FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO - CATANIA - Ignazio Coco, Giuseppe Agatino Scrivano _______ _______ Chiar.mo Prof. GIOVANNI MAMMINO ANNO ACCADEMICO 2001 / 2002 STORIA DELLA CHIESA I Dalle origini a S. Gregorio Magno APPUNTI DELLE LEZIONI
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FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO
- CATANIA -
Ignazio Coco,
Giuseppe Agatino Scrivano
_______
_______
Chiar.mo Prof. GIOVANNI MAMMINO
ANNO ACCADEMICO 2001 / 2002
STORIA DELLA CHIESA I
Dalle origini a S. Gregorio Magno
APPUNTI DELLE LEZIONI
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PROGRAMMA DEL CORSO DI STUDI1
Introduzione metodologica generale alla storia della Chiesa. I cri-
stiani di fronte al mondo giudaico e al mondo pagano. La Chiesa e l'im-
pero romano: 1. L'espansione del cristianesimo e la nascita dell'apologe-
tica cristiana. 2. Le persecuzioni. 3. Il vissuto del popolo cristiano. La
Chiesa e le insidie interne: Il pericolo delle eresie. La Chiesa si struttura:
1. Le chiese episcopali del III secolo. 2. La posizione preminente di Ro-
ma. La svolta costantiniana: dalla tolleranza ad una situazione di privile-
gio. La "Chiesa imperiale" sotto i successori di Costantino. La Chiesa e
le popolazioni barbariche. Il contesto storico della controversia ariana e i
concili di Nicea e Costantinopoli. Le dispute teologiche fino alla metà del
quinto secolo: 1. Le "scuole teologiche" di Antiochia e Alessandria. 2. I
concili di Efeso e Calcedonia. Il monachesimo: 1. Monachesimo orienta-
le. 2. Monachesimo occidentale. La Chiesa al tempo di Giustiniano I: la
nascita delle chiese nazionali. Gregorio Magno: La Chiesa in un'epoca di
transizione.
TESTI
Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin, I-III, Jaca Book, Milano
19922; J. DANIELOU - H. MARROU, Nuova storia della Chiesa. I. Dalle
origini a S. Gregorio Magno, Marietti, Torino 1994.
1 annuario 2001 / 2002, Istituto Teologico S. Paolo, Catania, 2001, 44
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SABATO 16 FEBBRAIO 2002 - ORE 10,30 / 11,15
L'oggetto della Storia della Chiesa è la crescita nel tempo e nello
spazio della stessa Chiesa fondata da Gesù Cristo. La sua ragione di vita
scaturisce dal fatto che «il Verbo si è fatto carne»2 ed è entrato nella sto-
ria umana. Ha voluto una Chiesa che dipendesse da azioni umane, ma
non l'ha abbandonata a sé stessa. Ha mandato lo Spirito Santo perché la
guidasse nei secoli.
Il compito dello storico della Chiesa è quello di ricostruire il pas-
sato delle comunità cristiane e la loro evoluzione attraverso i secoli con
metodi rigorosamente scientifici. Tale ricostruzione viene realizzata rive-
lando le tracce che questo passato ha lasciato nei documenti scritti e
quant'altro passa al vaglio della critica storia (Es: fonti archeologiche,
ecc).
C'è una differenza tra teologo e storico: il primo ci parla della
Chiesa dal punto di vista divino e di salvezza, lo storico, invece ci descri-
ve le esperienze, le vicende concrete, i fatti della storia della salvezza
senza alcun intento apologetico. Non è da ricercare principalmente nella
storia della Chiesa un carattere edificante, sono fatti storici in sé stessi, la
morale è un aspetto secondario. Lo storico della Chiesa vuole solamente
dimostrare ciò che è avvenuto in passato; vuole conoscere i fatti per po-
terli valutare e dimostrare.
� Epoca antica
� Epoca medioevale
� Epoca moderna
Divisioni convenzionali
Cronologiche ����
� Epoca contemporanea
Il Periodo di cui ci occuperemo in questo corso sarà quello antico
e medioevale che va dalle origini a S. Gregorio Magno.
2 Gv 1,14
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MARTEDÌ 19 FEBBRAIO 2002 - ORE 10,30 / 12,15
Il periodo della Storia della Chiesa antica va dall'anno 6 a.C., al-
l'anno 70 d.C. Perché iniziamo dal 6 e non dall'anno 1 d.C.? Perché la na-
scita di Cristo viene fatta risalire intorno al 5-6 a.C., visto che Dionigi il
Piccolo sbagliò il computo della nascita di Gesù.
TESTIMONIANZE E FONTI SUL CRISTIANESIMO DEGLI ALBORI
Nel primo secolo gli autori pagani parlano molto poco del Cri-
stianesimo perché ancora è formato da una sparuta minoranza e perché
ancora non aveva raggiunto una propria identità all'interno delle comuni-
tà giudaiche. Solo Tacito e Svetonio parlano dei Cristiani.
Tacito racconta dell'incendio di Roma imputato ai Cristiani. Taci-
to però non conosce l'ideologia dei Cristiani, ne parla infatti in modo ap-
prossimativo. Svetonio, nella "Vita di Claudio" parla della espulsione dei
Giudei da Roma, perché creavano dei tumulti e non partecipavano alle
attività organizzate dall'Imperatore. Scacciavano i Giudei da Roma per-
ché creavano tumulto in nome di un certo Cristo; «perché Claudio aveva
ordinato che tutti i Cristiani partissero da Roma»3.
Un'altra testimonianza è di Giuseppe Flavio: Giacomo, il fratello
del Signore, fu ucciso a Gerusalemme nell'anno 62 d.C. Le fonti ebraiche
e pagane offrono pochissimo su tutto ciò che potrebbe aiutarci nel nostro
lavoro di ricerca del Cristianesimo delle origini4.
Le altre fonti cristiane sono i Vangeli sinottici Matteo, Marco e
Luca: sono i documenti più significativi per la storia del Cristianesimo
delle origini insieme alle Lettere Paoline. Fra gli studiosi, già nel 19° se-
colo, si afferma la teoria delle due fonti; il primo Vangelo fu quello di
Marco, gli altri due (Mt. e Lc.) utilizzano il primo come fonte ed ebbero
una seconda fonte: la fonte dei detti o fonte Q. Questa fonte Q è stata rac-
3 Cfr. Atti 18,2
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colta tra il 30 e il 60 d.C.: questa raccolta all'inizio orale e poi scritta, è il
tentativo, non solo di raccogliere la tradizione di Gesù, ma anche di in-
terpretarla in qualche modo. Lo scopo è quello di salvaguardare la tradi-
zione di Gesù nella Chiesa.
I Vangeli non possono essere intesi come delle biografie: non era
questo l'intento degli autori. Si presentano, invece, come scritti teologici
impiantati alla fede della prima comunità cristiana. I Vangeli sono anche
l'insieme di pezzi distinti di tradizioni che furono poi inseriti in una cor-
nice istituzionale. Questa tradizione della fede della Chiesa era prima
orale, il termine stesso Vangelo indica una trasmissione orale dell'annun-
cio. Gli autori non vogliono scrivere una biografia, ma la vita e le opere
di Gesù che è il Salvatore, vogliono comunicare la fede nella buona no-
vella. Questi testi erano utilizzati come catechesi e predicazione, sbaglia
chi prende questi libri come testi storici, la cosa che volevano trasmettere
era l'annuncio del Kerigma.
La stessa cosa vale anche per il Vangelo di Giovanni, che esprime
le sue visioni teologiche con nuove rielaborazioni, inserisce il patrimonio
come tradizione. Nel Vangelo di Giovanni troviamo molte immagini, una
forte carica simbolica. Anche se può sembrare una interpretazione simbo-
lica, molti dati sono riscontrabili realmente. Il Vangelo di Giovanni è l'ul-
timo cronologicamente, è stato scritto intorno all'anno 100 d.C.
Negli Atti degli Apostoli si descrive il periodo tra l'Ascensione di
Gesù e l'arrivo di Paolo a Roma, comunque Luca, l'autore, fa intravedere
una dimensione dinamica: lo Spirito Santo viene accentuato. Nella rap-
presentazione degli inizi del Cristianesimo, Luca vuole dimostrare, che la
storia della Salvezza non si è interrotta, non ha avuto alcuna frattura,
quindi indica una continuità.
Le tredici lettere giunte nel Nuovo Testamento sotto il nome di S.
Paolo rappresentano una fonte di particolare rilevanza nella Storia della
4 W. SCHNEEMELCHER, Il Cristianesimo delle origini, Il Mulino, Bologna, 1987
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Chiesa degli albori. Ci fa capire la situazione delle prime comunità cri-
stiane soprattutto nella area geografica dell'Asia Minore.
Altre fonti sono i Vangeli Apocrifi, ma non è opportuno tenerli
molto in considerazione per la loro poco attendibilità, perché seguivano
idee di raggruppamenti di Cristiani con varie ideologie, anche gnostiche.
I dati sulla figura di Gesù non superano quelli del N.T., dobbiamo allora
stare attenti ad interrogare le fonti, proprio perché gli autori non avevano
inteso di comunicare notizie per lo storico, ma l'annuncio della buona
Novella.
LA SITUAZIONE POLITICA E RELIGIOSA AL TEMPO DI GESÙ
Situazione Politica � Israele è uno "Stato cuscinetto" perché ap-
parentemente autonomo, ma sottoposto alle autorità imperanti romane. I
Giudei avevano continuamente la paura dei Romani e non sopportavano
il loro dominio
Situazione Religiosa � I Romani erano di una religiosità politei-
stica, i Giudei aspettavano il Messia e questa attesa era interpretata come
attesa di un leader politico, questo elemento crea problemi a Gesù stesso.
Poi c'è il ruolo importante del Tempio di Gerusalemme, vi erano a quel
tempo diverse corrente religiose che applicavano in diverso modo la leg-
ge. I Sadducei riconoscevano solo il Pentateuco, non credevano per nien-
te alla resurrezione dei corpi e alla immortalità dell'anima; erano molto
aperti all'ellenismo, erano cioè mondanizzati. I Farisei erano per una me-
ticolosa osservanza della Legge, e per questo venivano accusati di ipocri-
sia, erano molto influenti politicamente, curavano molto l'aspetto morale
in modo esagerato. Gli Zeloti erano quasi un partito politico, non tollera-
vano il governo straniero, per questo provocavano diverse insurrezioni
(come ad esempio quelle di Barnaba e di Giuda). Gli Esseni; il culto del
Tempio si era ormai contaminato, non restava altro che ritirarsi in silen-
zio, vivevano una vita comunitaria molto rigida nell'osservanza dei pre-
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cetti del Signore. I Giudei della diaspora fuori dalla Palestina mantene-
vano forte il loro credo e la loro lingua pur essendo stati ellenizzati; si
trovavano in Asia Minore e in Egitto. È nell'ambito di quest'ultimo rag-
gruppamento che nasce "la settanta", è la prima interpretazione della
Bibbia di filone alessandrino.
GLI INIZI DELLA CHIESA
Con la Crocifissione di Cristo per i discepoli fu la fine di ogni
speranza, il fallimento. Ma presto si riunirono per annunciare che Gesù è
vivo e Risorto! Con la Resurrezione di Gesù Cristo si sono adempiute le
Scritture, la Storia della Salvezza non ha avuto interruzioni5. I Cristiani
annunciano la Resurrezione, non si interessano del come, ma del fatto
che è Risorto, come aveva promesso; la testimonianza del Risorto segna
l'inizio della Chiesa. Dalla fuga si ha nuovamente una Comunità compat-
ta a Gerusalemme per annunziare la Resurrezione. Questa Comunità era
uno dei tanti raggruppamenti sopracitati. Si chiamavano loro stessi: "i
Santi", "gli eletti", ma anche "la Chiesa".
Pian Piano questa Comunità dei dodici acquista una identità pro-
pria, anche se ancora non era stato coniato il nome di cristiani. Si raduna-
vano per celebrare il memoriale della morte di Cristo e Battezzavano per
portare la Salvezza a tante altre persone.
Chi sono i dodici? Sono i testimoni della Resurrezione, e fra i do-
dici, Pietro è la persona più autorevole perché ha visto il Signore, è in se-
guito che si sviluppa il termine di "apostoli" per indicare i dodici, che
racchide in sé il significato missionario. Apostolo=inviato (dal greco:
���������). Successivamente si attenua questa dimensione missionaria.
Dopo Pietro successe Giacomo che diede una impronta stretta col
giudaismo, andavano come i giudei al Tempio a pregare, non sussisteva-
no grosse differenze col giudaismo "a parte l'appartenenza a Cristo".
5 Cfr 1 Cor
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Più legati alle
prescrizioni della Torah
NASCONO
���� DUE CORRENTI ���� Più mondanizzati,
legati all'ellenismo
Giudeo-Cristiani di
lingua aramaica
Leader
���� Giacomo - Stefano ����
Giudeo-Cristiani di
lingua greca
Le differenze sono solo di tipo teologico: dobbiamo restare dentro
al giudaismo o fuori? Restare nel popolo eletto (i Giudei) o essere annun-
ciatori verso tutti i pagani? Giacomo era appunto a capo dei Giudeo-
Cristiani di lingua aramaica, Stefano, invece, era il leader dei Giudeo-
Cristiani di lingua greca. Solo il secondo gruppo riesce a continuare a
vivere ed a espandersi fuori di Gerusalemme. Questa non fu una spacca-
tura all'interno della Chiesa, ma una divisione col Giudaismo ufficiale, ed
è così che il Cristianesimo si apre a nuovi ambiti e nuove strade, diventa
così missionario, aperto al mondo ellenizzato, e autonomo dal Giudai-
smo.
S. Paolo con la sua conversione avverte questo suo mandato mis-
sionario, la sua conversione è una svolta perché annuncia il Vangelo fuo-
ri dal Giudaismo ai "Gentili". Annunciava il Vangelo nei capoluoghi e
fondava comunità che poi camminavano autonomamente, lui era il fon-
datore o la guida spirituale di quelle comunità, ma poi delegava una gui-
da per ogni singola comunità, ha aperto più di ogni altro la missione del
Vangelo, ha disancorato la Chiesa dalla Legge, ha dato una chiara diffe-
renziazione dalla cultura giudaica.
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SABATO 23 FEBBRAIO 2002 - ORE 10,30 / 11,15
LA CHIESA DI FRONTE AL MONDO PAGANO
In contrasto con l'unità politica e culturale imposta dall'Impero, i
romani lasciavano liberi i popoli assoggettati di professare la propria re-
ligione. L'Imperatore Augusto voleva ricostruire l'unità dell'Impero, ma
non si interessava della religione e dei culti praticati all'interno dell'Impe-
ro perché erano molteplici. La situazione religiosa era piuttosto variegata,
le reazioni dei militari romani sul popolo d'Israele avvenivano solo quan-
do sorgevano dei reali problemi come delle insurrezioni, c'era massima
autonomia religiosa.
IL TRAMONTO DELLA ANTICA RELIGIONE GRECA E ROMANA
C'era una svalutazione del politeismo greco e dell'Impero romano,
da parte di stoici, epicurei, ecc… Gli stoici non accettavano un dio tra-
scendente e personale. Per gli epicurei il mondo è governato da leggi fi-
siche, dunque non c'è spazio per gli dei o per un unico Dio, qualora ci
fosse un dio esso non si interessa del mondo. L'Emanerismo, invece, è
una divinizzazione dei miti del passato.
In ambiente romano, fin dal tempo della seconda guerra punica, si
era diffusa una ellenizzazione del culto romano. Penetrano idee filosofi-
che elleniche che influenzano anche il mondo romano: lo scetticismo, lo
stoicismo, l'epicureismo. L'Imperatore Augusto cercò con tutti i mezzi di
fermare il disfacimento delle autorità romane, per l'autorità che ricopre
decide di ripristinare dei culti per mezzo della costruzione di santuari,
templi, ecc., Augusto viene così denominato "Pontefice Maximus", ma
questo suo tentativo risulta un fallimento perché l'ellenizzazione sul
mondo romano ha la meglio.
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IL CULTO AGLI IMPERATORI
Augusto impone anche il "culto all'Imperatore", porta a Roma
questa pratica, perché tenta di creare unione nelle diversità religiose dei
culti imponendosi con autorità come oggetto di venerazione. Per questo
"�� ��� " (manifestato), ecc… nomi poi assunti dal cristianesimo per
dare valori attributivi a Dio. Nel sovrano si manifesta direttamente la di-
vinità, l'Imperatore vuole assodare il suo potere paragonandolo al culto di
una divinità. Venivano anche eretti dei templi alla dea Roma e all'impera-
tore Augusto perché aveva costituito questo culto che fu il principale
punto di attrito e di rottura tra l'impero Romano ed i Cristiani che si rifiu-
tavano di praticare il culto all'imperatore.
I CULTI MISTERICI ORIENTALI
Mentre il culto dell'imperatore era di carattere pubblico ed ufficia-
le, esistevano dei culti di tipo privato denominati misterici-orientali. Per-
ché si diffondevano questi culti privati? Perché davano agli adepti delle
risposte sull'aldilà, ricercavano la salvezza nella soteria.
Questi culti si diffondevano maggiormente nei luoghi di commer-
cio e nell'incontro dell'esercito romano con le popolazioni orientali. Vi
era quasi come una sorta di sincretismo religioso di stampo ellenistico.
Questi culti misterici provenivano dall'Egitto, dall'Asia Minore, dalla Si-
ria, dalla Persia, ecc.
Dall'Egitto proveniva il culto di Iside e di Osiride (dea della vege-
tazione) entrambe legate all'agricoltura;
dall'Asia Minore la dea Cibele, dea della fecondità, a chi aderiva a
questi culti vi era una "promessa di salvezza";
dalla Persia ed a Roma si diffonde il culto di Mitra, culto pretta-
mente riservato ad uomini, si diffonde per lo più nell'esercito romano.
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LA RELIGIONE POPOLARE
La grande massa del popolo si rivolgeva alle sfere più basse della
superstizione, soprattutto alla credenza astrologica, che attribuiva alle
stelle un particolare influsso sul destino umano; questo culto proveniva
dalla Babilonia. Anche la filosofia stoica ammetteva o accettava l'astro-
logia. Venivano interrogate le stelle per verificare, ad esempio, se un la-
voro che si stava per iniziare sarebbe andato a buon fine o meno.
Si diffonde anche la pratica della magia. Si cercava di assoggetta-
re gli astri ed i poteri buoni e cattivi della natura per utilizzarli a proprio
vantaggio. Si inizia a credere all'esistenza di spiriti cattivi governabili so-
lo con la magia.
Si diffonde anche la fede verso i miracoli e la interpretazione dei
sogni. In conseguenza di tutti questi fenomeni c'era una spaventosa ca-
renza di senso morale, sussistevano forme di depravazione e di orge giu-
stificate dal culto. Alla base di questa tendenza alla formazione di diversi
culti stava di fondo una diffusa superficialità religiosa.
TERRENO FERTILE PER IL CRISTIANESIMO
In questo contesto dove si avvertiva un profondo senso di vuoto
emergono aspetti favorevoli per il possibile innesto della cultura cristia-
na: c'era nella gente un profondo anelito di redenzione, una sete di sal-
vezza; anche se i culti erano diversi di numero e tra loro si era ormai indi-
rizzati verso il monoteismo.
Questo è il terreno fertile nel quale può attecchire il seme della
predicazione cristiana. Siamo al tramonto della antica religiosità greca e
romana, ormai sostituite da vari culti misterici, dal culto dell'imperatore e
dalla religiosità popolare, si ha il desiderio di ricercare un unico Dio e di
avere un ordine nella propria vita.
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MARTEDÌ 26 FEBBRAIO 2002 - ORE 10,30 / 12,15
LA CHIESA E L'IMPERO ROMANO
L'ESPANSIONE DEL CRISTIANESIMO
Il Cristianesimo uscendo gradualmente dal Giudaismo si immette
nel contesto dell'Impero Romano. Non fu facile per i primi cristiani aprir-
si all'annuncio verso i pagani. I fedeli di Cristo (li denominiamo così per-
ché ancora al tempo non esisteva l'epiteto "Cristiani", ed è improprio uti-
lizzarlo riferendosi a quel periodo storico) non si ponevano dapprima
neppure il problema di annunziare il Vangelo ai pagani.
Il fatto più eclatante di conversione di pagani fu quello dell'apo-
stolo Pietro che battezzò il Centurione Cornelio e la sua famiglia a Cesa-
rea. Pietro doveva giustificarsi di fronte alle comunità di fronte a questo
gesto e lo fa descrivendo questa visione: 1 C'era in Cesarèa un uomo di nome Cornelio, centurione della coorte Italica, 2 uomo pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia; faceva molte elemosine al popolo e pre-gava sempre Dio. 3 Un giorno verso le tre del pomeriggio vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo: «Cornelio!». 4 Egli lo guardò e preso da timore disse: «Che c'è, Signore?». Gli rispose: «Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, in tua memoria, innanzi a Dio. 5 E ora manda degli uomini a Giaffa e fà venire un certo Simone detto anche Pietro. 6 Egli è ospite presso un tal Simone concia-tore, la cui casa è sulla riva del mare». 7 Quando l'angelo che gli parlava se ne fu an-dato, Cornelio chiamò due dei suoi servitori e un pio soldato fra i suoi attendenti e, 8 spiegata loro ogni cosa, li mandò a Giaffa. 9 Il giorno dopo, mentre essi erano per via e si avvicinavano alla città, Pietro salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare. 10 Gli venne fame e voleva prendere cibo. Ma mentre glielo preparavano, fu rapito in e-stasi. 11 Vide il cielo aperto e un oggetto che discendeva come una tovaglia grande, calata a terra per i quattro capi. 12 In essa c'era ogni sorta di quadrupedi e rettili della terra e uccelli del cielo. 13 Allora risuonò una voce che gli diceva: «Alzati, Pietro, uc-cidi e mangia!». 14 Ma Pietro rispose: «No davvero, Signore, poiché io non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo». 15 E la voce di nuovo a lui: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano».6
6 Atti 10, 1-11
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Per quanto sia stato un gesto importante non ebbe un grande rilie-
vo; l'impulso alla vera apertura al paganesimo fu dato da un gruppo di
giudeo-cristiani di stampo ellenico che si dirigeva ad Antiochia di Siria,
questa fu la prima volta nella storia che un gruppo di seguaci di Cristo
vengono denominati Cristiani, questa comunità è come una "succursale"
della Chiesa di Gerusalemme. Ad Antiochia vi è la prima grande Comu-
nità attiva di Cristiani provenienti dal paganesimo:
22 La notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, la quale mandò Barna-ba ad Antiochia. 23 Quando questi giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò e, 24 da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a persevera-re con cuore risoluto nel Signore. E una folla considerevole fu condotta al Signore. 25 Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo e trovatolo lo condusse ad An-tiochia. 26 Rimasero insieme un anno intero in quella comunità e istruirono molta gen-te; ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani.7
ATTIVITÀ MISSIONARIA DELL'APOSTOLO PAOLO
Come Barnaba che viene inviato ad Antiochia, anche Paolo pro-
viene dalla diaspora giudaica, nasce infatti a Tarso in Cilicia. Paolo è i-
dentificato come cittadino romano, si appella di fronte alle autorità roma-
ne e chiede di essere giudicato da loro. Paolo parla il greco della Koinè il
che fornisce l'apertura al mondo ellenico. Paolo è anche legato alla cultu-
ra giudaica per giunta di stampo farisaico rigorista. Dopo la morte di Ge-
sù, Paolo va a Gerusalemme per la sua formazione dal fariseo Gamadie-
le: 3 che conosci a perfezione tutte le usanze e questioni riguardanti i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza. 4 La mia vita fin dalla mia giovinezza, vissuta tra il mio popolo e a Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei; 5 essi sanno pure da tempo, se vogliono renderne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto nella setta più rigi-da della nostra religione.8
Partecipa Paolo anche alle prime persecuzioni dei Cristiani (Saulo
era presente anche alla martirizzazione di Stefano).
7 Atti 11, 22-26 8 Atti 26, 3-5
- 14 -
Nella lettera ai Galati Paolo parla della sua vita prima della con-
versione e della persecuzione ai cristiani: 13 Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi,14 superando nel giu-daismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel soste-nere le tradizioni dei padri.15 Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque16 di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo,17 senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ri-tornai a Damasco. 18 In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni;19 degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.20 In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco.21 Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia.22 Ma ero scono-sciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo;23 soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere» 24 E glorificavano Dio a causa mia.9
È fortemente legato all'ambiente giudaico e alla cultura rigorista
dei farisei. Il fulmineo e radicale cambiamento di Paolo fu dovuto ad una
diretta apparizione di Gesù che Paolo ebbe sulla via di Damasco, avviene
una svolta nella sua vita, viene battezzato e inizia la sua missione prima
nelle sinagoghe a Damasco e poi a Gerusalemme. Poi tornò a Tarso, do-
po qualche anno di silenzio torna ad Antiochia e lì comprende che la sua
missione deve rivolgersi ai popolo pagani. Prima incontra le comunità so-
lo nella sinagoga, adesso il campo di missione di Paolo diviene l'impero
dove comunica con il greco della Koinè.
Il punto di partenza della attività missionaria di Paolo è nelle si-
nagoghe delle città giudaiche, Paolo non si limitava ad annunciare la
buona novella ai giudei osservanti, ma anche ai giudei della diaspora e ai
pagani convertiti al cristianesimo. Il racconto degli Atti ci fa capire che
gradualmente i giudei della diaspora rifiutano il messaggio di Paolo, le
controversie si trasformavano spesso in tumulti.
Paolo soprattutto insiste sulla libertà dalla Legge per i neoconver-
titi pagani, per questo fu aspramente respinto dalla corrente estremista
9 Gal 1, 13-24
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giudeo-cristiana della Palestina che imponeva ai pagani convertiti la cir-
concisione. Per la salvezza basta Cristo e la sua Grazia, dice Paolo.
Così Paolo e Barnaba furono inviati per ovviare questa contro-
versia a Gerusalemme (Concilio di Gerusalemme 49-50 d.C.). Fu accetta-
to il principio della tesi di Paolo secondo il quale la Legge di Mosè non
doveva avere nessun potere vincolante per i pagani convertiti al cristiane-
simo. Viene data piena libertà a Paolo riguardo la sua missione ai pagani.
10
L'APOSTOLO PIETRO A ROMA
La tradizione "del soggiorno di Pietro a Roma" e del suo martirio
è molto forte. Si sa che fu martirizzato a Roma, abbiamo notizie poco
certe sul tragitto che fece per arrivare a Roma, sulla durata del suo sog-
giorno a Roma. Partecipò al Concilio di Gerusalemme nel 49 d.C., fu poi
ad Atene ed a Roma. Le date non sono certe quindi il fondamento per cui
la Chiesa Romana si edifica su Pietro trova ragione su alcune testimo-
nianze storiche cronologicamente vicine:
10 La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna, 199916
I Viaggi di San Paolo 10
- 16 -
1- Epistola di Clemente ai Corinti. Clemente parla di avvenimenti per cui i Cristiani furono perseguitati tra cui Pietro e Paolo. Probabilmen-te è una allusione al martirio dei Cristiani sotto Nerone nel 64 d.C.;
2- Epistola di Ignazio di Antiochia ai Cristiani di Roma. Dice loro di non interferire sulle autorità che devono condannare Pietro e Paolo, sottolinea "non vi comando come loro" (riferendosi alla autorità di Pietro e di Paolo).
3 - L'Ascensione di Isaia. Scritta circa nel 100 d.C., è di autore anonimo. "Ecco, a te Pietro ho rivelato tutto, a Roma berrai il calice del-la persecuzione".
4 - Anche nel Vangelo di Giovanni vi è allusione al martirio di Pietro:
18 In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e anda-vi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». 19 Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi».11
Questa tradizione, inoltre, non è stata rivendicata da nessuna altra Chiesa di altra confessione. A Roma si pensa che ci sia l'edicola di Gaio: "se volete venire a vedere il trofeo di Gaio"12 (per trofeo ci si riferisce al-la tomba di Pietro).
SISTEMA DI COMUNICAZIONE DELL’EPOCA
Espansione del Cristianesimo alla fine del primo secolo.
Esaminando la cartina possiamo notare la diffusione che ebbe il cristianesimo nel primo secolo. (Cesarea di Palestina: porto, centro com- 11 Gv 21, 18-19 12 Il martirologio Ieromilianum
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merciale, centro politico; Antiochia: fiorente comunità cristiana). Tale diffusione avviene pertanto progressivamente. In un testo contemporaneo di Siniscalco, viene sottolineato come la diffusione del cristianesimo av-viene grazie alle reti stradali e viarie costruite dai Romani. Le vie di co-municazione dell’epoca erano formate dalla rete stradale e dalla rete marittima
1) rete stradale: strade erano molto efficienti (percorsi più agevoli) e quelle più importanti si trovavano nei pressi delle coste e suc-cessivamente si inoltravano verso l’entroterra. Lungo le strade vi erano delle STAZIONI dove si poteva pernot-tare, mangiare, etc.; attorno alle stazioni si formavano delle citta-dine. Con le strade si potevano percorrere circa 50 km al giorno.
2) rete marittima: via mare era più facile muoversi nel periodo che va dalla primavera all’autunno. Si percorrevano mediamente 70 km al giorno. (Anche Paolo si avvalse di tale via)
I mercanti ebbero un grande beneficio dall’uso delle vie stradali e
marittime. Il cristianesimo si diffuse dalla città alle campagne perché le città erano centri di irradiazione culturale e commerciale. L’area cittadina è dunque la prima ad essere evangelizzata. La cultura cristiana espanden-dosi venne a scontrarsi con altre culture, in modo particolare con quella pagana, intrisa di filosofia. Grandi città costiere ed interne: Antiochia, Efeso, Smirne, Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto, Alessandria, Roma ed altre ancora. Anche i Giudei si trovavano nelle città per commerciare e divulgare la loro cultura.
IL CRISTIANESIMO IN SICILIA
Non abbiamo fonti scritte riguardo l'insediamento della fede cri-stiana nel primo secolo in Sicilia, sappiamo solo dagli Atti degli Apostoli che Paolo passò da Siracusa per tre giorni, dove probabilmente vi era una comunità di Giudei non necessariamente cristiani. Si pensa che la Sicilia orientale fu cristianizzata dalla Palestina e dell'Asia Minore, la Sicilia occidentale fu successivamente cristianizzata da cristiani africani alla fi-ne del II secolo secondo fonti archeologiche.
Nei libri di Storia della Chiesa Siciliana viene riportata una le-genda secondo la quale Pietro mandò tre suoi discepoli in Sicilia: Mar-ciano a Siracusa, Berillo a Catania e Pancrazio a Taormina, ma non ci sono prove di questa "legenda apostolica". Il cristianesimo è arrivato in Sicilia presto, ma ci vuole prudenza nel parlare di queste leggende, per-ché non abbiamo un fondamento storico. Più certe sono invece le testi-monianze sul martirio di Sant'Agata datate intorno al III secolo. Succes-sivamente si hanno notizie su l'esistenza di alcune diocesi in Sicilia tra il III e il IV secolo.
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SABATO 02 MARZO 2002 - ORE 10,30 / 11,15
LA CHIESA E LE INSIDIE INTERNE: IL PERICOLO DELLE ERESIE
GIUDEO-CRISTIANI ETERODOSSI
Le loro ideologie si concentravano su due questioni di particolare
importanza: la Cristologia (teologia intorno la figura di Gesù, vero uomo
o vero Dio, o entrambe?) e la validità normativa della legge mosaica.
CERINTO13 sosteneva che Gesù era il figlio naturale di Maria e
Giuseppe, e siccome si distinse per virtù e sapienza, sarebbe divenuto il
Cristo solo dopo il suo battesimo con la discesa dello Spirito Santo. Dopo
la morte in Croce il Cristo avrebbe lasciato Gesù, chi muore in Croce è
solamente Gesù e non Cristo. Questa immagine di Gesù è fortemente co-
lorata di Docetismo, Adozionismo e Millenarismo, dottrine respinte dal-
l'Asia Minore.
GLI EBIONITI (radice etimologica dal greco �� �� � povero, umi-
le) vogliono osservare la legge nella sua purezza e interezza. Anche per
loro Gesù era il figlio naturale di Maria e Giuseppe. Vi è una concezione
dualistica della origine del mondo, vi è un principio buono (Cristo, il
profeta messianico) e un principio cattivo (ciò che domina il mondo pre-
sente). C'è un anti-paolinismo, per loro Paolo aveva falsato il vero pen-
siero di Gesù. In Cristo vogliono negare il valore salvifico della sua mor-
te opponendosi all'insegnamento di Paolo, snaturando il messaggio cri-
stiano. Essendo adozionisti non concepiscono il discorso trinitario, l'arte-
fice principale è il Padre.
GLI ELCESAITI O ELCASAITI nel III secolo avevano raggiunto una
certa diffusione soprattutto nell'area geografica tra i Siri e i Patti. Hanno
come punto fondamentale la legge. Continuano ad obbligare i loro adepti
alla circoncisione. Anche loro rigettano l'insegnamento di Paolo, e consi-
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derano Cristo come un semplice uomo e/o profeta. Fondamento della loro
predicazione era un libro sacro a cui si attribuiva una origine soprannatu-
rale. Avevano una parte importante nel loro libro sacro due esseri celesti:
uno femminile (lo Spirito Santo), ed uno maschile (Cristo). Sostenevano
che il Cristo era già venuto nel mondo in ripetute incarnazioni.
ETERODOSSIA PROPRIAMENTE CRISTIANA: IL FENOMENO DELLO GNO-
STICISMO
LO GNOSTICISMO
Nei primi secoli la Chiesa si trovò a fronteggiare lo gnosticismo
cristiano perché divenuto pericoloso, è la manifestazione del sincretismo
religioso della tarda antichità. Sulla base di un dualismo, lo gnosticismo
univa ad alcune concezioni religiose del tardo giudaismo alcuni elementi
travisati dalla cultura cristiana. Le comunità cristiane subivano una forte
contaminazione dello gnosticismo perché aveva la presunzione di dare
risposte pronte sulla creazione, e su domande esistenziali. All'interno
delle comunità cristiane gnostiche veniva adoperato un ricco simbolismo,
si servivano della letteratura e di inni sacri, attirando così gente assetata
di verità soprattutto penetrando nella Chiesa per svuotarla dal di dentro.
Vi è una sconcertante abbondanza di bizzarre e peregrine idee re-
ligiose. Come si può trovare la vera conoscenza per risolvere l'enigma del
mondo, del male, dell'esistenza dell'uomo? Le risposte vengono date at-
tingendo a varie tendenze religiose. L'uomo tende all'unione col Dio Ve-
ro, cerca di conoscerlo sempre più, però l'uomo che cerca Dio è stato
"mandato" in questo mondo non creato da Dio e dominato dalle presenze
cattive, per risalire a Dio -affermano gli gnostici- deve conoscere prima
se stesso liberandosi dalle presenze cattive. Notiamo tendenze dualisti-
che: luce e tenebre; bene e male, ecc. Nello gnosticismo troviamo conce-
13 Cfr. Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin, I-III, Jaca Book, Milano 19922, cap. 11°,
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zioni filosofiche elleniche di stampo religioso, molto sincretismo, la figu-
ra di Cristo viene inserita in questo mondo gnostico-concettuale-
sincretista.
Il nuovo messaggio di salvezza per l'uomo si presentava in un cul-
to attraente in cui l'esacerbato mistero era garante della salvezza. Molti
maestri gnostici trovavano nelle comunità cristiane degli adepti che ave-
vano sete di salvezza. Questi maestri predicano la vera gnosi in cui vi è
la vera sorgente della conoscenza nella successione apostolica e nelle ri-
velazioni private. Le rivelazioni private potevano essere comprese solo
dai cristiani di grado superiore, gli illuminati o spirituali, i cristiani di
grado inferiore venivano denominati psichici. Così si creava una spacca-
tura "tra cristiani di serie A e cristiani di serie B". Giustificavano questa
loro dottrina con un brano dal Vangelo di Marco:
33 Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi disce-poli, spiegava ogni cosa.14
Tra questi maestri i più importanti sono Marcione, Valentino e
Montano che promuovono diverse dottrine gnostiche:
MARCIONE era un facoltoso armatore cioè possedeva delle navi,
era di Sinope e andò a Roma per divulgare l'annuncio. Rifiutava l'Antico
Testamento, asserendo l'antagonismo tra il Dio Misericordioso del NT e
il Dio spietato e giudice del VT, vietava il matrimonio ai suoi adepti.
Questa dottrina era di stampo docetista.
VALENTINO era Platonico e Gnostico. L'umanità ha elementi pro-
venienti da Dio, ma è decaduta perché è materia, la materia viene di-
sprezzata perché deriva dal male, bisogna liberarsi dalla materia per rag-
giungere l'Uno (dottrina platonica: il corpo tomba dell'anima).
pagg. 201 e seguenti 14 Mc 4, 33-34
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MONTANO si distingue per la vita morale, praticava un forte asce-
tismo e rigorismo nella vita morale, sentiva in sé il dono della profezia e
predicava l'imminente fine del mondo.
La Chiesa allora dovette prendere dei provvedimenti di fronte al-
l'insorgere di queste eresie, molte di queste correnti eterodosse venivano
così escluse, venivano denominati eretici. Si incominciò a sentire l'esi-
genza di elaborare i "simboli della Fede" rappresentanti il patrimonio del-
la nostra fede. Si sentì la necessità di ribadire l'importanza della tradizio-
ne apostolica. Si sviluppò il lavoro dei primi "teologi", nasce una lettera-
tura capace di contestare le molteplici eresie gnostiche (Es: Ireneo di
Lione nello scritto apologetico Adversus Haerases).
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SABATO 09 MARZO 2002 - ORE 10,30 / 11,15
LA NASCITA DELLA APOLOGETICA CRISTIANA (II SECOLO)
FORME TEMATICHE ATTEGGIAMENTI
� discorso apologeti-
co
� pagani
� Gesù e il Messia
� giudaismo
� Positivo
� la ricerca religiosa
dei pagani si compie
nel cristianesimo
� dialogo
� giudei
� Tematiche varie
contro le "dicerie"
� pagani
� Negativo
� scherno per la
cultura greca
I padri apostolici nei primi nei primi secoli si rivolsero ai membri
delle comunità cristiane per comunicare loro le basi della fede. Ma ades-
so gli scrittori cristiani, nel periodo apologetico, trovano ostilità sempre
crescenti, non si scrive più per un ambito "ristretto" e forse "chiuso".
Vengono indotti a scrivere al mondo non-cristiano che li circonda, per far
conoscere la fede cristiana, intorno a certe "dicerie".
È così che nascono delle opere letterarie: le Apologie. Si contrad-
distinguono nella forma, nello stile, nel genere letterario: è un discorso di
difesa simile e analogo a quei discorsi che si tenevano davanti alle autori-
tà giuridiche per difendersi. Gli esponenti apologisti scrivevano per con-
trobattere la cultura pagana, scrivevano anche ai giudei, ma miravano più
al dialogo (un esempio di apologia per i giudei è "Il dialogo con Trifone
l'Ebreo" di Giustino). In contrapposizione al giudaismo presentano Gesù
come il Messia, il Salvatore, non come profeta. È in Gesù che si compie
il V.T.
I cristiani in contrapposizione ai pagani ed agli ellenisti, respin-
gono le "dicerie" che attribuivano ai cristiani le seguenti calunnie: empie-
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tà, non partecipazione alla vita pubblica, ecc. Il cristiano non si oppone
alla ricerca religiosa dei pagani, anzi il cristianesimo è il coronamento di
questa ricerca. Anche se c'era una certa ostilità con i pagani, il cristiane-
simo integrava del mondo ellenistico ciò che c'era di buono, il cristiane-
simo cerca di incarnarsi nella storia di quel tempo.
I pagani allora cercano di dialogare, il cristianesimo inizia a per-
meare sempre di più nella cultura ellenistica entrando in dialogo, prima
con i giudei, e successivamente con i pagani.
Queste opere letterarie hanno causato nella coscienza del cristia-
nesimo una auto-comprensione, una chiarificazione della propria identità
e un progresso della dottrina con lo sviluppo della ricerca teologica.
Alcuni nomi: Quadrato (Apologia all'Imperatore Adriano); Ari-
stone di Pella; Melitone di Sardi; Aristide di Pella (utilizza una termino-
logia specificatamente pagana, scrive anch'egli una "Apologia all'Impera-
tore Adriano"); Giustino (scrive "le due apologie", "il dialogo con Trifo-
ne l'Ebreo"); Taziano (scrive il "discorso ai greci"); Anatagora di Atene;
Teofilo di Antiochia; Milziade; Lettera a Diogneto.
LE PERSECUZIONI
PRESUPPOSTI GENERALI: GIUDEI E PAGANI CONTRO I CRISTIANI
Il cristianesimo si presenta come religione assoluta e universale
scavalcando i singoli culti e quell'equilibrio stabilito dallo Stato. Il cri-
stianesimo minava lo Stato nelle sue basi. I cristiani venivano accusati di
lesa maestà allo Stato per il rifiuto di culto all'Imperatore. I cristiani si
dissociavano dai momenti forti di socialità e di unità dello Stato, non par-
tecipavano ai culti pubblici, agli spettacoli, e a spedizioni militari.
Circolavano inoltre false accuse sui cristiani: ateismo perché non
hanno Tempio, immagini e statue. La Croce inoltre scandalizzava i paga-
ni, li accusavano di banchetti tiestici (antropofagia perché si cibavano del
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corpo di Cristo), di vita licenziosa, di immoralità e di odio verso il genere
umano (visto che si dissociavano dai pagani). I ceti colti prendevano in
giro questa "superstizione" del cristianesimo. I cristiani divenivano così i
"capri espiatori". I pagani credevano che siccome i cristiani non venera-
vano più le divinità, queste ultime si vendicavano verso l'Impero Roma-
no, da qui scaturivano le sommosse popolari e le prime persecuzioni.
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MARTEDÌ 12 MARZO 2002 - ORE 10,30 / 12,15
LE PERSECUZIONI
PRESUPPOSTI GENERALI: GIUDEI E PAGANI CONTRO I CRISTIANI
I cristiani si tenevano in disparte dai costumi pagani ed erano e-
sclusi dai pagani come i giudei. Vengono ritenuti: atei, perché senza Dei
e senza Templi, rifiutavano la religione ufficiale, sono da bandire, immo-
rali e impudici.
LE PERSECUZIONI DEL PRIMO SECOLO
Inizia il contrasto tra i cristiani e l'Impero (inteso come la popola-
zione pagana). Il primo ad iniziare il dialogo è l'apostolo Paolo che nel-
l'anno 59 è chiamato a comparire davanti al procuratore Porcio Festo,
Paolo si appella come cittadino romano all'imperatore Cesare e viene
condotto a Roma per essere sentenziato.
L'IMPERATORE CLAUDIO (42 D.C.)
Vi sono fonti che documentano alcuni fenomeni sotto l'imperatore
Claudio: Svetonio e Cassio citano nelle fonti Claudio che fece un ordine
per espellere i cristiani da Roma per causa di un certo "�ρηστος" (sem-
bra attendibile pensare che col nome "Crestos" si voglia identificare
"Cristos"). Ne parlano di questa espulsione gli Atti degli Apostoli: 18,1 Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. 2 Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Pri-scilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro15.
Vengono espulsi i Giudei e tra di essi i Cristiani
15 Atti 18,1-2
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L'IMPERATORE NERONE (64 D.C.)
Degli avvenimenti che coinvolsero le comunità cristiane di Roma,
in seguito all'incendio dell'anno 64, ce ne parla Tacito. L'imperatore (che
era ritenuto colpevole) ha avuto un capro espiatorio: i cristiani. Molti fu-
rono giustiziati, alcuni appesi su pali e bruciato, altri uccisi con sopra pel-
li di animali ed altri ancora nell'arena circense. Nella città di Roma vi era
una comunità cristiana e il loro comportamento faceva notizia. Nerone si
servì delle ostilità del popolo verso i cristiani per scaricare su di loro la
sua colpa. Non soltanto Pietro e Paolo, ma una grande moltitudine di cri-
stiani, subirono tormenti e martirizzazioni.
L'IMPERATORE DOMIZIANO (95 D.C.)
Molte più scarne sono le notizie sulle persecuzioni dei cristiani
sotto Domiziano. I cristiani vengono accusati di ateismo perché in con-
trapposizione col politeismo pagano, vengono anche accusati di "lesa
maestà". Domiziano comincia a consolidare il suo potere assoluto e ad
esigere il culto verso la sua persona. Ci sono delle fonti storiche bibliche
che lo attestano: l'Apocalisse di Giovanni dove si vedono le allusioni di
una lotta tra il culto dell'imperatore e il cristianesimo. 20 Il resto dell'umanità che non perì a causa di questi flagelli, non rinunziò alle opere delle sue mani; non cessò di prestar culto ai demòni e agli idoli d'oro, d'argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare; 21 non rinunziò nemmeno agli omicidi, né alle stregonerie, né alla fornicazione, né alle ruberie16.
Con Domiziano le persecuzioni iniziano a coinvolgere le altre zo-
ne dell'Impero anche fuori Roma (come in Asia Minore). Vi erano nello
stato delle leggi che tutelavano le associazioni. I cristiani erano conside-
rati come una associazione clandestina, questo fu l'appiglio per l'inizio
delle persecuzioni.
16 Apocalisse 9,20-21
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IMPERATORI ROMANI TRA IL PRIMO E IL SECONDO SECOLO D.C.
Tra i monaci, infatti, vi è una forte realtà escatologica, una forte
attesa del ritorno del Signore
* Vivere nell'Amore di Dio
è l'Amore di Dio il nutrimento per poter vivere l'ascesi.
Monachesimo Orientale Abbiamo diverse categorie di Anacoreti
Anacoreti
• della seconda metà del III secolo, si ritirano in solitudine temporanea per fare vita asceti-ca;
• che dimorano nei dintorni dei paesi di origi-ne;
• che vanno nel deserto (nel periodo della per-secuzione di Diocleziano) soprattutto in E-gitto.
Semi-Anacoreti • comunità di anacoreti attorno ad un Abate
Monachesimo in Egitto
• Anacoreti / semi-anacoreti • Antonio • Cenobiti : Pacomio e Scenute • Macario
DESERTO: Nitria Schetis Tebaide
IL MONACHESIMO IN EGITTO
ANACORETISMO
Il monachesimo si è sviluppato soprattutto in Egitto. Aumentando
gli anacoreti si crea sempre più l'esigenza di stare assieme. Attorno ad un
anacoreta si aggiungono dei seguaci con i quali mantiene dei rapporti
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sporadici; l'anacoreta è co-
me un padre spirituale. S'in-
crementa così l'anacoreti-
smo e nasce il semi-
anacoretismo in forme va-
rie. In questo periodo nasce
l'esperienza di Sant'Antonio Abate, che sarebbe rimasto uno sconosciuto
se Atanasio non avrebbe parlato di lui nei suoi scritti. Atanasio con le sue
continue peregrinazioni ha esportato il monachesimo d'Egitto in Occiden-
te. Sant'Antonio nasce intorno al 251 e muore intorno al 356, fu presenta-
to come modello di vita monastica. Si dedicò al lavoro manuale, preghie-
ra e lettura della Sacra Scrittura, ma soprattutto l'elemento che contraddi-
stingue la sua vita è la lotta con il demonio, cioè la lotta interna contro le
passioni. Antonio dopo aver vissuto nei sepolcri, si ritirò per venti anni
nel deserto in un castello abbandonato, ma siccome spesso lo andavano a
trovare si ritirò nel deserto successivamente a quel periodo ci fu la perse-
cuzione di Diocleziano, Antonio tornò per un periodo ad Alessandria, per
confortare coloro che sono nella sofferenza, e perché anche lui ambiva al
martirio. In seguito tornò nel deserto dove divenne un grande padre che
istruì i discepoli a vivere il semi-anacoretismo. Infine nell'ultima fase
della sua vita si inoltrò nel deserto per poter vivere solo.
CENOBITISMO
Un'altra forma di vita monastica è il cenobitismo. Il padre di que-
sta forma può essere considerato Pacomio (287), siamo nella Tebaide,
nell'alto Egitto. Pacomio, intanto, nel 320-325 forma la prima comunità
monastica cenobitica, (nello stesso periodo cronologico delle persecuzio-
ni di Diocleziano) ed elabora una regola monastica per vivere la vita a-
scetica in comune, sotto la guida di un superiore. Nella Regola, Pacomio,
concepiva anche la struttura del monastero (cittadella): alte mura e un'u-
L'alto Egitto è diviso dal basso Egitto dal Fiume Nilo. Nell'alto Egitto c'è la zona di Tebe det-ta "Tebaide". Nel basso Egitto c'è il deserto di "Ni-tria" e di "Schetis"; in questa zona è an-che collocata Alessandria d'Egitto.
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nica porta che sottolineavano il distacco dal mondo. La sala centrale era
la "Sunaxis", attorno alla quale c'erano le stanze dei monaci. Ognuno di
loro aveva un incarico, e all'interno della loro cittadella si gestivano da
sé, il numero dei monaci aumentava sempre più e nascevano anche nuove
cittadelle monastiche.
Pacomio nella sua regola insisteva sulla Sacra Scrittura, gli orien-
tamenti per dirigere i monaci li attingeva da essa, voleva che tutti i mo-
naci fossero educati alla familiarità con la Bibbia. Lo stile di vita è quello
dell'uguaglianza per tutti i monaci. Con la morte di Pacomio si assiste ad
un certo affievolimento di questo stile di vita, perché ci sono troppe ric-
chezze e perché aumentando il numero dei monaci si abbassa la qualità.
Nella Nitria c'è la zona delle "celle", così come anche nel deserto
di "Schetis" dove operava il monaco Macario.
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SABATO 25 MAGGIO 2002 - ORE 08,30 / 09,15
IL MONACHESIMO ORIENTALE
Come abbiamo visto il monachesimo parte dall'Egitto e si propa-
ga in tutto l'oriente.
IN PALESTINA
In Palestina un insediamento monastico importante è quello del
"Monte Sinai". Abbiamo anche delle fonti "l'itinerario di Egeria" di una
nobildonna, Egeria, in viaggio per la Palestina. Ci sono degli insediamen-
ti monastici, chiamati anche "laura", costituite da tante piccole casette
abitate dai monaci.
In Terra Santa, in Palestina, c'erano anche dei monasteri latini,
fondati da Occidentali trasferiti in Palestina. Molti occidentali di circoli
ascetici erano spinti ad andare in Terra Santa.
San Girolamo, istituì a Roma un circolo di nobildonne romane,
dedite alla vita ascetica. San Girolamo, che aveva visitato la Terra Santa
incoraggiava queste donne alla vita monastica. Una di queste è Melania
Maggiore, che nel 372 intraprese il viaggio verso l'Egitto. Conobbe lungo
il pellegrinaggio, ad Alessandria, Rufino di Aquileia che condivideva l'i-
deale monastico. I due fondarono "all'orto degli ulivi", un doppio mona-
stero (per doppio monastero si intende sia l'ordine maschile che quello
femminile).
In un viaggio in Terra Santa San Girolamo partì con Paola Mag-
giore, e nel 376 fondarono un doppio monastero a Bethlemme e un ospi-
zio per pellegrini (questo ospizio è chiamato: "#�$�� �).
Pian piano questi monasteri latini divengono un punto di riferi-
mento per tutti gli occidentali, con i quali avevano uno scambio culturale.
Anche Piniano e Melania Minore, dopo la morte dei loro figli, si
dedicarono alla vita ascetica e fondarono un monastero a Gerusalemme.
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IN SIRIA
La popolazione si mostrò molto favorevole all'ideale ascetico e la
gente accoglieva coloro che si insediavano per fondare dei monasteri.
Una particolare forma di vita monastica è lo "Stilitismo", fondato da "Si-
meone lo Stilita". Viveva su una capanna edificata sopra una colonna per
non essere disturbato, spesso si affacciava solo per illustrare le omelie al
popolo.
Allora, i monaci godevano di un alta stima presso il popolo più
dei vescovi e dei presbiteri. Molti monaci spesso venivano prescelti come
vescovi, proprio per l'autorevolezza che ricoprivano.
IN ASIA MINORE
Uno dei primi esponenti fu "Eustazio di Sebaste", che con i suoi
discepoli gli "eustasiani", andavano oltre l'ortodossia perché praticavano
"l'Encratismo", una corrente che disprezzava il matrimonio e vivevano
nella miseria.
Un altro esponente del monachesimo in Asia Minore è Basilio di
Cesarea di Cappadocia, che subito dopo essere stato battezzato, decise di
intraprendere la vita ascetica. Fonda anche una "regola" dove parla di
una rinuncia al mondo, ma non esasperata come quella encratista, scrive
del lavoro manuale e dell'esercizio della carità in cittadelle monastiche.
Questa regola ha influenzato in modo preponderante tutto il monachesi-
mo orientale, tant'è vero che viene anche chiamato impropriamente "mo-
nachesimo basiliano".
Anche a Costantinopoli, sorsero dei monasteri tra il IV e il V se-
colo. Il più importante è quello degli "Aceneti" fondato da Alessandro.
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IL MONACHESIMO OCCIDENTALE
In Occidente molti si esaltano di fronte a questo ideale di vita
monastica. Pian piano anche in occidente si diffondono i monaci itineran-
ti.
IN ITALIA
San Girolamo divenne il propagatore ufficiale della vita monasti-
ca, tra il 381 e il 384, specialmente alle nobildonne vedove. Alcune di
queste nobildonne si ritirano nella vita monastica, altre vanno in Palestina
iniziando uno stile itinerante.
San Martino da Tour, ad esempio, si ritirò in Italia prima di anda-
re in Gallia. Molti andavano nelle isole come Sant'Agostino che si ritirò
per un periodo in Sardegna.
Eusebio di Vercelli, vescovo, riunisce il suo clero per fare vita
monastica, così nasce il primo "monastero clericorum"; la stessa cosa fa
Agostino a Ippona e a Tagaste, è una vita comunitaria del clero, ma con
caratteristiche monastiche.
IN GALLIA
A Martino di Tour si imputa il monachesimo martiniano che ha
caratteristiche missionarie e pastorali.
Vincenzo di Lerino, giovane aristocratico, va a Lerino che è una
isoletta dove si stabilisce. Questo stile monastico di Vincenzo è di stam-
po egiziano.
Giovanni Cassiano fondò a San Vittore in Marsiglia un doppio
monastero, dove si dedicò allo studio.
IN NORD-AFRICA
C'era uno studio approfondito della Sacra Scrittura.
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IN SICILIA
Alcune nobildonne romane, discepole di San Girolamo, che erano
dirette in Palestina, si fermarono, lungo il viaggio, per un periodo, in Si-
cilia, nei loro possedimenti fondando dei monasteri. Pliniano e Melania
Minore fondarono un monastero a Messina. Ilarione sbarcò a Pachino e
si addentrò nell'entroterra.
Verso il VI secolo gli insediamenti monastici aumentarono verti-
ginosamente.
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SABATO 01 GIUGNO 2002 - ORE 10,30 / 11,15
V & VI SECOLO D.C.
I "NUOVI POPOLI" INVADONO L'IMPERO
In questo periodo storico nuove popolazioni invadono l'Occidente
romano, questi popoli vengono denominati impropriamente "Barbari",
perché di cultura differente. Questa invasione non è una grande novità
perché già in passato delle piccole comunità sono immigrate nell'impero
Romano, ma adesso l'invasione è più massiccia. Questi popoli provengo-
no da tutte le parti: dai Balcani, gli Unni, i Persiani, i Longobardi, ecc…
Questi popoli premono dai confini non solo perché vogliono e-
spandersi e conquistare nuove terre, ma soprattutto per ragioni migratorie
e climatiche, tutti preferivano l'Europa. Questa migrazione influisce a li-
vello culturale ed economico… alla fine questi popoli riescono ad entrare
e sconvolgono tutti gli equilibri culturali-politici-religiosi. L'impero ro-
mano fa un patto con queste popolazioni: da loro accoglienza purché
questi ultimi si organizzino come "popolo federato" in zone geografiche
prestabilite nei confini per difendere i confini da ulteriori invasioni. Ciò
causò il progressivo indebolimento delle milizie romane e la fortificazio-
ne delle milizie dei popoli "barbari".
Nel 302 c'è l'invasione dei "Goti" di Alarico, nel 306 quella degli
Ostrogoti. Contro di loro lotta il comandante federato Stiligone che alla
fine stipula un contratto con Alarico senza il permesso delle autorità del-
l'impero romano e viene bandito da quest'ultimo come traditore. Nella
parte alta dell'impero entrano i Germanici.
Nel 410 avviene in saccheggio di Roma, "il sacco di Roma", di
Alarico, un fatto grave perché si credeva che Roma fosse inespugnabile,
una istituzione eterna. Molti aristocratici lasciarono Roma per andare a
Costantinopoli (la nuova capitale dell'Impero) o nell'Africa romana, o in
Sicilia dove avevano i loro possedimenti e dove ancora non si subiva l'in-
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flusso dell'invasione. Nel 411 entrarono i "Burgundi" in Gallia, e i "Van-
dali" e gli "Svevi" in Spagna; di fronte a tutte queste popolazioni alcune
sono federate, altre no, si sperimenta la fragilità dell'Impero di Occidente,
soprattutto perché la capitale è in Oriente, a Costantinopoli, lontana dal-
l'Occidente. I Vandali nel 429/430 vanno anche in Africa Settentrionale e
in Sicilia (nel periodo in cui muore S. Agostino).
Si sgretolava così la cultura e la civiltà romana; anche il cristiane-
simo corre il rischio di sgretolarsi. Spesso sono anche i popoli locali ad
acclamare questi popoli "esterni" perché l'impero romano era divenuto
insopportabile per le troppe tasse. Queste popolazioni arrivavano in un
periodo di forte decadenza dell'Impero romano. Salviano si scaglia contro
l'aristocrazia e contro lo sfruttamento dei poveri e dà maggiore credibilità
ai popoli "barbari".
L'impero romano va verso il tramonto tra il 395 e il 430, ma l'an-
no convenzionale della fine dell'impero romano è il 476 con la deposi-
zione di Romolo Augusto.
GIUSTINIANO I: IL GRANDE IMPERO
Con Giustiniano I vi è un desiderio di una restaurazione dell'anti-
co impero che apre le porte anche ai monofisiti dell'Egitto e della Siria e
vuole riconquistare l'Italia che ormai era suddivisa in tante regioni auto-
nome federali. Il papa ormai era rimasto da solo ed era il rappresentante
dell'imperatore in Occidente, e anche se a Ravenna c'era l'esarca il papa
era il rappresentante più autorevole. Ecco come nasce lo Stato del Vati-
cano, il papa si trova a gestire dei territori (Patrimonio Sancti Petri) per-
ché il popolo bizantino è assente.
Giustiniano fu imperatore dell'impero d'Oriente dal 527 al 565
nella prima metà del VI secolo. Nel 535 il generale Belisario sbarca a
Catania e conquista la Sicilia; per Giustiniano questo fu un trionfo perché
credeva che adesso era possibile ricostruire l'Impero. Giustiniano faceva
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il doppio gioco sia con i cristiani ortodossi e quindi col papa di Roma e
sia con i monofisiti. Fa elaborare il "codice Justinianum" e organizza tut-
ta una legislazione perfetta per quanto riguarda l'amministrazione eccle-
siastica, perché vuole essere in perfetta continuità con la chiesa costanti-
niana, divenne intollerante verso i pagani.
Diverse di queste popolazioni "barbare" erano cristiane, ma di
stampo ariano, come i Longobardi e i Goti, diedero quindi per un verso,
nuovo vigore alla cultura romana che stava decadendo.
GREGORIO MAGNO: PAPA IN UN EPOCA TRAVAGLIATA E DI TRANSIZIONE
Papa Gregorio venne chiamato "Magno" proprio perché fu un
grande papa in un epoca travagliata e di transizione. Appartiene ad una
ricca famiglia senatoriale romana, avanzò sempre più nella carriera poli-
tica fino a divenire prefetto della città, poi si ritirò a vita privata ascetica.
Nei suoi appartamenti della sua stessa casa fondò un monastero vicino
alla Basilica dei Santi Giovanni e Paolo.
Papa Pelagio II lo chiamò per svolgere mansioni delicate, cono-
scendo le sue doti a livello politico, lo mandò a Costantinopoli come "a-
pocrisario" (che corrisponde all'attuale Nunzio Apostolico, cioè rappre-
sentante delegato dal papa). Alla morte di papa Pelagio II fu prescelto
Gregorio a succedergli.
Fronteggiò il rapporto con gli ariani longobardi. Il re Autari, lon-
gobardo, vietava ai suoi sudditi di farsi battezzare dalla Chiesa Cattolica.
I longobardi temevano l'impero e il papa a Roma, i longobardi facevano
scorrerie in Italia e devastavano le città.
Gregorio dovette far fronte a tutte queste situazioni, ebbe un opera
missionaria in Britannia, ecc…
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I PRIMI QUATTRO CONCILI ECUMENICI20
Nel trattare la problematica delle eresie trinitarie e cristologiche si è
più volte accennato ai Concili ecumenici che, di volta in volta, hanno precisato la dottrina cattolica sui misteri principali della fede. Vogliamo qui riprendere in forma sistematica, e secondo l'ordine cronologico, la tematica dibattuta nei primi quattro Concili, considerati specialmente dal punto di vista storico-religioso.
Gli orientali separati da Roma riconoscono come «ecumenici» soltan-to i primi sette concili, mentre gli anglicani solo i primi quattro. Nella Chiesa cattolica i primi quattro Concili godono di una particolare venera-zione: san Gregorio Magno li paragona ai quattro Vangeli, sant'Isidoro di Siviglia ai quattro fiumi del Paradiso terrestre. La loro importanza sta nell'aver definito la fede nei suoi dogmi fondamentali la Trinità e la Cri-stologia, e nell'aver dato una coscienza ecclesiale al Cristianesimo delle origini.
I Concili sono perciò storicamente sentiti come manifestazione solen-ne e visibile dell'unità e della vitalità della Chiesa, la quale con l'assisten-za dello Spirito Santo e attraverso il libero confronto delle umane passio-ni, propone ai fedeli l'insegnamento di Cristo e ne esercita il supremo po-tere pastorale. Per brevità tratteggiamo solo le vicende dei primi quattro Concili ecumenici, celebrati a Nicea nel 325, a Costantinopoli nel 381, a Efeso nel 431 e a Calcedonia nel 451. IL CONCILIO DI NICEA (325)
Il primo dei Concili ecumenici dell'antichità cristiana fu convocato dall'imperatore Costantino nel 325 allo scopo di condannare l'eresia di Ario, il prete alessandrino che negava la divinità della seconda persona della SS.ma Trinità, il «Logos», come veniva detto nell'ambiente teologi-co di lingua e cultura greca.
Scomunicato dal suo vescovo Alessandro, Ario trovò rifugio, appoggi e sostenitori nei meleziani e nei seguaci della dottrina subordinazionista di Luciano di Antiochia, fra cui gli influenti vescovi Eusebio di Nicome-dia ed Eusebio di Cesarea (lo storico ecclesiastico). In tutto l'Oriente su-scitò vasti consensi, ma anche accese opposizioni, rivelando un appassio-nato interesse all'interno della Chiesa per le «cose di Dio».
Fallito un tentativo di pacificazione da parte di Osio, vescovo di Cor-doba e consigliere spirituale di Costantino, poiché altre questioni turba-vano la pace (per es. lo scisma di Melezio in Egitto e la controversia sulla data della Pasqua), l'imperatore, con il consenso di papa Silvestro I, con-vocò tutti i vescovi dispersi nelle regioni dell'impero. Le condizioni poli-
20 Storia della Chiesa, Elledici
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tiche erano mutate grazie alla vittoria su Licinio e alla riunificazione del-l'Oriente con l'Occidente nel 324, sicché Costantino poté mettere a dispo-sizione dei «Padri» i mezzi di trasporto riservati agli alti funzionari dello Stato.
Dapprima fu scelta come sede la città di Ancira (Ankara), successi-vamente si trasferirono a Nicea, città più vicina a Nicomedia, sede della corte imperiale. Vi parteciparono circa trecento vescovi, nella stragrande maggioranza orientali. Dall'Occidente arrivarono sette persone solamen-te: dall'Italia, i due presbiteri romani Vittorio e Vincenzo, in qualità di Legati di papa Silvestro I, di età avanzata, e un vescovo calabrese; dalla Spagna, il vescovo Osio di Cordoba; dall'Africa, Ceciliano di Cartagine; un vescovo dalla Gallia e uno dalla Pannonia.
Dall'Oriente, invece, ne giunsero moltissimi dall'Egitto e dalle provin-ce ecclesiastiche suffraganee (lì era nata l'eresia); molti dalla Siria, Pale-stina e Bitinia (dove si teneva il Concilio); in numero discreto dalla Gre-cia; non mancarono rappresentanti delle regioni più lontane e oltre i con-fini dell'impero (Armenia e Persia) e perfino il vescovo Teofilo, missio-nario tra i Goti. Geograficamente era presente l'intera cristianità nei suoi più qualificati pastori: era anche un successo politico di Costantino.
Alcuni di questi vescovi erano anziani e venerandi, altri giovani e da poco saliti alla cattedra; alcuni erano celebri per la loro dottrina, altri mo-desti d'ingegno; alcuni ieratici e fastosi, altri umili e modesti nel porta-mento e nell'abito; parecchi portavano nelle loro membra i segni delle torture e delle mutilazioni subite durante le recenti persecuzioni...
Non si conosce con certezza chi abbia presieduto il concilio: forse il vescovo Osio, il primo a sottoscrivere il simbolo niceno, seguito dai Le-gati papali, e uomo di fiducia di Costantino. Ma fu l'imperatore a volere l'assise ecumenica, a organizzarla, a dare forza di legge ai suoi decreti. Egli fu anche personalmente presente, circondato dai suoi dignitari e fun-zionari, impegnati a mantenere l'ordine, a facilitare le discussioni e ad ar-rivare a una conclusione senza eccessivi indugi.
Non è certa la partecipazione di Ario: se vi presenziò, lo fece in veste di imputato. Presente invece fu sant'Atanasio, come consigliere del suo vescovo Alessandro: benché semplice diacono, esercitò un influsso note-vole sui lavori dell'assemblea.
Del concilio non ci sono rimasti gli atti ufficiali, ma soltanto la profes-sione di fede, venti canoni e una lettera dei Padri al clero egiziano sugli argomenti e le deliberazioni prese.
I lavori ebbero inizio il 20 maggio 325, in una sala del palazzo impe-riale di Nicea, con un discorso ufficiale di Costantino. Le discussioni si-nodali furono spesso lunghe e agitate, tanto che l'imperatore dovette in-tervenire per raccomandare moderazione e concordia ai Padri.
L'assemblea si divise in due partiti: quello ortodosso e quello ariano. Il partito ortodosso era guidato da Alessandro di Alessandria (con Atana-sio), Eustazio di Antiochia e Marcello di Ancira, con l'appoggio di Osio e
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dei Legati pontifici; il partito ariano era capeggiato dall'abilissimo vesco-vo di corte Eusebio di Nicomedia.
Prendendo come base il simbolo battesimale della Chiesa di Palestina, si arrivò alla formulazione del simbolo di fede nicena che condannava in modo inequivocabile sia la dottrina di Ario, sia qualunque subordinazio-ne del Logos al Padre.
La redazione finale del «Simbolo niceno» avvenne il 19 giugno 325. con queste parole: il Figlio di Dio è della «natura del Padre», «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della iden-tica sostanza del Padre (consostanziale, homousios)...». In seguito ven-nero espressamente condannate le tesi di Ario, secondo cui «ci fu un tempo in cui il Figlio di Dio non era»; «egli proviene dal nulla»; «è di una sostanza o essenza diversa da quella del Padre»; «egli è creatura mu-tabile».
L'inserimento del termine homousios rappresenta una vittoria della te-ologia occidentale, soprattutto romana, perché in Oriente non si era anco-ra raggiunta la chiarezza del suo significato. Questa incertezza termino-logica e il trionfo della teologia occidentale spiegano come mai, dopo la definizione di Nicea, anche vescovi ortodossi nella fede non volessero accettare l'homousios: in questo fatto c'è già, in germe, una tensione fra Oriente e Occidente.
La confessione di fede fu dunque sottoscritta da 220 vescovi presenti e promulgata da Costantino come legge imperiale; due soli vescovi rifiuta-rono di firmarla; essi, come Ario, furono esiliati.
Il Concilio niceno deliberò su due altre questioni: la data della Pasqua e lo scisma di Melezio in Egitto. Per la prima si adottò l'uso alessandrino e romano della domenica successiva al plenilunio di primavera (14° gior-no del mese di Nisan); per la seconda, si intimò al clero meleziano di ri-conoscere l'autorità del patriarca di Alessandria. IL CONCILIO DI COSTANTINOPOLI I (381)
Come la dottrina del «Logos» non era ancora ben chiarita in tutti i suoi aspetti, così la dottrina dello Spirito Santo era esposta a deviazioni. L'esistenza di tre Persone nella SS.ma Trinità era stata riconosciuta uffi-cialmente nelle ripetute condanne contro i modalisti e i sabellianisti, ma sussistevano tendenze subordinazioniste, per esempio in Origene (il Fi-glio è inferiore al Padre e lo Spirito Santo è inferiore al Figlio).
Per gli ariani, che consideravano il Figlio come creatura del Padre, era logico dichiarare lo Spirito Santo creatura del Figlio. Questo problema non fu oggetto di studio fino alla metà del IV secolo, perché la riflessione teologica si era concentrata quasi completamente sul Logos.
Quando anche gli ariani (omeusiani) sostennero che lo Spirito Santo era uno degli spiriti servienti «incaricati di un ministero» (Eb 1,14), di-
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verso dagli angeli solo per grado, sant'Atanasio scrisse quattro lettere a un vescovo in difesa della divinità della Terza Persona della Trinità. Nel 362, poi, presiedette un sinodo ad Alessandria che proclamò lo Spirito Santo «della stessa sostanza e divinità del Padre e del Figlio».
Successivamente, altri sinodi ad Alessandria e a Roma si pronunciaro-no contro questo errore, e soprattutto i tre grandi «Padri cappadoci» (san Basilio di Cesarea, san Gregorio di Nazianzo e san Gregorio di Nissa) lo confutarono acutamente con i loro scritti.
La condanna ufficiale venne nel 381 dal Concilio Costantinopolitano I (secondo Concilio ecumenico) composto da 150 vescovi, dopo che 36 «Padri», seguaci di Macedonio, vescovo di Costantinopoli, si erano al-lontanati.
Nel primo e nel secondo articolo (sul Padre e sul Figlio) venne ricon-fermato quasi alla lettera il Simbolo di Nicea, mentre l'art. terzo (sullo Spirito Santo) fu precisato con l'aggiunta antipneumatomaca «...Signore e Vivificatore, che procede dal Padre e che, insieme col Padre e il Figlio, è adorato e glorificato».
Quando il concilio venne riconosciuto «ecumenico» in Oriente e in Occidente, questa formula dommatica entrò a formare il «Simbolo nice-no-costantinopolitano». Più tardi, nella Chiesa greca divenne l'unica pro-fessione di fede ammessa nel battesimo e nella celebrazione della Eucari-stia.
Dal punto di vista politico, questo concilio era stato convocato dal-l'imperatore Teodosio, il quale sostenne sempre l'ortodossia cattolica e l'unità religiosa dell'impero.
Rimaneva un'ultima questione e cioè la relazione tra lo Spirito Santo e il Figlio: essa fu risolta diversamente in Oriente e in Occidente quanto al-la terminologia, ma ugualmente quanto alla sostanza. Nella Chiesa greca si insegnò che lo Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio per Filium); in quella latina si disse: «Dal Padre e dal Figlio» (Filioque).
Nella storia dello scisma fra le due Chiese, la questione del «Filioque» assumerà un'importanza decisiva. IL CONCILIO DI EFESO (431)
Il terzo dei Concili ecumenici venne convocato dall'imperatore Teo-dosio II per due motivi: condannare gli errori attribuiti a Nestorio e com-porre il dissidio fra i due patriarchi di Alessandria e di Costantinopoli.
Nestorio era un monaco antiocheno, famoso per la sua eloquenza e au-sterità di vita, chiamato da Teodosio II alla sede patriarcale di Costanti-nopoli. Si segnalò subito nel combattere gli ebrei e gli eretici, ma anche nel proteggere i pelagiani; polemizzò quindi nelle sue prediche con i ve-scovi che chiamavano Maria «Theotokos», cioè madre di Dio, sostenen-do che il vero titolo spettante alla Madonna era «Christotokos», cioè ma-
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dre di Cristo, in quanto ella aveva generato l'uomo-Gesù, nel quale la se-conda persona della SS. Trinità abitava «come in un tempio».
Tale predicazione suscitò in mezzo al clero e al popolo una viva agita-zione e una fiera opposizione, perché il titolo mariano di Theotòkos era molto antico e caro ai fedeli. Nella lotta intervenne il patriarca Cirillo di Alessandria, uomo pieno di energia e di zelo per la ortodossia. Il dissidio era di natura teologica, politico-ecclesiastica e personale: Teologica: Nestorio apparteneva alla scuola antiochena, preoccupata soprattutto di affermare che Cristo era vero uomo; mentre Cirillo appar-teneva alla scuola alessandrina, preoccupata di sottolineare in Cristo l'u-nità della persona divina. Politico-ecclesiastica: la rivalità fra i patriarchi di Alessandria e di Costantinopoli aveva portato quest'ultime, dal 381, a conquistare la su-premazia in Oriente, mentre il vescovo di Alessandria, Teofilo (412), zio di Cirillo, ambizioso e astuto, aveva umiliato e fatto esiliare il patriarca di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo (407). Personale: sia Nestorio che Cirillo erano estremisti e le loro tendenze portavano a errori opposti: verso la negazione della divinità di Cristo, l'u-no; verso la negazione dell'umanità di Cristo, l'altro. Ambedue decisero di ricorrere al papa Celestino I, il quale nel sinodo romano del 430 con-dannò le idee di Nestorio, incaricando Cirillo di intimargli la ritratta-zione, pena l'esilio. La scelta non fu psicologicamente felice, tanto più che Cirillo inviò all'avversario anche dodici «anatematismi». Nestorio si rifiutò e ricorse all'imperatore per la convocazione di un Concilio ecume-nico.
Il concilio doveva aprirsi a Efeso, sulle coste dell'Egeo, il giorno di Pentecoste del 431: il papa inviò i suoi Legati e nominò presidente Ciril-lo. Ma prima della inaugurazione si verificò una situazione singolare: Nestorio si presentò con sedici vescovi e Cirillo con 50 suffraganei; il terzo patriarca, Giovanni di Antiochia, ritardò il suo arrivo, mentre i Le-gati pontifici erano trattenuti da una traversata burrascosa. Al concilio non poterono partecipare i vescovi dell'Africa del Nord, prigionieri dei Vandali dal 429; particolarmente dolorosa l'assenza di sant'Agostino, morto il 28 agosto del 430.
Nonostante la proposta del Commissario imperiale Candidiano e di ol-tre 60 vescovi di aspettare l'arrivo imminente di Giovanni con i suoi ve-scovi filo-nestoriani e dei Legati papali, Cirillo d'Alessandria, nella sua qualità di rappresentante pontificio, aprì il concilio il 22 giugno nella grande chiesa di S. Maria, presenti 198 vescovi (un centinaio dell'Asia Minore, sotto la guida di Mennone di Efeso; una cinquantina dell'Egitto con a capo Cirillo; una quindicina della Siria e Palestina con Giovenale di Gerusalemme; altri gruppi dall'Oriente).
Lo stesso giorno, nella sessione inaugurale, il concilio dimostrò la ve-rità del titolo mariano di «Theotòkos» e della reale unione delle due natu-re in Cristo; condannò Nestorio, il quale, benché citato, non si era presen-
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tato, e fu deposto come «novello Giuda»; i dodici anatematismi furono letti e allegati agli atti; non si definì un nuovo simbolo di fede, ritenendo sufficiente il Credo di Nicea. Al termine della giornata, la popolazione efesina organizzò una gioiosa fiaccolata, accompagnando i Padri conci-liari alle loro residenze, al grido di «Maria Theotòkos».
Quattro giorni dopo (26 giugno), giunse Giovanni con una quarantina di vescovi della Siria, che tennero per proprio conto, insieme con Nesto-rio e i suoi amici un altro concilio; successivamente arrivarono i tre Le-gati papali, che invece parteciparono al concilio di Cirillo. Si avevano dunque, contemporaneamente, due sinodi, l'uno contro l'altro: autentico e legittimo è considerato il primo, mentre il secondo è piuttosto un anti-concilio, un controsinodo.
Nella II e III sessione, Cirillo e i Legati approvarono a nome del Papa la sentenza di deposizione di Nestorio; nella IV-V sessione vennero sco-municati Giovanni e i suoi seguaci; nella VI e VII si stabilì di attenersi fedelmente al simbolo niceno con l'esplicita proibizione di formularne al-tri. A sua volta, l'anticoncilio aveva proceduto a deporre Cirillo e Men-none.
La situazione si fece ancora più confusa e tesa: per qualche settimana i protagonisti furono messi agli arresti dai funzionari imperiali. L'impera-tore approvò le delibere dei due sinodi. poi convocò le parti per una con-ciliazione. Risultando impossibile l'accordo, Teodosio II congedò il con-cilio con parole di deplorazione, rimandando ciascuno alla propria sede. Soltanto Nestorio fu sostituito sulla cattedra episcopale e rimandato nel suo monastero di Antiochia; quattro anni dopo verrà relegato nel penoso esilio del deserto egiziano, dove concluderà la sua vita verso il 450.
Nel frattempo, Cirillo aveva intrigato a corte, mandando ricchi doni a Pulcheria, la pia e influente sorella maggiore di Teodosio, e aveva con-quistato la folla di Efeso che rumoreggiava e premeva contro Nestorio.
Il papa Sisto III, successo nel 432 a Celestino I, tentò di sanare la scis-sione che perdurava fra i vescovi; dopo lunghi negoziati, Cirillo d'Ales-sandria e Giovanni di Antiochia raggiunsero nel 433 un accordo o com-promesso, sulla base di reciproche concessioni: Alessandria rinunciava a imporre il proprio Credo e gli anatematismi; Antiochia accettava la con-danna di Nestorio e sottoscriveva la formula di fede con il Theotokos. Il papa, a ricordo dell'evento, fece costruire a Roma la basilica di S. Maria Maggiore.
Già i contemporanei parlarono di «tragedia di Nestorio» e alcuni auto-ri moderni (Duchesne) difesero la sua persona e la sua dottrina, accusan-do Cirillo: la sua condanna sarebbe stata frutto di rivalità, malintesi e ca-lunnie, piuttosto che di eterodossia verso la fede. In realtà, la teologia delle due persone in Cristo, il titolo «esclusivo» di Theotokos spettante alla Madonna, nonché la «communicatio idiomatum», non possono essere giudicati ortodossi, anche se Nestorio si mostrò più moderato di altri an-tiocheni.
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IL CONCILIO DI CALCEDONIA (451)
Cirillo, in polemica con i seguaci di Nestorio, aveva sottolineato l'uni-tà di persona in Cristo con una formula ortodossa, ma un po’ ambigua perché non distingueva bene tra «natura» e «persona»: «una sola è la natura incarnata del Verbo di Dio». In mano a certi suoi discepoli incau-ti, la frase diede origine all'eresia monofisita.
L'occasione prossima fu la lotta scatenata da Eutiche contro i nesto-riani: il vecchio archimandrita, infatti, sosteneva che in Cristo c'era una sola natura (divina), pur ammettendo che fosse veramente uomo, nato da Maria Vergine. Condannato da un sinodo a Costantinopoli nel 448, egli ottenne da Teodosio II la convocazione di un nuovo concilio a Efeso per rivedere la sua causa: aveva l'appoggio del patriarca di Alessandria, Dio-scoro, e di un potente ministro di corte. Papa Leone Magno inviò i suoi Legati con alcuni messaggi, fra cui il celebre Tomus ad Flavianum, un testo dommatico di grande importanza, che Roma mandava ufficialmente al patriarca di Costantinopoli Flaviano.
Il concilio si aprì ad Efeso nell'agosto del 449 e fu presieduto da Dio-scoro, il quale negò la presidenza ai Legati pontifici, impedì la lettura del «Tomo», fece riabilitare Eutiche e condannò Flaviano (che mori pochi giorni dopo a causa delle percosse subite) con tutti i suoi seguaci. Ma pa-pa Leone cancellò le decisioni e definì il concilio «latrocinium ephesi-nium». La morte improvvisa dell'imperatore Teodosio II nel 450 e l'asce-sa al trono di Marciano e Pulcheria, devoti a Roma, permisero la celebra-zione di un altro concilio a Calcedonia, presso Costantinopoli, celebrato dall'8 ottobre al 1 novembre 451. È il quarto Concilio ecumenico: di esso ci sono rimasti gli atti ufficiali con i nomi degli oltre 500 partecipanti, tutti orientali, eccetto due vescovi africani e i quattro Legati papali, il ca-po dei quali - il vescovo Pascasino - presiedette il concilio. Tra i «Padri», oltre ai vescovi e con gli stessi diritti di voto e di precedenza, c'erano co-repiscopi, presbiteri, arcidiaconi e diaconi, in qualità di Legati episcopali. C'erano, inoltre, 18 commissari imperiali che, a nome dei due sovrani, praticamente presiedettero e diressero le discussioni, senza votare né sot-toscrivere gli atti.
Nella seduta inaugurale, assai tumultuosa, furono condannati Dioscoro e gli atti del «latrocinium ephesinum»; nella seconda, venne acclamato il «Tomo a Flaviano» con la famosa espressione: «Petrus per Leonem locu-tus est»; nella terza, i vescovi e i Legati papali scomunicano Dioscoro e lo destituiscono dalla dignità patriarcale; nella quarta, vengono riammessi al concilio i responsabili minori del «latrocinium», ma scoppiano seri in-cidenti provocati da monaci introdottisi con la prepotenza; nella quinta, un'aspra polemica minacciò di far naufragare il concilio: fu nominata una commissione di 23 membri, di varie regioni e tendenze teologiche, per la redazione di un nuovo Simbolo di fede; nella sesta, si approvò il testo che riprendeva essenzialmente i concetti del «Tomo a Flaviano» e delle lette-
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re di Cirillo a Nestorio e a Giovanni di Antiochia. In esso si confessa «un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, Unigenito; le due nature sono unite senza divisione (indivise), senza separazione (inseparabiliter), sen-za mutazione (immutabiliter) e senza confusione (inconfuse); la differen-za delle due nature non viene soppressa dalla loro unione, anzi le pro-prietà di ciascuna vengono salvaguardate e riunite in una sola persona (prosopon) e in una sola ipostasi».
Questo Simbolo di fede fu proclamato il 25 ottobre del 451 in una se-duta solenne, presieduta dalla coppia imperiale, salutata con acclamazio-ni del tipo: «Voi siete le fiaccole della fede ortodossa», «grazie a voi la pace regna nel mondo»; «Marciano novello Costantino, Pulcheria nuova Elena». Iperboli del genere erano in uso corrente durante il basso impero, ma la storia avrebbe smentito quell'ingenuo entusiasmo, aprendo una lunga crisi e una estesa opposizione anti-calcedonese.
In pratica, il concilio era terminato. Nelle successive sessioni vennero affrontate questioni personali, tra cui la riabilitazione dei vescovi antio-cheni che avevano accettato la condanna di Nestorio. Uno strascico po-lemico si ebbe nella penultima sessione con la promulgazione di 28 ca-noni, l'ultimo dei quali riproponeva il discusso canone tre del Concilio Costantinopolitano I del 381, che riconosceva un primato di onore al ve-scovo di Costantinopoli dopo il vescovo di Roma, poiché Costantinopoli era la «nuova Roma». Tale canone era stato rifiutato dal sinodo romano del 382, il quale aveva proclamato il primato della Chiesa romana e stabi-lito l'ordine gerarchico delle sedi vescovili per la loro speciale relazione con l'apostolo Pietro: 1a Roma; 2a Alessandria; 3a Antiochia di Siria. An-che ora, questo can. 28 viene disapprovato dai Legati pontifici e cancella-to da papa Leone con l'autorità che gli proveniva dall'essere il successore di Pietro.
I contrasti suscitati, comunque, accentueranno il senso di distacco fra Roma e l'Oriente e la loro progressiva separazione, preludio allo sci-sma definitivo del 1054.