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Spagnolo e italiano: lingue simili o affini Spagnolo e italiano sono due lingue simili o “affini”, come spesso si afferma nella letteratura dedicata al tema. Importante riferimento bibliografico: M. V. Calvi, Didattica di lingue affini. Spagnolo e italiano, Milano, Guerini, 1995. L’ottica adottata dal testo è prevalentemente quella del discente italiano che entra in contatto con la lingua spagnola, ma considerazioni interessanti si posso trarre anche riguardo al versante dell’apprendente ispanofono di italiano come L2. La vicinanza tra spagnolo e italiano è molto marcata ripercussione inevitabile sul processo di apprendimento. I discenti spagnoli, per lo meno nelle fasi iniziali dello studio, progrediscono più rapidamente in questa lingua che in altre, come l’inglese e il tedesco, e la conoscenza di pochi rudimenti sono sufficienti per comunicare con i nativi a livello di “sussistenza”, ma spesso il pericoloso gioco ambiguo di simmetrie e dissimmetrie incide negativamente sulle prestazioni degli apprendenti. Nella didattica di lingue affini acquisisce un’importanza fondamentale l’Analisi Contrastiva. La linguistica storica era essenzialmente comparativa: si mettevano a confronto le proprietà formali delle varie lingue per classificarle in gruppi o famiglie. 1
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Feb 22, 2019

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Spagnolo e italiano: lingue simili o affini

Spagnolo e italiano sono due lingue simili o “affini”, come spesso si afferma nella letteratura dedicata al tema.

Importante riferimento bibliografico: M. V. Calvi, Didattica di lingue affini. Spagnolo e italiano, Milano, Guerini, 1995. L’ottica adottata dal testo è prevalentemente quella del discente italiano che entra in contatto con la lingua spagnola, ma considerazioni interessanti si posso trarre anche riguardo al versante dell’apprendente ispanofono di italiano come L2.

La vicinanza tra spagnolo e italiano è molto marcata ripercussione inevitabile sul processo di apprendimento.

I discenti spagnoli, per lo meno nelle fasi iniziali dello studio, progrediscono più rapidamente in questa lingua che in altre, come l’inglese e il tedesco, e la conoscenza di pochi rudimenti sono sufficienti per comunicare con i nativi a livello di “sussistenza”, ma spesso il pericoloso gioco ambiguo di simmetrie e dissimmetrie incide negativamente sulle prestazioni degli apprendenti.

Nella didattica di lingue affini acquisisce un’importanza fondamentale l’Analisi Contrastiva.

La linguistica storica era essenzialmente comparativa: si mettevano a confronto le proprietà formali delle varie lingue per classificarle in gruppi o famiglie.

La linguistica moderna ha messo da parte gli studi contrastivi sistematici, riservandoli piuttosto alle attività didattiche, secondo la proposta di Lado (1957).

Mentre la linguistica comparativa si proponeva di stabilire relazioni genetiche tra lingue imparentate, la linguistica contrastiva finalizzata all’insegnamento si basa sul paragone tra lingue (solitamente, la LM e la LS) anche non appartenenti allo stesso gruppo.

Al di fuori del campo didattico, esiste comunque una linguistica contrastiva teorica il cui obiettivo è quello di mettere a confronto due o più lingue per indagare il modo in cui una certa categoria

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universale si manifesta in esse (Santos Gargallo 1993: 25-31). Si tratta di un confronto scientifico che colloca i codici in questione sullo stesso piano, per analizzarli in modo rigoroso.

L’AC che propone Lado (1957) ha uno scopo prevalentemente predittivo: vengono cioè messi a confronto due sistemi con lo scopo di reperire le aree di maggiore difficoltà, dovute alle dissimmetrie tra LM e LS, per poi procedere alla preparazione del materiale didattico.

Manca una definizione del livello di AC comunque necessario per preparare un corredo di materiali didattici appropriati alla LM dei discenti. In altre parole: diamo per scontato che il transfer sia un processo diversificato dai risvolti sia positivi che negativi; ma sulla base di quali criteri linguistici (grammaticali, semantici e pragmatici) possiamo stabilire le progressioni di insegnamento?

In mancanza di indicazioni organiche, possiamo ricorrere al vecchio concetto di difficoltà contrastiva, prendendo in considerazione i fenomeni linguistici nella loro totalità. Il compito è più facile sul piano grammaticale, per il quale disponiamo di un ampio corpus analitico; anche se per italiano e spagnolo mancano esaurienti studi contrastivi, è sempre possibile collazionare le rispettive grammatiche descrittive. Più difficile è, invece, mettere a confronto gli aspetti discorsivi e pragmatici, meno studiati, soprattutto a livello di singole lingue; e anche per il lessico esistono varie difficoltà, a partire dalla risaputa assenza di un dizionario bilingue completo e aggiornato.

L’AC come riflessione esplicita Il comportamentismo rifiutava il richiamo esplicito alla LM per evitare l’invadenza delle abitudini linguistiche già acquisite. Nell’ottica cognitiva, che rivaluta il ruolo attivo del discente nel processo acquisitivo, il richiamo esplicito alla LM diventa invece il procedimento più idoneo per immagazzinare informazioni provenienti dalla L2, soprattutto se vicina alla L1.

Non si tratta di una presentazione simultanea di tutte le strutture delle due lingue si ricorrerà all’esposizione comparata in momenti diversi: nelle attività induttive, nella concettualizzazione, nelle spiegazioni da parte del professore, nella correzione degli errori, in risposta alle domande degli allievi, ecc.

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Richiamare la L1 dei discenti non significa solo mettere in evidenza le divergenze tra i due sistemi, ma è utile talvolta sottolineare anche le concomitanze, soprattutto quando gli studenti tendono ad evitare il transfer. Esempio: può essere utile far notare che in italiano le frasi negative si costruiscono quasi sempre come in spagnolo, con pochissime dissimmetrie.

È utile anche il ricorso alla conoscenza di altre lingue, che costituisce un bagaglio che l’insegnante può utilizzare (sempre che le conosca) sia per chiarire eventuali dubbi o errori che come strategia positiva di riferimento.

In che modo possiamo misurare il grado di somiglianza tra spagnolo e italiano? Criterio linguistico indicato da R. Di Pietro (1971): “due lingue sono simili in proporzione al numero e all’ordinamento gerarchico delle regole condivise nei livelli intermedi, cioè tra la struttura profonda e la struttura superficiale”. Tra italiano e spagnolo spesso coincidono anche le strutture superficiali.

Con verde blando / viene cantando / la primavera: / viene cantando / al cielo e al monte/ al fresco mar radiante, / gloria celeste / musica agreste / rosa infinita: /sublime, santa, / viene la poesia, / la primavera canta. / Delira, respira / con brio / sereno / la lira / del rio / sublime, santa / viene la poesia / la primavera canta [testo di Joseph Tusiani] (Di Pietro 1971, 1977: 56).

Tra italiano e spagnolo esiste un legame di parentela tra i più forti nella famiglia romanza, come la linguistica comparata ha evidenziato sempre e come conferma il confronto linguistico ad ogni livello.

Ma tale somiglianza non è garanzia di un apprendimento indolore perché le false equivalenze, le analogie formali (identità di forma) cui corrispondono differenze funzionali o semantiche talvolta difficili da precisare, deludono spesso le aspettative dei discenti.

Analisi di tali affinità.

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Affrontiamo la questione dal punto di vista della “distanza psicologica”, ovvero come il discente spagnolo percepisce la distanza tra il proprio sistema linguistico e quello italiano.

Distanza fonologica

Suoni vocalici

Sostanziale coincidenza tra i due sistemi vocalici, che dà allo studente spagnolo un’immediata sensazione di familiarità, che non prova quando, a d esempio, si avvicina al francese, dove la nasalizzazione fa crescere il numero dei suoni vocalici a 16, mentre l’italiano ne presenta solo 7 e lo spagnolo 5.

L’elemento differenziatore la presenza, in italiano, dei due diversi gradi di apertura dei fonemi /e/ e /o/, che di fatto caratterizzano soprattutto la variante toscana (fiorentina). In realtà tale opposizione di realizza nella maggior parte delle varianti dell’italiano ma senza un esatto parallelismo nella sua distribuzione, anche nella stessa Italia centrale la pronuncia non è omogenea in tutto lo spazio geografico.

Per un ispanofono, voler adottare il modello vocalico oppositivo –qualunque esso sia- risulta particolarmente complesso, almeno in un primo approccio allo studio della lingua.

1. per la non esistenza in spagnolo delle opposizioni di grado e di apertura vocalica (e le difficoltà non sono minori per parlanti bilingue come i catalani, che sì le hanno, ma non sanno in che posizione della sequenza fonica italiana le debbono trasferirle).

2. perché la tradizione grafica dell’italiano non ha imposto la norma di accentare in modo differenziato le vocali aperte da quelle chiuse, per cui nemmeno la lingua scritta può essere di aiuto in questo caso.

Soluzione più accettabile (almeno in una prima fase di studio) trasferire all’italiano la pronuncia spagnola di /e/ e /o/, che ha comunque un carattere intermedio e quindi risulta perfettamente accettabile.

Non ci saranno problemi di confusioni semantiche perché interverrà logicamente il contesto a chiarire ogni possibile dubbio anche nel caso di vocaboli il cui significato teoricamente si

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differenzia solo per il grado di apertura di una vocale (it. pésca – pèsca).

Conclusione: a grandi linee, sul piano fonologico i sistemi vocalici dell’italiano e dello spagnolo coincidono.

Suoni consonantici C’è un settore del consonantismo dell’italiano che presenta una minore differenziazione rispetto a quello dello spagnolo.

Fonema alveolare fricativo /s/.Per gli ispanofoni, in una prima fase dell’apprendimento, sarà sufficiente trasferire in italiano la realizzazione spagnola del fonema /s/. In spagnolo non esiste la realizzazione sonora [z] del fonema /s/, ma solo quella sorda, che è presente, con diversa distribuzione, nelle varietà di italiano. La soluzione più semplice consiste nel far pronunciare al discente ispanofono la /s/ intervolcalica come sorda.

Distribuzione di /s/ e /z/. Aspetto problematico “s- impura”: stampa, studente, speciale, sdraiarsi, ecc., *estampa, *estudente, *especiale, *esdraiarsi , ecc.

Fonemi consonantici che non trovano una realizzazione corrispondente in spagnolo; rappresentano l’elemento “nuovo” da apprendere.

1) Non esistenza in spagnolo del fonema labiodentale sonoro /v/, in spagnolo non c’è differenziazione, a livello di realizzazione, tra i fonemi /b/ e /v/, che si realizzano entrambi con la bilabiale [b]: bien [bjén], vino [bíno]. Insistere su questo punto evidenziando il fatto che ognuna di queste consonanti ha una realizzazione fonetica ben chiara e differenziata e ad ognuna corrisponde una grafema differente.

2) Attenzione al fonema fricativo postalveolare sordo dell’italiano /∫/ (realizzazione è simile a quella dell’inglese shoe e presente, oltre che nello spagnolo antico, anche nel gallego (toxo) o nel catalano (aixó): scena [∫éna]. Evitare che venga assimilato a [t∫].

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3) Non è presente nello spagnolo attuale nemmeno il fonema affricato postalveolare sonoro /dZ/: giro [dZíro]. Attenzione: spesso si tende a trasformarlo nella semiconsonante [j] ([buonjórno] invece di [buon dZórno]).

Peculiarità del sistema consonantico italiano l’esistenza di un nutrito gruppo di consonanti intense (chiamate anche doppie, rafforzate, geminate o lunghe). Nota dolente per i discenti ispanofoni perché, in questo senso, la corrispondenza tra i due sistemi è minima: in spagnolo abbiamo il caso della vibrante multiple /r/ [trattino sopra] (grafema doppia rr, in posizione intervocalica: sp. carro) y la doble nn che appare in alcune forme colte e in parole composte (ennegrecer) (anche se, a livello di pronuncia, il gruppo si separa). Importanza fondamentale della presenza di consonanti intense o rafforzate quando ciò può indicare un cambio semantico: copia-coppia, fato-fatto, eco-ecco, libra-libbra, cade-cadde, fuga-fugga, camino-cammino, pena-penna, pala-palla, cacio-caccio, casa-cassa, tufo-tuffo, caro-carro, beve-bevve, ecc.

Grazie a questa affinità molte parole italiane risultano riconoscibili a uno spagnolo, anche se a volte il significato rimane in parte oscuro, e spesso si creano effetti ludici: si ha la sensazione di sentire una deformazione comica della propria lingua.

I pronomi soggetto L’uso dei p. s. italiani non presenta eccessive difficoltà per gli ispanofoni normalmente, nella sequenza della frase appaiono nelle stesse posizioni e circostanze dello spagnolo. La frequenza d’uso dei pronomi è limitata in entrambe le lingue.

Alcune dissimmetrie da tenere conto nella didattica:-Lo spagnolo costruisce alcuni sintagmi ricorrendo al pronome soggetto, laddove l’italiano utilizza le forme complemento. Vediamo i casi principali:

a) Nelle comparazioni, quando il pronome funziona come secondo elemento della costruzione:

-Puoi fare come me = Puedes hacer como yo.-Carlo lavora quanto me = Carlos trabaja lo mismo que

yo.-Anna è più alta di me = Ana es más alta que yo.

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b) Nella formulazione di opinioni, quando segue l’avverbio Secondo:

-Secondo te, che cosa succederà? = Según tú, ¿qué pasará?

c) Dopo eccetto, tranne, salvo:-Andranno a Roma tutti eccetto te = Irán a Roma todos excepto tú.-Tranne me, tutti sono stranieri = Excepto yo, todos son extranjeros.-Tutti, salvo te, hanno finito il lavoro = Todos, salvo tú, han terminado el trabajo.

Vi sono altri, ma questi sono i principali.

- Italiano obbligo dell’uso del pronome soggetto davanti alla seconda persona singolare del congiuntivo presente (per evitare ambiguità):

che io rida, che tu rida, che egli rida, Spagnolo non c’è quest’obbligo: la terminazione –s indica di per sé la seconda persona:

yo quiero que vayas.

Voglio che tu faccia questo lavoro = Quiero que Ø hagas este trabajo (Non è possibile, in italiano, in riferimento alla seconda persona singolare, *Voglio che faccia questo lavoro)

- Italiano obbligatoria la presenza dei pronomi soggetto per identificare soggetti genericamente plurali in frasi con il verbo in forma personale, del tipo:

Noi che parliamo l’inglese = Los que hablamos inglés…Noi spagnoli siamo meno alti degli inglesi = Los españoles somos menos altos que los ingleses.

Spagnolo in questi casi presenta schemi di costruzione diversi: Los que hablamos inglés… / Nosotros los que hablamos inglés…; Los españoles somos menos altos que los ingleses / Nosotros los españoles somos menos altos que los ingleses.

Confronto tra i due sistemi dei pronomi personali soggetto. Caratteristiche principali:

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-Maggior semplicità dell’italiano nelle prime e nelle seconde persone del plurale: non si utilizzano morfemi che differenziano il genere (nosotros/nosotras noi; vosotros/vosotras voi)-Maggior complessità dell’italiano riguardo al numero e alla distribuzione delle forme di terza persona: lui (egli) – esso; lei (ella) – essa él – ella – usted; loro – essi – esse ellos – ellas –ustedes.

-Italiano e spagnolo coincidono riguardo alla non necessità (rifiuto) dei pronomi soggetto quando le forme verbali sono sufficientemente caratterizzate dal punto di vista personale.

Il complemento oggetto La costruzione spagnola presenta un’importante differenza rispetto a quella italiana (altro aspetto questo sul quale insistere dal punto di vista didattico).

Spagnolo se il complemento oggetto è un nome di persona o di animale conosciuti o determinati, deve essere preceduto dalla preposizione a:

-He visto a tu hermana en el mercado = Ho visto tua sorella al mercato.

Si tratta di una delle questioni fondamentali della grammatica spagnola: al di là di questa regola generale esiste una serie di sottocasi e sfumature che rendono il tema più complesso.

A effetti della didattica a ispanofoni, basta sottolineare il fatto che in italiano il complemento oggetto non va mai preceduto dalla preposizione, questo per evitare di introdurre nella costruzione italiana la preposizione a che lo spagnolo usa in questi casi:

-Pedro saluda a Carlos = *Pietro saluta a Carlo-No conozco a ese chico = *Non conosco a quel ragazzo-Veo a Ana = *Vedo a Anna

Articoli Dopo aver presentato la classificazione delle varie forme dell’articolo determinativo e indeterminativo dell’italiano, è opportuno segnalare alcune divergenze o peculiarità di uso tra spagnolo e italiano. Importante: articolo determinativo maschile singolare

spagnolo EL (forma unica) italiano due forme IL e LO

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In italiano l’uso di una delle due forme dipende dalla lettera o suono iniziali della parola seguente:

F il cane, il gatto, il letto, F lo spazio, lo zio, lo gnomo, lo psicologo, lo scemo, ecc.

In spagnolo esiste l’articolo LO, ma si tratta di un articolo neutro (non accompagna sostantivi) che presenta usi particolari e che non ha corrispondente in italiano. Nel passaggio all’italiano è possibile tradurlo utilizzando indistintamente una delle due seguenti costruzioni:

a) attraverso l’uso dell’articolo maschile: lo bello = il bello.b) attraverso l’uso di espressioni del tipo ciò che, quel che:

lo bello = ciò che è bello; lo que pasa = quel che succede.

Altra questione importante relativa agli articoli è l’assenza in spagnolo dell’apostrofo (nel caso di termini femminili) presente invece in italiano:

la amiga, una amiga l’amica, un’amica, ecc.

È opportuno evidenziare alcuni usi particolari dell’articolo che differiscono dallo spagnolo:

1) in spagnolo si utilizza l’articolo maschile (determinativo e indeterminativo) davanti a sostantivi femminili che iniziano per A o HA. Insistere sul fatto che, nel passaggio all’italiano, tale uso si perde e l’unico articolo possibile davanti a tali sostantivi sarà quello femminile LA e mai IL.

2) in spagnolo non esiste il partitivo singolare, presente invece in italiano: C’è del pane?, Ho comprato della farina, mentre invece esiste il partitivo plurale. In sostituzione delle forme di partitivo singolare, lo spagnolo usa un poco de, l’indeterminativo plurale o niente. Ad esempio:-Hay pan / un poco de pan? (C’è del pane?)-Sí, he comprado unos bocadillos (Sì, ho comprato dei

panini). L’aspetto più importante dal punto di vista degli ispanofoni è la questione del partitivo singolare, visto che non esiste una corrispondenza diretta tra le due lingue.

Usi divergenti dell’articolo. F Presenza in italiano dell’articolo davanti ai nomi geografici, laddove lo spagnolo omette le forme dei determinanti:

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l’Italia, la Spagna Italia, España…Lo spagnolo ricorre all’uso dell’articolo solo nel caso in cui il nome geografico sia accompagnato da un elemento di specificazione:

La Spagna del sud, L’Italia degli anni venti La España del sur, La Italia de los años Veinte, ecc.

coincidendo, in questo caso con l’italiano.

F Altro uso dissimmetrico tra le due lingue è l’uso dell’articolo determinativo in spagnolo davanti ai giorni della settimana (eccetto quando si trovano dopo il verbo ser, e dopo cada), ad esempio:

El domingo se va de vacaciones = Domenica va in vacanza (Domani è sabato = Mañana es sábado; Cada lunes va al gimnasio).

Dobbiamo evitare quindi il trasferimento all’italiano la domenica va in vacanza, dove l’uso dell’articolo potrebbe indicare periodicità, a seconda del contesto.

F Spagnolo: l’uso dell’articolo singolare con i giorni della settimana indica un giorno in concreto:

El lunes voy a hablar con el director = Lunedì vado a parlare con il direttore,

mentre l’articolo plurale indica la periodicità: Los lunes voy al gimnasio = I lunedì / Il lunedì vado in

palestrain quest’ulitmo caso esiste una corrispondenza tra italiano e spagnolo.

F Nel caso del partitivo plurale, è sufficiente far osservare che in italiano si ricorre alle forme di preposizioni articolate: dei, degli, delle.

Dimostrativi Come primo approccio allo studio dei dimostrativi, possiamo evidenziare il parallelismo tra il sistema spagnolo e quello italiano, dove esistono tre serie elementi primari:

questo (-a, -i, -e), Italiano codesto ( -a, -i, -e),

quello (e le sue trasformazioni di genere e numero)

este (-a, -os, -as), 10

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Spagnolo ese ( -a, -os, -as), aquel (-a, -os, -as)

Come peculiarità, è opportuno evidenziare che le forme dello spagnolo ese, esa, esos, esas, sono utilizzate:

-per riferirsi a persone o cose che si trovano più vicine all’ascoltatore che al parlante:

Ese libro (que tienes en la mano) es muy interesante, -per indicare persone o cose che si trovano in un luogo

considerato dal parlante né lontano né vicinissimo: Esa (de enfrente) es mi casa

Differenza importante: le corrispondenti forme italiane della serie ese, esa, esos, esas, cioè, codesto, codesta, codesti, codeste, presentano oggi giorno un uso limitato alla Toscana e, per quanto riguarda il livello stilistico, al linguaggio letterario e burocratico; codesto è praticamente sparito dall’uso normale (nella lingua comune viene sostituito da questo): codesti ragionamenti non mi convincono; si rivolge a codesta amministrazione il predetto quesito, ecc. Mentre le corrispondenti forme spagnole sono tutt’oggi usate, al pari delle altre serie.

In spagnolo, quando il riferimento all’interlocutore è più generico, ese può corrispondere a questo: Esa idea no me convence = Quest’idea non mi convince.

In spagnolo esistono poi delle forme neutre di dimostrativo esto, eso, aquello

che non trovano un corrispondente in italiano e che hanno sempre funzione di pronome. Vengono usate per indicare qualcosa di indeterminato: ¿Qué es eso?

Vediamo alcune osservazioni relative alle forme dell’italiano:-è necessario fare attenzione all’influsso della terminazione –e di este nel passare all’italiano questo, con terminazione in –o, perché non è infrequente, dovuto all’influenza dello spagnolo este, trovare

*queste uomo*queste libro

Indicativo presente In generale, l’italiano è una lingua più “sdrucciola” dello spagnolo.

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C’è, ad esempio, un importante gruppo di verbi della prima coniugazione nei quali questa tendenza si accentua ancora di più.

In spagnolo, nessuna delle forme del presente indicativo è sdrucciola (cioè con accento sulla terzultima sillaba):

evito, eviti, evita, evitiamo, evitate, evitano evito, evitas, evita, evitamos, evitáis, evitan.

È necessario far attenzione fin dall’inizio a questa possibile errata collocazione della sillaba tonica.

Il passato prossimo e gli ausiliari Si tratta di un tema importante perché ci sono alcune divergenze tra i due sistemi.

Italiano e spagnolo formano il passato prossimo dell’indicativo mediante il participio passato del verbo preceduto dal verbo ausiliare coniugato all’indicativo presente:

F Pietro ha mangiato la carne = Pedro ha comido la carne

Divergenze tra la costruzione italiana e quella spagnola:a) italiano due ausialiari: essere e avere

spagnolo un unico ausiliare: haber

b) italiano il participio passato può concordare (variando in genere e numero) con il soggetto della frase o con un complemento della stessa, spagnolo il participio è invariabile, con terminazione in –o:

¿Has comprado las flores a María? No, no las he comprado.Hai comprato i fiori a Maria? No, non li ho comprati.

In italiano, il responsabile, in ultima istanza, di queste due circostanze (l’uso di uno dei due ausiliari e la concordanza del participio) è il verbo che si coniuga. Dalle sue caratteristiche dipende il ricorso a essere o avere e dall’ausiliare dipenderà la concordanza. Ma questa non è una situazione univoca in quanto a volte, in italiano, l’ausiliare non è selezionato dal participio ma dall’infinito che lo segue, come nel caso dei verbi chiamati “servili”, e a volte la concordanza va al di là della considerazione del verbo ausiliare, adeguando la sua realizzazione a un’altra circostanza.

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L’ispanofono, una volta conosciuto il participio del verbo che si vuole coniugare, si trova quindi di fronte alla scelta dell’ausiliare corrispondente, impresa non facile È una difficoltà in certo modo parallela a quella che possono trovare gli studenti stranieri rispetto all’uso dei verbi ser e estar.

Fare attenzione fin dai primi momenti di presentazione del tema: è frequente la proliferazione di forme costruite con un ausiliare errato e con una generalizzazione praticamente univoca, com’è logico, dell’ausialiare avere:

*ha andato, *ha stato, *ha uscito, ecc.

A ciò si aggiunge la difficoltà di non poter stabilire in italiano regole brevi e chiare che conducano con esattezza e fin dal primo momento alla scelta corretta dell’ausiliare. L’uso parlato e l’osservazione della dimensione letteraria costituiscono, in ogni caso, la miglior regola.

Usi dei tempi passati. -È necessario sottolineare che in italiano, in modo particolare nella lingua parlata e soprattutto in certe regioni, si tende a privilegiare l’uso del passato prossimo rispetto al passato remoto.

-In spagnolo, invece, il contrasto lingua scritta/lingua parlata non è un criterio di scelta di uno dei due tempi del passato, che invece si scelgono seguendo delle regole ben precise. Dobbiamo tenere conto di questo fatto per evitare di stabilire falsi parallelismi tra italiano e spagnolo.

-Spagnolo il passato remoto indica un’azione passata e compiuta che, da un punto di vista cronologico o psicologico, non ha a che fare con il momento presente. Lo si utilizza quindi per fare riferimento ad un’azione accaduta in un’unità di tempo ormai finita e chiusa anche se relativamente vicina, ecco perché di regola è usato con avverbi o lucozioni temporali che indicano periodi cronologici anteriori al momento dell’enunciazione, come

ayer (ieri), la semana pasada (la settimana scorsa), el año pasado (l’anno scorso), entonces (allora), aquel día (quel giorno), ecc.

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casi in cui l’italiano, soprattutto a livello parlato e, come dicevamo, soprattutto in certe varietà regionali, utilizzerebbe non il passato remoto ma quello prossimo:

Ayer fuimos al cine = Ieri siamo stati al cinema.La semana pasada estuve en Madrid = La settimana scorsa sono stato a Madrid.En enero llovió mucho = A gennaio ha piovuto molto.Yo nací en 1965 = Io sono nato nel 1965.Compré este coche hace cinco años = Ho comprato quest’auto cinque anni fa.

Le particelle “ci” e “ne” Una delle maggiori difficoltà che si verificano nell’apprendimento di una seconda lingua è il fatto di dover utilizzare in quest’ultima, perché lo esige la sua struttura, elementi ai quali corrisponde una “casella vuota” nella lingua materna.

Uno degli esempi tipici in questo senso è quello costituito dalle particelle “ci” e “ne”, che spesso si trasformano in un’ossessione ricorrente, e a volte permanente, per gli ispanofoni che apprendono l’italiano.

L’italiano sente una maggiore necessità, rispetto allo spagnolo, di indicare grammaticalmente dei contenuti logici che in determinate sequenze vengono date per scontato o come supposte in spagnolo.

Ciò implica per l’italiano, e in relazione con lo spagnolo, una maggiore necessità e capacità di precisione referenziale, se vogliamo, in questo caso, una minore economia linguistica; in questo senso l’italiano si avvicina a lingue come il francese e il catalano.

Per un ispanofono, la necessità che esiste in italiano di usare alcune particelle che non trovano corrispondente nella lingua materna, costituisce un notevole scoglio nell’apprendimento della seconda lingua.

È un aspetto sul quale, soprattutto dal punto di vista didattico, è necessario insistere fin dai primi momenti dell’apprendimento e in modo approfondito, cercando di far capire la necessità di tali

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particelle, facendo però ben attenzione a non cadere in un loro abuso, utilizzandole in quei casi dove non sono necessarie.

Osserviamo questo piccolo dialogo in spagnolo:

-¿Has ido a Madrid esta semana?-Sí, he ido dos veces.

Nella seconda frase (la seconda risposta) il parlante sottintende il luogo dove è andato quelle due volte, cioè, Madrid.L’italiano, come sappiamo, in questo caso sente la necessità di segnalare grammaticalmente tale contenuto concettuale, ricorrendo non tanto alla mera ripetizione del complemento di luogo, ma ricorrendo all’uso con valore avverbiale della particella ci:

-Sei stato a Madrid questa settimana?-Sì, ci sono stato due volte.

Quindi il complemento di luogo enunciato in una frase deve essere “ricordato” grammaticalmente nel resto delle frasi che seguono in cui si fa riferimento a esso.

La gamma di usi che presenta la particella ci è molto più complessa. Sarà necessario quindi presentare i vari usi e valori –per lo meno i principali (come, ad esempio, pronome personale atono di prima persona plurale: ci piace; come marca di impersonalità di verbi riflessivi: fra amici ci si deve aiutare, ecc.)- al fine di evitare fin dall’inizio possibili equivoci.

Al “ne” avverbiale italiano (che costituisce, tra i vari usi, quello meno frequente) corrisponde in spagnolo un avverbio di luogo (in genere, allí, allá) preceduto dalla preposizione de:

-Avete visto il giardino? -Sì, ne veniamo adesso = ¿Habéis visto el jardín? –Sí, venimos ahora de allí . -Sei mai stato a Roma? –Guarda caso, ne vengo proprio adesso = ¿Has estado alguna vez en Roma? –Fíjate qué casualidad, vengo de allí precisamente ahora.

Il “ne” integrato in verbi come “andarsene” (irse) o “starsene” (estarse) non ha un parallelismo in spagnolo:

-Me ne vado = Me _ voy.

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I possessiviI possessivi italiani rispetto a quelli spagnoli presentano due differenze principali:

a) sono preceduti normalmente dall’articolo determinativo.b) gli aggettivi non si apocopano quando precedono un

sostantivo (sp. Un hombre grande – Un gran hombre)

A queste due divergenze dobbiamo aggiungerne una terza di carattere semantico-formale:

c) nel possessivo della terza persona l’italiano distingue, attraverso forme diverse, quando il possessore è uno e quando invece sono vari.

Quindi come prima osservazione molto superficiale, possiamo dire che, in linee generali, il possessivo italiano è più preciso di quello spagnolo, questo perché ha un margine di ambiguità più limitato e perché la sequenza ARTICOLO + POSSESSIVO presenta un maggior numero di dati.

Differenza importante: in italiano, contrariamente a quanto accade in spagnolo, alla terza persona le forme variano a seconda che il possessore sia uno o più di uno. Vediamo un esempio al riguardo:

-Dov’è il suo libro? (di lui, di lei)= ¿Dónde está su libro? (de él, de ella, de usted)

-Dov’è il loro libro? (di loro)= ¿Dónde está su libro? (de ellos, de ellas, de ustedes)

Il futuro dell’indicativo Dei vari tempi verbali, il futuro è forse quello che presenta il più elevato numero di usi dissimetrici tra italiano e spagnolo ed è un tema, quindi, sul quale è necessario insistere per evitare possibili errori. Vediamo i casi principali:

Si usa il futuro in italiano e non in spagnolo:1. Nel periodo ipotetico (concretamente, nella protasi) riferito al

futuro:-Se verrai domani a casa, ti preparerò un buon caffè= Si vienes mañana a casa, te prepararé un buen café.

2. Nelle subordinate temporali riferite al futuro quando sono introdotte dal nesso quando e che indicano un’azione

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simultanea rispetto a quella indicata dal verbo principale, anch’esso al futuro:

-Quando sarò ricco, comprerò una bella casa= Cuando sea rico, comprare una buena casa.

Ciò si verifica anche con particelle come finché, fino a che e appena, anche se in questi casi si può utilizzare l’indicativo presente:

-Finché sarà giorno non accenderò le luci= Mientras sea de día no encenderé las luces.

-Appena lo saprò, te lo dirò.= En cuanto lo sepa, te lo diré.

3. Nelle frasi riferite al futuro e dipendenti da una frase anch’essa con verbo al futuro, quando il soggetto è rappresentato da un ordinale o da un indefinito:

Il primo che imparerà la lezione riceverà un premio.= El primero que aprenda la lección recibirá un premio.

Chi toccherà questo verrà punito.= El que toque esto será castigado.

4. In sostituzione del futuro anteriore, come vedremo tra poco.

5. In frasi che indicano dubbio o probabilità introdotte dall’avverbio forse (“quizás”) possiamo trovare il presente indicativo (Forse arriva domani = Quizás llega mañana) o il futuro semplice (Forse arriverà domani = Quizás llegue mañana), ma non il congiuntivo come invece accade in spagnolo.

Si usa il futuro anteriore in italiano e non in spagnolo:

1. Per indicare la probabilità riferita al passato (in spagnolo, in questo caso, si usa il condizionale presente):

-A che ora è arrivato Luigi?-Non lo so di preciso, saranno state le tre.= -¿A qué hora llegó Luis?

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-No lo sé seguro, serían las tres.

-A quell’epoca ero molto giovane; avrò avuto quindici anni= En aquella época yo era muy joven; tendría quince años.

2. Nelle subordinate temporali riferite al futuro, per indicare un’azione futura conclusa anteriore a un’altra, anch’essa futura. Se confrontiamo i due sistemi, notiamo che una delle caratteristiche dell’italiano è la tendenza a marcare grammaticalmente la successione cronologica delle azioni e questo è uno dei casi in cui tale tendenza si manifesta in modo più accentuato. Si verifica soprattutto quando il verbo è introdotto dalle particelle dopo che, appena, quando, finché e fino a quando, con valore di anteriorità:

Dopo che avrò letto questa rivista andrò al cinema = Después de leer esta revista iré al cine.

Appena sarò arrivato, ti scriverò= En cuanto yo llegue, te escribiré.

Quando avrai bevuto il vino, lava il bicchiere= Cuando bebas el vino, lava el vaso.

Nonostante ciò è frequente, nella pratica della lingua normale della comunicazione il fatto che, per economia e semplicità linguistica, compaia il futuro semplice o il passato prossimo al posto del futuro anteriore, quando le azioni si succedono immediatamente, senza che ciò implichi qualche cambio semantico nella frase:

Quando arriverai telefonami= Cuando llegues, telefonéame.

Quando sei arrivato, telefonami= Cuando hayas llegado, telefonéame.

3. Un altro uso divergente è quello relativo alle frasi suppositivo-concessive riferite al passato. Utilizziamo in spagnolo il condizionale presente, mentre in italiano compare il futuro anteriore in tutti i casi:

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Sarò stato ricco, ma non spendeva niente= Sería rico, pero no gastaba nada

Sarà stato un bel posto, ma era carissimo= Sería un buen sitio, pero era carísimo

Forme contratte: preposizione + articoloLe uniche forme contratte (preposizioni articolate) esistenti in spagnolo sono AL (A + EL) e DEL (DE + EL). In tutti gli altri casi, a differenza dell’italiano (AI, AGLI, ALLE, DEI, DEGLI, DELLE) si usano le preposizioni separate dagli articoli: A LA, A LAS, A LOS, DE LA, DE LAS, DE LOS.

Hay / está, están c’è / ci sono Come corrispondente delle forme italiane c’è / ci sono, in spagnolo esiste un’unica forma invariabile, hay:

Hay un libro en la mesa, En la habitación hay dos sillas. In spagnolo, non si usa hay, bensì il verbo estar quando il soggetto è determinato:

-En la mesa está el libro de física.-¿Está Antonio? –No, no está

Per gli ispanofoni l’uso delle sue forme italiane non dovrebbe costituire un grosso scoglio, in quanto potrebbero essere “guidati” dal fatto che la forma usata in spagnolo nel caso di soggetto determinato, ovvero estar, presenta varazione di numero: está / están.

Pronomi personali complemento. Forme atone Importante la questione dell’uso del doppio pronome.

Tanto in italiano come in spagnolo, la sequenza dei pronomi è prima l’indiretto e poi il diretto: CI + CD.

In spagnolo, i pronomi di complemento indiretto le/les, vengono sostituite, nel caso della sequenza di due pronomi, dall’unica forma se, dando luogo alle sequenze

se lo, se la, se los, se lascorrispondenti alle forme italiane

glielo, gliela, glieli, gliele19

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Non gliel’ho detto = No se lo he dicho

Mentre in italiano sono sempre forme composte (cioè la grafia è unica: glielo, gliela, ecc.) in spagnolo non sempre è così:

no se lo he dicho mentre nelle forme dell’imperativo affermativo, e del gerundio, seguono il verbo e la grafia è unica, come in italiano:

Diglielo! = ¡Díselo!; Dicendoglielo = Diciéndoselo .

Partes del díaLe ore da 13 a 24 si usano solo nella lingua scritta, mentre nella lingua parlata si preferisce specificare, quand’è necessario, la parte del giorno alla quale corrisponde: mañana, tarde, noche o madrugada. È da sottolineare il fato che non esiste in spagnolo un termine equivalente a sera: si è soliti utilizzare tarde finché c’è luce e noche a partire dal tramonto / calare del sole.

Ir/venirRappresentano una coppia di verbi –tra le varie- problematica per l’ispanofono, in quando non vi è corrispondenza di uso tra le due lingue. Con venir in spagnolo si indica il movimento il cui termine implicito o esplicito è aquí, o anche quello realizzato in mia compagnia; con ir, invece, si indica un movimento il cui termine implicito o esplicito è allí: -¿Puedes venir (aquí) a mi casa? -En seguida voy (allí).-¿Te vienes al cine (en mi compañía)? –Voy (allí) con mucho gusto.-La cena è pronta! –Sì, vengo subito = -¡La cena está lista! Sí, enseguida voy.Quindi, in spagnolo, a differenza dell’italiano, non si usa venir per indicare il movimento che si realizza verso l’interlocutore, cioè hacia donde te encuentras tú oppure en tu compañía. Quindi, passando dallo spagnolo all’italiano, è necessario far attenzione alla scelta del verbo.

-Luis, ¿me ayudas a planchar las sábanas?-Sí, voy.

-Luis, mi aiuti a stirare le lenzuola ?-Sì, vengo (e non *vado).

Uso del condizionale20

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L’uso del condizionale normalmente coincide in spagnolo e in italiano, ma ci sono alcune differenze. Le più importanti sono le seguenti:

1. Si usa il condizionale semplice in spagnolo e quello composto in italiano per indicare un’azione futura che dipende da un verbo al passato: Antonio me dijo que vendría; per questo caso, oltre al condizionale semplice, si usa anche la perifrasi ir + a + infinitivo: Antonio me dijo que iba a venir.

2. Si usa il condizionale semplice in spagnolo e il futuro composto in italiano per indicare probabilità: -Ayer pasé por casa de Sara y no había nadie. –Estarían en la playa, e anche per indicare approssimazione nel passato: Serían las cinco cuando llegó.

Distanza lessicale

Anche in questo livello l’impressione di somiglianza è notevole, e ciò è dovuto alla grande quantità di lessemi uguali o molto simili.

Problematica dei falsi amici termini formalmente vicini o addirittura omonimi che si allontanano, in tutto o in parte, sul piano del significato.

In alcuni casi l’effetto ottenuto è quello di ilarità, nel caso soprattutto dei più noti e conosciuti falsi amici con i quali qualunque studente principiante di spagnolo si imbatte già dai primi contatti con la nuova lingua, come nei casi di burro, aceto, gamba (attenzione a chiederne un piatto al ristorante se non volgiamo essere scambiati per cannibali!!)

Non tutti i falsi amici rappresentano un ostacolo per l’apprendimento. Gli esempi sopra citati (burro, aceto, gamba) rimandano nelle due lingue a contesti così lontani tra loro da escludere qualunque ambiguità.

Il problema risulta più complesso quando a coincidere, oltre alla forma, è anche il significato. In questo caso si crea una rete di molteplici relazioni tra le due lingue, in cui è difficile districarsi ad ogni livello di conoscenza, bilinguismo compreso.

Vediamo alcuni tra i casi principali, con le possibili ripercussioni sul modo in cui il sistema dell’italiano viene percepito dallo studente spagnolo.

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Sinonimia o quasi-equivalenza sia dei significanti che dei significati

Partendo dal presupposto che un’equivalenza totale è impossibile, italiano e spagnolo condividono un gran numero di parole che assicurano fin dal primo contatto con la L2 l’impressione gratificante di capire in tutto o gran parte del massaggio, e rafforzano la percezione di vicinanza.Alcune termini come amico, corso, professore, aula, anche se non coincidono con i corrispettivi spagnoli in tutti i contesti e in tutte le possibili accezioni, sono comunque trasparenti per un ispanofono. Le difficoltà emergono con i primi tentativi di produzione, soprattutto quando i lessemi si distanziano leggermente a livello formale o quando vi sono contrasti tra scrittura e pronuncia. Professore può diventare profesore; farmacia può essere pronunciato come in spagnolo (cioè piana) e con la probabile realizzazione dell’interdentale //.

Omonimia o paronimia (forte somiglianza formale), con differenza di significato

Sono i veri e propri “falsi amici”, che provocano le prime delusioni del discente: la sensazione di “aver capito” viene smentita dai fatti. Si va dai casi già analizzati, in cui la distanza tra i significati è notevole, a casi in cui le varie accezioni e possibilità di uso si combinano nei modi più disparati. Lo spagnolo ilustrado, riferito a persona, significa “istruito” e non “illustrato”; amo in spagnolo “padrone”, camino significa in spagnolo “cammino, direzione”, mentre il camino italiano è la chimenea, gota significa “goccia” in spagnolo e non la guancia, rata è in spagnolo il “topo” italiano, mentre la rata dell’italiano è il plazo.

Vocaboli che differiscono leggermente dal punto di vista formale ma completamente diversi riguardo al significatoLa mesa in spagnolo non corrisponde alla “messa” dell’italiano, ma al “tavolo”.

Ecco che il senso di familiarità inizia pian piano a sgretolarsi. Il problema della somiglianza lessicale, più o meno marcata, accompagna lo studio dell’italiano in ogni sua fase.

Breve lista di falsi amiciaceto aceite (“olio”)accostarsi acostarse (“andare a letto”)caldo sp. caldo (“brodo”)

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contestare contestar (“rispondere”)esito éxito (“successo”)fracasso fracaso (“fallimento”)guardare guardar (“conservare, mantenere”)imbarazzo embarazo (“stato interessante”)largo = lungo in spagnololobo lobo (“lupo”)mancia mancha (“macchia”)nudo sp. nudo (“nodo”)salire salir (“uscire, partire”)seta seta (“fungo”)tenda tienda (“negozio”)tovaglia toalla (“asciugamano”)

Affinità sul piano lessematico e differenze morfematiche.Si tratta di un campo molto critico, comprendente i verbi e i derivati mediante prefissi e suffissi. Il discente ha una percezione netta di ingannevole affinità ed è soggetto a continue interferenze a livello produttivo. Un caso molto frequente è che lo studente usi a al posto di o nelle desinenze dell’imperfetto indicativo: (io) amava, se non amaba sp. amaba.

Diversità completa.Fortunatamente esiste in italiano un numero abbondante di lessemi che rafforzano la sensazione di distanza nell’apprendente tra spagnolo e italiano. Un enunciato come

Alla sinistra del tappeto c’è una poltrona di velluto(A la izquierda de la alfombra hay una butaca de

terciopelo)non è per niente trasparente in quanto non offre nessun appiglio per inferirne il significato.

Gli effetti delle somiglianze lessicali sull’apprendimento variano in base a diversi fattori:come

-l’età, -il livello socioculturale -le motivazioni dei discenti.

Entro certi limiti, la comprensione viene facilitata; ma è anche vero che il complesso intreccio di sinonimie, vere o presunte, e di ambigue omonimie, va in direzione opposta alla trasparenza, un principio psicologico che governa l’acquisizione sia della L1 che della L2.

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Nei casi apprendimento spontaneo, questa sensazione di vicinanza lessicale tra spagnolo e italiano favorisce il transfer e il ricorso alla L1 come fonte di ipotesi per elaborare l’interlingua che, in una buona percentuale dei casi, garantisce un certo successo comunicativo, nonostante i possibili fraintendimenti e il livello molto basso delle esecuzioni, infarcite di interferenze.

Nel caso di apprendimento in contesti istituzionali:-il transfer si verifica comunque, in particolare nella fase di decodifica; -le attività produttive sono invece più controllate e proprio l’imbattersi nelle false analogie determina fenomeni di inibizione con tendenza all’evitamento del transfer o alla “ultracorrezione difensiva” (Meo Zilio 1989: 264). In altre parole, il parlante diffida delle parole troppo simili allo spagnolo, e preferisce selezionare quelle più distanti.

Questi meccanismi sono comunque operativi in ogni modalità di apprendimento, sia fuori come nell’aula.

Analogie e contrasti strutturali Il discente ispanofono entra in contatto con vari livelli simultaneamente, quindi entra in contatto anche con el strutture dell’italiano.Anche da questo punto di vista, la nostra lingua offre agli ispanofoni innegabili vantaggi al primo contatto:

l’ordine delle parole nelle frasi è simile; non occorre applicare particolari regole per la forma negativa o per quella interrogativa, a differenza di quanto avviene, per esempio, in francese.

Anche questa analogia delle strutture contribuisce, ancora una volta, a far sentire l’italiano molto vicino allo spagnolo: in effetti, cosa che non accade con nessun altra lingua, con pochi elementi appresi, gli studenti riescono a costruire senza particolari problemi un certo numero di frasi, in qualunque situazione di apprendimento e con qualunque metodo di studio.

Purtroppo la fiducia iniziale lascia spazio spesso ad una fase di scoraggiamento, in cui al discente ispanofono l’italiano non sembra affatto “così facile”; i progressi iniziano a rallentare e le interferenze si fossilizzano.

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Ma tale scoraggiamento non dipende dalle affinità ingannevoli che abbiamo visto, ma deriva dall’imbattersi in vere e proprie difficoltà strutturali dell’italiano, che in parte abbiamo già analizzato: basta pensare ad alcuni “nodi”, come l’uso dei due ausiliari essere e avere, la scelta fra indicativo e congiuntivo, ecc. Non sono pochi i casi in cui l’italiano è strutturalmente più vicino al francese che allo spagnolo.

Questi contrasti strutturali fanni sì che la sensazione di distanza percepita dal discente aumenti; in questo caso gli errori non dipendono dall’affinità più o meno falsa tra i due sistemi ma dalle divergenze.

Un aspetto importante da tener presente è che, nella maggior parte dei casi, un spagnolo impara l’italiano dopo aver studiato almeno un’altra lingua straniera; ha quindi una conoscenza più o meno approfondita di inglese, di francese o di tedesco. Questo significa che lo studente ha formato una propria “percezione metalinguistica”, cioè un patrimonio di acquisizioni relative ad altri sistemi oltre alla L2, naturalmente con le diverse modalità con cui sono stati appresi.

In alcuni le altre lingue che lo studente già conosce impediscono il transfer positivo dallo spagnolo all’italiano; agiscono quindi a sostegno delle strategie inibitorie attivate nel tentativo di evitare gli errori dovuti a interferenza della L1; agiscono quindi da freno al transfer positivo.

È possibile ipotizzare quindi che lo studente, una volta che resosi conto che la “distanza” tra lo spagnolo e l’italiano è superiore al previsto, talvolta seleziona tra le strutture linguistiche conosciute quelle più “lontane” dallo spagnolo, pensando di poterle trasferire nella nuova lingua, sentendola “straniera” come le altre.

Convergenze pragmatiche e culturali L’apprendimento di una LS coinvolge anche una serie di fattori pragmatici e culturali.

L’apertura verso queste dimensioni dipende in gran parte dalla scelta metodologica del docente:

-la metodologia strutturalista ritarda il contatto con le testimonianze dirette della cultura di arrivo;

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-i metodi “tradizionali” non trascuravano la componente culturale, anche se era prevalentemente letteraria.

-approcci comunicativi presentano un concetto di cultura più allargato in senso sociale, che include i risvolti pragmatici degli atti linguistici.

Ma nonostante l’affermarsi di queste metodiche, l’acquisizione di un’autentica competenza comunicativa è ancora ostacolata, tra altri fattori, dalla mancanza di un’adeguata messa a fuoco contrastiva delle regolarità pragmatiche specifiche dell’italiano e dello spagnolo.

Affinché un ispanofono acquisisca una soddisfacente competenza comunicativa in italiano e una visione piuttosto ampia della realtà culturale italiana, dipende da vari fattori:

- in buona misura dalla tipologia dei corsi, oltre che dagli sforzi dell’insegnante e

- dalle personali occasioni di entrare in contatto con parlanti nativi o di soggiornare in Italia.

In ogni caso il discente immagazzinerà varie informazioni di carattere pragmatico e culturale, e sarà portato a formulare ipotesi di confronto tra la propria cultura e quella straniera.

Soprattutto agli esordi del suo contatto con la lingua/cultura italiana, come avviene con ogni LS, lo studente tende a percepire e interpretare la nuova realtà in base alla propria impalcatura concettuale: le sue strategie cognitive sono, cioè, di tipo schematico.

Nel caso dell’italiano e dello spagnolo, la sensazione di vicinanza sul piano culturale può essere percepita ancora più forte che su quello linguistico: gli spagnoli avvertono nel “mondo italico” una profonda affinità con il proprio, spesso accresciuta dalla facilità con cui riescono a comunicare con i nativi.

Ancora una volta, il rischio è che la percezione di una vicinanza -vera o presunta- impedisca il riconoscimento delle differenze, rafforzando quindi il peso degli stereotipi culturali. Ma il processo di apprendimento di una LS è accompagnato dal desiderio di scoprire eventuali differenze negli usi e costumi.

Raramente viene affrontato il capitolo delle varianti diafasiche, settore piuttosto arduo per un ispanofono.

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Con varianti diafasiche si intende l’adozione di stili e registri conformi alle variabili contestuali.

Dominare una lingua straniera è dominare quello che Eugenio Coseriu definisce saber expresivo, cioè della capacità di adottare lo stile espressivo più idoneo alla situazione comunicativa. È un compito che richiede una prolungata esposizione alla lingua, sorretta da uno studio approfondito; su questo terreno, le difficoltà dell’italiano per un ispanofono non sono certo inferiori a quelle presentate da ogni altra LS. A volte si tratta di sfumature difficilmente percettibili e che non tutti colgono neppure nella propria lingua.

Nella ricezione della realtà linguistico-culturale italiana da parte degli ispanofoni si combinano distanza e vicinanza, e questo genera, normalmente, reazioni di simpatia: la nuova cultura non è così uguale alla propria da risultare noiosa, né così distante da scoraggiare ogni sforzo compiuto per avvicinarvisi.

Bisogna aggiungere, infine, che l’apprendimento di una lingua è spesso preceduto da alcune generiche nozioni di tipo culturale, derivanti sia da esperienza diretta (viaggi, contatto con i nativi) che da vari canali informativi (studio scolastico, mass media e letture personali).

Possiamo quindi concludere affermando che la sensazione di familiarità sperimentata al primo approccio da parte del discente ispanofono con la lingua italiana non rimane costante nel tempo e non si applica allo stesso modo a tutti gli aspetti della lingua.

A mano a mano che procede nello studio, il principiante abbandona l’illusione iniziale di poter imparare senza sforzo: le affinità presentano risvolti ingannevoli e le differenze strutturali sono superiori al previsto. Parallelamente, si fa strada la percezione di una certa alterità culturale, che rafforza il senso di distanza; ma le diversificazioni sono spesso sottili, occulte dietro a facciate di somiglianza.

Il problema non si esaurisce una volta raggiunta la padronanza della LS. Quando il parlante sente di poter dominare entrambi i codici con scioltezza, riaffiori il senso di familiarità, quindi le influenze reciproche tra i due codici riprendono vigore; del resto, anche le ricerche esistenti su ita e spa in contatto confermano la

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grande frequenza di contaminazioni interlinguistiche di ogni genere (prestiti, interferenze, commutazione di codice, ecc.) nei parlanti bilingui o diglossici.

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