Star dell'animazione: l'evoluzione dell'immagine divistica di Betty Boop dai primi anni Trenta agli anni Ottanta 1. Introduzione Questo breve studio si propone di individuare e analizzare in Betty Boop un'immagine divistica coerente pur nell'evoluzione che è possibile riscontrare nel corso della sua lunga carriera cinematografica, che va dai primissimi anni Trenta fino agli ultimi anni Ottanta. Bisogna tuttavia tenere presente che, nonostante l'abbandono (provvisorio) 1 del grande schermo, la sua immagine non ha cessato di intercettare desideri e bisogni, e continua tuttora a pervadere i media, acquistando una sempre più forte natura crossmediale capace di traghettare nel nuovo millennio le peculiarità che l'hanno resa un'icona del Novecento. Questo studio avrà quindi come naturale riferimento metodologico gli strumenti forniti dagli star studies, in particolare il concetto di star come tipo sociale e quello di media text formulati da Richard Dyer nel suo storico saggio. 2 Tuttavia cercherà di tenere presenti, accanto al generale approccio 1 Il 14 agosto 2014 il produttore britannico Simon Conwell, con la sua casa di produzione Syco Entertainment e la Animal Logic Entertainment, si è accordato con i Fleischer Studios e l'azienda statunitense di syndication King Features, attuali proprietari dei diritti di sfruttamento del marchio, per la realizzazione di un film per il cinema con Betty Boop (http://kingfeatures.com/2014/08/animal-logic-and-simon-cowell-woo-betty-boop/). 2 R. Dyer, Stars, British Film Institute, London 1979; tr. it. Star, Kaplan, Torino 2003, pp. 11-12 e 67-68.
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Star dell'animazione: l'evoluzione dell'immagine divistica di Betty Boop dai primi anni Trenta agli anni Ottanta
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Star dell'animazione: l'evoluzione dell'immagine
divistica di Betty Boop dai primi anni Trenta agli anni
Ottanta
1. Introduzione
Questo breve studio si propone di individuare e analizzare in
Betty Boop un'immagine divistica coerente pur nell'evoluzione che
è possibile riscontrare nel corso della sua lunga carriera
cinematografica, che va dai primissimi anni Trenta fino agli
ultimi anni Ottanta. Bisogna tuttavia tenere presente che,
nonostante l'abbandono (provvisorio)1 del grande schermo, la sua
immagine non ha cessato di intercettare desideri e bisogni, e
continua tuttora a pervadere i media, acquistando una sempre più
forte natura crossmediale capace di traghettare nel nuovo
millennio le peculiarità che l'hanno resa un'icona del Novecento.
Questo studio avrà quindi come naturale riferimento
metodologico gli strumenti forniti dagli star studies, in particolare
il concetto di star come tipo sociale e quello di media text
formulati da Richard Dyer nel suo storico saggio.2 Tuttavia
cercherà di tenere presenti, accanto al generale approccio1 Il 14 agosto 2014 il produttore britannico Simon Conwell, con la sua casa
di produzione Syco Entertainment e la Animal Logic Entertainment, si è accordato
con i Fleischer Studios e l'azienda statunitense di syndication King Features,
attuali proprietari dei diritti di sfruttamento del marchio, per la
realizzazione di un film per il cinema con Betty Boop
(http://kingfeatures.com/2014/08/animal-logic-and-simon-cowell-woo-betty-boop/).2 R. Dyer, Stars, British Film Institute, London 1979; tr. it. Star, Kaplan,
Torino 2003, pp. 11-12 e 67-68.
sociologico, anche aspetti di tipo storico-economico, così come
suggerisce l'intervento di Paul McDonald nel capitolo
supplementare accluso alla riedizione del 1998 del testo di Dyer.
Adottare questo tipo di indagine in relazione a un personaggio
dei cartoon potrebbe apparire un problema. Perciò si rende
necessario chiedersi, prima di procedere all'analisi, quanto sia
lecito utilizzare tali strumenti in assenza di una star
tradizionale. Betty Boop, in quanto creatura dell'animazione, può
essere considerata a pieno titolo una star? L'obiettivo principale
di questo studio sarà dimostrarlo, e l'analisi delle modalità con
cui l'apparato mediatico tenta di azzerare questa anomalia di
fondo ne costituirà uno degli aspetti di maggiore interesse.
Il saggio sarà dunque strutturato in paragrafi che
affronteranno particolari momenti della costruzione dell'immagine
divistica di Betty Boop: dal problema dell'anomalia della star
cartoon alla definizione del tipo sociale, passando per il confronto
con modelli di femminilità in continuo mutamento, fino all'attuale
ruolo giocato nella contemporaneità.
2. Betty Boop è una star?
Un nodo centrale della riflessione sulla possibilità di
attribuire a un personaggio dell'animazione come Betty Boop lo
status di star è costituito proprio dalla dialettica
star/personaggio. La star è una persona fisica, ma è anche e
soprattutto un personaggio, un costrutto di tipo narrativo che
diventa depositario di un panorama di valori e ideologie, dove
l'ideologia, secondo Dyer, è «l'insieme di idee e rappresentazioni
con le quali le persone collettivamente danno senso al mondo e
alla società in cui vivono».3 Il personaggio-star interpreta poi
nel singolo testo filmico un ruolo, potremmo dire un personaggio-
personaggio.
Questa distinzione tra personaggio-star e personaggio-
personaggio è perfettamente presente in Betty Boop: nella sua
filmografia sono presenti infatti numerosi casi in cui il ruolo da
lei interpretato è indicato esplicitamente attraverso il
riferimento ad ambiti narrativi già conosciuti dal pubblico, come
quello delle fiabe. Così in Dizzy Red Riding Hood (1931, Id.) Betty Boop
interpreta Cappuccetto Rosso; in Snow-White (1933, Id.) è Biancaneve,
mentre in Poor Cinderella (1934, Id.) interpreta una Cenerentola con i
capelli rossi, particolare fisico che distingue chiaramente tra la
Betty Boop-star dai capelli corvini e il ruolo lì interpretato.
Prendendo ad esempio Snow-White e confrontandolo con Snow White
and the Seven Dwarfs (1937, Biancaneve e i sette nani), realizzato dalla
Disney, casa rivale degli studi Fleischer, a partire dallo stesso
spunto narrativo, possiamo trarne importanti considerazioni.4
Mentre la Biancaneve Disney non è una star, in quanto non può
essere distinta in alcun modo dal personaggio, la Biancaneve
interpretata da Betty Boop può abbandonarsi ad atteggiamenti non
strettamente funzionali alla trama ma che costituiscono al
contrario il suo marchio da diva e si legano alle forti
3 Ivi, p. 10.4 Un confronto è legittimato non solo dalla prossimità cronologica dei due
lavori e dalla loro comune origine letteraria, ma dalla stessa somiglianza
fisica delle protagoniste. Una filiazione diretta del lungometraggio della
Disney dal film marchiato Fleischer è del resto quasi certa per alcuni momenti
puramente visionari e al limite del diegetico presenti in entrambi i film e per
il ruolo centrale giocato dal disegnatore Grim Natwick, creatore di Betty Boop
passato alla Disney, nell'ideazione della Biancaneve del 1937.
aspettative che la sua immagine già definita al di fuori del film
comportava nello spettatore. Un esempio ancora più significativo
si può rintracciare in Poor Cinderella, dove la trasformazione di
Cenerentola da sguattera a principessa diventa un pretesto
diegetico per mostrare Betty Boop in una delle sue classiche pose
in deshabillé (vedi figura 1).
È proprio lo scarto riconoscibile tra il personaggio-
personaggio e il personaggio-star sotteso a tutte le
interpretazioni a conferire a Betty Boop lo status di diva. Come
afferma Christian Metz, «quando lo spettatore di cinema si
identifica con l'attore piuttosto che col ruolo (un po' come a
teatro) lo fa con l'attore in quanto star, vedette, personaggio
ancora, e favoloso, anch'esso di finzione. Nel migliore dei suoi
ruoli».5
Anche quando il ruolo interpretato da Betty Boop non ha un
nome esplicito, come nel caso dei personaggi delle fiabe, quasi
sempre il personaggio-personaggio è chiaramente distinto dal
personaggio-star, mostrandosi in luoghi, epoche e situazioni
sociali diverse: in The Bum Bandit (1931, Id.), ad esempio, Betty Boop
si mostra come una giovane intraprendente del vecchio West che
sventa una rapina a un treno, mentre in Betty Boop's Bamboo Isle (1932,
Id.) interpreta in blackface la nativa di un'isola dei Caraibi.
Una distinzione dei due livelli è in realtà assente solo nei
film in cui Betty Boop appare come se stessa, cioè in quanto diva,
come in Betty Boop's Rise to Fame (1934, Id.), che affronteremo
analiticamente più avanti, e Stopping the Show (1932, Id.), in cui
Betty Boop è ospite per una performance "dal vivo" all'interno di
5 cit. in C. Jandelli, Breve storia del divismo cinematografico, Marsilio, Venezia
2007, p. 15.
uno spettacolo di varietà che comprende la proiezione di una
parodia di cinegiornale e di un corto degli studi Fleischer ed
esibizioni di acrobati.
3. Il superamento dell'assenza filmica
Ci avviciniamo così a un problema centrale. Cristina Jandelli
considera un passaggio fondamentale verso la nascita del divismo
cinematografico il momento in cui, attraverso le esibizioni dal
vivo, per la prima volta ha inizio la congiunzione, che diventerà
poi indissolubile, tra immagine pubblica e vita privata della
star:
Quando sarà colmata la lacuna dell'assenza filmica con
la presenza mediatica dell'attore che si palesa dal
vivo (le passerelle diventeranno metodiche, come a
garantire questa presenza "in carne e ossa", anche se
ancora una volta differita nei racconti dei mezzi di
comunicazione), l'attore sarà davvero più vicino al suo
pubblico.6
Il problema dell'«assenza filmica» per una star
dell'animazione è doppiamente importante, poiché non è solo la
natura del dispositivo cinematografico ad allontanarla dallo
spettatore, ma la natura stessa del cartoon, che non può vivere
un'esistenza indipendente dallo schermo. Le modalità con cui
l'industria cinematografica tentò di colmare quest'assenza nel
caso di Betty Boop si rivelarono sorprendentemente efficaci e
6 Ivi, pp. 27-28.
passarono soprattutto attraverso due forme: la creazione di un
corpo fisico sostitutivo e l'adozione sistematica della tecnica
mista.
Nei primi anni Trenta, quando Betty Boop era all'apice della
popolarità, gli studi Fleischer sfruttarono la forte iconizzazione
timbrica della sua voce, stridula e infantile, per saldare la sua
immagine a quella di alcune sue doppiatrici, che tra il 1931 e il
1934 apparvero nei panni di Betty Boop in cartoline, esibizioni
dal vivo e due corti live-action (vedi figure 2 e 3). In Musical Justice
(1931, Id.) Betty Boop, interpretata da Mae Questel, viene convocata
davanti all'attore e cantante Rudy Vallée, nel ruolo di magistrato
della "Court of Musical Justice", per aver infranto ogni legge
della musica ma, grazie alla sua vivacità e intraprendenza (anche
sessuale), riesce a conquistare giudice e giuria cantando la sua
arringa di difesa Don't Take my Boop-Oop-A-Doop Away. Curiosamente
l'anno successivo gli studi Fleischer dovranno affrontare
realmente una situazione simile quando la cantante Helen Kane gli
muoverà causa per plagio (confronta § 5).
Un'altra doppiatrice chiamata a vestire i panni della diva fu
Bonnie Poe, che interpretò Betty Boop in uno dei corti della serie
Hollywood on Parade prodotta dalla Paramount tra il 1932 e il 1934.
Hollywood on Parade No. A-8 (1933, Id.) si distingue dagli altri della
serie perché non ne condivide la struttura da cinegiornale, con
inserti di sketch e numeri musicali tra materiali di repertorio
sulla vita privata delle star, ma si colloca subito nella
dimensione fantastica di un museo delle cere, in cui diversi
attori (tra cui Bela Lugosi come Dracula) interpretano la copia di
loro stessi mentre improvvisamente prende vita. Non sembra affatto
un caso che sia stata adottata proprio questa modalità eccezionale
per presentare al pubblico una Betty Boop in carne e ossa.
Ann Rothschild, conosciuta come Little Ann Little per la sua
piccola statura che la rendeva la sosia ideale di Betty Boop,
realizzò invece per conto degli studios una tournée presso alcuni
cinema Paramount. Little Ann Little entrava in scena con la tipica
mise di Betty Boop e cantava le sue canzoni imitandone le pose, in
un modo molto simile alla situazione già descritta nel film Stopping
the Show, in cui invece era proprio Betty Boop a esibirsi in
imitazioni "dal vivo".
Il materiale pubblicitario diffuso per promuovere il tour,
oltre a enfatizzare la straordinarietà di questa «first appearance
on the stage» di Betty Boop «in person», mette in evidenza il
ruolo di Pauline Comanor, animatrice degli studi che accompagnava
Little Ann Little nella tournée e che durante l'esibizione ne
tracciava degli schizzi raffigurandola nelle sembianze di Betty
Boop (vedi figure 4 e 5). Le immagini della Betty Boop originale
erano così associate direttamente alla persona della doppiatrice
come se ne fossero diretta emanazione e avrebbero contribuito a
generare nel pubblico l'impressione di trovarsi in presenza della
vera star.
Ma il particolare risalto promozionale dato alla figura di
Pauline Comanor è da rintracciare negli stessi significati sociali
che l'immagine della diva intercetta: l'animatrice viene infatti
definita «the country's one and only girl movie cartoon artist»,
diventando lei stessa parte dell'attrazione. L'idea della donna
lavoratrice che riesce a farsi strada con successo in un mondo
gestito dagli uomini è, come vedremo in seguito (confronta § 5), a
fondamento di molto cinema del periodo. La stessa immagine
divistica della Betty Boop di allora è quella di una perfetta
working girl, e associarne la presenza a quella di una vera
professionista dell'industria dello spettacolo appare quindi più
che mai significativo per amplificarne la portata sociale in un
gioco di specchi tra finzione e realtà. «Il pubblico femminile
costituiva, negli anni Venti e nei primi anni Trenta, la
maggioranza del pubblico cinematografico»7 e il materiale
pubblicitario di cui disponiamo lascia intendere che anche il
target principale di queste esibizioni fosse femminile.
Un'altra modalità con cui gli studios tentarono di superare il
problema dell'assenza filmica fu il frequentissimo ricorso alla
tecnica mista. Infatti molti dei film che hanno Betty Boop per
protagonista mostrano lei e altri personaggi mentre interagiscono
con persone od oggetti reali, colmando sullo schermo la distanza
ontologica che altrimenti separerebbe il mondo animato da quello
quotidiano.
In Betty Boop's Rise to Fame (1934, Id.), ad esempio, un giornalista
interpretato dal regista Dave Fleischer intervista Max Fleischer a
proposito di Betty Boop. L'animatore disegna allora l'immagine
della diva che prende vita sul foglio di carta e, dopo aver
accolto la richiesta di esibirsi in alcuni numeri tratti dai suoi
film di maggior successo, inizia a muoversi liberamente nello
spazio, indossando diversi costumi per entrare di volta in volta
in ambientazioni predefinite. In questo caso particolare Betty
Boop non solo viene mostrata in contatto con persone fisiche, ma
nell'atto di accordarsi con il produttore dei suoi film sulla
natura della sua performance, come farebbe una qualsiasi star.
7 V. Pravadelli, La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano,
Marsilio, Venezia 2010, p. 51.
Viene inoltre ribadita in modo esplicito agli occhi dello
spettatore la distinzione tra personaggio-star e personaggio-
personaggio discussa in precedenza.
4. La star cartoon come star disciplinata
Lo status divistico di Betty Boop appare assicurato, ma
occorre riflettere sul tipo di istituzione economica che la sua
anomalia comporta. Cristina Jandelli parla di «star disciplinate»
per definire le modalità di rapporto contrattuale iniziate a
diffondersi a Hollywood verso la metà degli anni Trenta, in
rapporto al generale clima di normalizzazione portato dal New
Deal. La durata dei contratti iniziò ad allungarsi per conferire
alle case di produzione il pieno controllo della star come
investimento e forza-lavoro: «gli attori principali, impiegati nei
diversi tipi di produzione, erano legati allo studio da contratti
settennali in esclusiva. Ciò significava per la star non poter
recitare con altre produzioni, mentre nulla impediva allo studio
di cedere a terzi la star di sua proprietà».8
Un altro aspetto che iniziò ad essere rigidamente regolato per
contratto era «il diritto all'immagine, che viene ceduto dalla
star in esclusiva alla produzione, mentre quest'ultima può
alienarlo a sua volta, cioè rivenderlo a terzi per fini
pubblicitari o promozionali».9 Tutti questi presupposti si
riscontrano puntualmente nelle condizioni di sfruttamento di una
star come Betty Boop, che in quanto marchio costituisce proprietà
intellettuale dei suoi creatori. Per questo è possibile definire
8 C. Jandelli, Breve storia del divismo cinematografico, op. cit., p. 87.9 Ivi, p. 90.
la star cartoon come la star disciplinata per eccellenza: dopo quasi
novant'anni i Fleischer Studios e l'azienda di syndication King
Features detengono i diritti sull'immagine di Betty Boop e possono
venderli a terzi per il merchandising o per singoli progetti di
marketing.
Nel 2012 Betty Boop è diventata così testimonial per Lancôme,
affiancando la top model Daria Werbowy in uno spot diretto dal
regista Joann Sfar per il lancio del mascara "Hypnôse Star".
Ancora una volta Betty Boop entra in un contesto reale grazie alla
tecnica mista e viene in aiuto della modella, preoccupata di poter
essere considerata solo un'immagine. «All stars have a secret.
Just say it with your eyes» è la risposta che le fornisce la diva,
offrendole il mascara, introdotto nei titoli di testa come un vero
e proprio attore. Alla fine le due donne si allontanano con
complicità e Betty Boop rassicura la Werbowy: «You're a star
now!».
Betty Boop è quindi anche dal punto di vista economico una
star a tutti gli effetti, in grado di proporsi al fandom in quanto
idolo di consumo. Il fan ha la possibilità di avvicinarsi alla
condizione della diva imitandone i consumi e lo stile di vita:
come afferma Dyer riferendosi alle tesi sociologiche di Lowenthal,
«la moda e i concetti di bellezza (fascino/glamour/sex appeal
ecc.) devono essere condivisi da star e fan».10 Anche per una star
cartoon, nonostante la sua atipicità, esistono pubblicazioni
espressamente dedicate al fan, come il libro Betty Boop's Guide to Life,
in cui viene offerta la possibilità di seguire nella vita
quotidiana i suoi consigli di stile e comportamento. La quarta di
copertina recita:
10 R. Dyer, Stars, op. cit.; tr. it Star, op. cit., p. 57.
Betty Boop, that sweet and sexy icon, has had endless
adventures since her big-screen debut in 1930. Now all
of the knowledge that comes from experience as one of
the world’s most popular girls has been distilled into
this guide to life. Every tip is marked by her unique
brand of sass and boop-oop-a-doop personality. As an
added bonus, this book includes a sound chip of her
voice!
Leggendo questo testo, oltre a notare ancora una volta il
ruolo fondamentale della voce iconizzata di Betty Boop nel colmare
il divario dato dalla sua assenza filmica, possiamo rintracciare
tutti i significati sociali che la sua figura intercetta. Termini
tanto discordanti come sweet, sexy e sass possono convivere senza
problemi proprio perché coesistono nella persona della star:
secondo Richard Dyer le star sono infatti in grado di incarnare e
risolvere nella loro immagine il conflitto di ideologie che
caratterizza ogni società. A proposito di Marilyn Monroe dice:
L'unione in Monroe di sessualità e innocenza è parte di
questa corrente, ma si può anche considerare il suo
"carisma" come l'evidente condensazione di tutto questo
in lei. Dunque Monroe sembrava "personificare" le
tensioni che attraversavano la vita ideologica
dell'America degli anni Cinquanta: un'eroica
sopravvivenza alle tensioni o una dolorosa
esposizione.11
11 Ivi, p. 53.
L'affermazione appare particolarmente calzante anche per Betty
Boop, in cui una fortissima carica erotica convive con una certa
ingenuità infantile. Non a caso le due dive sono quasi arrivate a
coincidere nell'immaginario: sul web non è raro imbattersi in fan
che si chiedono se Betty Boop sia ispirata a Marilyn Monroe12
oppure in video fanmade in cui alle immagini di Betty Boop si
affiancano canzoni di Marilyn Monroe. Il merchandising ha
naturalmente sfruttato questa ambiguità diffondendo numerose
immagini di Betty Boop nei panni di Marilyn Monroe (vedi figure 6
e 7).
5. La flapper, il jazz e il tipo sociale
La portata storica e sociale dell'immagine divistica di Betty
Boop non si esaurisce nella tensione tra sessualità e candore.
Quando apparve nel suo primo film Dizzy Dishes (1930, Id.), Betty Boop
era poco più di una comparsa senza nome e aveva perfino le
sembianze di un cane, ma gli attributi principali del suo tipo
sociale erano già tutti delineati. Per illustrare il concetto di
tipo sociale Dyer prende in prestito nel suo saggio la definizione
di Klapp: «un insieme di norme comportamentali istituite e
utilizzate da un gruppo», «un concetto ideale sul modo in cui ci
si aspetta che le persone siano o agiscano».13
Fin dalla sua prima apparizione Betty Boop condivide
nell'abbigliamento succinto, nel taglio di capelli alla maschietta
e nel trucco marcato gli ideali estetici della flapper, di cui
12 https://answers.yahoo.com/question/index?qid=20060618180739AAMFI5113 cit. in R. Dyer, Stars, op. cit.; tr. it Star, op. cit., p. 67.
personifica anche l'indipendenza e il desiderio di
autoaffermazione, inserendosi così all'interno di una tendenza
generale riscontrabile nel cinema di quegli anni. Veronica
Pravadelli descrive le figure femminili protagoniste dei film dei
primi anni Trenta come esempi della New Womanhood, un nuovo
modello di femminilità che ricerca la propria autodeterminazione
soprattutto attraverso il lavoro, la gestione del tempo libero e
un uso disinvolto del corpo e della sessualità.14
Tra i modelli reali su cui gli studi Fleischer costruirono
l'immagine di Betty Boop ci sono infatti numerose personalità del
mondo dello spettacolo a cavallo tra anni Venti e Trenta che
rispondono pienamente alla descrizione: la show girl afroamericana
Esther Jones, le attrici Mae West e Clara Bow e la cantante Helen
Kane, che nel 1932 fece causa agli studi accusando i film con
Betty Boop di concorrenza sleale. La Kane sosteneva che il
personaggio sfruttasse il suo aspetto, la sua voce e la sua
personalità, oltre al famoso motto «Boop-Oop-A-Doop» di cui si
attribuiva la paternità. Il giudice dimostrò che la tecnica di
canto del baby talk era già stata utilizzata precedentemente da altre
cantanti, tra cui la stessa Esther Jones, il cui nome d'arte era
infatti Baby Esther. Perciò Helen Kane perse la causa.
L'immagine di Betty Boop si inseriva quindi in un contesto
storico favorevole e tra il 1930 e il 1934 rafforzò il suo
carattere fino a diventare una star. Subito i titoli di testa
iniziano a riportare il suo nome e in pochi mesi si passa dalla
dicitura «Bimbo & Betty in...» di Bimbo's Express (1931, Id.) a «Betty
Boop and Bimbo in...» di Minding the baby (1931, Id.) fino a «Betty
14 V. Pravadelli, La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano,
op. cit., pp. 51-54.
Boop in... with Bimbo» di Mask-A-Raid (1931, Id.), dove il graduale
processo di antropomorfizzazione è ormai completo e alle orecchie
pendenti da cane si sono sostituiti i grandi orecchini, che
tutelano la coerenza della sua immagine divistica. Da ultimo si
introdusse un breve inserto di Betty Boop a precedere i suoi film,
in cui nella sua mise da diva salutava il pubblico con il suo
«Boop-Oop-A-Doop», finché il suo nome non entrerà a far parte del
titolo dei suoi film, come in Betty Boop's Bizzy Bee (1932, Id.).
Nell'ultimo esempio Betty Boop è la cuoca-cameriera di un
ristorante alle prese con i suoi avventori (tutti uomini): nei
film di questo periodo non è raro che interpreti una working girl o
ancora più frequentemente una show girl, come nel già citato Stopping
the Show, in cui è possibile vederla esibirsi perfino in una
performance camp, nell'imitazione dell'attore e cantante Maurice
Chevalier. Il tipo sociale della new woman è comunque sempre
presente nei film di Betty Boop, anche al di fuori dell'ambito
lavorativo: alla fine di The Bum Bandit, dopo aver sventato la rapina
al treno, il personaggio interpretato da Betty Boop rivela di
essere la moglie del bandito, abbandonata con dieci figli, che
tuttavia è stata in grado di mantenere con le sue sole forze. In
questo caso, come afferma Veronica Pravadelli per Blonde Venus
(1932, Venere bionda), «la funzione paterna non viene solo
marginalizzata, ma dichiarata irrilevante».15
Tuttavia «l'atmosfera restauratrice dei secondi anni Trenta»,16
insieme a una più rigida applicazione delle restrizioni presenti
nel codice Hays che portarono Hollywood ad adeguarsi all'ideologia
promossa dal New Deal, determinò una cesura nell'immagine
15 Ivi, p. 71.16 Ivi, p. 53.
divistica di Betty Boop. Dal 1935 al 1939, quando ne fu
distribuito l'ultimo film, i vestiti della diva si fecero più
castigati e gli atteggiamenti meno provocanti. I molti momenti
visionari presenti nelle pellicole, che potevano essere ricondotti
agli effetti della droga e dell'alcool, cui spesso le canzoni
facevano riferimento, scomparvero.
Il connubio musicale che aveva reso Betty Boop un'icona del
jazz si trasformò: nei film successivi al 1934 la diva per lo più
canta al pianoforte del salotto canzoni con una morale edificante,
come in Be Human (1936, Id.). Le sue principali occupazioni si
svolgono ora in un ambiente protetto, spesso quello domestico, e
nei rari casi in cui si esibisce davanti a un pubblico non è per
lavoro o piacere, ma per sostenere una buona causa e diffondere
valori di compassione e solidarietà verso i più deboli, quasi
sempre animali.
In The New Deal Show (1937, Id.), dove Betty Boop allestisce uno
spettacolo per mostrare quanto sia semplice aiutare gli animali a
risolvere i loro piccoli problemi quotidiani, appare
particolarmente significativa la prima inquadratura, una perfetta
immagine rovesciata del primo quadro di Stopping the Show: nel film
del 1932 il pubblico si precipita di corsa all'interno del teatro
che ospiterà la performance della star, scalando muri e
grattacieli, mentre nel film del 1937 gli spettatori entrano
ordinatamente camminando a tempo di musica.
La Betty Boop degli ultimi anni Trenta appare sempre più
adulta e responsabile: in Sally Swing (1939, Id.) la vediamo nei panni
di una signora impegnata nell'organizzazione di una serata del
circolo cui appartiene e sembra quasi passare il testimone a una
ragazza più giovane che scrittura per un'esibizione di swing.
L'inizio della guerra segnerà alla fine il tramonto della diva.
Nel corso degli anni Cinquanta i cartoon di Betty Boop
iniziarono ad essere trasmessi su emittenti televisive minori e
finirono così per nutrire l'immaginario di quella generazione che
il decennio successivo si sarebbe fatta promotrice di
contestazioni contro l'establishment e i vecchi modi di pensare: essa
trovò nella licenziosità, nell'irriverenza e nell'«eccesso
esibitorio»17 della Betty Boop dei primi anni Trenta, che conteneva
tra l'altro numerosi elementi psichedelici, un riferimento ideale
della protesta e presto la elesse a propria icona.
All'interno del generale revival degli anni Trenta operato da
Hollywood a cavallo tra anni Sessanta e Settanta con film come
Bonnie and Clyde (1967, Gangster Story) e The Sting (1973, La stangata),
Betty Boop continuò a suscitare interesse e in suo onore
iniziarono a essere organizzate diverse rassegne cinematografiche.
Nel 1973 una retrospettiva sul lavoro dei fratelli Fleischer fu
intitolata Betty Boop Scandals, indicando come a distanza di
quarant'anni la sua immagine, ancora densa di carica eversiva,
fosse legata all'idea dello scandalo (vedi figura 8).
La riscoperta della sua New Womanhood la rese in particolare
un simbolo delle rivendicazioni femministe: un poster d'epoca la
vede ritratta nei panni di Rosie the Riveter, personaggio che da
protagonista della campagna per il sostegno femminile allo sforzo
bellico della Seconda Guerra Mondiale attraverso il lavoro nelle
17 Ivi, p. 71.
fabbriche era diventato icona del potere economico delle donne. In
questa versione allo slogan «We can do it!» si sostituisce la
formula «Boop-Oop-A-Doop!», metonimia di tutti quei valori che
l'immagine della diva personificava (vedi figura 9).
Durante gli anni Ottanta la sua immagine conobbe un picco di
popolarità e conquistò una sempre maggiore portata, massimizzando
la sua presenza mediatica fino a diventare icona pop di livello
internazionale. La produzione di merchandising che la riguardava
conobbe in quel periodo un incremento vertiginoso. Il nuovo ruolo
giocato dalle donne rendeva Betty Boop un soggetto capace di
coniugare il desiderio di affermazione sociale con l'esigenza di
conservare la propria femminilità: «she's hard working and fun at
the same time – a true metaphore for the career woman of the
Eighties».18
Tuttavia il suo spirito emancipato e il legame che nel corso
degli anni Sessanta aveva sviluppato con la controcultura la
portarono a intercettare i bisogni di altre categorie che si
riconoscevano nella sua richiesta di libertà e autodeterminazione.
Freddie Mercury, ad esempio, indossò una maglietta che ritraeva
Betty Boop durante il celebre concerto del 1986 al Wembley Stadium
(vedi figura 10), ma Betty Boop diventò anche una delle icone
privilegiate della comunità dei motociclisti in tutto il mondo
(vedi figura 11).
Un'immagine divistica coerente è riscontrabile in tutte queste
declinazioni che, pur nelle loro specificità, non solo ne
conservano la portata ideologica originale, ma la rafforzano
aggiornandola alle nuove dinamiche sociali. Come afferma Edgar
Morin, una star «è merce che non si logora né si deteriora per il
18 Estratto da un comunicato stampa rilasciato dalla King Features nel 1985.
consumo. La moltiplicazione delle sue immagini, lungi dal
danneggiarne il valore, lo accresce».19
La popolarità raggiunta in quegli anni portò non solo alla
produzione di due film per la televisione con Betty Boop per
protagonista, ma all'ultimo ritorno della diva sul grande schermo
nel lungometraggio Who Framed Roger Rabbit (1988, Chi ha incastrato Roger
Rabbit). La partecipazione di Betty Boop si limita a un cammeo, ma
le modalità di costruzione della messa in scena che le vengono
riservate sono quanto mai significative.
Come tutto il film, la sequenza è realizzata in tecnica mista,
che ancora una volta serve lo scopo di accrescere la percezione
del cartoon in quanto persona reale. L'investigatore privato Eddie
Valiant si trova nel locale in cui Betty Boop lavora per svolgere
delle indagini, quando la sua voce ne preannuncia l'ingresso dal
fuori campo: come in uno dei suoi primi film, Just a Gigolo (1932,
Id.), vende sigari e sigarette. In questo caso l'iconizzazione
timbrica della sua voce viene impiegata per ritardare l'accesso
del personaggio al campo del visibile: la voce si rivolge a Eddie
Valiant e solo quando il detective la riconosce il primo piano
della diva può essere mostrato.
La sua immagine è subito distinta da quella di tutti gli altri
cartoon presenti nel film per l'uso del bianco e nero. Con la sua
patina vintage Betty Boop è così contrapposta alla saturazione
cromatica di Jessica Rabbit, il cui ingresso in scena
immediatamente successivo catalizza l'attenzione di tutti i
presenti e ripropone amplificato lo stesso meccanismo teatrale di
anticipazione e dilazione. In questo modo è la messa in scena
19 cit. in C. Jandelli, Breve storia del divismo cinematografico, op. cit., p. 88.
stessa a rivelarci quale di questi due modelli di femminilità avrà
la meglio.
Entrambe le donne sono associate a personaggi maschili
animali, ma mentre Jessica Rabbit è sposata con Roger Rabbit,
Betty Boop si è progressivamente emancipata dalla sua controparte
canina, Bimbo, come il suo stesso processo di antropomorfizzazione
conferma. Entrambe sembrano condividere una forte componente
erotica prossima alla caricatura, ma Jessica Rabbit non possiede
quella dose di autoironia e innocenza che rende Betty Boop
indipendente dal desiderio maschile. Tuttavia, quando Eddie
Valiant le chiede se la donna che si sta esibendo sia veramente
sposata con Roger Rabbit, Betty Boop sospira e risponde: «Yeah.
What a lucky girl». Poi alza la mano per chiudere la bocca
spalancata del detective e abbandona l'inquadratura, uscendo dalla
linea narrativa.
La New Womanhood personificata da Betty Boop sembra così
appartenere al passato, un modello di femminilità vintage per cui
provare nostalgia, qualcosa che poteva avverarsi in un'epoca
diversa ma è stato invece lasciato indietro dalla storia. «Work's
been kinda slow since cartoons went to color» confida al
detective. «But I still got it, Eddie! Boop-Oop-A-Doop-Boop!».
Allora Eddie Valiant sorride con malinconia e conferma: «Yeah. You
still got it».
7. Conclusioni
Betty Boop è tuttora considerata una delle più emblematiche
icone del vintage, nella cui immagine convivono valori e
contraddizioni del Novecento. Nel 1991 lo stilista americano Bob
Mackie «ha reso omaggio a otto leggende del ventesimo secolo nella
sua collezione primaverile»: tra queste l'unico personaggio di
finzione era proprio Betty Boop.20 Nel 1996 il network televisivo
via cavo Arts & Entertainment ha dedicato a Betty Boop una puntata
della propria serie Biography, rendendola la prima star cartoon ad
avere una "biografia" all'interno del programma (vedi figura 12).
L'immagine mediatica di Betty Boop continua quindi a essere
costruita come quella di una star in carne e ossa. Le recenti
dichiarazioni rilasciate dal produttore Simon Cowell a proposito
della prossima realizzazione di un lungometraggio che l'avrà come
protagonista lo confermano: «Betty is an icon, and one of the
biggest stars in the world — I'm thrilled to be working with her.
Betty, I've worked with some serious divas, but I think you could
be the biggest of them all».21 Il produttore si rivolge
direttamente a Betty Boop come se stesse parlando con l'attrice
protagonista del suo film (vedi figura 13).
Oggi l'uso dei social media ha fatto approdare Betty Boop
nell'era digitale per mezzo di account facebook, twitter e
pinterest molto seguiti. Attraverso questi canali il suo status di
diva viene confermato quotidianamente in un dialogo costante con
la contemporaneità. Il 21 agosto 2014 ha potuto così partecipare,
insieme a molte altre star, alla "Ice Bucket Challenge" indetta
20 «Bob Mackie, the designer famous for dressing celebrities onstage and
off, paid tribute to eight 20th century legends in the spring collection he
showed Thursday in New York. Lucille Ball, Grace Kelly, Rita Hayworth, Billie
Holiday and Betty Boop were among the stars spotlighted on the runway, as an
audience including actress Lynda Carter and Ivana Trump looked on.» (Chicago
Sun-Times, 8 novembre 1991).21 http://www.examiner.com/article/simon-cowell-reveals-plans-to-bring-
betty-boop-back-to-the-big-screen
per finanziare la ricerca contro la SLA, coerentemente alla sua
immagine di diva attenta e responsabile comunicata dai film degli
ultimi anni Trenta (vedi figura 14).
Figure
Figura 1. Betty Boop in Poor Cinderella appare pienamente consapevole dellapropria carica divistica.
Figura 2. Cartolina con dedica e autografo di MaeQuestel come Betty Boop.
Figura 3. Cartolina promozionale con Little Ann Littlenei panni di Betty Boop.
Figura 4. Inserto pubblicitario per latournée di Little Ann Little che haPauline Comanor per protagonista.
Figura 5. Inserto pubblicitario per la tournée diLittle Ann Little che mostra la perfetta corrispondenzatra Betty Boop cartoon e Betty Boop "in carne e ossa".
Figura 6. Cartolina con Betty Boop che reinterpreta la famosa scena diThe Seven Year Itch (1955, Quando la moglie è in vacanza).
Figura 7. Bambola da collezione di Betty Boopcome Marilyn Monroe.
Figura 8. Locandina di una retrospettiva del 1973 sui fratelliFleischer.
Figura 9. Poster in cui Betty Boop vieneritratta nei panni di Rosie the Riveter
come simbolo del femminismo.
Figura 10. Freddy Mercury durante il concerto del 1986 al Wembley Stadium.
Figura 12. Copertina del dvd contenentel'episodio di Biography dedicato a Betty
Figura 11. Betty Boop icona dilibertà per i bikers.
Figura 13. Selfie del produttore Simon Cowell in compagnia di Betty Boop.
Figura 14. Betty Boop raccoglie la "Ice Bucket Challenge".