 casse contenenti i marmi di Elgin giunsero in

Inghilterra, a Londra, nel 1804. Egli, tuttavia, non riuscì a ven-

derle al British Museum, sia per l’alto prezzo che pretendeva,

sia per il sospetto nel frattempo sorto tra gli studiosi, che non si

trattasse di originali greci ma di copie romane. Alla fine nel

1816 il governo britannico acquistò i marmi per 35mila sterline,

cifra molto inferiore a quella inizialmente chiesta da Elgin, e li

fece esporre al British Museum (fig. 34).106

Riepilogando, i danni provocati da Elgin furono molteplici.

Innanzitutto ci sono i danni materiali arrecati alle opere e agli

edifici dalla violenza e dalla rozzezza con cui furono divelti. In

secondo luogo la perdita o il danneggiamento di una parte dei

marmi stessi durante il loro maldestro trasporto in Inghilterra.

Infine la conseguente attuale dispersione tra più musei e colle-

zioni di un complesso figurativo che era stato concepito per una

visione unitaria.

Per limitarci al solo Partenone e senza considerare la miria-

de di frammenti dispersi in varie collezioni e musei, dobbiamo

constatare che il suo complesso decorativo scultoreo è oggi di-

viso, principalmente, tra l’Acropoli, il Museo dell’Acropoli ed

il British Museum (fig. 35-36). Nel dettaglio la distribuzione

principale dei pezzi fra tali collocazioni è quella che segue.

106 Sulla questione dei marmi di Elgin vista da parte britannica cfr. COOK 1984; ST CLAIR 1998.

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104

Metope:

- lato ovest:

tutte e 14 in situ sul Partenone, ma in pessimo stato di

conservazione.

- lato est:

tutte e 14 al Museo dell’Acropoli, sul Partenone sono

collocate delle copie.

- lato nord:

13 (intere o in frammenti) tra Museo dell’Acropoli e

Partenone.

- lato sud:

1 in situ sul Partenone;

11 (intere o in frammenti) al Museo dell’Acropoli;

16 (intere o in frammenti) al British Museum, di cui 6

frammenti minori al Museo dell’Acropoli.

Fregio ionico:

- lato ovest:

13 pezzi al Museo dell’Acropoli;

2 al British Museum;

1 diviso tra i due musei.

- lato est:

3 al Museo dell’Acropoli;

1 al British Museum;

5 divisi tra i due musei.

- lato nord:

24 al Museo dell’Acropoli;

15 al British Museum;

7 divisi tra i due musei.

- lato sud:

2 in situ sul Partenone;

12 al Museo dell’Acropoli;

24 al British Museum;

3 divisi tra i due musei.

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105

Frontoni:

- lato ovest:

8 statue al Museo dell’Acropoli;

4 al British Museum;

6 divise tra i due musei.

- lato est:

4 al Museo dell’Acropoli;

10 al British Museum.

Si è calcolato che in totale Atene e Londra dispongono at-

tualmente ciascuna di circa il 49% dei marmi superstiti, mentre

il restante 2% è disperso in altri musei europei.107 Tra questi si

segnala il Louvre, dove sono esposti una metopa con una scena

di lotta tra centauro e lapita ed un pezzo del fregio ionico, con

la raffigurazione delle Ergastine. La loro presenza al Louvre si

deve all’ambasciatore francese alla corte ottomana di Costanti-

nopoli, il conte di Choiseul-Gouffier, che, a differenza del suo

più abile concorrente Lord Elgin, riuscì a mettere le mani solo

su tre pezzi del Partenone: un pezzo del fregio ionico e due me-

tope raccolte al suolo nei pressi del Partenone. Due di questi

pezzi finirono proprio al Louvre.

Come abbiamo avuto modo di vedere, nel corso dei secoli

per i Greci il Partenone, oltre che uno dei maggiori tesori del

patrimonio culturale dell’umanità, è divenuto il più importante

simbolo identitario nazionale. Richiamando le dichiarazioni

universale dei diritti umani e culturali, la Grecia ne reclama la

restituzione da quasi due secoli, sempre più insistentemente.

Dal punto di vista giuridico la richiesta si fonda innanzitutto

sul fatto che Elgin ha portato i marmi in Inghilterra senza auto-

rizzazione, in quanto l’autorizzazione concessa dalle autorità

ottomane riguardava lo studio delle opere, non la loro esporta-

zione. Occorre, inoltre, tenere conto del fatto che comunque

qualsivoglia autorizzazione gli è stata concessa contro la volon-

tà del popolo greco, ma da una potenza straniera occupante, vi-

sto che la Grecia era in quel momento sottomessa all’Impero

Ottomano.

107 SNODGRASS 2004.

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106

Da parte sua, invece, il Britsh Museum non ha mai manife-

stato alcuna intenzione di restituire i marmi, che costituiscono

uno dei manufatti più importanti esposti nel museo, e da sempre

ribatte alle richieste greche con l’argomento che i marmi sono

stati dal museo “regolarmente acquistati”, senza tener conto che

a monte di tale acquisto vi sarebbe comunque un illecito com-

piuto da parte di Elgin, che ha venduto i pezzi senza esserne il

legittimo proprietario, e senza considerare il fatto che in quel

periodo la Grecia era sottomessa ad una potenza straniera, dal

cui giogo di lì a poco si sarebbe a caro prezzo liberata.

Sia le Nazioni Unite che l’Unione Europea e numerose altre

istituzioni internazionali hanno ripetutamente approvato docu-

menti e dichiarazioni per chiedere la restituzione alla Grecia dei

marmi del Partenone. Più che sul versante legale la vicenda si

gioca, tuttavia, su quello diplomatico.

In tale ottica si sono concentrati gli sforzi della Grecia negli

ultimi decenni. Sia in Grecia, sia in Gran Bretagna e in molti al-

tri paesi del mondo sono nati e operano dei Comitati per la Re-

stituzione dei Marmi del Partenone, che organizzano campagne

e iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, coin-

volgendo in tutto il mondo numerosissime personalità della cul-

tura, della politica, dello spettacolo, dello sport etc., che a mi-

gliaia hanno sottoscritto le petizioni per la restituzione dei

marmi del Partenone alla Grecia, al fine di esercitare una pres-

sione psicologica sul governo inglese e sul British Museum.

Fondamentale è il ruolo del Comitato che opera in Gran

Bretagna, il British Committee for the Restitution of the Par-

thenon Marbles, nato su ispirazione di Melina Merkouri e del

suo appassionato appello per la restituzione dei marmi del Par-

tenone in occasione della Conferenza Internazionale dei Mini-

stri della Cultura dell’Unesco in Messico, il 4 agosto 1982 e

della conseguente risoluzione. Il Comitato Britannico fu creato

su iniziativa di James Cubitt, esimio architetto inglese, ed isti-

tuito nel 1983 sotto la presidenza di Robert Browning, profes-

sore emerito di greco presso l’Università di Londra. Tra i primi

archeologi ad aderire al comitato vi fu Anthony Snodgrass, pro-

fessore emerito di archeologia classica dell’Università di Cam-

bridge.

Sempre sul piano diplomatico la Grecia ha provato anche a

proporre al British Museum delle formule di scambio, offrendo

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la propria disponibilità a concedere, in cambio dei marmi, pre-

stiti a rotazione e a lungo termine di altre opere d’arte custodite

nei musei statali greci.

La Grecia continua, inoltre, a monitorare anche a distanza la

condizione dei marmi del Partenone: si è ad esempio opposta,

quando i marmi sono stati restaurati dal British Museum in ma-

niera ritenuta eccessivamente invasiva, sia nel 1930 che negli

ultimi anni con un discusso ricorso al laser, ripulendo le super-

fici per far risaltare la candida superfice marmorea ma elimi-

nando in tal modo qualsiasi residua traccia dell’originale cro-

matismo.

Al di là del fatto se tecnicamente le modalità di acquisizione

dei marmi del Partenone da parte del British Museum si possa-

no ritenere giuridicamente “legittime” o meno, la questione

fondamentale ora è di natura politica, culturale ed etica: loro at-

tuale dispersione rappresenta, infatti, una ferita e un danno cul-

turale per l’intera umanità. È assurdo, oltre che ingiusto, accet-

tare che siano collocati in musei diversi, situati a migliaia di

chilometri di distanza l’uno dall’altro, centinaia di pezzi che in-

sieme componevano uno dei più grandi complessi decorativi

del mondo antico, che era stato concepito, ovviamente, per una

visione unitaria (fig. 35-36) e che l’umanità avrebbe, dunque, il

diritto di fruire unitariamente.

Una delle ultime mosse nella battaglia diplomatica per otte-

nere la restituzione dei marmi del Partenone è stata proprio la

costruzione del nuovo Museo dell’Acropoli.

Una delle giustificazioni addotte dagli Inglesi per la mancata

restituzione dei marmi alla Grecia era, infatti, che ad Atene

mancava una struttura museale adeguata a contenere tutta la de-

corazione scultorea del Partenone. La vecchia sede museale

sull’Acropoli stessa era, in effetti, dotata di scarsissimo spazio

espositivo. Con la nuova struttura i Greci hanno inteso proprio

creare un contenitore adeguato per tutti i marmi del Partenone,

oltre che una collocazione museale ideale, trovandosi il museo

proprio ai piedi dell’Acropoli.

Le stesse modalità di esposizione dei marmi del Partenone

in possesso del museo sono tese, oltre che a far comprendere

pienamente al visitatore la collocazione originale, proprio a sot-

tolineare le conseguenze prodotte dal saccheggio di Elgin. Sa-

rebbe stato, infatti, semplice integrare le lacune con copie fedeli

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dei pezzi o dei frammenti in possesso del British Museum e de-

gli altri musei. Una scelta del genere avrebbe soddisfatto appie-

no, per usare le categorie di Cesare Brandi, l’istanza estetica,

ma avrebbe del tutto obliterato l’istanza storica, rappresentata,

in questo caso, dalla sottrazione dei marmi mancanti da parte di

Elgin.

Nell’esposizione del Museo dell’Acropoli la loro assenza,

invece, è rimarcata da spazi vuoti o da copie volutamente gros-

solane. Lo scopo è produrre nel visitatore il fastidio per la vi-

sione parziale e “ferita” del complesso decorativo del Parteno-

ne, in modo da stimolarlo a ricordare il saccheggio subito e a

sostenere la battaglia per la restituzione dei marmi in possesso

del British Museum.108

Da un lato, dunque, i Greci attraverso campagne mediatiche

e denunce esercitano sul British Museum una costante pressio-

ne etica e diplomatica. Dall’altro lato, tuttavia, si lascia forse,

pur senza sottolinearlo, uno spiraglio ad una soluzione di com-

promesso e si tende una mano agli Inglesi: il nuovo museo

dell’Acropoli, infatti, ospita una collezione di opere d’arte di

proprietà pubblica, eppure è stato costruito con fondi sia pub-

blici sia privati ed è stato istituito come una fondazione di dirit-

to privato, seppur di interesse pubblico, dotata di un consiglio

direttivo e di una notevole autonomia di gestione. Persino il suo

personale non è costituito da dipendenti pubblici, ma da dipen-

denti privati.

Tale situazione rappresenta, dal punto di vista istituzionale,

una novità quasi rivoluzionaria per la Grecia, che nei musei sta-

tali non aveva sinora mai ha nemmeno esternalizzato e privatiz-

zato i cosiddetti servizi aggiuntivi, come fatto ad esempio da

quasi un ventennio in Italia. Una novità anche in un certo senso

inspiegabile, se non fosse che proprio questo status particolare

rende il nuovo Museo dell’Acropoli e la fondazione che lo ge-

stisce teoricamente aperti alla possibilità di compartecipazione

di altri soggetti privati e quindi, potenzialmente, anche di un

museo straniero.

Tra restituzione o non restituzione dei marmi, ossia la con-

trapposizione netta cui abbiamo assistito dall’800 ad oggi, in

futuro potrebbe teoricamente farsi largo anche una terza via:

108 Per la difesa delle posizioni del British Museum cfr. JENKINS 2001.

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una qualche forma di compartecipazione o partnership tra il

Museo dell’Acropoli ed il British Museum, che permetterebbe

ai marmi in possesso di entrambi i musei, senza aprire una di-

squisizione giuridica sulla loro proprietà - che a questo punto

non interesserebbe più a nessuno dimostrare se legittima o no -

di essere esposti insieme in un unico contenitore museale, il

Museo dell’Acropoli: un museo situato proprio in Grecia, ai

piedi dell’Acropoli di Atene, ma aperto ad una compartecipa-

zione internazionale e, quindi ad una gestione in parte comune.

IV.5. Il progetto di unificazione delle aree archeologiche di

Atene: antico e contemporaneo verso un rapporto integrato.

Sin dall’epoca dalla conquista dell’indipendenza della Grecia

moderna, si è posto subito all’attenzione della questione di come

far convivere nel centro di Atene l’esigenza di conservare le

straordinarie testimonianze monumentali della Grecia antica -

come l’Acropoli, l’Agorà ed il Ceramico - e le altrettanto pres-

santi esigenze della nuova urbanizzazione: una questione che

divenne sempre più impellente prima con il trasferimento della

capitale ad Atene, nel 1834, e poi tra il 1920 e il 1923 con

l’arrivo della grande ondata di profughi greci dalla Turchia a

causa della guerra greco-turca.

A varie riprese furono fatti vari progetti e tentativi per unifi-

care almeno alcune delle zone archeologiche di Atene. Un passo

decisivo, anche in questo settore, fu compiuto da Melina Mer-

kouri nel 1985, ma i lavori iniziarono solo alla fine degli anni

novanta. Si tratta di un ampio programma di interventi di riqua-

lificazione urbanistica e di valorizzazione dei siti archeologici

denominato “Progetto di unificazione dei siti archeologici di

Atene”, curato dalla società EAXA S.A., per conto congiunta-

mente del Ministero dei Lavori Pubblici e del Ministero della

Cultura.

Il progetto si estrinsecava in alcune principali linee di azione:

valorizzare e promuovere dei monumenti e dei siti archeologici

del centro storico di Atene, anche migliorando il contesto in cui

sono inseriti, attraverso interventi di riqualificazione urbana;

porli in connessione diretta gli uni con gli altri attraverso la

creazione di ampie zone o fasce pedonali; rigenerare il centro

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storico della città, attraverso interventi di riqualificazione, ri-

conversione e rifunzionalizzazione delle zone più degradate.

Obiettivo in sintesi era la rivitalizzazione del centro storico

di Atene, in primis attraverso il recupero e la riappropriazione

da parte della collettività del suo valore storico ed identitario,

pensando solo in un secondo momento alla sua possibile valo-

rizzazione in chiave turistica. L’obiettivo primario era, in altri

termini, l’integrazione della città antica nella città moderna ed il

recupero dell’immagine storica della città nell’immagine corren-

te.109

Lo spazio oggetto di intervento si può classificare in sei ma-

croaree urbane che abbracciano anche zone ad elevato interesse

archeologico. Non si trattava, tuttavia, di aree dai confini netti,

ma diffusi, poiché il progetto si fondava su una prospettiva uni-

taria che non voleva creare isole chiuse, ma aree il più possibile

interagenti tra di loro, anche quando non in diretta connessione

e contiguità perché divise da grandi assi viari di comunicazione

che non era possibile chiudere al traffico. Le aree urbane di in-

tervento furono:

1) Area del Ceramico, Via Pireos, Via Sacra, quartiere di

Ghasi, quartiere Thissio;

2) Area dell’Agorà greca, dell’Agorà romana, della Biblio-

teca di Adriano, del quartiere di Plaka;

3) Area dell’Acropoli, del Filopappo, della via Dionysiou

Areopagitou e di Apostolou Pavlou, quartiere di Ma-

kriyanni;

4) Area dell’Accademia di Platone, dei quartieri di Meta-

xourgio e Psirì;

5) Area del quartiere di Monastiraki e del mercato;

6) Area dell’Olympeion, dello Zappeion e dell’antico Sta-

dio.

Il progetto fu avviato nel 1998. Nel 2004, in occasione dello

svolgimento ad Atene delle Olimpiadi, con il loro picco di pre-

senze di visitatori e la grande visibilità mediatica mondiale, era

già stato completato un numero significativo di interventi, che

avevano reso più vivibili diverse aree urbane e meglio fruibile il

109 Per un’analisi degli interventi urbanistici attuali in un’ottica di continuità dall’antichità ad oggi

cfr.: KORRES - BOURAS 2003. Il rapporto tra antico e moderno è analizzato anche in BASTEA

2000.Per i progetti di pedonalizzazione cfr. RUPP 2002.

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loro patrimonio archeologico.110 Questa fase del progetto richie-

se un investimento totale di 3,85 milioni di euro, cofinanziato al

75% dall’Unione Europea, nell’ambito del 3° Quadro Comuni-

tario di Sostegno, e al 25% dal Ministero greco della Cultura.

Il miglior risultato è probabilmente stata la creazione - grazie

alla pedonalizzazione delle vie Dionysiou Areopagitou, Aposto-

lou Pavlou ed Ermou - di una lunga fascia pedonale che, parten-

do quasi dalla Porta di Adriano, corre intorno all’Acropoli, col-

legando il nuovo Museo dell’Acropoli, il teatro di Dioniso,

l’Odeion di Erode Attico, la collina di Filopappo, le aree archeo-

logiche dell’Agorà e del Ceramico, la Biblioteca di Adriano e la

Stoà di Attalo (fig. 39-42).

L’effetto del progetto di unificazione dei siti archeologici di

Atene è stata essenzialmente la trasformazione del centro storico

da un’area degradata e con una stridente alienazione dell’antico

dal contemporaneo, in una sorta di grande museo a cielo aperto,

tuttavia concepito non come isolamento e fredda contrapposi-

zione alla vita frenetica quotidiana della capitale, ma come mu-

seo diffuso, che è al contempo spazio verde e zona di passeggio

costellata di caffè e ristoranti, dunque spazio vivo e profonda-

mente integrato con il tessuto urbano e con il vissuto contempo-

raneo. Uno spazio che ha contribuito non poco a migliorare la

qualità della vita dei cittadini e dei visitatori della capitale greca.

Anche la promozione delle aree archeologiche non si è limi-

tata al tentativo di restaurare e valorizzare l’antico avulso dal

contesto, ma ha invece guadagnato molto dalla generale riquali-

ficazione urbana del centro e da interventi che non avrebbe avu-

to senso limitare alle aree archeologiche stesse, ma anche al

contesto storico e contemporaneo di inserimento.

Obiettivo di questo aspetto del progetto era recuperare

l’identità culturale dell’aspetto architettonico e urbanistico di

Atene ed in tal modo ritrovare la qualità anche estetica del cen-

tro storico della città, costituito in gran parte da eleganti edifici

di epoca neoclassica, molti dei quali all’inizio del progetto ver-

savano in un notevole stato di degrado. Sono stati, perciò, lan-

ciati diversi concorsi architettonici per la ristrutturazione ed il

recupero estetico delle principali piazze del centro di Atene:

110 Per il significato delle Olimpiadi per la Grecia moderna, a partire dalle prime olimpiadi moderne

del 1896, cfr. MAC ALOON 1981.

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Syntagma, Omonia, Monastiraki, Koumoundourou, che sono

state tutte oggetto di una riqualificazione sia estetica che fun-

zionale. Alla fine dell’intervento avevano tutte marciapiedi nuo-

vi, strade e piazze pulite, facciate degli edifici restaurate e ripor-

tate all’aspetto originario tramite l’asportazione delle grandi in-

segne pubblicitarie che spesso ne impedivano una piena visione,

come nel caso di piazza Omonia (fig. 37-38).

Altro fondamentale successo del progetto di unificazione dei

siti archeologici di Atene è stato quello di riuscire finalmente a

fare percepire, per quanto possibile, le zone archeologiche di

Atene non come elementi disgiunti, come frammenti senza un

visibile nesso tra loro, ma come parti complementari della città

antica, nel loro originario legame topografico.

Dal punto di vista della fruizione da parte di visitatori greci e

turisti stranieri, ciò ha avuto l’effetto di allargare l’interesse

dall’Acropoli a tutta la città, utilizzando il grande attrattore turi-

stico rappresentato dall’Acropoli come momento iniziale di una

conoscenza della città antica da ampliare e approfondire attra-

verso gli itinerari pedonali o le linee metropolitane, divenute es-

se stesse, con i reperti, le stratigrafie, le murature e le copie di

statue esposte nelle stazioni, dei nodi cognitivi fondamentali per

l’approccio alla città antica, ovvero della “città sotto la città” -

slogan utilizzato per promuovere i risultati dell’archeologia ur-

bana in occasione degli scavi della metropolitana e della relativa

mostra finale - ma anche “città nella città”, in quanto la pedona-

lizzazione di ampie zone della città contemporanea nei dintorni

dell’Acropoli ha consentito di riconnettere gli spazi visibili della

città antica tra loro e con la città contemporanea.

Con la progressiva pedonalizzazione di altre aree di interesse

archeologico e storico della città, alcune delle quali anche non

contigue all’Acropoli, come l’Accademia di Platone e lo Stadio,

ha, nel suo complesso, dato alla città più di 10 ettari di spazio

verde e pedonale, fattore particolarmente rilevante in una me-

tropoli affollata e trafficata come Atene, contribuendo a miglio-

rare notevolmente la qualità della vita.

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CONCLUSIONE

Abbiamo visto come, nel corso della sua storia, l’Acropoli

di Atene, soprattutto grazie alla sua posizione, centrale e domi-

nante sul territorio circostante, pur conoscendo nel tempo di-

versi e notevoli mutamenti strutturali, estetici e funzionali, ab-

bia conosciuto complessivamente una frequentazione ed occu-

pazione umana quasi senza soluzione di continuità dalla prei-

storia sino ai nostri giorni.

Dal punto di vista architettonico questo utilizzo raggiunse il

suo culmine nell’età di Pericle. Se, infatti, già nel VIII sec. a.C.,

con l’introduzione del culto di Atena Poliade, l’Acropoli aveva

acquistato per la prima volta un carattere spiccatamente religio-

so e alla metà del VI sec. a.C., all’epoca di Pisistrato, si erano

costruiti i primi grandi edifici di culto in onore della dea, come

il tempio arcaico e l’Hekatompedon, e istituite le feste Panate-

naiche, fu, indubbiamente, Pericle a darle l’aspetto che divente-

rà canonico, facendone il simbolo per eccellenza della potenza

dell’Atene del V secolo a.C. ed uno dei più importanti com-

plessi monumentali del mondo classico.

A lungo è stata dibattuta la questione dell’esistenza di uno o

più edifici dedicati ad Atena Parthenos precedenti l’età di Peri-

cle, per cui si sono usate definizioni come “proto-Partenone” o

“pre-Partenone” e varie numerazioni. Certo è che nell’arco cro-

nologico tra la cacciata dei Pisistratidi e l’ascesa al potere di

Pericle, Atene assisté ad eventi epocali, come le Guerre persia-

ne, che provocarono la devastazione della stessa Acropoli ad

opera dei Persiani, e la successiva ascesa al potere prima di

Temistocle e poi di Cimone, promotori di importanti interventi

sull’Acropoli, in particolare per le sue fortificazioni. In questo

periodo fitto di eventi si colloca anche una serie di interventi o

tentativi di costruzione o ricostruzione sull’Acropoli di un tem-

pio dedicato ad Atena Parthenos. Lo attestano sia le fonti lette-

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rarie che alcuni dati emersi dagli scavi condotti sull’Acropoli

dall’archeologo greco Panagiotis Kavvadias tra il 1895 ed il

1890.

Pericle, tuttavia, una volta salito al potere non continuò al-

cuna costruzione precedente, tantomeno quella di Cimone, cui

lo opponeva un’aspra e antica rivalità, ma decise di realizzare

ex novo un tempio in onore di Atena, legandolo così strettamen-

te alla propria personalità, alla propria politica e all’immagine

che voleva dare della nuova Atene, divenuta ormai una potenza

marittima. Tra il 447 ed il 432 a.C. Fidia e Iktinos diedero così

al Partenone e all’Acropoli quello che resterà il loro aspetto

classico e canonico.

È per questo che ancor oggi, nonostante le innumerevoli di-

struzioni, trasformazioni e ricostruzioni avvenute nel corso di

due millenni e mezzo di storia, e nonostante due secoli di inter-

venti di restauro e anastilosi, ancor oggi l’Acropoli di Atene è

considerata il più nitido riflesso monumentale dell’Atene clas-

sica e della democrazia ateniese nel periodo di suo massimo

splendore.

La fine prima dell’età di Pericle e dell’età classica segnò il

declino di Atene, che nei secoli successivi conobbe momenti di

ripresa alternati a più frequenti periodi di sottomissione a città e

potenze straniere. Dopo una breve rinascita in età romana,

quando Atene finì per incarnare nuovamente un ruolo simboli-

co nell’ideologia imperiale, in particolare con Augusto e poi

con Adriano, nei secoli successivi alla caduta dell’Impero Ro-

mano l’Acropoli subì una serie di distruzioni e trasformazioni

degli edifici. La conseguenza fu la progressiva perdita

dell’aspetto di età classica, soprattutto a partire dalla cristianiz-

zazione, che segnò la trasformazione del Partenone e di altri

edifici in nuovi luoghi di culto cristiani. Seguirono poi le radi-

cali trasformazioni e distruzioni durante i due secoli e mezzo di

dominio franco e soprattutto i quasi quattro secoli di dominio

ottomano.

Eppure a salvare e tenere viva l’Acropoli sino ai nostri gior-

ni furono proprio le trasformazioni funzionali subite dai suoi

edifici. Se da un lato, infatti, esse provocarono inevitabilmente

la perdita di alcuni elementi, dall’altro permisero la sopravvi-

venza di edifici che sarebbero stati altrimenti inesorabilmente

destinati alla distruzione. Tanto più che la conformazione e la

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posizione dell’Acropoli non avrebbero mai potuto permettere la

conservazione dell’alzato degli edifici con un processo naturale

e progressivo di interro.

Il Partenone, dunque, sopravvive proprio grazie alle sue tra-

sformazioni funzionali: prima, nel V secolo d.C., da tempio pa-

gano in chiesa cristiana, dedicata prima a Santa Sofia e più tardi

alla Madonna, poi in epoca ottomana da chiesa in moschea.

Seppur con riadattamenti strutturali e funzionali, tali trasforma-

zioni, preservando una continuità d’uso e, quindi, garantendo la

costante manutenzione dell’edificio, salvarono non solo la

struttura del Partenone, ma incredibilmente persino gli elementi

decorativi: metope, fregio e frontoni, che sopravvissero anche

all’iconoclastia cristiana e a quella ottomana.

Danni irreparabili furono, invece, provocati dal devastante

bombardamento del Partenone, che i Turchi utilizzavano come

polveriera, ordinato nel 1687 dal comandante veneziano Moro-

sini. Più tardi, agli inizi del XIX secolo, si aggiunsero gli ulte-

riori danni provocati dalla brutale spoliazione messa in atto da

Elgin.

È dall’indipendenza dall’Impero Ottomano nel 1830, con la

nascita dello Stato greco moderno, che la Grecia, riconoscendo

nel Partenone e nell’Acropoli non un semplice monumento, ma

forse il più importante simbolo identitario nazionale, iniziò ad

investire risorse nella ricerca, la tutela, la conservazione e la

promozione dei monumenti dell’Acropoli, percependola come

una priorità costante, pur nel continuo mutare di materiali, tec-

niche e metodi che ha caratterizzato l’archeologia e il restauro

negli ultimi due secoli.

In questo grande sforzo di conoscenza e di conservazione

dell’Acropoli di Atene figure fondamentali furono, alla fine del

XIX secolo, l’archeologo Panaghiotis Kavvadiàs, cui si devono

i primi scavi archeologici sistematici sull’Acropoli, e, agli inizi

del secolo successivo, il restauratore Nikolaos Balanos.

Per i restauri attuali possiamo riconoscere come punto di

inizio l’istituzione nel 1975, non a caso proprio all’indomani

della caduta della dittatura dei Colonnelli, della “Commissione

per i restauri dei monumenti dell’Acropoli”, che segnò un ap-

proccio del tutto nuovo ai restauri, sostituendo alla decisione

pressoché indiscussa di un singolo, regola che era sempre valsa

sino ad allora, quella di una commissione a più membri e mul-

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tidisciplinare, ove ogni proposta di intervento dovesse essere

analizzata scientificamente, discussa e vagliata sotto vari punti

di vista da diverse figure professionali, come restauratori, ar-

cheologici, architetti, ingegneri e chimici.

Negli ultimi decenni si è fatta sempre più impellente, infatti,

rimediare non solo ai danni del tempo, ma anche a quelli pro-

vocati da restauri sbagliati effettuati in passato. Per il Parteno-

ne, ad esempio, è in corso sin dal 1992 un progetto di restauro e

di anastilosi dei muri della cella, finalizzato a rimediare sia ai

danni provocati dal bombardamento del Morosini, sia a correg-

gere gli effetti negativi provocati dai restauri fatti tra il XIX ed

il XX secolo.

In diversi casi, per il Partenone e per gli altri monumenti

dell’Acropoli, piuttosto che adottare delle soluzioni-tampone,

con il rischio solo di far protrarre e aggravare i problemi, ma

per soluzioni radicali per correggere gli errori del passato, che

in certi casi ponevano a rischio la stabilità stessa di alcuni edifi-

ci, come nel caso del tempietto di Atena Nike, che è stato ne-

cessario addirittura smontare e rimontare completamente.

La Commissione, che è ancor oggi l’organo preposto ai re-

stauri dei monumenti dell’Acropoli, ha avuto in questi decenni

il merito di adottare per la prima volta una strategia a lungo

termine, con una pianificazione degli interventi di conservazio-

ne da realizzare nel corso degli anni, senza più dipendere dalla

visione e dalla durata di mandato di un singolo studioso. Lo

stretto rapporto tra la Commissione ed il mondo della ricerca,

che si esplica attraverso pubblicazioni e partecipazioni a con-

vegni scientifici, garantisce, al tempo stesso, una costante at-

tenzione alle conquiste della disciplina del restauro che inter-

vengono a livello internazionale, con la possibilità di aggiorna-

re e riadattare il progetto in corso d’opera.

A richiedere del resto un costante, ma sempre ben pondera-

to, aggiornamento della strategia di conservazione, non è solo il

progresso scientifico e tecnico delle metodologie del restauro e

dei nuovi materiali utilizzabili, ma anche o soprattutto il costan-

te mutare, in ogni epoca, della visione dell’antico in rapporto al

presente.

Come abbiamo detto all’inizio, infatti, l’Acropoli di Atene,

forse più di ogni altro grande monumento della Grecia classica,

è rimasta un luogo perennemente al centro della storia, in un

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luogo che ha continuato ininterrottamente a vivere per quattro

millenni. Lungi dal trattarsi di un caso isolato, ciò è accaduto,

del resto, anche ad altri monumenti di grandi città la cui vita è

continuata senza soluzione di continuità dall’antichità ai nostri

giorni, come ad esempio il Colosseo a Roma.

In questi casi è del tutto naturale che, lungi dall’essere ab-

bandonato o dal rimanere cristallizzato nell’aspetto di una de-

terminata epoca - nel caso dell’Acropoli l’età di Pericle e in

quello del Colosseo la Roma imperiale - luoghi ed edifici di

particolare rilievo attraversino la storia ed il divenire di una cit-

tà, dall’età greco-romana, al Medioevo, all’Età Moderna e Con-

temporanea, da un lato conservandosi, ma dall’altro mutando

costantemente funzione e parzialmente anche aspetto, conno-

tandosi diversamente nel corso dei secoli e dei millenni, con di-

struzioni, ricostruzioni, riusi funzionali o restauri, di volta in

volta in base alle idee e al sentire (identitario, conflittuale, idea-

lista, materialista etc.) di ogni epoca nei confronti dell’antico.

Persino le azioni di restauro o conservazione, sebbene mos-

se in alcune epoche da una certa illusione di un ideale ripristino

dell’antico, sono state in realtà comunque e sempre delle opera-

zioni di interpretazione e metamorfosi dell’antico, concorrendo

anch’esse a realizzare l’estetica, la struttura e la funzione del

monumento come lo vediamo oggi, che non corrispondono né a

come esso era anticamente e nemmeno a come le vicende stori-

che lo hanno trasformato, ma a come in un certo momento, in

base ad una certa idea, visione e concezione dell’antico, si è de-

liberatamente scelto di presentarlo. Una scelta, tra le tante

ugualmente possibili, che diviene poi essa stessa parte della sto-

ria del monumento e che ci aiuta a comprendere la sua perce-

zione da parte dei posteri nel corso del tempo. Comprendere il

monumento significa, quindi, in qualche modo anche compren-

dere noi stessi e quello che siamo: «Se desideriamo avere un'a-

deguata percezione del nostro ruolo nel mondo moderno in qua-

lità di esseri umani, il passato assume un valore importante,

poiché rappresenta ciò da cui proveniamo e ciò che ha determi-

nato quello che siamo».111

111 RENFREW - BAHN 2006, pag. 572.

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La questione oggi, dunque, non è illudersi di poter fermare il

tempo e cristallizzare un edificio nell’aspetto che aveva in una

determinata epoca, ormai perduto, e neppure in quello che

qualcuno prima di noi, con le sue scelte di conservazione e re-

stauro, ha deliberatamente scelto di dargli, illudendosi magari

che rispecchiasse al meglio l’istanza estetica e storica, ma cer-

care di riflettere su come la nostra epoca, la nostra generazione,

la nostra cultura, quella di una città, di una nazione, ma anche

di tutta la comunità internazionale, percepisca un monumento

che rappresenta un patrimonio dell’umanità e cosa scelga di

farne.

Ad Atene a stimolare il dibattito su questi temi è stata negli

ultimi anni anche la realizzazione degli scavi per la nuova linea

metropolitana, che ha rappresentato non solo uno strumento di

modernizzazione, ma anche una straordinaria occasione di ar-

ricchimento della conoscenza archeologica della città. La sua

realizzazione, in una città stratificata e ricca di storia come

Atene, poneva qualche decennio fa in maniera eclatante e ur-

gente, non solo agli archeologi ma anche agli urbanisti e ai po-

litici chiamati a compiere determinanti scelte strategiche, la

questione del rapporto tra la città moderna e la città antica, la

necessità di passare da un rapporto che era stato troppo spesso

conflittuale, ad un rapporto virtuoso.

Oltre al contributo di conoscenza dato dagli scavi archeolo-

gici, un simbolo ed una dimostrazione materiale del fatto che

antico e moderno possono integrarsi e convivere, sono le sta-

zioni della metropolitana, vere e proprie stazioni-museo. Grazie

all’esposizione dei reperti trovati negli scavi e alla ricostruzione

delle stratigrafie della città, esse sono oggi per milioni di perso-

ne non solo uno sterile luogo di passaggio frenetico, ma una

quotidiana e costante occasione di incontro e di contatto con

l’antico, un momento di conoscenza, di rinnovamento della

memoria e di stimolo alla consapevolezza della millenaria sto-

ria della città. Le stazioni della metropolitana sono diventate,

insomma, dei nodi fondamentali nel ricucire il legame tra la cit-

tà e le sue aree archeologiche, tra l’antico ed il vissuto contem-

poraneo, tra la gente e la propria storia.

Stesso traguardo ha raggiunto anche un imponente progetto

di pedonalizzazione delle lunghe arterie stradali che corrono ai

piedi dell’Acropoli e di ampie fette del centro storico di Atene,

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con l’obiettivo di trasformare l’Acropoli da semplice area ar-

cheologica isolata ed avulsa dal territorio urbano circostante, a

vero e proprio fulcro e punto di gravitazione di una città con-

temporanea più vivibile, con trasporti nel sottosuolo e ampie

aree pedonali in superficie.

Benché in un Paese come la Grecia il turismo rappresenti

circa un quinto del PIL, nell’ultimo ventennio a dettare le scelte

che riguardano l’Acropoli ed il rapporto tra il patrimonio ar-

cheologico e la città, non è stata l’dea del turismo ad ogni co-

sto, ma da quella del miglioramento della vivibilità del centro

storico e dei suoi monumenti, partendo giustamente dal concet-

to che la vivibilità e la riqualificazione urbanistica costituiscono

automaticamente anche un fattore per aumentare l’attrattività

turistica, mentre non accade il contrario: cercare di incrementa-

re il turismo a tutti i costi non produce un miglioramento delle

condizioni di quotidiana fruizione della città e del suo patrimo-

nio culturale, anzi comporta spesso un loro peggioramento, con

riflessi negativi non solo per la vita dei cittadini, ma a lungo

andare anche sul turismo stesso.

In questo scenario e in quest’ottica va letta anche la realiz-

zazione del nuovo Museo dell’Acropoli, che rappresenta oggi

uno dei più importanti e moderni musei in Grecia e in Europa.

Un museo, dunque, che sbaglieremmo completamente a ritene-

re mirato solo alla ricerca del richiamo turistico, essendo frutto,

invece, di una fine operazione culturale, ideologica, simbolica e

politica.

Si tratta di un museo che è stato concepito, in primis, per da-

re uno spazio e una collocazione adeguata alle numerose opere

che letteralmente affollavano il piccolo museo sotterraneo co-

struito sull’Acropoli stessa. L’obiettivo, raggiunto, era dare alla

capitale greca uno dei più moderni musei del mondo, dal punto

di vista sia strutturale che delle modalità espositive, con una

concezione profondamente innovativa rispetto agli standard de-

gli altri musei della Grecia, molti dei quali a vocazione territo-

riale. Contemporaneamente, con l’ampia disponibilità di spazi e

alla qualità dell’esposizione, si mirava a dar vita ad un fattore

di perenne pressione diplomatica a favore del ritorno dei marmi

del Partenone dal British Museum.

In conclusione, le scelte strategiche attuate negli ultimi anni

per l’Acropoli, con la cura dei restauri, ma anche del recupero

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del contesto urbano, della vivibilità e della fruizione turistica,

sono riuscite a coniugare le istanze della conservazione, della

tutela e della valorizzazione dell’antico, non tuttavia isolato, ma

nel tessuto urbano contemporaneo, Con l’inaugurazione del

nuovo Museo dell’Acropoli, della stazione Akropolis e di altre

stazioni nei suoi dintorni, dei siti archeologici più importanti

della città, come l’Agorà e il Ceramico, immersi in un’ampia

fascia pedonale e verde, l’Acropoli torna ad essere un nodo ur-

bano fondamentale dell’Atene contemporanea ed il fulcro di un

sistema teso ad incrementare la vivibilità, integrando antico e

contemporaneo.

Tutto ciò, nel caso dell’Acropoli di Atene, è stato al centro

di un dibattito che negli ultimi decenni ha coinvolto non solo

archeologi, restauratori e architetti, ma anche urbanisti, socio-

logi, intellettuali, politici, mass media e, dunque, in definitiva

tutta l’opinione pubblica nazionale e mondiale. Ciò ha portato a

compiere scelte strategiche chiare e condivise. Scelte, purtrop-

po, non scontate e neanche necessariamente definitive. Anche

questa visione dell’antico e del suo rapporto con il contempora-

neo è, infatti, come quella di qualsiasi altra epoca, provvisoria e

destinata al costante mutamento, in senso positivo o negativo.

Non è detto, dunque, che diverse condizioni, ad esempio

quelle dell’attuale crisi economica, non producano scelte di

senso diverso, in cui, ad esempio, l’interesse del maggior sfrut-

tamento turistico ed economico possibile nell’immediato po-

trebbero prevalere sulle esigenze della conservazione e sulla

qualità della fruizione dell’antico.

Si tratta in ogni caso di scelte che non è né corretto né giusto

delegare o riservare a qualche tecnico o addetto al mestiere, cui

spetta, semmai, il compito di spiegare a chi decide le implica-

zioni e conseguenze, anche a lungo termine, di una scelta sulla

conservazione del monumento. Scegliere l’utilizzo che si vuole

fare e la visione che si vuole dare di un monumento che costi-

tuisce il simbolo identitario di una città e di una comunità, si-

gnifica scegliere la visione che una nazione ed una generazione

vogliono dare di sé stesse. E una decisione così importante non

può derivare da una scelta puramente tecnica o accademica, ma

deve essere il frutto di una scelta politica, consapevole, infor-

mata, partecipata e condivisa. È un processo che, ad Atene co-

me ovunque, gli archeologi e gli altri specialisti dello studio

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dell’antichità hanno il dovere etico di non ostacolare, ma anzi

di promuovere.

L’archeologia, ricordiamolo sempre, non è desiderio e vel-

leità di ibernazione dell’antico, ma capacità di leggere, interpre-

tare ed accompagnare la realtà materiale, compreso il patrimo-

nio archeologico, nel suo divenire. «L’archeologia è una disci-

plina ma anche una forma mentale, un modo di guardare la

realtà che assegna forma materiale alla nostra “durata” nel tem-

po. L’archeologo tenta di ricomporre un puzzle infinito i cui

tasselli sono parte del flusso ininterrotto della storia, dalla prei-

storia alla modernità»112. Archeologia è fare dell’antico e della

sua conservazione non un culto feticistico fine a sé stesso, ma

una memoria materiale viva e stimolante per una comunità che

in esso si conosce e si riconosce, un patrimonio, fatto di oggetti

e di idee, in grado di rinnovare costantemente la sua immagine

e la sua funzione nel mondo che cambia.

112 MANACORDA 2008.

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DOCUMENTI E TESTIMONIANZE

“AI PIEDI DELL’ACROPOLI”

Intervista inedita ad Antonino Di Vita, Direttore della Scuola

Archeologica Italiana di Atene dal 1977 al 2000.113

Professor Di Vita, dopo ventitré anni Lei ha da poco lasciato la

Direzione della Scuola Archeologica Italiana di Atene. Ci vuole

raccontare le linee guida di questo prestigioso incarico che Lei

ha tenuto da quando fu chiamato a succedere a Doro Levi fino

ad oggi?

«Quando nel 1977 fui nominato direttore, gli scavi della Scuola

in Grecia erano praticamente fermi. Il mio predecessore Doro

Levi aveva infatti concentrato quasi tutti gli sforzi della Scuola a

Iasos, in Turchia, per cercarvi conferma alla sua geniale intui-

zione che la civiltà minoica doveva essersi estesa fino alla costa

dell’Asia Minore. Era inoltre molto impegnato nell’edizione

dello scavo di Festòs, un caposaldo monumentale per la cono-

scenza della civiltà minoica a Creta. Una volta diventato diretto-

re la mia politica è stata quella di riprendere e pubblicare gli

scavi condotti da archeologi italiani in Grecia e rimasti inediti.

Siamo inoltre tornati nel Dodecaneso, a Rodi, dove nel 1950-51

113 Antonino Di Vita (1926-2011) si laureò in Archeologia e Storia dell’arte greca e romana

all’Università Catania nel 1947. Nel 1950 fu ad Atene come vincitore di una borsa di studio della

Scuola Nazionale di Archeologia dell’Università di Roma, presso la quale l’anno successivo conse-

guì il diploma di Perfezionamento con il massimo dei voti. Fu assistente volontario all’Università di

Roma e all’Università di Palermo, poi nel 1955 arrivò primo al concorso nazionale, diventando ispet-

tore e poi direttore di Soprintendenza. Prestò servizio a Siracusa, Roma e Firenze. La sua carriera

scientifica fu costellata da centinaia di pubblicazioni, dalla direzione di numerose Missioni archeolo-

giche italiane in diverse località del Mediterraneo, da prestigiosi premi e riconoscimenti. Ricoprì, tra

gli altri, gli incarichi di docente di archeologia a Perugia e poi a Macerata, fu membro della Consulta

Nazionale per i Beni Culturali, Socio dell’Accademia dei Lincei e Medaglia d’Oro al merito per i

Beni Culturali. Ricoprì l’incarico di Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene per oltre

un ventennio, dal 1977 al 2000. L’intervista qui riportata, rimasta sinora inedita, fu da me realizzata

ad Atene, ove collaboravo come corrispondente con la rivista italiana di Archeologia “Archeo” e con

la rivista greca “Corpus” alla vigilia del suo rientro in Italia, al termine del mandato di Direttore della

Scuola Archeologica Italiana. Dalle parole di Antonino di Vita traspaiono i riflessi dei cambiamenti

epocali vissuti dalla città di Atene, dalla Grecia e dal suo patrimonio culturale nell’arco di mezzo se-

colo, dalla fine della Seconda Guerra mondiale all’alba del terzo millennio. Cambiamenti che egli ha

visto scorrere sotto i suoi occhi da un osservatorio privilegiato: la sua stanza di Direttore della Scuola

Archeologica Italiana di Atene, nel cuore della città, proprio ai piedi dell’Acropoli.

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ero stato il primo allievo della Scuola a ritornare dopo la fine

della seconda guerra mondiale, mandato da Doro Levi a studiar-

vi le sculture. Dopo essere riusciti faticosamente a recuperare in

Italia e in Grecia i vecchi diari di scavo, abbiamo ripreso le ri-

cerche interrotte a Coo. Siamo tornati anche nell’isola di Lem-

no, ricostruendo le case della missione, erette del Della Seta per

ospitare gli archeologi, ma dopotutto abbiamo restaurato le

strutture danneggiate dell’intera Poliochni e iniziato una nuova

serie di indagini archeologiche, anche nel cosiddetto bouleute-

rion, che era in realtà il posto in cui si riunivano a decidere della

città i magistrati del III millennio. Ad Efestia ed in altri campi di

scavo del Della Seta, i vecchi scavi sono stati pubblicati e le in-

dagini riprese con successo. Infine, insieme alla locale Soprin-

tendenza Archeologica stiamo ora realizzando la grande carta

archeologica della città di Coo, comprensiva degli scavi nostri e

dei colleghi greci».

Sono stati da poco celebrati i cento anni dalla scoperta del pa-

lazzo minoico di Festòs a Creta, iniziata nella primavera del

1900 da Federico Halbherr. È certamente una delle più grandi

imprese di cui può vantarsi l’archeologia italiana in Grecia.

Quali sono i risultati delle ricerche degli ultimi anni a Creta?

«Il settore minoico-miceneo costituisce una grande tradizione

della nostra Scuola. In questi anni se ne è occupato soprattutto

Vincenzo La Rosa, che mi ha affiancato come vicedirettore. In-

sieme abbiamo continuato gli scavi a Festòs e ad Aghia Triada,

per intendere meglio i loro rapporti reciproci, ed abbiamo sco-

perto che in età micenea era Aghia Triada, non Festòs, il centro

di potere miceneo nella Messarà, seppure sotto il controllo del

palazzo di Cnosso. A Creta non ci sono però solo siti minoici,

non dimentichiamo gli scavi di Gortina dei quali mi sono occu-

pato in prima persona e ai quali ho cercato di dare nuovo impul-

so. Di questa città di 430 ettari, grazie alla grande iscrizione

scoperta da Federico Halberr nel 1884 e al Corpus delle epigrafi

di Gortina di Margherita Guarducci sapevamo praticamente tut-

to delle istituzioni, ma non conoscevamo quasi nulla della sua

vita di città. Più che esaminare i singoli monumenti il nostro in-

teresse prioritario è stato quello di storicizzare la città sul terre-

no e di studiarne le fasi soprattutto dal periodo tardo-ellenistico

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a quello proto-bizantino. Abbiamo scoperto lo stadio ellenistico,

il grande teatro romano, che si pensava fosse un anfiteatro, ed il

vero anfiteatro, su cui era stata costruita una chiesetta che ancor

oggi è in piedi. Negli ultimi anni abbiamo fatto alcune scoperte

importanti: ad esempio una statua di coccodrillo che doveva es-

sere collocata al posto della solita testa di leone al tempio del

Pretorio, un elemento singolarissimo che ci fa pensare che esso

fosse stato costruito con i soldi del prefetto d’Egitto. Ma la sco-

perta la cui notizia ha fatto il giro del mondo è stata quella

dell’altare al Dio Altissimo: fra il I ed il V sec. d.C. esso fu usa-

to da pagani, ebrei e infine da cristiani. Grazie agli scavi di que-

sti anni possiamo dire che oggi di Gortina sappiamo proprio tut-

to dal momento in cui diventa capitale di Creta e Cirene».

Scavi e scoperte sensazionali, altissima qualità scientifica: cosa

rende la Scuola Archeologica Italiana di Atene una istituzione

così prestigiosa nel panorama archeologico internazionale?

«Con una legge apposita alla Scuola Archeologica Italiana di

Atene in virtù della sua grande tradizione è stata riconosciuta la

possibilità di rilasciare diplomi di specializzazione e di perfe-

zionamento in archeologia come le università italiane. È l’unico

ente di ricerca ad aver ottenuto questa peculiarità. Attraverso

esami molto severi nei nostri corsi selezioniamo e formiamo

giovani studiosi provenienti da tutta l’Italia ed anche da altri

paesi. Inoltre la nostra è l’unica fra le Scuole Archeologiche

straniere presenti ad Atene a formare anche la figura

dell’architetto-archeologo, cosa importante poiché credo che su

uno scavo sia necessario disporre di architetti che sappiano di

archeologia. In questi anni abbiamo anche dato un supporto

enorme a moltissimi studiosi venuti in Grecia per le loro ricer-

che, ospitandoli ad Atene o sui nostri scavi presso vere e proprie

stazioni di studio provviste di biblioteca, laboratori fotografici e

di restauro. Abbiamo portato la biblioteca della scuola da

22.000 a 45.000 volumi, con più di 800 riviste e la teniamo

aperta giorno e notte per i nostri allievi. In generale la mia poli-

tica come direttore è stata di riprendere tutto ciò che era stato la-

sciato in sospeso. Il risultato per quanto riguarda le pubblicazio-

ni sono stati 20 volumi, fra i quali ad esempio quelli con tutte le

sculture di Gortina Con numerose iniziative e con il contributo

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di tanti professori universitari venuti qui dall’Italia a compiere

ricerche ed a tenere lezioni, credo di essere riuscito a portare la

nostra Scuola al centro della ribalta archeologica internazionale

che è Atene. Qui, insieme a quella Inglese ed a quella Francese,

svolgiamo un ruolo tradizionalmente importante».

Mi consenta un’ultima domanda, anche se non riguarda

l’archeologia. Che impressioni le restano di questi anni tra-

scorsi qui ad Atene? Suppongo che l’abbia vista cambiare nel

tempo, crescere fino a diventare una metropoli.

«Sì, è cambiata enormemente. Quando sono arrivato qui per la

prima volta nel 1950 l’ho vista come l’avevano vista i visitatori

dell’Ottocento. Allora Atene era ancora tutta raccolta fra Omo-

nia e Syntagma. Basti pensare che qui dove si trova l’edificio

della Scuola, vicino l’Acropoli, eravamo già in periferia. Ricor-

do che quando si arrivava col piroscafo al porto del Pireo si ve-

deva già l’Acropoli. Il cielo era terso, perché non c’erano ancora

gli impianti industriali di Eleusi, ed Atene aveva l’aria sonnac-

chiosa di una città fra Oriente ed Occidente. Una cosa però è

rimasta fondamentale qui: l’archeologia. Se uno vuole fare dav-

vero l’archeologo, prima o poi deve venire ad Atene...».

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DOCUMENTI E TESTIMONIANZE

“I MARMI DEL PARTENONE SONO L’ESSENZA DEL-

LA GRECITÀ”

Discorso di Melina Merkouri all’Oxford Union Society sul ri-

torno dei Marmi del Partenone in Grecia, giugno 1986.114

«Signor Presidente, Onorevoli Deputati, Signore e Signori,

Prima di tutto consentitemi di ringraziare l’Oxford Union per

aver aperto un dibattito su questo tema, e per avermi invitato.

Penso sia giusto che questa sera sia sentita una voce greca. An-

che una voce con il mio accento incerto. Lo sento e storco il na-

so. Mi viene in mente ciò che Brendan Behan disse una volta di

un annunciatore della radio: “Parla come se avesse i marmi di

Elgin in bocca”.

Ci sono altre persone che desidero ringraziare: i molti cittadi-

ni inglesi che hanno difeso la posizione del mio governo; i de-

putati di entrambe le camere che hanno manifestato interesse

alla restituzione e l’hanno considerata con favore; gli oratori in-

tervenuti al dibattito di stasera; e ovviamente, per gli sforzi

compiuti allo scopo di far conoscere la verità al popolo inglese,

la mia più profonda gratitudine al Comitato Britannico per la

Restituzione dei Marmi del Partenone.

Perché è dei Marmi del Partenone che si tratta. Non esistono i

“Marmi di Elgin”. C’è un David di Michelangelo. C’è una Ve-

nere di Leonardo. C’è un Ermes di Prassitele. Ci sono i “Pesca-

tori sul mare” di Turner. Non ci sono i Marmi di Elgin!

Lo sapete, si dice che noi Greci siamo gente impulsiva, dal

sangue caldo. Bè, lasciate che vi dica una cosa: è vero. Ed io

non sono nota per essere un’eccezione. Sapendo quello che

queste sculture rappresentano per il popolo greco, non è facile

114 L 'Oxford Union Society, nata nel 1823 e collegata ma indipendente dall’Università di Oxford, è

un’associazione che organizza dibattiti su vari temi con personalità di livello internazionale. Nel

giugno del 1986 Melina Merkouri vi tenne questo storico discorso sulla questione della restituzione

dei Marmi del Partenone alla Grecia. La traduzione del testo dall’inglese all’italiano è della Fonda-

zione Melina Merkouri.

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discutere del loro allontanamento dalla Grecia spassionatamen-

te, ma ci proverò. Lo prometto.

Uno dei vostri eminenti professori mi ha consigliato di rac-

contare per esteso come i Marmi furono portati via da Atene, e

condotti alle rive britanniche. Ho risposto che tutto questo era

fin troppo noto, ma mi è stato detto che se ci fosse stata anche

una sola persona tra il pubblico con un’idea vaga dei fatti, la

storia avrebbe meritato di essere raccontata. Così, più in breve

che posso, eccola qui.

Siamo alla fine del XIX secolo. Napoleone sta valutando il ri-

schio di invadere l’Inghilterra. Decide che non è un’ottima idea.

Al suo posto, invade l’Egitto, strappandolo al dominio turco. Ai

Turchi ciò non piace affatto: rompono le relazioni diplomatiche

con la Francia e le dichiarano guerra. L’Inghil-terra decide che

questa è un’eccellente occasione per accreditare un ambasciato-

re a Costantinopoli.

Qui entra in scena Lord Elgin. È lui che riceve l’incarico di-

plomatico. Ha appena sposato la bella Mary Nishett, e sta ter-

minando la sua elegante villa di campagna. Il suo architetto gli

dice delle meraviglie della scultura e dell’architettura greca, e

lo convince che sarebbe una splendida idea fare delle copie in

gesso delle opere ad Atene. “Davvero splendida”, dice Elgin. Si

mette allora ad organizzare un gruppo di persone in grado di

realizzare disegni architettonici, guidati da un pittore; finirà per

essere scelto Giovanni Lusieri, un pittore italiano.

Non resisto a rubarvi un momento per un aneddoto. Elgin

aveva precedentemente contattato Turner. Sì, il famoso Turner.

Il giovane pittore risponde con interesse. Lord Elgin pone le sue

condizioni: ogni disegno e schizzo che Turner avrebbe eseguito

sarebbe divenuto proprietà di Sua Signoria. Nel tempo libero

avrebbe dato a Lady Elgin lezioni di disegno. “Bene”, dice

Turner, “ma allora vorrei un compenso di 400 sterline all’an-

no”. No, no, troppo, dice Elgin, troppo, davvero troppo. E

quindi niente Turner. Fine dell’aneddoto.

Il cappellano dello staff di Elgin era il Reverndo Philip Hunt.

Non parlerò di lui con molta riverenza. Se devo escludere Lord

Elgin, il maggior furfante della storia, secondo me, è il Reve-

rendo Hunt. Ma ne parlerò tra poco. Gli Elgin sono ricevuti in

pompa magna a Costantinopoli, con scambio di prodighi regali.

I venti di guerra soffiano in poppa agli inglesi, e il Sultano se

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ne compiace. Adesso ci spostiamo in Grecia, questa Grecia oc-

cupata da quasi quattrocento anni dall’Impero Ottomano.

Il gruppo di artisti di Elgin arriva ad Atene. Per controllare

Atene, i Turchi hanno assegnato alla città due governatori, uno

civile, uno militare. Molto è stato detto e continua ad essere

detto circa lo scarso interesse dei Turchi per i tesori dell’Acro-

poli. Eppure, ci vollero sei mesi perché allo staff di Elgin fosse

consentito di accedervi. Ma alla fine Elgin la spuntò: 5 sterline

a visita nelle tasche del governatore militare. Questo segnò

l’inizio di un sistema di corruzione dei funzionari locali che sa-

rebbe continuato fino a quando i Marmi non furono imballati e

imbarcati per l’Inghilterra.

Ma, quando le impalcature erano già state innalzate e si era

già pronti ad eseguire gli stampi, improvvisamente giunse voce

di preparativi francesi per un’azione militare. Il governatore

turco ordinò alla squadra di Elgin di abbandonare l’Acropoli.

Cinque sterline a visita o meno, l’ingresso all’Acropoli fu vieta-

to. C’era solo un modo per accedervi nuovamente: usare, da

parte di Elgin, la sua influenza sul Sultano a Costantinopoli, per

ottenere un documento, un firman, che ordinasse alle autorità di

Atene di consentire il prosieguo dei lavori.

Il Reverndo Hunt va a Costantinopoli per incontrare Lord El-

gin. Suggerisce che il documento specifichi che gli artisti - vi

prego di notare questo - sono al servizio dell’Ambasciatore

Straordinario di Gran Bretagna. Elgin si reca dal Sultano. Elgin

ottiene il firman. Il testo del firman è composto piuttosto tor-

tuosamente. Lasciate che vi legga gli ordini dati dal Sultano che

riguardano la nostra discussione.

Cito: “Che gli artisti non incontrino opposizione alcuna a

camminare, osservare, contemplare le figure e le costruzioni

che possano voler disegnare o copiare; o a fissare impalcature

intorno al tempio antico; o a modellare con gesso o calce i detti

ornamenti e le figure visibili; o a scavare, quando lo ritengano

necessario, in cerca di iscrizioni, fra le macerie sparse al suolo.

Né si impedisca loro di prelevare qualsivoglia frammento di

pietra (qualche pezzo di pietra) con iscrizioni e figure”. (La tra-

duzione di Hunt più tardi presentata alla commissione parla-

mentare d’inchiesta recita “qualche pezzo di pietra”).

Queste istruzioni sono date ai governatori - e ciò è confermato

nel firman - in virtù delle eccellenti relazioni tra i due Paesi, e

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cito di nuovo: “...con particolare riguardo a che non sia fatto

danno alle costruzioni che siano così state osservate, contem-

plate e disegnate”.

Non appena il firman venne recapitato ad Atene, un assalto

febbrile, terrificante fu sferrato all’edificio che, ancora ai nostri

giorni, molti considerano la più pura, la più splendida delle co-

struzioni umane.

Al momento di assalire la loggia delle Cariatidi dell’Eretteo,

la febbre salì tanto che il Reverendo Hunt paventò la possibilità

che l’intero edifico venisse rimosso, se solo una capace nave da

carico fosse stata appositamente inviata. Lord Elgin fremette

all’idea, e chiese l’invio di una nave. La richiesta non fu consi-

derata oltraggiosa, ma in quel momento nessuna nave era di-

sponibile (immaginate se lo fosse stata).

Riferire tutti gli orrori compiuti richiederebbe molto tempo e

una brutale sintesi. I termini “saccheggio”, “sfacelo”, “devasta-

zione sfrenata”, “disastro e rovina deprecabili” non sono miei.

Furono pronunciati dai contemporanei di Elgin. Horace Smith

si riferì ad Elgin come al “ladro di marmi”. Lord Byron lo defi-

nì un rapinatore. Thomas Hardy scrisse più tardi dei marmi co-

me di “prigionieri in esilio”.

Il mio governo ha richiesto la restituzione dei Marmi del Par-

tenone. Abbiamo ricevuto un rifiuto. Sia chiaro a tutti che non

abbandoneremo mai la richiesta. Permettetemi di elencare gli

argomenti che sono stati addotti contro la restituzione e di trat-

tarli uno ad uno.

Primo, i marmi furono ottenuti tramite una regolare transazio-

ne. Chiedo se la corruzione di funzionari sia in contrasto con

una “regolare transazione”. Quando una commissione parla-

mentare fu istituita al fine di valutare la possibilità di un acqui-

sto dei Marmi di Sua Signoria, Elgin stese un resoconto detta-

gliato delle spese sostenute per la loro l’acquisizione. Addu-

cendo - e cito da lui - “gli ostacoli, le interruzioni e lo scorag-

giamento creato dai capricci e dai pregiudizi dei turchi”, egli

elenca una voce da 21.902 sterline per regali alle autorità di

Atene. Be', almeno è una somma adeguata. Ma non possiamo

non chiederci: è giusto trattare con i Turchi per la più preziosa

delle proprietà greche, quando la Grecia subisce l’invasione e il

giogo dei Turchi?

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Una seconda obiezione, che perdura nonostante sia stata sde-

gnosamente rifiutata da tanti viaggiatori inglesi, in Grecia in

quegli anni, consiste nell’affermare che: “i Greci, ignoranti e

superstiziosi, erano indifferenti alla loro arte e ai loro monu-

menti”.

Ciò, chiaramente, implica che fossero senza occhi, senza co-

scienza e senza cuore. Chi? Quei Greci che, tanto tempo dopo

Pericle, crearono il miracolo dell’arte bizantina? Quei Greci che

anche sotto l’occupazione turca crearono intere scuole d’arte e

di artigianato? Quei Greci che nonostante quattrocento anni di

dominio turco, conservarono gelosamente la loro lingua e la lo-

ro religione? Quei Greci che nella loro lotta per l’indipendenza

mandarono ai soldati turchi pallottole per usarle contro loro

stessi? Sì, contro loro stessi.

Le armate turche assediate sulla Acropoli erano a corto di

munizioni. Cominciarono ad attaccare le grandi colonne per

estrarne piombo e farne proiettili. I Greci mandarono loro le

munizioni con il messaggio. “Ecco i proiettili, non toccate le

colonne”.

Dopo che i Greci guadagnarono l’indipendenza, uno dei primi

provvedimenti approvati dal governo ellenico fu in favore della

protezione e conservazione dei monumenti nazionali. Indiffe-

renza? Consideriamo quest’accusa mostruosa. Avrete sicura-

mente già sentito, ma lasciatemelo ripetere, cosa disse un greco

fortemente sconcertato ai membri della squadra di Elgin, e poi

riportato da J.C. Hobhouse: “Avete preso i nostri tesori. Per fa-

vore, trattateli bene. Un giorno chiederemo che ci vengano re-

stituiti”. Dobbiamo credere che quest’uomo parlasse solo per se

stesso?

Di recente, una nuova teoria è stata proposta - questa è bella.

Il Signor Gavin Stamp, che avrò l’onore di incontrare stasera,

propone il concetto che i Greci moderni non sono i discendenti

di Pericle. Oh! I nostri marmi ci sono stati sottratti. Chi avanze-

rà diritti sulle ossa dei nostri antenati?

Come Ministro della Cultura, invito il Signor Stamp a venire

ad Atene. Organizzerò per lui uno spazio in televisione, nelle

ore di massimo ascolto, perché spieghi ai demografi greci e ai

cittadini greci chi sono loro veramente.

Argomento numero tre. Se i Marmi venissero restituiti, ciò

costituirebbe un precedente che potrebbe portare allo svuota-

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mento dei musei. Scusatemi, ma questa è una evidente scioc-

chezza. Chi vuole chiedere, e chi vuol permettere lo svuota-

mento dei musei?

Consentitemi di dire ancora una volta che noi consideriamo i

musei, ovunque si trovino, una necessità sociale e culturale es-

senziale, e devono essere tutelati. Ho ripetuto più e più volte

che noi richiediamo una parte integrante di una struttura che è

stata mutilata. In tutto il mondo il nome del nostro Paese è as-

sociato al Partenone.

Facciamo una richiesta straordinaria per qualcosa di inegua-

gliabile, qualcosa di specifico alla nostra identità. E cari amici,

se ci fosse l’ombra dell’ombra di un pericolo per i musei, per-

ché il Consiglio Internazionale dei Musei raccomanderebbe la

restituzione, come ha fatto?

Argomento numero 4. Questo risale a tempi più recenti.

L’inquinamento! L’inquinamento sull’Acropoli. Che senso ha

questo? Quando Londra si è trovata a fronteggiare il grave pro-

blema dell’inquinamento si sono levate grida di allarme per i

marmi? Ovviamente no. Per la semplice ragione che erano

ospitati dentro il British Museum. Ora non pretendiamo che le

sculture possano essere nuovamente disposte nel fregio. Sap-

piamo che non è possibile, ma il mio governo ha più volte ri-

cordato che nel momento in cui ad Atene fossero restituiti i

marmi, un magnifico museo con i più avanzati sistemi di sicu-

rezza e di conservazione sarebbe pronto ad accoglierli, adiacen-

te all’Acropoli, per collocarli nel loro contesto.

Posso aggiungere che siamo fieri dei lavori in corso

sull’Acropoli. La descrizione di questi lavori è stata esposta ad

un simposio dei maggiori archeologi del mondo, invitati ad

Atene. Il loro plauso è stato unanime, entusiasta e gratificante.

Da allora la mostra sui lavori di restauro è stata esposta nelle

maggiori città europee. Sono stata benevolmente ricevuta dal

British Museum a Londra. Il Financial Times ha scritto un arti-

colo sulla qualità di questi restauri e sulle esemplari capacità

dei restauratori greci. Ho fatto eseguire copie di questo articolo:

si trovano qui a disposizione degli interessati.

L’Argomento più spesso addotto è questo: la rimozione dei

marmi li ha salvati dai barbari Turchi. Negare il vandalismo

turco sarebbe un’impresa sovrumana. Ma è un fatto che i Tur-

chi non diedero alcun permesso ad Elgin di rimuovere le scultu-

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re dalle costruzioni o dalle mura della cittadella, che con la be-

nedizione del Reverendo Hunt furono barbaramente rimosse.

Cito da una lettera di Lusieri a Elgin: “Mio Signore, ho il piace-

re di annunciarle il possesso dell’ottava metopa, quella dove c’è

il centauro che rapisce la donna. Questo pezzo ha causato molti

problemi in tutti i sensi, e sono stato costretto a essere un po’

barbaro”. In un’altra lettera egli sperava “...che i vandalismi che

sono stato costretto a compiere al suo servizio possano essere

dimenticati”.

Edward Dodwell scrisse: “Subii l’indicibile mortificazione di

essere presente, quando il Partenone fu spogliato delle sue più

belle sculture. Vidi staccare molte metope sul lato sud-est del

tempio. Erano fissate tra i triglifi come in un incavo; e allo sco-

po di sollevarle, fu necessario precipitare al suolo il magnifico

cornicione nel quale erano incastonate.

L’angolo sud-est del frontone condivise la stessa sorte, e in-

vece della bellezza pittoresca e dello straordinario grado di con-

servazione nei quali io prima lo vidi, è ora completamente ri-

dotto ad uno stato di frantumata desolazione. Non si può che

esecrare lo spirito della barbarie che li ha frantumati e mutilati

per depredare e distruggere irreparabilmente le nobili opere che

Pericle ordinò, e che il genio senza pari di Fidia e Ictino ese-

guì”.

Un altro testimone, Robert Smirke, scrive: “Fui particolar-

mente turbato quando vidi la distruzione compiuta per preleva-

re i bassorilievi sulle mura del fregio. Ogni pietra cadendo

schiantò al suolo col suo enorme peso, con un rumore sordo,

profondo: sembrava il gemito convulso dello spirito offeso del

tempio”.

Edward Daniel Clarke era tra questi testimoni della distruzio-

ne. Clarke scrive: “Guardando in alto, vedemmo con rammari-

co la ferita che era stata aperta, che tutti gli ambasciatori della

terra, con tutti i regnanti che rappresentano, aiutati da ogni ri-

sorsa che la ricchezza e il talento possono elargire, non potran-

no mai più riparare”.

Tutto questo a causa della barbarie.

Nell’anno 1816 una commissione parlamentare d’inchiesta è

incaricata di studiare una proposta di Lord Elgin. I marmi sono

stati esposti un vari luoghi, sotto diversi padiglioni. Lord Elgin

è caduto in bassa fortuna, e offre i suoi marmi al governo ingle-

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se. La commissione deve decidere: da quale istituzione la colle-

zione debba essere acquistata; a quali condizioni l’istituzione

stessa debba acconsentire; il valore dei marmi come opere

d’arte; quanto si debba spendere per un eventuale acquisto.

Se leggete la relazione vedrete che il grosso della valutazione

richiesta concerne la qualità dei marmi, e il prezzo ad essi ade-

guato. Ma per raccomandare il loro acquisto doveva essere su-

perato un duro scoglio: dimostrare che le modalità di acquisi-

zione dei marmi erano state regolari, e che essi erano stati otte-

nuti da Elgin come privato cittadino, e non a causa della sua in-

fluenza come ambasciatore britannico.

Leggo dalla relazione: “Il conte di Aberdeen, cui è stato chie-

sto se l’autorità e l’influenza di una carica pubblica fossero, a

suo giudizio, necessarie per consentire la rimozione di quei

marmi, ha risposto che non pensava che un privato cittadino po-

tesse aver disposto la rimozione delle vestigia delle quali Lord

Elgin si era mpossessato”. Il conte di Aberdeen, cacciatore di

antichità non meno di Lord Elgin, era in Grecia a quel tempo,

ed in condizione tale da conoscere gli avvenimenti.

Cito ancora: “Il Dottor Hunt, che era su questo punto in grado

di conoscere i fatti più di qualunque altra persona, fra quelle in-

terrogate, manifestò come sua ferma convinzione che un suddi-

to britannico, non dotato dell’incarico di Ambasciatore, non sa-

rebbe stato in grado di ottenere dal governo turco un firman che

gli concedesse poteri tanto estesi”.

Leggo dalla relazione: “Il successo dell’esercito inglese in

Egitto e la attesa restituzione di questa provincia alla Sublime

Porta, ha determinato uno stupefacente ed istantaneo cambia-

mento, a tutti i livelli, nella reputazione mondiale del nostro

Paese”.

E ancora, sentite questo passo dalle conclusioni della com-

missione: “Non si può mettere in dubbio che Lord Elgin consi-

derava la sua azione in un ambito completamente distinto dal

suo incarico ufficiale. Ma se il governo dal quale egli ottenne il

permesso la considerò tale, è una questione che può essere ri-

solta solo sulla base di congetture e supposizioni, in assenza di

qualsiasi testimonianza certa”. (Se questo non è un discorso

ambiguo, che cos’è?)

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Assenza di qualsiasi testimonianza certa? Lord Elgin alla

commissione: “Ho dovuto trattare con le più alte autorità dello

Stato.”

Poteva davvero il comitato credere che un semplice cittadino

potesse intraprendere una trattativa con le maggiori autorità

dello Stato turco?

Scrivendo alla commissione, Lord Elgin ribadisce la sua grati-

tudine per aver potuto disporre di una nave di Sua Maestà per il

trasporto delle casse con i marmi. Un comune cittadino potreb-

be avere una imbarcazione reale a sua disposizione?

Domanda della commissione al Reverendo Hunt: “Ritiene che

il firman diede il permesso specifico di rimuovere figure e

frammenti di sculture dalle mura dei templi, o piuttosto che

questo fu materia di un accordo privato con le autorità locali?”.

Risposta di Hunt: “Questa fu l’interpretazione che il governato-

re di Atene fu indotto a ritenere corretta”. Indotto da chi? Da un

privato cittadino? Assenza di qualsiasi testimonianza certa? Da

un privato cittadino o da un Ambasciatore? Be', del resto è lo

stesso firman a dirlo. Il permesso fu accordato a Lord Elgin

“...in virtù dell'amicizia tra la Sublime e Sempiterna Corte Ot-

tomana e quella d’Inghilterra”.

Signor Presidente, Onorevoli Deputati, Signore e Signori, con

ogni scusa, se c’è n’è bisogno, vi chiedo di giudicare se la deci-

sione del comitato di considerare l’azione di Elgin come quella

di un privato cittadino è il massimo dell’ingegnosità o il mas-

simo della mala fede.

Ma questo accadeva 170 anni fa. Quella di oggi è

un’Inghilterra diversa. C’è una diversa valutazione dell’impero

e della conquista. Prevale un’etica differente. Sarebbe interes-

sante sapere cosa concluderebbe oggi una commissione parla-

mentare se riesaminasse le testimonianze dei membri della

commissione precedente, e le opinioni di chi fu interpellato.

Sono pronta a scommettere qualcosa - anche più di qualcosa -

che le conclusioni sarebbero diverse.

Vi ho rubato del tempo e so che è il dibattito che appassiona

le coscienze. Voglio sperare che il dibattito verta su qualcuno

tra i punti che vi elenco: i marmi furono prelevati impropria-

mente? E se furono prelevati impropriamente, è giusto che re-

stino dove sono stati portati? Se furono prelevati prelevati giu-

stamente, è sbagliato restituirli? Che valore può avere

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l’argomento che se Elgin non avesse preso i marmi altri inglesi

l’avrebbero fatto? Ha una qualche importanza che il 95% dei

cittadini greci non abbia mai visto la più alta tra le creazioni

greche? Si può pensare che la Grecia libera avrebbe permesso

la rimozione dei marmi?

L’Inghilterra e la Grecia sono amiche. Sangue inglese è stato

versato sul suolo greco nella guerra contro il fascismo, e molti

Greci hanno dato la vita per proteggere i piloti inglesi. Leggete

Churchill, spiega bene quanto fu cruciale il ruolo della Grecia

nella vostra decisiva vittoria nel deserto, su Rommell.

L’anno scorso si è tenuta una celebrazione in onore di Shake-

speare al teatro ai piedi dell’Acropoli. Il vostro Covent Garden

ha rappresentato il Machbet di Verdi. Il vostro Teatro Naziona-

le ha allestito il Coriolano. Sono state serate indimenticabili.

Non solo per l’alto livello delle rappresentazioni, ma anche per

una straordinaria comunione tra gli artisti inglesi e il pubblico

greco. Ian Mckellen mi perdonerà, se parlo delle sue lacrime di

commozione e di quelle degli artisti della sua compagnia quan-

do il pubblico si è alzato in piedi e li ha applauditi. Quelle la-

crime hanno a che fare con un rapporto tra due popoli, con

l’amicizia, con Shakespeare rappresentato su quel sacro luogo.

È stato magnifico, memorabile. È nello spirito di questa amici-

zia che vi diciamo: è stata commessa un’ingiustizia che può es-

sere adesso riparata.

Dovete capire cosa rappresentano i Marmi del Partenone per

noi. Sono il nostro orgoglio. Sono i nostri sacrifici. Sono il no-

stro più nobile simbolo di perfezione. Sono un tributo allo spiri-

to democratico. Sono le nostre aspirazioni e il nostro nome. So-

no l’essenza stessa della grecità.

Siamo pronti a dire che consideriamo l’intera faccenda Elgin

attualmente irrilevante. Diciamo al governo britannico: voi ave-

te conservato queste sculture per quasi 200 anni. Ve ne siete

presi cura meglio che potevate, e per questo vi ringraziamo. Ma

adesso, in nome della lealtà e della moralità, per favore, resti-

tuiteli. Credo sinceramente che un tale gesto da parte della Gran

Bretagna onorerà per sempre il vostro nome. Grazie».

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Fig.1 (in alto): Atene, Acropoli, foto aerea zenitale (ca. 2000); fig. 2 (in bas-

so): Atene, Acropoli, foto aerea del Partenone (ca. 2000).

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Fig. 3 (in alto): Pianta del Partenone; fig. 4 (in basso): Ipotesi di pianta

del pre-Partenone (in neretto) a confronto con la pianta del Partenone (in

tratteggiato).

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Fig. 5 (in alto): L'esplosione del Partenone nel 1687 a causa del bombarda-

mento ordinato dal comandante veneziano Francesco Morosini in quanto il

monumento era utilizzato dai Turchi come polveriera; fig. 6 (in basso): gli

effetti delle ricostruzioni sbagliate nel corso dei secoli del lato nord del co-

lonnato del Partenone: nelle stesse tonalità di grigio si evidenziano le parti

originariamente pertinenti la stessa colonna.

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Fig. 7 (in alto): Lord Thomas Bruce, Conte di Elgin e di Kincardine

(1766-1841); fig. 8 (in basso): George Gordon Noel Byron, Barone di

Byron, detto Lord Byron (1788-1824).

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Fig. 9: L’occupazione tedesca di Atene nel corso della Seconda Guerra Mon-

diale: le truppe tedesche innalzano la bandiera nazista sull’Acropoli, davanti

al Partenone.

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Fig. 10: Manolis Glezos e Apostolos Santas nel 2011, pochi mesi prima del-

la morte di quest’ultimo. Da giovani, la notte del 30 maggio 1941, si arram-

picarono di nascosto sull’Acropoli per togliere la bandiera nazista. In basso

la lapide sull’Acropoli che ricorda la loro azione patriottica

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Fig.11 (in alto): Partenone, restauri sul lato nord, panoramica dai Propilei

(2003); fig.12 (in basso): Partenone, restauri sul lato nord, panoramica dai

Propilei (2009).

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Fig. 13 (in alto): Partenone, lato est, panoramica (2003); fig.14 (in basso):

Partenone, lato est, dettaglio (2009).

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Fig.15: Partenone, lato nord: macchinari per le operazioni di anastilosi

(2009).

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Fig.16 (in alto): Eretteo, restauri alla loggia delle Cariatidi (2003); fig.17 (in

basso): Eretteo, loggia delle Cariatidi, restauri completati (2009).

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Fig.18 (in alto): Acropoli, anastilosi dei Propilei (2003); fig.19: Acropoli,

anastilosi dei Propilei, situazione attuale (2009).

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Fig. 20: Acropoli, il Tempietto di Atena Nike prima dei recenti interventi

di restauro (in alto); fig. 21: il Tempietto di Atena Nike durante

l’intervento di smontaggio e anastilosi (2009).

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Fig. 22: Le Corbusier nel suo saggio Vers une architecture (Parigi 1923) uti-

lizza il Partenone come immagine emblematica per il terzo capitolo, dedica-

to all’architettura come “pura creazione della mente”.

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Fig. 23 (in alto): la vecchia linea della metropolitana di Atene, realizzata negli

anni ’30 del secolo scorso, ha tagliato in due l’Agorà (in bianco evidenziato il

tracciato ferroviario); fig. 24 (in basso): la ricostruzione di una stratigrafia de-

gli scavi della nuova metropolitana, esposta a scopo didattico all’interno di

una delle stazioni del Metrò.

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Fig. 25 (in alto): Le strutture emerse negli scavi per la costruzione del nuovo

Museo dell’Acropoli; fig. 26 (in basso): una delle soluzioni adottate per ren-

dere fruibili le strutture emerse, grazie ad una variante del progetto di co-

struzione del museo.

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Fig. 27: L’edificio che ospita il nuovo Museo dell’Acropoli, situato immedia-

tamente a sud dell’Acropoli, nel quartiere di Makriyanni, veduta da foto aerea.

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Fig.28-29: La vista esterna del nuovo Museo dell’Acropoli, progettato

dall’architetto svizzero Bernard Tschumi insieme all’architetto greco Micha-

lis Photiadis, concepita come un imponente edificio in cemento, acciaio e

vetro, per riflettere sulla propria facciata l’immagine dell’antistante Acropo-

li.

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Fig. 30 (in alto): La concezione del percorso espositivo Nuovo Museo

dell’Acropoli in uno schizzo di Bernard Tschumi;

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Fig. 31: Il nuovo Museo dell’Acropoli, lo spazio espositivo con le Cariatidi

dell’Eretteo (con e senza l’istallazione per il restauro).

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Fig. 32-33: Il nuovo Museo dell’Acropoli: la grande sala dedicata

all’esposizione del complesso decorativo del Partenone (frontoni, metope e

fregio ionico), in contatto visivo diretto con l’Acropoli ed il Partenone, at-

traverso la grande vetrata.

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Fig. 34: British Museum, la sala con il Fregio Ionico del Partenone portato a

Londra da Elgin ed al centro di una lunga controversia tra il British Museum e

la Repubblica Ellenica sulla sua restituzione.

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Fig. 35 (in alto): Partenone, Fregio Ionico, lato nord, cavaliere, fotocompo-

sizione dei blocchi XXXIII (a sinistra) e XXXIV (a destra), rispettivamente

al British Museum e al Museo dell'Acropoli; fig. 36 (in basso): Partenone,

Fregio Ionico, lato Nord, corsa dei carri, fotocomposizione dei blocchi

XXVI, XXVII e XXVIII divisi in frammenti tra British Museum e Museo

dell’Acropoli.

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Fig. 37-38: Un edificio in Piazza Omonia prima (in alto) e

dopo (in basso) gli interventi di riqualificazione realizzati

nel centro della città nell’ ambito del Progetto di Unifica-

zione dei siti archeologici di Atene.

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Fig. 39-40: Via Apostolou Pavlou prima (in alto) e dopo (in basso)

l’intervento di pedonalizzazione, nell’ambito del Progetto di Unificazione

dei siti archeologici di Atene.

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Fig. 41-42: Interventi nell’ambito del Progetto di Unificazione dei

siti archeologici di Atene: gli interventi di pedonalizzazione e di

riqualificazione urbana a Piazza Omonia (in alto); il tratto del pro-

getto di pedonalizzazione delle strade tra Acropoli, Agorà e Cera-

mico, completato nel 2004 (in basso).

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Fig. 43: Pianta dell’Acropoli di Atene.

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Fig. 44: Schizzo con ipotesi ricostruttiva dell'interno della cella del Partenone

(da BERVE - GRUBEN 1962, fig. 65)

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Fig. 45 (in alto): Melina Merkouri, attivista greca, dal 1982 Ministro della Cultura.

Fu la principale sostenitrice della battaglia per il ritorno dei Marmi del Partenone e

del progetto del nuovo Museo dell’Acropoli. Fig. 46 (in basso): la statua dedicata a

Melina Merkouri in via Dionisiou Areopagitou ai piedi dell’Acropoli.

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Fig. 47: Coniugare tutela e sviluppo. La scommessa vinta dalla nuova metro-

politana di Atene e dal Museo dell’Acropoli. Nella foto gli scavi per la ferma-

ta ai piedi dell’Acropoli (fonte: Attiko Metro S.A., foto di A. Smaragdis).

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INDICE

INTRODUZIONE

pag. 7

CAP. I: L’ACROPOLI: LO SVILUPPO DIACRONICO

I.1: Preistoria e protostoria. pag. 10

I.2: Dall’Età Arcaica all’invasione persiana. pag. 11

I.3: La definizione monumentale in Età Classica. pag. 16

I.4: L’Età Romana. pag. 22

I.5: Dalla Tarda Antichità al Medioevo.

I.6: L’Età Moderna.

pag. 29

pag. 33

CAP. II: L’ACROPOLI E I SUOI MONUMENTI

II.1: Il monumento di Agrippa. pag. 38

II.2: Il Tempietto di Atena Nike. pag. 39

II.3: La porta Beulé e i Propilei. pag. 42

II.4: Il santuario di Artemide Brauronia e la Chalkothèke. pag. 44

II.5: L’Eretteo. pag. 46

II.6: Il tempio di Roma e Augusto. pag. 48

II.7: Il Partenone. pag. 49

CAP. III: RESTAURO E CONSERVAZIONE

III.1: I restauri nel loro contesto storico e culturale. pag. 62

III.2: Il periodo 1830-1863. pag. 66

III.3: Il periodo 1863-1910. pag. 69

III.4: Il periodo 1910-1940. pag. 73

III.5: Il periodo 1940-1944. pag. 76

III.6: Il periodo 1944-1974. pag. 77

III.7: Il periodo attuale: 1974-oggi. pag. 79

III.8: Presente e futuro dei restauri. pag. 83

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CAP. IV: TRA ANTICO E CONTEMPORANEO

IV.1: L’Acropoli e la città: un rapporto complesso. pag. 86

IV.2: Opere infrastrutturali e riemersione dell’antico:

gli scavi della nuova linea metropolitana.

pag. 90

IV.3: Il nuovo Museo dell’Acropoli. pag. 93

IV.4: Ricostruire l’identità dell’Acropoli: la questione

dei Marmi del Partenone.

pag.100

IV.5: Il progetto di unificazione delle aree archeo-

logiche di Atene: antico e contemporaneo verso

un rapporto integrato

pag.109

CONCLUSIONE

pag.113

DOCUMENTI E TESTIMONIANZE

- “Ai piedi dell’Acropoli”. Intervista ad Antonino

Di Vita.

- “I marmi del Partenone sono l’essenza

della grecità”. Discorso di Melina Merkouri

pag.123

pag.127

BIBLIOGRAFIA pag.137

TAVOLE

pag.157

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ristampa settembre 2015

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L’Acropoli di Atene è uno dei simboli per eccellenza del mondo classico. Eppure la sua storia travalica di gran lunga i l imiti dell ’età di Pericle e di Fidia. Questo saggio ci guida nelle sue vicende, dall ’età micenea, allo splendore del V secolo avanti Cristo, alle infinite distruzioni, trasformazioni, sovrapposizioni e ricostruzioni succedutesi nel corso dei secoli , dall ’antichità alla nascita della Grecia moderna, con la sua riscoperta del valore identitario dell ’ Acropoli ed i primi tentativi di restaurarne e conservarne i monumenti, f ino ai nostri giorni, che vedono accendersi i l dibatti to sull ’ inserimento e sulla funzione di questo straordinario patrimonio archeologico nel tessuto urbano contemporaneo e nel vissuto quotidiano di una metropoli di cinque milioni di abitanti.