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Storia della città, storia del potere. Note sulla struttura “politica” dell’Historia della Città e Regno di Napoli di Giovanni Antonio Summonte Antonio D’Andria L Historia della Città e Regno di Napoli di Giovanni Antonio Summonte, duramente stroncata come opera di plagio e opera a più mani, è non dimeno affascinante, alla lettura ed allo studio, per l’ambizioso pro- getto che traspare fin dal titolo: lo studio non solo storico (che di fatto si potrebbe definire stricto sensu “cronaca” 1 , ma ciononostante preziosa per la messe d’informazioni offerte), ma anche un’analisi dell’”antica e moderna politia, Tribunali, Nobiltà, Seggi, […] e degli Viceré del Regno”. La tesi politica del Summonte, definita dagli studiosi “fiorentina” e “ghibellina” 2 , di Napoli come repubblica libera fin dall’antichità, provata con citazioni da Plinio, Livio, Svetonio, viene addotta fin dal primo libro, in maniera significativa e certamente voluta dall’autore per fare della sua opera un terreno di discussione non solo storica, ma anche politica. Tuttavia, dell’autore stesso abbiamo pochissime notizie, provenienti da una biografia apposta all’edizione del 1748 della sua Historia della Città e Regno di Napoli da Scipione di Cristoforo 3 . Gli ambigui accenni del Di Cristoforo vengono cuciti a formare una sor- 1 È noto il giudizio che ne dà B. CROCE, Storia del Regno di Napoli, a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 1992, p. 222: “Il Summonte sembrava, qual era, aneddotico e senza critica”. 2 Cfr. G. GIARRIZZO, Erudizione storiografica e conoscenza storica, in G. GALASSO-R. ROMEO (a cura di), Storia del Mezzogiorno IX/2, Aspetti e problemi del Medioevo e dell’età moderna, Roma, Edizioni del Sole, 1991, pp. 545-547; R. VILLARI, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585- 1647), Bari, Laterza, 1967, p. 107. 3 S. DI CRISTOFORO, Vita di Giannantonio Summonte, premessa all’edizione della Historia del 1748, pp. 1-70.
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Storia della città, storia del potere. Note sulla struttura “politica” dell’Historia della Città e Regno di Napoli di Giovanni Antonio Summonte

Mar 07, 2023

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253UNA DIMORA PRINCIPESCA IN BASILICATA: IL PALAZZO DUCALE DI TRICARICO DA CASTELLO…

Storia della città, storia del potere.Note sulla struttura “politica”

dell’Historia della Città e Regno di Napolidi Giovanni Antonio Summonte

Antonio D’Andria

L’Historia della Città e Regno di Napoli di Giovanni Antonio Summonte,duramente stroncata come opera di plagio e opera a più mani, è nondimeno affascinante, alla lettura ed allo studio, per l’ambizioso pro-

getto che traspare fin dal titolo: lo studio non solo storico (che di fatto sipotrebbe definire stricto sensu “cronaca”1, ma ciononostante preziosa per lamesse d’informazioni offerte), ma anche un’analisi dell’”antica e modernapolitia, Tribunali, Nobiltà, Seggi, […] e degli Viceré del Regno”.

La tesi politica del Summonte, definita dagli studiosi “fiorentina” e“ghibellina”2, di Napoli come repubblica libera fin dall’antichità, provatacon citazioni da Plinio, Livio, Svetonio, viene addotta fin dal primo libro,in maniera significativa e certamente voluta dall’autore per fare della suaopera un terreno di discussione non solo storica, ma anche politica.

Tuttavia, dell’autore stesso abbiamo pochissime notizie, provenienti dauna biografia apposta all’edizione del 1748 della sua Historia della Città eRegno di Napoli da Scipione di Cristoforo3.

Gli ambigui accenni del Di Cristoforo vengono cuciti a formare una sor-

1 È noto il giudizio che ne dà B. CROCE, Storia del Regno di Napoli, a cura di G. Galasso,Milano, Adelphi, 1992, p. 222: “Il Summonte sembrava, qual era, aneddotico e senza critica”.

2 Cfr. G. GIARRIZZO, Erudizione storiografica e conoscenza storica, in G. GALASSO-R. ROMEO (acura di), Storia del Mezzogiorno IX/2, Aspetti e problemi del Medioevo e dell’età moderna, Roma,Edizioni del Sole, 1991, pp. 545-547; R. VILLARI, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Bari, Laterza, 1967, p. 107.

3 S. DI CRISTOFORO, Vita di Giannantonio Summonte, premessa all’edizione della Historia del1748, pp. 1-70.

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ta di romanzo biografico: vi si narra che la famiglia dello storico risale alme-no al XIV secolo, per poi accennare al fatto che Summonte fosse figlio diGiovan Vincenzo, nipote e collaboratore del noto erudito Pietro Summonte,amico di Pontano e, tra l’altro, editore e commentatore dell’opera pontanianaSulle cento sentenze di Tolomeo. Dopo aver fornito varie notizie sui fratellidell’autore, notai secondo la tradizione di famiglia, Di Cristoforo imbasti-sce una sorta di dramma della persecuzione di Summonte subita da parte dipatrizi napoletani le cui origini erano state smascherate come umili. Di cer-to sappiamo che Summonte morì il 29 marzo del 1602, dopo aver correttosolo due dei quattro volumi in cui doveva essere divisa la sua opera, chericevette numerose attestazioni di stima date da citazioni, più o meno pole-miche, e da ben quattro edizioni nell’arco del Seicento e del Settecento4.

L’Historia della Città e Regno di Napoli del Summonte è dunque un’ope-ra che può essere considerata basilare nella lunga storia della storiografia delRegno di Napoli5. Ciò non tanto per quanto concerne l’immediata diffusio-ne dell’opera, quanto per le sue travagliate vicende editoriali6 ed il suo lentoassurgere, nel corso dei secoli XVII e XVIII - almeno fino a Giannone -, amodello esemplare di ricostruzione complessiva ed a vera e propria “minie-ra” di informazioni per le notizie sui vari siti e personaggi del Regno.

La struttura dell’opera summontiana appare chiara ad una lettura moltoattenta, in quanto ad una prima scorsa risulta impostata su un disegno appa-rentemente caotico o cronachistico. L’impalcatura della narrazione rivelacome Summonte fosse lettore attento degli storici coevi, napoletani e non,basando il disegno costruttivo dell’Historia in base ad una sorta di “mappa”che mirasse a fornire al lettore un disegno esauriente del Regno7.

Oltre che “mappa” e summa del percorso della storiografia napoletanaprecedente, l’Historia vuole presentarsi come un’opera di alto livello “scien-tifico”. Summonte, infatti, fornì la sua opera di un’impalcatura cronologicae strutturale studiatissima, volta ad assicurare alla Historia un posto di rilie-vo nel dibattito storiografico: si trattò, insomma, di una costruzione cheunisse completezza informativa - largamente fondata sulle auctoritates clas-siche e moderne8 - e scrupolo documentario volto in certo qual modo a

4 Napoli, Carlino, 1601 (tomi I-II); Napoli, Gaffaro (tomi III-IV), 1640-43; Napoli, Bulifon,1675 (4 tomi); Napoli, Vivenzio, 1748 (6 tomi).

5 Per uno sguardo d’insieme sui temi della storia locale del Regno di Napoli, mi permetto dirinviare alla mia recensione al convegno Il libro e la piazza. Le storie locali dei Regni di Napoli eSicilia, in “Bollettino Storico della Basilicata” 19 (2003), pp. 199-206.

6 Sulla questione delle vicende editoriali dell’Historia, cfr. R. VILLARI, La rivolta…, cit., pp. 107-108.7 Viene qui seguita la divisione dell’edizione Bulifon del 1675.8 Tale uso delle fonti è stato duramente criticato dai pochi studiosi che hanno accennato al-

l’opera nel suo complesso: cfr. S. BERTELLI, Storiografi, eruditi, antiquari e politici, in E. CECCHI-N.SAPEGNO (a cura di), Storia della letteratura italiana, V, Il Seicento, Milano, Garzanti, 1967, pp. 381-

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riassumere ed oscurare la circolazione della storiografia precedente con unanarrazione esaustiva e quanto più critica possibile, nei limiti che la parola“critica” può assumere in uno storico del XVI secolo.

Nell’edizione principale, curata tra il 1601-2 ed il 1640-43, la materia èdistribuita in 4 volumi, di cui il primo copre le origini e l’archeologia diNapoli, con un intento di tipo “pliniano”, mirato a presentare i Mirabiliaurbis e le istituzioni napoletane; il II volume tratta del periodo compreso trail 1127 ed il 1442; il III copre il cruciale periodo tra 1442 e 1500, per poiconcludere la trattazione, nel IV, del periodo spagnolo dal 1501 alle rivoltedel 1585.

Il primo libro dell’Historia funge da archeologia, introduzione complessivadi tipo storico e geografico, secondo un modello risalente agli storici greci eromani, soprattutto all’ampia introduzione straboniana e polibiana, cheSummonte sembra tener presente nella mescolanza di storia e geografia. Lostorico, infatti, traccia, come in Strabone, in primo luogo l’elemento essenzia-le per la conoscenza del Regno, concentrandosi su Napoli, di cui espone laforma urbis considerata nell’analisi del sito (cap. I), nei miti di fondazione (II-III), nella vera e propria forma, ossia negli sviluppi urbanistici (IV) e nell’ana-lisi della religione (V). Da Polibio sembra, poi, derivare il modello compositivodel gruppo di capitoli de re publica, dedicati all’analisi delle istituzioni politi-che (polizia e giustizia, VI-VIII), per poi ritornare all’impostazione strabonianacon la descrizione dei mirabilia del Regno (IX-X).

Il libro, con una seconda parte di archeologia propriamente storica daCesare ai Normanni, ritorna poi ad una tipologia storica meno ibrida emeno debitrice nei confronti del modello descrittivo, in cui il raccordo conperiodi più documentati dalle fonti è attuato tramite l’uso continuo dimartirologi e la cronotassi dei vescovi, fino a giungere al 1127, ossia allaconquista normanna.

Il II tomo si apre appunto con Ruggero I, con un primo excursus sullaSicilia, certamente debitore alle Decades del Fazello, che è citato esplicita-mente, per poi proseguire fino a Manfredi, che chiude, infatti, il libromonografico normanno-svevo. Seguono due libri (III-IV) altrettanto mono-graficamente dedicati agli angioini.

Nel III tomo l’intero V libro è dedicato alle figure capitali della monar-chia aragonese, Alfonso il Magnanimo e Ferrante I, che vanno a formare ledue facce di un dittico “rovesciato”, certamente disposto nelle intenzionidello storico in modo da dare un’immagine speculare dei due regnanti del-l’età dell’oro, in contrapposizione alla corrente storiografica che voleva sullo

383; R. SIRRI, Giovanni Antonio Summonte, in V. Branca (a cura di), “Dizionario Critico dellaLetteratura Italiana”, III, Torino, UTET, 1973, p. 431; ID., Di Giovanni Antonio Summonte e dellasua Historia, in “ANSPN” LXXXVIII, a. IX terza serie, 1971, p. 7 ss.

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stesso piano Alfonso ed il figlio nella corretta gestione del patrimonio. Findall’introduzione, infatti, Summonte mostra chiaramente quale sia la suavalutazione negativa di Ferrante:

Quanto felici furono gl’anni del regnare di Rè Alfonso padre, che veramentein quel tempo l’età aurea possette chiamarsi nel Regno, e Città di Napoli;per contro, infelici seguirono gli anni di Ferdinando, che Ferrante primocomunemente fù detto, tutti colmi di guerre, di calamità, di ribellioni deBaroni, e de morti, come seguendo semo per dimostrare; che perciò bendisse colui, che appresso il buon tempo segue il cattivo9.

La “monografia aragonese” termina nel VI libro, che giunge, nel cap. IV,al 1442, seguito, nel IV ed ultimo tomo, il più ampio, dalle vicende dellacalamità d’Italia e dell’instaurarsi del dominio spagnolo nel Regno. La nar-razione è emblematicamente chiusa da un breve excursus sulla processionedel Santissimo Sacramento che, per il suo carattere frettoloso e quasi fuor diluogo, sembra evidente segnale della correzione apportata dall’autore suordine della censura, raffigurandosi come simbolo di una cristianità del do-minio spagnolo affermata con il simbolo del Santissimo Sacramento.

I libri dal VII al XII, infatti, sono una climax costruita secondo i modulidi un allargamento del respiro narrativo, per cui l’espansione della potenzadi Carlo V10 e Filippo II è seguita in progressione con l’espansione dellevicende che coinvolgono il Regno. Summonte non trascura nessuno deglieventi atti ad esaltare i re Cristianissimi, allargando la narrazione ad un re-spiro mediterraneo con riferimenti al sacco di Roma (VII 1-2), alle guerrecontro i protestanti (VIII 4) e Lepanto, emblematicamente posta nel libroXI, ancora una volta in un dittico, insieme l’impresa di Tunisi.

Chiusura dell’Historia è la strage del 1585 dell’Eletto Starace11, seguita davarie notizie sulle magistrature fino al 1590, con una disposizione e uno stilechiaramente frammentari, che mostrano la mancata correzione di questache è chiaramente un’aggiunta sotto forma di appunti sparsi: si tratta dei“cartigli” di cui la biografia del di Cristofaro narra che contenessero le corre-zioni apportate da Summonte in carcere?

A quest’ipotesi fa però difficoltà il fatto che di Cristofaro affermi esplici-tamente che lo storico napoletano avesse corretto solo due dei quattro volu-

9 G. A. SUMMONTE, Historia della Città e Regno di Napoli, Napoli, Bulifon, 1675, t. III, V 1, p.233.

10 Sull’esaltazione di Carlo V come culmine della storia napoletana, cfr. A. MUSI, Carlo V nellaHistoria della città e Regno di Napoli di Giovanni Antonio Summonte, in B. ANATRA- F. MANCONI

(a cura di), Sardegna, Spagna e Stati italiani nell’età di Carlo V, Roma, Carocci, 2001, pp. 51-6111 Su quest’episodio e sulla valenza emblematica che ebbe nella coscienza politica napoletana

dell’epoca cfr. R. VILLARI, La rivolta…, cit., pp. 42-54.

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mi dell’edizione Carlino. In alternativa, si potrebbe pensare che quest’ag-giunta sia sì di Summonte, ma che sia stata presa dalle carte personali del-l’autore nella pubblicazione degli ultimi due tomi nel 1640-43, oppure che sitratti di materiali di altra provenienza, che potremmo definire “materialieditoriali” dell’editore stesso.

Nell’edizione Vivenzio del 1748, infine, la materia e la divisione vengonoridistribuite in sei tomi, con lo sdoppiamento dell’archeologia in due libridistinti, per un totale di 13 libri contro i 12 dell’edizione Bulifon del 167512.

Come risulta da un’attenta lettura già dell’indice, la struttura compositivadell’opera appare studiatamente giocata su parallelismi compositivi e su snodistorici che al Summonte premeva evidenziare.

Caratteristica della narrativa summontiana è quella che potremmo defi-nire una struttura a dittico rovesciato: l’opera è strutturata in modo da svi-lupparsi secondo paralleli o rovesciamenti, ossia la narrazione storica proce-de solo apparentemente e superficialmente in maniera freddamentecronachistica, in quanto ad un esame più attento emerge il fatto che ilSummonte dedichi ai vari sovrani o libri interi, accorpandone le vicende inmaniera monografica, come nel caso dei Normanni e degli Svevi13, o frantu-mi la narrativa concernte una dinastia in una sorta di dittico.

Primo esempio di quanto stiamo cercando di estrapolare da una primalettura è la diade IV-V, dedicata agli angioini. Il IV libro si sviluppa sull’asce-sa della dinastia angioina a partire dal re Carlo, per arrestarsi in limine allevicende di Giovanna I, che funge da punto nodale e culminante della para-bola della dominazione angioina nel Mezzogiorno d’Italia. A questo culmi-ne segue il V libro, con il progressivo declino della dinastia, che trova inRenato d’Angiò il punto finale e più basso, come si può notare dalla posi-zione della sezione che lo concerne alla fine del libro.

Ugualmente si procede per quanto riguarda gli aragonesi. Anche qui lamateria è distribuita in due libri, disposti sempre a dittico e riguardantiascesa e declino della dinastia: al libro Vi, come già detto monograficamentededicato all’età aurea di Alfonso e Ferrante I, corrisponde specularmente ilVII libro, con la caduta degli aragonesi. Anche qui, come nella “sezioneangioina”, abbiamo degli accorgimenti che evitano la caduta in un’eccessiva“monografizzazione” della materia. Summonte inserisce come punti focali

12 Si avverte che nel corso della nostra disamina sarà utilizzata, in sede di citazione, salvodiversa indicazione, l’edizione dell’Historia stampata a Napoli da Vivenzio.

13 Cfr. il III libro, che, partendo da Ruggero il Malo, termina con Manfredi. Del resto, lastoriografia del Cinquecento, dal Carafa al Summonte, ebbe tra i suoi temi portanti la ridiscussionesu Federico II e sul modello di governo normanno-svevo: cfr. G. GIARRIZZO, Erudizionestoriografica…, cit., p. 544.

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determinati eventi che allo stesso tempo chiudono la sezione e la legano alperiodo successivo: così, se per la dinastia angioina queste “cerniere narrati-vo-storiche” erano Giovanna I e Renato d’Angiò, per quanto concerne gliaragonesi snodi focali sono Ferrante I per il primo “tassello” del dittico,quello in crescendo, la descrizione della processione del Santissimo Sacra-mento per il tassello speculare, quello del declino.

Non a caso, quest’ultimo nodo è di carattere interno e politico, andandoad evidenziare un evento interno ed insistendo sul tema della preminenza diPiazze e Seggi nella politica della città14. Il momento di crisi governativaviene comunque visto come crisi esterna, cui Napoli risponde con la tradi-zionale divisione in una diarchia che qui significativamente viene però mes-sa in crisi per la sclerotizzazione e il declino della politica imposta dall’ester-no degli ultimi aragonesi.

Che la caduta della dinastia aragonese rappresenti nell’ottica del Summonteun punto epocale dal punto di vista storico e politico15 lo si nota dal passag-gio dal VII all’VIII libro, in cui la struttura a dittico rovesciato viene comun-que mantenuta e applicata non più a periodi omogenei e contigui, ma agruppi narrativi di eventi che corrispondono ad un enorme ampliamentodella struttura narrativa e tematica. Così, alle guerre d’Italia di Carlo V, ilcui nodo e punto terminale è il trionfo napoletano del 1536, corrispondonole guerre esterne, il cui punto focale è la guerra contro i protestanti, “misurae peso di tutte le cose”.

Questa struttura lineare e giocata sui paralleli viene significativamente inter-rotta da spie narrative che mostrano il deteriorarsi del dominio spagnolo suNapoli: così, significativamente, ampio spazio viene dato, nel libro X, alla poli-tica interna, con la rivolta del 1547 e un’ampia narrazione sul ruolo deiSanseverino, peraltro già messi in evidenza nella sezione dedicata a Federico II16.

14 Sul problema della nobiltà e delle tematiche politiche connesse alla lotta tra nobili e popolo,cfr. G. CIRILLO, “Generi” contaminati. Il paradigma delle storie feudali e cittadine, in Il libro e lapiazza. Le storie locali dei Regni di Napoli e di Sicilia in età moderna, a cura di A. Lerra, Manduria-Bari-Roma, Lacaita 2004, pp. 157-210.

15 Sulla questione di un Summonte “aragonese”, orientato sul versante anticastigliano, aragonese,che suggerisce un costituzionalismo di tipo “popolare”, cfr. G. GIARRIZZO, Erudizione storiografica….,cit., p. 545-546 (contra A. MUSI, Storie “nazionali” e storie “locali”, in Il libro e la piazza…, cit. p. 15).In questo senso la struttura della “monografia aragonese” acquista la sua forza, contrappostavolutamente a quella angioina, che divide la diarchia tradizionale di Napoli. L’affermazione iviesposta della polemica di Summonte contro Alfonso il Magnanimo, che al termine del suo regnobloccò gli antichi onori del popolo, va interpretata come un’altra di quelle “spie” summontiane dicrisi - scampate alla censura - in un’altrimenti difesa programmatica del regno del Magnanimocome età dell’oro.

16 Il ruolo dei Sanseverino nella politica napoletana, infatti, veniva già messo in rilievo dalSummonte a III 7, con esplicito riferimento all’Ammirato: “successe poi per la nimicizia conceputatra l’Imperador Federico, e i Romani pontefici, che molti Baroni del Regno si scoversero, quali infavor del Pontefice, e quali dell’Imperadore, intanto che quelli della famiglia Sanseverina, come

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La struttura a dittico viene così, man mano che ci si avvicina al termineed all’epoca dell’autore, messa in crisi da sezioni “stonate”, quasi contrappuntinascosti all’esaltazione costante di Carlo V e Filippo II, che vengono unitiin dittico - stavolta non rovesciato, secondo i dettami dell’encomiorinascimentale e del ritratto d’ascendenza “gioviana”, di cui parleremo - nellibro XI, cui fa da traino la narrazione bellica del XII, imperniato su Lepantoe sulla conquista di Tunisi.

Emblematica dell’inquietudine politica che appare già negli ultimi libri èla chiusura “stonata” dell’ultimo libro, con l’ampia narrazione della mortedell’Eletto Starace, cui segue, come si è visto, una sorta di appendice docu-mentaria su magistrati ed altri problemi interni.

L’Historia si chiude così, apparentemente, su uno scenario di politicagrandiosa a livello internazionale, con la conquista del Portogallo da partedi Filippo II, cui fa da contraltare inquietante la presenza di rovinosi tumul-ti in Napoli, la cui narrazione si chiude senza alcun commento o congedodell’autore, sicuramente dovuto alla mancata correzione che il Summontenon poté fare del testo, ma forse ultima spia ed appello a quella città ed aisuoi Eletti cui lo storico napoletano si era affidato nella dedica originaria.

Proprio la narrazione di chiusura, con il suo tono esemplare applicato adun fatto grave - che colpiva un Eletto - ed ancora vivo nella memoria collet-tiva di Napoli, mostra quanto profondamente politica sia la struttura stessadell’Historia, come si è avuto modo di dimostrare. Sebbene la strage Starace,descritta in termini fortemente drammatici, quasi “tragici” da Summonte,non vada totalmente simbolizzata17, è evidente che la narrazione presentaconnotati che, aldilà del significato immediato e storicamente definibile del-l’episodio, indussero Summonte a collocarla come suggello della sua opera equasi della tesi popolare che la sottende.

Va innanzitutto detto che la posizione conclusiva della narrazione focalizzal’attenzione del lettore su quanto lo storico è andato progressivamente deli-neando nell’ampia trattazione dei rapporti tra Napoli ed il governo: la fedel-tà, la reciproca fiducia tra le due parti, viene quasi ad essere spezzata da unepisodio che si potrebbe definire “erodoteo”. Come avveniva nello storicogreco, si pone al termine dell’opera una sorta di aneddoto “morale” atto a

scrive l’Ammirato, tutti come Baroni Religiosi i quali sapeano, che il supremo dominio del Regnoessere della Sede Apostolica, presero l’armi per la Santa Chiesa” (ediz. Vivenzio, p. 332). È eviden-te come questo tema “autonomista” vada a porsi come snodo nella narrazione delle crisi anche alivello di microsezioni, costituendo una sorta di leitmotiv della concezione politica del Summonte.Sul tema nobiliare nella società e nella cultura napoletana cfr. G. VITALE, Modelli culturali nobiliaria Napoli tra Quattro e Cinquecento, in “Archivio Storico per le Province Napoletane” CV (1987),pp. 27-103.

17 Come avviene in R. VILLARI, La rivolta antispagnola…, cit., pp. 44-46.

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definire la cifra dell’intera trattazione: se in Erodoto l’aneddoto finale con-cerneva il tema dello phtonos teon, in Summonte la strage di Starace indicache l’equilibrio del pactum tra sovrano e Città si spezza ogniqualvolta sicerchi, da parte delle magistrature locali, di far pendere l’ago della bilancia afavore di una delle due parti. Nel caso dell’eletto Starace, la sua pretesa disalire al livello della nobiltà, dimenticando che l’ufficio degli Eletti è quellodi rappresentare il popolo, è causa scatenante della rottura, della rescissionedella fiducia che il Popolo dà ai suoi eletti.

La stessa minuzia della narrazione recupera il topos del de mortibuspersecutorum, spesso utilizzato in questi contesti di “rottura” lungo la narra-zione18, adattandolo al contesto, per cui la punizione è adeguata al delittocommesso, che in questo caso è ancora più grave perché si tratta di un pubbli-co magistrato che ha manipolato le risorse comuni per suoi fini personali.

Vedrei, dunque, condivisibile la tesi di Villari che vede nelle fasi dell’ec-cidio un marcato simbolismo che, se certo non fu voluto nello svolgersieffettivo dei fatti, lo fu nella narrazione fortemente “epicizzata”, a foschetinte, del Costo e del Summonte, nel quale la topicità delle descrizioni dimorti illustri, specie di tiranni, viene piegata, come sempre, a solennizzare,quasi ad incidere, un fatto ancor vivo nella memoria collettiva.

In conclusione, dunque, il risalto simbolico e letterario di un Summonte,che pone l’episodio a suggello di un’opera in cui predomina la tesi politica diun governo congiunto di Nobili e Popolo, ci fa pensare che in esso si vedessequasi un discrimine tra la vecchia e la nuova Napoli, tra una tradizionale diarchiache portava ad una stabilità ed una medietà di governo tipica di Napoli el’insorgere di una netta divisione, operata dalla Spagna, tra popolo e nobiltà.Nel caso del popolo, il favorire il ministero togato aveva avuto lo scopo disfruttare la possibilità di far fare carriera agli homines novi per favorire nelcontempo la gestione interna; per la nobiltà di Piazza, però, la difesa dell’or-dine costituito ab antiquo era rimasta la priorità assoluta nei rapporti con ilpotere vicereale, che iniziava a intravedere le possibili negative conseguenze diun eccesso di potere nelle mani della parte popolare. La strage Starace diventa,in questo senso, un modo per fare marcia indietro, evitare gli eccessi e ristabi-lire una sorta di controllo sul popolo individuando un capro espiatorio perevitare ritorsioni dirette contro il governo centrale.

L’inquietudine “politica” che nel corso dell’opera emergeva in quelle cheabbiamo definito “spie narrative” e strutturali viene ad esplodere e diventareesplicita nella chiusa della narrazione, vero suggello dell’opera ed espressio-ne non più cifrata, ma aperta e chiara nella sua drammaticità, di un autoreche vede la storia napoletana come un continuo, dinamico interagire tranobili e popolo, una diarchia che è la vera protagonista della storia della

18 Come si è detto, il caso su cui Summonte più insiste è quello dei Sanseverino (cfr. supra).

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Città e che con il suo continuo inclinarsi da una parte o dall’altra muta lesorti politiche.

In conclusione, si riporta l’indice dell’edizione Vivenzio del 1748, con lacomparazione alle pagine dell’edizione Bulifon:

TOMO I

Libro I (Bulifon t. I, p. 1-29019)

I. Del sito della Città di NapoliII. Dell’edificatione della città di Cuma, e dell’origine della Città di Na-

poliIII. Perché la città di Partenope fu detta Napoli, e se Palepoli fu questa o

altra Città qui vicinaIV. Dell’antica forma della città di NapoliV. Dell’antico culto degli dei, e della falsa religione che i Napolitani pri-

ma dell’Avvento del Signore osservavano al tempo della gentilitàVI. Dell’antica, e moderna Politia della Città di NapoliVII. Delli Tribunali, e Magistrati della Città di NapoliVIII. De i seggi di Napoli, loro origine, reggimento, e prerogativeIX. Dell’Acque, e Fontane della Città di NapoliX. Il Distretto, e Contado della Città di Napoli, con le Provincie, e

Vescovati del Regno, Isole, Fiumi, Laghi, Porti, e sue delitie: Il nume-ro dei Signori, de’ Vassalli, con i sette principali ufficj del Regno

XI. Sommario delle Chiese, e Cappelle di Napoli, con i Corpi de’ Santi, eBeati, et altre Reliquie, ch’in esse sono, et anco le Religioni,Confraternità, et opere di Pietà

TOMO II

Libro II

I. Delle cose avvenute nella Città, e Regno di Napoli, dall’Impero diGiulio Cesare, fino alla venuta de’ Normanni (B. t. I, p. 290-444)

II. Venuta de i Normanni in Italia, e de’ loro progressi in Puglia, et inCalabria, e prima della loro origine (B. t. I, p. 444-490)

19 D’ora in poi indicato semplicemente come B.

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Libro III

I. Di Rugiero I. Re di Sicilia, Duca di Puglia, di Calabria, e di Napoli, ePrincipe di Salerno (B. t. II, 2, p. 1-36)

II. Breve trattato Dell’Isola di Sicilia, e de’ suoi Re; e perché il Regno diNapoli fu detto Sicilia (B. t. II, 2, p. 37-41)

III. Di Guglielmo Primo Di questo nome, e secondo Re di Sicilia detto: ilmal Guglielmo (B. t. II, 2, p. 43-57)

IV. Di Guglielmo Secondo Di Tal nome, detto il Buono, III. Re di Napo-li, e di Sicilia (B. t. II, 2, p. 59-67)

V. Di Tancredi Quarto re di Napoli, e di Sicilia, e Conte di Leccio (B. t.II, 2, p. 69-73)

VI. Di Guglielmo Terzo Di tal Nome Re di Napoli, e di Sicilia, et ultimode’ Normanni (B. t. II, 2, p. 75-80)

VII. Di Henrico Sesto Imperador Romano, e VI. Re di Napoli, e di Sicilia(B. t. II, 2, p. 83-85)

VIII. Di Federico Secondo Imperador Romano, e I di tal nome, Re di Na-poli, e di Sicilia (B. t. II, 2, p. 87-103)

IX. Di Corrado Re de’ Romani, Et unico di questo nome del Regno diNapoli, e di Sicilia (B. t. II, 2, p. 105-123)

X. Di Manfredi Nono, Re di Sicilia, e del Regno di Napoli (B. t. II, 2, p.125-198)

TOMO III

Libro IV

I. Di Carlo I. di questo nome, e decimo Re di Siclia, e del Regno diNapoli (B. t. II, 3, p. 201-321)

II. Di Carlo Secondo Di questo nome, et Undecimo Re di Napoli (B. t.II, 3, p. 323-367)

III. Di Roberto XII. Re di Napoli (B. t. II, 3, p. 369-411)IV. Di Giovanna I. di tal nome, e XIII. Regina di Napoli (B. t. II, 3, p.

413-473)

Libro V

I. Di Carlo III. Detto da Durazzo XIV. Re di Napoli (B. t. II, 4, p. 475-499)

II. Di Ladislao XV. Re di Napoli (B. t. II, 4, p. 501-563)

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263STORIA DELLA CITTÀ, STORIA DEL POTERE. NOTE SULLA STRUTTURA “POLITICA”…204

III. Di Giovanna II. Detta di Durazzo XVI. Nel numero de’ Re di Napoli(B. t. II, 4, p. 565-622)

IV. Di Renato Di Angiò XVII. Re di Napoli (B. t. II, 4, p. 627-651)

TOMO IV

Libro VI

I. Di Alfonso di Aragona Primo di questo nome, XVIII. Re di Napoli, edi Sicilia (B. t. III, 5, p. 1-230)

II. Di Ferrante di Aragona Primo di questo nome, XIX. Re di Napoli, edi Sicilia (B. t. III, 5, p. 233-544)

TOMO V

Libro VII

I. Di Alfonso Secondo Vigesimo re di Napoli (B. t. III, 6, p. 481-504)II. Di Ferrante Secondo XXI. Re di Napoli (B. t. III, 6, p. 509-525)III. Di Federico Secondo XXII. Re di Napoli (B. t. III, 6, p. 527-532)IV. Confederazione del Re di Spagna con Lodovico Re di Francia per

l’acquisto del Regno di Napoli, e prima come il Re di Francia pren-desse Milano (B. t. III, 6, p. 533-558)

V. Di Ferdinando il Cattolico Re di Spagna, di Napoli, e di Sicilia (B. t.IV, 6, p. 1-13)

VI. Di Giovanna di Aragona XXIV. Regina di Napoli, la quale avendoregnato mesi 14. Sostituì Carlo d’Austria suo Figliuolo (B. t. IV, 6, p.14-15)

VII. Morte della Regina Giovanna Vecchia, ed anco di Giovanna la giova-ne sua Figliuola (B. t. IV, 6, p. 15-19)

VIII. Della Processione del Santissimo Sacramento, con l’origine, e Pro-gresso di quella circa le Preminenze delle Piazze (B. t. IV, 6, p. 19-24)

Libro VIII

I. Come Carlo d’Austria fusse istituto Re delle Spagne dalla Regina Gio-vanna Terza sua Madre; come fusse assunto all’Imperio; come cacciò iFrancesi da Milano; come avesse il Re Francesco prigione; come si ma-ritasse, e li nascesse Filippo Principe delle Spagne (B. t. IV, 7, p. 25-70)

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264 ANTONIO D’ANDRIA

II. Della Presa, e Sacco di Roma, Assedio di Napoli, Guerra Navale fattaal Capo di Orso, con la morte di Lotrecco, ruina del suo Esercito: ecome poi fu stabilita la pace tra l’Imperadore, e Francia20

III. Coronazione di Carlo V. Imperadore, fatta in Bologna a’ 24. di Feb-braio nel 1530. e della fuga del turco da Vienna (B. t. IV, 7, p. 70-79)

IV. Come per la venuta di Sinam Giudeo molti forastieri vennero ad abi-tare in Napoli, e della venuta di Don Pietro di Toledo Viceré delRegno, il quale cominciò ad imbellir la città (B. t. IV, 7, p. 79-87)

V. Come Barbarossa si fe’ Signor di Tunisi, e Carlo V. personalmenteandasse all’Impresa dell’Auletta, riponesse Moleassen nello Stato, sene venisse in Sicilia, e d’indi si partisse per Napoli (B. t. IV, 7, p. 87-91)

VI. Il glorioso Trionfo, e bellissimo apparato, dalla città di Napoli fattonell’entrare in essa la Maestà Cesarea di Carlo Quinto (B. t. IV, 7, p.91-123)

VII. Carlo V. giunge in Roma, ove si risentì col Papa del Re Francesco; edopo alcune guerre tra loro, ferono Tregua per anni 10. nel qualetempo morì Isabella Imperatrice, e fu l’incendio di Pozzuolo (B. t. IV,7, p. 123-132)

Libro IX

I. Come Carlo V. andò all’impresa di Algieri, ove essendosi turbato ilmare, vi perdé gran parte della sua Armata (B. t. IV, 8, p. 133-138)

II. Il re di Francia rompe la tregua con l’Imperadore, et egli avendo di-chiarato Filippo suo Principe di Spagna, se ne andò in Fiandra: ondeavendo molto guerreggiato, si pacificò col Re Francesco come il Prin-cipe Filippo tolse moglie, l’eresia del Re d’Inghilterra, e fatti diBarbarossa (B. t. IV, 8, p. 138-151)

III. Moleassen Re di Tunisi viene in Napoli, e come ritornando nel suoregno, fu maltrattato da Amida suo Figliuolo, e della crudeltà usatada lui a’ suoi Fratelli, e nipoti per restar Signore del regno, e di altrisuccessi avvenuti in Napoli nell’istesso tempo (B. t. IV, 8, p. 151-163)

IV. Carlo V. doma la Germania, e fa prigione il Duca di Sassonia, e di-chiara donde viene la misura, et il peso di tutte le cose (B. t. IV, 8, p.163-168)

20 Nell’edizione Bulifon questo capitolo è stato incorporato nel cap. 2, anche se la numerazio-ne - nell’esemplare da me consultato presso la Biblioteca Provinciale di Matera (BPMT, FondoGattini, coll. CVS 2501-2504)- riprende poi dal cap. 4.

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265STORIA DELLA CITTÀ, STORIA DEL POTERE. NOTE SULLA STRUTTURA “POLITICA”…204

Libro X

I. Tumulto successo in Napoli l’anno 1547. e di altre novità avvenutenel Governo di D. Pietro di Toledo Viceré del Regno (B. t. IV, 9, p.169-226)

II. Come il Principe di Salerno licentiato dall’Imperadore venne in Na-poli, e quel che di lui, e del Toledo successe, per infino che morirono,e prima dell’origine della Famiglia Sanseverina, e dei fatti di esso Prin-cipe (B. t. IV, 9, p. 226-251)

III. Nozze di Maria, e di Giovanna figlia dell’Imperadore Carlo V. e pas-sata del Principe Filippo in Italia con l’impresa d’Africa, et assedio diMalta. e de’ fatti di Dragutto Rais (B. t. IV, 9, p. 252-260)

TOMO VI

Libro XI

I. Filippo Principe di Spagna si accasa la seconda volta con Maria Regi-na d’Inghilterra, e fu anco investito del Regno di Napoli, e primadelle Moglie, e figli, di Henrico Padre di detta Regina (B. t. IV, 9, p.261-263) 21

II. Come il Re Filippo havuto dall’Imperadore suo Padre l’Investituradel regno di Napoli, mandò a pigliare il possesso. Della morte dellaRegina Giovanna Madre dell’Imperadore. Della Guerra di Napoli conil Papa, e del Decimo Viceré del Regno (B. t. IV, 9, p. 264-293)

III. Carlo V. havendo rinunciato i Regni a Filippo suo Figliuolo, el’Imperio a Ferdinando suo fratello, si ritira a vivere, come religioso,nel cui stato finì il rimanente di sua vita; nell’istesso tempo ancoramorì Maria regina d’Inghilterra, e li successe Elisabetta sua sorella, laqual fe’ morire Maria di Scozia (B. t. IV, 10, p. 294-308)

IV. Esequie dell’Imperadore Carlo V. celebrate in Bruscelle, et in Napoli;prima della Morte delle due Regine Zie del Re Filippo, dell’Ordinedel Tesone d’Oro (B. t. IV, 10, p. 308-330)

V. Bona Forza, Regina di Polonia viene in Puglia, e morendo lascia ilDucato di Bari al re Filippo; nel cui tempo fu da’ turchi presa Massa,e Sorrento; e si fa la Pace tra il Re Filippo, et il Re di Francia, dell’in-felice successo dell’impresa di Gerbi (B. t. IV, 10, p. 330-343)

VI. L’Assedio di Malta, ove morì Dragutto Rais (B. t. IV, 10, p. 343-355)VII. Morte di Carlo Principe di Spagna, e d’Isabella terza moglie del Re

21 Questo capitolo è inserito come capitolo finale del libro IX nell’edizione Bulifon.

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266 ANTONIO D’ANDRIA

Filippo, e di Maria d’Aragona Marchesa del Vasto, e del quarto Matri-monio di esso Re, et altri avvenimenti (B. t. IV, 10, p. 355-364)

Libro XII

I. Della gran giornata vittoriosa contro i turchi conseguita dalli Genera-li della Santa Lega l’Anno 1571. E prima della perdita dell’isola diCipro (B. t. IV, 11, p. 365-394)

II. Impresa di Tunisi fatta per D. Giovanni d’Austria l’Ottobre dell’anno1573. Il che fu principio degl’infelici successi, perché nell’anno se-guente il Turco prese l’Auletta, e Tunisi (B. t. IV, 11, p. 394-408)

Libro XIII

I. Impresa del regno di Portogallo fatta dal Cattolichissimo Re Filippocon altri successi fino all’anno 1584. Ove prima si scorge la discen-denza di Emanuele XIV. Re di esso regno, e di Maria sua moglie, de’quali nell’anno 1480. per la morte del Cardinal Enrico ultimo Re, esettimo figliuolo di esso Emanuele, restarono cinque pretendenti allasuccessione di quello, il che si vede per le P. signate nella seguentefigura, ma prevalendo le ragioni, e forze del Re Filippo, il Regno ven-ne in suo dominio; e primo si racconta la morte del Re Sebastianocon due Re di Marroco, e Fez (B. t. IV, 12, p. 409-430)

II. Venuta degli ambasciatori Giapponesi in Roma, e dello loro ritorno il(sic) Lisbona, e come il Re Filippo maritò Catterina sua figlia (B. t. IV,12, p. 431-446)

III. L’acerba, e crudel morte di Gio: Vincenzo Starace Eletto del Fedelis-simo Popolo di Napoli con molte altre cose accadute dal mese diMaggio 1585. per tutto l’anno 1590 (B. t. IV, 12, p. 446-479)

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356 RECENSIONI

Saverio Napolitano, La storia assente. Territorio, comunità, poteri loca-li nella Calabria nord-occidentale (XV-XVIII secolo), Catanzaro,Rubbettino, 2003, pp. 232.

La zona nord-occidentale della Calabria è stata ampiamente indagata per quantoconcerne l’antichità magno-greca e romana, nonché per il problema del brigantaggio;manca, tuttavia, uno studio d’insieme atto ad individuarne le caratteristiche in etàmoderna e, soprattutto, il carattere di “microstoria dinamica” che tale area presentatra il Quattrocento ed il Settecento.Il libro di Saverio Napolitano parte proprio dall’assunto che la zona in questione,che giunge ad inglobare nei suoi processi evolutivi anche Maratea, presenti un co-stante carattere di dinamicità non ancora del tutto compreso ed indagato. L’autore,membro della Deputazione di Storia Patria della Calabria, riunisce nel volume varisaggi, composti in periodi differenti, in una visione volta ad evidenziare in primoluogo gli assetti urbani e rurali, partendo da quelle spie più macroscopiche dell’evo-luzione storica che sono monumenti ed assetti urbanistici, per poi concentrarsisulle istituzioni e sull’iconografia sacra, altro importante specchio dei cambiamentisocio-culturali. Il primo capitolo, Villaggio rurale e villaggio urbano: Papasidero fino al XVI secolo,affronta appunto l’evoluzione dei contesti, ottenuti in primo luogo tramite l’analisidelle istituzioni, ma anche dell’onomastica, che giunge in soccorso della ricostru-zione storica quando mancano le fonti d’archivio, tramite l’osservazione dellesedimentazioni che danno misura del tempo e delle dominazioni sul territorio.Napolitano analizza, inoltre, i monumenti come prove del loro essere punti di rac-cordo ed accentramento in aree a forte vocazione strategica come quella dell’altoTirreno cosentino, che assume una forte valenza di controllo commerciale poi per-sa con lo sviluppo urbano post-normanno.Se l’assetto rurale è analizzato tramite il ricorso alle fonti monumentali etoponomastiche, in un insieme di capitoli dedicati rispettivamente agli statuti del-l’Università di Laino (III: Per lo bono quieto et pacifico vivere. Economia e civiltàmateriale negli statuti dell’Università di Laino [1470-1535]), alle relationes ad liminadei vescovi di Cassano allo Jonio (IV), al Monte di pietà di Papasidero (V: Povertà eassistenza: il Monte di pietà di Papasidero) ed al connesso associazionismo confraternale,Napolitano mira alla ricostruzione, nel microambiente calabrese, degli effettidell’interazione tra poteri locali e direttive ecclesiastiche.Soprattutto l’organizzazione ecclesiastica rivela come, dopo il Concilio di Trento,nell’area nord-occidentale della Calabria si vengano costituendo fondamentalmen-te delle “piccole repubbliche cristiane” con un assetto istituzionalizzato e di tiposociale, che fanno di confraternite ed altre iniziative della Chiesa vere e proprieorganizzazioni para-istituzionali e proto-democratioche, che - come l’autore rilevacon dovizia di riferimenti - avrebbero dato, specie nel XVIII secolo, un forte impul-so al giurisdizionalismo riformatore. L’assetto istituzionale, rigorosamente definitoe volto a coprire le sempre più numerose mancanze del potere nei vari ambiti, sinota specialmente nella disamina che Napolitano conduce sugli statuti, che appaio-no come codifiche regolari di elezioni e cariche, basati su un burocratismo “positi-

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vo” evidente nella diversificazione dei compiti e soprattutto nella volontà di nonassolutizzare un capo unico e fisso come nel governo centrale.Gli statuti delle associazioni e delle Università marcano anche la volontà unitariadegli intenti dei loro membri, diretti a diversificare gli obiettivi pur perseguendouno scopo unitario: si spiega, così, l’attenzione alle più minute regole di organizza-zione dei compiti e degli ambiti su cui operare. Le stesse confraternite, con le loroiniziative come i Monti di pietà, si pongono come veri e propri punti di interscambiotra politica e Chiesa, in cui la consonanza di vedute permette al potere ed alle orga-nizzazioni ecclesiali di interagire e migliorarsi a vicenda, in un’ottica illuminatabasata su codici di condotta armonica tra due dimensioni percepite come diversiaspetti del vivere civile e che creano un nuovo fedele integrato nella società.Accanto alla ricostruzione basata sulle fonti archivistiche, altrettanto fondamenta-le, nel volume, è l’analisi sociale fondata sull’iconografia e sviluppata in specialmodo nel capitolo II, Il basilianesimo in età basso-medievale e moderna nella regionemonastica del Mercurion, e nel capitolo VII, Condizione femminile, procreazione,maritaggio.I due saggi sono una serrata discussione sub specie imaginis dello sviluppo socio-economico dell’ampio territorio tra Maratea e Scalea tramite l’analisi dei repertoriiconografici presenti nelle chiese e visti come espressione evidente, come “visibileparlare” di problemi che affiorano chiari pur nell’apparente astoricità del soggettoreligioso. Nel caso del basilianesimo, Napolitano recupera le frammentarie testimo-nianze di diversi siti basiliani di età tardo-medievale per far notare come l’ereditàdel monachesimo italo-bizantino si protragga fino al XVI secolo, con strascichi“ecistici” e, in generale toponomastici. L’importanza del fenomeno venne compre-sa dalla Controriforma, che recupera la vitale attività socio-spirituale dei basilianiper contrapporsi al devozionalismo “dinamico” dei protestanti. Esempi del dialogotra Chiesa tridentina e basilianesimo sono dati dai vari recuperi di temi artistici ditipo bizantino, come nell’amplissima diffusione di martiri orientali come San Biagioa Maratea, patrono dei cardatori della lana in un’area a grande sviluppo agricolo, esan Leonardo, patrono della semina.Il saggio che chiude il volume prosegue idealmente questo discorso analizzando ilruolo della donna tramite una disamina del tema mariologico, sceverando ildidascalismo austero di Maria mater gentium dai modi della rappresentazione diMaria e delle varie sante nell’iconografia corrente, intese come specchi della donnanutrice, vista come essere puro e forte sulle cui spalle si regge l’economia casalinga.Da un simile e variegato discorso socio-politico emerge chiaramente la volontà del-l’autore di fare una storia globale, in cui le direttrici della “grande” storia sirispecchiano ed arricchiscono di valenze in un’area tradizionalmente ritenuta privadi storia ed immobilizzata nel ricordo di ciò che fu l’antichità. La “storia assente”viene dunque recuperata da Napolitano con un paziente mosaico di ricerche chespaziano dall’iconografia allo studio d’archivio.L’allargamento delle fonti consultate per la ricostruzione, reso necessario in primis,come Napolitano dichiara nella prefazione, dalla mancanza di sguardi d’insieme edalle condizioni lacunose di archivi e testimonianze, tende, in questo volume, so-prattutto ad una ricerca globalizzata e qualitativa: il quadro generale che l’autoredelinea di questa zona mira alla coralità, alla visibilità storica di un contesto visto

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nel suo dinamismo estrapolando le tematiche comuni, i fili conduttori nel lungoperiodo della modernità.Quest’impostazione è cercata proprio nella struttura “a mosaico” dei vari saggi,sorretti da un vasto apparato di note e da una metodologia rigorosa, dichiaratamenteispirata alla correlazione tra uomo ed ambiente di ascendenza braudeliana ed allascuola storica francese.

Antonio D’Andria* * *

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Ripensare il Mediterraneo. Intorno alla Collana “Europa Mediterra-nea”

Un collana tematica come quelle cui si è abituati offre spesso la possibilità allostudioso di esaminare un tipo di contesto o problematica da un punto di vista am-pio e variegato in quanto al tema, ma pur sempre limitato ad una tematica. Inoltre,collane simili cercano di presentare i lavori di un gruppo di studiosi già attenti adeterminati ambiti.Una novità, che cerca di coniugare i risultati della formazione offerta da un Dotto-rato di Ricerca con il rigore scientifico e la varietà tematica, è stata presentata il 5maggio 2004 a Fisciano, presso l’Osservatorio dell’Appennino Meridionale. LaCollana “Europa Mediterranea” (Pietro Lacaita Editore), con suoi i primi tre titoli,è il frutto del lavoro di ricerca scientifica del Dottorato di Ricerca in Storia dell’Eu-ropa Mediterranea dall’antichità all’età contemporanea. Dopo l’introduzione diIleana Pagani, Presidente del Consorzio Osservatorio dell’Appennino Meridiona-le, proprio gli interventi preliminari di Aurelio Musi ed Antonino De Francescohanno inteso inquadrare i testi nell’ambito del Dottorato di Ricerca, presentandonel contempo la Collana come rappresentazione visibile e tangibile di un’iniziativavolta a sceverare le numerose ed ampie problematiche che emergono da uno spettrotemporale e geografico così ampio come quello del Mediterraneo lungo tutto l’arcodella storia antica, medievale e moderna.Aurelio Musi, attuale coordinatore del Dottorato di Ricerca, ha evidenziatoinnanzitutto il ruolo importante del Dottorato, che unisce in consorzio varie uni-versità (Campobasso, Catania, Cosenza, Lecce, Milano, Palermo, Pescara, Potenza,Salerno, Teramo), unendo a questa sinergia di vari atenei un lungo termine storicoche consente una verifica della ricerca sulla lunga distanza.Tale varietà tematica si concretizza per l’appunto nella Collana, i cui primi tre titolievidenziano un ampio esame in contesti diversificati e complessi: il testo di Giusep-pe Cirillo, infatti, esamina le trasformazioni delle regioni a vocazione pastorale,mentre l’analisi di Maria Anna Noto va a riprendere e chiarire approfonditamenteil dibattito sulla natura dello Stato Pontificio inaugurato da un ventennio dalle ana-lisi di Paolo Prodi1. Infine, la ricerca di Luigi Alonzi intende, all’interno del lungoprocesso storico, evidenziare il tema del valore economico e sociale in relazione allafamiglia, con l’esame delle vicende della famiglia Boncompagni tra XVI e XVIIIsecolo. Il Dottorato di Ricerca, inoltre, come ha rilevato Antonino De Francesco(Università Statale di Milano), direttore della Collana insieme a Pierluigi Leone deCastris, Aurelio Musi e Bruno Pellegrino e già coordinatore del suddetto dottorato,è la prima iniziativa a pensare ad una collana che riprenda criticamente i migliori

1 Ci riferiamo a P. PRODI, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella primaetà moderna, Bologna 1982.

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risultati della ricerca ivi svolta, producendo lavori sul Mezzogiorno d’Italia su am-pia scala e che riflettono un’apertura ad una ricerca non tradizionale.Infine, gli ampi e circostanziati interventi di Francesco Barra (Università degli Studidi Salerno), Giovanni Brancaccio (Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Pescara)e Guido Pescosolido (Università degli Studi “La Sapienza” di Roma) hanno scanda-gliato i tre titoli capofila della Collana, con analisi volte a trarne le direttive princi-pali e i punti base della ricerca scaturita dal Dottorato.

Il testo di Maria Anna Noto, Tra sovrano pontefice e Regno di Napoli. Riforma catto-lica e Controriforma a Benevento, è, come detto, un approfondito esame dell’etàdella Riforma e dello Stato Pontificio come prototipo dello Stato moderno - secon-do l’interpretazione già detta di Prodi e le analisi di Musi nella Storia del Mezzogior-no diretta da Galasso e Romeo. La Noto vi analizza in maniera capillare le vicendedel Ducato di Benevento, enclave pontificia nel Regno di Napoli, quindi un domi-nio camerale piuttosto particolare, in un momento, come la Riforma, di grandevalenza storica, sociale e spirituale.Tesi centrale del libro è la trasformazione in senso assolutistico ed accentratore degliordinamenti della civitas beneventana da parte dello Stato Pontificio: si ha, dunque,una tendenza ad eliminare alla radice il conflitto tra religione e politica, quindi trapluralità e conformismo, certamente nociva in un dominio pontificio.Spartiacque di questo lungo processo sono i moti contro l’Inquisizione dell’estatedel 1566, in cui questa pesante trasformazione è avvertita anche da parte del popo-lo. L’Inquisizione viene ora veramente percepita come organismo simbolo delcentralismo pontificio: essa basa il suo potere sull’identificazione tra eresia e lesamaestà, spostandosi, proprio dalla seconda metà del Cinquecento, sul controllodell’opinione pubblica, ossia di quegli intellettuali che, come mostra l’esempio del-l’Accademia dei Ravvivati, andava riflettendo su testi pericolosi e lesivi del poterecome quelli machiavelliani. In questa “eterodossia” beneventana si inserisce la figu-ra dell’arcivescovo Savelli, proveniente dal clero romano, che, pur applicando i det-tami tridentini a Benevento mantiene una sua decisa autonomia gestionale, appli-cando nel contempo un rigido rapporto di estromissione delle minoranze eterodosse.Il centralismo pontificio tende a bloccare, quindi, in primo luogo questo pericolosoautonomismo arcivescovile, lungi dall’esercitare - come ha giustamente rilevatoGiovanni Brancaccio nel suo preciso intervento - un controllo che tradizionalmenteera rilevato come piuttosto blando. La Noto insiste nell’evidenziare le vasta prero-gative di un governatore pontificio, che ha il potere di esercitare il veto sulle decisio-ni, di bloccare i pagamenti ai funzionari e di amministrare anche la giustizia crimi-nale. Nello stesso tempo, l’analisi dell’autrice non tace una certa autonomia nel-l’organismo consiliare beneventano, che assegna gli appalti dei lavori pubblici e sioccupa delle esigenze edilizie generali, amministrando dunque le rendite cittadine efondando il proprio potere gestionale su un’accorta rotazione di tale gestione, effet-tuata da una giunta interna che viene variata per sorteggio a scadenza quadriennale.

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Gli evidenti contrasti tra centralismo ed autonomismo sono, poi, costantementeposti dalla Noto nel contesto atipico di Benevento, che è, come già detto, una enclavepontificia nel Regno di Napoli, quindi tra potere pontificio e potere regio.Il libro della Noto, quindi, appare come una riuscita analisi di un contesto complessoper temi e sviluppi: la realtà bipolare di Benevento, in bilico tra Roma e Napoli, confer-ma sì la tesi di Prodi ma, come ha fatto risaltare Guido Pescosolido, cerca di chiarirecome sia necessario un esame degli effetti delle direttive pontificie in un contesto com-plesso come questo, continuamente oscillante tra potere laico e potere ecclesiastico.

L’analisi di Luigi Alonzi condotta in Famiglia, patrimonio e finanze nobiliari. IBoncompagni (secoli XVI-XVIII) pone invece l’accento sui meccanismi evolutivi delpatrimonio di una famiglia che, a partire dall’elezione al soglio pontificio di GregorioXIII, passa dal patriziato cittadino all’alta nobiltà romana.L’indagine dell’autore mostra un’impostazione tecnica ed analitica, di certo poco indul-gente ad un respiro narrativo, basata sull’uso di documenti di prima mano, da cui Alonzitrae un rigoroso esame dell’evoluzione sociale coniugata ai problemi patrimoniali. IBoncompagni, infatti, vengono seguiti a partire dal Cinquecento fino alla grave crisifamiliare del Seicento, nell’analisi della composizione del loro patrimonio - compostoper il 90% circa da beni feudali, poi arricchita con l’acquisizione di terre - e negli strettirapporti con i banchieri genovesi. Assolutamente centrale è la tesi, documentata condovizia di testimonianze, di un connubio, nella politica economica della famiglia, tragestione patrimoniale e politica matrimoniale, la quale ultima permette ai Boncompagni,nella seconda metà del Seicento, di salvarsi dalla pesante crisi grazie ad unaricapitalizzazione fondata, oltre che sulle rendite feudali, su un’accorta politica di alle-anze matrimoniali, che conduce alla fusione con la famiglia Ludovisi.La rigorosa analisi dell’autore va ad esaminare un esempio concreto (ed ampiamentedocumentato con la ricerca archivistica su fonti inedite) di quella complessa - e nonsempre risolvibile - branca della ricerca che si occupa della nobiltà europea in etàmoderna. Alonzi compone un quadro articolato, in cui emerge chiaramente comela ricomposizione della crisi patrimoniale seicentesca trovi una svolta nel ruolosvolto dalle donne nei complessi giochi patrimoniali.A tal proposito, il testo può essere un esempio valido non solo nello specifico ma,come ha sostenuto Pescosolido nel commentare l’opera, il quadro di Alonzi puòvalere in generale come esame di certi meccanismi, per tutto il Mezzogiorno d’Ita-lia, essendo in linea con le teorie di Stone sulla crisi nobiliare del Seicento. Diquesta crisi, Alonzi mostra le cause nell’esame socio-politico, lo svolgersi e laricomposizione settecentesca in un testo dal carattere dialettico, critico e costruttivo.

La ricostruzione di Giuseppe Cirillo ne Il vello d’oro. Modelli mediterranei di societàpastorali: il Mezzogiorno d’Italia (secc. XVI-XIX) si attiene proprio a questi caratteridialettici e dinamici degli altri studi. Cirillo attua una ricostruzione dell’armentiziameridionale che va a completare un percorso analitico precedentemente rivelatosi

Page 21: Storia della città, storia del potere.  Note sulla struttura “politica”  dell’Historia della Città e Regno di Napoli  di Giovanni Antonio Summonte

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già capillare e precisa.Si tratta, infatti, di una scansione a tutto campo di vari contesti: dalla fiscalità regia,con l’esame anche di dogane minori finora trascurate, delle strategie familiari, deicircuiti economici e persino della pubblicistica. Fondamentale, nell’accurata rico-struzione del contesto nel suo insieme, è la comprensione che l’autore ha dell’am-pia estensione del fenomeno armentizio, che si estende - con ovvie gerarchie dellearee determinate dal loro potere economico, come appare lungo l’arco temporaleesaminato - su tutto l’Appennino meridionale.L’autore va ad analizzare minuziosamente questo forte ruolo dell’armentizia nel-l’economia meridionale a partire dall’epoca di Alfonso V d’Aragona, che fonda ladogana di Foggia con intenti anche economico-produttivi, concretizzati nella fon-dazione di numerose manifatture, fino a giungere al tardo Ottocento, offrendo quindinon solo un esame capillare, ma anche un’analisi sulla lunga distanza temporale,che dalle origini del fenomeno va ad evidenziare tutti i suoi effetti e le ricadutesociali, economiche e politiche.Contemporaneamente a questo sviluppo economico, viene esaminato lo svilupposociale di un ceto armentario dal Cinquecento fino alla fine dell’Ottocento: si trattadi famiglie (tra cui, per citare due nomi, i Galanti ed i Santacroce) destinate progres-sivamente a ricoprire grandi ruoli nella politica meridionale proprio grazie al loronetto distacco dalla tradizionale tipologia familiare del clan, diventano famigliemoderne, pur se allargate. In questo lungo e conflittuale processo, iniziato già a fineSeicento, si giunge, nel XIX secolo, a veri e propri conflitti con i clan tradizionali econ l’ambiente di provenienza.Il libro di Cirillo rappresenta il risultato di un necessario e vasto lavoro di spoglio escelta di un’ampia e disomogenea documentazione: l’autore offre un taglio nuovodel lavoro archivistico, legato ad una cernita critica del materiale, proprio con l’in-tento di far conoscere i processi fiscali ed istituzionali di un mondo che apparemolto più complesso e progredito di quello settentrionale.

In conclusione, la presentazione della Collana “Europa Mediterranea” offre, già daquesti primi tre titoli, un tipo di ricerca fondata su tematiche innovative, in cuivengono analizzati temi complessi ed inseriti in contesti vasti ed articolati. La lungascansione temporale delle analisi della Noto, di Alonzi e di Cirillo è unita ad unaricerca su fonti archivistiche inedite, spogliate e scelte in modo da offrire un quadroche, seppure unitario, tiene conto, secondo le direttive offerte dal Dottorato diRicerca, delle necessarie differenziazioni economiche e socio-politiche.Si tratta, dunque, di testi che offrono sicuramente uno specimen della ricerca pro-dotta da quest’ampio Dottorato di Ricerca, prodotti di un’indagine che intendeconiugare esame del contesto specifico, quindi dei vari temi che ne emergono, edattenzione alla lunga scansione temporale, individuando caratteristiche comuni etrasformazioni intervenute lungo il tempo con analisi diacroniche.

Antonio D’Andria