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cristiani nel mondoRivista della CVX Comunità di Vita
CristianaAnno XXVII · Settembre/Ottobre 2012 · Nº 4
Spiritualità ignazianae sacramenti
In questo numero ■ L’Uomo Eucaristico ■ Esercizi spirituali
dicoppia ■ Uno sguardo ignaziano sull’unzione degli infermi
■Un’emozione oltre i confini della Chiesa: Speciale Card.
Martini
Spiritualità ignazianae sacramenti
In questo numero ■ L’Uomo Eucaristico ■ Esercizi spirituali
dicoppia ■ Uno sguardo ignaziano sull’unzione degli infermi
■Un’emozione oltre i confini della Chiesa: Speciale Card.
Martini
Rivista della CVX Comunità di Vita CristianaAnno XXVII ·
Settembre/Ottobre 2012 · Nº 4
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I N Q U E S TO N U M E RO
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Comitato di redazioneMaurizio Debanne (caporedattore)Massimo
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cristiani nel mondoRivista della CVXComunità di Vita Cristiana
d’Italia
1 editorialeSpiritualità ignazianae sacramentidi P. Vincenzo
Sibilio S.I.
5 Spiritualità ignaziana e sacramentiIl Sacramento della
Riconciliazione:festa dell’abbraccio trinitariodi Salvo Collura
8 Spiritualità ignaziana e sacramentiL’Uomo Eucaristico: da un
amore ricevutoad un amore donatodi P. Loris Piorar S.I.
12 Spiritualità ignaziana e sacramentiIl sacramento
sponsaleovvero stare alla presenza dell’altrodi MariaGrazia e
Umberto Bovani,Massimo e Patrizia Ripamonti,Oriana e Luca
Gaspari,Valentina e Massimo Gnezda
20 Spiritualità ignaziana e sacramentiUn sacerdote di oggi si
interrogadi P. Rodolfo E. De Roux S.I.25 Spiritualità ignaziana e
sacramentiUno sguardo ignazianosull’Unzione degli Infermi
di P. Massimo Pampaloni S.I.
30 Spiritualità ignaziana e sacramentiLe ragioni della mia
conversionedi Emmanuel Ofta Yebhoa32 Speciale Card.
MartiniUn’emozione oltre i confinidella Chiesa
In copertina: Battesimo di Cristo di Piero della Francesca
(National Gallery, Londra)
3 Spiritualità ignaziana e sacramentiIl significato reale del
battesimo.Intervista a padre Franco Martellozzodi Maurizio
Debanne
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Sacramento, mistero, simbolo, un unicosenso: segno significante
una realtà che èdietro e che supera il segno stesso; stru-
mento e via per accedere all’incontro con l’Al-tro; mezzo messo
nelle nostre mani di uominiper entrare in relazione tra noi e con
Lui.Ignazio di Loyola, in un periodo di forte conte-stazione e di
messa in discussione dei sacramen-ti nella Chiesa (cfr. la protesta
luterana che poiviene chiamata riforma), non contesta e non
an-nulla la tradizione ma, inserendosi in essa, cercadi
approfondire il senso, di ridare valore e vigo-re ai sacramenti al
di là dei riti e delle stratifica-zioni culturali addensatesi su di
essi.A Manresa, a cui bisogna sempre riandare percomprendere il
“nostro modo di procedere”,Ignazio racconta di aver avuto
un’esperienza
particolarissima: “ascoltando un giorno la Messanella chiesa del
convento, alla elevazione del Cor-po del Signore, vide con gli
occhi interiori come deiraggi bianchi che scendevano dall’alto.
Questo fe-nomeno, dopo tanto tempo, egli non lo sa ricostrui-re
bene; ma ciò che allora comprese con tutta chia-rezza, fu percepire
come era presente in quel san-tissimo sacramento Gesù Cristo Nostro
Signore”.(Autobiografia, 29).Sempre nell’Autobiografia, al n. 93 ci
parla del-l’ordinazione presbiterale “ad titulum pauperta-tis”
insieme con gli altri compagni che non era-no sacerdoti. La stima
profonda di questo sacra-mento e del servizio che ne deriva sta
proprio inquel “ad titulum paupertatis”: in un tempo incui spesso
l’essere ordinati preti era una questio-ne di prestigio e di
realizzazione umana, Ignazio
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 1
E D I TO R I A L E
Spiritualità ignazianae sacramentiDI P. VINCENZO SIBILIO
S.I.
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EDITORIALE
2 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
ritorna alle origini e intuisce che, per il serviziodel Vangelo
e dello Spirito e per una vera rifor-ma della Chiesa, è necessario
essere poveri cosìcome Gesù ha voluto per i suoi Dodici.Colpisce
ancora di più la sua decisione, descrit-ta in Autobiografia 96,
che, “una volta sacerdote,sarebbe rimasto un anno senza celebrare
la messaper prepararvisi meglio e per pregare la Madonnache lo
volesse mettere con suo Figlio”. Egli è con-sapevole del dono
ricevuto e della santità richie-sta nella celebrazione del
sacrificio eucaristico.Quando finalmente, dopo un lungo periodo
dipreparazione, celebrerà la sua prima messa ilgiorno di Natale del
1538, nella Cappella delPresepe a S. Maria Maggiore in Roma, sarà
talela gioia che non potrà raccontarla a nessuno mache noi possiamo
comprendere dal modo e dal-lo stile con cui celebrerà in genere la
Messa edalle grazie e favori che fortunosamente trovia-mo accennati
nel diario spirituale.Nel cammino degli Esercizi, Ignazio
dedicheràmolto tempo a parlare della Confessione divul-gandosi a
distinguere anche i peccati mortali equelli veniali, sottolinea
l’importanza dellaConfessione Generale (che egli ha sperimenta-to,
nel suo cammino di pellegrino, a Monserrat)e suggerisce
l’importanza dell’esame di coscien-za come via per cantare le
meraviglie di Dio ecome mezzo per riconoscere tutte le non
rispo-ste d’amore che noi diamo a tanto Amore.Grazie alla sua
esperienza spirituale, Ignazio,nella formula instituti dirà che la
Compa-gnia di Gesù è istituita “ per la difesa e propaga-zione
della fede e del progresso delle anime nella
vita e nella dottrina cristiana e ciò mediante… laconsolazione
spirituale dei credenti con l’ascoltar-ne le confessioni e con
l’amministrazione degli al-tri sacramenti…” e, reagendo alla prassi
allora inuso, tanto da creare “scandalo”, raccomanderànon solo ai
suoi compagni nelle costituzionidella compagnia di gesù ma anche ai
laicila confessione e la comunione frequenti.L’amore di Ignazio per
i sacramenti e l’impor-tanza di essi nella nostra vita e nel “modo
diprocedere” (anche della CVX), ci ha spinti a de-dicare questo
numero quasi esclusivamente adun approfondimento dei sacramenti.
Voluta-mente, accanto a riflessioni profonde e autore-voli, abbiamo
inserito qualche testimonianza.L’obiettivo è offrire al lettore il
desiderio non so-lo di saperne di più ma di sperimentare di più
laforza e la grazia di questi mezzi che ci sono statiofferti dal
Signore e che, insieme con la fre-quentazione amorevole e cordiale
della Sua Pa-rola e il servizio al povero, sono via privilegiataper
il nostro incontro con Lui e per rafforzare ilnostro amore.Un
grazie particolare a Maurizio Debanne perla memoria che ci offre
del Cardinale Carlo Ma-ria Martini morto venerdì 31 agosto scorso.
Pernoi gesuiti e per tutta la famiglia ignaziana,Martini è stato un
formatore e un esempio, in-carnando quel “modo di procedere” che
Ignaziodescrive nelle Costituzioni: un uomo profonda-mente
innamorato di Gesù che ricerca costan-temente, attraverso la
lettura e lo studio dellaSua Parola, la prossimità amorosa ai più
poveri,l’eccellenza del servizio alla Santa Chiesa di Dio.Io ho
avuto la grazia di conoscerlo personal-mente sin dal secondo anno
del mio Noviziatoe l’ultimo incontro è avvenuto due anni fa
aGallarate: egli, già divorato dal Parkinson, pie-no della sua
dignità e profondamente lucido,con il suo sorriso timido e sincero,
con grandesemplicità, ha ripreso un colloquio con me co-me tra
fratelli interessati entrambi alla sorte del-la loro Madre, la
santa Chiesa alla quale ha de-dicato tutta la sua passione.
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La sfida che ci pone il sacramento del bat-tesimo «è capire come
legare l’acqua santaalla vita reale». P. Franco Martellozzo,
ge-
suita missionario in Ciad da oltre quarant’anni eoggi vicario
del Vicariato apostolico di Mongo,ritorna più volte su questo
punto. «L’utilizzodell’acqua non può ridursi ad un gesto
rituale,bensì deve diventare una pratica di vita che ap-porta
qualcosa di positivo nella comunità».
Puoi farci un esempio?In un villaggio il mio predecessore aveva
co-struito, pagando di tasca propria i lavoratori,delle dighe per
poter alimentare dei pozzi che sierano seccati. Dopo un po’ che lui
si era trasfe-rito, le dighe si sono rotte e i pozzi non ci han-no
messo molto a prosciugarsi. Quando sonoarrivato io, la comunità si
aspettava che pagassidelle persone per riparare le dighe.
Cosa è successo?Semplice: gli ho detto chiaramente che l’acquala
bevono loro e dunque era compito loro ripa-rare ciò che si era
guastato. Da parte mia potevogarantire un’assistenza tecnica.
Comprensibile. Ma non vedo il collegamentocon il sacramento del
battesimo…Proprio in quel periodo stavo portando avantinello stesso
villaggio il ritiro dei battesimi aduna ventina di ragazzi tra i
quindici e i ventianni. Nei nostri incontri li facevo riflettere
sucome potevano manifestare al villaggio che ilbattesimo aveva dei
riflessi concreti nella lorovita reale e non solo spirituale. Il
frutto del lorodiscernimento è stato incredibile: hanno decisodi
riparare le dighe che si erano rotte. Io, comepromesso, ho fatto la
mia parte prestando loromazze, picconi e cariole. L’acqua è così
tornataad alimentare di nuovo i pozzi e la gente del vil-laggio ha
constato che il lavoro caritativo diquesti giovani è stato di
beneficio per tutti.Da questo esperimento abbiamo elaborato
unsistema di catechesi che, a cominciare dai piùpiccoli, parte dal
risveglio della fede e dall’im-pegno a collaborare per il Creato di
Dio, adesempio piantando alberi.
Questo in Ciad è molto più semplice, il con-tatto con la natura
è reale.In Italia potreste fare in un altro modo.
Quale?Ad esempio la parrocchia del mio paese (Cam-posampiero in
provincia di Padova, ndr) orga-nizza giornate di pulizia cittadina
in cui ragazzie meno giovani tolgono la sporcizia dalle
strade.L’importante è cominciare dai bambini. Noiprima gli
chiediamo di piantare e curare il loroalbero personale, in seguito
di coltivare un ortoe infine di piantare alberi non più per se
stessima per la collettività. Questa è la nostra cate-chesi che
affronta anche il problema della salu-te. Così il ragazzo arriva al
battesimo già impe-gnato a cambiare la società.
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 3
Il significato reale del battesimo.Intervista a padre Franco
MartellozzoDI MAURIZIO DEBANNE
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SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
4 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
Quante persone hai battezzato?Tante, ma il numero non conta.
Il caso più significativo?È successo cinque anni fa. Dopo aver
sposatoun uomo cristiano, una donna musulmana è ve-nuta da me
chiedendomi se potevo aiutarla aconoscere meglio la fede del marito
per viveremeglio l’intesa familiare. Dopo tre anni di cate-cumenato
è stata battezzata. Suo fratello, inte-gralista islamico, non ha
digerito la conversio-ne. È andato a protestare al Consiglio
islamicodi N’Djamena, la capitale del Ciad, che haaperto
un’inchiesta. Sentite le parti, il Consi-glio, che da noi è molto
più aperto di quelli neipaesi arabi, ha dato ragione alla donna e
torto alfratello che è stato sgridato “per aver tentato
didistruggere una coppia che funziona bene”.
Come si svolge il rito del battesimo nel Vica-riato apostolico
di Mongo?Non viene mai battezzata una persona da sola.La cerimonia
avviene sempre la notte del sabatosanto e prevede la benedizione
del fuoco davan-ti alla chiesa e una processione. Le donne
dan-zando trasportano l’acqua in delle anfore men-tre il sacerdote
instaura un dialogo con i catecu-meni in cui può intervenire
chiunque dellacomunità per dare consigli. Quando esconodalla
Chiesa, i neo battezzati vanno a casa pervestirsi di bianco,
ritornano in processione coni loro padrini e madrine e alla fine
ricevono l’o-lio. È una grande festa per la comunità.
P. Franco Martellozzo benedice un pozzo realizzato grazie al
contributo del MAGIS, ong dei gesuiti italiani.
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SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 5
«Occorre che tutta la Chiesa, mediantela sua martyria, la sua
leiturgia e lasua diaconia, sia per il mondo sacra-
mento, cioè segno e strumento, di riconciliazione;e che tutto
ciò che essa è e crede, testimoni e rendapresente, nello Spirito
Santo, l’annuncio della ricon-ciliazione che Dio ci ha donato in
Cristo Gesù.»1
Così, tra il 1982 e il 1983, la Commissione Teo-logica
Internazionale (CTI), presieduta dal Card.Kasper, concludeva il
documento che aveva pertitolo: “La Riconciliazione e la Penitenza”,
prepa-rato in vista del Sinodo dei Vescovi di quell’anno.Il
documento, nonostante il tempo trascorso,rappresenta ancora un
ottimo riferimento perl’approfondimento del tema oggetto di
quest’ar-ticolo e un buon punto di partenza per la corret-ta
comprensione delle note ufficiali successiva-mente pubblicate.Le
poche righe del presente articolo certamentenon basteranno a dare
ragione della natura delSacramento della Riconciliazione. In tal
senso,il breve brano sopra citato mi permette almenodi precisare
alcune coordinate, non avendo pre-tesa alcuna di completezza ed
esaustività.La questione fondamentale che il documentodella CTI si
proponeva e che rimane, tuttosommato, identica oggi potrebbe essere
cosìriassunta: «In che modo è possibile rinnovare eribadire la
bellezza di questo strumento di gra-zia, non solo nelle sue
caratteristiche più estrin-seche ma già nell’atteggiamento
interiore a par-tire dal quale lo proponiamo e lo
celebriamo»?Iniziamo da qui. Ogni approfondimento, delresto, impone
una prospettiva di partenza, una“domanda”, che si costituisca, essa
stessa – pale-sandosi o meno non importa – come principiodella
successiva trattazione.Procedendo, allora, dall’osservazione del
conte-sto globale attuale, non possiamo non notareche il diritto
alla privacy si erge a valore presso-ché inderogabile e la
mediazione ecclesiale,espressa in questo Sacramento dal Sacerdote
chelo concelebra con il Penitente, viene, nella pras-si, quantomeno
misconosciuta.
Lavoro nell’ambito della pastorale giovanile daqualche tempo:
non temo smentite quando pre-ciso che, tra i ragazzi, non esiste
percezione al-cuna della necessità di questa mediazione, anzi,ogni
tentativo di ribadirla viene quasi sistemati-camente “bollato” come
invasione di uno spa-zio considerato privatissimo.E non sono rari –
anzi… – i casi di fedeli che,nonostante la conoscenza dei contenuti
essen-ziali della Tradizione della Chiesa e dell’orto-prassi legata
a questo sacramento, non esitanoad accostarsi all’Eucarestia in
modo, diremmo,almeno, “improprio”.Bene: è possibile che la
situazione attuale nonsia semplicemente il frutto di una catechesi
ap-prossimativa, di una formazione cristiana lacu-nosa, ma esprima
una esigenza di fondo quan-tomeno interessante?Il Nuovo Rito,
promulgato nel 1973, costò set-te anni di faticosa elaborazione.
Rispetto ai pre-cedenti, sottolinea la dimensione ecclesiologicae
trinitaria del Sacramento in maniera eminen-te, sin dai quaranta
praenotanda che lo introdu-cono, in una linea essenzialmente
storico-salvi-fica. Il titolo di “Riconciliazione” spazza viaogni
apparente “riduzionismo accusatorio” edevidenzia il protagonismo
della grazia molto piùdei certamente noti, ma logori, “Confessione”
e“Penitenza”.Le due tipologie rituali prevalentemente prati-cate,
quella individuale e quella comunitariacon confessione e
assoluzione individuali, han-no in comune una particolare
attenzione e curapersonale del Penitente, il quale è,
innanzitutto,accolto. Ampio spazio viene poi lasciato alla let-tura
della Parola di Dio, mentre più ridimensio-nata rispetto al passato
pare l’importanza accor-data alla “confessione dei peccati” vera e
pro-pria, sebbene proprio i peccati commessi restinola materia del
Sacramento, e all’ “imposizionedella soddisfazione” (comunemente
chiamatapenitenza). Registriamo, così una grande di-stanza dalla
prassi del XVI e XVII secolo cheavevano dedicato pagine e pagine di
riflessione
Il Sacramento della Riconciliazione:festa dell’abbraccio
trinitarioDI SALVO COLLURA
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teologico-pastorale alle casistiche e alle classifi-cazioni dei
peccati, con addirittura l’indicazio-ne delle opportune
soddisfazioni!Proseguendo, momento conclusivo del rito
èl’assoluzione, seguita dal rendimento di grazie(o, nella
celebrazione comunitaria, dalla bene-dizione) e dal congedo.Se,
quindi, da un lato, in continuità con la Tra-dizione, notiamo
l’esigenza della contrizione delPenitente, cioè del suo percepire
la colpa cometale e rattristarsene, e una certa attenzione
alladimensione giudiziale dell’assoluzione, nonpossiamo non
scorgere, però, i segni di una verae propria “svolta
antropologica”: il peccato de-termina una frattura nella storia del
penitente euna ferita nella comunità degli uomini, in oriz-zontale,
e nel rapporto tra l’uomo e Dio, in ver-ticale. A tale rottura si
oppone, per mezzo delSacramento della Riconciliazione, l’intera
storiadella Salvezza e l’accorata preghiera della Chie-sa, che
accompagnano il Penitente nella celebra-zione e lo inducono ad
uscire fuori dalla consi-derazione che il peccato assuma rilevanza
soloin ordine al personale rapporto con Dio. Sin dalVI secolo,
infatti, sin da quando, cioè, la prassidella confessione auricolare
si diffuse in Europaad opera del monachesimo irlandese, la
dimen-sione ecclesiale di questo Sacramento andò viavia perdendosi
e l’iniziale attenzione alla perso-na sfociava in forme di
individualismo più omeno accentuate.La Chiesa entra a pieno titolo
nella celebrazionedel Sacramento perché, oggettivamente, è partein
causa. Il peccato non è un reato di “lesa mae-stà” nei confronti
della Chiesa. Piuttosto essoimpedisce il costituirsi e il
manifestarsi di quelRegno di Amore incondizionato e libero, che èla
Chiesa: il peccato è frutto di una dolorosa fe-rita primigenia, da
cui scaturisce una inclinazio-ne al male che resta, in qualche
modo, presentenell’uomo come segno della sua fragilità e chelo pone
costantemente a dipendere dal suoCreatore e dal Suo Amore. Ciò è
vero tanto inrelazione al peccato d’origine quanto alle strut-
ture di peccato che precedono il nostro stessovenire alla luce e
che condizionano senza che cene accorgiamo ogni nostra percezione e
ogninostro giudizio.Inoltre, la pace nuova che il sacramento
inaugu-ra nella vita del Penitente lo inserisce ancora
piùradicalmente nell’escatologico “abbraccio trini-tario”,
attraverso il dono rinnovato della pienez-za della vita divina
traboccante nell’intera crea-zione.In ultima analisi, il sacramento
della Riconcilia-zione è la “festa dell’abbraccio” che lega il
Padreal Figlio attraverso lo Spirito. Abbraccio nelquale anche noi
siamo inseriti, per mezzo dellaMorte e della Resurrezione di Cristo
e dell’espe-rienza battesimale – che di quella Morte e
Re-surrezione è segno – dalla quale noi stessi rina-sciamo come
creature nuove.
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
6 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
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In Gesù di Nazaret inchiodato sulla Croce, ilPadre scorge ogni
uomo, ogni peccatore. La SuaMorte e la Sua Resurrezione si fanno
per noistrumento di Riconciliazione. Il Padre che guar-da all’uomo
peccatore vede, innanzitutto, SuoFiglio: attraverso la Sua
Incarnazione nulla piùci separa dalla vita di Dio.Se la “festa
dell’abbraccio” è l’esito della nostra“felix culpa”, occorre
davvero prestare attenzio-ne al sapore, tutto orientale, che
accosta alla di-mensione giudiziale del Sacramento della
Ri-conciliazione, un carattere essenzialmente “tera-peutico”: il
peccatore è l’ammalato, il ferito, e lagrazia medicinale che lo
guarisce è somministra-ta dalla Chiesa, per mezzo del Sacerdote,
attra-verso il Sacramento della Riconciliazione. Mu-tuo dalla
prospettiva teologica ortodossa questaimmagine tipica di molti
autori tra cui Nicode-mo l’Aghiorita nel suo Exomologhêtárion2.Non
è soltanto, quindi, per l’adempimento diuna prassi giudiziale che
si ricorre al Sacerdote –sebbene l’ammissione di coincidenza tra sé
el’autore della colpa commessa sia già buon prin-cipio di
guarigione –, ma anche – forse, soprat-tutto – per ottenere la
somministrazione dellagiusta medicina, del giusto rimedio, che sana
ciòche è malato e lava ciò che è sporco. Tale rime-dio non sarà,
però, determinato in ultima istan-za dalla sola “soddisfazione
della pena” quantopiuttosto già dall’azione di grazia dello
Spirito,che muove verso la Riconciliazione, con noi lacelebra e ci
restituisce nuovi alla vita di Dio.E, come per l’intera Chiesa,
così per ogni singo-lo penitente, attraverso la personale e
singolaretestimonianza (martyria), resa a mezzo della ce-lebrazione
del Sacramento della Riconciliazione(leiturgia), è possibile
tornare ad un servizio(diaconia) pieno ed autentico, ravvivato
dallafiamma stessa dell’Amore di Dio, dal cui “ab-braccio” nulla ci
sottrae.La citazione di apertura, “non secondaria” inimportanza
rispetto a quanto la precede, sichiude auspicando che la Chiesa
testimoni e at-tualizzi, renda, cioè, presente, in tutto ciò che
è
e che crede, questo “abbraccio” trinitario dalquale è avvolta e
che a nessuno è precluso, per-ché, appunto, già pienamente attuale
in CristoGesù, Crocifisso e Risuscitato dal Padre, vivo eoperante
nelle Sue Membra attraverso la pienez-za dello Spirito che ha
lasciato a noi per condur-ci, in esodo, verso il Suo ultimo e
definitivo av-vento, alla fine della Storia.Possa questo auspicio
realizzarsi sempre più pie-namente nella vita delle nostre comunità
fino ariconoscerle realmente come segno in terra del-la Vita Eterna
concessaci, sin d’ora, in abbon-danza.
1 Commissione Teologica Internazionale, La Riconciliazionee la
Penitenza, in «La Civiltà cattolica», 135, 1/1984, p.72.2 Ottimo
testo per l’approfondimento della questione nell’OrienteCristiano,
al di là della semplice immagine qui offerta: Nicodemol’Aghiorita,
Exomologhêtárion, Venezia 1868.
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 7
In ultima analisi, il sacramento della Riconciliazione è
la“festa dell’abbraccio” che lega il Padre al Figlio attraverso lo
Spirito.
Abbraccio nel quale anche noi siamo inseriti,per mezzo della
Morte e della Resurrezione di Cristo
e dell’esperienza battesimale
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21 settembre 2012, Buenos Aires. Con una de-legazione di ragazzi
italiani siamo al primo con-vegno mondiale del MEG. Tra canti,
esperienzeda tutto il mondo, celebrazioni, abbiamo iltempo di
condividere quale sia lo specifico, laparticolare attenzione del
MEG (MovimentoEucaristico Giovanile). Da Taiwan all’Argentina,dal
Cile alla Francia, dal Congo al Libano finoad arrivare a noi, lo
specifico chiaramente rico-nosciuto è l’eucaristia.In questi giorni
focalizziamo la dimensione del-l’eucaristia attraverso tre
dimensioni particolari.
La dimensione sacramentale. L’eucaristia vis-suta nella
celebrazione è al centro della nostravita cristiana. La
comprensione del sacramentoe la partecipazione a questo sono due
aspettistrettamente legati tra loro. Infatti, attraversouna
partecipazione attiva e consapevole, ogni
persona può comprendere meglio il significatodi quello che
celebra per se stesso e per gli altri.La maggior comprensione del
sacramento per-mette poi di viverlo meglio.
La dimensione esistenziale. L’eucaristia non èuna dimensione che
termina nella celebrazione,bensì siamo invitati a viverla nella
nostra quoti-dianità. Per aiutarci a ricordare questa dimen-sione,
nel MEG, si è soliti dire: ”vivere la messa24 ore su 24”. La nostra
giornata può così di-ventare una continua offerta al Signore di
quel-lo che viviamo: relazioni, studio e lavoro, usodel tempo e
l’uso dei nostri beni. In questi am-biti di vita possiamo vivere lo
stile di amore eservizio che accogliamo nella celebrazione
euca-ristica. Con questa espressione facciamo la pri-ma intuizione
di Ignazio di Loyola nel “cercaree trovare Dio in tutte le
cose”.
8 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
L’Uomo Eucaristicoda un amore ricevuto ad un amore donatoDI P.
LORIS PIORAR S.I.
-
La dimensione progettuale. Attraverso il MEGsi propone al
bambino, ragazzo e giovane di di-ventare simile a Gesù, colui che
ha dato tutto sestesso per amore. Proporre questo cammino
si-gnifica seguire le indicazioni che il Padre Kol-venbach, ex
Superiore Generale dei Gesuiti,diede in occasione della festa dei
40 anni delMEG: “Per il MEG l’unico Progetto-Uomo cheha vero
valore, che non illude, è l’ “uomo eucari-stico”. Cioè un cristiano
che vive, che fa propri isentimenti, le scelte che Gesù vive ogni
volta che“spezza il pane”, che sceglie come unico mododi vivere lo
stile di vita scelto da Gesù nell’Eu-caristia”. Questo progetto di
uomo nel MEG sichiama Progetto Uomo Eucaristico (P.U.E.).
Il brano dei discepoli di Emmaus (testo fonda-tivo del MEG) in
Lc 24,13-35 esplicita in ma-niera particolare la figura di Gesù
Eucaristia.Ripercorrendo nella lettura il testo lucano ci sipuò
facilmente accorgere come l’incontro diGesù con i due discepoli
rappresenta una vera epropria celebrazione eucaristica, Gesù “si
spezzaper noi” non solo in un particolare momentocenando con i
discepoli ma nel corso di tutta larelazione con loro; è quindi il
modo tipico diGesù d’incontrare l’uomo e c’invita a
compierealtrettanto con i nostri fratelli che il Signore cipone
accanto.
La liturgia, infatti, è costituita come tutti sap-piamo
essenzialmente da quattro momenti cheriprendono esattamente le 4
situazioni fonda-mentali del racconto di Emmaus: la convoca-zione
dei fedeli, la liturgia della parola, la litur-gia eucaristica,
l’invio dei fedeli. Questi 4 mo-menti ci indicano 4 caratteristiche
di Gesù chesi desidera gustare ed interiorizzare per poi met-tere
in pratica nella vita quotidiana: egli è Uo-mo di Ascolto, Uomo di
Relazione, Uomo diComunione, Uomo di Testimonianza.Da Lui si riceve
questo Amore, con Lui si desi-dera ripartire per donare l’Amore
ricevuto, per-ché l’Amore ricevuto riparte sempre da noi.
Uomo di Ascolto. In Luca 24,13-24, Gesù siavvicina ai discepoli.
Sono tristi e delusi per tut-to quello che è successo a
Gerusalemme, le lorosperanze sono svanite e ritornano alle loro
case,a Emmaus. Gesù si avvicina, cammina con lo-ro, li ascolta, li
lascia esprimere le loro sofferen-ze, le loro delusioni, accoglie
la loro vita, li riu-nisce così come aiuta noi a vivere la
celebrazio-ne eucaristica in questa prima parte.Gesù, ascoltandoci
si mostra così come un uo-mo che sa fare silenzio, sa accogliere,
sa dare unarisposta …
È Uomo del Silenzio. Non c’è possibilità diascolto autentico se
non si impara a fare silen-zio. Esso è presenza e ricettività nei
confronti dise stessi e del proprio mondo interiore, di Dio edella
sua parola, dell’altro e del mistero della suaunicità e
individualità. Ogni parola, se non èfondata sul silenzio, può
rischiare di trasformar-si in rumore, di svuotarsi di significato.
Il silen-zio al quale vogliamo fare riferimento è lo stessodi Gesù
che si accosta ai due discepoli di Em-maus e si dà un tempo per
accogliere le loro de-lusioni, il loro scoraggiamento, le loro
paure.
È Uomo di Accoglienza. Solo il passaggio dalpossesso al dono fa
veramente crescere l’amore.Gesù è colui che sa accogliere senza
pregiudizi,
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 9
L’eucaristia non è una dimensione chetermina nella celebrazione,
bensì siamo
invitati a viverla nella nostra quotidianità.L’eucaristia è il
luogo in cui riscoprire
l’Amore folle di Dio per noi.
-
con apertura massima nei confronti di qualun-que diversità,
chinandosi, se ce n’è di bisogno,senza aspettarsi nessun
tornaconto… Accettaredi seguirlo è mettersi sulle sue orme e aprire
lebraccia ai nostri fratelli, capire che la nostra vi-ta, la nostra
felicità non è nel prevaricare qual-cuno ma nell’accoglierlo,
esercitando con tuttil’atteggiamento della simpatia a priori (una
del-le regole d’oro del cammino MEG e si rifà al-l’intuizione
originaria di Ignazio di Loyola,quando all’inizio del libro degli
esercizi invital’esercitante ad avere fiducia nell’uomo, a
ricer-care innanzitutto la bellezza e la positività neigesti e
nelle parole dell’altro).
È Uomo di Risposta. Dopo aver fatto silenzio,dopo avere aperto
il cuore e la mente all’acco-glienza di Dio e dei fratelli, ora
giunge il tempodella risposta che non può essere altro che
unanostra presenza concreta, forte ed esplicita nelmondo che
abitiamo. Una presenza che parli diamore, di vicinanza, di stile di
vita “altro”, digrande umanità. La stessa risposta che Gesù of-fre
ai due di Emmaus scegliendo di camminareaccanto a loro; la stessa
risposta che noi ricevia-mo da Cristo nell’Eucaristia.
Uomo di Relazione. Dopo averci convocato ilSignore nella
celebrazione dona alla nostra vitauna prospettiva nuova, la
possibilità di vedere lecose, l’esistenza in maniera differente. È
la litur-gia della Parola. Analogamente al testo lucanoin cui Gesù
comincia a parlare, aiuta i discepolia comprendere la storia (Lc
24,25-29); inizia acosì a stabilire una relazione che crescerà
sem-pre più fino a dare se stesso, prima nello spezza-re il pane
per loro e poi nello scomparire invi-tando così i discepoli a
cercare la sua presenzanella comunità, nelle relazioni vere tra
loro econ i più bisognosi. In questo modo Gesù in-contra l’uomo (e
lo incontra in molti modi di-versi a seconda della nostra
situazione di vita…)dandogli fiducia, rimanendo con lui, fedele,
no-nostante la fragilità e debolezze dell’uomo.
È Uomo di Incontri. Dio sceglie di camminare,in Gesù, sulle
strade dell’uomo, di entrare inuna realtà caratterizzata dalla
debolezza e dalla epovertà, facendosi a sua volta debole e
povero.Allo stesso modo di Gesù, per noi, essere Uomi-ni e donne di
Eucaristia, significherà innanzitut-to andare incontro agli altri e
farci, a nostra vol-ta, loro compagni di strada. E in questo
nostrofarci vicini, porremo una speciale attenzione afarci
conoscere così come siamo, senza indossa-re maschere, ad avere cura
e rispetto per le sen-
sibilità e le storie di ciascuno, a mantenere unatteggiamento
sempre aperto nei confronti dicoloro che incontreremo lungo la
via.
È Uomo di Fiducia. Gesù stesso ci offre l’unicabuona ragione per
fidarci degli altri sempre e“nonostante tutto”; e, cioè, il fatto
che Egli perprimo si è fidato di noi, ha messo tutta la sua vi-ta
nelle nostre mani, ci ha voluto rendere parte-cipi del progetto di
salvezza che il Padre ha pertutti gli uomini.Gesù si fida di noi e
ci affida sempre qualcunodi cui prenderci cura e al quale dare, a
nostravolta, tutta la nostra incondizionata fiducia. Èuna sfida che
può darci la misura della nostraconcreta capacità di amore.
È Uomo di Fedeltà. Nella Bibbia, uno degli at-tributi principali
di Dio è quello di essere fede-le. L’amore e la parola di Dio, una
volta dati,non vengono mai revocati. Gesù, garante dellafedeltà del
Padre, arriverà, per fedeltà, a dare lapropria vita per l’uomo e
nell’istituzione del-l’Eucaristia, nel Pane e nel Vino, noi abbiamo
lacertezza che Cristo rimane vicino all’uomo sem-pre e per
sempre.L’amore senza fine di Dio rende anche noi capa-ci di amare
nella stessa maniera. Solo in questoorizzonte esiste la possibilità
di resistere di frontealle prove, ai cambiamenti, alle debolezze.
Soloin questa prospettiva in cui l’altro viene per pri-mo, che è la
prospettiva eucaristica, è possibilepronunciare senza paura la
parola “per sempre”.
Uomo di Comunione. Nella liturgia eucaristica,il Signore
condivide la sua vita con noi e ci ren-de così tutti fratelli,
facenti parte di un unicocorpo, e ci invita a fare altrettanto.Si
unisce a noi e ci mostra l’unico modo per en-trare veramente in
comunione con gli altri: darela vita e invita gli altri a darsi la
vita reciproca-mente (Lc 24,29-32). In questo momento così in-tenso
Gesù si mostra capace di dire grazie per tut-to e tutti quelli che
ha ricevuto, diviene propriocosì capace di spezzarsi, di spezzare
il pane che èlui, per costruire così l’unità tra noi e con Dio.
È Uomo che Dice grazie. Gesù è l’uomo del“grazie”. Innumerevoli
sono le occasioni, du-rante la sua vita, in cui riconosce il suo
legamecon Dio, la necessità della relazione con Lui, ilbisogno di
esprimergli gratitudine per la Suaamorevole presenza. E dire
“grazie” è l’interrut-tore che accende la scintilla della
comunione.Sappiamo che “Eucaristia” significa “rendimen-to di
grazie” (Lc 22, 19). Nella gratitudine, nel
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
10 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
-
sapere “dire-bene” (benedizione) si situa il piùalto grado
dell’amore. Perché essa è possibile so-lamente se siamo capaci
(come Gesù lo è) di ac-corgerci dell’altro e della sua presenza e
di rico-noscerla come importante e vitale per noi.
È Uomo che Spezza il pane. Il momento in cuiGesù spezza il pane
è il momento in cui Egli cicomunica tutto sé stesso e tutta la sua
stessa ca-pacità d’amore. Gesù, figlio di Dio, si fa pane,si
spezza, si fa fonte di vita, e si dona perchéquanti lo accolgono
possano a loro volta farsipane e spezzarsi per gli
altri.Riconoscere Gesù in quel pane significa accet-tarlo come
norma di comportamento della pro-pria esistenza.
È Uomo che Costruisce l’unità. Il doppio signi-ficato
dell’espressione ‘fare la comunione’ espri-me bene il legame che
c’è tra partecipazione allacelebrazione eucaristica, in cui si
consumanopane e vino consacrati, e la comunione tra lepersone.
L’unità “secondo Dio” è proprio quellache è scaturita dall’evento
pasquale. È l’unità inCristo che, dopo la sua morte e risurrezione,
siè già realizzata e che noi possiamo riconoscere onegare: non per
questo sarà meno vera e presen-te nella storia.Le nostre scelte e i
nostri atteggiamenti, però,possono contribuire a rendere visibile
questomistero e, perciò, è nelle nostre mani la possibi-lità di
scegliere, giorno dopo giorno, con ogninostro comportamento, in
qualsiasi nostro ge-sto di testimoniare la bellezza e il
significato del“costruire” unità intorno a noi, nei nostri
am-bienti, nelle nostre relazioni ma anche – o me-glio, soprattutto
– dentro noi stessi
Uomo di Testimonianza. La celebrazione euca-ristica “si
conclude” con l’invio, è il momentofinale della Messa in cui il
Signore ci invita, co-me comunità, ad andare ad annunciare e a
rac-contare agli altri l’esperienza d’amore che abbia-mo vissuto.
Anche nel testo lucano, il Signorepur non essendo presente più
fisicamente, bensìnei loro cuori e nel pane spezzato, li invita
adandare a raccontare questa esperienza meravi-gliosa agli altri, a
raccontare chi è Gesù. Ora es-si hanno il coraggio di ritornare a
Gerusalem-me, la città della morte che ritorna a diventarela città
della pace, della vita, in cui testimonia-re, quello che Gesù
stesso ha testimoniato a noi:Dio è più forte delle nostre morti,
delle nostreoscurità, egli riempie del suo amore attento esincero i
vuoti della nostra esistenza e c’invita atestimoniarlo agli
altri.
Gesù invita a partire per vivere la gioia di un in-contro
rinnovato, per poter raccontare agli altriquello che si vive,
camminando nel mondo.
È Uomo che Vive la gioia. Chi ha incrociato ilSignore sulla sua
strada è inevitabilmente abita-to da un sentimento di gratitudine e
di gioiache si comunica contagiosamente a tutti coloroche lo
circondano e che lo incontrano. In altreparole potremmo dire che la
gioia è un “sinto-mo” di questo incontro, la misura
dell’autenti-cità della nostra fede.Su questa certezza si
costruisce anche la nostravita che, pur non essendo esente da
difficoltà,avvenimenti dolorosi e tristi, in Cristo e nellasua
resurrezione trova ragione anche al misterodella sofferenza.
È Uomo che Racconta ciò che vive. È possibiletestimoniare che
Cristo è risorto e vivo, solo seè risorto e vivo nella propria
vitall testimone è colui che ha incontrato il Signore,è stato con
lui e questo “stare con Lui” gli ha ac-ceso il cuore e ha
illuminato la sua vita. La gioiache lo abita è diventata
incontenibile e così il bi-sogno di dire la bellezza di questo
incontro achiunque incontri sulla sua strada.
È Uomo che Cammina nel mondo. Il Signore ciinvia nel mondo, ci
spinge a metterci in giocosenza farci troppe domande.Questo
deciderci a partire apre la via della testi-monianza, quella che
allarga i nostri orizzontifino agli estremi confini della terra,
quella che cispinge a metterci al servizio di ogni uomo, quel-la
che dà significato e compimento all’incontroche abbiamo avuto con
Gesù-Eucaristia.
L’eucaristia è il luogo in cui riscoprire l’Amorefolle di Dio
per noi. Una riscoperta vissuta nellacelebrazione eucaristica,
nella vita quotidiana,avendo sempre come modello e progetto (dal
la-tino: pro avanti jacere gettare) per il futuro Ge-sù, l’unico
progetto-uomo che vale e che ci ren-de capaci di donare Amore, un
Amore ricevutoda Lui, perché l’Amore parte da Lui, ma riparteda
me!
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 11
-
Ci piace iniziare questa riflessione ricor-dando il Concilio
Vaticano II. Al punto48 della Gaudium et Spes si definisce,
con una essenzialità invidiabile, la sostanza del-l’atto
sponsale, affermando che «il matrimonioè intima comunità di vita e
amore».Definizione essenziale perché veramente nonmanca di nulla:
il matrimonio è «una comu-nità» perché si è minimo in due; una
comunità«intima» perché si sta talmente vicini da diven-tare una
sola carne; dentro la vita perché tuttosi gioca sull’imparare a
gestire in due nient’altroche la vita; e si sostanzia nell’amore
perché nonriguarda la gestione di un’azienda e quindi nonsono le
prestazioni che fanno la differenza.Ispirati da questa prospettiva,
possiamo dire che
per il credente (ma non solo) il sacramentosponsale in primo
luogo è sapere, e soprattuttoricordarsi, che tutto questo (cioè
diventare inti-ma comunità di vita e amore) ha a che fare con
ilsacro, è un evento sacrale. Detto sbrigativamen-te, ma per
capirci, il sacramento sponsale ci di-ce: «… guarda che sposandoti
andrai ad avere ache fare con il sacro… cioè con qualcosa che tiè
dato solo in parte di capire, con qualcosa chesolo parzialmente ti
appartiene… tienine con-to… e cogline il senso». Ricordare questa
impli-cita identità del sacramento matrimoniale cisembra
fondamentale.Non è certo casuale che nella lettera agli Efesini,al
capitolo 5, Paolo ricorda che l’uomo e la don-na sono chiamati a
diventare una sola carne (loricorda perché viene detto all’inizio
del testo bi-blico in Genesi 2). E poi aggiunge che il misteroè
grande (il termine sacramentum nella tradizionecristiana è spesso
usato insieme al termine miste-rium).Capiamo che la prospettiva è
affascinante maanche impegnativa. Potremmo dire che il sacra-mento
sponsale è un evento talmente grande (idue che diventano uno
attraverso la carne) edinaccessibile nel suo mistero (perché non ci
èdato di assaporarlo totalmente nella sua pienez-za, tende
all’oltre) che ha bisogno di essere dife-so, custodito, esattamente
come una “cosa” sa-cra. Quindi il sacramento sponsale è saper
cu-stodire nella sua sacralità un mistero che ci èaffidato per la
vita, attraverso la nostra vita.Proprio perché il sacramento
sponsale è entrareconcretamente, attraverso la vita, dentro un
mi-stero grande allora richiede un atto, cioè unascelta, cioè una
volontà esplicitata e dichiarata(vedi il senso delle promesse
matrimoniali…).Proviamo a capire un pochino più da vicino
ilproblema, facendo un piccolo passo in dietro. Ilsacramento del
matrimonio è l’unico sacramen-to al plurale e questo
contraddistingue in modosostanziale la natura stessa del
sacramento. Lapluralità, infatti, è una condizione di vita che
al-tera i parametri di riferimento, modifica il no-
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
12 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
Il sacramento sponsaleovvero stare alla presenza dell’altroDI
MARIAGRAZIA E UMBERTO BOVANI, MASSIMO E PATRIZIA RIPAMONTI, ORIANA
E LUCA GASPARI, VALENTINA E MASSIMO GNEZDA
-
stro DNA relazionale, ci pone in una zona difrontiera dove
l’incontro con l’altro, andando ascomodare la nostra individualità
rivela zoneinedite di noi. Questa mutazione genetica chel’altro
determina, per la semplice ragione di es-sere al nostro fianco,
qualifica la sostanza del sa-cramento sponsale. Non esiste grazia
matrimo-niale al di fuori di questa imprescindibile realtà:l’altro
posto al nostro fianco ci cambia a partiredalle radici.Nel
matrimonio il senso della presenza dell’altronon è mai definito una
volta per sempre, mutaper le tante condizioni che accadono
continua-mente nella vita di una coppia. Pensiamo peresempio ai
tempi diversi del matrimonio: primae dopo l’avvento dei figli,
oppure prima o dopol’attesa di un desiderio che fatica a compiersi
e arealizzarsi. Sono tempi diversi della vita, che sia-mo chiamati
a vivere sempre vicini alla stessapersona ma con ragioni
profondamente diverse.Il sacramento del matrimonio si definisce e
si so-stanzia proprio nel trovare continuamente sensoa un evento
all’interno di un movimento che lavita ordinariamente ci
presenta.Sappiamo bene che è così; quante volte lo sen-tiamo dire
da coppie più o meno affaticate, an-che dopo pochi anni di
matrimonio: “all’iniziotutto sembrava possibile, alla nostra
portata, poi lecose sono cambiate, la vita di tutti i giorni, i
figli,la stanchezza quotidiana”. Il sacramento del ma-trimonio in
primo luogo va a lavorare su que-sto: è una promessa ed un impegno
che assu-miamo con l’altro perché di fronte ai mutamen-ti della
vita sappiamo sempre guardare in modosostanziale a ciò che è
irrinunciabile: l’altro e ilsenso di quella presenza posta al
nostro fianco.In questo senso il sacramento sponsale allora
ciallunga lo sguardo, liberandolo da pesi e fatichelegate
essenzialmente ad attese che riponiamoin modo un po’ presuntuoso,
sulla nostra vita.Uno sguardo lungo che è il frutto della graziama
insieme è anche dono della presenza dell’al-tro, o meglio dono
della nostra volontà di inve-stirci pienamente per quella presenza.
Il matri-
monio non ci permette di stare sulla soglia, ametà strada. Il
sacramento sponsale va a identi-ficarsi attraverso questo libero
atto di mettercipienamente in gioco per l’altro.Sappiamo che ogni
sacramento è una grazia po-tenziale, nel senso che la sostanza di
un sacra-mento non ha nulla di miracolistico, la grazia èsempre
misteriosamente congiunta con l’atto divita che va a incarnare
quella grazia. Se questo èvero per tutti i sacramenti, lo è in modo
parti-colare per il sacramento sponsale, l’incarnazio-ne del
sacramento accade esattamente dove in-contriamo la presenza
dell’altro.Diceva il buon De Rougemont: «Essere inna-morati è uno
stato; amare è un atto. Si subisceuno stato, ma si decide un atto».
Ecco, ripren-dendo il discorso iniziale, il sacramento sponsa-le è
esattamente in questa linea: una grazia chesi definisce in un atto,
in una scelta, in una vo-lontà a favore di una presenza.Proviamo
adesso a capire quali atti, quali scelteè necessario fare per
vivere pienamente il sacra-mento sponsale. È chiaro che il discorso
potreb-be aprirsi a molteplici aspetti.A noi interessa suggerire
due questioni, cioè dueatti che permetto al sacramento sponsale di
atti-varsi:1) Bisogna scegliere di abbandonarsi, arrendersi al-la
logica dell’amore che ribalta le regole del mondo.Bisogna andare
controcorrente per vivere piena-mente la sfida di essere due.Non ci
sembri questo una banalità o peggio an-cora una bella favoletta. Il
rischio di omologarcidentro degli schemi preordinati da qualcuno
oqualcosa è reale e ben concreto. A volte la que-stione è sottile e
quindi impercettibile, ma di-venta visibile in superficie quando
notiamo innoi o nella coppia un malessere, un disagio.Spesso la
patologia ha come causa proprio que-sta questione. In qualche
momento abbiamo ab-bandonato la vigilanza, abbiamo allentato la
no-stra volontà di decidere in due cosa è meglio pernoi, ci siamo
uniformati a qualcosa che intima-mente non ci appartiene e non
corrisponde ai
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 13
Nel matrimonio il senso della presenza dell’altronon è mai
definito una volta per sempre,
muta per le tante condizioni che accadonocontinuamente nella
vita di una coppia.
-
nostri desideri più intimi e profondi. E’ bene sa-pere in questi
momenti che possiamo tornare indietro, riappropriarci del nostro
potere di discer-nimento e ridare così forza e vigore al
sacramen-to sponsale che ci vuole liberi nella verità di ciòche
siamo in due. Il sacramento sponsale è attodi vigilanza contro il
rischio delle omologazioni.
2) Bisogna entrare nella consapevolezza che l’amo-re ci investe
di una responsabilità, quella di rende-re visibile al mondo che
l’amore è possibile, ed èpossibile proprio a partire dalle cose
quotidiane.In questa linea il sacramento sponsale si dice intutta
la sua concretezza possibile, facendo que-sto rendiamo un grande
servizio alla fede e allasua testimonianza nel mondo. C’è bisogno
diquesta prospettiva resa visibile dalla nostra vita,ne ha bisogno
il mondo così come ne ha biso-gno la Chiesa, che di questo mondo fa
parte. Ilmatrimonio cosa deve rendere visibile nel mon-do se non
questo? La cosa difficile sta nel mette-re in risalto esattamente
la vita normale, quellavita che ci sembra spesso scontata,
ripetitiva eordinaria. Se riusciamo a compromettere il sa-cramento
sponsale con questa ordinarietà alloratutto cambia. Cambia la
nostra prospettiva divita perché ci è dato di capire che la
straordina-rietà della vita sta nel vivere in modo straordi-nario
le cose più scontate. Cambia la nostra vitaspirituale perché diamo
visibilità ad una fedeche, uscendo dai luoghi un po’ soffocanti
deinostri “giri ecclesiali”, riconquista la freschezzadi una
promessa sempre nuova perché semprepronta a lasciarsi provocare dal
nuovo.Per concludere, ci sembra importante ribadirequesto. Il
sacramento del matrimonio ha biso-gno di uscire all’aria aperta, di
ossigenarsi e mi-schiarsi con le cose del mondo. La forza
inscrit-ta nel mistero sponsale è più forte di ogni cosa,bisogna
però che lo liberiamo da paure e pregiu-dizi perché possa, leggero,
narrarsi semplice-mente per ciò che è.
MariaGrazia e Umberto Bovani
ESERCIZI SPIRITUALI PER COPPIE E FAMIGLIE
Il «cibo solido»per la crescita interiore
“…qui posso darti un appuntamento e guar-darti negli occhi!”La
ricerca di una casa dove poter sostare, il desi-derio profondo di
gustare quel silenzio che èsorgivo della Parola che ci fa esistere,
la neces-sità di curare un’intimità “cuore a cuore” capacedi
restituirci a quell’essenzialità – “noi due!” –che è il “principio
e fondamento” della nostraumanità, la speranza di trovare due
“compagnidi viaggio” (lui e lei, come noi) fraterni
nell’a-scoltarci e disponibili nel condividere parole‘vissute’
sulla vita…Sono queste le mozioni interiori più profondeche
all’inizio della nostra avventura a due han-no orientato i passi
verso quella fecondità dellanostra relazione che osavamo sperare
fosse se-condo la volontà del Padre.La ricerca di una sintonia
spirituale genuina-mente evangelica e di una condivisione di
laiciadulti nella fede e partecipi di quel sacerdoziobattesimale in
Cristo da vivere per tutti secondoi doni propri a ciascuno ci hanno
condotti – or-mai dieci anni fa – fino a Sant’Antonio in queldi
Boves dove… abbiamo trovato ristoro! Lì giàda qualche anno vivevano
Umberto e Maria-Grazia Bovani. Insieme avevano iniziato a dareforma
a quel “dono responsabilizzante” (da traf-ficare evangelicamente!)
rappresentato dallacondivisione della propria esperienza umananella
fede in un luogo capace di accogliere. E lasostanza di ciò che
avevano avviato incarnavaprofondamente quello che era il cuore del
no-stro desiderio, a partire dalla sorgente comunedella
spiritualità ignaziana, strada privilegiataper la conoscenza di sé
e quindi del Maestro.Il nostro scrivere, oggi, a proposito
dell’espe-
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
14 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
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rienza degli esercizi spirituali secondo il metododi S. Ignazio
di Loyola per coppie e famiglie –uno scrivere che va da
Sant’Antonio a Concene-do di Barzio e oltre – non può che aprirsi
conquesta memoria personale di quel dono respon-sabilizzante: dono
che è condiviso già da moltie desiderato da molti di più.L’estate
trascorsa ci ha regalato la contemplazio-ne di un germinare di vite
in ricerca di «cibo so-lido» (1Cor 3,2; Eb 5,12) grazie agli
appunta-menti che avevamo programmato.Anzitutto il raddoppio degli
esercizi da noi indi-vidualmente guidati per coppie a motivo
dellacrescente richiesta che a Boves non si riuscivapiù a
soddisfare… e se ci fosse stata una terzacasa, sarebbe stata
riempita anche quella!Poi la prima settimana di preghiera,
formazionee confronto proprio in merito al raccoglierci perguardare
più da vicino il dono che sono gli eser-cizi ignaziani per coppie e
la nostra esperienzain merito, con persone che già condividono
laspiritualità ignaziana e sono in ricerca o prontea diventare loro
stessi guida e conduttori.
«La messe è molta» (Mt 9,37; Lc 10,2) e… glioperai ci sono!Sì,
questa è la nostra testimonianza! Ci sono, in-fatti, mogli e mariti
(come i due di Emmaus)pronti a raccogliere l’invito del Maestro di
Na-zareth e, sulla scia del suo discepolo Ignazio, de-siderosi di
essere oggi, in questo tempo e insie-me a questa chiesa, «pietre
vive … costruite co-me un edificio spirituale, per un
sacerdoziosanto e per offrire sacrifici spirituali graditi aDio,
mediante Gesù Cristo (1Pt 2,5)». Ci sonouomini e donne in ricerca
di una parola umanasulla loro vita, con la speranza che questa
vitapossa essere spirituale. Ci sono famiglie che cer-cano lo
spirituale (l’autentico, il veramente pre-zioso) lontano dalla
normalità, dalla quotidia-nità dello loro storie relazionali e
terrene e nonlo trovano, a volte nemmeno nei luoghi che do-vrebbero
essere deputati a ciò.“Offrire sacrifici spirituali” oggi è davvero
una
delle urgenze che vengono urlate dal silenzio direlazioni
spente, dall’indifferenza di amanti de-lusi, dall’opacità di una
sposa «che è rimasta in-dietro di duecento anni» (C. M.
Martini).
“La ricerca di una casa dove poter sostare…”.Mentre «le nostre
case religiose sono vuote»(C. M. Martini)Il cammino percorso ci fa
dire che dell’esperien-za spirituale è possibile beneficiarne se
trovi ca-sa, ovvero incontri un uomo ed una donna chedentro il loro
umano si esercitano nella ricercadi quel lasciarsi abitare dallo
Spirito che condu-ce a partecipare indegnamente alla Passione
diCristo. Testimoniano così una umanità espostanella relazione con
l’altro, umanità che divienecorpo donato e sangue versato verso il
noi chegià siamo dinanzi a Lui ma che ci sta davanti esi allontana
quando ci affanniamo a dire conti-nuamente “Io”. Dare tempo e
cercare condivi-sioni per realizzare luoghi che divengano casadove
“potersi dare un appuntamento e guardarsinegli occhi” è partecipare
alla creazione di spazinei quali «l’altro mi è posto di fronte,
come unaiuto alla mia solitudine»: ovvero è come … ri-tornare agli
inizi, biblici per questo umani e vi-ceversa.
“Il desiderio profondo di gustare quel silenzioche è sorgivo
della parola che ci fa esistere”«Quando si evita a ogni costo di
ritrovarsi soli,si rinuncia all’opportunità di provare la
solitu-dine: quel sublime stato in cui è possibile racco-gliere le
proprie idee, meditare, riflettere, crearee – in ultima analisi –
dare senso e sostanza allacomunicazione. Certo che chi non ne ha
maigustato il sapore non saprà mai ciò che ha per-so, ha lasciato
indietro, a cosa ha rinunciato»(Z. Bauman).Impegnare, oltre il
lavoro, le energie che ritenia-mo importante trafficare per il
Regno nella dire-zione di intercettare coppie che vivono insiemema
sole e accompagnarle nel gustare quella “so-litudine” abitata
dall’ascolto di una Parola che ti
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 15
-
di narra di un Dio in cerca del tuo smarrimentoè una grazia che
in questi anni abbiamo gustatoabbondantemente. Amici, conoscenti,
comu-nità cristiane ed anche i media ci parlano conti-nuamente di
una folla che desidera spegnere laconnessione con il vuoto ed
accendere l’ascoltoed il dialogo autentici. Del cortile e del
boscoabbiamo bisogno, se non proprio come luoghifisici, certamente
come spazi esistenziali doveessere con qualcuno, in amicizia, in
compagnia.
“La necessità di curare un’intimità cuore acuore capace di
restituirci a quell’essenzialità– noi due! – che è il principio e
fondamentodella nostra umanità”Se è vero che “ogni persona che
sperimenta gliesercizi di fatto scrive il proprio libro degli
eser-cizi, assumendo così una propria competenzasul testo, per la
semplicissima ragione che hacompetenza sulla propria vita … - ed è
altret-tanto vero che - … la vita affettiva, la vita dicoppia è una
vita che comprendiamo nella pra-tica” (U. Bovani) occorre
condividere le nostredisponibilità ed affinare le nostre
sensibilità permigliorare la cura di proposte che siano
davveroautentici inviti a riscoprire l’essere due, maschioe
femmina, come ‘principio e fondamento’ del-la relazione di
coppia.Accenniamo solamente all’apertura degli eserci-zi per
indicare una strada che è tutta da percor-rere, tenendo sullo
sfondo l’icona dei due diEmmaus: rileggere la propria vita in due
alla lu-ce della pedagogia ignaziana e avere il coraggio,la
competenza e la fantasia di proporre una ri-lettura degli esercizi
come coppie per le coppie.Il dono di parole e vite che ti aiutano a
rileggerela tua storia di coppia come un ‘principio e fon-damento’
dal quale continuamente ripartire e alquale sempre ritornare è un
bene troppo prezio-so da non essere ‘trafficato’ ed un urgenza
oggiancor più tale da non essere ascoltata.
“La speranza di trovare due compagni diviaggio (lui e lei, come
noi) fraterni nell’a-
scoltarci e disponibili nel condividere parole‘vissute’ sulla
vita”L’itinerario degli esercizi è una strada maestranel crescere
in umanità che abbisogna nella no-stra contemporaneità di salti di
qualità metodo-logici e di ‘persone vive’ che sappiano spendersiper
formare alla prassi del discernimento, del-l’indifferenza, della
contemplatio ad amorem …Il dono degli esercizi spirituali di S.
Ignazio, ‘di-stillato’ di quella pedagogia che lo Spirito hausato
con lui a vantaggio di tanti, è un tesoroprezioso che va condiviso
meglio e più di quan-to finora siamo riusciti a fare.I giorni di
formazione e ricerca che abbiamoproposto hanno provato a rileggere
il percorsoindividuale tracciato da S. Ignazio negli
esercizisperimentandolo come coppie per coppie.La convinzione che
ci anima - essendo gli eser-cizi “un’esperienza che va praticata là
dove sia-mo (esistenzialmente parlando)” - è quella chele coppie
che hanno maturato passi significativinel crescere nella prassi
degli esercizi possanodivenire annuncio oggi nella chiesa e nel
mon-do di un patrimonio che ha da essere tutto di-stribuito,
condiviso e fatto crescere.Rivolgiamo un invito alle coppie CVX e a
tuttequelle che hanno avuto la grazia di bere al poz-zo della
spiritualità ignaziana: cerchiamoci, tro-viamoci, diamoci una mano
nel trafficare evan-gelicamente e con il bagaglio delle nostre
com-petenze umane il dono che abbiamo ricevuto.A presto!Anche via
mail: [email protected]
Massimo e Patrizia Ripamonti
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
16 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
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TESTIMONIANZA
Un abito versatilee robusto
La spiritualità è un abito, e un abito deve piace-re. Il
matrimonio si caratterizza e si ricorda inprimo luogo per l’abito,
certo quello che indos-sa la sposa, che suscita curiosità ed
interesse, manell’insieme si guarda alla coppia, a come sta
in-sieme con quelle nuove vesti, così speciali.La spiritualità
piace, o non piace, se si proponecome veste congeniale alla tua
forma, alla tuastruttura, alle tue inclinazioni e quindi ai
tuoimovimenti. Ci siamo trovati, nel matrimonio,rivestiti di un
abito che avevamo incontrato, co-me proposta, all’inizio del nostro
cammino diformazione giovanile. Il Sarto ci è venuto in-contro con
discrezione, mandando avanti suoicollaboratori, che ci hanno fatto
toccare la stof-fa, saggiare la resistenza, gustare i colori,
con-templare la forma che la veste poteva assumere,
se avessimo deciso di indossarla.La spiritualità che aveva
animato Ignazio diLoyola, è la stessa che, tramite lui e
l’esperienzadegli Esercizi spirituali, ha aiutato molte perso-ne,
nei secoli, a conoscere, amare e seguire Gesùdi Nazareth, a
lasciarsi ispirare dallo Spirito, adabbandonarsi alla volontà del
Padre. In questastoria ci siamo sentiti coinvolti e abbiamo deci-so
di lasciarci portare, senza precostituire ognitappa, ma al
contrario, cercando il senso in ciòche accadeva. La Comunità di
vita Cristiana èstata per noi una forma concreta per vivere,
in-sieme ad altri, la dinamica che si genera se ci siaffida a
questa spiritualità ed ai suoi strumenti,se si comprende che è
l’abito che fa per noi.È un abito versatile, di stoffa robusta, di
ottimafattura, resistente alle intemperie; ma anche ele-gante,
distinto, adatto agli incontri ed alle occa-sioni più preziose, più
intime. La lucentezza deltessuto, la vivacità dei colori, dipendono
da va-rie condizioni: il rinnovamento interiore, chenaturalmente
viene da cercare se lo si indossa, eche prende la forma degli
Esercizi spirituali,quando è possibile, ma anche di tutte le
moda-lità ed occasioni di incontro quotidiano o co-munque regolare
con la Parola; il dialogo, con-tinuo ed intimo, in casa nello
(s)correre deigiorni, o in tempi da custodire con cura, in
unadimensione dove lo scambio di parole porta adiradare le nebbie,
o ad alleggerire i pesi, o adesaltare le meraviglie, ma comunque a
far emer-gere la Parola per noi, la Parola per oggi, qui.Ma non ci
sarebbe freschezza se l’abito nonprendesse aria, nell’incontro con
gli altri. Accadeallora che accogliendosi, a tu per tu
nell’amici-zia, o nell’esperienza fraterna di una comunità,ci si
accorge come i nostri colori si intonano aquelli degli altri, o
comunque compongono unnuovo disegno, che però bisogna saper
vederedall’Alto, e che può anche essere in grado di at-tirare
qualcuno, perché più visibile. Stando in-sieme, la cura si sposta
sugli altri, l’attenzionepuò diventare ammirazione, oppure si
rivolgeagli abiti sgualciti, a quelli dove si vede ancora il
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 17
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segno di strappi, e si trova il coraggio di mostra-re alcune
pieghe di sé, di noi, che preferivamotenere nascoste.È la passione,
che fa tutto questo. L’Amore cheIgnazio ha imparato a conoscere e
che ci invitaa contemplare, in particolare al termine delcammino
degli Esercizi; l’Amore che muove leTre Persone Divine a donarsi, e
che ci invitacontinuamente a vivere la nostra vita come ri-sposta
(per usare le parole dei Principi Generalidella CVX).La passione
che ci ha attirato l’uno all’altra, e ciha portati a diventare
nuova creatura, è la stessapassione che preme perché non stiamo a
rimira-re il nostro abito, o a proteggerlo perché non sidebba
macchiare. Ci spinge, ci porta fuori, cisostiene nelle delusioni
indicando orizzonti piùampi, cambiando il punto di osservazione
dellanostra vita, che pure rimane quella di prima. Èuna forza che
ci attrae, perenne, sempre viva. Ese il sentimento che abbiamo
provato, l’unoverso l’altra, ora, custodito negli anni, assumeforme
diverse, questa forza è intatta, vitale e vi-vificante, e si
propone continuamente come unmistero di comunione che cerca persone
in gra-do di renderlo visibile, tangibile, perfino com-mestibile,
nelle case e sulla tavola di tutti i gior-ni della nostra vita.
Questo è possibile, la stradac’è, i mezzi per percorrerla anche, e
sappiamoche si chiamano Ascolto, Preghiera, Discerni-mento per una
scelta di servizio, là dove ti trovi,e abbiamo provato che ci sono
sempre, basta ri-conoscerli, angeli che accompagnano durante
ilcammino (Tb. 5, 5 “Conosci la strada? – chiedeTobia all’angelo
Raffaele – Certo, parecchie vol-te sono stato lì, e conosco bene
tutte le strade”).
Oriana e Luca Gaspari
TESTIMONIANZA
Vita di comunitàe matrimonio:alla ricerca di unasintesi
possibile
L’attuale Cvx di Trieste è nata, dopo un lungopercorso iniziato
nei primi anni ‘90, dall’espe-rienza degli Esercizi spirituali.
Oggi sappiamoche questo inizio fu per molti aspetti inusuale:una
ventina di giovani, provenienti da parroc-chie e identità
ecclesiali diverse, provarono a ri-trovarsi per non perdere quel
talento che gliEsercizi avevano fatto scoprire per la prima vol-ta.
Quel rapporto così vivo con la Parola, lacomprensione di una
spiritualità incarnata nellavita di ogni giorno erano perle troppo
prezioseperché andassero disperse. Nessuno voleva tor-nare
indietro, lasciare che l’esperienza degliEsercizi si esaurisse in
un lontano ricordo. Cosìè iniziato anche il nostro cammino di
formazio-ne ignaziana, prima grazie a un’amica, che ave-va alle
spalle un’attiva adesione alla Cvx, poi,nel 1996, grazie a una
coppia di Firenze prove-niente dalla stessa esperienza che, per
motivi dilavoro, veniva a vivere nella nostra città. Anchegrazie
alla loro guida, sono seguite le tappe suc-cessive: i primi impegni
temporanei, la colloca-zione della sede della Comunità nel Centro
gio-vanile dei Padri gesuiti, l’arrivo dei primi assi-stenti
(ricordiamo con affetto p. Bruno Bois, p.Enrico Mariotti — di cui
oggi la nostra comu-nità porta il nome — e p. Massimo Tozzo),
l’in-contro con la Cvx nazionale e interregionale.Questo breve
excursus ci consente di ricordareche la presenza di sposi è stata
graduale, contri-buendo a mantenere tuttavia una
composizioneeterogenea della nostra Comunità, dato che ne
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
18 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
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fanno parte anche coniugi con il marito o lamoglie non aderenti,
separati, consacrati e sin-gle. Il riconoscerci come Comunità unita
dall’o-riginale ricerca di una vita spirituale nel quoti-diano ci
ha consentito di non sentire la neces-sità di far parte di un
gruppo-famiglie, tantoche la presenza dei non sposati si è rivelata
pernoi un valore aggiunto, che ci ha fatto crescerenella
comprensione della complessità della vita.D’altra parte, vivere il
matrimonio “dentro” laCvx è stato anche il nostro impegno a
migliora-re la qualità delle relazioni interne ed esterne, inuna
prospettiva di apertura al mondo, a comin-ciare dalla propria
realtà locale.Anche per noi coppia, dal giorno del nostro sì,della
nostra alleanza, come a Cana, abbiamo av-vertito in modo più
speciale la presenza del Si-gnore Gesù, Ospite discreto che ha
trasformato,passo dopo passo, giare colme d’acqua in
vinoinebriante: il vino dei doni ricevuti, a comincia-re dalle
nostre figlie, dei nostri incontri, dellenostre amicizie, del
nostro lavoro.Se è vero che, come ci insegna Ignazio, fine ulti-mo
della nostra vita è «salvare la propria anima»,la vita di coppia e
familiare ci ha fatto scoprireche questa salvezza per noi due passa
attraversoil quotidiano mistero sponsale, «via mistica»dell’essere
l’uno per l’altra e del non poter pre-scindere l’uno dall’altra.
Proprio la Comunità,luogo di condivisione e di preghiera, non
senzalimiti, conflitti e contraddizioni, è stata la carti-na di
tornasole della vita sponsale delle coppiepresenti, in cui
gratuitamente continuiamo adare e soprattutto a ricevere.Negli
ultimi anni per le nostre famiglie si è con-cretizzata la
possibilità di partecipare agli Eser-cizi spirituali con una
formula innovativa, nonsolo perché garantisce per la durata del
ritiro lacura e l’animazione dei figli, ma soprattuttoperché il
percorso è pensato esplicitamente perle coppie. Se gli Esercizi di
per sé sono struttu-rati per il singolo esercitante, in questo caso
l’ul-timo colloquio con la guida è dei due sposi as-sieme, che
riconoscono in tal senso la specialità
della propria vita sacramentale. Segnaliamoquesta scelta, ormai
per noi consolidata, perchéè l’unico momento estivo in cui la
nostra iden-tità di Cvx “allargata” cede il passo alle
esigenzespirituali della coppia, un punto di arrivo e dipartenza,
che ci consente di riassaporare congratitudine il senso della
nostra quotidianità,della nostra vita familiare e della nostra
apparte-nenza ecclesiale.
Valentina e Massimo Gnezda
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 19
Due
Quando saremo due saremo veglia e sonnoaffonderemo nella stessa
polpacome il dente di latte e il suo secondo,saremo due come sono
le acque, le dolci ele salate,come i cieli, del giorno e della
notte,due come sono i piedi, gli occhi, i reni,come i tempi del
battitoi colpi del respiro.Quando saremo due non avremo metàsaremo
un due che non si può dividere conniente.Quando saremo due, nessuno
sarà uno,uno sarà l’uguale di nessunoe l’unità consisterà nel
due.Quando saremo duecambierà nome pure l’universodiventerà
diverso.
Erri De Luca(Solo andata – righe che vanno troppo spesso
a capo, Feltrinelli, p. 76)
-
Il sacerdote come problemaPer strano che possa sembrare, ci ha
colto disorpresa (quasi come una dolorosa scoperta) ladrammaticità
umana del sacerdozio. Eppure,l’uomo sacerdotale è sempre stato lì,
alla vista ditutti, nel cuore delle città. Figura familiare
nel-l’ambito quotidiano del credente (come confor-tante
sublimazione o come scandalo doloroso),quest’uomo, più di una
volta, è apparso all’in-credulo come un baluardo dell’oscurantismo
edell’ipocrisia; la sua stessa ordinaria assenza dal-l’orizzonte
senza preoccupazioni dell’indifferen-te, portava con sé il sospetto
di un’abolizione se-lettiva.
Un sacerdote di oggi si interrogaPerché questa ignoranza tanto
diffusa dei rischiumani di una grazia che non sfugge alla dram-
maticità delle nostre opzioni più libere? Forse lastessa
teologia del sacerdozi osi è preoccupatapiù della sua ontologia
profonda (cristologicaed ecclesiale), che non del fenomeno umanoche
ne deriva quando si dà un volto storico alCristo Capo del nostro
tempo intermedio. Sidefinì il suo dover essere, si ripensarono i
mezziche dovevano tradurre questo dover essere inuno stile di vita
e di azione apostolica. Ma, fo-calizzata così l’attenzione sulle
funzioni socio-religiose del sacerdote, fino a che punto abbia-mo
perso di vista l’uomo che, intanto, continuaa vivere e a lottare la
sua umanità comune sottouna uniformante veste talare e nella
simbolicamagnificenza degli ornamenti cultuali? Come sitraduce la
grazia del sacerdozio ministeriali intermini di umana
esistenzialità quotidiana?È di fronte a questi interrogativi che
improvvi-
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
20 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
Un sacerdote di oggi si interroga*
DI P. RODOLFO E. DE ROUX S.J.
-
samente il sacerdote ritorna a essere un proble-ma umano. E una
volta entrato in crisi, cade inpieno sotto il fuoco critico e
scrutatore del so-ciologo, dell’artista, del giornalista – come
siconviene alla nostra società dei mass media. Peralcuni è uno
spettacolo interessante. Un indicedel momento cruciale che viviamo,
momentodi passaggio a un altro tipo di civiltà. Il finale
diun’avventura dello spirito umano. Crepuscolodel divino che,
scomparendo definitivamentedall’orizzonte del divenire storico,
manda un ul-timo fuoco tragico e inutile, nel piccolo ridottodi
poche vite umane. Agonia di Dio nel cuoredell’uomo che identificò
per tradizione, conLui, la Sua “ditta”: il sacerdote.Per altri
invece, i credenti, questa è una crisi cheli tocca personalmente
Qualcosa di se stessi siagita, si scandalizza, s’interroga, spera e
disperasul volto di questo “uomo di Dio”, di questo“altro Cristo”
che vive e soffre oggi la sua tenta-zione. Le sue speranze, la sua
ricerca sotto losguardo tante volte deformante del Grande
In-quisitore contemporaneo: il cinema, la stampa,la televisione, la
radio.Per il sacerdote stesso significa rimettere sul tap-peto un
tema sempre sconcertante: l’avventu-rarsi nel mistero di se stesso.
È un tentativo, fu-gace eppure stimolante, di imprigionare inschemi
logici e di linguaggio la propria irriduci-bili spontaneità, la sua
identità che sfugge aogni definizione. In ultima analisi, è
scoprireuna volta di più il paradosso di questo progettoumano di
vivere nei limiti di se stesso lì dovel’uomo presente si sveste del
suo io possessivosolo per cominciare, di nuovo, come abbando-no
totale, nel Tu supremo e originante.
Sorge la domandaPerché sono sacerdote? Lo vogliamo o no, la
do-manda è qui, inevitabile, stimolata dalla stessaattitudine
critica del momento. Quale è il sensoultimo di questa chiamata che
sorse, un giorno– unico e indimenticabile – nel profondo di
mestesso, esigendo da me un’opzione tanto più ir-
revocabile quanto più libera e compromettente;una decisione che
condiziona e modella total-mente la mia esistenza? Cosa sono io,
sacerdote?Quale è la linea di questo progetto divino-uma-no,
intravisto tante volte, non so se con doloreo con gioia,
sperimentato come una forza chetoglie a me persino me stesso senza
tuttavia far-mi smettere, minimamente, d’essere me stesso?Sono
sacerdote. È il fatto luminoso della mia vi-ta. E tuttavia è la mia
croce. Non un privilegiorispetto agli altri. No, neppure se fosse
un tragi-co privilegio. È semplicemente la mia realtàumana.
Amalgama indissolubile di forza e didebolezza, di gioia e di
dolore, di successo e difallimento. È il mio rischio, la mia
possibilità.
Un uomoSì. Anzitutto il sacerdozio, come mia
personaleesistenzialità, è la mia maniera specifica di par-tecipare
al bene comune delle realtà umane. Edè così che la domanda comincia
a mutarsi in ri-sposta.Sono sacerdote perché sono uomo. Né la
fedené l’incredulità di tanti miei fratelli può ormaiignorare il
mio aspetto umano, il mio cuoreumano, la mia lotta, la mia
tristezza e la mia fe-licità di vivere come uomo. (…)Un uomo tra
gli uomini. Decisione di essere nelnon-essere. Apertura infinita
nella chiusuracreaturale. Generosità enorme, nata come unfiore
esotico e incomprensibile dal letame delmio egoismo, del mio
esasperante fluire vigliac-camente da me verso di me, per me.
Contro ofuori degli altri.Il sacerdozio non mi redime dai miei
limiti, dal-le mie deficienze, dalle mie prevaricazioni.
Ma,ugualmente, non mi aliena dai valori della miacondizione umana.
È piuttosto un orizzonte at-traente che mi chiama a essere uomo,
più uo-mo, fino al limite supremo delle mie possibilità.
Un uomo per gli uominiIl mio sacerdozio non è assolutamente una
fu-ga. È integrazione, compromesso. Scala di Gia-
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 21
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cobbe attraverso la quale Dio viene all’uomo.Solo la mia
pusilamminità o la mia stanchezza –frutti amari della fiducia
esclusiva in me stesso– possono invertire il suo senso originario
edeformare questo cammino di Dio agli uominitrasformandolo in una
scaletta da incendio perle mie deplorevoli evasioni; e questo
avvienequando il Giona, che si annida in ogni uomo diapostolo, si
rifiuta in me di accettare il rischiodella Parola; quando la
fruizione egoista delloSpirito corrompe in me questa fonte di
acquaviva impedendole di scorrere; o, forse, e piùspesso, quando
l’eco delle mie angustie perso-nali, delle mie esasperazioni umane,
ripetuta al-l’infinito nella cassa di risonanza degli altri,
siingigantisce e giunge ad essermi insopportabile.Un uomo per gli
uomini. Spalla a spalla nellosforzo titanico per un mondo migliore,
piùumano. Impaziente con le su impazienze. Illusoe utopico con i
suoi sogni e le sue aspirazioni.Disilluzo e amareggiato con i suoi
fallimenti.Un uomo che partecipa del peccato e della mor-te. Un
uomo che insiste nell’amare e nella spe-ranza della resurrezione.
(…)
Un uomo con gli uominiQuando vedo una madre letteralmente
«attac-cata» alla culla del suo bimbo infermo; quandoconosco
l’affanno di un padre di famiglia; quan-do constato la
sollecitudine che non conosce ri-poso di un medico o di
un’infermiera; quandointravedo l’attività instancabile di un uomo
distato; di un rivoluzionario; di un artista genui-no; non posso
fare a meno di vedere in essi unacrescita del mio proprio essere e,
a volte, un ta-cito rimprovero al mio
dover-essere.«Essere-per-gli-altri!». Chi non lo ha sperimen-tato
almeno qualche volta, nei momenti piùbelli, più umani? La
differenza sarebbe nel ca-rattere totalizzante della mia consegna
sacerdo-tale? Perché questo essere-per-gli-altri non con-diziona
solo una parte della mia attività o delmio essere. Non è solo un
ufficio, una professio-ne, né tanto meno uno statuto sociale
dinanzi
al quale io possa ritirarmi a mio arbitrio, deltutto o
periodicamente, secondo i miei gusti o imiei bisogni.Il sacerdozio
ricopre e afferra tutta la mia vita,la mia attività pubblica e
privata. Non «eserci-to» semplicemente Cristo, sono alter
Christus.
Alter Christus(…) La tradizione della chiesa, riconosciuta
dalVaticano II; ha descritto il mio sacerdozio comesacramentalità
ministeriale (simbolo e strumen-to) di Cristo Capo, di Cristo Fonte
di ognirealtà e dinamismo cristiano. Ognuno, nellamisura in cui è
veramente cristiano, è Cristo. Lasua attività cristiana è Cristo
che la attua in lui.Cristo che insegna, santifica, dirige. Ma io,
nel-la misura del mio essere-sacerdote-ministeriale,sono Cristo
come dispensatore e responsabiledella Parola, della Vita,
dell’Azione.Questa è la mia peculiarità ultima, esclusiva. Inme
vive e agisce il Cristo della iniziativa radicale,della grazia come
grazia, in tutta la sua gratitudi-ne irriducibile. E, per questo,
il mio sacerdozio-ministeriale, il mio essere-per-gli-altri, pur
re-stando essenzialmente un servizio, è ne non pos-so evitare che
sia, anche un «potere». Un potereche nessuna impresa umana
prometeica, neppu-re degli altri membri del corpo cristiano, può
ot-tenere da sé sola. Un potere che viene da Dio,per Cristo, nello
Spirito, e che prende la suaespressione umana, la sua tangibilità
terrena,nella mia realtà sacerdotale di uomo-Cristo.Solo che,
precisamente qui, dove il mio sacer-dozio sembrerebbe distaccarsi
definitivamentedagli uomini, sono ancor più vincolato agli uo-mini.
Anzitutto perché Cristo stesso è l’UOMO.Perché in Lui il divino non
si dà a noi se non
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
22 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
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impregnato di umanità. È per antonomasia ilSERVO. Io stesso,
quindi, sono in funzione del-l’uomo. Il mio potere è un servizio,
un dono diDio, in me, non a me, ma agli altri.
Ministro dell’amore di Cristo…Il mio celibato non implica una
censura, un ri-fiuto dell’amore umano nella sua
espressionesessuale. Ma dice anzitutto, simbolicamente, unaltro
momento, non meno importante della suaimmensa ricchezza. Altri
forse porteranno ra-gioni molto più valide e profonde per
affermareil celibato sacerdotale; per me, esistenzialmente,il suo
sigillo consacrante è, innanzitutto, inse-gna d’amore: dell’amore
del Padre, in me, agliuomini; dell’amore degli uomini, in me, al
Pa-dre. Per esso sono anche testimone, dispensato-re e pastore
dell’amore redento in mezzo agliuomini che tremano d’amore e si
dibattono conl’amore egoista tanto vicino all’odio.Non posso
concepire il mio sacerdozio se noncome un ministero della pace,
della riconcilia-zione universale; un ministero che implica,
avolte, una lotta aperta, in nome dell’amore,contro il male e
l’oppressione mimetizzati sottotante forme.
… e della risposta umana(…) Essere cristiano è aver detto sì a
Dio in Cri-sto e negli uomini. È vivere giorno per giorno ilsì
della fede, della carità, della speranza nell’ac-cettazione (che è
rischio e compromesso) dellagrazia. La mia missione sarà
risvegliare questarisposta nel cuore dell’uomo, di ciascun
uomoattraverso la proclamazione della Parola che in-terpella;
seguire e difendere questa risposta consollecitudine pastorale;
consacrarla, restaurarlae promuoverla nell’amministrazione dei
sacra-menti fino al momento culminante in cui la miattività
sacrificale e ministeriale incorpora que-sta risposta, come
sacrificio spirituale, al sacrifi-cio unico di Cristo, nell’unità
dinamica e tota-lizzante della celebrazione eucaristica della
chie-sta, Cristo totale.
Uomo della Chiesa(…) Sono quindi un uomo-della-chiesa. Segnotra
gli uomini della sua presenza missionaria emanifestazione
dell’origine cristologica (di gra-zia) della stessa. Segno
attuante, agente ministe-riale di questa missione ecclesiale che è
la stessadi Cristo, nella sua espansione storica. Ecco, inuna
chiesa che è essenzialmente campo di riso-nanza della Parola,
ambito visibile della graziasalvifica, potestà conduttrice del
peregrinareumano nel suo esodo perpetuo della morte allavita, sono
uomo della Parola, del Sacramento,del Pastorale (potestà
pastorale).
Uomo della ParolaSono il suo responsabile. Ad essa è vincolato
in-dissolubilmente il mio destino terreno. In veritànon sono il
portavoce esclusivo. Può anche ri-suonare su labbra non
ministeriali. Ma il cari-sma che purifica e il sigillo che
autentica deriva-no dalla responsabilità e prerogativa della
fun-zione magisteriale e gerarchica della qualepartecipo. Parola
eterna, sempre la stessa e sem-pre nuova. Oggi sottoposta, per
decisione apo-stolica, a uno sforzo gigantesco di rinnovamen-to e
adattamento in risposta provvidenziale alleprovocazioni che vengono
dall’emergere dellatecnopoli come impronta e forgia di una
nuovacultura.Questo processo ineludibile è mio compito, an-goscia,
mio rischio, e può diventare la mia ten-tazione. Rischio di
tradirla, di svirilizzarla,strappandola dal ceppo vivo della
tradizione ec-clesiale. Tentazione di abbassare le sue
istanzedivine (nel tentativo di raggiungere un uomodalle
prospettive unicamente orizzontali) al li-vello vulnerabile e
discutibile delle ideologie,della prassi, delle utopie umane.
(…)
Uomo del PastoraleOgni cristiano è un capo, responsabile della
ri-conciliazione universale in Cristo. Un principiodinamico
trascendente di unione e promozionecomunitaria. Partecipa della
regalità universale
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 23
In me vive e agisce il Cristo della iniziativa radicale,della
grazia come grazia, in tutta la sua gratitudine irriducibile.
E, per questo, il mio sacerdozio-ministeriale, il
mioessere-per-gli-altri, pur restando essenzialmente un
servizio,
è ne non posso evitare che sia, anche un «potere».
-
di Cristo che dà dimensione salvifica all’impe-gno umano. Ma il
popolo di Dio, in questa eco-nomia dei mediatori, (profeti e guide)
richiede,per disposizione divina, il Pastorale, indice e so-stegno
dei suoi pastori. E nelle mie mani mini-steriali riposa e scotta,
con urgenza e responsa-bilità incalzanti, il
Pastorale.Responsabilità direttiva che non è pretesa di pri-vilegio
o di predominio, ma di servizio. Un ser-vizio – nel potere – che
nasce dall’obbedienza to-tale alla fede, in me e nei miei fratelli.
Potestàconduttrice che riconosce, sincera e umile, i suoilimiti e
si sforza di rimanere nella sua sfera dicompetenza; che per questo
sa trasformarsi incollaborazione e rispetto esemplari dinanzi ad
al-tri poteri che rivendicano per sé, legittimamen-te, la gestione
del bene comune degli uomini.Questa funzione, come le precedenti,
può costi-tuire la mia tentazione: di preminenza, di desi-derio
inconfessato di abuso d’autorità. (…) Diqui la mia lucida coscienza
della terribile re-sponsabilità del comando, della sua
crescentedifficoltà, non meno che della mia impotenzapersonale e
dell’adulterio dei miei fratelli; que-sto servizio-potestà si
converte facilmente inuna croce che solo la forza di Cristo, nella
miadebolezza, può rendere sopportabile. E mentremi opprimono la
solitudine e l’ineluttabile re-sponsabilità del mandato, Egli
m’incalza nell’in-timo, gridando: «Impugna il tuo Pastorale ,
po-niti dinanzi al mio popolo». «Da oggi stesso tido autorità sulle
genti e sui regni, per demoliree abbattere per perdere e
annientare, per riedifi-care e piantare» (Ger 1,10).
Sacerdote di oggi e di domaniQuando percorro così, in un unico
sguardo, l’o-rizzonte illimitato della presenza salvifica di
Cri-sto nella sua chiesa, intravedo la possibilità mol-teplice di
un pluralismo di incarnazioni, di rea-lizzazioni concrete,
all’interno dell’identitàfondamentale, inerente a questo mistero –
unicoe vitale – del sacerdozio ministeriale di Cristo.Profeta,
liturgo, pastore: tre note melodiche che
possono integrarsi in molte e diverse armonie;che possono
moltiplicarsi in un’infinità di varia-zioni all’interno di questa
grande sinfonia del-l’azione salvifica ministeriale.Non so quali
forme concrete rivestirà domani ilmio sacerdozio. E soffro oggi, in
questo abboz-zo incerto, per le deviazioni di alcuni miei fra-telli
nel sacerdozio. Ma il Signore di tutti è Ge-sù che non si
smentisce. È compito della suachiesa discernere la riuscita
attraverso le devia-zioni; il carisma innovatore nonostante i
capric-ci personali. In ogni caso, e sotto qualunqueforma, il
sacerdozio sarà sempre una realtà per-cepibile solamente alla luce
tenebrosa della fe-de; fecondo unicamente del dinamismo
purifi-cante della carità; accattabile e sostenibile
solonell’attrazione confortante della speranza.In quest’ora di
tempesta e di tenebra, la nostradebolezza si appoggia fiduciosa su
di Lui. Eglisuciterà, sempre di nuovo, libertà capaci di ac-cettare
la sfida della sua chiamata; per afferrarela Parola sulle labbra di
coloro che tacciono nel-la morte o nella disperazione; per
rinnovare ilPane che altri abbandonano sulla sua mensa;per
raccogliere il Pastorale che altri lasciò caderelungo il
cammino.Loro e noi, fratelli di oggi e di domani, nellagloria e
nella croce del sacerdozio, andremo in-contro – stretti in una
ineludibile identità – auno stesso sacrificio, a una stessa
tentazione: es-sere pastori autentici o lupi rapaci; custodi
le-gittimi della Porta o ladri furtivi dell’ovile; servidell’Amore
di Dio e degli uomini o speculatoriper la propria affermazione;
fonti di acqua vivao cisterne torre, vuote, offerte – in tragica
burla– alla sete degli uomini. Ma nonostante tutto, ilsacerdozio di
Cristo prolungherà sempre la suarisonanza ministeriale nella
chiesa, per il mon-do. E avrà sempre labbra che proclamano,
checonsacrano, che dirigono il popolo di Dio versole Porte della
Vita.
* La traduzione dell’articolo, già pubblicato in «Rassegna di
Teo-logia», è stata curata da P. Vincenzo Sibilio S.I.
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
24 · CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
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Tra tutti i sacramenti, quello dell’Unzio-ne degli Infermi (UI)
è quello che miappare, così in prima battuta, più “osti-
co” per una trattazione sotto la prospettiva chemi è stata
richiesta. Quale potrebbe mai esserela specificità “ignaziana” di
un sacramento co-me quello della UI?Mi pare di poter dire, allora,
che più che unosguardo sul sacramento in sé, potrebbe rivestireun
certo interesse riflettere a partire da uno
sguardo ignaziano sulla situazione nella qualeagisce il
sacramento. E tale situazione è una del-le più problematiche
dell’esistenza umana: è la“ferita”, l’esperienza del limite, della
malattia,della sofferenza e, spesso, della vicinanza ? pro-babile
od ormai certa, poco importa ? dellamorte.Mi chiedo allora: quali
sono le “coordinateignaziane” fondamentali per inquadrare il
no-stro argomento? Non ho dubbi, è la dinamica
SPIRITUALITÀ IGNAZIANA E SACRAMENTI
CRISTIANI NEL MONDO · SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 · 25
Uno sguardo ignazianosull’Unzione degli InfermiDI P. MASSIMO
PAMPALONI S.I.*
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degli Esercizi e, in modo del tutto speciale per ilnostro scopo,
il Principio e Fondamento (PF).L’altra dimensione non può che
essere l’aposto-licità. Vediamo.
PF e la fragilità creaturaleInizio la nostra lettura della
malattia, e quindi ilsenso dello sperimentare la grazia per mezzo
delSacramento, a partire da questo testo chiave de-gli Esercizi (ES
23), a mio avviso una delle piùpreziose meditazioni che Ignazio
propone nelsuo libretto.Al di là del suo aspetto che potrebbe
sembrare adalcuni un po’ “ragionieristico”, in esso ci sonodegli
insights spirituali poderosi. Sappiamo che ilPF è come il quadro
generale dentro il quale im-parare non solo a vivere la propria
esistenza spi-rituale, ma direi proprio imparare ad abitarla.Il
primo aspetto del PF che vorrei richiamare èquando dice che siamo
creati. Essere creato si-gnifica che l’essere in relazione di
dipendenzacon il Creatore mi è fondante, mi è assoluta-mente
proprio, mi appartiene come costitutivo.Ciò implica che io non sono
l’Essere, ma che ilmio essere mi è stato donato; quindi, io
questoessere l’ho ricevuto. Sono un essere finito, com-pletamente
sottoposto alla dura legge dei prin-cipi della termodinamica: sarà
forse un modoun po’ freddo di dirlo, ma il mio corpo è desti-nato a
consumarsi, non può rigenerarsi all’infi-nito né restare
completamente immune allapossibilità di “problemi di
funzionamento”. In-fatti, esso è sottoposto a tutte le possibili
accele-razioni di tale processo irreversibile di degenera-zione
dovute all’emergenza statistica di malattiee incidenti; indice che
vediamo ancora più ele-varsi nel momento in cui prendiamo in
consi-derazione un altro elemento stocastico nella suastessa
natura: il gioco delle libertà umane. Que-ste possono, con il loro
agire non assolutamentecontrollabile da me, intervenire per dare
un’ul-teriore accelerazione al mio processo di degene-razione, per
me