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Lorenza Farina Sono erba, sono cielo SERVONO RADICI SALDE PER RAGGIUNGERE LE STELLE SERVONO RADICI SALDE PER RAGGIUNGERE LE STELLE Lorenza Farina
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Sono erba, sono cielo

Jul 22, 2016

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Page 1: Sono erba, sono cielo

Lorenza Farina

Sono erba,sono cieloSono erba,

sono cielo SERVONO RADICI SALDE PER RAGGIUNGERE LE STELLESERVONO RADICI SALDE PER RAGGIUNGERE LE STELLE

Lorenza Farina

€ 9,00

Dai 10 anni

I SBN 978-88-472-2361-5

9 7 8 8 8 4 7 2 2 3 6 1 5

Lorenza Farina

Emma osserva ogni cosa attraverso lo sguardo meravigliato del nonnoche si posa come una carezza sulle piante, sui fiori, sull’erba. Il vecchio Giò, infatti, insegna alla nipote ad ascoltare la voce degli alberi, il canto degli uccelli e, con questi, la musica della vita.Con parole lievi e piene di grazia, questa storia racconta l’esperienza umanissima della malattia dell’Alzheimer che vede sfumare i contorni di ogni certezza, ma ci ricorda anche che la potenza dell’amore resta l’arma più efficace per combatterla. Un romanzo denso di poeticità e delicatezza.

Lorenza Farina è nata a Vicenza, dove ha lavorato come bibliotecaria.Le piace scrivere storie che fanno divertire, ma anche riflettere.Ha pubblicato una ventina di libri, ottenendo prestigiosi riconoscimenti.

DIALOGARE PER CRESCEREStorie nate dalla collaborazione con i protagonisti delmondo sociale, per raccontare la vita agli adulti di domani

Con il patrocinio diSo

no er

ba, Sono

cielo

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DIALOGAREPER CRESCERE

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Editor: Patrizia CeccarelliRedazione: Emanuele RaminiProgetto grafico: Simona Dell’OrtoUfficio stampa: Salvatore Passaretta

1a Edizione 2015Ristampa 5 4 3 2 1 2020 2019 2018 2017 2016

Tutti i diritti sono riservati © 2015

Raffaello Libri SrlVia dell’Industria, 21 - 60037 – Monte San Vito (AN)e–mail: [email protected] www.grupporaffaello.it

e–mail: [email protected]

Printed in Italy

È assolutamente vietata la riproduzione totale o parzialedi questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.

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Lorenza Farina

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“Ai miei nonni, Maria, Lelio, Nella e Augusto,

cavalieri senz’arma e senza corazza

che mi hanno cresciuto a suon di storie,

conservate nella loro memoria”.

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INTRODUZIONE

I l racconto, commovente e poetico, si snoda

ne l l ’ a r co d i t r e es ta t i t r asco rse da Emma in

campagna presso i nonni.

Durante la prima estate la piccola protagonista,

sette anni, impara ad amare la natura e, in parti ‑

colare, una vecchia quercia che cresce in fondo al

giardino.

– Un g iorno mi t ras formerò in una querc ia

gigantesca come questa – dice il nonno. – Sarò come

un Cavaliere tutto Verde Brillante.

– E io un passero tra i tuoi rami, così staremo

sempre insieme – risponde la nipotina.

Emma osserva ogni cosa attraverso lo sguardo

stupito e trasognato del nonno che si posa come una

carezza sulle piante, sui fiori, sull ’erba. Il vecchio

Giò, anima rude ma sensibile, insegna alla nipote ad

ascoltare la voce degli alberi e a credere nei sogni.

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Le stagioni si susseguono e, come una tempesta

che rovina il raccolto ormai pronto, giunge anche

“l’ultima estate” in cui il nonno si ammala di Alzheimer.

Una strana parola che assomiglia al nome di uno di

quei nemici senza volto che i l Caval iere Verde,

mitico personaggio tanto amato dal vecchio Giò,

combatteva nella foresta.

Arriva poi una “nuova estate” in cui Emma, ormai

dodicenne, torna nella casa tra i campi e r iesce

ancora a stabilire con il nonno un rapporto vivo e

presente, al di là dei limiti dello spazio e del tempo.

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“... nessun’anima aveva mai veduto un cavaliere

di tale sembiante, tutto verde brillante”.

LA PRIMA ESTATE

PARTE PRIMA

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L'arrivo

Emma ricordava perfettamente la prima estate

che aveva trascorso da sola dai nonni, in campagna.

Aveva sette anni e aveva appena perso due denti.

Quando sorrideva, la sua bocca sembrava una casa

con l’uscio aperto.

Mamma e papà, terminata la scuola dove inse‑

gnavano francese e matematica, avevano avuto l’oc‑

casione di un viaggio studio a Parigi: una seconda

luna di miele che sarebbe durata un’intera estate.

– Marco, non pensi che nostra figlia sia ancora

troppo piccola per rimanere da sola con due persone

anziane così a lungo? – aveva obiettato la mamma

perplessa.

– Non dobbiamo preoccuparci, Anna – le aveva

risposto il marito. – Emma è una bambina respon‑

sabile, saprà cavarsela anche senza di noi. E poi farà

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sicuramente piacere a quel vecchio burbero di mio

padre e soprattutto a mia madre Sara avere un po’ di

compagnia. Hanno così poche occasioni di stare

con la loro unica nipote.

Emma ricordava quell’estate perché, per la prima

volta in vita sua, si era sentita grande. Allora aveva

scoperto chi era davvero nonno Giovanni, che tutti

chiamavano Giò.

Ogni tanto, rovistando tra i ricordi affastellati

dentro la testa come in un armadio con tanti cassetti

i n d i so rd ine , l a bamb ina r i pescava qua lche

immagine: i prati macchiati qua e là dal rosso dei

papaveri, il boschetto di faggi, la siepe di ligustro, il

roseto, l’orto dove non c’era un filo d’erba fuori posto,

il giardino bordato di lavanda e il cancello di legno

sempre chiuso per tenere lontano “i tipi con la puzza

sotto il naso”, le aveva spiegato il vecchio Giò, grac‑

chiando come la cornacchia appollaiata sulla grande

quercia.

I l papà fermò la macchina davanti al cancello

della casa dov’era nato e cresciuto e cercò i suoi

genitori.

– Mamma, papà, dove siete? – gridò, perché il

campanello non funzionava.

Emma scorse, seminascosta tra la vegetazione,

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una casa di pietra con un grande portico e il tetto

spiovente di coppi rossi.

Il papà suonò il clacson più volte, finché videro

spuntare nonno Giò dietro la s iepe di l igustro.

Indossava una camicia a quadri con le maniche arro‑

tolate, i pantaloni di fustagno lisi sulle ginocchia

sporchi di erba e di terriccio, il cappellaccio di paglia

calcato sulla testa.

– Eccomi! Eccomi! Il solito impaziente – bofonchiò

il vecchio rivolto al figlio, ballonzolando perché gli

zoccoli di legno gli stavano un po’ larghi. – Non ho

più vent’anni, bello mio – aggiunse rude, aprendo

con fatica il cancello.

Marco, a quelle parole, non aveva potuto fare a

meno di sorridere.

– I l solito brontolone, tuo nonno – commentò

sottovoce rivolto a Emma. – Il tempo passa ma lui

rimane tale e quale: un burbero dal cuore tenero.

Dopo aver scaricato la valigia di Emma, Marco

raggiunse di corsa sua madre, apparsa in quell ’ i ‑

stante sotto il portico con le braccia aperte.

Nonno Giò ed Emma rimasero immobili, in piedi

uno di fronte all’altra a squadrarsi come se volessero

leggersi dentro.

Il vecchio, alto, smilzo, con il volto segnato di

rughe, ebbe un bri l l io in fondo agli occhi azzurri

come il cielo che li sovrastava.

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Emma, piccola di statura, mingherlina, i capelli

biondi diritti con la frangetta troppo lunga che ogni

tanto doveva spostare con le mani perché non le

copr isse g l i occh i , s i tu f fò in que l lo sguardo

luminoso.

– Perbacco, sei poco più alta della mia capra

Gelsomina. Ma vedrai che a f ine estate t i sarai

allungata di almeno una spanna. Parola di vecchio

Giò! Uccello, uccellaccio – esclamò scoppiando in

una sonora risata che fece quasi tremare i vetri della

serra lì vicino.

Anche Emma, contagiata dal suo buonumore,

rise divertita.

– Oibò! Chi ti ha rubato i due denti davanti? – le

domandò il nonno sorpreso. – Forse la solita formica

che s’intrufola di notte nella bocca aperta dei bambini

che dormono o il topolino che ha scambiato i tuoi

denti per una scaglia di formaggio?

Emma serrò subito le labbra per paura che la

formica o i l topol ino le sgraff ignassero un altro

dente.

– Non t i preoccupare: se r imarrai sdentata t i

presterò la mia dentiera che, a ogni respiro, tintinna

come il batacchio di una vecchia campana.

Poi i l nonno, sempre ridendo, la fece sparire

dentro il suo grande abbraccio. Emma con la guancia

appiccicata al la tela della sua camicia a quadri,

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macchiata del rosso del le fragol ine selvat iche,

chiuse gli occhi. E sentì l ’odore di terra, di erba e di

timo che il nonno emanava.

Il papà le fece mille raccomandazioni.

– Sta lontana dall’apiario, non avvicinarti troppo

alla riva del ruscello e...

– Su, piantala, fifone! Tua figlia saprà cavarsela

certamente meglio di te che, a forza di stare in città,

sei diventato quasi “un damerino” – lo interruppe

piccato il nonno. – Qui in campagna nessuno è mai

morto per una puntura d’ape o per un tuffo nel fosso.

Alla nostra nipotina baderemo io e tua madre e la

r iempiremo di coccole, visto che abbiamo così

poche occasioni per godercela – aggiunse rivolto al

figlio.

Dopo aver pranzato, Emma salutò il papà che

sparì oltre i l cancello, rombando sulla sua auto‑

mobile per far ritorno in città.

Poi sollevò lo sguardo a guardare le nuvole.

“Domani mamma e papà sorvoleranno il cielo,

diretti a Parigi” pensò.

– Su, principessa, andiamo a innaff iare l ’orto

mentre tua nonna finisce di riordinare la cucina – le

disse il vecchio Giò.

Emma s ’ incamminò d ie t ro a l nonno che la

sovrastava come una montagna. Ogni tanto doveva

trottare per stargli al passo.

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Imboccarono il sentiero tra gli alberi che portava

in fondo al giardino, mentre il rumore dei loro passi

suscitava echi, frusci i e sussurr i , come se ogni

p ian ta e a rbus to avessero p reso v i ta a l lo ro

passaggio.

Il nonno con voce squillante recitò un pezzo di

“Galvano e il Cavaliere Verde”, una storia che sapeva

a memoria:

– Ognuno fu afferrato da stupore,

nessun’anima aveva mai veduto

un cavaliere di tale sembiante,

tutto verde brillante.

– Bravo, nonno! – esclamò Emma battendo le

mani.

La grande quercia in fondo al giardino sembrò

approvare con il fruscio dei rami agitati dal vento.

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Una vecchia amica"”

– Su, pigrona! Cosa fai ancora a letto? – tuonò il

nonno entrando all’improvviso nella stanza di Emma

e spalancando con fragore le finestre. – Non lo sai

che in campagna ci si alza col levar del sole, perché

il mattino ha l’oro in bocca?

Emma ancora assonnata, si protesse gli occhi

con una mano perché la luce del sole l’abbagliava.

– Su, fa’ presto, principessa – la esortò, – va’ a

bere un po’ di latte, io ti aspetto in giardino. Desidero

farti conoscere una vecchia amica – aggiunse con

fare circospetto, scendendo le scale, tenendosi ben

stretto al corrimano per non scivolare.

In cucina Emma trovò nonna Sara intenta a

tagliare le verdure a pezzetti per il minestrone.

– Buongiorno, nonna – la salutò la bambina,

schioccandole un bacio sulla guancia.

"

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– Buongiorno, cara, su fa’ colazione, perché il

vecchio orso non ha pazienza. È fuori in giardino che

t i aspetta da un’ora, pestando i piedi. Sembra i l

Cavaliere Verde che avanza, scalcia e trotta impu‑

gnando l’ascia.

Appena il vecchio Giò scorse la nipote corrergli

incontro, s ’ i l luminò mettendo in mostra la sua

dentiera che luccicò al sole.

– Foglia, corteccia, albero – cantilenò come se

recitasse una formula magica che solo loro due

dovevano conoscere.

– Foglia, corteccia, albero – ripeté Emma battendo

il cinque sul grande palmo della mano del nonno.

– Oggi è un giorno speciale – mormorò Giò.

– Perché?

– Perché ti farò conoscere una vecchia amica che

diventerà anche tua.

Incuriosita, Emma trotterellò dietro al nonno che

cominciò a fischiettare un allegro motivetto. Mentre

camminava, nonno Giò si guardava attorno con un

sorriso sul volto.

Il suo sguardo si posava come una carezza sulle

piante, sui fiori, sull’erba.

S i r i t rovarono in fondo a l g ia rd ino dove s i

fermarono ai piedi di una quercia enorme.

Emma sollevò la testa, ma non riuscì a scorgerne

la cima.

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– Ti presento i l mio albero preferito. Questa è

Quercia Verdifronde – spiegò il vecchio Giò. – L’ha

piantata mio nonno. Mi ha visto nascere e diventare

grande. Quando è nato tuo papà, abbiamo fatto una

bella festa proprio qui sotto, fino a notte inoltrata.

C’erano le lucciole che i l luminavano i l buio e la

civetta che strideva a più non posso.

Emma fissò il tronco. Era larghissimo: neppure

tre uomini, tenendosi per mano, sarebbero riusciti

ad abbracciarlo. La corteccia ruvida era solcata da

fessure e da nodi profondi come occhi puntati su di

lei. La chioma tondeggiante, divisa in rami piuttosto

grossi, superava in altezza la casa.

– Abbraccialo insieme a me – la invitò il vecchio

Giò.

Il nonno ed Emma, tenendosi per mano, si avvi‑

cinarono all ’albero, appoggiandosi alla corteccia

con tutto il corpo.

Emma provò un ’emozione inspiegabi le, che

quasi le tolse il respiro.

– La nostra vecchia amica è felice. Ascolta la sua

voce – le sussurrò il nonno emozionato anche lui.

Emma rimase in silenzio. Sentì un fruscio tra i

rami, ma forse era solo il battito d’ali di un uccello.

Poi si staccò dal tronco che profumava di erba e di

resina. Alzò nuovamente la testa ad ammirare l ’ in‑

treccio dei rami.

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– Come sarebbe bel lo, nonno, fare una casa

sull’albero – esclamò mentre il cuore le batteva forte.

– Forse un giorno ne costruiremo una di legno,

anche se sono diventato vecchio per certi lavori

pesanti. Un sognatore come me, domani, potrebbe

vedere real izzato i l suo desiderio, chissà… – le

rispose con aria misteriosa.

– Ti aiuterò io, nonno, non ti preoccupare.

– Allora, se tu mi darai man forte, non ci saranno

problemi. Riusciremo a sollevare anche le assi di

legno per costruire i l pavimento. E per le pareti

potremo usare delle frasche.

– Sarà una casa magnifica!

– Come prima cosa, però, devi imparare ad arram-

picarti – le disse nonno Giò. – Devi fare sempre piano

piano, facendo attenzione a dove metti i piedi, appi-

gliandoti ai rami più grossi. Proveremo però domani:

ora fermiamoci all ’ombra perché mi sento un po’

stordito come se avessi bevuto un bicchiere di

troppo.

Giò si sedette lentamente su una grossa radice

che spuntava dal terreno e appoggiò la schiena al

tronco della quercia. Emma gli si mise accanto.

– Tutto bene, nonno? – gli domandò preoccupata,

posandogli una mano sulla spalla.

– A meraviglia – rispose Giovanni, facendo un

lungo respiro. Poi con un brillio negli occhi propose:

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– Conosci quel gioco che si chiama “Facciamo finta

che...”? Lo facevo sempre con tuo padre quando

aveva circa la tua età. Lui si divertiva un sacco a

trovare le rime.

– Sì, sì, giochiamo! – batté le mani Emma e Giò

iniziò a cantinelare:

– Sono una foglia

leggera come una voglia.

Voglia di mirtillo,

sono un po’ brillo.

Sono un uccello,

un passero o un fringuello,

volo in alto nel cielo,

poi mi poso sul melo.

Sono vento

di primavera.

Sono un respiro

sul far della sera…

– Nonno, non immaginavo che tu fossi anche un

poeta! – esclamò Emma battendo le mani.

I l vecchio Giovanni rise scuotendo la zazzera

candida e facendo ballare la pancia.

– Un giorno mi trasformerò in una quercia gigante‑

sca come questa – le confidò con aria misteriosa.

– Sarò come un cavaliere tutto verde brillante.

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– E io in un passero tra i tuoi rami, così staremo

sempre insieme – le rispose Emma abbracciandolo.

– Però per il momento, non sveliamo questi sogni

a tua nonna… ci prenderebbe per matti.

Si guardarono negli occhi con aria complice e

divertita, felici di condividere quel segreto. Dopo un

attimo sentirono in lontananza nonna Sara che li

chiamava.

– Dove diavolo vi siete cacciati, voi due? Il mine‑

strone è già nel piatto!

– È meglio che torniamo, perché quando tua

nonna si arrabbia, lo fa sul serio!

Le loro risate si dileguarono tra il folto degli alberi

mentre tornavano verso casa. Il vecchio Giovanni

davanti, la piccola Emma dietro, cercando di tenergli

il passo.