Indice 1 Introduzione 2 1. Una premessa atlantica 1.1 La Storia Atlantica 7 1.2 Il Mondo Atlantico: risultato di due mondi separati 12 1.3 Three Concepts of Atlantic History 19 2. La Dichiarazione d'Indipendenza Americana 2.1 Una risoluzione per le tredici Colonie americane 29 2.2 Precedenti storici della Dichiarazione d'Indipendenza Americana 36 3. Tre diversi approcci atlantici alla storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza americana 3.1 L'interdipendenza americana: un processo di Trans-Atlantic History 41 3.2 Thomas Paine e la costruzione del Common Sense americano 48 Conclusioni 55 Bibliografia 61 Sitografia 63 1
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Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti
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Indice 1
Introduzione 2
1. Una premessa atlantica
1.1 La Storia Atlantica 7
1.2 Il Mondo Atlantico: risultato di due mondi separati 12
1.3 Three Concepts of Atlantic History 19
2. La Dichiarazione d'Indipendenza Americana
2.1 Una risoluzione per le tredici Colonie americane 29
2.2 Precedenti storici della Dichiarazione d'Indipendenza Americana 36
3. Tre diversi approcci atlantici alla storia globale della Dichiarazione
d'Indipendenza americana
3.1 L'interdipendenza americana: un processo di Trans-Atlantic History 41
3.2 Thomas Paine e la costruzione del Common Sense americano 48
Conclusioni 55
Bibliografia 61
Sitografia 63
1
Introduzione
Questo lavoro nasce con l'intento di analizzare il testo: The Declaration of
Independence. A Global History pubblicato nel 2007 da David Armitage, attualmente
Professore e Direttore del Dipartimento di Storia dell'Harvard University, che
sviluppa i suoi studi nell'ambito della storia delle idee politiche e, più precisamente,
del Repubblicanesimo anglo-americano in età moderna. Armitage ha origini
britanniche ed inizia il suo percorso di studi all'Università di Cambridge per poi
trasferirsi negli Stati Uniti alla Princeton University nel New Jersey con l'obiettivo di
seguire le orme del Repubblicanesimo stesso. Lo storico inglese ha provato a
ripercorrere ed analizzare le tematiche storiografiche riguardanti il legame politico-
culturale tra l'Impero Britannico e gli Stati Uniti d'America, lavorando in un primo
momento alla Columbia University di New York per poi spostarsi nel 2004 ed in
modo definitivo all'Harvard University.
David Armitage is the author or editor of fifteen books, among them The
Ideological Origins of the British Empire(2000), which won the Longman/History
Today Book of the Year Award, The Declaration of Independence: A Global
History (2007), which was chosen as a Times Literary Supplement Book of the
Year, Foundations of Modern International Thought (2013) and (with Jo Guldi) The
History Manifesto (2014), a New Statesman Book of the Year. His most recent
edited works are Shakespeare and Early Modern Political Thought (2009), also a
TLS Book of the Year, The Age of Revolutions in Global Context, c.1760-1840
(2010), Choice Outstanding Academic Title, and Pacific Histories: Ocean, Land,
People(2014). His articles and essays have appeared in journals, newspapers and
collections around the world and his works have been translated into Chinese,
Danish, French, Italian, Japanese, Portuguese and Spanish, with others soon to
appear in Dutch, Greek and Turkish.1
La formazione di David Armitage è dovuta a due dei più noti storici del pensiero
politico anglo-americano: Quentin Skinner e John Pocock, con i quali lavorò a stretto
contatto durante il periodo di permanenza all'Università di Cambridge. Q. Skinner,
ideatore e promotore, insieme a John Dunn, della famosa e rinomata scuola di
1 Harvard University Website, Scolar at Harvard, David Armitage. Lloyd C.Blankfein Professor of History.
Cambridge, è colui che per primo spinse Armitage verso lo studio del pensiero
politico britannico, all'interno di un percorso accademico che lo condusse ad
avvicinarsi ad un altro importante storico, ovvero a John G.A. Pocock, neozelandese
di origine e formatosi anch'egli a Cambridge. Pocock condivise con Armitage la
successiva esperienza professionale americana, sviluppando le sue riflessioni
all'interno di prestigiosi centri universitari e di ricerca quali la Johns Hopkins
University e la Folger Shakespeare Library di Washington, sede del Center for the
History of British Political Thought, che continua tuttora ad offrire nuovi ed
interessanti spunti di riflessioni nei confronti del pensiero politico della prima età
moderna, trovandogli una continuità all'interno del percorso indipendentista
americano di fine XVIII secolo. Proprio calandosi in questa visione del pensiero
politico inglese, legato strettamente all'analisi politica a cui si presta la Dichiarazione
d'Indipendenza Americana, Armitage sviluppa le linee guida entro le quali nasce The
Declaration of Independence. A Global History, un testo che è possibile collocare
all'interno di una specifica corrente storica che è quella atlantica.
La riflessione storiografica atlantica si sviluppa nel XIX secolo ed interroga
l'incrementarsi, nel secolo XVI, dei contatti tra il mondo europeo ed il Nuovo
Mondo, allorquando i continenti confinanti con l'Oceano Atlantico – Europa , Africa
e le Americhe – finirono per trasformarsi in un complesso sistema regionale,
favorendo un'ampia sfera comune di scambi economici e culturali.
[...] A partire dagli anni Cinquanta, ma con crescente impeto dagli anni Novanta in
poi – e sostanzialmente depurata da certe ipoteche ideologiche delle origini – è stata
in effetti una delle più significative esperienze intellettuali rivolte a de-
nazionalizzare la storia degli imperi coloniali ed a contestualizzarla all'interno di
reti di interdipendenze molto più complesse e variegate di quanto fosse mai stato
percepibile dal punto di osservazione offerto dalla storia (e dalla documentazione)
dei singoli Stati nazionali.2
L'insieme delle iterazioni avvenute tra l'Europa e le colonie del Nuovo Mondo va
quindi inserito all'interno di uno schema unico ove è possibile racchiudere un'ampia
gamma di campi d'indagine storica quali quello demografico, sociale, economico,
2 Guido Abbattista, Una storia intellettuale globale, prefazione al testo di David Armitage, La Dichiarazione d'Indipendenza. Una storia globale., Tradotto da: Franco Motta, Torino, UTET, 2008, p.VIII.
3
politico, legale, militare, intellettuale e religioso, non più letti in chiave nazionale, ma
studiati sulla base di prospettive legate tra loro dalla cornice costituita dall'Oceano
Atlantico. Questa corrente storiografica assume un significato rilevante soprattutto
perché nasce in risposta alle politiche espresse dagli Stati Uniti nella prima metà del
ventesimo secolo e trova le proprie ragioni d'essere nella:
Volontà di ripensare profondamente la storia nordamericana non in quanto prova del
“manifest destiny”di una nazione diversa e migliore rispetto al resto del mondo, ma
come una storia impossibile da separare dal complesso sistema di relazioni
internazionali e soprattutto atlantiche che ne hanno determinato il corso.3
Bernard Bailyn, Professore di Storia dell' Harvard University sin dal 1953 e vincitore
di due premi Pulitzer per la Storia (nel 1968 e nel 1987), si presenta, senza ombra di
dubbio, come uno dei principali propulsori della spinta atlantica grazie ai suoi due
lavori comparsi tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Settanta del Novecento.
Guido Abbattista, docente di Storia Moderna all'Università di Trieste, nel redigere la
prefazione Una Storia Intellettuale Globale alla traduzione di Franco Motta,
promossa nel 2008 dall'UTET, del testo: The Declaration of Independence. A Global
History di David Armitage, lo descrive come colui:
Che ha operato un profondo ripensamento sulla cultura politica americana delle
origini e sui fondamenti ideologici della rivoluzione del 1776, mostrandone le radici
tutte britanniche: per quanto innovative siano indubbiamente state le formulazioni
dei padri fondatori e originale il mondo politico a cui hanno dato vita, l'ispirazione
profonda, il linguaggio, le strutture di pensiero che li hanno guidati sia nella fase
rivoluzionaria sia in quella costituente non sarebbero comprensibili isolandole dalle
loro matrici britanniche (ed europee) e considerandole esclusivamente come il
mirabile frutto intellettuale di una terra vergine, feconda e creativa come l'America.
Bailyn, dunque, pone l'accento sull'eredità culturale e politica che legava i tredici
free and independent States all'originaria madre-patria inglese, un legame profondo,
che lo storico statunitense ritiene, addirittura, in grado di caratterizzare parte del
percorso indipendentista delle tredici Colonie Inglesi d'America. Queste radici
comuni, però, rappresentano solo una delle prospettive europee nascoste all'interno
del percorso indipendentista americano. La nascita degli Stati Uniti, infatti, finì per
legittimare anche altre esperienze culturali, sociali e politiche che andavano ben oltre
3 David Armitage, La Dichiarazione d'Indipendenza. Una storia globale., op.cit., p.VIII.
4
il semplice legame anglofono e che danno voce al cammino volontario di milioni di
olandesi, portoghesi, tedeschi, irlandesi, spagnoli, italiani ed in generale europei, al
pari di quello, invece, forzato a milioni di schiavi africani, verso le coste del Nuovo
Mondo. Questi uomini, le loro idee e le loro culture sono il diretto esempio di come
alla base dell'immaginario comune sul quale gli Stati Uniti poggiano la propria
identità vi siano delle costruzioni e delle esperienze europee ed atlantiche e non
esclusivamente inglesi. Timothy Coates, Professore del Dipartimento di Storia del
Charleston College, nel redigere una critica ad una delle maggiori opere di Bailyn, il
testo Atlantic History: Concept and Coutours (Cambridge: Harvard University Press,
2005), scrive:
Professor Bailyn's Atlantic is thus profoundly British, and very Northern. In a
nutshell, this is the work’s major problem. While expressly stating that Atlantic
history is greater than the sum of its parts, “as much Spanish as British, as much
Dutch as Portuguese, as much African as American”, Professor Bailyn really
focuses on one, British or Anglo-American dimension, over the course of the
eighteenth century. 4
L'opinione di Coates, che conclude il suo discorso asserendo che: <<It would have
been more accurate to label the book The British Atlantic in the Eighteenth
Century>>, aiuta a riconsiderare la dimensione britannica come una delle parti che
compongono il percorso storico Atlantico, esorcizzando, almeno in parte, la forzatura
nei confronti del debito culturale britannico. Certamente, è grazie al legame tra
l'Impero britannico e le sue colonie d'oltreoceano che si svilupperanno una gran parte
degli scambi commerciali, sociali e culturali del Nord Atlantico, così come risulta
ragionevole voler collocare gli scritti di Thomas Jefferson e le basi della
Dichiarazione di Indipendenza americana sulla scia della riflessione politica inglese
di fine 1700. Eppure la Storia Atlantica non può essere riassunta da un unico punto di
vista, in quanto, essa stessa rappresenta la chiave di lettura delle diverse realtà che la
compongono ed appartiene, inevitabilmente, ad ognuna di loro nella misura in cui
l'oceano riuscì ad influenzarne la storia e non il contrario. Lo stesso Armitage, nel
trattare di Storia Atlantica, ricorda come:
Atlantic history has recently become much more multicolored. The white Atlantic
4 Coates T., Bernard Bailyn: Atlantic History: Concept and Contours, College of Charleston, 2005.
5
has itself became a self-conscious field of study rather than the defining model for
all other Atlantic histories. – No longer is Atlantic history avaible in any color, so
long as it is white.5
All'interno del contesto Atlantico si sviluppa, dunque, una delle maggiori opere di
David Armitage: The Declaration of Independence. A Global History, un lavoro che
ha contribuito in larga misura al dibattito storiografico Atlantico e che nasconde un
passaggio cruciale che da molti è stato recepito come il tentativo di una
riproposizione dell'eccezionalismo americano all'interno di una prospettiva globale.
Il Professore Abbattista, nella prefazione alla traduzione italiana del testo, commenta
il passaggio di Armitage che punta ad internazionalizzare la Dichiarazione di
Indipendenza americana come:
Un’interpretazione tendente a proclamare di nuovo una sorta di primato americano
nella fondazione della libertà politica moderna, il cui pedigree discenderebbe
direttamente dalla grande opera di liberazione di portata universale, o «globale»,
realizzata dai padri fondatori.6
Armitage sviluppa le proprie tesi partendo dal concetto di storia atlantica e muove
un'analisi che dalle ragioni atlantiche della Dichiarazione del 1776 si indirizza verso
una prospettiva direttamente globale; la Dichiarazione d'Indipendenza americana
diventa il canovaccio sul quale si sviluppano le future Dichiarazioni di Indipendenza,
all'interno di una pandemic of independence che trova origine nel percorso storico
degli Stati Uniti e che, in breve tempo, si allarga al mondo intero.
Prima ancora d'indagare la Dichiarazione di Indipendenza risulta necessaria, ai fini
del nostro discorso, una riflessione d'ampio respiro sulla storia atlantica e sulle
ragioni che hanno portato alla nascita di questa corrente storica, così da stimolare una
maggiore comprensione del contesto entro il quale si muove il dibattito storiografico
relativo all'opera di Armitage.
5 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History, in D. Armitage, M.J. Braddick (a cura di), The
British Atlantic World, 1500-1800, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2002, p.14.
6 David Armitage, La Dichiarazione d'Indipendenza. Una storia globale., Tradotto da: Franco Motta con Prefazione di Guido Abbattista, Torino, UTET, 2008, p.XII.
6
1. Una premessa Atlantica
1.1 La Storia Atlantica
L'idea di storia atlantica nasce e si sviluppa all'interno del XX secolo e pone le
proprie radici sulla precedente storia Imperiale britannica, spagnola e portoghese
grazie ai lavori di Charles M. Andrews e Clarence Haring, due dei maggiori storici
imperialisti del Novecento. Ad Andrews va il merito d'aver catalogato, indicizzato e
reso accessibili gli archivi anglo-americani del primo Impero britannico nel Public
Record Office di Londra, mentre Haring orienta il suo interesse nei confronti degli
archivi relativi all'età imperiale presenti a Madrid e Siviglia. Ambedue hanno lasciato
un enorme contributo alla storia imperiale stimolando quelle che furono le prime
riflessioni nei confronti dell'Atlantico senza, però, riuscire a cogliere appieno le
novità nascoste all'interno dei rapporti d'oltreoceano, ma proponendo soltanto una
minuziosa descrizione della struttura e dell'organizzazione degli imperi allora
esistenti. Uno dei testi che non possiamo non tenere in considerazione ai fini del
discorso è dato dall'elegante opera di Fernard Braudel Le Méditerranéen à l'époque
de Philippe II del 1959; questo testo, tesi di dottorato dello storico francese grazie
alla quale conseguirà il titolo di Dottore in Lettere, è stato definito da molti come
un'opera metastorica e non storica. Lo storico francese sperimenta una totale
inversione del peso del soggetto studiato che, dalla figura di Filippo II, si sposta al
Mar Mediterraneo portando alla definitiva conclusione che la storia di un mare è la
storia delle terre che lo bagnano. Braudel va annoverato tra gli autori e gestori della
rivista fondata nel 1925 da Marc Bloch e Lucien Febvre con il titolo di Annales
d'histoire economique et sociale. Les Annales promuovono un innovativo approccio
storico teso all'abbandono della histoire evenementielle in favore dello studio della
storia delle strutture che governano i percorsi storici. Queste riflessioni sul vecchio
continente prepararono la strada per il definitivo successo della storia atlantica come:
One of the most important new historiographical developments of recent years.7
Possiamo far risalire la prima vera scintilla relativa alla storia atlantica al 1917 ed
7 J. H. Elliot, Do the Americas have a common history? An Address., Providence, RI, The John Carter Brown Library, 1998, p.19.
7
agli scritti del ventisettenne Walter Lippmann: giornalista molto influente ed
appassionato interventista. Egli, all'alba della prima guerra mondiale, apporta, nel
Febbraio del 1917, un primo riferimento concreto nei confronti del sistema atlantico,
scrivendo sulla rivista il New Republic quanto segue:
Noi dobbiamo lottare per l'interesse comune del mondo occidentale, per l'integrità
delle potenze atlantiche. Dobbiamo di fatto riconoscere che siamo una grande
comunità ed agire come suoi membri8.
Le speranze del giornalista newyorkese, che miravano alla nascita di una salda e
durevole comunità atlantica, vennero meno dinanzi all'isolazionismo post-bellico
americano e finirono per scomparire del tutto all'interno della grande depressione nel
1929. Nel 1941 Forrest Davis, un altro giornalista americano, impegnato in una
nuova battaglia interventista, riprese le tesi di Lippmann all'interno del testo The
Atlantic System: un lungo commento sulla Carta Atlantica firmata da Roosevelt e
Churchill in cui veniva elencata una storia generale delle relazioni anglo-americane.
Due anni dopo, nel 1943, Lippmann stesso tornò a trattare delle argomentazioni
atlantiche presentando all'indomani del D-Day il testo U.S. War Aims, scritto in cui
veniva discusso il problema del nuovo ordine mondiale, data l'ormai vicina
conclusione della Seconda guerra mondiale. Questo nuovo ordine, scrive Bailyn
parafrasando le parole di Lippmann:
Doveva essere dominato da “grandi costellazioni regionali di Stati che siano patrie
non di singole nazioni, ma delle comunità storiche civilizzate”. Prima fra tutte –
scrisse – ci sarà o avrebbe dovuto esserci la comunità Atlantica, un “sistema
oceanico” le cui principali potenze militari erano isole l'una rispetto all'altra.
C'erano naturalmente delle differenze nazionali all'interno dell'area Atlantica, ma si
trattava di “variazioni all'interno della stessa tradizione culturale”, che era
“l'estensione della cristianità latina ed occidentale dal Mediterraneo occidentale
all'intero bacino dell'Atlantico”.9
La seconda metà del '900 si apriva, dunque, ad una nuova concezione del mondo
orientata, dopo le distruzioni dovute alle due guerre mondiali, ad una rapida
ricostruzione del vecchio continente ed all'annientamento delle derive
8 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, Tradotto da: Marina Magnani, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p.16.9 Ibidem, p.17.
8
nazionalistiche; un momento storico delicato in cui il nuovo rischio rappresentato
dall'espansione del comunismo russo venne evitato dalla creazione di una vera e
propria comunità atlantica, così come propagandavano gli scritti di Lippmann e
Davis. Nel 1961, la nascita dell'Atlantic Council of the United States segnò una
ulteriore svolta del cammino atlantico; l'obiettivo di questo nuovo organo, che tra i
propri presidenti onorari può vantare figure di spicco quali: il Presidente Hoover,
Truman ed il generale Eisenhower, era di <<agire come uno strumento educativo per
stimolare riflessioni e dibattiti sul bisogno di una più grande unità atlantica e sulle
questioni connesse al suo sviluppo>>.10 Il Consiglio stimolò la scrittura di libri ed
opuscoli sul tema della coesione atlantica, pubblicizzando importanti conferenze nel
Nuovo e nel Vecchio Mondo fino alla nascita, nel 1963, del The Atlantic Community
Quaterly, una rivista il cui scopo primario era quello di promuovere la storia
Atlantica in ogni dove, in quanto in essa risiedeva una scelta storicamente
inevitabile. E' necessario arrivare al 1954-1955 per avere il primo tentativo esplicito
di una concettualizzazione generale dell'idea di storia atlantica ad opera di Jacques
Godechot e Robert Palmer, due storici per i quali l'idea di storia atlantica risultò
irresistibile sin dal primo momento. Nel 1955 la collaborazione dei due all'Università
di Princeton produsse un dettagliato rapporto su svariate tematiche storiche, a loro
contemporanee, facilmente associabili all'idea dell'esistenza di una comunità
atlantica. Palmer e Godechot alla domanda relativa all'esistenza di una o molte
civiltà atlantiche, infatti, rispondono:
Una, certamente se si mettono in contrapposizione Oriente ed Occidente. Perché era
chiaro che la civiltà del mondo atlantico, malgrado le sue differenze interne, avendo
conservato nelle sue fondamenta le “idées maìtresses” della civiltà cristiano-
giudaica, del diritto romano, e della ragione greca, è stata capace di una società più
liberale e più dinamica [...]. Sempre meno disposta a seguire passivamente le
usanze e a sottomettersi alla forza.11
Le successive pubblicazioni dei due storici, rispettivamente la Grande Nation di
Godechot del 1956 e soprattutto, The Age of Democratic Revolution, di Palmer del
1959-1963, regalarono alla disciplina atlantica una spinta dinamica all'interno del
10 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, op.cit., p.18.11 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, op.cit., p.29.
9
dibattito accademico e storiografico, dando il via libera a discussioni, riflessioni,
dibattiti e pubblicazioni indirizzate allo studio dell'Atlantico.
Prima della fine degli anni Cinquanta del Novecento, Pierre ed Huguette Chaunu,
immagazzinarono all'interno del loro Séville et l'Atlantique ben otto tomi di dati e di
analisi relative ai rapporti che legavano la città di Siviglia con il mondo atlantico,
provando a fare luce su tutte le esperienze atlantiche che contribuirono alle
trasformazioni culturali, sociali, politiche ed economiche subite dalla città spagnola.
A questa mole di lavoro seguirono altri quattro volumi, in cui gli studi attuati sul
commercio atlantico della città di Siviglia si tradussero in una vera e propria analisi
della vita dell'oceano Atlantico stesso. Lo sviluppo delle tematiche atlantiche sembrò
a lungo un processo inarrestabile, infatti, mentre i coniugi Chaunu erano dediti al
proprio lavoro sulla città di Siviglia, altri rami della discussione nacquero intorno la
fine degli anni Sessanta. The Atlantic Slave Trade. A census, del 1969, ad opera di
Philip Curtin, aprì le porte ad un'altra delle macro-tematiche di cui lo studio
dell'Atlantico si fa promotore: il fenomeno dello schiavismo ed il commercio degli
schiavi che collegava le coste africane con il Nuovo Mondo e con l'Europa,
all'interno di un triangolo di rotte commerciali che sopravvisse fino alla fine del XIX
secolo. Il testo di Curtin nasce da alcune precedenti riflessioni riguardanti la
Giamaica del XIX secolo e riassume l'intero ammontare dei tabulati a stampa che a
quell'epoca rendicontavano il mercato di schiavi ispanico, inglese e francese
orientato verso l'isola giamaicana. Curtin, esprimendosi nei confronti della realtà
atlantica, descrisse come:
Un assetto regionale sociale, politico ed economico di cui la Giamaica era stata
parte stimolò la creazione sull'isola di due distinte ma intrecciate economie; una
africana e l'altra europea, le cui tensioni portarono a sconvolgimenti improvvisi ed,
infine, al declino.12
Da Curtin in poi gli studi facenti riferimento alla diaspora africana si incrementarono
a dismisura fino a giungere al prodotto definitivo di quattro storici americani ed
inglesi che, nel 1999, pubblicarono la banca dati informatica The Atlantic Slave
Trade. In essa venivano riunite, in modo sistematico ed interrogabile via computer,
una vasta gamma di informazioni riferite a circa ventisettemila tratte di schiavi
12 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, op.cit., p.34.
10
spagnole, portoghesi, olandesi, britanniche e nordamericane, riassumendo in un
unico archivio ben due terzi del totale dei dati stimati fino a quel momento.
Negli stessi anni la storia demografica del mondo Atlantico si sviluppò anche in altre
direzioni: in Nord America lo studio della migrazione di particolari gruppi etnici e la
struttura sociale degli insediamenti dei migranti divennero il fulcro dell'indagine
storiografica. In Sud America, invece, gli studi si focalizzarono sulla consistenza
originale, il declino e più in generale sulla natura delle popolazioni autoctone del
Nuovo Mondo e su come la migrazione transatlantica europea sia poi riuscita a
trasformare ed inglobare tali realtà. Sia nel Nord che nel Sud America le conoscenze
si allargarono in modo continuo grazie all'utilizzo dei computer ed alla possibilità di
nuovi campi di studio comuni; uno stimolo, scrive David Eltis, che tende, per la
prima volta nella storia umana, alla teorizzazione di una comunità emisferica:
Nel senso che chiunque ci vivesse possedeva dei valori che, se non erano comuni a
tutto l'Atlantico, erano in qualche modo certamente influenzati da altre persone che
vivevano in parti diverse del bacino Atlantico. […] Il risultato fu, se non un'unica
società atlantica, un insieme di società profondamente diverse da ciò che sarebbero
state senza la partecipazione alla nuova rete transatlantica.13
Secondo le parole del principale atlanticista tedesco, Horst Pietschmann, la storia
atlantica si presenta come <<un elemento connettivo tra la storia europea,
nordamericana, caraibica, latino-americana e dell'Africa occidentale>>,14 che si
tradusse, letteralmente, in <<un incontro improvviso e brutale tra due vecchi mondi
che li trasformò entrambi e li integrò in un unico Nuovo Mondo>>.15
13 David Eltis, Atlantic History in Global Perspective, in Itinerario:Journal of European Overseas Expansion, Volume 23, 1999, pp.141-61.
14 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, op.cit., p.53.15 Ibidem, p.52.
11
1.2 Il mondo Atlantico: risultato del contatto di due mondi separati
Uno dei più importanti avvenimenti storiografici relativi allo studio della ancora
precoce storia atlantica è rappresentato, senza ombra di dubbio, dalla pubblicazione
nel 1972 di The Columbian Exchange di Alfred W. Crosby. Il merito del Professore
di Storia dell'Università del Texas è di aver compreso che, alla radice di quella
rivoluzione dell'immaginario europeo, ci fosse la reciproca contaminazione dei
sistemi biologici tra le due sponde dell'Atlantico. Il precedente paragrafo si conclude
con l'affermazione secondo la quale dall'integrazione di due mondi sia stato possibile
vederne nascere uno radicalmente nuovo. Tale conclusione, ossia l'attestazione della
nascita di un Nuovo Mondo Atlantico, trova in Crosby e nella sua opera delle valide
ed ottime giustificazioni. Crosby muove la propria analisi all'interno di due
importanti questioni storiografiche: in primo luogo provando a far luce su tutto ciò
che riguarda quell'ampia gamma di malattie che nascono dall'iterazione delle
popolazioni indigene americane con i popoli europei, tramite una riflessione
storiografica che rimette in discussione l'importanza di malattie comuni tra le
popolazioni europee, come il vaiolo, all'interno del contesto americano. E in secondo
luogo analizzando le malattie di accertata origine americana, come la sifilide, e di
come si siano diffuse all'interno del continente europeo. Il successivo passo di
Crosby è costituito dalla costruzione di un ampio corollario di esempi a conferma
della tesi dello scambio biologico in atto tra i due continenti, dovuto allo scambio di
uomini, colture agricole e specie animali che caratterizzano in pieno la prima età
moderna e che indirettamente finiscono per rappresentare l'intero assetto
commerciale dell'Atlantico.
The Old World – by which we mean not just Europe, but the entire Eastern
Hemisphere – gained from the Columbian Exchange in a number of ways.
Discoveries of new supplies of metals are perhaps the best known. But the Old
World also gained new staple crops, such as potatoes, sweet potatoes, maize, and
cassava. Less calorie-intensive foods, such as tomatoes, chili peppers, cacao,
peanuts, and pineapcalorie were also introduced, and are now culinary centerpieces
in many Old World countries, namely Italy, Greece, and other Mediterranean
countries (tomatoes), India and Korea (chili peppers), Hungary (paprika, made from
12
chili peppers), and Malaysia and Thailand (chili peppers, peanuts, and pineapples).
Tobacco, another New World crop, was so universally adopted that it came to be
used as a substitute for currency in many parts of the world. 16
Le affermazioni di Nathann Nunn e Nancy Qian, entrambi Assistent Professor of
Economics rispettivamente dell'Harvard University e della Yale University,
confermano la rilevanza del tema storiografico qui citato, presentando lo scambio
colombiano come un processo che ha origine nel contatto tra il Vecchio e Nuovo
continente e che racconta della graduale e concreta modificazione dell'ambiente
biologico originario di entrambi di cui l'oceano Atlantico divenne il principale
propulsore. Nunn e Qian, nello stesso scritto, ricordano che:
The exchange not only brought gains, but also losses. European contact enabled the
transmission of diseases to previously isolated communities, wich caused
devastation far exceeding that of even the Black Death in fourteenth-century
Europe.17
All'interno dei capitoli centrali del testo The Columbian Exchange, mentre tratta il
disfacimento del popolo degli Indios, Crosby parla di alleati biologici dei
conquistadores riferendosi a quell'insieme di malattie infettive che all'epoca
venivano generalmente riassunte con il termine di viruelas(vaiolo). La spedizione di
Cortes del 1519, che sbarca sulle coste del Messico al comando di 11 navi, 100
marinai e 508 soldati, si vede così ridimensionata dall'azione di malattie come il
vaiolo, che precedendo l'arrivo dei conquistadores, hanno reso le popolazioni native
del centro America incapaci di difendersi, decimandole. Una delle prime epidemie di
vaiolo del Nuovo Mondo venne documentata dal vescovo Domenicano Bartolomé de
Las Casas e colpì l'isola di Santo Domingo nel 1518. Las Casas rappresenta una delle
personalità che meglio riassumono come all'interno del mondo Atlantico anche un
singolo uomo possa racchiudere in sé il potere di plasmare la storia. La storia del
frate domenicano, ricordata successivamente anche da C.L.R. James nel testo I
Giacobini Neri, si dimostra quantomeno peculiare, infatti, scrive James:
Las Casas, ossessionato dalla prospettiva di vedere con i suoi propri occhi la
distruzione completa di un popolo nello spazio di una sola generazione, ricorse
16 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange: A History of Disease, Food, and Ideas., “Journal of Economic Perspectives”,Volume 24, Number 2, Spring 2010, p.163.17 Ivi.
13
all'espediente di importare da un'Africa popolosa i negri più robusti; nel 1517 Carlo
V concesse l'autorizzazione all'esportazione di 15.000 schiavi a Santo Domingo e fu
così che il frate e il suo re vararono nel mondo la tratta degli schiavi e la schiavitù
d'America. 18
Le suppliche di Las Casas nei confronti del governo spagnolo, che miravano
all'abolizione dei repartimientos, ossia dei lavori forzati e della schiavitù istituiti
dalla legge spagnola nei confronti degli indigeni del luogo, finirono per stimolare la
nascita dello schiavismo su scala mondiale e di nuove, violente e durature forme di
coercizione. La lista delle malattie che dal Vecchio mondo si propagarono all'interno
del continente americano è una lista lunga che si diversifica da regione a regione: the
<<major killers include smallpox, measles, whooping cough, chicken pox, bubonic
plague, typhus, and malaria>>,19tutte malattie sconosciute ai nativi americani e con le
quali non avevano mai avuto alcun contatto diretto. Non avendo potuto sviluppare
anticorpi adatti alle malattie europee, diventa ragionevole ipotizzare che molte di
queste popolazioni siano state decimate dall'espandersi di grosse epidemie sin dai
primi anni del XVI secolo, ancor prima dello scontro diretto con le spedizioni di
conquista spagnole.
Although we may never know the exact magnitudes of the depopulation, it is
estimated that upwards of 80–95 percent of the Native American population was
decimated within the first 100–150 years following 1492.20
La perdita demografica subita dalle popolazioni native del continente americano è un
dato che tutt'ora risulta difficile quantificare, data l'impossibilità di avere una stima
approssimativa della popolazione americana prima dell'arrivo di Colombo nel 1492.
Infatti, le stime sostanziali fino ad ora ipotizzate oscillano da un minimo di 8 ad un
massimo di 110 milioni di persone, e in entrambi i casi, le perdite calcolate durante
gli anni del primo contatto con il mondo europeo superano abbondantemente la metà
del totale, presentando un tasso di sopravvivenza minimo nei confronti
dell'espansione dell'uomo bianco. L'esodo delle popolazioni native delle Americhe si
avvia sin dal primo contatto con Colombo e si sviluppa negli ultimi anni del 1400,
18 C.R.L. James, I Giacobini neri. La prima rivolta contro l'uomo bianco., Tradotto da: Raffaele Petrillo, Feltrinelli Editore, Milano, giugno 1968, p.11.19 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange., op.cit., p.165.
20 Ivi.
14
precedendo di pochi anni il definitivo declino causato, in seguito, da ciò che è
identificabile con il bagaglio culturale, sociale, politico ed anche biologico europeo.
Una presenza, quella europea, che si fece più forte grazie alla continua migrazione di
sempre maggiori fette della popolazione d'oltreoceano, che pian piano trapiantarono
la loro stessa cultura sulle coste del Nuovo Mondo, fino a rompere definitivamente
l'equilibrio biologico e naturale entro il quale i popoli nativi americani avevo
costruito la propria realtà.
Specularmente anche in Europa alcune malattie iniziarono a propagarsi dopo il
viaggio di Colombo del 1492; il caso di maggior rilevanza è fornito dall'esempio
della sifilide. Il bacillo del Trepodema pallidum si presentò in Europa per la prima
volta a Napoli nel 1494, prevalentemente diffuso tramite rapporti sessuali, esso finì
per impressionare drasticamente l'immaginario europeo a causa del suo elevatissimo
tasso di mortalità iniziale.
Biologist Irwin Sherman (2007) lists venereal syphilis as one of the twelwe diseases
that changed the world. This may seem surprising, given that today venereal
syphilis is a nonfatal disease that is effectively treated with penicillin. However, this
was not always the case. Early on, in the late fifteenth and early centuries, the
disease was frequently fatal, and its symptoms were much more severe. They
included genital ulcers, rashes, large tumors, severe pain, dementia, and eventual
death. Over time, as the disease evolved, its symptoms changed, becoming more
benign and less fatal.21
La sifilide non è stata sempre considerata come una malattia d'origine americana,
inizialmente, infatti, furono avvalorate ipotesi secondo le quali tale malattia potesse
considerarsi di origine europea. Queste tesi trovarono delle valide giustificazioni
nell'impossibilità, per gli studiosi del tempo, di riuscire a differenziare la sifilide
dalle altre malattie, data la verosimiglianza sintomatica di questa con molte malattie
mortali conosciute in quel periodo. Tali teorizzazioni sono state smentite da quella
che Nunn e Qian definiscono come la Columbian Hypothesis; questa tesi fa risalire
l'intero processo dell'epidemia da sifilide al ristretto gruppo di persone guidate da
Cristoforo Colombo durante il suo primo viaggio verso l'America. I soldati e marinai
spagnoli, dopo aver contratto la sifilide ad Hispaniola, tramite rapporti sessuali avuti
21 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange., op.cit., p.166.
15
con le donne del posto, avrebbero trasportato il virus fin dentro il continente europeo
al loro ritorno a casa. Gli stessi, prendendo parte alla campagna militare richiamata
da Carlo VIII di Francia contro il Regno di Napoli, causarono, infine, lo scoppio
della prima epidemia nella città partenopea durante il 1494.
Infected and disbanding mercenaries then spread the sidease throughout Europe
when they returned home. Within five years of its arrival, the disease was epidemic
in Europe. Syphilis reached Hungary and Russia by 1497; Africa, the Middle East,
and India by 1498; China by 1505; Australia by 1515; and Japan by 1569
Le novità che le riflessioni di Crosby apportano all'analisi storiografica hanno
stimolato, con il passare del tempo, diversi e particolari studi, orientati verso ogni
singolo prodotto, bene o merce che dal Nuovo Mondo sbarca nel Vecchio, al pari di
quelli che dal Vecchio mondo si spostarono, invece, nel nuovo contesto americano.
Lo scambio colombiano presentò anche delle novità positive per il Vecchio Mondo
grazie alla scoperta di una serie di colture agricole ad alto contenuto calorico, quali:
patate, patate dolci, mais, e manioca la cui diffusione fu rapidamente favorita dalla
loro natura robusta. Queste colture potevano, dunque, essere coltivate anche in
ambienti climatici avversi, dove le altre tipologie di colture prettamente europee non
erano in grado di attecchire; esse furono in grado di fornire all'Europa prodotti
alimentari nuovi che, presentando una resa di gran lunga maggiore di quelli
conosciuti prima del 1492, finirono per sconvolgere rapidamente l'intero impianto
nutrizionale europeo.
The New World crop that arguably had the largest impact on the Old World is the
potato. Becouse it provides an abudant supply of calories and nutrients, tha potato is
able to sustain life better than any other food when consumed as the sole article of
diet.23
La patata divenne in breve tempo una delle colture più importanti d'Europa,
imponendosi come alimento centrale della dieta di popoli come quello irlandese,
tedesco, polacco e portoghese. La scoperta e l'adozione di questa nuova coltura ha
significativamente aiutato anche la crescita demografica dei luoghi entro i quali si
sviluppò; quest'affermazione si deve agli studi avviati sull'argomento da parte di
22 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange., op.cit., p.166. 23 Ibidem, p.169.
16
Nunn e Qian nel 2009 che, paragonando le differenze nelle statistiche relative alla
crescita demografica di particolari realtà territoriali, prima e dopo l'adozione della
patata come alimento principale, riuscirono a confermare la propria ipotesi
avvalorandola con statistiche e dati precisi:
We find that the potato had a significant positive impact on population growth,
explaining 12 percent of the increase in average population after the adoption of the
potato.24
L'introduzione delle colture provenienti dal Nuovo Mondo non si limitò al solo
continente europeo, ma si allargò ben presto anche a quello africano grazie
all'adozione in larghe quantità di colture quali il mais e la manioca. Il mais, che
presto divenne l'alimento principale di molti Paesi africani, si estese rapidamente in
Lesoto, Malawi e Zambia, provocando numerose epidemie di pellagra, una malattia
causata dalla carenza della vitamina PP, presente generalmente all'interno di cibi
freschi, come latte, verdure e cereali e del tutto assente nel mais. Un'altra coltura
rapidamente adottata su larga scala dalle popolazioni africane fu la manioca, la cui
radice assunse il nome di pane dei poveri, diventando nel giro di pochi anni un
elemento imprescindibile della dieta di svariate realtà territoriali africane. Al pari del
mais, anche per quanto riguarda una dieta composta unicamente di manioca, sono
state riscontrate delle ripercussioni sulla salute che si tradussero con la comparsa di
una nuova e pericolosa malattia chiamata konzo.
There are two channels through which the Columbian Exchange expanded the
global supply of agricultural goods. First it introduced previusly unknown species
to the Old World. […] In many istances, the New World foods had an important
effect on the evolution of local cuisines. Chili peppers gave rise to spicy curries in
India, to paprika in Hungary, and to spicy kimchee in Korea. Tomatoes significantly
altered the cuisine of Italy and other Mediterranean countries. Second, the discovery
of the Americas provides the Old World with vast quantities of relatively
unpopulated land well-suited for the cultivation of certain crops that where in high
demand in Old World markets. Crops as sugar, coffee, soybeans, oranges, and
bananas were all introduced to the New World, and the Americas quickly became
the main suppliers of these crops globally.25
24 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange., op.cit., p.170.25 Ibidem, p.167.
17
La storia atlantica è anche la storia di tutti quei fenomeni che si ripeterono all'interno
del Vecchio e Nuovo mondo all'indomani del loro primo contatto; non sorprende,
dunque, come sin dal primo momento i popoli europei abbiamo sfruttato l'enorme
quantitativo di nuove terre libere che il Nuovo mondo metteva a disposizione, in
modo tale da rafforzare la propria forza economica e commerciale all'interno del
mercato Atlantico. Ciò che sorprese fu, invece, l'impressionante crescita produttiva
di alcuni prodotti come il caffè, lo zucchero, le arance e le banane che nel Vecchio
continente facevano fatica ad essere coltivati in modo soddisfacente e che, una volta
trapiantati nel Nuovo mondo, presentarono una resa esponenzialmente maggiore.
Questi prodotti, che rappresentavano la fetta maggiore della domanda interna del
mercato europeo, cambiarono in modo repentino il volto del territorio americano,
inserendo nel Nuovo mondo innumerevoli piantagioni di canna da zucchero, caffè e
tabacco fino a trasformare l'America nel primo produttore su scala mondiale dei
prodotti maggiormente scambiati all'interno del mercato Atlantico.
18
1.3 Three Concept of Atlantic History: una riflessione sui diversi approcci allo studio
della storia atlantica.
What is Atlantic history and what does it have to offer those who teach the history
of the geographic region that became the United States? This issue of the OAH
Magazine of History is dedicated to a field of study with neither a single definition
nor even generally accepted chronological parameters, a field so inchoate and so
elusive that although its practitioners debate particular issues vigorously, the field as
a whole has no overarching points of historiographic contention. 26
In quest'articolo dell'OAH (Organization of American Historian) Magazine of History
vengono posti ad Alison Games, Professoressa di Storia dell'Università di
Georgetown, alcuni importanti interrogativi relativi alla nascita, crescita ed
evoluzione del campo di studi rappresentato dalla storia Atlantica. La speranza di
quest'articolo è quella di inquadrare in modo definitivo il campo di studi Atlantico, in
modo tale da tradurre l'acceso dibattito storiografico in disciplina storica. Una
disciplina che nella regione geografica formata dall'oceano Atlantico e dai quattro
continenti che lo circondano definisce dei confini naturali e che indirizza la propria
analisi storica alle società che furono influenzate dallo scoppio delle iterazioni in
seguito alla scoperta delle due Americhe.
These societies are not necessarily places along the Atlantic Ocean itself – Peru, for
example, or the western coast of North America, or the region surround ing the
Great Lakes. Places and people on the Pacific coast of the Americas were engaged
in processes originating from the Atlantic, regardless of their actual geographic
location. Africans who lived hundreds of miles from the Atlantic coast were
nonetheless ensnared in the slave trade and its varied economic, social, and political
repercussions, while diets around the world were altered by the new products of the
Americas.
Il mondo Atlantico si presenta come una coerente unità di analisi storica, ma non può
essere studiato come una regione monolitica, fissa ed uniforme, anzi, trova nel
continuo movimento di merci, persone, idee e malattie la propria ragion d'essere. La
storia Atlantica facilita l'analisi comparativa di realtà lontane tra loro grazie ad
26 Alison Games, Introdution, Definitions, and Historiography: What is Atlantic History?, in “OAH Magazine of History”, Vol. 18, No. 3, The Atlantic World, Aprile 2004, pp.3-7.
19
aspetti comuni dovuti alla loro appartenenza al sistema Atlantico. Questa visione
comparativa spinge Games ad affermare quanto segue:
Not all subjects are Atlantic in scope; not all questions require answers that include
the entire Atlantic world. An Atlantic perspective should only be invoked if the
Atlantic offers a logical unit of analysis. But for those who seek answers and
explanations in this larger regional context, Atlantic history provides an approach
that requires the rejection of national histories. Atlantic history assumes that
explanations for events in one place might lie elsewhere. 27
Il superamento delle precedenti storie nazionali si pone come elemento
l'analisi atlantica nasce solo grazie all'esclusione dei confini nazionali, all'interno di
un quadro storico ove diventa difficile definire confini diversi da quelli rappresentati
dall'Oceano stesso.
Colleges and universities now advertise for positions in Atlantic history for both
introductory and advanced classes. At Georgetown University, for example, Atlantic
History (History 3) fulfills one half of the college's General Education requirement
in history. Graduate students in history at some institutions can pursue degrees in
Atlantic history. What can Atlantic history offer those who specialize in United
States or North American history? The essays and lesson plans contained here hope
to answer that question. They illustrate the explanatory power of answers to
fundamental historical questions – about migration, conquest, revolution,
consumption, cultural transfer, and the transmission of knowledge – that require an
Atlantic approach.28
La necessità di definire quali processi fanno riferimento ad un approccio atlantico,
entro quali termini esso può svilupparsi e quali sono le domande storiche
fondamentali alle quali la storia Atlantica può dare una valida risposta, è la base di
partenza di ogni percorso di studio Atlantico. Questi elementi sono il perno intorno al
quale costruire interessanti percorsi accademici, in modo tale da fornire alla storia
Atlantica il giusto ruolo all'interno delle nostre Università. Privilegiare le connessioni
ed iterazioni che nascono da processi simili all'interno del contesto Atlantico, può
stimolare interessanti approfondimenti e ricerche che rendono possibile la
27 Alison Games, Introdution, Definitions, and Historiography: What is Atlantic History?., op.cit., p.4.
28 Ivi.
20
coesistenza di linguaggi diversi, quali, per esempio: lo spagnolo, il portoghese, il
francese e l' inglese, al fine di avvicinare le comuni storiografie, allargandone la
prospettiva senza mai perdere l'eterogeneità del percorso atlantico al quale si sceglie
di far riferimento.
We are all Atlanticists now – or so it would seem from the explosion of interest in
the Atlantic and the Atlantic world as a subjects of study among historians of North
and South America, the Caribbean, Africa and western Europe.29
Con queste parole, David Armitage, presenta il suo punto di vista in merito alla
nascita, crescita e definitiva affermazione di un nuovo campo di studi che:
Is even beginning to shape the study of literature, economics, and sociology on
topics as diverse as theatrical performance, the early history of globalization, and
the sociology of race.30
Il processo di legittimazione della disciplina atlantica avviato da Armitage, avvia un
vero e proprio nuovo tema storico differenziabile dai diversi campi di studi entro i
quali può esser sviluppato grazie ad alcune sue particolari peculiarità. La ben definita
geografia interna, rappresentata dai confini dell'Oceano Atlantico, porta l'autore ad
una riflessione che, ai fini del discorso, diventa una vera e propria domanda retorica:
<<Is not an ocean a natural fact?>>31. Armitage analizza la questione in maniera tale da
riconoscere nell'oceano Atlantico in sé il luogo di espansione naturale della
riflessione storica atlantica, delineandone proprio i confini. Al tempo stesso, la storia
Atlantica presenta una ragionevole cronologia che ha inizio con il primo viaggio di
Colombo nel 1492 e ha conclusione in concomitanza dell'avvento dell'era delle
rivoluzioni, tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX. E' anche possibile
identificare la storia Atlantica con la prima età moderna, precedentemente all'avvio
dell'industrializzazione, della democrazia di massa, delle Nazioni-Stato e di tutti
quegli elementi che definiscono la comparsa, a tutti gli effetti, della modernità.
La storia Atlantica, aggiunge Armitage, è un'invenzione europea dato che sono stati i
popoli europei a connettere, per la prima volta, i quattro angoli bagnati dall'oceano
Atlantico in un unico sistema commerciale, visto come il <<product of successives
29 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., in D. Armitage, M.J. Braddick (a cura di),
The British Atlantic World, 1500-1800., Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2002, p.14.
30 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.11.31 Ibidem, p.12.
21
waves of navigations, explorations, settlment, admnistration and imagination>>. 32
E. P. Thompson once remarked that whenever he saw a new god he felt the urge to
blaspheme. Many have felt the same way about Atlantic History and its recent rise
to prominence. […] If blasphemy is one response to the rise of Atlantic History, it is
unlikely to provide good answers to these important questions. More profitably
approaches can be found in genealogy – in the history of Atlantic history – and in
anatomy – in the forms Atlantic history has taken and might yet take.33
Armitage propone, dunque, un duplice accostamento all'analisi della storia Atlantica
dettato, in primo luogo, dalla necessità di un'analisi genealogica, in modo tale da
riuscire a schematizzare il contesto entro il quale il dibattito storiografico atlantico
nasce e si sviluppa. In secondo luogo, provando a definire l'anatomia della materia
stessa, stimolando pertanto una riflessione sulle forme assunte finora dall'analisi
atlantica e quali esse potranno assumere in futuro. Una prima genealogia della Storia
Atlantica è stata tracciata da Bernard Bailyn nel testo Storia dell'Atlantico, del quale
abbiamo già largamente trattato nei paragrafi introduttivi di questo lavoro, e che vede
nelle correnti interventiste americane il punto di origine della riflessione atlantica. Le
parole di Lippmann e Davis vengono utilizzate con l'intento di radunare ogni
possibile alleato ideologico nei confronti della causa interventista e culminano nelle
affermazioni dei due giornalisti americani secondo cui è reale l'esistenza, perlomeno
dall'Illuminismo in poi, di una comune civilizzazione del mondo atlantico,
riassumibile in quell'insieme di valori comuni al mondo europeo ed americano quali:
il pluralismo, la democrazia ed i valori liberali. Questi valori verranno poi riproposti
dallo storico Carlton J. H. Hayes, che, nel suo personale messaggio rivolto
all'Associazione degli storici Americani del 1945, provò a rispondere alla domanda:
<<The American frontier – frontier of what?>>. La risposta che egli diede fu ritenere
tale frontiera espressione della continuità della tradizione Greco–Romana e della
cultura Judeo–Cristiana, definendo, in tal modo, l'Atlantico come quell'oceano che la
civilizzazione occidentale ha inglobato. Questa versione della storia Atlantica,
accenna Armitage: <<Owned more to NATO than it did to Plato>>34. La visione di
32 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.13.
33 Ibidem, p.14.
34 Ivi.
22
Hayes e la spinta della civilizzazione Occidentale deve molto di più alla storia del
Nord Atlantico che non alla storia del Sud Atlantico; una storia relativamente
anglofona che ha ben poco a che vedere con il complesso insieme di iterazioni che
legano l'America alla cultura latina ed al continente africano. Infatti, la rivoluzione di
Santo Domingo, la prima rivolta di un popolo nero nei confronti dello schiavismo,
che rappresenta il momento culminante di una serie di eventi che furono in grado di
plasmare la realtà atlantica dal 1776 in avanti, non appartenendo a tale tradizione,
non appare all'interno del testo di Palmer The age of Democratic Revolutions. Eppure
autori come W. E. B. Du Bois, C. L. R. James ed Eric Williams, racconta Armitage,
che hanno attuato ricerche entro campi di studi lontani dall'Atlantico bianco e
anglofono di Bailyn, perseguivano, al pari dell'autore inglese, delle ricerche
legittimamente Atlantiche da qualsivoglia punto di vista.
Il breve contributo di Armitage al testo The British Atlantic World, 1500–1800 si
riassume con la proposta di tre diverse storie atlantiche grazie alle quali diventa
possibile indagare specificatamente la storia dell'Atlantico ed esse sono
rispettivamente:
a) Circum–Atlantic History, the transnational history of the Atlantic World;
b) Trans–Atlantic History, the international history of the Atlantic World;
c) Cis–Atlantic History, national or regional history within an Atlantic context. 35
a) La Circum-Atlantic history viene presentata da Armitage come una storia in
continuo movimento, che traccia le connessioni sviluppate dal mondo Atlantico e che
incorpora qualsiasi cosa si muova entro i suoi confini.
Circum Atlantic History: is the history of the Atlantic as a particoular zone of
exchange and interchange, circulation and trasmission. It is therefore the history of
the ocean as an arena distinct from any of the particular, norrower, oceanic zone that
comprise it. It is the history of the people who crossed the Atlantic, who lived on its
shores and who partecipated in the communities it made possible.36
Essa si presenta come la storia di una particolare zona, dei prodotti che si muovono
entro i suoi confini e delle persone che la abitarono; dunque, possiamo tracciare nei
35 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.15.
36 Ibidem, p.16.
23
suoi confronti una cronologia che inizia, convenzionalmente, nel periodo che viene
associato alla rinascita degli Stati, nei primi anni del XVI secolo e che trova la sua
naturale conclusione in relazione alla nascita degli Stati-Nazione avvenuta nel XIX
secolo. Armitage, inoltre, afferma che questa particolare branca della storia Atlantica
è stata indagata meno di altre, citando ad una sola opera in grado di raccontare
l'Atlantico entro tale prospettiva: Cities of the dead: Circum–Atlantic performance
del 1996, lavoro dello storico Joseph Roach che scrive:
The Circum-Atlantic world as it emerged from the revolutionized economies of the
late seventeeth century resembled a vortex in wich commodities and cultural
practices changed hands many times. Accordingly, the concept of a circum-Atlantic
world (as opposed to a translatlantic one) insists on the centrality of the diasporic
and genocidal histories of Africa and the Americas, North and South, in the creation
of the culture of modernity. 37
L'insieme degli scambi commerciali e culturali, che da un angolo all'altro
dell'Atlantico contribuirono alle trasformazioni di quegli anni, è la base su cui poggia
l'approccio storico diretto verso la Circum-Atlantic history. Essa, scrive Games:
<<takes the Atlantic experience as a whole>>38, ed abbraccia tutto il mercato
commerciale Atlantico, dato dallo scambio di prodotti d'ogni sorta e dai primi flussi
di capitali ed investimenti, evidenti lasciti dell'eredità del white Atlantic inglese che
testimoniano la continuità storica dell'idea britannica di mondo liberale. L'estrema
mobilità e fluidità del mercato permise all'Atlantico d'essere attraversato da milioni
di persone, ognuna con una propria storia da raccontare, un contesto di origine e
delle precise eredità culturali, riassumibili nei diversi studi dei processi di migrazione
del tempo. Dunque, non solo il semplice studio di singoli soggetti, ma l'analisi di
diverse comunità, etnie ed anche di particolari idee e culture che variano dalla
diaspora degli schiavi africani propria del black Atlantic, al red atlantic rappresentato
dall'espansione dalle teorizzazioni Marxiane arrivate e consolidarsi nel Nuovo
continente. Da qui fino ad arrivare al green atlantic dei migranti irlandesi che
ricercarono nel Nuovo mondo quella libertà che non riuscirono a conquistare in
Europa. La Circum-Atlantic history, scrive Armitage, è tutto questo, essa è storia
37 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.15.38 Alison Games, Introdution, Definitions, and Historiography: What is Atlantic History?., op.cit.,
p.4.
24
transnazionale e non internazionale, poiché non tiene conto dei rapporti che legavano
Nazioni, Stati ed Imperi. Armitage si sofferma sul complesso sistema di scambi che
proliferò eludendo i vincoli dei confini nazionali e che rappresentò in breve l'intero
sistema circolatorio di merci, beni, persone, culture ed idee che si generò all'interno
del sistema atlantico, all'alba della prima età moderna.
b) La Trans-Atlantic history, invece, viene descritta da Armitage come:
Is the history of the Atlantic world told through comparison. Circum-Atlantic
history makes Trans-Atlantic history possible. […] trans-atlantic history
concentrates on the shores of the ocean, and assume the existence of nation and
states, as well as societies and economic formations (like plantations or city),
around the Atlantic rim.39
Essa permette agli storici di confrontare, a volte persino in modo del tutto arbitrario,
la storia delle grandi strutture che composero il mondo Atlantico. La Trans-Atlantic
history può anche essere definita come la storia internazionale dell'Atlantico, in
quanto, presupponendo l'esistenza di entità nazionali, statali ed imperiali, ne compara
particolari caratteristiche, quali ad esempio: la struttura sociale ed economica in una
prospettiva atlantica comune. Armitage avvalora il legame esistente tra le parole
international e trans-atlantic ricordando come ambedue furono frutto del percorso
indipendentista americano nonché delle ripercussioni che quest'ultimo introdusse nel
dibattito politico inglese alla fine del XVIII secolo. Il termine Trans-Atlantic venne
utilizzato per la prima volta da Richard Watson e Charles Henry Arnold in
concomitanza allo scoppio della guerra contro le colonie d'oltreoceano. Ambedue
davano al termine un significato differente da quello che comunemente adesso viene
dato, infatti costoro lo utilizzarono per descrivere la comunità britannica
d'oltreoceano: <<like Britons trans-atlantic Brethren in North America>>40, oppure in
riferimento alla natura della guerra con le colonie Americane: <<Present trans-atlantic
war being fought in, as well as for, British America>>.41 Armitage aggiunge che solo
John Wilkes utilizzerà il termine con una accezione moderna descrivendolo come un
semplice viaggio transatlantico. Il termine international emerge nello stesso periodo
39 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.18.40 Ibidem, p.19.41 Ivi.
25
e contesto grazie al lavoro di Jeremy Bentham Introdution to the Principles of
Morals and Legislation (1780/89):
The word international is a new one, wrote Bentham – and it is calculated to
express, in a more significant way, the branch of law which goes commonly under
the name of the law of nations.42
Non fu solo l'origine comune all'interno del contesto politico venutosi a creare con la
guerra di Indipendenza americana ad avvicinare la Trans-Atlantic history alla storia
internazionale, ma questo è avvenuto soprattutto grazie alla loro simile natura e
funzione storica. Infatti, se la storia internazionale è la storia delle relazioni tra
Nazioni e Stati all'interno di un grande sistema politico ed economico, la Trans-
Atlantic history si presenta come la storia dei rapporti che legano entità regionali,
nazionali e statali all'interno della più grande prospettiva dettata dal sistema
atlantico.
Trans-Atlantic history is especially suited to the seventeenth and the eighteenth
centuries histories of the Atlantic World, when state-formation went hand-in-hand
with empire-building to create a convergent process we might call empire-state-
building. 43
Questo approccio comparativo diventa particolarmente utile specie nei confronti di
quegli Stati o Nazioni che hanno sviluppato, nel corso del tempo, una storiografia
nazionalistica, concentrata unicamente verso se stessa ed incapace di volgere lo
sguardo al di fuori dei propri confini, come nel caso della Gran Bretagna e dell'
exceptionalism americano. Nei confronti di queste realtà, l'approccio della Trans-
Atlantic history risulta quello più adatto poiché in grado di comparare tali particolari
storie all'interno di una rete d'influenza atlantica, rendendo possibile ricercare e
trovare alcune caratteristiche comuni che, fino a quel momento, erano state
volutamente accantonate. Armitage, prendendo in considerazione gli esempi dati dal
Regno Unito e dagli Stati Uniti d'America, scrive di come alla base della nascita di
ambedue queste realtà vi sia un passato comune che ne ha condizionato radicalmente
il percorso storico:
Each remains defined by its eighteenth-century origins, and those definitions can be
traced back to their trans-Atlantic relations: the American, in part due to the long-
42 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.19.43 Ibidem, p.20.
26
standing links with Britain and the effort to assert independence of Britain; the
British, in part due to the impact of defeat in the American war and the re-creation
of the nation in its aftermath. To the two political products of the war we might also
add British Nord America, later Canada, to make three states forged in the last
quarter of the eighteenth century, joined in a common trans-Atlantic history.44
L'analisi comparativa mette in luce quali furono gli elementi atlantici che
maggiormente influenzarono il percorso storico delle realtà nazionali, statali ed
imperiali nel periodo che va dalla fine del XV secolo all'inizio del XIX. Queste
similitudini, capaci di plasmare all'unisono realtà territoriali distanti tra loro,
rappresentano la base di un'ulteriore storia atlantica presentata dallo storico di
Harvard ed orientata direttamente alla forma, struttura ed evoluzione delle varie
realtà regionali e politiche, all'interno del contesto Atlantico.
c) La Cis-Atlantic history, infine:
Studies particular place as unique locations within an Atlantic World and seek to
define that uniqueness as the result of the iteraction between local particularity and
a wider web of connections (and comparisons). […] In more expansive sense
proposed here, is the history of any particoular place – a nation, a state, a region,
even a specific institution – in relation to the wider Atlantic World. 45
Anche il termine Cis si presenta come uno dei risultati del dibattito politico
internazionale del XVIII secolo e deve la propria nascita a Jefferson ed alle sue
Notes on the State of Virginia del 1785. L'autore della Dichiarazione d'Indipendenza
americana, nel tentativo di rispondere ad alcuni naturalisti europei in merito ad una
discussione sulla fauna del Nuovo continente, utilizzerà il termine per differenziare la
propria realtà geografica all'interno del sistema trans-Atlantico, associando il termine
Cis alla frase: <<On this side of the Atlantic>>46. Uno dei lavori di riferimento per la
Cis-Atlantic history è rappresentato dagli otto tomi scritti dai coniugi Chaunu ed
intitolati Seville et l'Atlantique del 1955-59. Quest'opera nasce con l'intento di
definire l'influenza del mondo Atlantico sulla città di Siviglia, mantenendo vivo il
legame della città con la realtà atlantica e sviluppandolo in modo tale da focalizzare
44 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.21.45 Ibidem, p.2646 Ivi.
27
lo sguardo sulle trasformazioni subite dalla città e non più utilizzando l'oceano come
soggetto d'analisi. Questo tipo di approccio diventa particolarmente utile soprattutto
nei confronti di quelle realtà che subirono maggiori trasformazioni a causa
dell'influenza atlantica, come per esempio: le tante città portuali e coloniali che al
mondo Atlantico debbono la loro stessa origine, le isole e gli arcipelaghi che
delineavano le rotte commerciali del tempo, fino ad arrivare alle entità nazionali,
statali ed imperiali che bilanciavano gli equilibri politici ed economici del mondo
Atlantico.
Circum-Atlantic history would seems to extend no further than the oceans shores;
as soon as we leave the circolatory system of the Atlantic itself, we enter a series of
Cis-Atlantic histories. Trans-Atlantic history combine such Cis-Atlantic histories
into units of comparison; the possibilities of comparison are various, but not
infinite, becouse adjacency to the Atlantic determines the possibility of
comparison.47
Questo è il quadro di riferimento entro il quale Armitage muove la propria analisi,
provando, almeno in parte, a rispondere alla questione posta da Fernard Braudel
quando, riflettendo sull'inarrestabile propulsione all'espansione che il concetto di una
storia del Mar Mediterraneo mostrava, si chiese: <<But how far in space are we
justified in extending it?>>.48 Armitage prova ad estendere tale questione all'oceano
Atlantico, delineando tre diverse storie atlantiche, ognuna in grado di avviare un
approccio storico specifico sì da indagare non il semplice oceano, ma l'intero Nuovo
Mondo in trasformazione che proprio l'Oceano Atlantico rappresenta.
47 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.27.48 Ivi.
28
La Dichiarazione d'Indipendenza americana
2.1 Una risoluzione per le tredici Colonie americane
Il 7 Giugno 1776, Richard Henry Lee, su indicazione del Governo della Virginia e
con l'appoggio di John Adams, delegato del Massachusetts, presenta al secondo
Congresso continentale americano, riunitosi a Filadelfia, una risoluzione che dice
quanto segue:
That these United Colonies are, and of right ought to be, free and independent
States, that they are absolved from all allegiance to the British Crown, and that all
political connection between them and the State of Great Britain is, and ought to be,
totally dissolved.49
Queste parole, approvate poi dal Congresso Continentale il 2 Luglio, portano alla
conclusione del dibattito sull'indipendenza Americana dichiarando: <<That these
United Colonies are, and of right ought to be, free and independent States>>.50 Il
Congresso e le Colonie tutte, si posero definitivamente a favore della ormai
inevitabile separazione dalla Corona inglese, in nome della creazione di una nuova
realtà politica ed economica, che si presentava al mondo europeo come una
federazione di Stati. Il Congresso, l'11 Giugno 1776, convocò tre commissioni: la
prima incaricata della costruzione di un moderno e completo teatro di alleanze
commerciali e militari, la seconda atta ad equilibrare all'interno di un sistema
federalistico il complesso intreccio dei poteri politici degli emergenti 13 Stati <<free
and independent>> ed una terza alla quale fu affidato il compito di redigere un
documento capace di esplicitare le ragioni delle tredici colonie, una Dichiarazione
d'Indipendenza. Poiché il nostro sguardo è rivolto alla Dichiarazione d'Indipendenza,
focalizzeremo l'interesse nei confronti della terza commissione istituita dal
Congresso continentale. La citata commissione, composta da cinque commissari:
John Adams, Benjamin Franklin, Robert R. Livingston, Roger Sherman e Thomas
Jefferson, dopo una prima riunione in cui furono discusse le linee generali del
49 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., Marsilio editori, Venezia, 1999, p.2.50 Ibidem, p.3.
29
documento, decise di delegare il più giovane dei cinque, Thomas Jefferson, di cui si
apprezzavano le abilità di scrittore politico, alla redazione della prima bozza del testo
d'indipendenza. Jefferson, a soli 33 anni, si apprestava alla creazione di un vero e
proprio capolavoro, pietra miliare della letteratura politica mondiale, in quanto, come
scrive Tiziano Bonazzi:
Oltre a costituire il fondamento giuridico e ideale della nazione americana, esso è,
con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, uno dei testi
fondanti della modernità politica almeno per l'Occidente euroamericano.51
Il documento, che vide la luce in una camera presa in affitto di una casa del South
West Corner alla Seventh and Market Street di Filadelfia, di notte e probabilmente di
domenica, quando il Congresso e le sue commissioni non erano in sessione, fu
approvato dalla Commissione dopo alcune correzioni, soprattutto da parte di John
Adams, e presentato il 28 Giugno al Congresso che, preso da questioni più urgenti, si
apprestava, infatti, a difendere New York dall'attacco imminente di una possente
parte della flotta inglese, fu costretto a ritardarne l'esame. Nei giorni successivi, il
Congresso esaminò il testo di Jefferson e, dopo aver apportato una serie di tagli che
non ne distorcevano irrimediabilmente l'impostazione, la struttura ed il contenuto, lo
approvò il 4 Luglio. Secondo Armitage: <<The Document inaugurated a genre of
political writing that has persisted to the present day. By genre I mean a distinct but
repeatable structure of argument and literary form>>.52 La struttura e la forma del
documento risultano, quindi, essere le ragioni del successo del testo jeffersoniano in
quanto modello per le future Dichiarazioni d'Indipendenza nel mondo; Armitage,
ancora, aggiunge:<<It combined elements of what would become three
distringuishable genres: a declaration of independence, a declaration of rights, and a
manifesto>>.53 Grazie a quest'ultima riflessione si riesce finalmente a scorgere la
triplice natura del documento, all'interno del quale sono distinguibili ben cinque parti
narrative.
La premessa iniziale, al pari della parte conclusiva del testo, pone le basi della
Dichiarazione d'Indipendenza, infatti, sia nell'esordio in cui: <<One People>> capace,
51 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.1.52 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., Harvard University Press, Cambridge, 2007, p.13.53 Ibidem, p.14.
30
finalmente, d'acquisire la reale consapevolezza di sé stesso, si vede inevitabilmente
costretto a <<dissolve the political bands which have connected them with another>>,
e che <<a decent respect to the opinions of mankind>> lo costringe ora <<to declare the
causes which impel them to the separation>>, sì da <<assume among the powers of the
earth, the separate and equal station to which the Law of Nations and of Nature's God
entitle them>>54; sia nell'ultima e conclusiva parte, dove vengono riprese le parole
della risoluzione di Henry Lee del 7 Giugno: <<That these United Colonies are, and
of right ought to be, free and independent States>>,55 viene espressa ed affermata
l'indipendenza delle tredici colonie unite. L'obiettivo di Jefferson, in questa parte del
documento, è affermare: <<The entrance of a new actor (“one People”) or actors
(thirteen “free and independent states”) onto the world stage>>.56 Questo nuovo attore
politico si dichiara, pertanto, libero ed indipendente al pari dei preesistenti Stati
europei, così da acquisire subito poteri quali: <<[...] Have full Power to levy War,
conclude Peace, contract Alliances, establish Commerce, and to do all ther Acts and
Things which Independet States may of right to do>>.57 Ed è in queste parole che si
cela l'obiettivo ultimo della Dichiarazione d'Indipendenza americana, ben riassunto
dalle parole del Prof. Armitage quando scrive: <<That they had left the transnational
community of the British Empire to join instead an international community of
independent sovereign states>>.58
Il cosmo che Jefferson, appassionato suonatore di violino e studioso di retorica,
istituisce con la Dichiarazione, non è però solo performance oratoria e musicale; ha
anche un'altra dimensione, collegabile questa volta all'amore per la geometria e per
l'architettura classica che spinse Jefferson a farsi architetto nella sua tenuta di
Monticello e poi all'Università della Virginia.59
L'impostazione ed il punto di vista del Bonazzi risultano avvincenti nell'indagine
delle sovrastrutture del testo, soprattutto grazie al confronto con la soggettività
dell'autore stesso. Il secondo e notissimo paragrafo, dove sono espresse le Self-
evident truths, frutto della riflessione filosofico-politica europea, della retorica dei
54 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., ?.55 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.2.56 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.28.57 Ivi.58 Ibidem, p.30. 59 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.22.
31
sentimenti e della filosofia del senso comune, viene presentato come performance
musicale. Una melodia questa ritmata e scandita affinché quei principi riescano a
toccare l'animo di ogni lettore, al pari di ciò che potrebbe provocare la melodia di un
violino. Al contrario ed in netta contrapposizione con la parte filosofica e melodica,
si ritiene essere il terzo e più distensivo paragrafo del testo; qui il Jefferson musicista
cede il posto all'uomo di legge, formatosi al William and Mary College di
Williamsburg, in Virginia. Due dimensioni proprie dell'autore e del testo stesso, in
cui la filosofia dei diritti inalienabili dell'uomo e del popolo cede spazio alla logica
della ragione giuridica, espressa dall'elenco degli innumerevoli torti commessi dal re
tiranno Giorgio III nei confronti dei propri sudditi d'oltreoceano. L'elenco delle
accuse al re, costruito secondo un preciso crescendo, riporta un insieme di
imputazioni, torti ed offese che, dalla seconda metà del XVIII secolo, accompagnano
la disputa tra i coloni americani e Giorgio III. Il terzo paragrafo della Dichiarazione
si presenta come il più ampio, in esso Jefferson schematicamente, seguendo un
continuo climax ascendente, presenta quella che va considerata come <<The patient
sufferance of these Colonies>>60. L'elenco proposto da Jefferson non risparmia alcun
dettaglio sulle azioni del re d'Inghilterra: la cattura delle navi mercantili americane,
paradossale testimonianza dell'atto di pirateria commesso dal re stesso nei confronti
dei suoi sudditi, l'arruolamento forzato di coloni americani nelle fila della marina
inglese e la costrizione di questi a combattere contro i propri fratelli e genitori;
ancora l'incendio di città e porti americani, le restrizioni alla libertà del popolo
americano, sia in campo politico che in campo economico, dovute allo Stamp Act del
1765 ed al Declaratory Act del 1766 e sfociati nel grido del no taxation without
representation. L'attacco di Jefferson è totale e non risparmia nessuno degli antichi
legami con la corona inglese; il percorso seguito dal delegato della Virginia è teso a
testimoniare to a candid world che le azioni del re separano le colonie dalla madre
patria e che l'operato del tiranno le costringe alla definitiva separazione.
L'insieme delle accuse muove in modo creativamente ambiguo tra l'idea che gli atti
del re distruggono la comunità dei sudditi britannici sulle due sponde dell'Atlantico
e quella che a essere distrutto è il popolo americano distinto da quello inglese, e
ottiene il risultato di far comprendere a livello di affetti il peso di un despota che,
60 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.28.
32
egli, spezza i legami fra inglesi e americani e, egli ancora, distrugge la comunità
americana.61
E' il re stesso a spezzare i legami tra le due coste dell'Atlantico ed a legittimare la
risposta delle colonie che, dinanzi a colui che tenta di distruggere la loro comunità ed
in nome della propria sopravvivenza, possono pensare l'impossibile e dichiarare la
propria Indipendenza. Ecco spiegata l'importanza di tale riflessione strumentale ad
<<Un'indipendenza che per essere tale deve prima essere un regicidio, almeno
simbolico>>62. Se la parte conclusiva della Dichiarazione delinea un discorso teso a
mostrare che <<Un tale tiranno è “indegno di governare un popolo libero”>>63, il
secondo famoso paragrafo affonda, invece, le proprie ragioni nell'epistemologia e
nella psicologia sensista del Settecento britannico, in chiara continuità con la
riflessione politica e filosofica inglese alla fine del XVIII secolo.
Il linguaggio naturale della Dichiarazione affonda le sue ragioni teoriche nella
filosofia del senso comune scozzese, ben nota in America e di cui Jefferson era
seguace ed è qui, nella torsione che filosofi come Lord Kames avevano dato
all'epistemologia di Locke, che secondo studi recenti dobbiamo ricercare il
significato del primo paragrafo della Dichiarazione e in particolare di quelle “verità
di per sé evidenti” che ne costituiscono il nucleo portante.64
Queste self-evident truths, che fanno da pilastro del discorso filosofico jeffersoniano,
possono raggiungere ogni singolo individuo grazie a quello che Jefferson chiama an
internal-sense, insito in ognuno di noi e che consente a ciascuno di percepire se
stesso quale Io, esistente. Infine è l'auto preservazione dell'essere umano, grazie alla
difesa dei diritti naturali individuali, che rende possibile allo scrittore americano
modificare persino il famoso detto cartesiano in: <<I feel, therefore I exist>>65. Un
discorso, questo, che tende ad un radicale cambiamento dei fondamenti filosofici del
giusnaturalismo, sia nell'abbandono della fede cristiana di Locke in nome di un Dio
della Natura, ripreso da Jefferson dalla teologia naturale di Bolingbroke, che nel
nuovo ed importante ruolo dato alla figura dell'individuo. L'individualità diventa
l'elemento fondante e strutturale del discorso filosofico di Jefferson dato che in esso
61 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.27.62 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.27.63 Ibidem, p.28.64 Ibidem, p.19.65 Ibidem, p.20.
33
si intrecciano il sensismo, i diritti naturali ed il sentimento di uguaglianza. Un intero
cosmo di emozioni che necessariamente deve originarsi per combattere un'altra e
ben più radicata forma di naturalità, quella che Locke identifica con Filmer e con il
diritto divino del re. I singoli, secondo Filmer, sono membri di strutture
sociopolitiche gerarchiche, immutabili e immodificabili perché naturali, mentre nella
Dichiarazione d'Indipendenza americana l'individuo diventa una costruzione teorica
che mira a distruggere ogni presupposto ontologico di natura gerarchica, sostituendo
questa stasi perenne con l'idea che il governo debba essere legittimato dalla libera e
uguale volontà dei singoli. Il lockianesimo della Dichiarazione è pertanto un discorso
politico antiautoritario ed antitradizionalista, che pone la volontà e la responsabilità
morale degli individui al centro della costruzione di governi legittimi e che
corrisponde al quadro di riferimento che Locke aveva assegnato al pensiero politico
inglese. Un discorso filosofico-politico che trae linfa vitale da più di due secoli di
libri, testi e documenti, tutti indirizzati verso il desiderio di acquisire una
consapevolezza collettiva tale da rendere il popolo sovrano di se stesso.
We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are
endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are
Life, Liberty and the pursuit of Happiness.66
Infine, è nell'esposizione di questi inalienabili diritti propri dell'essere umano che è
possibile rinvenire le tracce della Dichiarazione dei diritti dell'uomo nel testo di
Jefferson. La natura filosofica del testo che parla al mondo plasmando il concetto di
sovranità popolare che, da mero principio teorico si fa fatto concreto grazie
all'esempio dato dalla ribellione americana, rende il testo della Dichiarazione
d'Indipendenza un pilastro della modernità politica euro-americana, al pari della
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789.
Di recente Jay Fliegelman, partendo dall'esame di una serie di segni apparentemente
senza senso che appaiono nel manoscritto di Jefferson […], ha dimostrato che si
tratta di pause destinate a ritmare la lettura, perché Jefferson aveva composto un
testo destinato ad essere letto pubblicamente, e che infatti venne letto […]. La
Dichiarazione, lungi dall'essere semplicemente un documento scritto, è pertanto una
performance […].67
66 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.2. 67 Ibidem, p.4.
34
Rivisitando lo studio di Fliegelman, Bonazzi ha spiegato come il documento di
Jefferson, prima ancora d'esser considerato un atto giuridico, vada inteso come un
atto rituale. Infatti, è nell'esame di quelle <<pause destinate a ritmare la lettura>>68 e,
ancor prima, nel desiderio di Jefferson che il suo testo venisse letto alle masse che,
nel concludere questa nostra analisi della struttura dell'opera, rileviamo l'ultima e
peculiare natura della Dichiarazione: il suo esser un manifesto rivolto all'umanità
intera.
May it be to the world, what I believe it will be, (to some parts sooner, to other later,
but finally to all) the signal of arousing men to burst the chains, under which
monkish ignorance and superstition had persuaded them to bind themselves, and to
assume the blessing and security of self government. 69
Queste parole, riprese dall'ultima lettera pubblica scritta da Jefferson nel 1826, anno
della sua morte, mostrano come nell'animo dell'autore fosse presente, sin dal primo
momento, il desiderio che quest'opera fosse intesa dal mondo intero come: <<An
instrument, pregnant with our own and the fate of the world>>70, e non più la
Dichiarazione d'Indipendenza di un singolo Paese: gli Stati Uniti d'America. In tal
modo la Dichiarazione è divenuta un deterrente politico a disposizione del mondo
civile e di ogni singolo uomo capace di comprenderne il messaggio.
68 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.5.69 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.3. 70 Ivi.
35
2.3 Precedenti storici della Dichiarazione d'Indipendenza Americana.
Il percorso che portò alla Dichiarazione d'Indipendenza americana fu costellato da
pamphlet, denunce, proteste e dichiarazioni d'ogni sorta. Già nel 1774, il Primo
Congresso continentale, riunitosi per rispondere alle gravi misure coercitive imposte
dal Parlamento inglese nei confronti della città di Boston in seguito al Boston Tea
Party del Dicembre 1773, aveva approvato una dichiarazione dove venivano elencati
e ribaditi i diritti di cui gli abitanti delle colonie del Nord America godevano. Questi
diritti espressi: <<In virtue of the law of nature, of the Principles of the English
Constitution and the various papers and agreements>>71, erano propri di un
documento ancora appartenente alla tradizione politico-giuridica inglese; una sorta di
leale indirizzo a sua maestà il re d'Inghilterra. Sulla scia della Dichiarazione del
1774, il 6 Luglio 1775 il secondo Congresso continentale approvò, in seguito allo
scoppio delle ostilità fra i regolari inglesi e le milizie americane del Massachusetts
intorno Boston, un'altra e più significativa dichiarazione: The declaration of the
causes and necessity of taking up arms. Il testo, lungo e solenne, di cui Jefferson,
coadiuvato dal delegato della Pennsylvania John Dickinson, fu tra i principali
scrittori, era teso a giustificare l'atto di ribellione armata nei confronti della Corona
inglese. Una ribellione resa inevitabile dagli avvenimenti dell'Aprile 1775, quando il
generale inglese Cage, avuta notizia della presenza dei miliziani del Massachusetts
nella città di Concord, situata a 32 chilometri da Boston, vi spedì un consistente
nucleo della propria guarnigione con l'obiettivo di bloccare i rifornimenti militari dei
rivoltosi e con l'ordine di arrestare ed estradare in Inghilterra due personalità di
spicco della rivolta del Massachusetts: John Hancock e Samuel Adams. Durante la
marcia verso Concord, Cage fu fermato nei pressi del villaggio di Lexington da una
cinquantina di coloni armati; forte delle Leggi Coercitive promulgate da Giorgio III,
non esitò ad aprire il fuoco, lasciandosi così alle spalle ben otto cadaveri. I fatti di
Lexington e Concord in poco tempo raggiunsero ogni angolo del continente
americano e dal Maine alla Georgia accesero gli animi patriottici dei coloni; la
71 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.5.
36
guerra, quella vera, era alle porte e non poteva più essere evitata. Il 10 Maggio del
1775 a Philadelphia, sotto la presidenza di John Hancock, i delegati delle tredici
colonie riuniti nel secondo Congresso continentale, furono, quindi, costretti ad
affrontare questa complicata situazione e lo fecero tramite le parole della
Dichiarazione sulle Necessità e Cause di prendere le armi:
Our cause is just. Our union is perfect. Our internal resources are great, and, if
necessary, foreign assistance is undoubtedly attainable. […] With hearts fortified
with these animating reflections, we most solemnly, before God and the world,
declare, that, exerting the utmost energy of those powers, which our beneficent
Creator hath graciously bestowed upon us, the arms we have been compelled by our
enemies to assume, we will, in defiance of every hazard, with unabating firmness
and perseverence, employ for the preservation of our liberties; being with one mind
resolved to die freemen rather than to live slaves.72
Alla dichiarazione del 1775 seguì la nascita di una milizia armata che operasse al
servizio del Congresso continentale e la nomina del colonnello George Washington a
comandante in capo di tale forza armata. Spiegate le necessità e le cause della
ribellione, forti di un esercito continentale, di un capo militare e di un organo
rappresentativo e decisionale incarnato dal Congresso, le tredici colonie unite erano
finalmente pronte ad affrontare una guerra contro la madrepatria. Cronologicamente
è innegabile che sia la Dichiarazione del 1774 quanto quella del 1775 rappresentino
due diversi momenti del percorso indipendentista americano; esse raccontano la
positiva evoluzione delle ragioni e dei contenuti espressi dalla ribellione americana e
di come questi ultimi abbiano ispirato a legittimare il concetto di sovranità popolare e
ad aver convinto il popolo delle tredici colonie della necessità dell'indipendenza. Gli
studi volti a giustificare le libertà di un popolo ed il suo diritto a difendersi dalle
ingerenze di sovrani autoritari, non si avviarono grazie all'esempio americano ma
trovano radici ben più profonde ed antiche tanto quanto quelle della storia filosofica
e politica europea. Basti pensare ai paragoni proposti tra la Dichiarazione
d'Indipendenza americana e due precedenti esempi di dichiarazioni europee,
battezzati, infatti, come delle precoci Dichiarazioni d'Indipendenza: la Declaration of
72 Lillian Goldman Law Library, A Declaration by the Representatives of the United Colonies of North-America, Now Met in Congress at Philadelphia, Setting Forth the Causes and Necessity of Their Taking Up Arms, Yale Law School.
37
Arbroath del 1320 ed il Dutch Abjuration Act del 1581. La Dichiarazione di
Arbroath, o Dichiarazione d'Indipendenza scozzese, del 1320 era indirizzata, dai
nobili e baroni di Scozia, a Papa Giovanni XXII al fine di sfruttare l'influenza del
monarca cristiano in modo da promuovere negoziati di pace tra il re di Scozia,
Robert Bruce ed il re d'Inghilterra, Edoardo II. Il testo di Arbroath poggiava la libertà
del popolo scozzese sulla continuità storica dell'identità scozzese e ne legittimava la
matrice filosofico-politica attingendo alla concezione di libertà espressa dallo storico
romano Sallustio. Indubbiamente si tratta di un documento ben lontano dalla
Dichiarazione d'Indipendenza di uno stato sovrano, piuttosto sembra avvicinarsi ad
una supplica, dove il popolo scozzese, spinto all'ultimo estremo tentativo di
resistenza, si vede costretto a legittimare se stesso, esplicitando le ragioni della
propria esistenza in nome della propria sopravvivenza. E' il riferimento a Sallustio,
così come quello di Jefferson nei confronti di Locke, Vattel e Kames, che ci induce
ad individuare delle similitudini con l'esempio americano, quasi a legittimare, per la
prima volta, il diritto di un popolo alla propria autodeterminazione. L'Atto di Abiura
Olandese del 1581 rappresenta il culmine della rivolta olandese nei confronti del re
di Spagna Filippo II. Le Diciassette Province dei Paesi Bassi passate alla Casa
d'Asburgo nel 1482 furono poi unificate dalla figura di Carlo V che, con la
Prammatica Sanzione del 1549, stabilì che le province dovevano rimanere unite ed
essere, quindi, ereditate da un unico sovrano. Con l'abdicazione di Carlo V, avvenuta
nel 1555 in favore del figlio Filippo II di Spagna, una parte delle Province si rivoltò
nei confronti del potere vigente ponendo in tal modo le basi di un conflitto che durò
dal 1568 al 1648, quando la Pace di Vestfalia sancì l'indipendenza delle Province
Unite. Guglielmo d'Orange, leader della Rivolta Olandese, convinse le Province
Unite a rigettare la sudditanza al re di Spagna Filippo II e a sostituirla con <<Another
powerful and merciful prince to protect and defend these provinces>>73; siamo,
quindi, dinanzi ad una richiesta di diversa dipendenza, una dipendenza che nel caso
specifico delle Provincie Unite si legava alla figura di Francesco Ercole di Valois,
Duca d'Angiò. Il documento olandese affonda le sue radici nella difesa della
continuità storica delle Province e sul diritto di queste ultime, dato dalla legge di
73 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.42.
38
natura e dai singoli diritti d'ogni individuo, di giustificare una scelta diversa nei
confronti del proprio principe. La struttura della dichiarazione si presenta divisa in
due momenti: l'affermazione dei diritti di un popolo prima e l'elenco delle ingiurie ed
aggressioni commesse dal precedente sovrano in seguito; tese ambedue a
destrutturare la sovranità del tiranno in nome di una reggenza giusta e legittimata dal
diritto di natura. Senza dubbio il precedente olandese rappresenta il primo esempio
riuscito di secessione da parte di una Provincia nei confronti di una monarchia
imperiale nella storia d'Europa. Un evento significativo che a ragione si pone quale
precedente per quella che sarà poi la rivolta e la secessione americana dall'organismo
imperiale britannico. Nell'Aprile del 1781, Abigail Adams, scriveva:
Will cement an indissoluble bond of union between the United States of America
and the United Provinces who from a similarity of circumstances have each arrived
to Independance disdaining the Bondage and oppression maded by Philip and a
G[e]orge. 74
Una similitudine, quella tra gli omonimi United States, che viene confermata con
forza anche dalle parole di John Adams:
The Origins of the two Republiks are so much alike, that the History of the one
seems but a Transcript from that of the other.75
Concludendo, nel caso della Dichiarazione d'Indipendenza Scozzese è ravvisabile il
primo precedente letterario di un documento atto all'autodeterminazione di un popolo
che ricerca l'indipendenza perché sottoposto e sottomesso al potere di un altro. Il
quadro muta nell'Abiura Olandese dove è, invece, presente il precedente storico di
una vera e propria secessione di una Provincia, resa possibile dal rivendicato
processo di autodeterminazione e da una formale enumerazione dei torti subiti dal
tiranno; un discorso, inevitabilmente, teso a conferire al popolo olandese la
possibilità di scegliere da solo il proprio destino politico-istituzionale. <<The defining
claim of independence could not be found in the earlier declaration>>,76 afferma
Armitage; le due dichiarazioni d'indipendenza diventano pertanto il canovaccio sul
quale l'opera di Jefferson si sviluppa trasformandosi nel fertile terreno sul quale
nascono e fioriscono i presupposti della conquista della sovranità popolare, una
74 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.47. 75 Ivi. 76 Ibidem, p.46.
39
conquista che non appartiene né al singolare e profetico pensiero di Jefferson né al
coraggioso ed intrepido popolo americano, ma decisamente all'umanità tutta.
40
Tre diversi approcci atlantici alla storia globale della Dichiarazione
d'Indipendenza americana
3.1 L'interdipendenza americana: un processo di Trans-Atlantic History
The Declaration of Independence. A Global History è stato dichiarato libro dell'anno
nel 2007 dal Times Literary Supplement (TLS) e rappresenta un importante
contributo all'interessante dibattito storiografico orientato allo studio ed all'analisi
della Dichiarazione d'Indipendenza americana. L'autore, David Armitage, propone un
innovativo esame del documento jeffersoniano analizzandone origini e future
ripercussioni, senza però cedere alla formula dell'exceptionalism americano, ma
inserendo la Dichiarazione all'interno dell'ampio processo di trasformazioni politiche
ed intellettuali date dall'affermarsi di un Nuovo Mondo Atlantico. La storia atlantica
diviene, dunque, il terreno entro il quale le tredici colonie inglesi d'oltreoceano
muovono i loro primi passi verso l'Indipendenza dalla Corona britannica. Il testo
della Dichiarazione d'Indipendenza americana viene collocato da Armitage all'interno
del dibattito politico-internazionale, grazie ad un approccio storico che è proprio
della Trans-Atlantic History, al fine di de-nazionalizzarne il contenuto ponendo
l'accento sulla natura politica ed internazionale del documento jeffersoniano e
trovando poi, nel mondo Atlantico e nelle prime forme di globalizzazione, il naturale
canale di proliferazione delle idee promosse dalla causa americana.
The World beyond America has always shaped the United States – as it also formed
its pre-revolutionary colonial past – by immigration, the spread of ideas, or the
exchange of goods, and by almost every other conceivable form of interaction over
more than four hundred years.[...] Putting American history into global perspective
in this way can help to show what we call “globalization” is not a novel condition.77
L'opera, divisa in tre capitoli: The World in the Declaration of Independence, The
Declaration of Independence in the World ed infine A World of Declarations, si
sviluppa partendo dal presupposto che la precedente storiografia, analizzando il
documento di Jefferson, si sia concentrata fin troppo sull'analisi del secondo
paragrafo della Dichiarazione, dove vengono espresse le Self-evident truths
77 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.7.
41
tralasciando, almeno in parte, quello che Armitage definisce come il naturale
obiettivo dei padri fondatori: la necessità d'esser riconosciuti dal resto del mondo
come Stati indipendenti e non come semplici rivoltosi.
The need for a recognition and assistance from other European powers had became
ever more pressing since the autumn of 1775. In October 1755, John Adams
wondered if foreign courts might not rebuff American envoys: “Would not our
Proposal ad Agents be treated with Contempt?”. Richard Henry Lee similarly noted
in April 1776 that “no state in Europe will either Treat or Trade with us for so long
as we consider ourselves subjects of G[reat] B[ritain]. Honor, dignity, and the
customs of states forbid them until we rank as an independent people”.78
Per trasformare una guerra civile, interna all'Impero britannico, in una guerra tra due
diverse realtà indipendenti era necessario, quindi, riuscire a dar vita ad un corpo
politico, one people, legittimo agli occhi della comunità internazionale dei
preesistenti Stati sovrani europei. La costruzione di questo corpo politico ha,
sicuramente, origine nella città di Philadelphia e trova nell'operato del primo e del
secondo Congresso continentale i primi passi verso la creazione di un legittimo
parlamento delle tredici colonie unite. Il secondo Congresso continentale, infatti, già
nel deliberare la Dichiarazione d'Indipendenza riconosce, autonomamente, come
proprio il potere legislativo dei legittimi parlamenti europei. L'interesse nei confronti
del riconoscimento esterno viene ben espresso anche da quella che Armitage descrive
come l'effettiva affermazione dell'Indipendenza espressa all'interno del secondo
Congresso continentale quando, dopo aver dichiarato le tredici colonie free and
independant states, il delegato Henry Lee conclude il proprio intervento affermando
che:
That it is expedient forthwith to take the most effectual measures for forming
foreign Alliances. That a plan of confederation be prepared and trasmitted to the
respective Colonies for their consideration and approbation.79
In questo modo, una volta spogliata del cappello dato dalla retorica della filosofia
politica rappresentato dall'enunciazione dei diritti individuali dell'essere umano, la
Dichiarazione si mostra come un vero e proprio atto legale di politica estera e
documento giuridico che, soprattutto nell'ultima e conclusiva parte, tramite la lista
78 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.36. 79 Ibidem, p.35.
42
delle accuse mosse a Giorgio III, trova continuità con il modus operandi dell'epoca:
non un semplice address to the king scritto da sudditi e rivolto al loro sovrano, ma un
documento di politica internazionale. Questa riflessione porta Armitage ad una delle
affermazioni più importanti dell'intero testo e cioè che: <<The Declaration of
Independence was therefore a declaration of interdependence>>.80
L'intento del documento jeffersoniano si palesa nel momento in cui la causa delle
tredici colonie viene sottoposta to a candid World, a dimostrazione di come alla base
degli intenti dei rivoltosi americani sia nascosta la speranza di riuscire a costruire non
una mera rivolta armata, ma una rivoluzione legale e legittima, in quanto, combattuta
ed espressa nel respect to the opinions of Mankind.
In the words of the German counter-revolutionary writer Friedrich Gentz […] “The
American revolution was from beginning to end, on the part of the Americans,
merely a defensive revolution; the French was from beginning to end, in the highest
sense of the word, an offensive revolution”.81
La rivoluzione americana, che Friedrich Gentz definisce come una rivoluzione
difensiva, si traduce in una battaglia politica internazionale tra due realtà politiche
separate. Il totale disinteresse mostrato dall'Impero britannico verso le colonie
d'oltreoceano durante la prima metà del Settecento ed il clima liberale entro il quale
esse sono cresciute le spinge, a causa dei torti subiti ad opera di Giorgio III ed in
nome della propria sopravvivenza, a creare una realtà politica legittimamente
separata da quella britannica. La successiva distruzione, operata dall'impianto
filosofico del testo di Jefferson, del principio monarchico che la figura del re
britannico rappresenta va intesa come diretta conseguenza dell'Indipendenza e della
vittoria americana e non come l'unica motivazione nascosta dietro le scelte dei coloni
americani. La Dichiarazione d'Indipendenza, che grazie ai suoi enunciati sulla
sovranità popolare si trasformerà in uno strumento politico di portata universale, per i
delegati del secondo Congresso continentale rappresenta semplicemente il mezzo
tramite il quale trasmettere e far recepire il loro messaggio; così da sottoporre le
proprie ragioni all'attenzione delle grandi potenze del tempo, consci dell'importanza
del loro riconoscimento politico e certi di non poter sopravvivere a lungo se
80 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.30.81 Ibidem, p.68.
43
sprovvisti di adeguate alleanze economiche e militari. Il messaggio della
Dichiarazione era finalizzato alla ricerca di quel riconoscimento esterno che arrivò,
però, solo dopo la pesante sconfitta subita dall'esercito anglo-tedesco guidato dal
generale John Burgoyne nella contea di Saratoga quando, dopo le due battaglie di
Freeman's Farm e di Bemis Heights, combattute nel Settembre e nell'Ottobre del
1777, la Francia finalmente scelse di scendere in campo ed entrare in guerra
affiancando le tredici colonie. L'alleanza francese traghettò, dopo otto anni di guerra,
le tredici colonie verso la vittoria e la pace, firmata il 3 Settembre del 1793 nel
Trattato di Parigi. Nel momento in cui la Francia si affianca alle tredici colonie il
desiderio dell'interdipendenza americana di cui la Dichiarazione si fa promotrice
viene soddisfatto; eppure, dal punto di vista prettamente legale e giuridico,
l'Indipendenza delle colonie diventa possibile solo successivamente, grazie alla
cessione di sovranità da parte dell'Impero britannico ed al riconoscimento
internazionale che la pace di Parigi sancisce.
Il dibattito politico internazionale che ruotava intorno alla guerra d'Indipendenza
americana, faceva capo a quell'insieme di leggi e di norme che il giurista svizzero
Emer De Vattel per la prima volta ha sintetizzato nel testo The Law of Nations
(1758), un prodotto della prima parte della guerra dei sette anni, combattuta da
Francia ed Inghilterra tra il 1756 ed il 1763. De Vattel si propone di racchiudere
all'interno del proprio testo un insieme di definizioni chiave di politica internazionale
e di leggi capaci di regolare i rapporti tra le Nazioni, gli Stati e gli Imperi in un
momento storico in rapida trasformazione, ove l'avanzare degli impianti diplomatici
degli Stati si mosse di pari passo con la costruzione delle future realtà Nazionali ed
identitarie. Il testo di De Vattel, racconta Armitage, è stato uno dei perni entro i quali
ruotava l'intero lavoro giuridico e politico del secondo Congresso continentale
americano:
In October 1774, James Madison had been informed that “Vattel, Barlemaqui Locke
& Montesquie[u] seem to be the standar[d]s to wich [Congress] refer either when
settling the rights of the Colonies or when dispute arises on the Justice or propriety
of a measure”. Just over a year later, in 1775, Benjamin Franklin sought out the
latest edition of Vattel's work for the benefit of Congress becouse “the
circumstances of a rising state make it necessary frequently to consult the law of
44
nations ”.82
I riferimenti all'opera Law of Nations aiutano ad inserire il testo della Dichiarazione
d'Indipendenza americana all'interno del dibattito politico originatosi dalle riflessioni
dell'Illuminismo europeo e presentano il documento jeffersoniano sul palcoscenico
mondiale. Le teorie di De Vattel ispirano le riflessioni politiche dei tredici free and
independant States regalando ai delegati del Congresso continentale americano degli
statuti tramite i quali diventa possibile legittimare la propria istanza d'Indipendenza.
Il debito storico dell'Indipendenza americana nei confronti del testo di De Vattel si
esprime particolarmente negli enunciati e nelle definizioni che il giurista svizzero
fornisce nei riguardi della sovranità popolare, quando, all'interno del primo capitolo
del Book I. Of nations considered in themselves, tratta Of the State, and of
sovereignty, e scrive:
A Nation or a State is, as has been said at the beginning of this work, a body politic,
or a society of men united together for the purpose of promoting their mutual safety
and advantage by their combined strength. From the very design that induces a
number of men to form a society which has its common interests, and which is to
act in concert, it is necessary that there should be established a Public Authority, to
order and direct what is to be done by each in relation to the end of the association.
This political authority is the Sovereignty; and he or they who are invested with it
are the Sovereign. 83
Tale debito non si esplicita semplicemente nella concreta base giuridica fornita
all'istanza d'Indipendenza delle tredici colonie unite, racchiusa nella definizione: <<a
State is, […], a body politic, or a society of men united together for the purpose of
promoting their mutual safety>>, ma si allarga anche alla futura struttura federale
degli Stati Uniti quando, discutendo Of state forming a federal republic, De Vattel
fornisce uno spunto per la teoria dei Checks and Balances espressa da Madison nella
Costituzione del 1787.
Finally, several sovereign and independent states may unite themselves together by
a perpetual confederacy, without ceasing to be, each individually, a perfect state.
They will together constitute a federal republic: their joint deliberations will not
impair the sovereignty of each member, though they may, in certain respects, put
82 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.41.83 Emer De Vattel, The Law of Nations., T. & J.W. Johnson & Co., Philadelphia, 1883.
45
some restraint on the exercise of it, in virtue of voluntary engagements. A person
does not cease to be free and independent, when he is obliged to fulfil engagements
which he has voluntarily contracted. Such were formerly the cities of Greece; such
are at present the Seven United Provinces of the Netherlands, and such the members
of the Helvetic body.84
Il mondo alla fine del XVIII secolo, scrive Armitage, <<[...] Was a recognizably
modern world, in which commerce and war are the most cospicous forms of
interaction between different peoples and states>>;85 le grandi trasformazioni politiche
che si avviarono in questo particolare momento storico si tradussero, aggiunge
Armitage, in: <<the gradual emergence of a world – our world – of states from an
earlier world dominated by empires>>.86 La Dichiarazione d'Indipendenza americana
diventa parte integrante di queste trasformazioni presentandosi come un innovativo
strumento politico internazionale in quanto: <<First, it introduced “the United States
of America” to the world; second, it inaugurated the very genre of a declaration of
independence>>87. Nell'interdipendenza politica le tredici colonie ricercavano,
dunque, un'indipendenza economica e militare a dimostrazione delle proprie radici
liberali ed atlantiche che presentano i futuri United States come i figli del mondo
Atlantico e dei suoi scambi commerciali e non della corona inglese di Giorgio III. Gli
United States confermarono tali radici anche quando, con la Costituzione federale del
1787, scelsero di mantenere una simile forma di interdipendenza anche tra loro
stessi. Non è un caso, inoltre, se la maggior parte degli stati indipendenti che sorsero
dalle ceneri dell'URSS scelsero la forma di una Confederazione di Stati mentre le
tredici colonie americane assunsero, invece, la forma di federazione così come sarà
poi per il Canada e l'Australia, anch'esse figlie del lascito imperiale inglese nel
mondo Atlantico. Le tesi di De Vattel e del suo Law of Nations permettono di
collocare la Dichiarazione d'Indipendenza americana nei confini della discussione
politica e giuridica europea sulla formazione di Stati sovrani legittimi, alla fine del
XVIII secolo. Il Bonazzi, nella Round Table on David Armitage, pubblicata dall'RSA
Journal 20, commenta su tale argomento affermando quanto segue:
84 Emer De Vattel, The Law of Nations., op. cit. 85 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.55.86 Ibidem, p.21.87 Ibidem, p.22.
46
The Declaration of Independence of 1776 was the innovative tool necessary for
creating the first state outside of Europe. A state that was desired by a culturally and
ethnically European people, institutionally built like a European state and welcomed
in the system of European states. We are therefore before a more condensed and
specific case of “statization” because it was an event that extended the existing
European system of states to the American continent and gave life to the Euro-
American Greater Europe system.88
Jefferson e la Dichiarazione allargano, quindi, in seguito alla vittoria conseguita dalle
tredici colonie unite, i confini della riflessione politica europea all'intero mondo
Atlantico, donando alla storia il precedente dell'Indipendenza di una colonia
d'oltreoceano. É per tale ragione che il documento jeffersoniano diviene da subito lo
strumento politico in grado di presentate e tradurre le trasformazioni politiche ed
internazionali della prima età moderna nel momento in cui, come afferma Armitage,
<<A world of states emerged from a world of empires>>.89 Trasformazioni che, in
seguito, sfoceranno nell'impeto della Rivoluzione francese, nel Terrore giacobino e
nell'offensiva di Napoleone, e che troveranno un freno solo quando la Restaurazione,
sancita dal Congresso di Vienna nel 1815, annuncerà l'avvento definitivo delle
Nazioni-Stato europee.
88 RSA Journal: Rivista di Studi Americani 20: 79-108, Round Table on David Armitage. The Declaration of Independence. A Global History, 2009, p.84.
89 Ibidem, p.81.
47
3.2 Thomas Paine e la costruzione del Common Sense americano
L'interdipendenza politica ed economica e la legittimità giuridica, ricercate dai
delegati del secondo Congresso continentale americano nel linguaggio del Law of
Nations di De Vattel, proiettano gli Stati Uniti sullo scenario storico mondiale
lasciando intravedere una prospettiva di Trans-Atlantic History nella nascita degli
United States che modifica, definitivamente, gli equilibri economici e politici
internazionali dell'oceano Atlantico a loro favore. Il testo della Dichiarazione, dopo
aver abbandonato le proprie radici europee, allarga l'influenza del proprio messaggio
politico-filosofico su un orizzonte dalla prospettiva globale; trasformandosi in uno
strumento politico che, anche se legittimato dalla vittoria americana, finisce col
presentarsi fin troppo innovativo per i canoni del tempo, al punto tale da essere
percepito come radicale ed estremamente pericoloso, almeno in quel che restava
degli Imperi europei. Armitage, descrivendo l'impatto del documento di Jefferson
sulle diverse realtà coloniali dell'epoca, ricorda che:
When word of Declaration had reached the British colony of Nova Scotia, in
August 1776, the British governor allowed only the last paragraph of the document
to be printed, lest the rest of it “gain over to them (the Rebels) many converts, and
inflame the minds of his Majesty's loyal and faithful subjects of the Province of
Nova Scotia”.90
L'esempio della colonia inglese di Nova Scotia mostra come l'espandersi della
notizia dell'Indipendenza americana, nei confini del mondo coloniale di fine
Settecento, abbia preoccupato non poco gli animi imperiali inglesi, poiché il
messaggio dei coloni ribelli finì per dare vita ad un autentico processo di
destabilizzazione politica globale. Il testo della Dichiarazione d'Indipendenza
apparve in Europa, per la prima volta, sui giornali londinesi nella seconda settimana
dell'Agosto del 1776:
Less than a week later, it was printed in Edinburgh,[…]; it also appeared in the
Dublin press on August 24. The next week it was reported in Madrid in August 27,
and the Dutch press picked it up on August 30; the following day it also appeared in
90 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.75.
48
Vienna. By September 2, a Danish newspaper in Copenhagen carried a translation
on the Declaration on its front page. On September 14 readers learned of it in
Florence. The following month, a complete German translation was published in a
Swiss journal in Basil.91
L'essere stato scritto in lingua inglese rallentò in parte la fruizione del documento
jeffersoniano, in quanto, aggiunge Armitage: <<French, not English, was the reigning
language of diplomacy, and English was not yet a major lingua franca even for the
learned across Europe and the Americas>>.92 L'effetto prodotto da tale documento
sull'ambiente internazionale stimolò riflessioni, questioni e risposte immediate
provenienti, soprattutto, dal mondo politico inglese; silenziare la Dichiarazione nel
mondo Atlantico e coloniale rappresenta la prima risposta del governo britannico che
considera il testo della Dichiarazione come una richiesta illegale ed illegittima alla
quale non sarebbe stato necessario rispondere in modo ufficiale, poiché: <<would be
to recognise that equality and independence, to which subjects, persisting in revolt,
cannot fail to pretend […] This would be to recognise the right of other states to
interfere in matters, from which all foreign interposition should for ever be
precluded>>93. Queste parole sono riprese da Armitage dal testo Answer to the
Declaration of the American Congress (1776), opera del giovane scrittore inglese e
pamphleteer John Lind. Il testo di Lind presentava un minuzioso esame delle varie
accuse mosse dai coloni americani a Giorgio III, giustificando, punto per punto, i
torti compiuti dal sovrano e provando a dimostrare, in tal modo, la natura ribelle dei
coloni che ne rendeva illegittima la richiesta d'Indipendenza.
After all, if the colonists were acknowledged to be independent citizens of a foreign
state, what could have prevent a pirate like Captain Kidd from protecting himself
against criminal prosecution by declaring himself independent? “Instead of the
guilty pirate” Lind warned, “he would have become the independent prince; and
taken among the 'maritime' powers–that separate and equal station, to which'– he
too might discovered–'the law of nature and of nature's God entitled him' ”.94
91 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.70. 92 Ibidem, p.71.93 John Lind and Jeremy Bentham, An answer to the Declaration of the American Congress, London,
1776, p.5, in David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History, op. cit., p.75. 94 Ibidem,p.76.
49
Se a Lind venne affidato il compito di rispondere alla Dichiarazione americana, al
pensiero di un altro pamphleteer inglese, Thomas Paine, si deve il merito di avere
spronato gli animi dei coloni ribelli e di avere reso realmente possibile, al pari di
Jefferson e dei delegati americani, la tanto anelata Indipendenza americana. La storia
di Paine è quella di un giovane nato a Thetford nel 1734, una cittadina a circa cento
chilometri da Londra, che fa la sua comparsa come pamphleteer pubblicando, tra il
1772 ed il 1773, il testo The case of the Officers of the Excise, con l'intento di
presentare al mondo inglese il movimento di protesta animato dal desiderio degli
esattori fiscali di ottenere salari più alti. La protesta di cui Paine si fece promotore
sfortunatamente fallì, ma l'occasione di dare una svolta alla propria carriera di
scrittore politico arrivò comunque quando, tornato a Londra, conobbe Benjamin
Franklin. Il delegato americano avvicinò lo scrittore inglese alla causa delle tredici
colonie spingendolo a partire, nel Novembre del 1774, verso la città di Philadelphia.
Paine a Londra era venuto a contatto con un gruppo di intellettuali, artigiani e pastori
protestanti anticonformisti chiamati radical Whigs che proponevano una nuova
forma di balanced governments entro il quale porre un freno agli straripanti poteri
della corona e dei suoi ministri. La loro riflessione avvicinò Paine alla ricerca di una
maggiore consapevolezza e difesa delle singole libertà individuali ed a nuove forme
di tolleranza religiosa, tematiche queste che l'autore inglese svilupperà, poi, al meglio
all'interno del testo Common Sense. Pubblicato in forma anonima il 10 Gennaio del
1776, il pamphlet divenne un enorme best seller le cui prime centomila copie si
esaurirono nel giro di un anno e si impose sulla scena politica coloniale <<With an
effect which has rarely been produced by types and paper in any age or country>>95.
Paine, che dalla pubblicazione del pamphlet non guadagnò neanche un soldo, si
convinse a tal punto dell'importanza della causa americana da arruolarsi nell'Esercito
Continentale subito dopo aver ascoltato e letto il testo della Dichiarazione
d'Indipendenza del 4 Luglio 1776.
The cause of America is, in a great measure, the cause of all mankind. […] The
laying a country desolate with fire and sword, declaring war against the natural
rights of all mankind, and extirpating the defenders thereof from the face of the
95 Benjamin Rush, citato in Grefory Claeys, Thomas Paine: social and political thought, Lond UnwinHyman, 1989, p. 23.
50
earth, is the concern of every man to whom nature hath given the power of feeling.96
Egli scrive dell'America come della terra in cui è possibile trovare: <<Asylum for the
persecuted lovers of civil and religious liberty from every part of Europe>>,97 per
questo non si limita alla semplice analisi delle motivazioni che muovono le tredici
colonie, ma espone in Common Sense tutto il suo pensiero politico e costituzionale di
cui il repubblicanesimo è caratteristica peculiare. La riflessione filosofica del
pamphleteer inglese attinge da Locke così come farà, cinque mesi dopo, lo stesso
Jefferson nella stesura della Dichiarazione d'Indipendenza. Ma, mentre per Locke gli
uomini giungono allo stato sociale tramite il pactum unions, in Paine, secondo
quanto scrive Simonetta Scodellari:
Lo stato di natura viene già raffigurato come uno “stato di naturale società” dove gli
uomini vivono esercitando i propri diritti naturali […] e possedendo anche i diritti
civili, il cui godimento, però non è garantito. Si può dire che lo stato di natura di
Paine sia una “società naturale civilizzata”, ma non ancora una società politica,
poiché manca il contratto su cui deve basarsi.98
Nel primo capitolo di Common Sense, Paine delinea l'impianto filosofico del testo
per poi passare alla condanna, nel secondo capitolo, della corrotta ed avvelenata
monarchia inglese. La forma governativa dell'Impero britannico, scrive Paine, è stata
contaminata tramite:
The corrupt influence of the crown, by having all the places in its disposal, hath so
effectually swallowed up the power, and eaten out the virtue of the House of
Commons (the republican part in the constitution) that the government of England
is nearly as monarchical as that of France and Spain. […] and it is easy to see that
when republican virtues fail, slavery ensues. Why is the constitution of England
sickly but becouse monarchy hath poisoned the republic, the crown has engrossed
the commons? 99
Il terzo ed il quarto capitolo del testo di Paine, che tendono ad esplicitare
direttamente le ragioni e l'importanza della causa americana, si aprono con un incipit
96 Thomas Paine, Common Sense, in Thomas Paine Political Writings, Bruce Kublick (a cura di), Cambridge, Cambridge University Press, 1989, p.2.
97 Ibidem, p.18.98 Simonetta Scodellari, Il pensiero politico di Thomas Paine, Torino, G. Giappichelli, 1989, pp.21-
22.99 Thomas Paine, Common Sense, op.cit., p.15.
51
in cui l'autore, rivolgendosi direttamente al lettore, mostra come:
In the following pages I offer nothing more than simple facts, plain arguments, and
common sense; and have no other preliminaries to settle with the reader, than that
he will divest himself of prejudice and prepossession, and suffer his reason and his
feelings to determine for themselves.100
Paine, utilizzando un linguaggio semplice ed efficace, presenta i vantaggi oggettivi
che la separazione dalla madrepatria apporterebbe alla vita delle tredici colonie
americane dimostrando come l'interesse inglese verso le colonie d'oltreoceano
rappresenti la mera difesa dei propri interessi economici e non un reale attaccamento
ai coloni. L'Inghilterra e la dipendenza dall'Impero britannico sono avvertite
dall'autore inglese come un pericolo per i futuri United States, in quanto: «France
and Spain never were, nor perhaps ever will be, our enemies as Americans, but as our
being the subjects of Great Britain».101 Le colonie americane si dimostrano
sprovviste di una propria percezione nazionale ed identitaria perché figlie dei
processi di Circum-Atlantic History che dai primi anni del XVI secolo hanno
caratterizzato il mondo Atlantico; Paine è colui che per la prima volta tenta di riunire
le diverse realtà culturali che compongono le tredici colonie entro un obiettivo che
sia possibile percepire come comune dalla totalità dei coloni e che riassume
scrivendo che:
Our plan is commerce, and that, well attend to, will secure us the peace and
friendship of all Europe; because is it the interest of all Europe to have America as a
free port. Her trade will always be a protection, and her barrenness of gold and
silver secure her from invaders. 102
La costruzione dell'identità americana che Paine opera in Common Sense può
nascere, anch'essa come per l'Indipendenza ricercata dal testo di Jefferson, grazie alla
contrapposizione ed all'interdipendenza con l'Europa; l'autore inglese spinge i coloni
alla prospettiva dell'isolazionismo convincendoli dei vantaggi economici derivanti
dalla scelta di evitare qualsivoglia coinvolgimento politico e militare con l'Europa.
A.Owen Aldridge, all'interno del suo testo Thomas Paine's American Ideology, scrive
This is, of course, a clear statement of the doctrine of isolation, or the policy of
noninvolvement in the political affairs of Europe. It was expressed by Paine in
Common Sense almost a quarter of a century before Washington's Farewell Addres,
the document with which isolationism has traditionally been associated.103
Il principio dell'isolazionismo americano, che Aldrige estrapola dal pamphlet di
Paine, non appartiene, secondo Armitage, alle parole di Jefferson ed al testo della
Dichiarazione d'Indipendenza; infatti, la storiografia nazionalistica e la dottrina
dell'exceptionalism americano tentando di allontanare il testo della Dichiarazione
dalle sue naturali radici internazionali provocano, nelle parole di Armitage, due
effetti particolarmente negativi per lo studio della Dichiarazione di Jefferson:
This effort of domestication would have two equal and opposite effect: first, it
would hide from Americans the original meaning of the Declaration as an
international and even global, document; second, it would ensure that within the
United States only proponents of slavery, supporters of Southern secession, and
anti-individualist critics of rights talk would be able to recall that original
meaning.104
Allontanando il testo della Dichiarazione d'Indipendenza americana
dall'isolazionismo proposto da Paine e dall'ombra che la storiografia nazionale
americana rappresenta, diventa possibile per Armitage, restituirlo alla sua originale
natura internazionale, ricollocandolo entro delle coordinate atlantiche. La struttura
giuridica e gli enunciati di filosofia politica presenti nel testo della Dichiarazione
d'Indipendenza, che la vittoria americana convalida e rende legittimi, si allargano
immediatamente all'intero panorama mondiale trasformando il testo di Jefferson
nello strumento politico a disposizione di tutte le successive rivendicazioni
d'Indipendenza del XIX secolo. Per questo motivo Armitage, a conclusione del testo
The Declaration of Independence. A Global History, sceglie di inserire una lunga
lista di Dichiarazioni d'Indipendenza tutte indebitate, almeno in parte, nei confronti
del testo americano di Jefferson confermando la tesi, espressa da John Quincy Adams
103 A.Owen Aldridge, Thomas Paine's American Ideology, University of Delaware Press, Nework, 1984, p.65.
104 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.70.
53
nel suo personale Address del 4 Luglio 1821, riportata anche dallo stesso Armitage,
che descrive la Dichiarazione d'Indipendenza americana come:
It was the first solemn declaration by a nation of the only legitimate foundation of
civil government. It was the cornerstone of a new fabric, destined to cover the
surface of the globe. It demolished, at a stroke, the lawfulness of all governments
founded upon conquest. It swept away all the rubbish of accumulated centuries of
servitude. It announced in practical form to the world that transcendent truth of the
unalienable sovereignty of the people.105
105 John Quincy Adams, An Address, Delivered at the Request of the Committee of Arrangements for Celebrating the Anniversary of Independence, at the City of Washingtonon the Fourth of July 1821, Cambridge, MA, 1821, p.11, in David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History, op.cit., p.66.
54
Conclusioni
Collocare il testo della Dichiarazione d'Indipendenza all'interno del contesto
Atlantico ed Europeo di fine Settecento, richiamare l'istanza dell'interdipendenza
insita nel documento e presentare lo stesso quale strumento politico messo a
disposizione dei popoli che da li a poco avrebbero rivendicato la propria
indipendenza, rappresentano solo alcune delle tante costruzioni tematiche entro le
quali Armitage sviluppa il suo discorso nel testo The Declaration of Independence. A
Global History. Il Professore di Harvard, consapevole del grande apporto che il
proprio testo porta al processo di internazionalizzazione della storia americana e
affermando che: <<The document inaugurated a genre of political writing that has
persisted to the present day>>106, pone definitivamente fine al processo di
domesticazione interna del testo di Jefferson, operato dalla storiografia nazionalistica
e repubblicana americana. Spostando l'attenzione dal secondo paragrafo, dove dalle
Self-Evident Truths Jefferson muove la propria riflessione filosofica riguardo al
principio universale rappresentato dalla sovranità popolare, alla prima ed all'ultima
sezione della Dichiarazione, ove viene illustrata l'Indipendenza e l'Interdipendenza
americana, Armitage riesce a restituire allo scritto di Jefferson la propria natura di
strumento politico, ponendolo come presupposto dell'avviò di un particolare
momento storico in cui: <<A world of States emerged from a world of Empire>>107.
Allontanandosi dagli enunciati di filosofia politica che principalmente rimandano
all'universalità della causa americana e, ricollocando lo stesso entro il proprio
contesto internazionale originale, Armitage finisce per ritrovarsi nuovamente dinanzi
ad un processo di americanizzazione del mondo che, in questo particolare caso, si
esprime attraverso quella particolare influenza che l'Indipendenza americana riveste
nei confronti del mondo coloniale di fine Settecento ed inizio Ottocento.
In the second half of the twentieth century, in the transition from the colonial to the
postcolonial era, when more countries have declared independence than at any other
106 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., Harvard University Press, Cambridge, 2007, p.13.
107 Ibidem, p.18.
55
time in history, it is no wonder that the American Declaration of Independence has
constituted the obvious reference, if not always the most emulatable model.108
Anche se l'universalità del testo jeffersoniano è ormai considerata come un dato
storico consolidato, le critiche mosse al testo di Armitage risultano interessanti dato
che permettono di evitare una nuova sorta di americanizzazione della storia
mondiale, sistemando, dunque, la storia della nazione americana entro i confini
cronologici del percorso storico che, dalla storia atlantica, muove verso la prospettiva
di storia globale proposta da Armitage. Tiziano Bonazzi, in Round Table on David
Armitage, presenta la propria critica allo storico inglese affermando che:
Armitage did not take full advantage of the possibilities that his innovative
approach toward the Declaration offered him. In fact, in his book he does not
consider two things. The first is that one cannot treat the explosion of the states
outside Europe and therefore the statizing of the world starting from the end of the
700s under a common shield. […] The second is that states and empires are not two
political concepts with the same theoretical depth and they cannot be analyzed as
such. The state is a political institution that characterizes European history. We
could say that from a political viewpoint it created modern Europe.109
Per il Bonazzi considerare da un solo profilo l'intero processo di statalizzazione che
ha caratterizzato l'inizio del XIX secolo è inappropriato, in quanto risulta davvero
difficile riuscire a definire un unico percorso valido per ogni particolare storia
circoscritta all'interno delle prime forme di globalizzazione nate nel mondo Atlantico.
L'esempio fornito da molti Stati europei che, dopo aver allargato i propri confini
territoriali si ritrovarono in possesso di piccoli Imperi coloniali, al pari, invece, di
quello fornito dall'Impero britannico e francese che, all'indomani della sconfitta
subita in Nord America e della guerra dei setti anni, finirono per ritrovarsi
ridimensionati entro i confini territoriali di piccoli Stati-Nazionali, confermano
l'opinione dell'accademico di Bologna. Allo stesso modo, le riflessioni del Professore
del Colorado College, David C. Hendrickson, portano alla luce altre interessanti
contraddizioni interne alla storia americana di questi ultimi anni poiché:
108 Eugene Eoyang, Life, Liberty, and the Pursuit of Linguistic Parity:Multilingual Perspectives on the Declaration of Independence, JAH (Journal of American History) Roundtable.
109 RSA Journal: Rivista di Studi Americani 20: 79-108, Round Table on David Armitage. The Declaration of Independence. A Global History, 2009, p.82.
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Surely it is useful to recall that among the truths Americans “have uttered from the
day of our Founding” is that every people must find its own way to freedom. As
America, in its most recent incarnation, took on the role of liberator to the world, it
seems to have forgotten that the possession by the various peoples of the rights of
independent statehood is an indispensable concomitant of a peaceful international
order and the necessary (though not admittedly sufficient) precondition for the
achievement of civil freedom.110
La riflessione di Hendrickson mostra come il ruolo assunto dagli Stati Uniti durante
e successivamente le due guerre mondiali, che tutt'ora si protrae all'interno degli
attuali equilibri politici internazionali, allontani sempre più l'operato della Nazione
americana dagli obiettivi prefissati dalla propria Dichiarazione d'Indipendenza,