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La Fisica nella Scuola, XLVI, 3, 2013 16 Alfio Briguglia Gruppo di Storia della Fisica, Palermo Simmetrie e rotture di simmetria per compren- dere il cambiamento. Keplero, Galileo e la tradi- zione del Timeo Introduzione Individuare simmetrie è una strategia epistemica che non riguarda solo le scienze empiriche e la fisica in particolare. Unificare è operazione intellettuale fondamentale per conoscere il mondo. L’individuazione di simmetrie è un potente strumento di unifica- zione. Alle origini della scienza moderna la ricerca di simmetrie ha guidato personalità come Galileo e Keplero, ma in modi molto diversi, a seconda della sensibilità, dei gusti estetici, della cultura. Ambedue hanno trovato ispirazione nella tradizione platonica. Il Timeo è una delle ultime opere di Platone, tentativo “ipotetico”, come suggerisce il testo, di trovare attraverso la simmetria un principio unificatore dell’esperienza. Cercherò di seguire alcuni momenti del percorso intellettuale dei due scienziati per vedere come la ricerca di simmetrie sia stata per loro sia un principio fecondo, sia, an- che, una gabbia intellettuale. Il concetto di simmetria moderno è molto diverso da quello antico. Ma essi hanno molto in comune: per ambedue “simmetria” è un’operazione, spazio temporale o men- tale, che permette di assumere la molteplicità e il cambiamento sotto principi unitari. In ogni operazione di simmetria qualcosa rimane immutato, mentre viene trasformato. Non ci aspettiamo di vedere all’opera in Galileo e Keplero i concetti astratti di gruppo di trasformazioni. Sicuramente però si può scorgere in loro un momento di una lunga sto- ria e lo sviluppo di quella pianta che è radicata fortemente in tre convinzioni che hanno accompagnato la storia della filosofia e delle scienze naturali: la natura è razionale, è semplice, è comprensibile attraverso numero e forma. Ma di più! Per il pensiero ellenico, tra tutte le possibilità la natura sembra scegliere quelle che rispondono a criteri di sim- metria, perché la natura sceglie la bellezza! La simmetria, assunta come ipotesi, diventa uno strumento euristico di conoscenza. Come già detto tra simmetria e unificazione vi è una stretta relazione. Trovare simmetrie è trovare elementi di unificazione e, viceversa, cercare principi unitari significa imbatter- si in simmetrie. L’efficacia della simmetria come potente strumento d’indagine e di previsione, sia per la nascente scienza del Seicento che per la contemporanea fisica delle particelle, ri- propone una domanda alla quale sono state date risposte molto diverse e che rimane aperta: da dove proviene l’incredibile efficacia della matematica nella fisica? Simmetria e conoscenza La simmetria è un principio organizzatore del pensiero umano: serve a catalogare, semplificare, risolvere e, in ultima istanza, a comprendere meglio i sistemi oggetto di studio. Secondo Brading e Castellani la simmetria gioca in fisica quattro ruoli fondamentali: classificatorio, normativo, unificante, esplicante 1 . L’individuazione di simmetrie è la strategia principe nella razionalizzazione delle per-
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Simmetrie e rotture di simmetria. Galileo Keplero e la tradizione del Timeo

Mar 29, 2023

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La Fisica nella Scuola, XLVI, 3, 201316

Alfio BrigugliaGruppo di Storia della Fisica, Palermo

Simmetrie e rotture di simmetria per compren-dere il cambiamento. Keplero, Galileo e la tradi-zione del Timeo

Introduzione

Individuare simmetrie è una strategia epistemica che non riguarda solo le scienze empiriche e la fisica in particolare. Unificare è operazione intellettuale fondamentale per conoscere il mondo. L’individuazione di simmetrie è un potente strumento di unifica-zione. Alle origini della scienza moderna la ricerca di simmetrie ha guidato personalità come Galileo e Keplero, ma in modi molto diversi, a seconda della sensibilità, dei gusti estetici, della cultura. Ambedue hanno trovato ispirazione nella tradizione platonica. Il Timeo è una delle ultime opere di Platone, tentativo “ipotetico”, come suggerisce il testo, di trovare attraverso la simmetria un principio unificatore dell’esperienza.

Cercherò di seguire alcuni momenti del percorso intellettuale dei due scienziati per vedere come la ricerca di simmetrie sia stata per loro sia un principio fecondo, sia, an-che, una gabbia intellettuale.

Il concetto di simmetria moderno è molto diverso da quello antico. Ma essi hanno molto in comune: per ambedue “simmetria” è un’operazione, spazio temporale o men-tale, che permette di assumere la molteplicità e il cambiamento sotto principi unitari. In ogni operazione di simmetria qualcosa rimane immutato, mentre viene trasformato. Non ci aspettiamo di vedere all’opera in Galileo e Keplero i concetti astratti di gruppo di trasformazioni. Sicuramente però si può scorgere in loro un momento di una lunga sto-ria e lo sviluppo di quella pianta che è radicata fortemente in tre convinzioni che hanno accompagnato la storia della filosofia e delle scienze naturali: la natura è razionale, è semplice, è comprensibile attraverso numero e forma. Ma di più! Per il pensiero ellenico, tra tutte le possibilità la natura sembra scegliere quelle che rispondono a criteri di sim-metria, perché la natura sceglie la bellezza!

La simmetria, assunta come ipotesi, diventa uno strumento euristico di conoscenza. Come già detto tra simmetria e unificazione vi è una stretta relazione. Trovare simmetrie è trovare elementi di unificazione e, viceversa, cercare principi unitari significa imbatter-si in simmetrie.

L’efficacia della simmetria come potente strumento d’indagine e di previsione, sia per la nascente scienza del Seicento che per la contemporanea fisica delle particelle, ri-propone una domanda alla quale sono state date risposte molto diverse e che rimane aperta: da dove proviene l’incredibile efficacia della matematica nella fisica?

Simmetria e conoscenza

La simmetria è un principio organizzatore del pensiero umano: serve a catalogare, semplificare, risolvere e, in ultima istanza, a comprendere meglio i sistemi oggetto di studio.

Secondo Brading e Castellani la simmetria gioca in fisica quattro ruoli fondamentali: classificatorio, normativo, unificante, esplicante1.

L’individuazione di simmetrie è la strategia principe nella razionalizzazione delle per-

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cezioni. Il ruolo fondamentale della simmetria è quello di essere un principio unificato-re: rendere cose diverse parti di un tutto o classificabili sotto un medesimo genere.

Da un punto di vista temporale, la simmetria rende possibile comprendere il cambia-mento come trasformazione di un ente che rimane lo stesso, anche se si presenta sotto aspetti diversi: posizione, forma, colore o altri attributi.

Esistono molti tipi di simmetrie, da quelle puramente geometriche, a quelle cosid-dette “interne”, riferite a spazi astratti. Considerazioni di simmetria si sono rivelate par-ticolarmente utili nella meccanica quantistica, in virtù del principio di sovrapposizione degli stati, del quale non esiste analogo nella meccanica classica. In particolare, c’è un tipo relativamente recente di simmetria, che nell’ultimo secolo ha rivoluzionato la fisica delle particelle: la simmetria dinamica. Questa riguarda la simmetria come struttura na-scosta delle interazioni fondamentali.

La percezione di una simmetria ispira senso di bellezza, di ordine e di riposo. Essa, da un punto di vista cognitivo, implica economia d’informazione, efficienza nella memo-rizzazione, prevedibilità.

Per conoscere dobbiamo dividere il mondo in oggetti ai quali attribuiamo alcune qualità. La suddivisione aristotelica in sostanza (in latino ciò che sta sotto, substa) e ac-cidente (ciò che sopravviene, ad cadit) è una classificazione fondamentale che rispecchia la struttura del linguaggio, che distingue tra nomi e aggettivi, tra strutture permanenti che possono presentarsi in varie forme e i modi del loro presentarsi. Noi attribuiamo no-mi alle cose, disegniamo confini, unifichiamo i dati della percezione chiudendoli entro buone forme (Gestalt). Si tratta poi di vedere quanto questa suddivisione in enti rispecchi il mondo o le nostre esigenze. Sicuramente più soggettiva è la divisione del fluire del tempo in “eventi”, intesi non nel senso della relatività einsteiniana ma come durate significative, delimitate da inizio e fine. Sia nel caso delle “cose” del mondo che degli “eventi” qualcosa è lì fuori, ma il ruolo del soggetto è determinante in misura maggiore o minore.

Si dice spesso che l’antico concetto di simmetria sia diverso da quello che segue alla teoria dei gruppi di Galois: il primo sarebbe statico e geometrico, il secondo, invece, dinamico e algebrico. Per quanto sia giusto sottolineare la differenza tra l’antico e il moderno uso del termine “simmetria”, è possibile, però, anche, individuare significativi elementi di continuità2. Questa appare evidente se si guarda alle due esigenze di fondo, ad esempio, del pensiero ellenico: 1. capire il cambiamento sullo sfondo di ciò che non muta, 2.trovare principi unitari alla base dell’essere delle cose materiali.

Secondo Platone e Aristotele (ma non secondo Democrito) il moto circolare unifor-me è la trasformazione simmetrica fondamentale. Se ogni cambiamento deve conservare la stabilità del cosmo, il moto retto non può essere che transitorio e marginale. Galileo, nel suo Dialogo, riprende una lunga tradizione che parte da Platone, come vedremo, quando afferma che il moto retto serve solo a riportare ogni cosa all’ordine, per poi terminare la propria funzione. Buona parte del Dialogo dei massimi sistemi può essere letto, anche, come un commento al De Caelo (Perˆ oÙranoà) di Aristotele. Galileo ne contesta la teoria dei luoghi naturali, ma resta fedele alla preminenza del moto circolare uniforme, definito da Aristotele come la trasformazione “dal medesimo al medesimo (™k taÙtoà e„s taÙtoà ¹ k…nhsis)”3.

In Platone la lontananza dall’Uno per effetto della Diade rimane nascosta nelle cose percepite, come lontananza dal “modello” di cui le cose sono immagini. La simmetria imperfetta, ma pur sempre simmetria, è ciò che rimane nelle cose come ricordo dell’U-no. Cosa può unire due diversi? È la sun-metria, cioè la con-misurabilità.

Nel Timeo compare il termine “sun-metria”; ma esso non è l’equivalente dell’italiano “simmetria”4; piuttosto lo è il termine «analoghía”, che conviene tradurre con “simme-tria”. Ma analoghía significa proporzione. Nella proporzione, che sia aritmetica, geome-tria o armonica, un medio proporzionale unisce due grandezze. Essa individua ciò che

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rimane invariato quando si passa da due grandezze in rapporto tra loro ad altre due. In Timeo, 31 C, Platone scrive che il più bello dei legami è quello che fa di più cose una cosa sola. “E questo per sua natura nel modo più bello compie la analoghía”.

C’è di mezzo la bellezza, intesa come convenienza delle parti, somiglianza, ugua-glianza di relazioni, accordo con un principio razionale! Tra proporzione, simmetria, bellezza c’è un circolo ermeneutico, dominato dal ruolo unificante della analoghía.

Il testo citato nella sua interezza dice: “Ma che due cose si compongano bene da sole, prescindendo da una terza, in maniera bella, non è possibile. Infatti, deve esserci in mezzo un legame che congiunga l’una con l’altra. E il più bello dei legami è quello che di se stesso e delle cose legate fa una cosa sola in grado supremo. E questo per sua natura nel modo più bello compie la proporzione (analoghía). Infatti, allorché di tre numeri, o masse o potenze quali si vogliano, il medio sta all’ultimo come il primo sta al medio, e ulterior-mente, a sua volta, quello medio sta al primo come l’ultimo sta a quello medio, allora il medio diventando primo e ultimo, e l’ultimo e il primo diventando ambedue medi, in questa maniera di necessità accadrà che tutte le proporzioni siano le stesse, e, divenute fra di loro le stesse, tutte saranno un’unità”5.

In ogni ricerca di simmetria, per gli antichi e per i moderni, è implicita una stessa preoccupazione: trovare ciò che fa di un insieme di elementi le parti di un tutto, tra di loro collegate da relazioni matematiche.

Le grandi tappe della fisica sono segnate dalla seconda delle preoccupazioni citate. Di Galileo, Keplero, Newton, Lagrange, Maxwell, Klein, Einstein, Dirac, Heisenberg ... scrive J.Dyson: “ora, è vero in generale che i massimi scienziati in ogni disciplina sono unificatori”6.

Dato che la parola, ieri e oggi, è la stessa: “simmetria”, potremmo pensare di essere di fronte al caso di uso equivoco di un termine. È, invece, più corretto dire che l’antico e il moderno concetto di simmetria appartengono alla stessa area semantica, perché conser-vano il riferimento ad un medesimo concetto: “Summing up, a unity of different and equal elements is always associated with symmetry, in its ancient or modern sense; the way in which this unity is realized on the one hand, and how the equal and different elements are chosen on the other, determines the resulting symmetry and in what exactly it consists.”7.

Parlare di simmetria significa parlare anche di asimmetria. Una simmetria è sempre ricostruita a partire dalla percezione di un’asimmetria. Una simmetria assoluta sarebbe il dominio dell’identico, del non percepibile. 8

Tutto quello che percepiamo è possibile percepirlo perché una simmetria assoluta è stata rotta, altrimenti non esisterebbe niente di definito, di diverso. La simmetria iniziale rimane nascosta nel molteplice dei diversi modi in cui la simmetria può essere rotta. “Any symmetry we can perceive (albeit in an approximate way) is indeed the result of a higher order symmetry being broken. This can actually be said of any symmetry which is not the ‘absolute’ one (i.e. including all possible symmetry transformations). But we can say even more: in a situation characterized by an absolute symmetry, nothing definite could exist, since absolute symmetry means total lack of differentiation. For the presence of some structure, a lower symmetry than the absolute one is needed: in this sense, sym-metry breaking is essential for the existence of structured ‘things’9 .

Ma possiamo anche ribaltare il discorso: se è vero, come affermò Pierre Curie10, che il fenomeno è creato dalla rottura di simmetria, occorre però notare che la rottura che impone il fenomeno è conoscibile solo come “primo piano” rispetto allo “sfondo” di una simmetria particolare. Forse è un’inconscia nostalgia per questo “paradiso perduto” che rende la simmetria così attraente, sì da esercitare una “attrazione fatale”11 sulla in-telligenza!

Perché la scoperta di una simmetria provoca piacere?12 Platone, ripreso da Keplero, ci dice che questo dipende da un processo di riconoscimento e rimemorizzazione del mon-do delle idee che è favorito dal ruolo dianoetico della geometria.

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L’idea di Platone è stata ripresa da Jung e Pauli con la teoria degli archetipi. Nel suo commento all’opera di Keplero Pauli scrive: “Il processo di comprensione della natura, come pure l’intensa felicità che l’essere umano prova nel capire, ossia nel prendere co-scienza di una nuova verità, sembra basarsi su una corrispondenza, sulla concordanza tra le immagini interne preesistenti [archetipi] nella psiche umana e gli oggetti del mon-do esterno con le loro proprietà. Questa teoria della conoscenza risale notoriamente a Platone ed è sostenuta con grande chiarezza dallo stesso Keplero”13.

La tradizione ellenica e la ricerca del principio

Nella storia del pensiero occidentale sulla “natura delle cose” si sono affrontate due tradizioni: quella atomistica, risalente a Leucippo e Democrito, e quella che vede l’i-dentico che permane nelle trasformazioni non in particelle materiali ma nella struttura formale. Questa tradizione, originaria della scuola di Pitagora, attraverso il Timeo di Pla-tone, è giunta fino a Galileo e Keplero nel Seicento14.

Oggi, la teoria dei gruppi di simmetria, sembra mettere assieme queste due tradizioni dal momento che la struttura algebrica di gruppo di trasformazioni gioca il ruolo forma-le di unificatore delle particelle fondamentali e delle loro interazioni.

Aristotele nella Metafisica ci trasmette i principi fondamentali delle due tradizioni di pensiero cui ho accennato. Sugli atomisti ci riferisce che essi pensavano che “principi di tutte le cose fossero solo quelli materiali. Infatti essi affermano che ciò di cui tutti gli esseri sono costituiti e ciò da cui derivano originariamente e in cui si risolvono da ultimo, è elemento ed è principio degli esseri, in quanto è una realtà che perma-ne identica pur nel trasmutarsi delle sue affezioni” 15. E, in particolare, “Leucippo [...] e il suo seguace Democrito pongono come elementi il pieno e il vuoto, e chiamano l’uno essere e l’altro non-essere; e precisamente chiamano il pieno e il so-lido essere e il vuoto non-essere; e per questo sostengono che l’essere non ha affatto più realtà del non-essere, in quanto il pieno non ha più realtà del vuoto”16.

A proposito della scuola pitagorica afferma: “Essi per primi si applicarono alle matematiche e le fecero progredire, e, nutriti delle medesime, credettero che i principi di queste fossero principi di tutti gli esseri. E […]-pensarono che gli elementi dei numeri fossero elementi di tutte le cose, e che tutto quanto il ciclo fosse armonia e numero. E tutte le concordanze che riuscivano a mostrare fra i numeri e gli ac-cordi musicali e i fenomeni e le parti del ciclo e l’intero ordinamento dell’uni-verso, essi le raccoglievano e le sistemavano”17.

Dalla intuizione pitagorica in poi si pone il problema della natura del numero, della relazione tra forme geometriche, numero e cosmo, della “mente di Dio”.

Si sa che la scuola pitagorica considerò con la massima attenzione i problemi le-gati alle scale musicali. Ferguson ha seguito la storia della relazione tra musica, fisica e astronomia dal VI secolo a.C. fino alla fisica del Novecento. La corrispondenza tra rapporti numerici e accordi musicali, a partire dall’accordo di quinta, che giocherà un ruolo fondamentale nel sistema del mondo di Keplero, ispirò loro l’idea che dietro le cose si nascondessero regolarità esprimibili mediante rapporti tra numeri interi: “Nell’universo c’era ordine, e quest’ordine era fatto di numeri. […] Pitagora e i suoi seguaci avevano scoperto anche che c’era evidentemente un potente legame fra le per-cezioni dei sensi umani e i numeri che pervadevano e governavano ogni cosa. La natura seguiva una logica fondamentale, razionale, bella, e gli esseri umani erano in accordo con essa, non solo a un livello intellettuale (potevano scoprirla e comprenderla) ma anche a quello dei sensi (potevano percepirla attraverso l’udito nella musica)”18.

A giudizio di Lombardi non si è ancora abbastanza riflettuto su quanto le teorie mu-sicali e il concetto di armonia abbiano influito sulla nascita della scienza moderna nel

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Seicento: “Molti storici della scienza, tra i quali Drake, hanno sottolineato la lacuna che nasce dal trascurare la musica come componente fondamentale che legava tra lo-ro lavori di astronomia, acustica, ottica e fisiologia. Infatti, in quegli anni, scienziati quali Keplero, Mersenne, Galileo, Cartesio, Huygens, Newton, e ancora Eulero, erano profondamente coinvolti nelle discussioni legate ai problemi che venivano classificati come musicali, ma che andavano poi a intrecciarsi con quelle ricerche che a noi oggi sembrano più direttamente collegate allo sviluppo della scienza moderna. [...] La teoria musicale diventava in tal modo il punto di incontro tra il mondo astratto del numero e la realtà fisica”19.

La storia comincia con la scuola di Pitagora e con il problema di individuare un ter-mine medio tra due termini: aritmetico, geometrico, armonico.

Le diverse proporzioni venivano poi “ascoltate” attraverso il monocordo. Si trattava di dividere una corda in due parti con un cavalletto e decidere a quali rapporti tra le par-ti corrispondesse un suono gradevole.

Boezio nel De institutione musica distingue tra musica mundana (cosmologia plane-taria)20, musica humana (che riguardava le leggi vigenti nella terra e l’anima umana) e musica instrumentalis (che riguardava la produzione effettiva di suoni).

Pian piano la musica instrumentalis si staccò dalla musica mundana. Quest’ultima ri-maneva un tentativo di cogliere la struttura profonda del cosmo.

La musica era un campo di ricerca che riuniva in sé questioni di metafisica, aritmeti-ca, di acustica, di riproducibilità e di ripetibilità, costringeva a collaborare tra loro teorici e artigiani e ad elaborare un linguaggio che fosse universalmente comprensibile21.

Nacquero associazioni di studiosi che discutevano di problemi legati alla musica. Si riunivano per suonare insieme e discutere: Camerata dei Bardi a Firenze, Accademia di Baif a Parigi, il Gresham College a Londra. Esse prepararono il terreno al sorgere delle accademie scientifiche: Accademia del Cimento, Académie des Sciences, Royal Society. I problemi discussi erano quelli della consonanza e della divisione dell’ottava. Per i pita-gorici erano consonanti l’unisono (1), l’ottava (2/1), la quarta (4/3) e la quinta (3/2); ai tempi di Keplero anche le terze (maggiore: 5/4 e minore: 6/5) e le seste (maggiore: 5/3 e minore: 8/5). Secondo Keplero vi doveva essere corrispondenza tra la divisione dell’otta-va e le armonie planetarie.

Possiamo anticipare qui che per Galileo l’effetto piacevole di due suoni consonanti non dipendeva da archetipi (come in Keplero) o arcane alchimie (come in Fludd) ma dalla sincronia dei battiti dell’aria sul timpano. Basterebbe il modo in cui trattano l’ac-cordo di quinta Galileo e Keplero per misurare tutta la distanza tra questi due protago-nisti dell’epoca moderna. Per Keplero, come vedremo, l’accordo di quinta era la chiave della comprensione dell’universo. Ecco cosa scrive invece Galileo in conclusione della prima giornata dei Discorsi: “La quinta [3/2] diletta ancora, atteso che per ogni due pul-sazioni della corda grave l’acuta ne dà tre, dal che ne séguita che, numerando le vibra-zioni della corda acuta, la terza parte di tutte s’accordano a battere insieme, cioè due so-litarie s’interpongono tra ogni coppia delle concordi; e nella diatesseron [4/3, quarta] se n’interpongon tre. Nella seconda, cioè nel tuono sesquiottavo [9/8, tono maggiore], per ogni nove pulsazioni una sola arriva concordemente a percuotere con l’altra della corda più grave; tutte l’altre sono discordi e con molestia ricevute su ‘l timpano, e giudicate dissonanti dall’udito”22. Questa teoria detta “delle coincidenze, abbozzata nel 1585 da Giovanni Benedetti, fu abbracciata da Beekman, Cartesio, Galilei, Mersenne e Huygens. In questa teoria gli intervalli approssimati (temperati) non sono ammessi.

Il problema di quali note suonare ebbe una lunga evoluzione ma aveva un paletto fisso per motivi fisiologici: l’ottava che si trattava di “dividere”. L’altra guida era la con-sonanza.

La scala in uso fino al XII secolo era la scala pitagorica che si otteneva con successive moltiplicazioni per 3/2 e divisioni per due se si eccedeva l’ottava (2). In tal modo però la

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dodicesima nota non coincideva con l’inizio dell’ottava successiva. Si faceva arbitraria-mente coincidere il si# col do2 (comma pitagorico). Nel XIV secolo, col diffondersi della musica strumentale questa pratica risultò inaccettabile. Si introdusse la scala temperata.

Nelle divisioni dell’ottava si pensava che ci fosse una relazione tra numero dei piane-ti e numero di divisioni (senario). Keplero pensava che ci fosse una relazione tra i dodici semitoni e la divisione dello zodiaco.

Keplero pensò che occorresse trovare gli intervalli attraverso i poligoni regolari co-struibili con riga e compasso e tener conto dei rapporti tra parte e residuo scartando i multipli. Nell’Harmonices trasforma le velocità variabili dei pianeti in melodie sul pen-tagramma. Da esso si può avere una visione grafica delle eccentricità. Tra Cinquecento e Seicento molte regole erano però state infrante. Keplero rimarrà, come in molte altre cose rivolto al passato mentre, “Giano bifronte”23, apriva il futuro.

Il Timeo

Torniamo a Platone e al Timeo. “Per parecchi secoli il Timeo è stato il dialogo più letto e più studiato, e per molti

aspetti anche il più influente nella storia del pensiero filosofico e teologico dell’Occiden-te … Aristotele … cita il Timeo più di tutti gli altri, considerandolo, evidentemente, un punto di riferimento … E i medioevali, come è ben noto, lessero di Platone, per molti secoli soltanto il Timeo … Anche l’Umanesimo e il Rinascimento lo posero in primo pia-no, tanto che Raffaello, nella sua emblematica Scuola di Atene, seguendo il pensiero dei filosofi e dei dotti del suo tempo, dipinse sotto il braccio di Platone, come il libro espri-mente il messaggio più significativo del filosofo, proprio il Timeo”24.

Il Timeo giunse al Cinquecento attraverso la corrente neoplatonica25.L’influsso neoplatonico è evidente nell’atteggiamento mentale di Copernico verso il

Sole e la semplicità matematica. Il contributo fondamentale del neoplatonismo allo studio della natura consistette nella importanza della geometria nella formazione intellettuale.

Platone stesso, nella Repubblica, rilevò la necessità della matematica come allenamen-to per la mente che va alla ricerca delle forme; si dice che sulla porta della sua Accademia egli abbia fatto incidere: Non entri nelle mie porte nessuno che sia ignaro di geometria. Secondo Platone la geometria è conoscenza di ciò che eternamente è26.

Quando Platone tornò ad Atene, dopo la visita al pitagorico Archita a Taranto nel 389 a.C., adottò per la sua Accademia un piano di studi pitagorico: aritmetica, geome-tria, astronomia, musica.

Nel libro VII della Repubblica, dove si trova la famosa immagine della caverna, l’asce-sa dianoetica dalla doxa (opinione) verso la episteme (conoscenza) e dalla eicasia (imma-ginazione) verso la noesis (intellezione) e la successiva discesa verso il governo dello stato sono descritte come un addestramento che richiede la scienza del numero (524 D, 526 C), la geometria piana (526 C, 527 C), l’astronomia (527 D, 529 C), la scienza dell’armo-nia (529 C, 531 C). La musica di cui si tratta non è la pratica di “stropicciare le corde”, ma scienza dei rapporti numerici. La scienza degli armonici è indissolubilmente legata nel quadrivio alle altre tre discipline. Ma, nella prospettiva di Platone, devono essere tut-te coltivate “in astratto”. Ad esempio, l’astronomia deve essere studiata per problemi e non “guadando in su” (529 C).

I neoplatonici andarono oltre Platone. Essi trovarono nella matematica la chiave per giungere alla natura essenziale di Dio, all’anima dell’uomo e all’anima del mondo, cioè l’universo. Il Rinascimento superò la distinzione della Repubblica tra la matematica dei commercianti (524 C e D) e quella dei filosofi. Sempre più trattati di matematica vengo-no scritti per l’uso concreto di commercianti, artigiani, balistici, scienziati della natura. Gli artisti, introdotti nel mondo dei borghesi e dei principi, contribuirono a dissolvere

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la censura platonica nei confronti dell’utilizzo della speculazione teorica per la pratica27.Nel Timeo Platone espone la sua cosmologia e consegna alla tradizione successiva

l’idea che tutto sia retto dalla simmetria, da rapporti e proporzioni. Non è Socrate il pro-tagonista. A Timeo, illustre cittadino di Locri, scienziato e statista (20A), viene lasciato il compito di esprimere in forma narrativa le idee, che forse erano di Archita, o comunque molto dovevano ai colloqui tra Platone e Archita a Taranto. Si tratta dell’origine dell’u-niverso (cielo, pianeti, uomo, animali) e della sua costituzione. La materia, realtà oscura e indeterminata, “nutrice” di tutto ciò che si genera (49A e 51A), attende di essere infor-mata da un principio. Il Demiurgo convince la necessità cieca, opposta all’intelligenza, e che opera come “una causa errante” (planomšnh ait…a, 48A) a condurre verso l’ottimo le cose generate. E l’ottimo è l’impronta dell’uno nel molteplice, operato dalla matematica, forma intermedia tra l’Uno e il molteplice 28.

All’inizio regnava il caos, “come accade quando il Dio è assente; queste cose che si trovavano in questo stato Egli allora le modellò (dieskhmat…sato) con forme e numeri (e‡des‡ te kaˆ aritmo‹s)” (53,B)29. Aria, acqua, terra e fuoco sono realtà mutevoli e non pos-sono essere principi. Principi sono il triangolo rettangolo scaleno, metà dell’equilatero, dal quale si possono comporre il tetraedro (fuoco), l’ottaedro (aria) e l’icosaedro (acqua) e il triangolo rettangolo isoscele dal quale è possibile formare il quadrato e il cubo (ter-ra). Il dodecaedro non può essere formato di triangoli e rappresenta il cosmo. La terra non può così tramutarsi in aria acqua e fuoco, perché fatta di atomi geometrici diversi. Gli elementi sono tenuti assieme dalla proporzione. Le cose concrete non sono aria, ac-qua , fuoco, terra ma una mescolanza di esse. Cosicché non si può dire “questo è fuoco”, ma “tale è il fuoco”. Questo, possiamo dire, è il “modello standard” secondo Platone!

Euclide dopo Platone formalizzerà la teoria delle proporzioni nel libro V dei suoi Elementi. Rapporto (logos) tra due grandezze omogenee è un certo modo di comportarsi rispetto alla quantità30. La proporzione è uguaglianza di rapporti. Rapporto dice con-frontabilità, misura comune. È ovvio che solo grandezze omogenee hanno rapporto tra loro. Occorrerà aspettare Cartesio per andare al di là della prescrizione di omogeneità per le grandezze messe in relazione.

Nel Timeo tutte le parti diverse sono tenute insieme attraverso proporzioni. L’ani-ma del mondo, composta della sintesi dell’Identico e del Diverso, è strutturata in parti, secondo i numeri 1, 2, 3, 4, 8, 9, 27. Tale strutturazione rende possibile riconoscere pro-porzioni nel mondo esterno. Un’ulteriore sottostrutturazione collega le parti mediante proporzioni che riproducono gli accordi della scala pitagorica, il più piccolo dei quali corrisponde a divisioni successive fino a giungere a 256/243, cioè il semitono della scala. La scala cui fa riferimento Platone è quella diatonica introdotta dal pitagorico Filolao.

“Salvare i fenomeni” col moto circolare uniforme

Platone, Aristotele, Copernico, Galileo sono concordi: il moto circolare uniforme è l’unico che può garantire l’identità degli stati nel moto degli astri. Notiamo la preoccu-pazione di garantire la permanenza nella trasformazione, cui può venire incontro solo la simmetria. Il moto retto è tipico del disordine, segna la transizione dal disordine all’ordi-ne, dirà Galileo. Il moto circolare uniforme mantiene ogni cosa nel suo stato.

Nella Storia dell’astronomia di Eudemo di Rodi, discepolo di Aristotele, è riportato il racconto del momento in cui, in una delle tante discussioni nell’Accademia, Platone avrebbe posto il problema: sozein ta phainomena. È in quel contesto che nasce l’universo a due sfere: la terra e le stelle fisse; e poi il modello di Eudosso, in seguito ripreso e per-fezionato da Aristotele, fino a riempire la zona di mezzo con 55 sfere: gli orbi solidi31. Questi saranno dissolti solo da Tycho alla fine del Cinquecento, quando dimostrò che le comete li attraversavano.

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Copernico sostituirà la Terra col Sole al centro del mondo. Ma per lui era fuori di dubbio che “il mondo è sferico, sia perché questa forma è la più perfetta di tutte, un’in-tegrità totale, non bisognosa di alcuna commessura; sia perché è la forma più capace, che meglio conviene a tutto comprendere e custodire”32 e che il moto è uniforme. Cosic-ché “troviamo in questo ordinamento un’ammirevole simmetria del mondo e un sicuro nesso armonico fra il movimento e la grandezza degli orbi, quale altrimenti non è pos-sibile trovare”33. In perfetto accordo col sentire neoplatonico il Sole doveva necessaria-mente occupare il centro del mondo: “Così, certamente, come assiso su un soglio regale, il Sole governa la famiglia degli astri che lo attornia”34.

Toccherà a Keplero, per il quale, per giunta, il cerchio e la sfera avevano anche un significato teologico, fare quello che né Copernico né Galileo ardirono fare. Johannes Keplero, solo contro tutti, oserà nell’Astronomia nova (1609), prima rinunciare al centro dei cerchi, riassumendo al contempo, come “ipotesi vicaria”35, l’eccentrico che Coperni-co aveva bandito, dopo rinunciare all’eccentrico e al moto uniforme e, infine, allo stesso cerchio deformando le orbite circolari in orbite ovali e poi ellittiche, liberandosi, come dirà nella Astronomia, delle “macine dei cerchi”.

Keplero: la via delle proporzioni e l’unità del cosmo

Quando si parla del ruolo della simmetria nell’astronomia di Keplero si pensa subi-to ai cinque poliedri regolari. In realtà il ruolo dei solidi platonici è in Keplero via via sempre più marginale, allusiva e simbolica, limitato alla determinazione del numero dei pianeti, mentre altre simmetrie, basate sugli accordi armonici, acquisteranno sempre più il ruolo di struttura portante del cosmo. La sua utilizzazione di simmetrie, con tutte le dovute cautele e distinzioni, presenta sorprendenti analogie con l’uso che se ne fa nella fisica delle particelle. Alla fine della sua fatica Keplero penserà di avere trovato attraverso una struttura formale il modo di tenere insieme numero dei pianeti, distanze dei pianeti dal Sole e loro variazioni, periodi di rivoluzione, densità e masse dei pianeti, dimensioni del cosmo … e poi teologia, anima e forma di governo.

I solidi platonici rappresentano l’inizio della storia. Alla ricerca di una giustificazione geometrica del numero dei pianeti e della relazione tra i raggi delle loro orbite, Keplero, insegnante a Gratz, penserà di poterla trovare utilizzando poligoni regolari secondo la teoria degli “aspetti”36. Ma, di fronte al fallimento del suo tentativo, ricorrerà a figure regolari nello spazio e non nel piano. L’intuizione, che Keplero racconta, nel Mysterium cosmographicum(1596), di avere avuta a Gratz, consiste in una nuova percezione del pro-blema: i pianeti viaggiano nello spazio e non nel piano, di conseguenza è ai poliedri regolari e non ai poligoni che occorrerà rivolgersi per scoprire l’architettura del cosmo.

La tradizione dei cinque solidi platonici aveva trovato un’attenta trattazione nel XIII libro degli Elementi di Euclide, cui Keplero si ispirerà. Nel 1509 Luca Pacioli (De Divi-na Proporzione) testimonierà l’interesse del Rinascimento per i solidi platonici. Leonardo illustrerà l’opera di Pacioli disegnandoli trasparenti e mettendone così in evidenza la struttura. L’innovazione leonardesca sarà ripresa da Keplero nel Mysterium.

Nella Dissertatio cum nuncio sidereo, pubblicata nel 1610, subito dopo avere letto il Nuncius di Galileo, Keplero espone i motivi della sua attenzione per la geometria e per i poliedri regolari: “La geometria è una ed eterna, splendente nella mente di Dio, e la par-tecipazione ad essa tributata agli uomini è fra le cause per cui l’uomo è immagine di Dio. Ebbene, nella geometria, dopo la sfera, vi è una famiglia di figure che è la più perfetta di tutte, quella dei cinque solidi euclidei. Questo nostro mondo planetario è disposto appunto secondo la regola e il modello di questi solidi”37. Keplero è alla ricerca della costituzione del cosmo. In tale ricerca egli non ha dubbi: bisogna scegliere tra quelle co-stituzioni che rispondono a certe simmetrie. La chiave non sta nei numeri ma nella geo-

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metria, in figure che non dipendano, come i numeri, da quantità legate al mondo creato ma da archetipi eterni. I numeri sono numeri di qualcosa di quantitativo, non hanno una ragion d’essere a priori che li possa costituire come modelli per la creazione del mondo, se si eccettua il tre, perché legato alla Trinità. I poligoni piani sono certamente archetipi in se stessi, al di là della esistenza di un mondo materiale, ma non ci guidano alla ricerca di strutture archetipiche perché sono in numero infinito. I solidi platonici, invece, sono solo cinque, hanno tutte le caratteristiche necessarie per funzionare da ar-chetipi per la creazione del mondo.

Keplero pensava all’inizio che potessero rispondere a quella domanda che lui per pri-mo si pose: perché ci sono sei pianeti e perché le loro distanze stanno in certi rapporti? Non potevano rispondere alla domanda fondamentale: a quo moventur planetae? Per que-sto però, a giudizio di Keplero, il sistema copernicano spostando il Sole verso il centro del mondo aveva aperto la strada verso la risposta. Per due motivi: riduceva ad un solo moto, quello della Terra, i moti sparsi del sistema tolemaico (quello diurno delle stelle fisse, i moti retrogradi dei pianeti, le variazioni di latitudine, i vari sistemi di epicicli che generavano un “mostro” e non un cosmo, a detta di Copernico); dava la possibilità di cominciare a ragionare con un’unica causa fisica, invece di attribuire un’anima ad ogni pianeta. Mettendo il Sole al centro e facendolo causa del moto dei pianeti, sarebbe stato anche possibile trovare una relazione tra distanze e periodi di rivoluzione, tutte cose alle quali la tradizione dell’astronomia matematica rinunciava a priori.

Tutto questo si trova nel Mysterium. Il libro fu accolto con entusiasmo dal suo ma-estro Mästlin. Ma anche lui si associò alle riserve e ai rifiuti di tutti gli altri astronomi tedeschi per il fatto che si allontanava dalla prassi comune di limitarsi a “salvare i feno-meni”. Mästlin era entusiasta per l’ardire dell’allievo “di spiegare a priori il numero, l’or-dine, la grandezza e il movimento delle sfere del mondo”38, ma pensava, anche lui, che era meglio non impelagarsi in discorsi sulle cause che non portavano da nessuna parte. Gli unici che accolsero con favore l’opera di Keplero furono Galilei, allora sconosciuto matematico di Padova, e Brahe. Quest’ultimo, pur apprezzando il lavoro di Keplero, in una lettera a lui indirizzata il 9 dicembre 1599, criticava l’aver ribaltato il metodo dell’a-stronomia: “Che i moti celesti osservino una certa simmetria, e che vi siano delle ragioni per cui i pianeti compiano i loro circuiti intorno a un centro, o a un altro, a distanze differenti dalla Terra o dal Sole, io non lo nego. Ma l’armonia e la proporzione di questo ordinamento devono essere cercate a posteriori, là dove i moti e le occasioni dei moti sono esattamente stabiliti, e non determinate a priori, come volete tu e Mästlin, e anche così è difficilissimo provarlo”39.

Nella stessa lettera Brahe esprimeva il proprio orrore per traiettorie oblunghe, con una argomentazione che è simile a quella per la quale Galileo non rinuncerà mai alla simmetria delle orbite circolari: “le traiettorie degli astri devono essere infatti compo-ste interamente di moti circolari; in caso contrario non tornerebbero perpetuamente e uniformemente su se stesse sarebbero prive di eternità”. L’ostinazione sul moto circolare uniforme è legata alla decisione di conservare un approccio archimedeo, cinematico. I moti circolari uniformi non richiedono una causa. Galileo si muove verso il principio di inerzia circolare. Il suo progetto di una teoria del moto che renda come s’ei non fusse la rotazione terrestre e il suo viaggiare attorno al Sole, richiede orbite circolari. Keplero crede al contrario che un oggetto starebbe fermo senza una causa motrice. Questa con-vinzione lo porterà ad indagare sulle cause del moto e del moto reale, non di quello ipotetico dei “matematici.

Nell’Astronomia attribuisce la sua fatica, nel tentare di comprendere l’azione dei mo-tori celesti, alla difficoltà di calcolare, in modo congruente con le osservazioni, le distan-ze dei pianeti dal Sole e le “equazioni dei movimenti” all’interno del sistema di cerchi di Copernico. “L’errore - dirà - non consisteva nell’averli introdotti [i motori], ma nel fatto che li avevo legati, per così dire, alle macine dei cerchi, tratto in errore dall’opinione

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comune: trattenuti da tali ceppi, non avevano potuto svolgere la loro azione”40. Come si potevano, infatti, spiegare le azioni di tali motori, i quali avrebbero dovuto condurre in giro i pianeti in modo uniforme, su cerchi che ruotavano attorno a centri che erano solo punti geometrici e non punti fisici?

Per Keplero la critica più preoccupante di Brahe, nella lettera citata, quella che lo metterà in allarme, è che i dati di Copernico non sono esatti e questo rende impossibile infilare i solidi platonici tra il Sole e le stelle fisse.

Questo fatto attirerà irresistibilmente Keplero verso Brahe, possessore di dati astro-nomici più precisi. Thyco, da parte sua, inviterà Keplero nel castello di Benatek, a Praga, per lavorare con lui, sperando di mettere le capacità di calcolo di Keplero a servizio del proprio sistema. L’incontro avverrà agli inizi del 1600. Thyco gli affiderà il compito di risolvere il rompicapo dell’orbita di Marte.

Un altro attentato ai solidi platonici è costituito, per Keplero, dall’idea che il mondo sia infinito o dall’”orrida filosofia di Bruno” di infiniti mondi. Se il mondo è infinito non è una sfera, se ve ne sono infiniti il limite di sei pianeti salta. La scoperta dei satelliti di Giove mette in allarme Keplero, quando ancora non ha letto il Sidereus nuncius. Con sol-lievo vedrà che si tratta non di pianeti ma di satelliti di Giove.

L’originalità della astronomia di Keplero, ciò per cui lo possiamo considerare il primo astrofisico, consiste in alcune domande che altri astronomi non si ponevano, conside-randole insensate o senza risposta: perché vi sono esattamente un dato numero di piane-ti? perché si trovano ad una certa distanza e con una certa velocità? da cosa sono mossi?

Scrive A. Koyré: “Keplero cerca risposte dove nessuno altro vede problemi”41. Per Co-pernico sono ancora le sfere celesti a portare in giro i pianeti, per Bruno sono le animae, Brahe si rifugia in un atteggiamento puramente calcolatorio. Secondo Koyré la doman-da, di sapore schiettamente fisico, ha una radice teologica. Keplero considera come unità il Sole, le stelle fisse e, cosa decisiva, lo spazio intermedio. Il Sole costituisce la causa motrice, lo spazio il campo nel quale queste forze si propagano. L’idea teologica è consi-derare i tre come icona della Trinità: il Sole icona del Padre, le Stelle icona del Figlio, lo Spazio intermedio, luogo della creazione, icona dello Spirito42.

Retico nella sua Narratio prima43, alla prima domanda di Keplero, aveva risposto: per-ché sei è un numero perfetto. Keplero non può accettare la giustificazione attraverso la perfezione del numero perché per lui il numero è un ente astratto dal mondo, esiste insieme al mondo, non può essere un modello per la creazione prima della creazione. La geometria invece è in Dio, contiene archetipi eterni. Nel piano non c’è limite alle figure regolari. Nello spazio i solidi del Timeo forniscono la strada per determinare, in modo non arbitrario, il numero dei pianeti. Così tale numero si ottiene come risultato del fatto che il cosmo è creato seguendo certe simmetrie.

Bergia paragona la domanda e la risposta di Keplero sul numero di pianeti alla propo-sta di Gell-Mann di considerare l’ottetto barionico come stati di base di rappresentazioni irriducibili del gruppo SU(3). In effetti, l’analogia con il ragionamento basato su simme-trie a priori che determinano il numero di barioni è piuttosto stretta.

Con una “importante differenza - aggiunge Bergia - che l’idea di Gell - Mann ha fun-zionato, quella di Keplero no!”44.

Le domande di Keplero sono tipiche di chi non si accontenta di qualche “passione” del moto, ma va alla ricerca di simmetrie profonde. Simmetria è sinonimo di armonia; armonia significa giusto collegamento, adattamento. Lombardi nota che per noi la sco-perta di un nuovo pianeta non cambierebbe la fisica. Nel cosmo platonico sì, perché la domanda sul numero di pianeti era una domanda simile a: “perché ci sono quattro elementi e non di più?” o “perché i rapporti musicali armonici dipendono da alcuni rap-porti fissi?”. Forse uno sconcerto simile ha prodotto la scoperta di una nuova particella elementare come il muone, quando si pensava che il quadro delle particelle elementari fosse ormai completo.

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Col senno di poi potremmo considerare più fruttuosa l’altra domanda del Mysterium: perché possiedono quelle determinate velocità?

Per Galileo l’universo è inesauribile e le sue ragioni più profonde fuori della porta-ta (extensive) della mente umana45. Possiamo solo comprendere aspetti locali, che sono semplici (per lui verità = chiarezza = bellezza): la mente umana localmente può imita-re (intensive) quella divina. Per farlo, però, deve “diffalcare gli impedimenti”, rendere questo mondo capace di trattamento matematico, scovare quelle simmetrie che tanti accidenti rendono imperfette. Per Keplero, invece, era necessario cogliere la struttura profonda del cosmo, senza nulla togliere ai dati. La precisione del dato non doveva es-sere considerata un ostacolo da mettere tra parentesi; anzi, era la via per rivelare sim-metrie nascoste. Galileo ha fatto della semplificazione la sua arma vincente nello studio del moto. Keplero, al contrario, ha fatto della precisione e della cura nel non trascurare nulla il suo principio euristico. La sua fedeltà al dato è una fedeltà religiosa, non solo in senso metaforico. Fa parte del suo modo di essere teologo46.

La spiegazione di Copernico del moto retrogrado ci permette di passare da un’astro-nomia di posizione, fenomenologica, ad un’astronomia fisica nella quale i fenomeni vengono smontati e rimontati in modo da poter essere spiegati in base non a modelli ipotetici ma a rappresentazioni della realtà. “Come stanno veramente le cose?” è la do-manda che distingue un’applicazione della matematica come strategia locale da una sua utilizzazione per scrivere teorie che ci permettano di comprendere il reale. “Secondo Keplero, Copernico sta a Tolomeo come la realtà all’apparenza”47.

Non è comprensibile l’esultanza di Keplero per avere trovato proprio nel rapporto di quinta armonica (3:2) la legge che lega distanze e tempi di rivoluzione, se non si segue quella lunga tradizione di ricercatori (Pitagorici, Tolomeo, Boezio, Giovanni Scoto Eri-ugena, Copernico etc.) che avevano continuato per lunghi secoli a scrutare il moto dei pianeti (distanze e velocità) per trovarvi rapporti armonici. I rapporti armonici erano gli invarianti che legavano il cosmo nel passaggio da un pianeta ad un altro. La ricerca di rapporti armonici era dettata dall’idea che vi dovesse essere una relazione profonda tra l’accordo armonico percepito (anima) e i rapporti numerici relativi ai pianeti (cosmo), tra la musica humana e la musica mundana.

Le orbite ellittiche rompono, per Galileo, la simmetria del cosmo. Per Keplero sono la strada verso la scoperta di simmetrie più profonde consistenti in rapporti e proporzioni tutte generate dal rapporto di quinta armonica.

Nel corso dell’Astronomia Keplero racconta come più volte volle rinunciare ai cerchi e più volte tornò all’ipotesi di un’orbita ricostruita attraverso epicicli opportuni. Era diffi-cile rinunciare all’archetipo del cerchio. A proposito di uno di questi ritorni, nel capitolo XXXIX, Koyré annota: “Si ha l’impressione che Keplero non accettasse le sue proprie critiche che a malincuore e che le abbia messe da parte con gioia dal momento che un miraggio accecante gli ispirò la speranza di potersi cavar d’impaccio con mezzi già spe-rimentati”48.

La lotta di Keplero col pianeta Marte durò nove anni, e non pochi mesi, come aveva pensato a Benatek. Per nove anni Keplero si trovò in quella che Bergia, relativamente alle interazioni forti negli anni Cinquanta, chiama “la terra di nessuno tra esperimenti e teoria”49. Le orbite non erano cerchi, né composizione di cerchi. Ma cos’altro erano? Otto secondi d’arco non gli permettevano di chiudere la sua orbita. Poca cosa per tutti i suoi contemporanei, ma non per Keplero. In Keplero il teorico e lo sperimentale con-vivono dialetticamente. Le esigenze della simmetria sono forti e guidano il tentativo di ordinare i dati, ma questi non devono essere forzati e neanche approssimati50.

Anche quando Keplero rinuncia alle orbite circolari l’archetipo del cerchio e della sfe-ra rimangono fondamentali. Dopotutto il cosmo di Keplero rimane sferico. Dio, anima e cosmo sono comprensibili attraverso un unico archetipo. Quando i raggi dei pianeti giungendo da angoli opportuni vengono percepiti risuonano come consonanti nell’a-

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nima. Gli angoli opportuni sono quelli relativi ai poligoni regolari inscritti nel cerchio; la collocazione dei pianeti in modo da essere osservati sotto tali angoli costituisce un “aspetto”. Dai rapporti che si possono combinare con i lati (ad esempio il rapporto di quinta, 3/2, col pentagono) scaturiscono gli accordi consonanti della scala pitagorica51.

L’influsso dei raggi dei pianeti, non a distanza ma localmente, non riguarda solo l’a-nima dell’uomo, riguarda tutto ciò che è senziente e quindi anche la terra con i feno-meni meteorologici, perché la terra ha un’anima, l’anima terrae. Keplero vorrebbe anche sapere se le forme vegetali sono sensibili alle armonie, ma non dà una risposta perché non ha dati disponibili.

Astrologia? No! risponde Pauli. Nel senso che, se di astrologia si tratta, “essa è del tut-to integrata nel pensiero causale della scienza naturale”52. L’influsso dei pianeti non può dipendere per Keplero da linee tracciate tra la terra e punti geometrici astratti, come il punto dell’equinozio di primavera. Vi deve essere una relazione fisica mediata dalla luce. L’influsso degli astri non è diretto e meccanico, ma dipende dalla reazione dell’anima a quegli influssi. Sono le animae individuali le portatrici essenziali dell’armonia cosmica.

Qui siamo lontani dalle posizioni di Galileo espresse nel Saggiatore. Lì, come in altri passi, Galileo si limita ad osservare che senza geometria non si va da nessuna parte. Ma si guarda bene dal fare della matematica una via di accesso alla Trinità o all’anima. Gali-leo non cerca come Keplero una teoria del tutto.

Keplero cerca leggi fisiche, per questo il Sole deve stare al centro delle orbite. Questa legge deve basarsi su una virtus non su un’anima. Se nel Mysterium la forza che muove i pianeti è ancora un’anima, nell’Astronomia diventerà una vis meccanica, al modo della forza magnetica53.

La irregolarità dell’orbita di Marte è per Keplero il segno che non possono essere la circolarità e il moto uniforme a dare sun-metria ai dati osservativi. La irregolarità non de-ve essere ridotta a mera apparenza dei sensi, né far finta che non ci sia o attribuirla a cau-se secondarie. Per Keplero l’invariante che si richiede, ciò che non muta e tiene insieme i dati, non deve essere cercato nella figura dell’orbita, bensì nella aritmetica delle forze.

“Quello che ci è dato realmente, sono soltanto le distanze mutevoli; non ci è leci-to ignorare né mettere da parte questo fenomeno fondamentale con ipotesi sussidiarie; dobbiamo, invece, riconoscerlo ed esprimerlo come unità nella sua stessa molteplicità. La tensione della natura verso l’”uniformità” resta intatta; ma la cerchiamo non più in figure geometriche fisse, bensì nell’originaria “aritmetica delle forze”, non più nel risul-tato, bensì nelle componenti concettuali. In questo senso Keplero adduce contro Fabri-cius la parola platonica dell’ én kaì pollà: come potrebbe darsi una vera unità che non abbracciasse e contenesse in sé, come origine, la molteplicità?”54.

Il progetto platonico di riduzione dei molti all’uno non lo porta verso l’atomismo. Dal Mysterium all’Harmonices il filo conduttore verso l’unità, che lo porterà alla scoperta delle tre leggi e a compiere “la disfatta del circolarismo”, è la ricerca della spiegazione fisica del mondo, della sua struttura armonica55.

Anche quando Keplero cercò, nella Strena seu de nive sexangula (1611), la causa della simmetria sexangula della neve non si diresse verso la struttura atomica ma verso motivi formali di efficienza superficie-volume. Sono motivi formali che fanno sì che l’uomo e il mondo risuonino allo stesso modo. La proporzione nelle distanze e nelle velocità dei pianeti è tale da essere riconosciuta dalla mente umana che porta in sé come archetipi tali proporzioni.

Le orbite ellittiche sono il risultato della necessità fisica e delle leggi dell’armonia.Volendo costruire il mondo secondo le leggi dell’armonia non bastano i solidi rego-

lari, che darebbero orbite circolari concentriche e velocità costanti; le proporzioni ar-moniche costringono il Creatore a far variare le velocità dei pianeti. E poiché occorre rispettare la necessità materiale, le ragioni della vis, la legge di variazione della velocità deve seguire la “legge della bilancia” e questa impone orbite circolari o ellittiche. Sono

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escluse le orbite circolari eccentriche e i dati astronomici non consentono orbite circola-ri centrate sul Sole. In sintesi: dati astronomici (1) + armonia (2) + necessità fisica (3) orbite ellittiche. I solidi platonici, dopo le osservazioni di Brahe, hanno solo il compito di fissare il numero dei pianeti.

Il “tono” corrispondente ad ogni pianeta deve essere ricavato in base alla velocità angolare vista dal Sole e misurata in secondi d’arco. Poiché tale velocità non è costante, il tono percorre un intervallo musicale la cui ampiezza dipende dall’eccentricità dell’or-bita. La nota fondamentale del pianeta deve essere calcolata all’afelio. I rapporti delle velocità angolari all’afelio e al perielio per ogni pianeta equivalgono a modulazioni su accordi consonanti, tranne che per Terra e Venere che hanno orbite quasi circolari e che quindi corrispondono alla variazione di un semitono o quasi. Per costruire l’armonia cosmica Keplero parte da Saturno per il quale tra afelio e perielio abbiamo un accordo di terza maggiore. Partendo da un tono sol56, l’accordo sarà sol-si. Per costruire le melo-die degli altri pianeti occorre dividere per due le velocità angolari fino ad ottenere toni sulla stessa ottava di Saturno. Ad esempio, se dividiamo la velocità angolare della Terra all’afelio per due cinque volte otteniamo 1’47’’ vicino alla velocità di Saturno all’afelio. La melodia della Terra comincerà allora anche con un sol cinque ottave sopra quella di Saturno.

In questa maniera però non vi è collegamento tra le melodie. Ogni pianeta “canta” da solo. Se vi fossero solo due pianeti l’accordo tra le loro melodie sarebbe cosa facile. Ma con sei pianeti vi sarebbe armonia e non cacofonia solo aspettando tempi molto lun-ghi, ammettendo che all’inizio della creazione vi fosse armonia. L’accordo tra i pianeti deve essere costruito a partire dal monotono sol della Terra e del mi-mib di Venere57. Or-bite ellittiche e velocità variabili rivelano simmetrie più profonde e nascoste che legano astronomia e musica; si tratta di simmetrie dinamiche rispetto a quelle statiche legate alla forma geometrica58.

Rimane il fatto che non si conosce ancora la relazione tra tempo di rivoluzione e distanza. Conoscendola si potrebbe, a partire dai tempi, cioè dall’armonia, trovare le distanze. È una relazione che Keplero ha cercato per più di due decenni e che gli è co-stata 17 anni di tentativi sui dati di Brahe e che finalmente gli apparve alla mente il 15 maggio del 1618: “è cosa certissima ed esattissima che i tempi periodici di due pianeti qualunque sono precisamente in proporzione sesquialtera delle loro distanze medie, os-sia dei loro orbi”. Cioè T1

2/ T22=R1

3/ R23.

A questo punto Keplero, a partire dai tempi di rivoluzione, posta uguale a 1000 la distanza media Terra - Sole, ricava per ogni pianeta semiasse maggiore ed eccentricità e li confronta con i dati di Brahe. “La teoria armonica esce vittoriosa dal confronto con i fatti”59.

Il lungo cammino, durato ventiquattro anni, che lo ha portato dalla materialità della forma verso l’armonia, dal Mysterium all’Harmonices mundi (1619), è descritto da Keplero nel libro quinto di quest’ultima opera: “la proporzione che i solidi regolari avrebbero prescritto agli orbi planetari, in quanto inferiore e relativa solo al corpo e alla materia, dovette cedere davanti alle armonie di quel tanto necessario affinché quelle potessero approssimarsi e contribuire alla bellezza dei moti dei globi”60.

“L’Harmonices è il seguito del Mysterium, l’apogeo di un’ossessione che durò per tutta una vita. Keplero tentava qui, semplicemente, di svelare il segreto fondamen-tale dell’universo offrendo una vasta sintesi della geometria, della musica, dell’astro-logia, dell’astronomia e dell’epistemologia. Era una cosa che nessuno aveva tentato dal tempo di Platone e che nessuno ha più tentato. Dopo Keplero vi è nuovamen-te la frammentazione dell’esperienza, la scienza si separa dalla religione, la religione dall’arte, la sostanza dalla forma, la materia dallo spirito”61.

Ma Keplero non si ferma qui. Nella Epitome astronomiae copernicanae (1621), nei ca-pitoli scritti dopo l’Harmonices, tenta di ricavare l’universo, a priori, a partire dal Sole. Il

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Sole fornisce le costanti cosmologiche (densità e dimensioni) che regolano tutto l’univer-so. Di proporzione in proporzione, con considerazioni speciose, Keplero passa alle di-mensioni di Terra, Luna, degli altri pianeti, alle loro collocazioni a distanze stabilite, alla distanza delle stelle fisse dal Sole e alla quantità di materia che contengono il Sole, l’orbe delle stelle fisse e la zona intermedia. Costruisce così una “teoria del tutto”!

Il Sole è, con le sue dimensioni, l’origine della catena di rapporti e proporzioni. La distanza e le dimensioni della Terra sono tali da far sì che essa sia il migliore sistema di osservazione per l’abitante di essa destinato a contemplare l’armonia dei cieli. Perché tutto il cosmo è fatto in modo che un osservatore privilegiato possa raccontarne la strut-tura. Principio antropico forte!

A partire dal Sole e dalla Terra Keplero ricostruisce l’unità del mondo: distanza e dimensioni della Luna e dei pianeti; la loro moles (volume), la quantità di materia, la densità sono ricavate dalla sua dinamica in modo che la forza che li spinge in orbita (proporzionale alla sezione e inversamente proporzionale alla distanza) incontri una re-sistenza (proporzionale alla quantità di materia) come deve essere in base alla terza leg-ge. Questa è così di nuovo ricavata a partire da motivazioni fisiche.

Qui si potrebbe notare che la famosa definizione di Newton, che la massa è data dal volume per la densità, forse è ispirata alla Epitome. A questo punto Keplero è pronto a compiere il gran balzo: fissare le dimensioni del cosmo, il raggio delle stelle fisse. Per lui l’universo non può essere che finito. Qui un criterio di omogeneità gli fa equamente distri-buire la materia del cosmo tra Sole, stelle e zona intermedia. Poiché, sempre attraverso pro-porzioni geometriche, ha ricavato il raggio della sfera celeste, pari a 4.000.000 di diametri solari, gli è facile calcolare il suo spessore, che risulta pari a 6/1000 del diametro solare.

Un programma perdente?

Cosa resta oggi di tutta la costruzione di Keplero? del tessuto delle sue proporzioni che avrebbero dovuto rivelare il progetto unico che tiene in armonia il mondo e l’anima dell’uomo? che rivela quella che oggi alcuni fisici, al seguito di Einstein, chiamano “la mente di Dio”?

Potremmo dire che il programma di Keplero è un programma perdente. Le sue previ-sioni si sono rivelate errate. Al seguito della catena di proporzioni Marte avrebbe dovuto essere più grande della Terra e così non è. Anche le previsioni sulle densità dei pianeti sono errate, il cosmo non ha le dimensioni previste e le stelle fisse non formano un guscio di spessore definito. I pianeti non hanno satelliti in proporzione geometrica a partire dalla Terra. Anche la sua legge di forza è errata62. Newton riuscirà a mettere insie-me il cosmo e a giustificare le orbite ellittiche con una sola legge. Nel sistema di Newton compaiono però diverse costanti arbitrarie: numero dei pianeti, massa, densità, distanze, ellitticità. Tutte quelle costanti che Keplero aveva agganciate al Sole e alla Terra. Newton spazzerà via tutti i tentennamenti di Galileo e le elucubrazioni di Keplero per sostituire ad esse la forza di gravità. Newton però era ben consapevole che i problemi aperti erano molti di più di quelli risolti.

I fisici delle particelle hanno ripreso il sogno di una unificazione nella quale le teorie abbiano meno costanti ingiustificate. Nella storia della comprensione delle interazio-ni forti si ha quasi l’impressione che i fisici ad un certo punto si siano preoccupati di costruire teorie semplici ed eleganti seguendo il filo delle simmetria e che le abbiano studiate anche quando erano palesemente in contrasto con i dati sperimentali. Animati dalla fiducia che il numero e le masse delle particelle dovessero rispondere ad una logica nella quale la bellezza doveva avere un ruolo. La teoria di Yang e Mills era bella, ma le sue previsioni sembravano in contrasto con il fatto che i bosoni della interazione debole dovevano avere una massa. Occorreva inventare un meccanismo di rottura della simme-

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tria. Un fiume carsico scorreva sotto un approccio puramente fenomenologico in attesa di potere riemergere. Quando è riemerso aveva tutti i connotati del programma di Keple-ro: spiegare con strutture unificanti il mondo variegato delle interazioni fondamentali.

Dai filosofi ionici fino ad oggi l’idea che la natura sia comprensibile, che sia un libro, che la complicazione del divenire e dei livelli di realtà risponda a vincoli semplici ed eleganti a livello fondamentale non ha mai abbandonato la ricerca.

Una via alternativa: l’unità del cosmo a partire dagli atomi

È il caso di notare che, nello stesso periodo, si fa strada un altro tentativo di dare una spiegazione del tutto, una teoria per ogni cosa, attraverso un’altra filosofia: la cosiddetta “filosofia meccanica”, quella che formalizzerà nella filosofia di John Locke (1632 - 1704), l’amico filosofo e il sostenitore di Newton, la classica distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie.

Filosofia meccanica, coniugata con l’atomismo, significava che era possibile ricom-porre la comprensione del mondo con le stesse operazioni con le quali l’uomo costruiva le sue macchine: “Sulle cose della natura indaghiamo allo stesso modo con cui indaghia-mo sulle cose di cui noi siamo gli autori” (Gassendi). E ancora “Le cose artificiali non differiscono dalle cose naturali se non per la causa efficiente” (Hobbes); “non si dà alcu-na differenza tra le macchine che costruiscono gli artigiani e i diversi corpi che la natura compone” (Cartesio). Marin Mersenne (1588 - 1648) specifica che quando si parla di costruzione non ci si riferisce solo all’opera delle mani ma anche a quella dell’intelletto. Secondo Hobbes, che anticipa in questo Vico, la geometria è quanto di più conoscibile per l’uomo perché linee e cerchi sono tracciati da noi63. Si conosce solo quello che si è in grado di fare. E questo vale anche per Dio, costruttore dell’orologio cosmico. Tale cono-scenza è l’unica possibile all’uomo. Le essenze gli sono negate. Si prepara la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno. Thomas Hobbes (1588 - 1679), che visse così a lun-go da poter conoscere le opere di Galileo, tentò di mettere la politica sotto il segno della filosofia meccanica. “La tesi della identità fra conoscere e fare dava luogo, si è visto, ad una scienza consapevole dei suoi invalicabili limiti, ma quella tesi finiva anche per in-vestire (con conseguenze che sarebbe difficile sottovalutare) il mondo della morale, della politica, della storia.”64

Galileo Galilei, il moto circolare uniforme e la formazione del sistema solare

In Galileo i riferimenti alla filosofia platonica sono molteplici65. Galileo riprende di Platone lo stile dialogico, l’arte della maieutica, l’importanza della geometria, la centra-lità del moto circolare uniforme come garanzia di invarianza nel tempo della compagine dei pianeti. Nel Timeo (43 B, C) le sensazioni, che producono turbamento, sono legate ai sei moti non circolari. Anche in Galileo le sensazioni sono moti di particelle. Inoltre sembra che consideri il moto circolare come proprio dei viventi, mentre i moti rettilinei sono temporanei e camuffano i moti circolari66.

Nel Saggiatore, in piena sintonia con la tradizione del Timeo, Galileo cita a preferenza triangoli e cerchi, che sono le figure geometriche che compaiono nella costruzione del mondo da parte del demiurgo. “Egli [l’universo] è scritto in lingua matematica, e i ca-ratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.”67 Cita solo cerchi e triangoli, anche se già dal 161268 è a conoscenza delle scoperte di Keplero.

Galileo riprende dal Timeo anche il mito cosmologico della formazione del sistema solare per caduta dei pianeti nelle loro orbite da un punto “sublime” comune. Ne dà

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una trattazione matematica, mettendo alla prova la sua nascente scienza del moto. Lo utilizza come via per dare una spiegazione unica delle diverse velocità dei pianeti nelle loro orbite.

I due ingredienti della sintesi di Galileo sono secondo Bucciantini: inerzia (circolare) e atomismo. Essa è diversa da quella aristotelico-tolemaica, da quella thyconica e da quella di Keplero.

Il progetto di ricerca di Galileo segue il filo rosso di una nuova concezione del moto e della materia. La sua battaglia culturale ha come elemento cardine l’affermazione della omogeneità dello spazio, l’invarianza rispetto al moto circolare uniforme.

Il mondo sopra e sotto la luna è fatto della stessa pasta: non ci sono luoghi con ca-ratteristiche speciali. Inizia quella che Koyré ha chiamato “geometrizzazione dello spa-zio”69, reso omogeneo e isotropo, dopo essere stato privato di ogni riferimento privile-giato e di ogni qualità. Galileo ne ricava una legge di conservazione del “moto”.

Che l’intero universo infinito fosse omogeneo era già stata un’intuizione oltre che di Democrito (“non esiste basso né alto, né centro né ultimo, né estremo”) di Nicola Cusano. Epicuro aveva rotto la simmetria dello spazio introducendo una direzione privi-legiata verso il basso.

Mentre per Democrito il moto naturale è un moto rettilineo, interrotto dagli urti70, Galileo ripetutamente afferma che il moto naturale, quello che non ha bisogno di una causa, è quello circolare uniforme. Per Keplero non esistono moti che non abbiano una causa: senza un motore un corpo sta fermo! Il moto circolare uniforme per Galileo è la concretizzazione di una simmetria perfetta, in uno spazio senza luoghi e senza direzioni particolari. Il moto circolare non ha bisogno di una causa perché in un disco che ruota nulla cambia71.

Nel Dialogo Salviati afferma: “Di qui mi par che assai ragionevolmente si possa con-cludere, che per mantenimento dell’ordine perfetto tra le parti del mondo bisogni dire che le mobili sieno mobili solo circolarmente, e se alcune ve ne sono che circolarmente non si muovano, queste di necessità sieno immobili, non essendo altro, salvo che la quiete e ‘l moto circolare, atto alla conservazione dell’ordine”72.

È questo un modo di trattare la simmetria molto vicino ad un approccio moderno. Il cerchio è immagine di ciò che non muta mutando73.

Un disco che ruota non toglie nulla a ciò che sta intorno, non “scompiglia” l’univer-so.

Nella seconda giornata del Dialogo Salviati si impegna in una discussione con Simpli-cio che termina con l’affermazione che solo il moto circolare è naturale perché è l’unico eterno74. Galileo identifica naturale con eterno.

La gravità maschera l’invarianza del moto circolare uniforme, introducendo direzio-ni privilegiate verso l’alto o verso il basso. Galileo, da una parte afferma la naturalità del moto dei gravi verso il centro della Terra ma non verso un basso assoluto, dall’altra ne denuncia il suo carattere di provvisorietà. Altrimenti tutto sarebbe scompigliato. La seconda giornata del Dialogo è una caccia alla ricerca di tutte le dimostrazioni e gli indizi a favore di quella che oggi impropriamente chiamiamo “relatività galileiana”. Il piano “né acclive, né declive” è lo strumento concettuale attraverso il quale la dissimmetria introdotta dalla gravità (qualunque cosa essa sia!) viene neutralizzata.

È allora strano che nella quarta giornata del Dialogo Galileo assegni effetti fisici al moto circolare uniforme dopo aver dedicato tutta la seconda giornata a negarne la ri-levanza fisica. Ma forse per lui mentre la “Terra” è dotata di moto naturale rotatorio, l’acqua della Terra è sui juris: “il solo elemento dell’acqua, come quello che è vastissimo e che non è annesso e concatenato al globo terrestre, come sono tutte l’altre sue parti solide, anzi che per la sua fluidezza resta in parte sui iuris e libero, rimane, tra le cose sul-lunari, nel quale noi possiamo riconoscere qualche vestigio ed indizio di quel che faccia la Terra in quanto al moto o alla quiete”75.

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Galileo ribadì sempre la sua ferma adesione ai moti circolari con eccentrici ed epi-cicli. Nella lettera già citata, del 20 giugno 1612, Cesi si diceva disposto ad aderire al copernicanesimo purché si togliessero di mezzo epicicli ed eccentrici. Galileo rispondeva che non dobbiamo noi accomodare la natura ai nostri gusti ma accomodare noi l’intel-letto a quello che essa ha fatto.

Nella lettera di risposta del 21 luglio 1612 Cesi insisteva, chiedendo a Galileo se non fosse il caso di aderire alla via delle ellissi, come voleva Keplero. Non si conosce la rispo-sta di Galileo. Secondo Bucciantini, “è assai probabile che Galileo troncasse con fermez-za la discussione su simili bizzarrie”76.

I pianeti non hanno nessun motivo per stazionare su un’orbita o su un’altra con determinata velocità. Perché un disco circolare non ha nessun motivo di ruotare con questa o quella velocità angolare se questa non viene assegnata. Una determinata confi-gurazione allora è arbitraria. È indifferente per un pianeta avere questa o quella distanza dal Sole, questa o quella velocità angolare. La circolarità dell’orbita non comprende stati privilegiati. Assegnazione “a mano” può essere considerata quella operata dal Creatore quando immette i pianeti per caduta nelle orbite, nelle quali il moto è di tipo circolare uniforme a distanza assegnata. Le loro distanze dal Sole sono costanti arbitrarie del co-smo. Se si considerano le velocità dei pianeti nelle orbite, tenendo conto solo della omo-geneità dello spazio, siamo costretti ad assegnare “a mano” anche le velocità. Velocità e raggi sono dipendenti, ma Galileo non sa ancora in che modo. Sa solo che a raggio mag-giore corrisponde un periodo più lungo. È questa una obiezione fondamentale contro il moto delle stelle fisse che interromperebbe questa progressione di periodi.

Poiché la marea diurna dipende, a giudizio di Galileo, dalla composizione del moto rotatorio e di quello di rivoluzione intorno al Sole della Terra, dobbiamo allora pensare che essi sono di natura diversa? che quello che vale per la rotazione (cioè il principio di relatività) non vale per il moto di rivoluzione? In un famoso passo del Dialogo, che ora citerò, considera come dipendenti da un’unica causa il moto di caduta di un grave e il moto di rivoluzione dei corpi celesti intorno al Sole.

C’è di mezzo qualcosa, una causa, la si chiami come si vuole, che Galileo non cono-sce e che non chiama forza. Il fatto che non la conosca non vuol dire che non ci sia77. Sarà Newton a definire il concetto di forza, a unificare tutti i fenomeni celesti e perciò ad avere bisogno di un principio di inerzia che non fosse solo locale come quello della con-servazione del moto circolare ricevuto di Galileo. Proprio il fatto che c’è bisogno di una causa per far muovere la Terra intono al Sole, mentre basta il moto una volta ricevuto per farla ruotare su se stessa, può forse giustificare l’argomento delle maree. Mentre sem-brerebbe che la causa del moto di rivoluzione sia attuale, il moro rotatorio ha avuto la sua causa che è dello stesso tipo (!?), ma adesso la Terra e tutto ciò che è in essa (escluso i fluidi?) ha semplicemente conservato il moto.

“SALV. Io non ho detto che la Terra non abbia principio né esterno né interno al mo-to circolare, ma dico che non so qual de’ dua ella si abbia; ed il mio non lo sapere non ha forza di levarglielo. Ma se questo autore sa da che principio sieno mossi in giro altri corpi mondani, che sicuramente si muovono, dico che quello che fa muover la Terra è una cosa simile a quella per la quale si muove Marte, Giove, e che e’ crede che si muova anco la sfera stellata; e se egli mi assicurerà chi sia il movente di uno di questi mobili, io mi obbligo a sapergli dire chi fa muover la Terra. Ma più, io voglio far l’istesso s’ei mi sa insegnare chi muova le parti della Terra in giù.”78

Qui Galileo si avvicina alla gravitazione universale. Il mettere insieme la caduta di un oggetto e il moto della Luna ha, secondo Drake, ispirato Newton, che sicuramente lesse il Dialogo79.

Perché Galileo non accettò di ragionare sulle proposte kepleriane di orbite ellittiche? Panofsky, in un famoso articolo pubblicato nel 195580 e che ricevette il plauso di

Koyré, sostiene che Galileo era critico delle arti non meno che scienziato. Figlio di un

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musicista, era amico di Ludovico Cigoli, che difese in alcune dispute sulla preminenza della pittura sulla scultura. Cigoli era antimanierista e rese omaggio a Galilei, dipingen-do l’Assunta, in Santa Maria Maggiore, sopra una luna dipinta così come si era presenta-ta al telescopio. Galileo, chiamato in soccorso dal Cigoli per le sue capacità dialettiche, lo difese manifestando insofferenza per tutti i generi misti (nel caso statue dipinte). Era contrario al manierismo e al Tasso, all’uso sfrenato dell’allegoria che ti costringeva a pensare ad altro mentre leggevi un testo, cosa ben diversa dalla metafora che invece permetteva di comprendere meglio quello di cui si parlava. Non amava il canto nella musica e in genere preferiva le arti pure. Ridicolizzò l’Arcimboldo, cui paragonò gli ari-stotelici i quali, come l’Arcimboldo alla corte di Rodolfo II faceva con la pittura, “con l’accozzamento ... de’ soli strumenti dell’agricoltura” (Terza lettera sulle macchie solari), raffazzonavano frasi dai testi di Aristotele per difendere le loro idee. Storceva il naso davanti alle anamorfosi di Holbein e a qualunque deformazione. Non amava le commi-stioni e le cancellazioni di confine81.

I giudizi estetici di Galileo, nella musica, nella pittura o nella poesia erano dettati da un pregiudizio antimanieristico e classicistico “a favore della semplicità, dell’ordine, e della séparation des genres, e contro la complessità, lo squilibrio e ogni sorta di esagera-zione. Entrare nell’Orlando Furioso significava per lui entrare in ambienti spaziosi, in gal-lerie piene di personaggi famosi, come nella Scuola di Atene. Entrare nella Gerusalemme Liberata, al contrario, era come entrare in una stanza piena di cianfrusaglie, in una Kunst und WunderKammern, come in alcune stanze della reggia di Rodolfo II, collezionista di oggetti strani ed esotici (per questo, forse voleva un cannocchiale da Galileo)”82.

Si chiede a questo punto Panofsky: “Se si sostiene che l’atteggiamento scientifico di Galileo abbia influenzato il suo giudizio estetico, non potrebbe forse darsi che il suo atteg-giamento estetico abbia influito sulle sue teorie scientifiche? O, per essere più precisi, non potrebbe forse darsi che Galileo abbia obbedito, sia come scienziato sia come critico delle arti, al medesimo orientamento mentale?”83

La risposta di Panofsky è positiva. Galileo non poteva accettare le ellissi di Keplero perché per lui erano solo deformazioni di cerchi.

Basta questa giustificazione? Forse no! Il fatto è che il moto circolare uniforme è stret-tamente legato alle argomentazioni che rendono la rotazione terrestre “come s’ei non fusse”. Solo un moto di rotazione circolare uniforme della Terra poteva giustificare il fat-to che esso non fosse percepito. Nella rivoluzione attorno al Sole, come abbiamo visto, le idee di Galileo sono incerte. Sicuramente, però, solo il moto circolare era compatibile col mantenere ogni cosa al suo posto. Inoltre l’argomento del luogo “sublime” richiede-va orbite circolari. E tale argomento, come sottolinea Bucciantini (vedi sotto), costituiva un collegamento tra meccanica e cosmologia.

Mentre guarda al cielo Galileo, negli anni padovani, elabora faticosamente la legge che descrive il modo di variare della velocità di un corpo in caduta. La mette alla prova nei cieli, riprendendo una suggestione platonica. Immagina che tutti i pianeti raggiun-gano le loro orbite, “cadendo” con moto retto da un medesimo luogo nel quale sono stati creati84. Secondo Galileo si può ricavare la distanza dal Sole di tale punto sublime dalla conoscenza di raggi e periodi di rivoluzione per Saturno e Giove; come verifica si può fare la prova per Marte, Mercurio, Venere. Galileo calcola la velocità di Saturno con i dati di Keplero. Nell’ipotesi errata che la velocità finale sia proporzionale all’altezza di caduta, calcola il punto sublime per Saturno. La verifica per Marte fallisce, anche se Ga-lileo afferma il contrario.

Negli anni Settanta Drake individuava presso la Biblioteca Nazionale di Firenze cal-coli e disegni di Galileo nei quali si fa riferimento a dati del Mysterium. Esiste una lettera a Keplero di Bruce, giovane inglese giunto a Padova per addottorarsi in legge, nella quale Bruce avverte Keplero che Galileo studia il Mysterium e propone come proprie ai suoi uditori le scoperte di Keplero85. Basandosi sulla lettera di Bruce, Drake arguisce che i fogli

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di Galileo trovati risalgono al 1602. Secondo Meyer i fogli di Galileo risalgono al 1603-4 e al 1608-9. La differenza tra i fogli è segnata dalla comprensione della legge di dipen-denza della velocità di caduta, considerata prima dipendente dallo spazio (lettera a Sarpi del 1604) e dopo, quando entra in possesso della legge corretta, dal tempo.

Galileo fa due volte il calcolo. La distanza rispetto ai dati astronomici non consente repliche. Partendo dal valore di sublimità ricavato dalla coppia Saturno-Giove, Galileo tentava di verificarne l’esattezza determinando da esso il periodo di Marte. Ma il calco-lo a cui giungeva non era quello sperato: il periodo di Marte era pari a 1032 giorni, molto distante dal dato corretto di 687 giorni86. Nonostante l’insuccesso del suo tentativo Gali-leo si porterà dietro fino alla fine l’idea di collegare velocità e raggi delle orbite attraverso la ricerca del punto “sublime”.

Ancora nella quarta giornata dei Discorsi, per bocca di Salviati affermerà: “Mi par sovvenire che egli già mi dicesse, aver una volta fatto il computo, ed anco trovatolo assai acconciamente rispondere alle osservazioni, ma non averne voluto parlare, giudicando che le troppe novità da lui scoperte, che lo sdegno di molti gli hanno provocato, non ac-cendessero nuove scintille. Ma se alcuno avrà simil desiderio, potrà per se stesso, con la dottrina del presente trattato, sodisfare al suo gusto”87. Commenta in conclusione Buc-ciantini: “Risulta comunque evidente lo sforzo qui compiuto, e cioè quello di cercare di dedurre una legge universale di caduta dei pianeti a partire da nuove leggi del moto. […] Certo, i calcoli di Galileo non tornavano. […] quello che importa sottolineare è che le considerazioni sul mito platonico presenti nel Dialogo, ben lungi dall’essere un occasiona-le esercizio retorico, trovano nel periodo padovano - e proprio a partire dalla riflessione sul Mysterium - uno dei loro momenti più significativi. Il nesso tra meccanica e cosmogo-nia, tra leggi del moto e cosmologia copernicana, ottiene cosi un altro elemento di prova nella ricerca di quel punto di ‘sublimità’ da cui Dio avrebbe lasciato cadere i pianeti con moto uniformemente accelerato”88.

Cercare una causa unica per fenomeni disparati, dedurre le costanti in base ad una legge è stata preoccupazione somma di Keplero e, in parte, come si è visto, anche di Galileo. Il problema delle condizioni iniziali arbitrarie è stato sempre considerato una questione cui dare una risposta89. Lo stato attuale del Modello Standard non sfugge a tale necessità!90

The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences (1960)

La storia del Modello Standard è la conclusione di un lungo percorso, iniziato nel Novecento con Einstein, Heisenberg, Noether, Weyl, Yang e Mills: “Con la comprensio-ne della rottura spontanea di simmetria, i diversi contributi alla fine si sono incontrati nella standard theory. È stato questo il ritorno di chi credeva nella bellezza e nella perfe-zione delle leggi fondamentali della fisica”.91 È stata forse anche la rivincita di Keplero.

Questo ritorno ha riproposto in modo più pressante il problema (che ha alle spal-le una lunga tradizione) del ruolo della matematica nella comprensione della natura e nella fisica in particolare. La legge di natura formalizzata algebricamente è l’oggetto che tiene insieme fenomeni disparati in un determinato ambito. La simmetria è il vincolo al quale la legge sottosta o deve sottostare se si usa la simmetria come un apriori euristico. La simmetria è definita dal gruppo delle trasformazioni che può subire l’equazione che formalizza la legge, in modo che rimanga covariante.

Ma qual è il significato filosofico di tutto questo? Il problema di Wigner: “quale è la ragione della efficacia della matematica nella fisica” è, come abbiamo visto, molto an-tico ed è stato girato e rigirato innumerevoli volte. Le risposte sono state molteplici, di-pendenti dalla filosofia personale di chi le ha date. Ma, osserva, Dorato: “Ciò che rende il problema particolarmente spinoso è che esso non sembra potersi risolvere facilmente

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invocando l’una piuttosto che l’altra tra le filosofie della matematica oggi discusse, dato che esso, prima facie, crea grattacapi a tutte”92. La domanda di Wigner sottende le due questioni della natura della matematica e del realismo scientifico. Per quanto riguarda la prima questione, si va dal platonismo estremo di Gödel al costruttivismo radicale di Hersh, dall’idea che gli oggetti matematici esistano da qualche parte a quello che sono pure costruzioni mentali o addirittura linguistiche. La domanda sulla natura degli enti matematici è legata alle filosofie personali riguardo al mondo, alla fisica, alla conoscen-za. Lolli ha elencato ben tredici posizioni diverse riguardo alla filosofia della matematica. Fisici e matematici, scrive alla fine, non hanno molto tempo per riflettere su ciò che stanno facendo. Lo fanno in genere alla fine della loro carriera per lo più planando i pri-mi su posizioni vicine al realismo e i secondi su posizioni vicine ad un cui prodest?93 Alla fine sembra che le discussioni abbiano avuto l’esito di affinare il dibattito senza chiuder-lo. Come aperto rimane il dibattito sulla domanda senza risposta di Einstein: come mai una fisica è possibile?

Se rimaniamo al Seicento possiamo dire che Galileo, Keplero, Cartesio, Boyle, Newton hanno avuto idee diverse sul ruolo della simmetria nelle leggi di natura. Ma tutti si sono posti il problema esplicitamente o implicitamente. Tutti, in modi differenti, condividevano il fatto che un mondo creato non può che essere intellegibile.

La moderna fisica delle particelle ha acuito il problema della efficacia della mate-matica nella fisica94, dal momento che assume il requisito della simmetria come apriori euristico e metodologico … vincente! Dal 1905 in poi una legge scientifica può essere accettata solo se gode di invarianza rispetto ad un gruppo particolare di trasformazioni. Anzi la legge suprema sembra essere: ogni legge fisica deve essere covariante.

Ma qual è la valenza di realismo delle simmetrie nascoste, visto che non sono accessi-bili empiricamente, ma lo sono solo i fenomeni conseguenza della rottura della simme-tria nascosta? Da dove viene l’asimmetria degli stati se la struttura è simmetrica? Come è avvenuto ciò? Margaret Morrison si pone questi problemi nel cap. 21, Spontaneus symme-try, del libro citato di Brading e Castellani, al quale rimando.

Alle domande già formulate se ne aggiunge un’altra: una sola teoria fisica può tener conto di tutti i fenomeni? Ci sono due aspirazioni marcate nel sentire collettivo: l’aspi-razione ad una immagine del mondo unitaria e quella che porta, invece, a marcare le diversità o, addirittura le differenze95.

ll libro della natura è davvero un libro? Boyle, in Il cristiano “virtuoso”, è sicuro: “Il libro della natura è un grande e bell’arazzo arrotolato che non possiamo vedere tutto in una volta, ma dobbiamo accontentarci di attendere la scoperta della sua bellezza e della sua simmetria a poco a poco”96. Come Galileo, Keplero, Newton! Nel 1856 di fronte al “Club degli Apostoli” così Maxwell concludeva un discorso sull’analogia: Forse quello che è stato chiamato il “libro” della natura è impaginato perfettamente; se e così, senza dubbio le parti introduttive spiegheranno quelle che seguono, e i metodi insegnati nei primi capitoli potranno essere dati per scontati e usati come illustrazioni delle parti più avanzate del corso; ma se invece non è affatto un “libro” ma una rivista, non c’è niente di più assurdo del supporre che una parte getti luce sull’altra97. Anche Dyson si chiede se, dopotutto, è così necessario che ci sia una teoria che unifichi gravitazione e fisica quantistica. A suo avviso non sarebbe alla fine così scandaloso che ci siano due mondi separati “il mondo classico della gravitazione e il mondo quantistico degli atomi, descritti da due teorie separate. Le due teorie sono matematicamente diverse e non possono essere applicate simultaneamente. Dall’uso di entrambe le teorie non può derivare però alcuna contraddizione, in quanto qualsiasi differenza fra le due predizioni è fisicamente non rilevabile”98.

Tornando alle considerazioni di Wigner, saremmo allora di fronte a problemi e mi-steri; questi ultimi sembrano difficilmente gestibili da una qualunque teoria filosofica. Ma siamo di fronte a problemi e misteri che, anziché impoverire o indurre frustrazione,

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paradossalmente riconducono al senso della vita e della ricerca. È la conclusione delle considerazioni di Wigner nell’articolo citato: Il pieno significato della vita, il significato col-lettivo di tutti i desideri umani, è fondamentalmente un mistero al di là della nostra compren-sione. Da giovane mi irritavo per questo stato di cose. Ma ora mi sono rappacificato con esso. Provo anche un certo onore ad essere associato ad un tale mistero99.

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Note1 Brading K. e Castellani E., p.11.2 “Se si sottopone a verifica il significato che assume in ciascuno di essi per trovare delle corrispondenze, si deve concludere che ben diverso è il concetto di simmetria nel linguaggio ordinario, nell’arte, oppure in disci-pline come la fisica teorica, la cristallografia, la chimica, la biologia, la psicologia. L’originaria accezione della parola e del concetto si è tradotta in analogie sempre meno immediate, tanto da sembrare accantonata. Una ricerca più approfondita giustifica, invece, l’affermazione che l’unicità del primitivo significato non solo non sia andata perduta, ma si ritrovi arricchita. Nello stesso tempo anche la rottura delle simmetrie è divenuta oggetto di riflessione e di sperimentazione, quale evento creatore di novità. Nel mondo della natura vivente, si può dire che tutti gli animali, sia nella loro forma complessiva sia nei singoli organi, presentano simmetrie, peraltro non perfette” (M.A. Cappelletti), http://www.treccani.it/enciclopedia/simmetria_(Universo-del-Cor-po).3 De caelo, libro I, 271a 20.4 Come erroneamente riportato nella introduzione del libro già citato di Brading e Castellani alla nota 1.5 Timeo 31 C, 32 A, trad. a cura di G. Reale.6 cit. in A. Salam, nota 5.7 Brading e Castellani, p. 3.8 Nella musica barocca vengono utilizzate tutte le risorse della simmetria e della sua trasgressione. Fughe e canoni aumentati, diminuiti, invertiti, cancrizzanti, canoni con variazioni conservano tutta l’informazione contenuta nel tema originale, senza annoiare con una simmetria perfetta. L’Offerta musicale di Bach è, in tal senso, un capolavoro nel quale “molte idee e forme sono state intrecciate per formare un unico tessuto, e nella quale abbondano gioiosi doppi sensi e allusioni sottili” (Hofstadter, p. 10). Il video http://www.youtube.com/watch?v=Y0_DeHSTLHU illustra efficacemente tale intreccio di simmetrie.9 Brading e Castellani, p. 322.10 Curie, 1894.11 vedi http://www.dialoghi.cnr.it/news/simmetrie-attrazione-fatale.12 Una simmetria perfetta però anche provoca disagio. Occorre sempre che un elemento di rottura, anche nascosto, renda la simmetria più vicina alla vita. È riportato da molti autori e in diverse varianti l’idea che l’introduzione di elementi asimmetrici in arazzi o mosaici antichi sia stata fatta a bella posta per non suscitare l’ira degli dei. Thomas Mann, in un famoso passo della Montagna incantata, fa percepire al protagonista, perdutosi in una tormenta di neve qualcosa di mortale nella “gelida regolarità”, “ostile alla vita”, di ogni fiocco di neve, insieme alla gioia di inventare della natura, dal momento che ogni fiocco era diverso da un altro (Mann, p. 418).13 Pauli, pp. 60-61. Pauli, al termine del suo lavoro su Keplero, osservava (eravamo nel 1952) che gli scienziati avevano perso l’immagine unitaria del mondo e si chiedeva se era possibile recuperarla. La condizione per il recupero era però che le scienze naturali accettassero di essere solo una parte di tale immagine.14 Aristotele rappresenta un’altra corrente di pensiero ed un altro atteggiamento mentale. Preoccupato di sal-vare la specificità e la relativa autonomia dei livelli di realtà, Aristotele pensa che sia possibile salvare identità e cambiamento solo attraverso i concetti di sostanza e accidente, atto e potenza. Ma non mi occuperò qui di

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tale prospettiva che risulta vincente in altre regioni del pensare. Un altro illustre assente dal mio discorso è colui che Galileo chiama “il divino Archimede”. Senza la considerazione anche della tradizione aristotelica e di quella archimedea non è possibile comprendere il contesto della nascita della fisica moderna. Il De Coelo di Aristotele ha influenzato sia Galileo che Keplero.15 Metafisica, A, 3,983 b, 6-12,d’ora in poi citata nella traduzione introduzione e commento a cura di A. Reale.16 Metafisica, A, 4, 985b, 4-15.17 Metafisica, A, 5,985 b, 23 - 986, a, 12.18 Ferguson, p. 79.19 Lombardi, 2000, p. 69.20 Paolo Zellini fa notare che per G.B. Vico il termine astronomia stava a denotare sia una scienza sulle leggi astrali, sia il fatto che queste leggi erano espresse col canto, perché nòmos era appunto il canto. (Zellini, p. 62).21 ivi, p. 70.22 Opere, vol. II, p. 677.23 Koyré, 1966, p. 99.24 A. Reale in Platone, pp. 5-6.25 Proclo, un neoplatonico del V secolo (Costantinopoli, 8 febbraio 412 - Atene, 17 aprile 485), è direttamente citato da Keplero, che ne fu influenzato nella centralità che il Sole ha nella sua costruzione del mondo. La centralità del Sole come fonte di vita fu ripresa dai neoplatonici del quindicesimo secolo. Giorgio Gemisto Pletone, un filosofo bizantino che, giunto in Italia nel 1438 al seguito dell’imperatore bizantino Giovanni VIII, contribuì alla riscoperta di Platone nel Rinascimento, pensava di conciliare tutte le religioni nel culto del Sole. Proclo e gli umanisti successivi che abbracciarono la sua causa sono assai lontani dalle scienze fisiche. Keplero trasformò in un progetto di ricerca scientifica la centralità del Sole. 26 Sulla natura della matematica i Pitagorici e Platone non erano d’accordo. Per i Pitagorici la matematica era la scala che conduce alla Verità. Nel mondo di Platone non esistono vie facili, perché il sensibile rispecchia so-lo oscuramente il mondo delle idee. La matematica costituisce un mondo intermedio tra il sensibile e le idee, regola il mondo sensibile e partecipa al mondo delle idee. Ma per Platone se i numeri fossero idee eterne o no, a giudizio di K. Ferguson (cit. 156-7), rimase un problema che lasciò ai suoi allievi.27 vedi Rossi, 1971.28 Commenta Dijksterhuis (p. 27-28): “L’intero spirito del Timeo è diametralmente opposto a quel-lo dell’immagine del mondo degli Atomisti. Mentre nell’opinione di questi tanto la genesi dell’universo quanto gli eventi che hanno luogo in esso restavano soggetti al cieco caso, nel Timeo un Demiurgo benevolo e saggio trasforma il caos in un cosmo ordinato; mentre gli Atomisti consideravano la vita degli dèi e degli uomini come un caso speciale della universale mobilità degli atomi, Platone fa del mondo un essere vivente fornendo al corpo del mondo un’anima del mondo; mentre gli Atomisti non avevano alcuna risposta da dare ai problemi dell’esistenza dell’universo e del suo scopo, il Timeo spiega l’una e l’altra: la bontà del Demiurgo non poteva permettere il caos, e lo indusse a trasformare la caotica materia spaziale in un tutto armonioso ed equilibrato, che doveva essere quanto più possibile simile a Lui”.29 Timeo, a cura di Reale, p. 155.30 La specificazione che compare nel libro V degli Elementi di Euclide: “rispetto alla quantità” chiude la strada ai rapporti qualitativi.31 v. Berti, 2010, cap. II.32 Copernico, p. 17.33 ivi p. 35.34 ivi, p. 99.35 Sul significato di questo termine vedi Koyré, 1966, pp. 142-3, 14536 Sulla teoria degli aspetti vedi Lombardi, 2008, pp. 22 e seg.37 cit. in Bucciantini, p. 195.38 lettera a Matthias Hafenreffer, maggio 1506, cit. in Bucciantini, p. 1439 Koyré, 1966, p. 130-31.40 cit. in Koyré, 1966, p. 180.41 Koyré, 1966, p. 101.42 ivi, p. 101.43 Retico stette due anni a contatto di Copernico come suo allievo, e descrisse nella Narratio, pubblicata ano-nima nel 1540, quello che andava comprendendo degli studi del maestro.44 Bergia, p. 154.45 Sulla limitatezza dell’ingegno umano rispetto alla ricchezza della natura vedi l’apologo sul canto degli uc-celli, riportato nel Saggiatore al n. 23.46 Secondo M. Bucciantini Keplero fu convinto a percorrere strade diverse da quelle tradizionali da “ragioni essenzialmente teologiche” (Bucciantini, p. 8).47 Lombardi, 2000, p. 15.48 Koyré, 1966, p. 208.49 Da una parte aumentavano i dati sperimentali, dall’altra questi dati non erano in grado di generare una te-oria coerente. Erano a disposizione solo simmetrie, invarianze e leggi di conservazione per dare ordine ai dati.

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Sono stati principi di conservazione a reggere per ventisei anni l’ipotesi dell’esistenza del neutrino, senza che vi fosse una “evidenza” sperimentale fino agli esperimenti del 1956 di Reines e Cowan, che misero alla prova una reazione possibile (antineutrino elettronico + protone antielettrone + neutrone). v. Bergia, p. 116-19.50 A.M. Lombardi rileva che già nell’Ottica (stampata nel 1604, cioè lo stesso nel quale concluse la lotta con Marte) Keplero aveva dovuto rinunciare alle forme circolari. Per la messa a fuoco un cristallino a sezione non circolare è più efficiente nel ridurre l’aberrazione sferica. L’ottica lo stava abituando a rinunciare alle orbite circolari. La sua guida è: cercare cause fisiche e non solo geometriche e “mostrare il mondo non come una macchina animale ma come un orologio” (lettera a Herwart von Hohenburg del 10 febbraio 1605, cit. in Lom-bardi, 2000, p.50).51 Harmonices Mundi in Pauli, p. 93.52 ivi, p. 94.53 Rinunciando alla circolarità delle orbite si imbatterà in quella che è considerata la prima legge fisica: la legge delle aree, insieme a quella di Galileo sulla caduta dei gravi. Siamo nel 1604. Anche se per parlare di una vera e propria legge scientifica (“legge di natura”) bisognerà attendere Boyle o Newton. Vedi Dorato, cap. 1. Sulla evoluzione del concetto di forza in Keplero vedi Jammer, cap. V.54 “uno e molti”: Filebo, 15D, citato in Cassirer, p. 335.55 v. Koyré, p. 187.56 Considerato allora come nota di partenza delle scale musicali e indicato con la lettera gamma che indicava anche il punto di incrocio tra eclittica ed equatore celeste, origine del sistema di riferimento per calcolare la posizione degli astri nel cielo. V. Lombardi, p. 128, nota 60 .57 A.M. Lombardi, V. Di Donato, M. Vicentini hanno trasformato in musica e grafica il libro V dell’Harmoni-ces. http://www.youtube.com/watch?v=WihmsRinpQU58 Koyré, 1966, nota 16, p. 381.59 ivi p. 291.60 Harmonices, 1,V, cap. IX, cit. in Koyré, 1966, p. 291-2.Prima di concludere questo paragrafo occorre notare che la musica di cui stiamo parlando è puramente mentale, non udibile come nota A.M. Lombardi: Era viva da lungo tempo la polemica sulla possibilità o meno di ascoltare realmente la musica delle sfere. Per esempio, secondo Cicerone, che dedica spazio a questo problema nel Somnium Scipionis, la musica è davvero sonora, ma noi non la cogliamo più, per il fatto che la ascoltiamo sin dalla nascita. Egli la paragona al rumore prodotto dallo scorrere di un ruscello, che non è più avvertito da chi vive da sempre sulle sue rive. Nell’Harmonices Keplero sostiene che si tratta di una «musica razionale, non vocale» (Lombardi, 2008, p.210, nota 61). Ma, anche nel caso in cui la musica delle sfere fosse sonora, noi non potremmo udirla a causa del vuoto esistente tra Terra e pianeti, il quale impedirebbe appunto la trasmissione delle onde sonore.61 Koestler, p. 382.62 Si potrebbe dire che le teorie di Keplero rispettano i canoni popperiani per una teoria scientifica. Sono falsi-ficabili!63 Tutte le citazioni si trovano in Rossi, 1997, p. 196-7. La distinzione tra le origini, opera del Creatore, e lo svolgimento successivo meccanico delle leggi di natura sarà la strategia attraverso la quale gli atomisti cristia-ni del secolo XVII cercheranno di distinguersi dalle filosofie atee di Democrito e Lucrezio. Ma tale strategia richiede un deciso abbandono di ipotesi che anche vagamente richiamino il caso di Epicuro e Lucrezio. Per Cartesio tutte le combinazioni di corpuscoli sono a priori possibili. Anzi la natura le assume tutte in successio-ne necessaria fino a quella attuale. La quantità di moto iniziale è data da Dio come dote all’universo ed è del tutto indifferenziata, simmetrica; la materia prova tutte le rotture di simmetria possibili, fino ad stabilizzarsi su quella attuale. Per Leibniz tale modo di investigare può dare qualche risultato, ma alla fine è sterile, perché senza conoscenza della causa finale non si può comprendere nulla. Inoltre errore “memorabile” secondo Leib-niz di Cartesio - Brevis demonstratio erroris memorabilis Cartesii, 1686 - è avere considerata come quantità che si conserva la quantità di moto (concepita scalarmente) e non la vis viva.64 Rossi, 1997, p. 198.65 v. Koyré, 1973.66 Galileo è così attratto dal moto circolare uniforme da pensare, nel Dialogo, alla fine della seconda giornata, che esso sia il moto proprio dei corpi naturali e delle parti degli animali, compreso l (Galileo, vol. II, p. 319). Una suggestione simile si trova in Aristotele che si pone una domanda alla quale risponde citando Archita di Taranto: “Perché le parti delle piante e degli animali, che non compiono una funzione organica, sono tutte arrotondate, delle piante il tronco e i rami, degli animali le gambe, lo cosce, le braccia, il torace; e invece, né il corpo intero, né alcuna singola parte è a forma di triangolo o di poligono? Forse perché, come diceva Archita, nel moto naturale è insito il rapporto di parità (ché tutto si muove secondo rapporto), e questo rapporto è il solo che ritorna su se stesso, cosicché, quando ha luogo, crea cerchi e superfici rotonde?” (DK, 47 A 23a, cit. in Timpanaro, p. 347; vedi anche Ferguson, p. 139). È interessante notare come l’ipotesi di Galileo abbia un riscontro nell’analisi fatta con metodi digitali del moto degli animali. Il trotto e il galoppo di un cavallo, la corsa di un ghepardo, la camminata di uno scarafaggio sono perfettamente cicliche. È come se più oscillatori neuronici comandassero il moto. Alla fine di ogni ciclo, a parte la traslazione, la stato dell’animale è identico. Il moto è comandato dalla sovrapposizione di oscillazioni armoniche; che si tratti di un bipede o di un cento piedi. Queste considerazioni hanno una immediata applicazione nella costruzione di robot. (Vedi Stewart, 2003, cap. 11).

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67 Opere, vol. I, p. 630.68 v. lettera a Federico Cesi, 1612.69 Insieme alla “distruzione del cosmo” costituisce, secondo Koyré, il nocciolo della rivoluzione spirituale del XVI secolo (Koyré, 1973, p. 142).70 Per Leucippo e Democrito il moto naturale è quello rettilineo. Ma la loro cosmogenesi è ugualmente fonda-ta sulla simmetria sferica; non per motivi ideali, ma come necessaria conseguenza del gioco del moto casuale e degli urti degli atomi; vedi F. Enriques, M. Mazziotti, p. 81-2.71 Nella prima giornata del Dialogo Galileo sembra avere dell’inerzia una comprensione solo circolare. Però, nella seconda giornata, quando tratta della possibilità di estrusione dei corpi terrestri per la “vertigine” della Terra, si rende conto che un corpo lanciato prosegue in linea retta. Se non lo fa è perché la tendenza di ogni grave ad unirsi col simile (ancora Aristotele) prevale sulla estrusione. Seguire le sue incertezze significa com-prendere come, per un mondo che si dissolveva, non ce ne fosse un altro già pronto.72 Galileo, vol. II, p. 50.73 Sul ruolo mitico del cerchio nella tradizione filosofica antica vedi Zellini, cap.5. Cerchi e moto circolare uniforme, cacciati dai cieli, si ritrovano ovunque. Basta pensare alla invadenza di p e alle serie di Fourier. Sulla presenza di p nei campi più disparati delle scienze sperimentali vedi l’inizio dell’articolo di Wigner, cit. in bibliografia.74 Galileo, vol. II, p. 174.75 ivi, p. 498.76 Bucciantini, pp. 210-12; Mamiani, p. 97.77 Nella prima giornata dei Discorsi Galileo si interroga sulla invarianza di scala e nota che aumentare o dimi-nuire le dimensioni non è indifferente per quanto riguarda la resistenza dei materiali, perché la gravità rompe la simmetria legata alle trasformazioni simili nello spazio euclideo.78 Galileo, vol. II, p. 291.79 v. S. Drake, 2009, p. 243. S. Drake, contesta le posizioni di A. Koyré circa il ruolo della filosofia nella nascita della scienza moderna. La sua è un’autentica campagna antifilosofica che a volte gli fa negare l’evidenza. Il libro citato viene chiuso, a p. 247, dalla affermazione che Dirac premetteva alle sue lezioni: “È assunta l’esi-stenza di un mondo esterno. Questa è tutta la metafisica di cui avrete bisogno in questo corso”. Ma non è possibile comprendere né Galileo, né Keplero senza riferimento alle loro concezioni filosofiche e teologiche.80 Panofsky, 1978.81 ivi, p. 86.82 ivi, p. 9483 ivi, p. 94.84 Galileo, vol. II, p. 47.85 Bucciantini, p. 110.86 Vedi sui calcoli di Galileo Bucciantini, cap. V87 Galileo, vol. II, p. 787.88 Bucciantini, p. 116. Bucciantini polemizza qui con S. Drake, il quale sostiene che gli interessi cosmologici di Galileo e quelli cinematici appartengono a periodi diversi. Per Bucciantini essi invece, nel periodo padova-no, hanno sempre camminato insieme.89 Anche per I. Newton i raggi delle orbite sono arbitrari. I pianeti avrebbero, per giunta, potuto muoversi in sensi contrari. Vi è allora un disegno che ha imposto al Sole, ai pianeti, alle comete la loro disposizione. Vedi Newton, Opticks, Questione 31, aggiunta nell’edizione del 171790 “Il Modello Standard contempla un certo numero di parametri arbitrari (circa venti), e allo stato attuale delle conoscenze, la teoria sarebbe matematicamente consistente con qualsiasi valore di questi parametri, al-meno entro limiti piuttosto ampi. Alcuni di questi parametri determinano, in modo continuo, il modo in cui le simmetrie del Modello Standard sono rotte. Ognuna di queste realizzazioni darebbe vita ad Universi diversi, egualmente consistenti, con una vasta gamma di proprietà fisiche e con diversi modi di evoluzione.” (Maiani in Battimelli, p. 57).91 Zee, p. 228.92 Dorato, p. 69.93 Lolli, 2002.94 Occorre sottolineare “nella fisica”, perché in molte altre scienze naturali la matematica può solo offrire aiuti collaterali. Il premio Nobel per la fisica R. Laughlin sottolinea la indeducibilità dei principi di organizza-zione di fenomeni e organismi complessi dalle leggi della fisica delle particelle elementari. A suo giudizio la frase classica: “l’intero è qualcosa più delle sue parti” non deve essere pensata come una teoria ma come un fenomeno fisico (Laughlin, XVII). È il punto di vista di Aristotele!95 Sono, di nuovo, Platone e Aristotele che si fronteggiano. Da una parte l’aspirazione a ricondurre tutto ad una matrice comune: l’Uno. Dall’altra la individuazione della autonomia degli esseri, della loro irriducibile di-versità, della loro non deducibilità da una base di riduzione. Riduzionismo e antiriduzionismo, attenzione alle parti e al tutto, atomismo e individuazione della sostanza, intesa in senso aristotelico, come cosa cui attribuire l’esistenza. Tra i fisici possiamo ritrovare ambedue le tendenze, anche se prevale una filosofia riduzionista. Ve-di su questo il contributo di M. Pauri, nel volume collettaneo Filosofia della fisica (a cura di Boniolo e Vidali), Bruno Mondadori, Milano, 1997.

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96 Boyle, p. 266.97 cit. in Peruzzi, p. 9.98 Dyson, 2009, p. 171. Contro il mito dell’unitarietà, conquistata, attraverso le simmetrie ha scritto un intero libro (Gleiser, 2011) il fisico brasiliano Marcelo Gleiser. Gleiser inizia il suo percorso proprio con un congedo dalle istanze di Keplero.99 Wigner, 1960.