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Indice 1 Introduzione 2 1. Una premessa atlantica 1.1 La Storia Atlantica 7 1.2 Il Mondo Atlantico: risultato di due mondi separati 12 1.3 Three Concepts of Atlantic History 19 2. La Dichiarazione d'Indipendenza Americana 2.1 Una risoluzione per le tredici Colonie americane 29 2.2 Precedenti storici della Dichiarazione d'Indipendenza Americana 36 3. Tre diversi approcci atlantici alla storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza americana 3.1 L'interdipendenza americana: un processo di Trans-Atlantic History 41 3.2 Thomas Paine e la costruzione del Common Sense americano 48 Conclusioni 55 Bibliografia 61 Sitografia 63 1
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Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

Apr 04, 2023

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Andrea Colli
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Page 1: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

Indice 1

Introduzione 2

1. Una premessa atlantica

1.1 La Storia Atlantica 7

1.2 Il Mondo Atlantico: risultato di due mondi separati 12

1.3 Three Concepts of Atlantic History 19

2. La Dichiarazione d'Indipendenza Americana

2.1 Una risoluzione per le tredici Colonie americane 29

2.2 Precedenti storici della Dichiarazione d'Indipendenza Americana 36

3. Tre diversi approcci atlantici alla storia globale della Dichiarazione

d'Indipendenza americana

3.1 L'interdipendenza americana: un processo di Trans-Atlantic History 41

3.2 Thomas Paine e la costruzione del Common Sense americano 48

Conclusioni 55

Bibliografia 61

Sitografia 63

1

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Introduzione

Questo lavoro nasce con l'intento di analizzare il testo: The Declaration of

Independence. A Global History pubblicato nel 2007 da David Armitage, attualmente

Professore e Direttore del Dipartimento di Storia dell'Harvard University, che

sviluppa i suoi studi nell'ambito della storia delle idee politiche e, più precisamente,

del Repubblicanesimo anglo-americano in età moderna. Armitage ha origini

britanniche ed inizia il suo percorso di studi all'Università di Cambridge per poi

trasferirsi negli Stati Uniti alla Princeton University nel New Jersey con l'obiettivo di

seguire le orme del Repubblicanesimo stesso. Lo storico inglese ha provato a

ripercorrere ed analizzare le tematiche storiografiche riguardanti il legame politico-

culturale tra l'Impero Britannico e gli Stati Uniti d'America, lavorando in un primo

momento alla Columbia University di New York per poi spostarsi nel 2004 ed in

modo definitivo all'Harvard University.

David Armitage is the author or editor of fifteen books, among them The

Ideological Origins of the British Empire(2000), which won the Longman/History

Today Book of the Year Award, The Declaration of Independence: A Global

History (2007), which was chosen as a Times Literary Supplement Book of the

Year, Foundations of Modern International Thought (2013) and (with Jo Guldi) The

History Manifesto (2014), a New Statesman Book of the Year. His most recent

edited works are Shakespeare and Early Modern Political Thought (2009), also a

TLS Book of the Year, The Age of Revolutions in Global Context, c.1760-1840

(2010), Choice Outstanding Academic Title, and Pacific Histories: Ocean, Land,

People(2014). His articles and essays have appeared in journals, newspapers and

collections around the world and his works have been translated into Chinese,

Danish, French, Italian, Japanese, Portuguese and Spanish, with others soon to

appear in Dutch, Greek and Turkish.1

La formazione di David Armitage è dovuta a due dei più noti storici del pensiero

politico anglo-americano: Quentin Skinner e John Pocock, con i quali lavorò a stretto

contatto durante il periodo di permanenza all'Università di Cambridge. Q. Skinner,

ideatore e promotore, insieme a John Dunn, della famosa e rinomata scuola di

1 Harvard University Website, Scolar at Harvard, David Armitage. Lloyd C.Blankfein Professor of History.

2

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Cambridge, è colui che per primo spinse Armitage verso lo studio del pensiero

politico britannico, all'interno di un percorso accademico che lo condusse ad

avvicinarsi ad un altro importante storico, ovvero a John G.A. Pocock, neozelandese

di origine e formatosi anch'egli a Cambridge. Pocock condivise con Armitage la

successiva esperienza professionale americana, sviluppando le sue riflessioni

all'interno di prestigiosi centri universitari e di ricerca quali la Johns Hopkins

University e la Folger Shakespeare Library di Washington, sede del Center for the

History of British Political Thought, che continua tuttora ad offrire nuovi ed

interessanti spunti di riflessioni nei confronti del pensiero politico della prima età

moderna, trovandogli una continuità all'interno del percorso indipendentista

americano di fine XVIII secolo. Proprio calandosi in questa visione del pensiero

politico inglese, legato strettamente all'analisi politica a cui si presta la Dichiarazione

d'Indipendenza Americana, Armitage sviluppa le linee guida entro le quali nasce The

Declaration of Independence. A Global History, un testo che è possibile collocare

all'interno di una specifica corrente storica che è quella atlantica.

La riflessione storiografica atlantica si sviluppa nel XIX secolo ed interroga

l'incrementarsi, nel secolo XVI, dei contatti tra il mondo europeo ed il Nuovo

Mondo, allorquando i continenti confinanti con l'Oceano Atlantico – Europa , Africa

e le Americhe – finirono per trasformarsi in un complesso sistema regionale,

favorendo un'ampia sfera comune di scambi economici e culturali.

[...] A partire dagli anni Cinquanta, ma con crescente impeto dagli anni Novanta in

poi – e sostanzialmente depurata da certe ipoteche ideologiche delle origini – è stata

in effetti una delle più significative esperienze intellettuali rivolte a de-

nazionalizzare la storia degli imperi coloniali ed a contestualizzarla all'interno di

reti di interdipendenze molto più complesse e variegate di quanto fosse mai stato

percepibile dal punto di osservazione offerto dalla storia (e dalla documentazione)

dei singoli Stati nazionali.2

L'insieme delle iterazioni avvenute tra l'Europa e le colonie del Nuovo Mondo va

quindi inserito all'interno di uno schema unico ove è possibile racchiudere un'ampia

gamma di campi d'indagine storica quali quello demografico, sociale, economico,

2 Guido Abbattista, Una storia intellettuale globale, prefazione al testo di David Armitage, La Dichiarazione d'Indipendenza. Una storia globale., Tradotto da: Franco Motta, Torino, UTET, 2008, p.VIII.

3

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politico, legale, militare, intellettuale e religioso, non più letti in chiave nazionale, ma

studiati sulla base di prospettive legate tra loro dalla cornice costituita dall'Oceano

Atlantico. Questa corrente storiografica assume un significato rilevante soprattutto

perché nasce in risposta alle politiche espresse dagli Stati Uniti nella prima metà del

ventesimo secolo e trova le proprie ragioni d'essere nella:

Volontà di ripensare profondamente la storia nordamericana non in quanto prova del

“manifest destiny”di una nazione diversa e migliore rispetto al resto del mondo, ma

come una storia impossibile da separare dal complesso sistema di relazioni

internazionali e soprattutto atlantiche che ne hanno determinato il corso.3

Bernard Bailyn, Professore di Storia dell' Harvard University sin dal 1953 e vincitore

di due premi Pulitzer per la Storia (nel 1968 e nel 1987), si presenta, senza ombra di

dubbio, come uno dei principali propulsori della spinta atlantica grazie ai suoi due

lavori comparsi tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Settanta del Novecento.

Guido Abbattista, docente di Storia Moderna all'Università di Trieste, nel redigere la

prefazione Una Storia Intellettuale Globale alla traduzione di Franco Motta,

promossa nel 2008 dall'UTET, del testo: The Declaration of Independence. A Global

History di David Armitage, lo descrive come colui:

Che ha operato un profondo ripensamento sulla cultura politica americana delle

origini e sui fondamenti ideologici della rivoluzione del 1776, mostrandone le radici

tutte britanniche: per quanto innovative siano indubbiamente state le formulazioni

dei padri fondatori e originale il mondo politico a cui hanno dato vita, l'ispirazione

profonda, il linguaggio, le strutture di pensiero che li hanno guidati sia nella fase

rivoluzionaria sia in quella costituente non sarebbero comprensibili isolandole dalle

loro matrici britanniche (ed europee) e considerandole esclusivamente come il

mirabile frutto intellettuale di una terra vergine, feconda e creativa come l'America.

Bailyn, dunque, pone l'accento sull'eredità culturale e politica che legava i tredici

free and independent States all'originaria madre-patria inglese, un legame profondo,

che lo storico statunitense ritiene, addirittura, in grado di caratterizzare parte del

percorso indipendentista delle tredici Colonie Inglesi d'America. Queste radici

comuni, però, rappresentano solo una delle prospettive europee nascoste all'interno

del percorso indipendentista americano. La nascita degli Stati Uniti, infatti, finì per

legittimare anche altre esperienze culturali, sociali e politiche che andavano ben oltre

3 David Armitage, La Dichiarazione d'Indipendenza. Una storia globale., op.cit., p.VIII.

4

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il semplice legame anglofono e che danno voce al cammino volontario di milioni di

olandesi, portoghesi, tedeschi, irlandesi, spagnoli, italiani ed in generale europei, al

pari di quello, invece, forzato a milioni di schiavi africani, verso le coste del Nuovo

Mondo. Questi uomini, le loro idee e le loro culture sono il diretto esempio di come

alla base dell'immaginario comune sul quale gli Stati Uniti poggiano la propria

identità vi siano delle costruzioni e delle esperienze europee ed atlantiche e non

esclusivamente inglesi. Timothy Coates, Professore del Dipartimento di Storia del

Charleston College, nel redigere una critica ad una delle maggiori opere di Bailyn, il

testo Atlantic History: Concept and Coutours (Cambridge: Harvard University Press,

2005), scrive:

Professor Bailyn's Atlantic is thus profoundly British, and very Northern. In a

nutshell, this is the work’s major problem. While expressly stating that Atlantic

history is greater than the sum of its parts, “as much Spanish as British, as much

Dutch as Portuguese, as much African as American”, Professor Bailyn really

focuses on one, British or Anglo-American dimension, over the course of the

eighteenth century. 4

L'opinione di Coates, che conclude il suo discorso asserendo che: <<It would have

been more accurate to label the book The British Atlantic in the Eighteenth

Century>>, aiuta a riconsiderare la dimensione britannica come una delle parti che

compongono il percorso storico Atlantico, esorcizzando, almeno in parte, la forzatura

nei confronti del debito culturale britannico. Certamente, è grazie al legame tra

l'Impero britannico e le sue colonie d'oltreoceano che si svilupperanno una gran parte

degli scambi commerciali, sociali e culturali del Nord Atlantico, così come risulta

ragionevole voler collocare gli scritti di Thomas Jefferson e le basi della

Dichiarazione di Indipendenza americana sulla scia della riflessione politica inglese

di fine 1700. Eppure la Storia Atlantica non può essere riassunta da un unico punto di

vista, in quanto, essa stessa rappresenta la chiave di lettura delle diverse realtà che la

compongono ed appartiene, inevitabilmente, ad ognuna di loro nella misura in cui

l'oceano riuscì ad influenzarne la storia e non il contrario. Lo stesso Armitage, nel

trattare di Storia Atlantica, ricorda come:

Atlantic history has recently become much more multicolored. The white Atlantic

4 Coates T., Bernard Bailyn: Atlantic History: Concept and Contours, College of Charleston, 2005.

5

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has itself became a self-conscious field of study rather than the defining model for

all other Atlantic histories. – No longer is Atlantic history avaible in any color, so

long as it is white.5

All'interno del contesto Atlantico si sviluppa, dunque, una delle maggiori opere di

David Armitage: The Declaration of Independence. A Global History, un lavoro che

ha contribuito in larga misura al dibattito storiografico Atlantico e che nasconde un

passaggio cruciale che da molti è stato recepito come il tentativo di una

riproposizione dell'eccezionalismo americano all'interno di una prospettiva globale.

Il Professore Abbattista, nella prefazione alla traduzione italiana del testo, commenta

il passaggio di Armitage che punta ad internazionalizzare la Dichiarazione di

Indipendenza americana come:

Un’interpretazione tendente a proclamare di nuovo una sorta di primato americano

nella fondazione della libertà politica moderna, il cui pedigree discenderebbe

direttamente dalla grande opera di liberazione di portata universale, o «globale»,

realizzata dai padri fondatori.6

Armitage sviluppa le proprie tesi partendo dal concetto di storia atlantica e muove

un'analisi che dalle ragioni atlantiche della Dichiarazione del 1776 si indirizza verso

una prospettiva direttamente globale; la Dichiarazione d'Indipendenza americana

diventa il canovaccio sul quale si sviluppano le future Dichiarazioni di Indipendenza,

all'interno di una pandemic of independence che trova origine nel percorso storico

degli Stati Uniti e che, in breve tempo, si allarga al mondo intero.

Prima ancora d'indagare la Dichiarazione di Indipendenza risulta necessaria, ai fini

del nostro discorso, una riflessione d'ampio respiro sulla storia atlantica e sulle

ragioni che hanno portato alla nascita di questa corrente storica, così da stimolare una

maggiore comprensione del contesto entro il quale si muove il dibattito storiografico

relativo all'opera di Armitage.

5 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History, in D. Armitage, M.J. Braddick (a cura di), The

British Atlantic World, 1500-1800, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2002, p.14.

6 David Armitage, La Dichiarazione d'Indipendenza. Una storia globale., Tradotto da: Franco Motta con Prefazione di Guido Abbattista, Torino, UTET, 2008, p.XII.

6

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1. Una premessa Atlantica

1.1 La Storia Atlantica

L'idea di storia atlantica nasce e si sviluppa all'interno del XX secolo e pone le

proprie radici sulla precedente storia Imperiale britannica, spagnola e portoghese

grazie ai lavori di Charles M. Andrews e Clarence Haring, due dei maggiori storici

imperialisti del Novecento. Ad Andrews va il merito d'aver catalogato, indicizzato e

reso accessibili gli archivi anglo-americani del primo Impero britannico nel Public

Record Office di Londra, mentre Haring orienta il suo interesse nei confronti degli

archivi relativi all'età imperiale presenti a Madrid e Siviglia. Ambedue hanno lasciato

un enorme contributo alla storia imperiale stimolando quelle che furono le prime

riflessioni nei confronti dell'Atlantico senza, però, riuscire a cogliere appieno le

novità nascoste all'interno dei rapporti d'oltreoceano, ma proponendo soltanto una

minuziosa descrizione della struttura e dell'organizzazione degli imperi allora

esistenti. Uno dei testi che non possiamo non tenere in considerazione ai fini del

discorso è dato dall'elegante opera di Fernard Braudel Le Méditerranéen à l'époque

de Philippe II del 1959; questo testo, tesi di dottorato dello storico francese grazie

alla quale conseguirà il titolo di Dottore in Lettere, è stato definito da molti come

un'opera metastorica e non storica. Lo storico francese sperimenta una totale

inversione del peso del soggetto studiato che, dalla figura di Filippo II, si sposta al

Mar Mediterraneo portando alla definitiva conclusione che la storia di un mare è la

storia delle terre che lo bagnano. Braudel va annoverato tra gli autori e gestori della

rivista fondata nel 1925 da Marc Bloch e Lucien Febvre con il titolo di Annales

d'histoire economique et sociale. Les Annales promuovono un innovativo approccio

storico teso all'abbandono della histoire evenementielle in favore dello studio della

storia delle strutture che governano i percorsi storici. Queste riflessioni sul vecchio

continente prepararono la strada per il definitivo successo della storia atlantica come:

One of the most important new historiographical developments of recent years.7

Possiamo far risalire la prima vera scintilla relativa alla storia atlantica al 1917 ed

7 J. H. Elliot, Do the Americas have a common history? An Address., Providence, RI, The John Carter Brown Library, 1998, p.19.

7

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agli scritti del ventisettenne Walter Lippmann: giornalista molto influente ed

appassionato interventista. Egli, all'alba della prima guerra mondiale, apporta, nel

Febbraio del 1917, un primo riferimento concreto nei confronti del sistema atlantico,

scrivendo sulla rivista il New Republic quanto segue:

Noi dobbiamo lottare per l'interesse comune del mondo occidentale, per l'integrità

delle potenze atlantiche. Dobbiamo di fatto riconoscere che siamo una grande

comunità ed agire come suoi membri8.

Le speranze del giornalista newyorkese, che miravano alla nascita di una salda e

durevole comunità atlantica, vennero meno dinanzi all'isolazionismo post-bellico

americano e finirono per scomparire del tutto all'interno della grande depressione nel

1929. Nel 1941 Forrest Davis, un altro giornalista americano, impegnato in una

nuova battaglia interventista, riprese le tesi di Lippmann all'interno del testo The

Atlantic System: un lungo commento sulla Carta Atlantica firmata da Roosevelt e

Churchill in cui veniva elencata una storia generale delle relazioni anglo-americane.

Due anni dopo, nel 1943, Lippmann stesso tornò a trattare delle argomentazioni

atlantiche presentando all'indomani del D-Day il testo U.S. War Aims, scritto in cui

veniva discusso il problema del nuovo ordine mondiale, data l'ormai vicina

conclusione della Seconda guerra mondiale. Questo nuovo ordine, scrive Bailyn

parafrasando le parole di Lippmann:

Doveva essere dominato da “grandi costellazioni regionali di Stati che siano patrie

non di singole nazioni, ma delle comunità storiche civilizzate”. Prima fra tutte –

scrisse – ci sarà o avrebbe dovuto esserci la comunità Atlantica, un “sistema

oceanico” le cui principali potenze militari erano isole l'una rispetto all'altra.

C'erano naturalmente delle differenze nazionali all'interno dell'area Atlantica, ma si

trattava di “variazioni all'interno della stessa tradizione culturale”, che era

“l'estensione della cristianità latina ed occidentale dal Mediterraneo occidentale

all'intero bacino dell'Atlantico”.9

La seconda metà del '900 si apriva, dunque, ad una nuova concezione del mondo

orientata, dopo le distruzioni dovute alle due guerre mondiali, ad una rapida

ricostruzione del vecchio continente ed all'annientamento delle derive

8 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, Tradotto da: Marina Magnani, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p.16.9 Ibidem, p.17.

8

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nazionalistiche; un momento storico delicato in cui il nuovo rischio rappresentato

dall'espansione del comunismo russo venne evitato dalla creazione di una vera e

propria comunità atlantica, così come propagandavano gli scritti di Lippmann e

Davis. Nel 1961, la nascita dell'Atlantic Council of the United States segnò una

ulteriore svolta del cammino atlantico; l'obiettivo di questo nuovo organo, che tra i

propri presidenti onorari può vantare figure di spicco quali: il Presidente Hoover,

Truman ed il generale Eisenhower, era di <<agire come uno strumento educativo per

stimolare riflessioni e dibattiti sul bisogno di una più grande unità atlantica e sulle

questioni connesse al suo sviluppo>>.10 Il Consiglio stimolò la scrittura di libri ed

opuscoli sul tema della coesione atlantica, pubblicizzando importanti conferenze nel

Nuovo e nel Vecchio Mondo fino alla nascita, nel 1963, del The Atlantic Community

Quaterly, una rivista il cui scopo primario era quello di promuovere la storia

Atlantica in ogni dove, in quanto in essa risiedeva una scelta storicamente

inevitabile. E' necessario arrivare al 1954-1955 per avere il primo tentativo esplicito

di una concettualizzazione generale dell'idea di storia atlantica ad opera di Jacques

Godechot e Robert Palmer, due storici per i quali l'idea di storia atlantica risultò

irresistibile sin dal primo momento. Nel 1955 la collaborazione dei due all'Università

di Princeton produsse un dettagliato rapporto su svariate tematiche storiche, a loro

contemporanee, facilmente associabili all'idea dell'esistenza di una comunità

atlantica. Palmer e Godechot alla domanda relativa all'esistenza di una o molte

civiltà atlantiche, infatti, rispondono:

Una, certamente se si mettono in contrapposizione Oriente ed Occidente. Perché era

chiaro che la civiltà del mondo atlantico, malgrado le sue differenze interne, avendo

conservato nelle sue fondamenta le “idées maìtresses” della civiltà cristiano-

giudaica, del diritto romano, e della ragione greca, è stata capace di una società più

liberale e più dinamica [...]. Sempre meno disposta a seguire passivamente le

usanze e a sottomettersi alla forza.11

Le successive pubblicazioni dei due storici, rispettivamente la Grande Nation di

Godechot del 1956 e soprattutto, The Age of Democratic Revolution, di Palmer del

1959-1963, regalarono alla disciplina atlantica una spinta dinamica all'interno del

10 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, op.cit., p.18.11 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, op.cit., p.29.

9

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dibattito accademico e storiografico, dando il via libera a discussioni, riflessioni,

dibattiti e pubblicazioni indirizzate allo studio dell'Atlantico.

Prima della fine degli anni Cinquanta del Novecento, Pierre ed Huguette Chaunu,

immagazzinarono all'interno del loro Séville et l'Atlantique ben otto tomi di dati e di

analisi relative ai rapporti che legavano la città di Siviglia con il mondo atlantico,

provando a fare luce su tutte le esperienze atlantiche che contribuirono alle

trasformazioni culturali, sociali, politiche ed economiche subite dalla città spagnola.

A questa mole di lavoro seguirono altri quattro volumi, in cui gli studi attuati sul

commercio atlantico della città di Siviglia si tradussero in una vera e propria analisi

della vita dell'oceano Atlantico stesso. Lo sviluppo delle tematiche atlantiche sembrò

a lungo un processo inarrestabile, infatti, mentre i coniugi Chaunu erano dediti al

proprio lavoro sulla città di Siviglia, altri rami della discussione nacquero intorno la

fine degli anni Sessanta. The Atlantic Slave Trade. A census, del 1969, ad opera di

Philip Curtin, aprì le porte ad un'altra delle macro-tematiche di cui lo studio

dell'Atlantico si fa promotore: il fenomeno dello schiavismo ed il commercio degli

schiavi che collegava le coste africane con il Nuovo Mondo e con l'Europa,

all'interno di un triangolo di rotte commerciali che sopravvisse fino alla fine del XIX

secolo. Il testo di Curtin nasce da alcune precedenti riflessioni riguardanti la

Giamaica del XIX secolo e riassume l'intero ammontare dei tabulati a stampa che a

quell'epoca rendicontavano il mercato di schiavi ispanico, inglese e francese

orientato verso l'isola giamaicana. Curtin, esprimendosi nei confronti della realtà

atlantica, descrisse come:

Un assetto regionale sociale, politico ed economico di cui la Giamaica era stata

parte stimolò la creazione sull'isola di due distinte ma intrecciate economie; una

africana e l'altra europea, le cui tensioni portarono a sconvolgimenti improvvisi ed,

infine, al declino.12

Da Curtin in poi gli studi facenti riferimento alla diaspora africana si incrementarono

a dismisura fino a giungere al prodotto definitivo di quattro storici americani ed

inglesi che, nel 1999, pubblicarono la banca dati informatica The Atlantic Slave

Trade. In essa venivano riunite, in modo sistematico ed interrogabile via computer,

una vasta gamma di informazioni riferite a circa ventisettemila tratte di schiavi

12 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, op.cit., p.34.

10

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spagnole, portoghesi, olandesi, britanniche e nordamericane, riassumendo in un

unico archivio ben due terzi del totale dei dati stimati fino a quel momento.

Negli stessi anni la storia demografica del mondo Atlantico si sviluppò anche in altre

direzioni: in Nord America lo studio della migrazione di particolari gruppi etnici e la

struttura sociale degli insediamenti dei migranti divennero il fulcro dell'indagine

storiografica. In Sud America, invece, gli studi si focalizzarono sulla consistenza

originale, il declino e più in generale sulla natura delle popolazioni autoctone del

Nuovo Mondo e su come la migrazione transatlantica europea sia poi riuscita a

trasformare ed inglobare tali realtà. Sia nel Nord che nel Sud America le conoscenze

si allargarono in modo continuo grazie all'utilizzo dei computer ed alla possibilità di

nuovi campi di studio comuni; uno stimolo, scrive David Eltis, che tende, per la

prima volta nella storia umana, alla teorizzazione di una comunità emisferica:

Nel senso che chiunque ci vivesse possedeva dei valori che, se non erano comuni a

tutto l'Atlantico, erano in qualche modo certamente influenzati da altre persone che

vivevano in parti diverse del bacino Atlantico. […] Il risultato fu, se non un'unica

società atlantica, un insieme di società profondamente diverse da ciò che sarebbero

state senza la partecipazione alla nuova rete transatlantica.13

Secondo le parole del principale atlanticista tedesco, Horst Pietschmann, la storia

atlantica si presenta come <<un elemento connettivo tra la storia europea,

nordamericana, caraibica, latino-americana e dell'Africa occidentale>>,14 che si

tradusse, letteralmente, in <<un incontro improvviso e brutale tra due vecchi mondi

che li trasformò entrambi e li integrò in un unico Nuovo Mondo>>.15

13 David Eltis, Atlantic History in Global Perspective, in Itinerario:Journal of European Overseas Expansion, Volume 23, 1999, pp.141-61.

14 Bernard Bailyn, Storia dell'Atlantico, op.cit., p.53.15 Ibidem, p.52.

11

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1.2 Il mondo Atlantico: risultato del contatto di due mondi separati

Uno dei più importanti avvenimenti storiografici relativi allo studio della ancora

precoce storia atlantica è rappresentato, senza ombra di dubbio, dalla pubblicazione

nel 1972 di The Columbian Exchange di Alfred W. Crosby. Il merito del Professore

di Storia dell'Università del Texas è di aver compreso che, alla radice di quella

rivoluzione dell'immaginario europeo, ci fosse la reciproca contaminazione dei

sistemi biologici tra le due sponde dell'Atlantico. Il precedente paragrafo si conclude

con l'affermazione secondo la quale dall'integrazione di due mondi sia stato possibile

vederne nascere uno radicalmente nuovo. Tale conclusione, ossia l'attestazione della

nascita di un Nuovo Mondo Atlantico, trova in Crosby e nella sua opera delle valide

ed ottime giustificazioni. Crosby muove la propria analisi all'interno di due

importanti questioni storiografiche: in primo luogo provando a far luce su tutto ciò

che riguarda quell'ampia gamma di malattie che nascono dall'iterazione delle

popolazioni indigene americane con i popoli europei, tramite una riflessione

storiografica che rimette in discussione l'importanza di malattie comuni tra le

popolazioni europee, come il vaiolo, all'interno del contesto americano. E in secondo

luogo analizzando le malattie di accertata origine americana, come la sifilide, e di

come si siano diffuse all'interno del continente europeo. Il successivo passo di

Crosby è costituito dalla costruzione di un ampio corollario di esempi a conferma

della tesi dello scambio biologico in atto tra i due continenti, dovuto allo scambio di

uomini, colture agricole e specie animali che caratterizzano in pieno la prima età

moderna e che indirettamente finiscono per rappresentare l'intero assetto

commerciale dell'Atlantico.

The Old World – by which we mean not just Europe, but the entire Eastern

Hemisphere – gained from the Columbian Exchange in a number of ways.

Discoveries of new supplies of metals are perhaps the best known. But the Old

World also gained new staple crops, such as potatoes, sweet potatoes, maize, and

cassava. Less calorie-intensive foods, such as tomatoes, chili peppers, cacao,

peanuts, and pineapcalorie were also introduced, and are now culinary centerpieces

in many Old World countries, namely Italy, Greece, and other Mediterranean

countries (tomatoes), India and Korea (chili peppers), Hungary (paprika, made from

12

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chili peppers), and Malaysia and Thailand (chili peppers, peanuts, and pineapples).

Tobacco, another New World crop, was so universally adopted that it came to be

used as a substitute for currency in many parts of the world. 16

Le affermazioni di Nathann Nunn e Nancy Qian, entrambi Assistent Professor of

Economics rispettivamente dell'Harvard University e della Yale University,

confermano la rilevanza del tema storiografico qui citato, presentando lo scambio

colombiano come un processo che ha origine nel contatto tra il Vecchio e Nuovo

continente e che racconta della graduale e concreta modificazione dell'ambiente

biologico originario di entrambi di cui l'oceano Atlantico divenne il principale

propulsore. Nunn e Qian, nello stesso scritto, ricordano che:

The exchange not only brought gains, but also losses. European contact enabled the

transmission of diseases to previously isolated communities, wich caused

devastation far exceeding that of even the Black Death in fourteenth-century

Europe.17

All'interno dei capitoli centrali del testo The Columbian Exchange, mentre tratta il

disfacimento del popolo degli Indios, Crosby parla di alleati biologici dei

conquistadores riferendosi a quell'insieme di malattie infettive che all'epoca

venivano generalmente riassunte con il termine di viruelas(vaiolo). La spedizione di

Cortes del 1519, che sbarca sulle coste del Messico al comando di 11 navi, 100

marinai e 508 soldati, si vede così ridimensionata dall'azione di malattie come il

vaiolo, che precedendo l'arrivo dei conquistadores, hanno reso le popolazioni native

del centro America incapaci di difendersi, decimandole. Una delle prime epidemie di

vaiolo del Nuovo Mondo venne documentata dal vescovo Domenicano Bartolomé de

Las Casas e colpì l'isola di Santo Domingo nel 1518. Las Casas rappresenta una delle

personalità che meglio riassumono come all'interno del mondo Atlantico anche un

singolo uomo possa racchiudere in sé il potere di plasmare la storia. La storia del

frate domenicano, ricordata successivamente anche da C.L.R. James nel testo I

Giacobini Neri, si dimostra quantomeno peculiare, infatti, scrive James:

Las Casas, ossessionato dalla prospettiva di vedere con i suoi propri occhi la

distruzione completa di un popolo nello spazio di una sola generazione, ricorse

16 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange: A History of Disease, Food, and Ideas., “Journal of Economic Perspectives”,Volume 24, Number 2, Spring 2010, p.163.17 Ivi.

13

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all'espediente di importare da un'Africa popolosa i negri più robusti; nel 1517 Carlo

V concesse l'autorizzazione all'esportazione di 15.000 schiavi a Santo Domingo e fu

così che il frate e il suo re vararono nel mondo la tratta degli schiavi e la schiavitù

d'America. 18

Le suppliche di Las Casas nei confronti del governo spagnolo, che miravano

all'abolizione dei repartimientos, ossia dei lavori forzati e della schiavitù istituiti

dalla legge spagnola nei confronti degli indigeni del luogo, finirono per stimolare la

nascita dello schiavismo su scala mondiale e di nuove, violente e durature forme di

coercizione. La lista delle malattie che dal Vecchio mondo si propagarono all'interno

del continente americano è una lista lunga che si diversifica da regione a regione: the

<<major killers include smallpox, measles, whooping cough, chicken pox, bubonic

plague, typhus, and malaria>>,19tutte malattie sconosciute ai nativi americani e con le

quali non avevano mai avuto alcun contatto diretto. Non avendo potuto sviluppare

anticorpi adatti alle malattie europee, diventa ragionevole ipotizzare che molte di

queste popolazioni siano state decimate dall'espandersi di grosse epidemie sin dai

primi anni del XVI secolo, ancor prima dello scontro diretto con le spedizioni di

conquista spagnole.

Although we may never know the exact magnitudes of the depopulation, it is

estimated that upwards of 80–95 percent of the Native American population was

decimated within the first 100–150 years following 1492.20

La perdita demografica subita dalle popolazioni native del continente americano è un

dato che tutt'ora risulta difficile quantificare, data l'impossibilità di avere una stima

approssimativa della popolazione americana prima dell'arrivo di Colombo nel 1492.

Infatti, le stime sostanziali fino ad ora ipotizzate oscillano da un minimo di 8 ad un

massimo di 110 milioni di persone, e in entrambi i casi, le perdite calcolate durante

gli anni del primo contatto con il mondo europeo superano abbondantemente la metà

del totale, presentando un tasso di sopravvivenza minimo nei confronti

dell'espansione dell'uomo bianco. L'esodo delle popolazioni native delle Americhe si

avvia sin dal primo contatto con Colombo e si sviluppa negli ultimi anni del 1400,

18 C.R.L. James, I Giacobini neri. La prima rivolta contro l'uomo bianco., Tradotto da: Raffaele Petrillo, Feltrinelli Editore, Milano, giugno 1968, p.11.19 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange., op.cit., p.165.

20 Ivi.

14

Page 15: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

precedendo di pochi anni il definitivo declino causato, in seguito, da ciò che è

identificabile con il bagaglio culturale, sociale, politico ed anche biologico europeo.

Una presenza, quella europea, che si fece più forte grazie alla continua migrazione di

sempre maggiori fette della popolazione d'oltreoceano, che pian piano trapiantarono

la loro stessa cultura sulle coste del Nuovo Mondo, fino a rompere definitivamente

l'equilibrio biologico e naturale entro il quale i popoli nativi americani avevo

costruito la propria realtà.

Specularmente anche in Europa alcune malattie iniziarono a propagarsi dopo il

viaggio di Colombo del 1492; il caso di maggior rilevanza è fornito dall'esempio

della sifilide. Il bacillo del Trepodema pallidum si presentò in Europa per la prima

volta a Napoli nel 1494, prevalentemente diffuso tramite rapporti sessuali, esso finì

per impressionare drasticamente l'immaginario europeo a causa del suo elevatissimo

tasso di mortalità iniziale.

Biologist Irwin Sherman (2007) lists venereal syphilis as one of the twelwe diseases

that changed the world. This may seem surprising, given that today venereal

syphilis is a nonfatal disease that is effectively treated with penicillin. However, this

was not always the case. Early on, in the late fifteenth and early centuries, the

disease was frequently fatal, and its symptoms were much more severe. They

included genital ulcers, rashes, large tumors, severe pain, dementia, and eventual

death. Over time, as the disease evolved, its symptoms changed, becoming more

benign and less fatal.21

La sifilide non è stata sempre considerata come una malattia d'origine americana,

inizialmente, infatti, furono avvalorate ipotesi secondo le quali tale malattia potesse

considerarsi di origine europea. Queste tesi trovarono delle valide giustificazioni

nell'impossibilità, per gli studiosi del tempo, di riuscire a differenziare la sifilide

dalle altre malattie, data la verosimiglianza sintomatica di questa con molte malattie

mortali conosciute in quel periodo. Tali teorizzazioni sono state smentite da quella

che Nunn e Qian definiscono come la Columbian Hypothesis; questa tesi fa risalire

l'intero processo dell'epidemia da sifilide al ristretto gruppo di persone guidate da

Cristoforo Colombo durante il suo primo viaggio verso l'America. I soldati e marinai

spagnoli, dopo aver contratto la sifilide ad Hispaniola, tramite rapporti sessuali avuti

21 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange., op.cit., p.166.

15

Page 16: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

con le donne del posto, avrebbero trasportato il virus fin dentro il continente europeo

al loro ritorno a casa. Gli stessi, prendendo parte alla campagna militare richiamata

da Carlo VIII di Francia contro il Regno di Napoli, causarono, infine, lo scoppio

della prima epidemia nella città partenopea durante il 1494.

Infected and disbanding mercenaries then spread the sidease throughout Europe

when they returned home. Within five years of its arrival, the disease was epidemic

in Europe. Syphilis reached Hungary and Russia by 1497; Africa, the Middle East,

and India by 1498; China by 1505; Australia by 1515; and Japan by 1569

(Crosby,1969; Dennie,1962; Harrison,1959; Snodgrass,2003; Sherman,2007).22

Le novità che le riflessioni di Crosby apportano all'analisi storiografica hanno

stimolato, con il passare del tempo, diversi e particolari studi, orientati verso ogni

singolo prodotto, bene o merce che dal Nuovo Mondo sbarca nel Vecchio, al pari di

quelli che dal Vecchio mondo si spostarono, invece, nel nuovo contesto americano.

Lo scambio colombiano presentò anche delle novità positive per il Vecchio Mondo

grazie alla scoperta di una serie di colture agricole ad alto contenuto calorico, quali:

patate, patate dolci, mais, e manioca la cui diffusione fu rapidamente favorita dalla

loro natura robusta. Queste colture potevano, dunque, essere coltivate anche in

ambienti climatici avversi, dove le altre tipologie di colture prettamente europee non

erano in grado di attecchire; esse furono in grado di fornire all'Europa prodotti

alimentari nuovi che, presentando una resa di gran lunga maggiore di quelli

conosciuti prima del 1492, finirono per sconvolgere rapidamente l'intero impianto

nutrizionale europeo.

The New World crop that arguably had the largest impact on the Old World is the

potato. Becouse it provides an abudant supply of calories and nutrients, tha potato is

able to sustain life better than any other food when consumed as the sole article of

diet.23

La patata divenne in breve tempo una delle colture più importanti d'Europa,

imponendosi come alimento centrale della dieta di popoli come quello irlandese,

tedesco, polacco e portoghese. La scoperta e l'adozione di questa nuova coltura ha

significativamente aiutato anche la crescita demografica dei luoghi entro i quali si

sviluppò; quest'affermazione si deve agli studi avviati sull'argomento da parte di

22 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange., op.cit., p.166. 23 Ibidem, p.169.

16

Page 17: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

Nunn e Qian nel 2009 che, paragonando le differenze nelle statistiche relative alla

crescita demografica di particolari realtà territoriali, prima e dopo l'adozione della

patata come alimento principale, riuscirono a confermare la propria ipotesi

avvalorandola con statistiche e dati precisi:

We find that the potato had a significant positive impact on population growth,

explaining 12 percent of the increase in average population after the adoption of the

potato.24

L'introduzione delle colture provenienti dal Nuovo Mondo non si limitò al solo

continente europeo, ma si allargò ben presto anche a quello africano grazie

all'adozione in larghe quantità di colture quali il mais e la manioca. Il mais, che

presto divenne l'alimento principale di molti Paesi africani, si estese rapidamente in

Lesoto, Malawi e Zambia, provocando numerose epidemie di pellagra, una malattia

causata dalla carenza della vitamina PP, presente generalmente all'interno di cibi

freschi, come latte, verdure e cereali e del tutto assente nel mais. Un'altra coltura

rapidamente adottata su larga scala dalle popolazioni africane fu la manioca, la cui

radice assunse il nome di pane dei poveri, diventando nel giro di pochi anni un

elemento imprescindibile della dieta di svariate realtà territoriali africane. Al pari del

mais, anche per quanto riguarda una dieta composta unicamente di manioca, sono

state riscontrate delle ripercussioni sulla salute che si tradussero con la comparsa di

una nuova e pericolosa malattia chiamata konzo.

There are two channels through which the Columbian Exchange expanded the

global supply of agricultural goods. First it introduced previusly unknown species

to the Old World. […] In many istances, the New World foods had an important

effect on the evolution of local cuisines. Chili peppers gave rise to spicy curries in

India, to paprika in Hungary, and to spicy kimchee in Korea. Tomatoes significantly

altered the cuisine of Italy and other Mediterranean countries. Second, the discovery

of the Americas provides the Old World with vast quantities of relatively

unpopulated land well-suited for the cultivation of certain crops that where in high

demand in Old World markets. Crops as sugar, coffee, soybeans, oranges, and

bananas were all introduced to the New World, and the Americas quickly became

the main suppliers of these crops globally.25

24 Nathan Nunn and Nancy Qian, The Columbian Exchange., op.cit., p.170.25 Ibidem, p.167.

17

Page 18: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

La storia atlantica è anche la storia di tutti quei fenomeni che si ripeterono all'interno

del Vecchio e Nuovo mondo all'indomani del loro primo contatto; non sorprende,

dunque, come sin dal primo momento i popoli europei abbiamo sfruttato l'enorme

quantitativo di nuove terre libere che il Nuovo mondo metteva a disposizione, in

modo tale da rafforzare la propria forza economica e commerciale all'interno del

mercato Atlantico. Ciò che sorprese fu, invece, l'impressionante crescita produttiva

di alcuni prodotti come il caffè, lo zucchero, le arance e le banane che nel Vecchio

continente facevano fatica ad essere coltivati in modo soddisfacente e che, una volta

trapiantati nel Nuovo mondo, presentarono una resa esponenzialmente maggiore.

Questi prodotti, che rappresentavano la fetta maggiore della domanda interna del

mercato europeo, cambiarono in modo repentino il volto del territorio americano,

inserendo nel Nuovo mondo innumerevoli piantagioni di canna da zucchero, caffè e

tabacco fino a trasformare l'America nel primo produttore su scala mondiale dei

prodotti maggiormente scambiati all'interno del mercato Atlantico.

18

Page 19: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

1.3 Three Concept of Atlantic History: una riflessione sui diversi approcci allo studio

della storia atlantica.

What is Atlantic history and what does it have to offer those who teach the history

of the geographic region that became the United States? This issue of the OAH

Magazine of History is dedicated to a field of study with neither a single definition

nor even generally accepted chronological parameters, a field so inchoate and so

elusive that although its practitioners debate particular issues vigorously, the field as

a whole has no overarching points of historiographic contention. 26

In quest'articolo dell'OAH (Organization of American Historian) Magazine of History

vengono posti ad Alison Games, Professoressa di Storia dell'Università di

Georgetown, alcuni importanti interrogativi relativi alla nascita, crescita ed

evoluzione del campo di studi rappresentato dalla storia Atlantica. La speranza di

quest'articolo è quella di inquadrare in modo definitivo il campo di studi Atlantico, in

modo tale da tradurre l'acceso dibattito storiografico in disciplina storica. Una

disciplina che nella regione geografica formata dall'oceano Atlantico e dai quattro

continenti che lo circondano definisce dei confini naturali e che indirizza la propria

analisi storica alle società che furono influenzate dallo scoppio delle iterazioni in

seguito alla scoperta delle due Americhe.

These societies are not necessarily places along the Atlantic Ocean itself – Peru, for

example, or the western coast of North America, or the region surround ing the

Great Lakes. Places and people on the Pacific coast of the Americas were engaged

in processes originating from the Atlantic, regardless of their actual geographic

location. Africans who lived hundreds of miles from the Atlantic coast were

nonetheless ensnared in the slave trade and its varied economic, social, and political

repercussions, while diets around the world were altered by the new products of the

Americas.

Il mondo Atlantico si presenta come una coerente unità di analisi storica, ma non può

essere studiato come una regione monolitica, fissa ed uniforme, anzi, trova nel

continuo movimento di merci, persone, idee e malattie la propria ragion d'essere. La

storia Atlantica facilita l'analisi comparativa di realtà lontane tra loro grazie ad

26 Alison Games, Introdution, Definitions, and Historiography: What is Atlantic History?, in “OAH Magazine of History”, Vol. 18, No. 3, The Atlantic World, Aprile 2004, pp.3-7.

19

Page 20: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

aspetti comuni dovuti alla loro appartenenza al sistema Atlantico. Questa visione

comparativa spinge Games ad affermare quanto segue:

Not all subjects are Atlantic in scope; not all questions require answers that include

the entire Atlantic world. An Atlantic perspective should only be invoked if the

Atlantic offers a logical unit of analysis. But for those who seek answers and

explanations in this larger regional context, Atlantic history provides an approach

that requires the rejection of national histories. Atlantic history assumes that

explanations for events in one place might lie elsewhere. 27

Il superamento delle precedenti storie nazionali si pone come elemento

caratterizzante nonché presupposto fondamentale dell'approccio Atlantico. Infatti,

l'analisi atlantica nasce solo grazie all'esclusione dei confini nazionali, all'interno di

un quadro storico ove diventa difficile definire confini diversi da quelli rappresentati

dall'Oceano stesso.

Colleges and universities now advertise for positions in Atlantic history for both

introductory and advanced classes. At Georgetown University, for example, Atlantic

History (History 3) fulfills one half of the college's General Education requirement

in history. Graduate students in history at some institutions can pursue degrees in

Atlantic history. What can Atlantic history offer those who specialize in United

States or North American history? The essays and lesson plans contained here hope

to answer that question. They illustrate the explanatory power of answers to

fundamental historical questions – about migration, conquest, revolution,

consumption, cultural transfer, and the transmission of knowledge – that require an

Atlantic approach.28

La necessità di definire quali processi fanno riferimento ad un approccio atlantico,

entro quali termini esso può svilupparsi e quali sono le domande storiche

fondamentali alle quali la storia Atlantica può dare una valida risposta, è la base di

partenza di ogni percorso di studio Atlantico. Questi elementi sono il perno intorno al

quale costruire interessanti percorsi accademici, in modo tale da fornire alla storia

Atlantica il giusto ruolo all'interno delle nostre Università. Privilegiare le connessioni

ed iterazioni che nascono da processi simili all'interno del contesto Atlantico, può

stimolare interessanti approfondimenti e ricerche che rendono possibile la

27 Alison Games, Introdution, Definitions, and Historiography: What is Atlantic History?., op.cit., p.4.

28 Ivi.

20

Page 21: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

coesistenza di linguaggi diversi, quali, per esempio: lo spagnolo, il portoghese, il

francese e l' inglese, al fine di avvicinare le comuni storiografie, allargandone la

prospettiva senza mai perdere l'eterogeneità del percorso atlantico al quale si sceglie

di far riferimento.

We are all Atlanticists now – or so it would seem from the explosion of interest in

the Atlantic and the Atlantic world as a subjects of study among historians of North

and South America, the Caribbean, Africa and western Europe.29

Con queste parole, David Armitage, presenta il suo punto di vista in merito alla

nascita, crescita e definitiva affermazione di un nuovo campo di studi che:

Is even beginning to shape the study of literature, economics, and sociology on

topics as diverse as theatrical performance, the early history of globalization, and

the sociology of race.30

Il processo di legittimazione della disciplina atlantica avviato da Armitage, avvia un

vero e proprio nuovo tema storico differenziabile dai diversi campi di studi entro i

quali può esser sviluppato grazie ad alcune sue particolari peculiarità. La ben definita

geografia interna, rappresentata dai confini dell'Oceano Atlantico, porta l'autore ad

una riflessione che, ai fini del discorso, diventa una vera e propria domanda retorica:

<<Is not an ocean a natural fact?>>31. Armitage analizza la questione in maniera tale da

riconoscere nell'oceano Atlantico in sé il luogo di espansione naturale della

riflessione storica atlantica, delineandone proprio i confini. Al tempo stesso, la storia

Atlantica presenta una ragionevole cronologia che ha inizio con il primo viaggio di

Colombo nel 1492 e ha conclusione in concomitanza dell'avvento dell'era delle

rivoluzioni, tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX. E' anche possibile

identificare la storia Atlantica con la prima età moderna, precedentemente all'avvio

dell'industrializzazione, della democrazia di massa, delle Nazioni-Stato e di tutti

quegli elementi che definiscono la comparsa, a tutti gli effetti, della modernità.

La storia Atlantica, aggiunge Armitage, è un'invenzione europea dato che sono stati i

popoli europei a connettere, per la prima volta, i quattro angoli bagnati dall'oceano

Atlantico in un unico sistema commerciale, visto come il <<product of successives

29 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., in D. Armitage, M.J. Braddick (a cura di),

The British Atlantic World, 1500-1800., Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2002, p.14.

30 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.11.31 Ibidem, p.12.

21

Page 22: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

waves of navigations, explorations, settlment, admnistration and imagination>>. 32

E. P. Thompson once remarked that whenever he saw a new god he felt the urge to

blaspheme. Many have felt the same way about Atlantic History and its recent rise

to prominence. […] If blasphemy is one response to the rise of Atlantic History, it is

unlikely to provide good answers to these important questions. More profitably

approaches can be found in genealogy – in the history of Atlantic history – and in

anatomy – in the forms Atlantic history has taken and might yet take.33

Armitage propone, dunque, un duplice accostamento all'analisi della storia Atlantica

dettato, in primo luogo, dalla necessità di un'analisi genealogica, in modo tale da

riuscire a schematizzare il contesto entro il quale il dibattito storiografico atlantico

nasce e si sviluppa. In secondo luogo, provando a definire l'anatomia della materia

stessa, stimolando pertanto una riflessione sulle forme assunte finora dall'analisi

atlantica e quali esse potranno assumere in futuro. Una prima genealogia della Storia

Atlantica è stata tracciata da Bernard Bailyn nel testo Storia dell'Atlantico, del quale

abbiamo già largamente trattato nei paragrafi introduttivi di questo lavoro, e che vede

nelle correnti interventiste americane il punto di origine della riflessione atlantica. Le

parole di Lippmann e Davis vengono utilizzate con l'intento di radunare ogni

possibile alleato ideologico nei confronti della causa interventista e culminano nelle

affermazioni dei due giornalisti americani secondo cui è reale l'esistenza, perlomeno

dall'Illuminismo in poi, di una comune civilizzazione del mondo atlantico,

riassumibile in quell'insieme di valori comuni al mondo europeo ed americano quali:

il pluralismo, la democrazia ed i valori liberali. Questi valori verranno poi riproposti

dallo storico Carlton J. H. Hayes, che, nel suo personale messaggio rivolto

all'Associazione degli storici Americani del 1945, provò a rispondere alla domanda:

<<The American frontier – frontier of what?>>. La risposta che egli diede fu ritenere

tale frontiera espressione della continuità della tradizione Greco–Romana e della

cultura Judeo–Cristiana, definendo, in tal modo, l'Atlantico come quell'oceano che la

civilizzazione occidentale ha inglobato. Questa versione della storia Atlantica,

accenna Armitage: <<Owned more to NATO than it did to Plato>>34. La visione di

32 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.13.

33 Ibidem, p.14.

34 Ivi.

22

Page 23: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

Hayes e la spinta della civilizzazione Occidentale deve molto di più alla storia del

Nord Atlantico che non alla storia del Sud Atlantico; una storia relativamente

anglofona che ha ben poco a che vedere con il complesso insieme di iterazioni che

legano l'America alla cultura latina ed al continente africano. Infatti, la rivoluzione di

Santo Domingo, la prima rivolta di un popolo nero nei confronti dello schiavismo,

che rappresenta il momento culminante di una serie di eventi che furono in grado di

plasmare la realtà atlantica dal 1776 in avanti, non appartenendo a tale tradizione,

non appare all'interno del testo di Palmer The age of Democratic Revolutions. Eppure

autori come W. E. B. Du Bois, C. L. R. James ed Eric Williams, racconta Armitage,

che hanno attuato ricerche entro campi di studi lontani dall'Atlantico bianco e

anglofono di Bailyn, perseguivano, al pari dell'autore inglese, delle ricerche

legittimamente Atlantiche da qualsivoglia punto di vista.

Il breve contributo di Armitage al testo The British Atlantic World, 1500–1800 si

riassume con la proposta di tre diverse storie atlantiche grazie alle quali diventa

possibile indagare specificatamente la storia dell'Atlantico ed esse sono

rispettivamente:

a) Circum–Atlantic History, the transnational history of the Atlantic World;

b) Trans–Atlantic History, the international history of the Atlantic World;

c) Cis–Atlantic History, national or regional history within an Atlantic context. 35

a) La Circum-Atlantic history viene presentata da Armitage come una storia in

continuo movimento, che traccia le connessioni sviluppate dal mondo Atlantico e che

incorpora qualsiasi cosa si muova entro i suoi confini.

Circum Atlantic History: is the history of the Atlantic as a particoular zone of

exchange and interchange, circulation and trasmission. It is therefore the history of

the ocean as an arena distinct from any of the particular, norrower, oceanic zone that

comprise it. It is the history of the people who crossed the Atlantic, who lived on its

shores and who partecipated in the communities it made possible.36

Essa si presenta come la storia di una particolare zona, dei prodotti che si muovono

entro i suoi confini e delle persone che la abitarono; dunque, possiamo tracciare nei

35 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.15.

36 Ibidem, p.16.

23

Page 24: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

suoi confronti una cronologia che inizia, convenzionalmente, nel periodo che viene

associato alla rinascita degli Stati, nei primi anni del XVI secolo e che trova la sua

naturale conclusione in relazione alla nascita degli Stati-Nazione avvenuta nel XIX

secolo. Armitage, inoltre, afferma che questa particolare branca della storia Atlantica

è stata indagata meno di altre, citando ad una sola opera in grado di raccontare

l'Atlantico entro tale prospettiva: Cities of the dead: Circum–Atlantic performance

del 1996, lavoro dello storico Joseph Roach che scrive:

The Circum-Atlantic world as it emerged from the revolutionized economies of the

late seventeeth century resembled a vortex in wich commodities and cultural

practices changed hands many times. Accordingly, the concept of a circum-Atlantic

world (as opposed to a translatlantic one) insists on the centrality of the diasporic

and genocidal histories of Africa and the Americas, North and South, in the creation

of the culture of modernity. 37

L'insieme degli scambi commerciali e culturali, che da un angolo all'altro

dell'Atlantico contribuirono alle trasformazioni di quegli anni, è la base su cui poggia

l'approccio storico diretto verso la Circum-Atlantic history. Essa, scrive Games:

<<takes the Atlantic experience as a whole>>38, ed abbraccia tutto il mercato

commerciale Atlantico, dato dallo scambio di prodotti d'ogni sorta e dai primi flussi

di capitali ed investimenti, evidenti lasciti dell'eredità del white Atlantic inglese che

testimoniano la continuità storica dell'idea britannica di mondo liberale. L'estrema

mobilità e fluidità del mercato permise all'Atlantico d'essere attraversato da milioni

di persone, ognuna con una propria storia da raccontare, un contesto di origine e

delle precise eredità culturali, riassumibili nei diversi studi dei processi di migrazione

del tempo. Dunque, non solo il semplice studio di singoli soggetti, ma l'analisi di

diverse comunità, etnie ed anche di particolari idee e culture che variano dalla

diaspora degli schiavi africani propria del black Atlantic, al red atlantic rappresentato

dall'espansione dalle teorizzazioni Marxiane arrivate e consolidarsi nel Nuovo

continente. Da qui fino ad arrivare al green atlantic dei migranti irlandesi che

ricercarono nel Nuovo mondo quella libertà che non riuscirono a conquistare in

Europa. La Circum-Atlantic history, scrive Armitage, è tutto questo, essa è storia

37 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.15.38 Alison Games, Introdution, Definitions, and Historiography: What is Atlantic History?., op.cit.,

p.4.

24

Page 25: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

transnazionale e non internazionale, poiché non tiene conto dei rapporti che legavano

Nazioni, Stati ed Imperi. Armitage si sofferma sul complesso sistema di scambi che

proliferò eludendo i vincoli dei confini nazionali e che rappresentò in breve l'intero

sistema circolatorio di merci, beni, persone, culture ed idee che si generò all'interno

del sistema atlantico, all'alba della prima età moderna.

b) La Trans-Atlantic history, invece, viene descritta da Armitage come:

Is the history of the Atlantic world told through comparison. Circum-Atlantic

history makes Trans-Atlantic history possible. […] trans-atlantic history

concentrates on the shores of the ocean, and assume the existence of nation and

states, as well as societies and economic formations (like plantations or city),

around the Atlantic rim.39

Essa permette agli storici di confrontare, a volte persino in modo del tutto arbitrario,

la storia delle grandi strutture che composero il mondo Atlantico. La Trans-Atlantic

history può anche essere definita come la storia internazionale dell'Atlantico, in

quanto, presupponendo l'esistenza di entità nazionali, statali ed imperiali, ne compara

particolari caratteristiche, quali ad esempio: la struttura sociale ed economica in una

prospettiva atlantica comune. Armitage avvalora il legame esistente tra le parole

international e trans-atlantic ricordando come ambedue furono frutto del percorso

indipendentista americano nonché delle ripercussioni che quest'ultimo introdusse nel

dibattito politico inglese alla fine del XVIII secolo. Il termine Trans-Atlantic venne

utilizzato per la prima volta da Richard Watson e Charles Henry Arnold in

concomitanza allo scoppio della guerra contro le colonie d'oltreoceano. Ambedue

davano al termine un significato differente da quello che comunemente adesso viene

dato, infatti costoro lo utilizzarono per descrivere la comunità britannica

d'oltreoceano: <<like Britons trans-atlantic Brethren in North America>>40, oppure in

riferimento alla natura della guerra con le colonie Americane: <<Present trans-atlantic

war being fought in, as well as for, British America>>.41 Armitage aggiunge che solo

John Wilkes utilizzerà il termine con una accezione moderna descrivendolo come un

semplice viaggio transatlantico. Il termine international emerge nello stesso periodo

39 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.18.40 Ibidem, p.19.41 Ivi.

25

Page 26: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

e contesto grazie al lavoro di Jeremy Bentham Introdution to the Principles of

Morals and Legislation (1780/89):

The word international is a new one, wrote Bentham – and it is calculated to

express, in a more significant way, the branch of law which goes commonly under

the name of the law of nations.42

Non fu solo l'origine comune all'interno del contesto politico venutosi a creare con la

guerra di Indipendenza americana ad avvicinare la Trans-Atlantic history alla storia

internazionale, ma questo è avvenuto soprattutto grazie alla loro simile natura e

funzione storica. Infatti, se la storia internazionale è la storia delle relazioni tra

Nazioni e Stati all'interno di un grande sistema politico ed economico, la Trans-

Atlantic history si presenta come la storia dei rapporti che legano entità regionali,

nazionali e statali all'interno della più grande prospettiva dettata dal sistema

atlantico.

Trans-Atlantic history is especially suited to the seventeenth and the eighteenth

centuries histories of the Atlantic World, when state-formation went hand-in-hand

with empire-building to create a convergent process we might call empire-state-

building. 43

Questo approccio comparativo diventa particolarmente utile specie nei confronti di

quegli Stati o Nazioni che hanno sviluppato, nel corso del tempo, una storiografia

nazionalistica, concentrata unicamente verso se stessa ed incapace di volgere lo

sguardo al di fuori dei propri confini, come nel caso della Gran Bretagna e dell'

exceptionalism americano. Nei confronti di queste realtà, l'approccio della Trans-

Atlantic history risulta quello più adatto poiché in grado di comparare tali particolari

storie all'interno di una rete d'influenza atlantica, rendendo possibile ricercare e

trovare alcune caratteristiche comuni che, fino a quel momento, erano state

volutamente accantonate. Armitage, prendendo in considerazione gli esempi dati dal

Regno Unito e dagli Stati Uniti d'America, scrive di come alla base della nascita di

ambedue queste realtà vi sia un passato comune che ne ha condizionato radicalmente

il percorso storico:

Each remains defined by its eighteenth-century origins, and those definitions can be

traced back to their trans-Atlantic relations: the American, in part due to the long-

42 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.19.43 Ibidem, p.20.

26

Page 27: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

standing links with Britain and the effort to assert independence of Britain; the

British, in part due to the impact of defeat in the American war and the re-creation

of the nation in its aftermath. To the two political products of the war we might also

add British Nord America, later Canada, to make three states forged in the last

quarter of the eighteenth century, joined in a common trans-Atlantic history.44

L'analisi comparativa mette in luce quali furono gli elementi atlantici che

maggiormente influenzarono il percorso storico delle realtà nazionali, statali ed

imperiali nel periodo che va dalla fine del XV secolo all'inizio del XIX. Queste

similitudini, capaci di plasmare all'unisono realtà territoriali distanti tra loro,

rappresentano la base di un'ulteriore storia atlantica presentata dallo storico di

Harvard ed orientata direttamente alla forma, struttura ed evoluzione delle varie

realtà regionali e politiche, all'interno del contesto Atlantico.

c) La Cis-Atlantic history, infine:

Studies particular place as unique locations within an Atlantic World and seek to

define that uniqueness as the result of the iteraction between local particularity and

a wider web of connections (and comparisons). […] In more expansive sense

proposed here, is the history of any particoular place – a nation, a state, a region,

even a specific institution – in relation to the wider Atlantic World. 45

Anche il termine Cis si presenta come uno dei risultati del dibattito politico

internazionale del XVIII secolo e deve la propria nascita a Jefferson ed alle sue

Notes on the State of Virginia del 1785. L'autore della Dichiarazione d'Indipendenza

americana, nel tentativo di rispondere ad alcuni naturalisti europei in merito ad una

discussione sulla fauna del Nuovo continente, utilizzerà il termine per differenziare la

propria realtà geografica all'interno del sistema trans-Atlantico, associando il termine

Cis alla frase: <<On this side of the Atlantic>>46. Uno dei lavori di riferimento per la

Cis-Atlantic history è rappresentato dagli otto tomi scritti dai coniugi Chaunu ed

intitolati Seville et l'Atlantique del 1955-59. Quest'opera nasce con l'intento di

definire l'influenza del mondo Atlantico sulla città di Siviglia, mantenendo vivo il

legame della città con la realtà atlantica e sviluppandolo in modo tale da focalizzare

44 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.21.45 Ibidem, p.2646 Ivi.

27

Page 28: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

lo sguardo sulle trasformazioni subite dalla città e non più utilizzando l'oceano come

soggetto d'analisi. Questo tipo di approccio diventa particolarmente utile soprattutto

nei confronti di quelle realtà che subirono maggiori trasformazioni a causa

dell'influenza atlantica, come per esempio: le tante città portuali e coloniali che al

mondo Atlantico debbono la loro stessa origine, le isole e gli arcipelaghi che

delineavano le rotte commerciali del tempo, fino ad arrivare alle entità nazionali,

statali ed imperiali che bilanciavano gli equilibri politici ed economici del mondo

Atlantico.

Circum-Atlantic history would seems to extend no further than the oceans shores;

as soon as we leave the circolatory system of the Atlantic itself, we enter a series of

Cis-Atlantic histories. Trans-Atlantic history combine such Cis-Atlantic histories

into units of comparison; the possibilities of comparison are various, but not

infinite, becouse adjacency to the Atlantic determines the possibility of

comparison.47

Questo è il quadro di riferimento entro il quale Armitage muove la propria analisi,

provando, almeno in parte, a rispondere alla questione posta da Fernard Braudel

quando, riflettendo sull'inarrestabile propulsione all'espansione che il concetto di una

storia del Mar Mediterraneo mostrava, si chiese: <<But how far in space are we

justified in extending it?>>.48 Armitage prova ad estendere tale questione all'oceano

Atlantico, delineando tre diverse storie atlantiche, ognuna in grado di avviare un

approccio storico specifico sì da indagare non il semplice oceano, ma l'intero Nuovo

Mondo in trasformazione che proprio l'Oceano Atlantico rappresenta.

47 David Armitage, Three Concepts of Atlantic History., op.cit., p.27.48 Ivi.

28

Page 29: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

La Dichiarazione d'Indipendenza americana

2.1 Una risoluzione per le tredici Colonie americane

Il 7 Giugno 1776, Richard Henry Lee, su indicazione del Governo della Virginia e

con l'appoggio di John Adams, delegato del Massachusetts, presenta al secondo

Congresso continentale americano, riunitosi a Filadelfia, una risoluzione che dice

quanto segue:

That these United Colonies are, and of right ought to be, free and independent

States, that they are absolved from all allegiance to the British Crown, and that all

political connection between them and the State of Great Britain is, and ought to be,

totally dissolved.49

Queste parole, approvate poi dal Congresso Continentale il 2 Luglio, portano alla

conclusione del dibattito sull'indipendenza Americana dichiarando: <<That these

United Colonies are, and of right ought to be, free and independent States>>.50 Il

Congresso e le Colonie tutte, si posero definitivamente a favore della ormai

inevitabile separazione dalla Corona inglese, in nome della creazione di una nuova

realtà politica ed economica, che si presentava al mondo europeo come una

federazione di Stati. Il Congresso, l'11 Giugno 1776, convocò tre commissioni: la

prima incaricata della costruzione di un moderno e completo teatro di alleanze

commerciali e militari, la seconda atta ad equilibrare all'interno di un sistema

federalistico il complesso intreccio dei poteri politici degli emergenti 13 Stati <<free

and independent>> ed una terza alla quale fu affidato il compito di redigere un

documento capace di esplicitare le ragioni delle tredici colonie, una Dichiarazione

d'Indipendenza. Poiché il nostro sguardo è rivolto alla Dichiarazione d'Indipendenza,

focalizzeremo l'interesse nei confronti della terza commissione istituita dal

Congresso continentale. La citata commissione, composta da cinque commissari:

John Adams, Benjamin Franklin, Robert R. Livingston, Roger Sherman e Thomas

Jefferson, dopo una prima riunione in cui furono discusse le linee generali del

49 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., Marsilio editori, Venezia, 1999, p.2.50 Ibidem, p.3.

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Page 30: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

documento, decise di delegare il più giovane dei cinque, Thomas Jefferson, di cui si

apprezzavano le abilità di scrittore politico, alla redazione della prima bozza del testo

d'indipendenza. Jefferson, a soli 33 anni, si apprestava alla creazione di un vero e

proprio capolavoro, pietra miliare della letteratura politica mondiale, in quanto, come

scrive Tiziano Bonazzi:

Oltre a costituire il fondamento giuridico e ideale della nazione americana, esso è,

con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, uno dei testi

fondanti della modernità politica almeno per l'Occidente euroamericano.51

Il documento, che vide la luce in una camera presa in affitto di una casa del South

West Corner alla Seventh and Market Street di Filadelfia, di notte e probabilmente di

domenica, quando il Congresso e le sue commissioni non erano in sessione, fu

approvato dalla Commissione dopo alcune correzioni, soprattutto da parte di John

Adams, e presentato il 28 Giugno al Congresso che, preso da questioni più urgenti, si

apprestava, infatti, a difendere New York dall'attacco imminente di una possente

parte della flotta inglese, fu costretto a ritardarne l'esame. Nei giorni successivi, il

Congresso esaminò il testo di Jefferson e, dopo aver apportato una serie di tagli che

non ne distorcevano irrimediabilmente l'impostazione, la struttura ed il contenuto, lo

approvò il 4 Luglio. Secondo Armitage: <<The Document inaugurated a genre of

political writing that has persisted to the present day. By genre I mean a distinct but

repeatable structure of argument and literary form>>.52 La struttura e la forma del

documento risultano, quindi, essere le ragioni del successo del testo jeffersoniano in

quanto modello per le future Dichiarazioni d'Indipendenza nel mondo; Armitage,

ancora, aggiunge:<<It combined elements of what would become three

distringuishable genres: a declaration of independence, a declaration of rights, and a

manifesto>>.53 Grazie a quest'ultima riflessione si riesce finalmente a scorgere la

triplice natura del documento, all'interno del quale sono distinguibili ben cinque parti

narrative.

La premessa iniziale, al pari della parte conclusiva del testo, pone le basi della

Dichiarazione d'Indipendenza, infatti, sia nell'esordio in cui: <<One People>> capace,

51 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.1.52 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., Harvard University Press, Cambridge, 2007, p.13.53 Ibidem, p.14.

30

Page 31: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

finalmente, d'acquisire la reale consapevolezza di sé stesso, si vede inevitabilmente

costretto a <<dissolve the political bands which have connected them with another>>,

e che <<a decent respect to the opinions of mankind>> lo costringe ora <<to declare the

causes which impel them to the separation>>, sì da <<assume among the powers of the

earth, the separate and equal station to which the Law of Nations and of Nature's God

entitle them>>54; sia nell'ultima e conclusiva parte, dove vengono riprese le parole

della risoluzione di Henry Lee del 7 Giugno: <<That these United Colonies are, and

of right ought to be, free and independent States>>,55 viene espressa ed affermata

l'indipendenza delle tredici colonie unite. L'obiettivo di Jefferson, in questa parte del

documento, è affermare: <<The entrance of a new actor (“one People”) or actors

(thirteen “free and independent states”) onto the world stage>>.56 Questo nuovo attore

politico si dichiara, pertanto, libero ed indipendente al pari dei preesistenti Stati

europei, così da acquisire subito poteri quali: <<[...] Have full Power to levy War,

conclude Peace, contract Alliances, establish Commerce, and to do all ther Acts and

Things which Independet States may of right to do>>.57 Ed è in queste parole che si

cela l'obiettivo ultimo della Dichiarazione d'Indipendenza americana, ben riassunto

dalle parole del Prof. Armitage quando scrive: <<That they had left the transnational

community of the British Empire to join instead an international community of

independent sovereign states>>.58

Il cosmo che Jefferson, appassionato suonatore di violino e studioso di retorica,

istituisce con la Dichiarazione, non è però solo performance oratoria e musicale; ha

anche un'altra dimensione, collegabile questa volta all'amore per la geometria e per

l'architettura classica che spinse Jefferson a farsi architetto nella sua tenuta di

Monticello e poi all'Università della Virginia.59

L'impostazione ed il punto di vista del Bonazzi risultano avvincenti nell'indagine

delle sovrastrutture del testo, soprattutto grazie al confronto con la soggettività

dell'autore stesso. Il secondo e notissimo paragrafo, dove sono espresse le Self-

evident truths, frutto della riflessione filosofico-politica europea, della retorica dei

54 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., ?.55 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.2.56 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.28.57 Ivi.58 Ibidem, p.30. 59 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.22.

31

Page 32: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

sentimenti e della filosofia del senso comune, viene presentato come performance

musicale. Una melodia questa ritmata e scandita affinché quei principi riescano a

toccare l'animo di ogni lettore, al pari di ciò che potrebbe provocare la melodia di un

violino. Al contrario ed in netta contrapposizione con la parte filosofica e melodica,

si ritiene essere il terzo e più distensivo paragrafo del testo; qui il Jefferson musicista

cede il posto all'uomo di legge, formatosi al William and Mary College di

Williamsburg, in Virginia. Due dimensioni proprie dell'autore e del testo stesso, in

cui la filosofia dei diritti inalienabili dell'uomo e del popolo cede spazio alla logica

della ragione giuridica, espressa dall'elenco degli innumerevoli torti commessi dal re

tiranno Giorgio III nei confronti dei propri sudditi d'oltreoceano. L'elenco delle

accuse al re, costruito secondo un preciso crescendo, riporta un insieme di

imputazioni, torti ed offese che, dalla seconda metà del XVIII secolo, accompagnano

la disputa tra i coloni americani e Giorgio III. Il terzo paragrafo della Dichiarazione

si presenta come il più ampio, in esso Jefferson schematicamente, seguendo un

continuo climax ascendente, presenta quella che va considerata come <<The patient

sufferance of these Colonies>>60. L'elenco proposto da Jefferson non risparmia alcun

dettaglio sulle azioni del re d'Inghilterra: la cattura delle navi mercantili americane,

paradossale testimonianza dell'atto di pirateria commesso dal re stesso nei confronti

dei suoi sudditi, l'arruolamento forzato di coloni americani nelle fila della marina

inglese e la costrizione di questi a combattere contro i propri fratelli e genitori;

ancora l'incendio di città e porti americani, le restrizioni alla libertà del popolo

americano, sia in campo politico che in campo economico, dovute allo Stamp Act del

1765 ed al Declaratory Act del 1766 e sfociati nel grido del no taxation without

representation. L'attacco di Jefferson è totale e non risparmia nessuno degli antichi

legami con la corona inglese; il percorso seguito dal delegato della Virginia è teso a

testimoniare to a candid world che le azioni del re separano le colonie dalla madre

patria e che l'operato del tiranno le costringe alla definitiva separazione.

L'insieme delle accuse muove in modo creativamente ambiguo tra l'idea che gli atti

del re distruggono la comunità dei sudditi britannici sulle due sponde dell'Atlantico

e quella che a essere distrutto è il popolo americano distinto da quello inglese, e

ottiene il risultato di far comprendere a livello di affetti il peso di un despota che,

60 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.28.

32

Page 33: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

egli, spezza i legami fra inglesi e americani e, egli ancora, distrugge la comunità

americana.61

E' il re stesso a spezzare i legami tra le due coste dell'Atlantico ed a legittimare la

risposta delle colonie che, dinanzi a colui che tenta di distruggere la loro comunità ed

in nome della propria sopravvivenza, possono pensare l'impossibile e dichiarare la

propria Indipendenza. Ecco spiegata l'importanza di tale riflessione strumentale ad

<<Un'indipendenza che per essere tale deve prima essere un regicidio, almeno

simbolico>>62. Se la parte conclusiva della Dichiarazione delinea un discorso teso a

mostrare che <<Un tale tiranno è “indegno di governare un popolo libero”>>63, il

secondo famoso paragrafo affonda, invece, le proprie ragioni nell'epistemologia e

nella psicologia sensista del Settecento britannico, in chiara continuità con la

riflessione politica e filosofica inglese alla fine del XVIII secolo.

Il linguaggio naturale della Dichiarazione affonda le sue ragioni teoriche nella

filosofia del senso comune scozzese, ben nota in America e di cui Jefferson era

seguace ed è qui, nella torsione che filosofi come Lord Kames avevano dato

all'epistemologia di Locke, che secondo studi recenti dobbiamo ricercare il

significato del primo paragrafo della Dichiarazione e in particolare di quelle “verità

di per sé evidenti” che ne costituiscono il nucleo portante.64

Queste self-evident truths, che fanno da pilastro del discorso filosofico jeffersoniano,

possono raggiungere ogni singolo individuo grazie a quello che Jefferson chiama an

internal-sense, insito in ognuno di noi e che consente a ciascuno di percepire se

stesso quale Io, esistente. Infine è l'auto preservazione dell'essere umano, grazie alla

difesa dei diritti naturali individuali, che rende possibile allo scrittore americano

modificare persino il famoso detto cartesiano in: <<I feel, therefore I exist>>65. Un

discorso, questo, che tende ad un radicale cambiamento dei fondamenti filosofici del

giusnaturalismo, sia nell'abbandono della fede cristiana di Locke in nome di un Dio

della Natura, ripreso da Jefferson dalla teologia naturale di Bolingbroke, che nel

nuovo ed importante ruolo dato alla figura dell'individuo. L'individualità diventa

l'elemento fondante e strutturale del discorso filosofico di Jefferson dato che in esso

61 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.27.62 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.27.63 Ibidem, p.28.64 Ibidem, p.19.65 Ibidem, p.20.

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Page 34: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

si intrecciano il sensismo, i diritti naturali ed il sentimento di uguaglianza. Un intero

cosmo di emozioni che necessariamente deve originarsi per combattere un'altra e

ben più radicata forma di naturalità, quella che Locke identifica con Filmer e con il

diritto divino del re. I singoli, secondo Filmer, sono membri di strutture

sociopolitiche gerarchiche, immutabili e immodificabili perché naturali, mentre nella

Dichiarazione d'Indipendenza americana l'individuo diventa una costruzione teorica

che mira a distruggere ogni presupposto ontologico di natura gerarchica, sostituendo

questa stasi perenne con l'idea che il governo debba essere legittimato dalla libera e

uguale volontà dei singoli. Il lockianesimo della Dichiarazione è pertanto un discorso

politico antiautoritario ed antitradizionalista, che pone la volontà e la responsabilità

morale degli individui al centro della costruzione di governi legittimi e che

corrisponde al quadro di riferimento che Locke aveva assegnato al pensiero politico

inglese. Un discorso filosofico-politico che trae linfa vitale da più di due secoli di

libri, testi e documenti, tutti indirizzati verso il desiderio di acquisire una

consapevolezza collettiva tale da rendere il popolo sovrano di se stesso.

We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are

endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are

Life, Liberty and the pursuit of Happiness.66

Infine, è nell'esposizione di questi inalienabili diritti propri dell'essere umano che è

possibile rinvenire le tracce della Dichiarazione dei diritti dell'uomo nel testo di

Jefferson. La natura filosofica del testo che parla al mondo plasmando il concetto di

sovranità popolare che, da mero principio teorico si fa fatto concreto grazie

all'esempio dato dalla ribellione americana, rende il testo della Dichiarazione

d'Indipendenza un pilastro della modernità politica euro-americana, al pari della

Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789.

Di recente Jay Fliegelman, partendo dall'esame di una serie di segni apparentemente

senza senso che appaiono nel manoscritto di Jefferson […], ha dimostrato che si

tratta di pause destinate a ritmare la lettura, perché Jefferson aveva composto un

testo destinato ad essere letto pubblicamente, e che infatti venne letto […]. La

Dichiarazione, lungi dall'essere semplicemente un documento scritto, è pertanto una

performance […].67

66 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.2. 67 Ibidem, p.4.

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Page 35: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

Rivisitando lo studio di Fliegelman, Bonazzi ha spiegato come il documento di

Jefferson, prima ancora d'esser considerato un atto giuridico, vada inteso come un

atto rituale. Infatti, è nell'esame di quelle <<pause destinate a ritmare la lettura>>68 e,

ancor prima, nel desiderio di Jefferson che il suo testo venisse letto alle masse che,

nel concludere questa nostra analisi della struttura dell'opera, rileviamo l'ultima e

peculiare natura della Dichiarazione: il suo esser un manifesto rivolto all'umanità

intera.

May it be to the world, what I believe it will be, (to some parts sooner, to other later,

but finally to all) the signal of arousing men to burst the chains, under which

monkish ignorance and superstition had persuaded them to bind themselves, and to

assume the blessing and security of self government. 69

Queste parole, riprese dall'ultima lettera pubblica scritta da Jefferson nel 1826, anno

della sua morte, mostrano come nell'animo dell'autore fosse presente, sin dal primo

momento, il desiderio che quest'opera fosse intesa dal mondo intero come: <<An

instrument, pregnant with our own and the fate of the world>>70, e non più la

Dichiarazione d'Indipendenza di un singolo Paese: gli Stati Uniti d'America. In tal

modo la Dichiarazione è divenuta un deterrente politico a disposizione del mondo

civile e di ogni singolo uomo capace di comprenderne il messaggio.

68 Tiziano Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America., op.cit., p.5.69 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.3. 70 Ivi.

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Page 36: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

2.3 Precedenti storici della Dichiarazione d'Indipendenza Americana.

Il percorso che portò alla Dichiarazione d'Indipendenza americana fu costellato da

pamphlet, denunce, proteste e dichiarazioni d'ogni sorta. Già nel 1774, il Primo

Congresso continentale, riunitosi per rispondere alle gravi misure coercitive imposte

dal Parlamento inglese nei confronti della città di Boston in seguito al Boston Tea

Party del Dicembre 1773, aveva approvato una dichiarazione dove venivano elencati

e ribaditi i diritti di cui gli abitanti delle colonie del Nord America godevano. Questi

diritti espressi: <<In virtue of the law of nature, of the Principles of the English

Constitution and the various papers and agreements>>71, erano propri di un

documento ancora appartenente alla tradizione politico-giuridica inglese; una sorta di

leale indirizzo a sua maestà il re d'Inghilterra. Sulla scia della Dichiarazione del

1774, il 6 Luglio 1775 il secondo Congresso continentale approvò, in seguito allo

scoppio delle ostilità fra i regolari inglesi e le milizie americane del Massachusetts

intorno Boston, un'altra e più significativa dichiarazione: The declaration of the

causes and necessity of taking up arms. Il testo, lungo e solenne, di cui Jefferson,

coadiuvato dal delegato della Pennsylvania John Dickinson, fu tra i principali

scrittori, era teso a giustificare l'atto di ribellione armata nei confronti della Corona

inglese. Una ribellione resa inevitabile dagli avvenimenti dell'Aprile 1775, quando il

generale inglese Cage, avuta notizia della presenza dei miliziani del Massachusetts

nella città di Concord, situata a 32 chilometri da Boston, vi spedì un consistente

nucleo della propria guarnigione con l'obiettivo di bloccare i rifornimenti militari dei

rivoltosi e con l'ordine di arrestare ed estradare in Inghilterra due personalità di

spicco della rivolta del Massachusetts: John Hancock e Samuel Adams. Durante la

marcia verso Concord, Cage fu fermato nei pressi del villaggio di Lexington da una

cinquantina di coloni armati; forte delle Leggi Coercitive promulgate da Giorgio III,

non esitò ad aprire il fuoco, lasciandosi così alle spalle ben otto cadaveri. I fatti di

Lexington e Concord in poco tempo raggiunsero ogni angolo del continente

americano e dal Maine alla Georgia accesero gli animi patriottici dei coloni; la

71 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.5.

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Page 37: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

guerra, quella vera, era alle porte e non poteva più essere evitata. Il 10 Maggio del

1775 a Philadelphia, sotto la presidenza di John Hancock, i delegati delle tredici

colonie riuniti nel secondo Congresso continentale, furono, quindi, costretti ad

affrontare questa complicata situazione e lo fecero tramite le parole della

Dichiarazione sulle Necessità e Cause di prendere le armi:

Our cause is just. Our union is perfect. Our internal resources are great, and, if

necessary, foreign assistance is undoubtedly attainable. […] With hearts fortified

with these animating reflections, we most solemnly, before God and the world,

declare, that, exerting the utmost energy of those powers, which our beneficent

Creator hath graciously bestowed upon us, the arms we have been compelled by our

enemies to assume, we will, in defiance of every hazard, with unabating firmness

and perseverence, employ for the preservation of our liberties; being with one mind

resolved to die freemen rather than to live slaves.72

Alla dichiarazione del 1775 seguì la nascita di una milizia armata che operasse al

servizio del Congresso continentale e la nomina del colonnello George Washington a

comandante in capo di tale forza armata. Spiegate le necessità e le cause della

ribellione, forti di un esercito continentale, di un capo militare e di un organo

rappresentativo e decisionale incarnato dal Congresso, le tredici colonie unite erano

finalmente pronte ad affrontare una guerra contro la madrepatria. Cronologicamente

è innegabile che sia la Dichiarazione del 1774 quanto quella del 1775 rappresentino

due diversi momenti del percorso indipendentista americano; esse raccontano la

positiva evoluzione delle ragioni e dei contenuti espressi dalla ribellione americana e

di come questi ultimi abbiano ispirato a legittimare il concetto di sovranità popolare e

ad aver convinto il popolo delle tredici colonie della necessità dell'indipendenza. Gli

studi volti a giustificare le libertà di un popolo ed il suo diritto a difendersi dalle

ingerenze di sovrani autoritari, non si avviarono grazie all'esempio americano ma

trovano radici ben più profonde ed antiche tanto quanto quelle della storia filosofica

e politica europea. Basti pensare ai paragoni proposti tra la Dichiarazione

d'Indipendenza americana e due precedenti esempi di dichiarazioni europee,

battezzati, infatti, come delle precoci Dichiarazioni d'Indipendenza: la Declaration of

72 Lillian Goldman Law Library, A Declaration by the Representatives of the United Colonies of North-America, Now Met in Congress at Philadelphia, Setting Forth the Causes and Necessity of Their Taking Up Arms, Yale Law School.

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Page 38: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

Arbroath del 1320 ed il Dutch Abjuration Act del 1581. La Dichiarazione di

Arbroath, o Dichiarazione d'Indipendenza scozzese, del 1320 era indirizzata, dai

nobili e baroni di Scozia, a Papa Giovanni XXII al fine di sfruttare l'influenza del

monarca cristiano in modo da promuovere negoziati di pace tra il re di Scozia,

Robert Bruce ed il re d'Inghilterra, Edoardo II. Il testo di Arbroath poggiava la libertà

del popolo scozzese sulla continuità storica dell'identità scozzese e ne legittimava la

matrice filosofico-politica attingendo alla concezione di libertà espressa dallo storico

romano Sallustio. Indubbiamente si tratta di un documento ben lontano dalla

Dichiarazione d'Indipendenza di uno stato sovrano, piuttosto sembra avvicinarsi ad

una supplica, dove il popolo scozzese, spinto all'ultimo estremo tentativo di

resistenza, si vede costretto a legittimare se stesso, esplicitando le ragioni della

propria esistenza in nome della propria sopravvivenza. E' il riferimento a Sallustio,

così come quello di Jefferson nei confronti di Locke, Vattel e Kames, che ci induce

ad individuare delle similitudini con l'esempio americano, quasi a legittimare, per la

prima volta, il diritto di un popolo alla propria autodeterminazione. L'Atto di Abiura

Olandese del 1581 rappresenta il culmine della rivolta olandese nei confronti del re

di Spagna Filippo II. Le Diciassette Province dei Paesi Bassi passate alla Casa

d'Asburgo nel 1482 furono poi unificate dalla figura di Carlo V che, con la

Prammatica Sanzione del 1549, stabilì che le province dovevano rimanere unite ed

essere, quindi, ereditate da un unico sovrano. Con l'abdicazione di Carlo V, avvenuta

nel 1555 in favore del figlio Filippo II di Spagna, una parte delle Province si rivoltò

nei confronti del potere vigente ponendo in tal modo le basi di un conflitto che durò

dal 1568 al 1648, quando la Pace di Vestfalia sancì l'indipendenza delle Province

Unite. Guglielmo d'Orange, leader della Rivolta Olandese, convinse le Province

Unite a rigettare la sudditanza al re di Spagna Filippo II e a sostituirla con <<Another

powerful and merciful prince to protect and defend these provinces>>73; siamo,

quindi, dinanzi ad una richiesta di diversa dipendenza, una dipendenza che nel caso

specifico delle Provincie Unite si legava alla figura di Francesco Ercole di Valois,

Duca d'Angiò. Il documento olandese affonda le sue radici nella difesa della

continuità storica delle Province e sul diritto di queste ultime, dato dalla legge di

73 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.42.

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Page 39: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

natura e dai singoli diritti d'ogni individuo, di giustificare una scelta diversa nei

confronti del proprio principe. La struttura della dichiarazione si presenta divisa in

due momenti: l'affermazione dei diritti di un popolo prima e l'elenco delle ingiurie ed

aggressioni commesse dal precedente sovrano in seguito; tese ambedue a

destrutturare la sovranità del tiranno in nome di una reggenza giusta e legittimata dal

diritto di natura. Senza dubbio il precedente olandese rappresenta il primo esempio

riuscito di secessione da parte di una Provincia nei confronti di una monarchia

imperiale nella storia d'Europa. Un evento significativo che a ragione si pone quale

precedente per quella che sarà poi la rivolta e la secessione americana dall'organismo

imperiale britannico. Nell'Aprile del 1781, Abigail Adams, scriveva:

Will cement an indissoluble bond of union between the United States of America

and the United Provinces who from a similarity of circumstances have each arrived

to Independance disdaining the Bondage and oppression maded by Philip and a

G[e]orge. 74

Una similitudine, quella tra gli omonimi United States, che viene confermata con

forza anche dalle parole di John Adams:

The Origins of the two Republiks are so much alike, that the History of the one

seems but a Transcript from that of the other.75

Concludendo, nel caso della Dichiarazione d'Indipendenza Scozzese è ravvisabile il

primo precedente letterario di un documento atto all'autodeterminazione di un popolo

che ricerca l'indipendenza perché sottoposto e sottomesso al potere di un altro. Il

quadro muta nell'Abiura Olandese dove è, invece, presente il precedente storico di

una vera e propria secessione di una Provincia, resa possibile dal rivendicato

processo di autodeterminazione e da una formale enumerazione dei torti subiti dal

tiranno; un discorso, inevitabilmente, teso a conferire al popolo olandese la

possibilità di scegliere da solo il proprio destino politico-istituzionale. <<The defining

claim of independence could not be found in the earlier declaration>>,76 afferma

Armitage; le due dichiarazioni d'indipendenza diventano pertanto il canovaccio sul

quale l'opera di Jefferson si sviluppa trasformandosi nel fertile terreno sul quale

nascono e fioriscono i presupposti della conquista della sovranità popolare, una

74 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.47. 75 Ivi. 76 Ibidem, p.46.

39

Page 40: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

conquista che non appartiene né al singolare e profetico pensiero di Jefferson né al

coraggioso ed intrepido popolo americano, ma decisamente all'umanità tutta.

40

Page 41: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

Tre diversi approcci atlantici alla storia globale della Dichiarazione

d'Indipendenza americana

3.1 L'interdipendenza americana: un processo di Trans-Atlantic History

The Declaration of Independence. A Global History è stato dichiarato libro dell'anno

nel 2007 dal Times Literary Supplement (TLS) e rappresenta un importante

contributo all'interessante dibattito storiografico orientato allo studio ed all'analisi

della Dichiarazione d'Indipendenza americana. L'autore, David Armitage, propone un

innovativo esame del documento jeffersoniano analizzandone origini e future

ripercussioni, senza però cedere alla formula dell'exceptionalism americano, ma

inserendo la Dichiarazione all'interno dell'ampio processo di trasformazioni politiche

ed intellettuali date dall'affermarsi di un Nuovo Mondo Atlantico. La storia atlantica

diviene, dunque, il terreno entro il quale le tredici colonie inglesi d'oltreoceano

muovono i loro primi passi verso l'Indipendenza dalla Corona britannica. Il testo

della Dichiarazione d'Indipendenza americana viene collocato da Armitage all'interno

del dibattito politico-internazionale, grazie ad un approccio storico che è proprio

della Trans-Atlantic History, al fine di de-nazionalizzarne il contenuto ponendo

l'accento sulla natura politica ed internazionale del documento jeffersoniano e

trovando poi, nel mondo Atlantico e nelle prime forme di globalizzazione, il naturale

canale di proliferazione delle idee promosse dalla causa americana.

The World beyond America has always shaped the United States – as it also formed

its pre-revolutionary colonial past – by immigration, the spread of ideas, or the

exchange of goods, and by almost every other conceivable form of interaction over

more than four hundred years.[...] Putting American history into global perspective

in this way can help to show what we call “globalization” is not a novel condition.77

L'opera, divisa in tre capitoli: The World in the Declaration of Independence, The

Declaration of Independence in the World ed infine A World of Declarations, si

sviluppa partendo dal presupposto che la precedente storiografia, analizzando il

documento di Jefferson, si sia concentrata fin troppo sull'analisi del secondo

paragrafo della Dichiarazione, dove vengono espresse le Self-evident truths

77 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.7.

41

Page 42: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

tralasciando, almeno in parte, quello che Armitage definisce come il naturale

obiettivo dei padri fondatori: la necessità d'esser riconosciuti dal resto del mondo

come Stati indipendenti e non come semplici rivoltosi.

The need for a recognition and assistance from other European powers had became

ever more pressing since the autumn of 1775. In October 1755, John Adams

wondered if foreign courts might not rebuff American envoys: “Would not our

Proposal ad Agents be treated with Contempt?”. Richard Henry Lee similarly noted

in April 1776 that “no state in Europe will either Treat or Trade with us for so long

as we consider ourselves subjects of G[reat] B[ritain]. Honor, dignity, and the

customs of states forbid them until we rank as an independent people”.78

Per trasformare una guerra civile, interna all'Impero britannico, in una guerra tra due

diverse realtà indipendenti era necessario, quindi, riuscire a dar vita ad un corpo

politico, one people, legittimo agli occhi della comunità internazionale dei

preesistenti Stati sovrani europei. La costruzione di questo corpo politico ha,

sicuramente, origine nella città di Philadelphia e trova nell'operato del primo e del

secondo Congresso continentale i primi passi verso la creazione di un legittimo

parlamento delle tredici colonie unite. Il secondo Congresso continentale, infatti, già

nel deliberare la Dichiarazione d'Indipendenza riconosce, autonomamente, come

proprio il potere legislativo dei legittimi parlamenti europei. L'interesse nei confronti

del riconoscimento esterno viene ben espresso anche da quella che Armitage descrive

come l'effettiva affermazione dell'Indipendenza espressa all'interno del secondo

Congresso continentale quando, dopo aver dichiarato le tredici colonie free and

independant states, il delegato Henry Lee conclude il proprio intervento affermando

che:

That it is expedient forthwith to take the most effectual measures for forming

foreign Alliances. That a plan of confederation be prepared and trasmitted to the

respective Colonies for their consideration and approbation.79

In questo modo, una volta spogliata del cappello dato dalla retorica della filosofia

politica rappresentato dall'enunciazione dei diritti individuali dell'essere umano, la

Dichiarazione si mostra come un vero e proprio atto legale di politica estera e

documento giuridico che, soprattutto nell'ultima e conclusiva parte, tramite la lista

78 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.36. 79 Ibidem, p.35.

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Page 43: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

delle accuse mosse a Giorgio III, trova continuità con il modus operandi dell'epoca:

non un semplice address to the king scritto da sudditi e rivolto al loro sovrano, ma un

documento di politica internazionale. Questa riflessione porta Armitage ad una delle

affermazioni più importanti dell'intero testo e cioè che: <<The Declaration of

Independence was therefore a declaration of interdependence>>.80

L'intento del documento jeffersoniano si palesa nel momento in cui la causa delle

tredici colonie viene sottoposta to a candid World, a dimostrazione di come alla base

degli intenti dei rivoltosi americani sia nascosta la speranza di riuscire a costruire non

una mera rivolta armata, ma una rivoluzione legale e legittima, in quanto, combattuta

ed espressa nel respect to the opinions of Mankind.

In the words of the German counter-revolutionary writer Friedrich Gentz […] “The

American revolution was from beginning to end, on the part of the Americans,

merely a defensive revolution; the French was from beginning to end, in the highest

sense of the word, an offensive revolution”.81

La rivoluzione americana, che Friedrich Gentz definisce come una rivoluzione

difensiva, si traduce in una battaglia politica internazionale tra due realtà politiche

separate. Il totale disinteresse mostrato dall'Impero britannico verso le colonie

d'oltreoceano durante la prima metà del Settecento ed il clima liberale entro il quale

esse sono cresciute le spinge, a causa dei torti subiti ad opera di Giorgio III ed in

nome della propria sopravvivenza, a creare una realtà politica legittimamente

separata da quella britannica. La successiva distruzione, operata dall'impianto

filosofico del testo di Jefferson, del principio monarchico che la figura del re

britannico rappresenta va intesa come diretta conseguenza dell'Indipendenza e della

vittoria americana e non come l'unica motivazione nascosta dietro le scelte dei coloni

americani. La Dichiarazione d'Indipendenza, che grazie ai suoi enunciati sulla

sovranità popolare si trasformerà in uno strumento politico di portata universale, per i

delegati del secondo Congresso continentale rappresenta semplicemente il mezzo

tramite il quale trasmettere e far recepire il loro messaggio; così da sottoporre le

proprie ragioni all'attenzione delle grandi potenze del tempo, consci dell'importanza

del loro riconoscimento politico e certi di non poter sopravvivere a lungo se

80 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.30.81 Ibidem, p.68.

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Page 44: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

sprovvisti di adeguate alleanze economiche e militari. Il messaggio della

Dichiarazione era finalizzato alla ricerca di quel riconoscimento esterno che arrivò,

però, solo dopo la pesante sconfitta subita dall'esercito anglo-tedesco guidato dal

generale John Burgoyne nella contea di Saratoga quando, dopo le due battaglie di

Freeman's Farm e di Bemis Heights, combattute nel Settembre e nell'Ottobre del

1777, la Francia finalmente scelse di scendere in campo ed entrare in guerra

affiancando le tredici colonie. L'alleanza francese traghettò, dopo otto anni di guerra,

le tredici colonie verso la vittoria e la pace, firmata il 3 Settembre del 1793 nel

Trattato di Parigi. Nel momento in cui la Francia si affianca alle tredici colonie il

desiderio dell'interdipendenza americana di cui la Dichiarazione si fa promotrice

viene soddisfatto; eppure, dal punto di vista prettamente legale e giuridico,

l'Indipendenza delle colonie diventa possibile solo successivamente, grazie alla

cessione di sovranità da parte dell'Impero britannico ed al riconoscimento

internazionale che la pace di Parigi sancisce.

Il dibattito politico internazionale che ruotava intorno alla guerra d'Indipendenza

americana, faceva capo a quell'insieme di leggi e di norme che il giurista svizzero

Emer De Vattel per la prima volta ha sintetizzato nel testo The Law of Nations

(1758), un prodotto della prima parte della guerra dei sette anni, combattuta da

Francia ed Inghilterra tra il 1756 ed il 1763. De Vattel si propone di racchiudere

all'interno del proprio testo un insieme di definizioni chiave di politica internazionale

e di leggi capaci di regolare i rapporti tra le Nazioni, gli Stati e gli Imperi in un

momento storico in rapida trasformazione, ove l'avanzare degli impianti diplomatici

degli Stati si mosse di pari passo con la costruzione delle future realtà Nazionali ed

identitarie. Il testo di De Vattel, racconta Armitage, è stato uno dei perni entro i quali

ruotava l'intero lavoro giuridico e politico del secondo Congresso continentale

americano:

In October 1774, James Madison had been informed that “Vattel, Barlemaqui Locke

& Montesquie[u] seem to be the standar[d]s to wich [Congress] refer either when

settling the rights of the Colonies or when dispute arises on the Justice or propriety

of a measure”. Just over a year later, in 1775, Benjamin Franklin sought out the

latest edition of Vattel's work for the benefit of Congress becouse “the

circumstances of a rising state make it necessary frequently to consult the law of

44

Page 45: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

nations ”.82

I riferimenti all'opera Law of Nations aiutano ad inserire il testo della Dichiarazione

d'Indipendenza americana all'interno del dibattito politico originatosi dalle riflessioni

dell'Illuminismo europeo e presentano il documento jeffersoniano sul palcoscenico

mondiale. Le teorie di De Vattel ispirano le riflessioni politiche dei tredici free and

independant States regalando ai delegati del Congresso continentale americano degli

statuti tramite i quali diventa possibile legittimare la propria istanza d'Indipendenza.

Il debito storico dell'Indipendenza americana nei confronti del testo di De Vattel si

esprime particolarmente negli enunciati e nelle definizioni che il giurista svizzero

fornisce nei riguardi della sovranità popolare, quando, all'interno del primo capitolo

del Book I. Of nations considered in themselves, tratta Of the State, and of

sovereignty, e scrive:

A Nation or a State is, as has been said at the beginning of this work, a body politic,

or a society of men united together for the purpose of promoting their mutual safety

and advantage by their combined strength. From the very design that induces a

number of men to form a society which has its common interests, and which is to

act in concert, it is necessary that there should be established a Public Authority, to

order and direct what is to be done by each in relation to the end of the association.

This political authority is the Sovereignty; and he or they who are invested with it

are the Sovereign. 83

Tale debito non si esplicita semplicemente nella concreta base giuridica fornita

all'istanza d'Indipendenza delle tredici colonie unite, racchiusa nella definizione: <<a

State is, […], a body politic, or a society of men united together for the purpose of

promoting their mutual safety>>, ma si allarga anche alla futura struttura federale

degli Stati Uniti quando, discutendo Of state forming a federal republic, De Vattel

fornisce uno spunto per la teoria dei Checks and Balances espressa da Madison nella

Costituzione del 1787.

Finally, several sovereign and independent states may unite themselves together by

a perpetual confederacy, without ceasing to be, each individually, a perfect state.

They will together constitute a federal republic: their joint deliberations will not

impair the sovereignty of each member, though they may, in certain respects, put

82 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.41.83 Emer De Vattel, The Law of Nations., T. & J.W. Johnson & Co., Philadelphia, 1883.

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Page 46: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

some restraint on the exercise of it, in virtue of voluntary engagements. A person

does not cease to be free and independent, when he is obliged to fulfil engagements

which he has voluntarily contracted. Such were formerly the cities of Greece; such

are at present the Seven United Provinces of the Netherlands, and such the members

of the Helvetic body.84

Il mondo alla fine del XVIII secolo, scrive Armitage, <<[...] Was a recognizably

modern world, in which commerce and war are the most cospicous forms of

interaction between different peoples and states>>;85 le grandi trasformazioni politiche

che si avviarono in questo particolare momento storico si tradussero, aggiunge

Armitage, in: <<the gradual emergence of a world – our world – of states from an

earlier world dominated by empires>>.86 La Dichiarazione d'Indipendenza americana

diventa parte integrante di queste trasformazioni presentandosi come un innovativo

strumento politico internazionale in quanto: <<First, it introduced “the United States

of America” to the world; second, it inaugurated the very genre of a declaration of

independence>>87. Nell'interdipendenza politica le tredici colonie ricercavano,

dunque, un'indipendenza economica e militare a dimostrazione delle proprie radici

liberali ed atlantiche che presentano i futuri United States come i figli del mondo

Atlantico e dei suoi scambi commerciali e non della corona inglese di Giorgio III. Gli

United States confermarono tali radici anche quando, con la Costituzione federale del

1787, scelsero di mantenere una simile forma di interdipendenza anche tra loro

stessi. Non è un caso, inoltre, se la maggior parte degli stati indipendenti che sorsero

dalle ceneri dell'URSS scelsero la forma di una Confederazione di Stati mentre le

tredici colonie americane assunsero, invece, la forma di federazione così come sarà

poi per il Canada e l'Australia, anch'esse figlie del lascito imperiale inglese nel

mondo Atlantico. Le tesi di De Vattel e del suo Law of Nations permettono di

collocare la Dichiarazione d'Indipendenza americana nei confini della discussione

politica e giuridica europea sulla formazione di Stati sovrani legittimi, alla fine del

XVIII secolo. Il Bonazzi, nella Round Table on David Armitage, pubblicata dall'RSA

Journal 20, commenta su tale argomento affermando quanto segue:

84 Emer De Vattel, The Law of Nations., op. cit. 85 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.55.86 Ibidem, p.21.87 Ibidem, p.22.

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The Declaration of Independence of 1776 was the innovative tool necessary for

creating the first state outside of Europe. A state that was desired by a culturally and

ethnically European people, institutionally built like a European state and welcomed

in the system of European states. We are therefore before a more condensed and

specific case of “statization” because it was an event that extended the existing

European system of states to the American continent and gave life to the Euro-

American Greater Europe system.88

Jefferson e la Dichiarazione allargano, quindi, in seguito alla vittoria conseguita dalle

tredici colonie unite, i confini della riflessione politica europea all'intero mondo

Atlantico, donando alla storia il precedente dell'Indipendenza di una colonia

d'oltreoceano. É per tale ragione che il documento jeffersoniano diviene da subito lo

strumento politico in grado di presentate e tradurre le trasformazioni politiche ed

internazionali della prima età moderna nel momento in cui, come afferma Armitage,

<<A world of states emerged from a world of empires>>.89 Trasformazioni che, in

seguito, sfoceranno nell'impeto della Rivoluzione francese, nel Terrore giacobino e

nell'offensiva di Napoleone, e che troveranno un freno solo quando la Restaurazione,

sancita dal Congresso di Vienna nel 1815, annuncerà l'avvento definitivo delle

Nazioni-Stato europee.

88 RSA Journal: Rivista di Studi Americani 20: 79-108, Round Table on David Armitage. The Declaration of Independence. A Global History, 2009, p.84.

89 Ibidem, p.81.

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3.2 Thomas Paine e la costruzione del Common Sense americano

L'interdipendenza politica ed economica e la legittimità giuridica, ricercate dai

delegati del secondo Congresso continentale americano nel linguaggio del Law of

Nations di De Vattel, proiettano gli Stati Uniti sullo scenario storico mondiale

lasciando intravedere una prospettiva di Trans-Atlantic History nella nascita degli

United States che modifica, definitivamente, gli equilibri economici e politici

internazionali dell'oceano Atlantico a loro favore. Il testo della Dichiarazione, dopo

aver abbandonato le proprie radici europee, allarga l'influenza del proprio messaggio

politico-filosofico su un orizzonte dalla prospettiva globale; trasformandosi in uno

strumento politico che, anche se legittimato dalla vittoria americana, finisce col

presentarsi fin troppo innovativo per i canoni del tempo, al punto tale da essere

percepito come radicale ed estremamente pericoloso, almeno in quel che restava

degli Imperi europei. Armitage, descrivendo l'impatto del documento di Jefferson

sulle diverse realtà coloniali dell'epoca, ricorda che:

When word of Declaration had reached the British colony of Nova Scotia, in

August 1776, the British governor allowed only the last paragraph of the document

to be printed, lest the rest of it “gain over to them (the Rebels) many converts, and

inflame the minds of his Majesty's loyal and faithful subjects of the Province of

Nova Scotia”.90

L'esempio della colonia inglese di Nova Scotia mostra come l'espandersi della

notizia dell'Indipendenza americana, nei confini del mondo coloniale di fine

Settecento, abbia preoccupato non poco gli animi imperiali inglesi, poiché il

messaggio dei coloni ribelli finì per dare vita ad un autentico processo di

destabilizzazione politica globale. Il testo della Dichiarazione d'Indipendenza

apparve in Europa, per la prima volta, sui giornali londinesi nella seconda settimana

dell'Agosto del 1776:

Less than a week later, it was printed in Edinburgh,[…]; it also appeared in the

Dublin press on August 24. The next week it was reported in Madrid in August 27,

and the Dutch press picked it up on August 30; the following day it also appeared in

90 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.75.

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Page 49: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

Vienna. By September 2, a Danish newspaper in Copenhagen carried a translation

on the Declaration on its front page. On September 14 readers learned of it in

Florence. The following month, a complete German translation was published in a

Swiss journal in Basil.91

L'essere stato scritto in lingua inglese rallentò in parte la fruizione del documento

jeffersoniano, in quanto, aggiunge Armitage: <<French, not English, was the reigning

language of diplomacy, and English was not yet a major lingua franca even for the

learned across Europe and the Americas>>.92 L'effetto prodotto da tale documento

sull'ambiente internazionale stimolò riflessioni, questioni e risposte immediate

provenienti, soprattutto, dal mondo politico inglese; silenziare la Dichiarazione nel

mondo Atlantico e coloniale rappresenta la prima risposta del governo britannico che

considera il testo della Dichiarazione come una richiesta illegale ed illegittima alla

quale non sarebbe stato necessario rispondere in modo ufficiale, poiché: <<would be

to recognise that equality and independence, to which subjects, persisting in revolt,

cannot fail to pretend […] This would be to recognise the right of other states to

interfere in matters, from which all foreign interposition should for ever be

precluded>>93. Queste parole sono riprese da Armitage dal testo Answer to the

Declaration of the American Congress (1776), opera del giovane scrittore inglese e

pamphleteer John Lind. Il testo di Lind presentava un minuzioso esame delle varie

accuse mosse dai coloni americani a Giorgio III, giustificando, punto per punto, i

torti compiuti dal sovrano e provando a dimostrare, in tal modo, la natura ribelle dei

coloni che ne rendeva illegittima la richiesta d'Indipendenza.

After all, if the colonists were acknowledged to be independent citizens of a foreign

state, what could have prevent a pirate like Captain Kidd from protecting himself

against criminal prosecution by declaring himself independent? “Instead of the

guilty pirate” Lind warned, “he would have become the independent prince; and

taken among the 'maritime' powers–that separate and equal station, to which'– he

too might discovered–'the law of nature and of nature's God entitled him' ”.94

91 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.70. 92 Ibidem, p.71.93 John Lind and Jeremy Bentham, An answer to the Declaration of the American Congress, London,

1776, p.5, in David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History, op. cit., p.75. 94 Ibidem,p.76.

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Page 50: Storia Atlantica e Storia globale della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti

Se a Lind venne affidato il compito di rispondere alla Dichiarazione americana, al

pensiero di un altro pamphleteer inglese, Thomas Paine, si deve il merito di avere

spronato gli animi dei coloni ribelli e di avere reso realmente possibile, al pari di

Jefferson e dei delegati americani, la tanto anelata Indipendenza americana. La storia

di Paine è quella di un giovane nato a Thetford nel 1734, una cittadina a circa cento

chilometri da Londra, che fa la sua comparsa come pamphleteer pubblicando, tra il

1772 ed il 1773, il testo The case of the Officers of the Excise, con l'intento di

presentare al mondo inglese il movimento di protesta animato dal desiderio degli

esattori fiscali di ottenere salari più alti. La protesta di cui Paine si fece promotore

sfortunatamente fallì, ma l'occasione di dare una svolta alla propria carriera di

scrittore politico arrivò comunque quando, tornato a Londra, conobbe Benjamin

Franklin. Il delegato americano avvicinò lo scrittore inglese alla causa delle tredici

colonie spingendolo a partire, nel Novembre del 1774, verso la città di Philadelphia.

Paine a Londra era venuto a contatto con un gruppo di intellettuali, artigiani e pastori

protestanti anticonformisti chiamati radical Whigs che proponevano una nuova

forma di balanced governments entro il quale porre un freno agli straripanti poteri

della corona e dei suoi ministri. La loro riflessione avvicinò Paine alla ricerca di una

maggiore consapevolezza e difesa delle singole libertà individuali ed a nuove forme

di tolleranza religiosa, tematiche queste che l'autore inglese svilupperà, poi, al meglio

all'interno del testo Common Sense. Pubblicato in forma anonima il 10 Gennaio del

1776, il pamphlet divenne un enorme best seller le cui prime centomila copie si

esaurirono nel giro di un anno e si impose sulla scena politica coloniale <<With an

effect which has rarely been produced by types and paper in any age or country>>95.

Paine, che dalla pubblicazione del pamphlet non guadagnò neanche un soldo, si

convinse a tal punto dell'importanza della causa americana da arruolarsi nell'Esercito

Continentale subito dopo aver ascoltato e letto il testo della Dichiarazione

d'Indipendenza del 4 Luglio 1776.

The cause of America is, in a great measure, the cause of all mankind. […] The

laying a country desolate with fire and sword, declaring war against the natural

rights of all mankind, and extirpating the defenders thereof from the face of the

95 Benjamin Rush, citato in Grefory Claeys, Thomas Paine: social and political thought, Lond UnwinHyman, 1989, p. 23.

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earth, is the concern of every man to whom nature hath given the power of feeling.96

Egli scrive dell'America come della terra in cui è possibile trovare: <<Asylum for the

persecuted lovers of civil and religious liberty from every part of Europe>>,97 per

questo non si limita alla semplice analisi delle motivazioni che muovono le tredici

colonie, ma espone in Common Sense tutto il suo pensiero politico e costituzionale di

cui il repubblicanesimo è caratteristica peculiare. La riflessione filosofica del

pamphleteer inglese attinge da Locke così come farà, cinque mesi dopo, lo stesso

Jefferson nella stesura della Dichiarazione d'Indipendenza. Ma, mentre per Locke gli

uomini giungono allo stato sociale tramite il pactum unions, in Paine, secondo

quanto scrive Simonetta Scodellari:

Lo stato di natura viene già raffigurato come uno “stato di naturale società” dove gli

uomini vivono esercitando i propri diritti naturali […] e possedendo anche i diritti

civili, il cui godimento, però non è garantito. Si può dire che lo stato di natura di

Paine sia una “società naturale civilizzata”, ma non ancora una società politica,

poiché manca il contratto su cui deve basarsi.98

Nel primo capitolo di Common Sense, Paine delinea l'impianto filosofico del testo

per poi passare alla condanna, nel secondo capitolo, della corrotta ed avvelenata

monarchia inglese. La forma governativa dell'Impero britannico, scrive Paine, è stata

contaminata tramite:

The corrupt influence of the crown, by having all the places in its disposal, hath so

effectually swallowed up the power, and eaten out the virtue of the House of

Commons (the republican part in the constitution) that the government of England

is nearly as monarchical as that of France and Spain. […] and it is easy to see that

when republican virtues fail, slavery ensues. Why is the constitution of England

sickly but becouse monarchy hath poisoned the republic, the crown has engrossed

the commons? 99

Il terzo ed il quarto capitolo del testo di Paine, che tendono ad esplicitare

direttamente le ragioni e l'importanza della causa americana, si aprono con un incipit

96 Thomas Paine, Common Sense, in Thomas Paine Political Writings, Bruce Kublick (a cura di), Cambridge, Cambridge University Press, 1989, p.2.

97 Ibidem, p.18.98 Simonetta Scodellari, Il pensiero politico di Thomas Paine, Torino, G. Giappichelli, 1989, pp.21-

22.99 Thomas Paine, Common Sense, op.cit., p.15.

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in cui l'autore, rivolgendosi direttamente al lettore, mostra come:

In the following pages I offer nothing more than simple facts, plain arguments, and

common sense; and have no other preliminaries to settle with the reader, than that

he will divest himself of prejudice and prepossession, and suffer his reason and his

feelings to determine for themselves.100

Paine, utilizzando un linguaggio semplice ed efficace, presenta i vantaggi oggettivi

che la separazione dalla madrepatria apporterebbe alla vita delle tredici colonie

americane dimostrando come l'interesse inglese verso le colonie d'oltreoceano

rappresenti la mera difesa dei propri interessi economici e non un reale attaccamento

ai coloni. L'Inghilterra e la dipendenza dall'Impero britannico sono avvertite

dall'autore inglese come un pericolo per i futuri United States, in quanto: «France

and Spain never were, nor perhaps ever will be, our enemies as Americans, but as our

being the subjects of Great Britain».101 Le colonie americane si dimostrano

sprovviste di una propria percezione nazionale ed identitaria perché figlie dei

processi di Circum-Atlantic History che dai primi anni del XVI secolo hanno

caratterizzato il mondo Atlantico; Paine è colui che per la prima volta tenta di riunire

le diverse realtà culturali che compongono le tredici colonie entro un obiettivo che

sia possibile percepire come comune dalla totalità dei coloni e che riassume

scrivendo che:

Our plan is commerce, and that, well attend to, will secure us the peace and

friendship of all Europe; because is it the interest of all Europe to have America as a

free port. Her trade will always be a protection, and her barrenness of gold and

silver secure her from invaders. 102

La costruzione dell'identità americana che Paine opera in Common Sense può

nascere, anch'essa come per l'Indipendenza ricercata dal testo di Jefferson, grazie alla

contrapposizione ed all'interdipendenza con l'Europa; l'autore inglese spinge i coloni

alla prospettiva dell'isolazionismo convincendoli dei vantaggi economici derivanti

dalla scelta di evitare qualsivoglia coinvolgimento politico e militare con l'Europa.

A.Owen Aldridge, all'interno del suo testo Thomas Paine's American Ideology, scrive

100Thomas Paine, Common Sense, op.cit., p.16. 101 Ibidem, p.18. 102 Ibidem, p.19.

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al riguardo:

This is, of course, a clear statement of the doctrine of isolation, or the policy of

noninvolvement in the political affairs of Europe. It was expressed by Paine in

Common Sense almost a quarter of a century before Washington's Farewell Addres,

the document with which isolationism has traditionally been associated.103

Il principio dell'isolazionismo americano, che Aldrige estrapola dal pamphlet di

Paine, non appartiene, secondo Armitage, alle parole di Jefferson ed al testo della

Dichiarazione d'Indipendenza; infatti, la storiografia nazionalistica e la dottrina

dell'exceptionalism americano tentando di allontanare il testo della Dichiarazione

dalle sue naturali radici internazionali provocano, nelle parole di Armitage, due

effetti particolarmente negativi per lo studio della Dichiarazione di Jefferson:

This effort of domestication would have two equal and opposite effect: first, it

would hide from Americans the original meaning of the Declaration as an

international and even global, document; second, it would ensure that within the

United States only proponents of slavery, supporters of Southern secession, and

anti-individualist critics of rights talk would be able to recall that original

meaning.104

Allontanando il testo della Dichiarazione d'Indipendenza americana

dall'isolazionismo proposto da Paine e dall'ombra che la storiografia nazionale

americana rappresenta, diventa possibile per Armitage, restituirlo alla sua originale

natura internazionale, ricollocandolo entro delle coordinate atlantiche. La struttura

giuridica e gli enunciati di filosofia politica presenti nel testo della Dichiarazione

d'Indipendenza, che la vittoria americana convalida e rende legittimi, si allargano

immediatamente all'intero panorama mondiale trasformando il testo di Jefferson

nello strumento politico a disposizione di tutte le successive rivendicazioni

d'Indipendenza del XIX secolo. Per questo motivo Armitage, a conclusione del testo

The Declaration of Independence. A Global History, sceglie di inserire una lunga

lista di Dichiarazioni d'Indipendenza tutte indebitate, almeno in parte, nei confronti

del testo americano di Jefferson confermando la tesi, espressa da John Quincy Adams

103 A.Owen Aldridge, Thomas Paine's American Ideology, University of Delaware Press, Nework, 1984, p.65.

104 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., op.cit., p.70.

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nel suo personale Address del 4 Luglio 1821, riportata anche dallo stesso Armitage,

che descrive la Dichiarazione d'Indipendenza americana come:

It was the first solemn declaration by a nation of the only legitimate foundation of

civil government. It was the cornerstone of a new fabric, destined to cover the

surface of the globe. It demolished, at a stroke, the lawfulness of all governments

founded upon conquest. It swept away all the rubbish of accumulated centuries of

servitude. It announced in practical form to the world that transcendent truth of the

unalienable sovereignty of the people.105

105 John Quincy Adams, An Address, Delivered at the Request of the Committee of Arrangements for Celebrating the Anniversary of Independence, at the City of Washingtonon the Fourth of July 1821, Cambridge, MA, 1821, p.11, in David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History, op.cit., p.66.

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Conclusioni

Collocare il testo della Dichiarazione d'Indipendenza all'interno del contesto

Atlantico ed Europeo di fine Settecento, richiamare l'istanza dell'interdipendenza

insita nel documento e presentare lo stesso quale strumento politico messo a

disposizione dei popoli che da li a poco avrebbero rivendicato la propria

indipendenza, rappresentano solo alcune delle tante costruzioni tematiche entro le

quali Armitage sviluppa il suo discorso nel testo The Declaration of Independence. A

Global History. Il Professore di Harvard, consapevole del grande apporto che il

proprio testo porta al processo di internazionalizzazione della storia americana e

affermando che: <<The document inaugurated a genre of political writing that has

persisted to the present day>>106, pone definitivamente fine al processo di

domesticazione interna del testo di Jefferson, operato dalla storiografia nazionalistica

e repubblicana americana. Spostando l'attenzione dal secondo paragrafo, dove dalle

Self-Evident Truths Jefferson muove la propria riflessione filosofica riguardo al

principio universale rappresentato dalla sovranità popolare, alla prima ed all'ultima

sezione della Dichiarazione, ove viene illustrata l'Indipendenza e l'Interdipendenza

americana, Armitage riesce a restituire allo scritto di Jefferson la propria natura di

strumento politico, ponendolo come presupposto dell'avviò di un particolare

momento storico in cui: <<A world of States emerged from a world of Empire>>107.

Allontanandosi dagli enunciati di filosofia politica che principalmente rimandano

all'universalità della causa americana e, ricollocando lo stesso entro il proprio

contesto internazionale originale, Armitage finisce per ritrovarsi nuovamente dinanzi

ad un processo di americanizzazione del mondo che, in questo particolare caso, si

esprime attraverso quella particolare influenza che l'Indipendenza americana riveste

nei confronti del mondo coloniale di fine Settecento ed inizio Ottocento.

In the second half of the twentieth century, in the transition from the colonial to the

postcolonial era, when more countries have declared independence than at any other

106 David Armitage, The Declaration of Independence. A Global History., Harvard University Press, Cambridge, 2007, p.13.

107 Ibidem, p.18.

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time in history, it is no wonder that the American Declaration of Independence has

constituted the obvious reference, if not always the most emulatable model.108

Anche se l'universalità del testo jeffersoniano è ormai considerata come un dato

storico consolidato, le critiche mosse al testo di Armitage risultano interessanti dato

che permettono di evitare una nuova sorta di americanizzazione della storia

mondiale, sistemando, dunque, la storia della nazione americana entro i confini

cronologici del percorso storico che, dalla storia atlantica, muove verso la prospettiva

di storia globale proposta da Armitage. Tiziano Bonazzi, in Round Table on David

Armitage, presenta la propria critica allo storico inglese affermando che:

Armitage did not take full advantage of the possibilities that his innovative

approach toward the Declaration offered him. In fact, in his book he does not

consider two things. The first is that one cannot treat the explosion of the states

outside Europe and therefore the statizing of the world starting from the end of the

700s under a common shield. […] The second is that states and empires are not two

political concepts with the same theoretical depth and they cannot be analyzed as

such. The state is a political institution that characterizes European history. We

could say that from a political viewpoint it created modern Europe.109

Per il Bonazzi considerare da un solo profilo l'intero processo di statalizzazione che

ha caratterizzato l'inizio del XIX secolo è inappropriato, in quanto risulta davvero

difficile riuscire a definire un unico percorso valido per ogni particolare storia

circoscritta all'interno delle prime forme di globalizzazione nate nel mondo Atlantico.

L'esempio fornito da molti Stati europei che, dopo aver allargato i propri confini

territoriali si ritrovarono in possesso di piccoli Imperi coloniali, al pari, invece, di

quello fornito dall'Impero britannico e francese che, all'indomani della sconfitta

subita in Nord America e della guerra dei setti anni, finirono per ritrovarsi

ridimensionati entro i confini territoriali di piccoli Stati-Nazionali, confermano

l'opinione dell'accademico di Bologna. Allo stesso modo, le riflessioni del Professore

del Colorado College, David C. Hendrickson, portano alla luce altre interessanti

contraddizioni interne alla storia americana di questi ultimi anni poiché:

108 Eugene Eoyang, Life, Liberty, and the Pursuit of Linguistic Parity:Multilingual Perspectives on the Declaration of Independence, JAH (Journal of American History) Roundtable.

109 RSA Journal: Rivista di Studi Americani 20: 79-108, Round Table on David Armitage. The Declaration of Independence. A Global History, 2009, p.82.

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Surely it is useful to recall that among the truths Americans “have uttered from the

day of our Founding” is that every people must find its own way to freedom. As

America, in its most recent incarnation, took on the role of liberator to the world, it

seems to have forgotten that the possession by the various peoples of the rights of

independent statehood is an indispensable concomitant of a peaceful international

order and the necessary (though not admittedly sufficient) precondition for the

achievement of civil freedom.110

La riflessione di Hendrickson mostra come il ruolo assunto dagli Stati Uniti durante

e successivamente le due guerre mondiali, che tutt'ora si protrae all'interno degli

attuali equilibri politici internazionali, allontani sempre più l'operato della Nazione

americana dagli obiettivi prefissati dalla propria Dichiarazione d'Indipendenza,

infatti, continua Hendrickson, citando direttamente Jefferson:

The United States, as Jefferson wrote, “surely cannot deny to any nation that right

whereon our own government is founded – that every one may govern itself

according to whatever form it pleases, & change these forms at its own will.”111

L'esempio fornito dalla Dichiarazione d'Indipendenza di Haiti del 1804, di cui

nell'Aprile del 2010 è stata ritrovata una copia originale all'interno nel TNA, The

National Archives of the United Kingdom, grazie al lavoro della ricercatrice del

Dipartimento di Storia della Georgia State University, Julia Gaffield, dimostra come

gli studi atlantici possano, ancora oggi, fornire risposte a questioni storiografiche

ancora irrisolte. L'Independence Act of Haiti, scritto dal segretario del generale

Dessalines, Boisrond-Tonnere, venne disconosciuto dagli Stati Uniti d'America

poiché intaccava gli interessi economici americani tanto quanto la Dichiarazione di

Jefferson intaccò, invece, gli interessi dell'Impero britannico. Gli stessi interessi

economici che, da Paine a Jefferson, mossero gli animi dei coloni americani e

permisero loro di annunciare al mondo il precedente storico della tanto desiderata

sovranità popolare, costrinsero gli stessi al silenzio nei confronti della rivolta guidata

da Dessalines in quanto, essendo essa la prima rivolta di schiavi che la storia ricordi,

si mostrava decisamente pericolosa perché capace di destabilizzare lo schiavismo

grazie al quale la florida economia americana continuava a prosperare.

110 RSA Journal: Rivista di Studi Americani 20: 79-108, Round Table on David Armitage. The Declaration of Independence. A Global History, 2009, p.88.

111 Ivi.

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With what consistency, or decency [could the colonist] complain so loudly of

attemps to enslave them, while they hold so many hundred thousand in slavery.112

Queste parole di Paine, che mostrano e motivano la sua posizione antischiavista,

comparvero in uno scritto del Marzo 1775, a solo un anno dal suo arrivo a

Philadelphia. L'evidente contraddizione tra le rivendicazioni presenti nella

Dichiarazione d'Indipendenza e la realtà entro la quale la struttura schiavista del

mondo coloniale americano continuava a progredire, dimostrano pienamente come la

maggior parte delle decisioni politiche americane fossero regolate solo ed

esclusivamente da un interesse economico, a chiara dimostrazione della

sopravvivenza e della persistenza delle radici liberali all'interno del mondo

americano, anche all'indomani dei fatti storici scaturiti dall'esperienza

dell'Indipendenza. Armitage propone l'internazionalizzazione del testo jeffersoniano

spostando l'attenzione del lettore dai diritti individuali e naturali dell'essere umano,

espressione della riflessione filosofica politica di Jefferson, verso i diritti e le leggi

vigenti tra diversi Stati, posizionando così il testo della Dichiarazione nel campo del

dibattito internazionale, nato proprio con la pubblicazione di The Law of Nations, del

De Vattel. Arnaldo Testi, Professore di Storia all'Università di Pisa, è colui che si

avvicina maggiormente alla soluzione di questa difficile questione e lo fa quando,

commentando il lavoro di Armitage, propone una riconciliazione di questi due

diversi aspetti della Dichiarazione di Indipendenza americana. E, proprio riferendosi

al Professore dell'Harvard University, egli scrive:

He writes that the traditional historical assessments of the Declaration that

emphasize its philosophy of human rights and those that emphasize the rights of

states, are “not necessarily incompatible”: the document incorporates both rights.

And yet, he adds, “the greater prominence of the Declaration’s assertions of

statehood in the history of its global reception and imitation accurately reflects the

intentions of its authors and better describes the balance of its intended

argument”.113

Nel cercare l'interdipendenza dall'Europa e nell'accettare l'insieme delle norme

giuridiche del tempo riguardanti le relazioni internazionali, la Dichiarazione

112 Eric Forner, Tom Paine and Revolutionary America, New York, Oxford University Press, 1976, p.73.

113 RSA Journal: Rivista di Studi Americani 20: 79-108, Round Table on David Armitage. The Declaration of Independence. A Global History, 2009, p.95.

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americana si mostra:

In this sense, the Declaration signaled to the world that the Americans intended

their revolution to be decidedly unrevolutionary. [...] It would conform as far as

possible to the regulatory norms of contemporary politics. Least of all would it be

an incitement to rebellion or revolution elsewhere in the world, rather than an

inducement to reform.114

La stessa, continua il Testi, <<[…] Was revolutionary in another sense: it was an act

of force, with a powerful new authority behind it>>115. È nel successo dell'atto di forza

operato dalle tredici colonie che risiede la grande novità di cui è protagonista la

Dichiarazione d'Indipendenza americana. Indubbiamente, questo testo, per le sue

tante peculiarità, è in grado di modificare in modo indelebile la realtà del tempo ad

esso presente cambiando le diverse Cis-Atlantic History dei Paesi che scelsero di far

proprie le rivendicazioni americane. La Dichiarazione pone fine alla ricerca,

avviatasi con la Declaration of Arbroath, di un valido documento e strumento

politico internazionale capace di affermare la legittimità dell'Indipendenza di uno

Stato. Ma non può, di contro, porre fine all'ampio dibattito filosofico tutt'ora vitale

che, dall'Illuminismo ai nostri giorni, continua ad interrogarsi sulle costruzioni

sociali umane e sui diritti individuali di ogni singolo essere umano. Un discorso che,

affermando nel corso del tempo l'uguaglianza degli individui, ha finito per

raccogliere unicamente prove della loro straripante diseguaglianza, al punto da

indurre Jean-Jacques Rousseau ad affermare:

Io vedo nel genere umano due specie di ineguaglianze; la prima che chiamo

naturale [...], e che consiste nella differenza di età, della salute, delle forze fisiche e

delle qualità dello spirito o dell'anima; l'altra, che si può chiamare ineguaglianza

morale o politica, perchè dipende da una specie di convenzione, ed è stabilita o

almeno autorizzata dal consenso degli uomini. Questa consiste nei privilegi di cui

alcuni godono a scapito di altri, come di essere più ricchi, più onorati, più potenti di

loro, o anche di farsi obbedire. 116

114 RSA Journal: Rivista di Studi Americani 20: 79-108, Round Table on David Armitage. The Declaration of Independence. A Global History, 2009, p.97.

115 Ivi. 116 Jean-Jacques Rousseau, Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini, a

cura di Valentino Gerratana, Editori Riuniti, Roma, 1983.

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