SILVANO DELL'ATHOS NON DISPERARE! Scritti inediti e vita EDIZIONI QIQAJON 1994 COMUNITÀ DI BOSE PREFAZIONE "Con profonda gioia, finalmente, dopo un lungo lavoro, offriamo al lettore italiano la possibilità di conoscere Silvano dell'Athos, un santo senza frontiere, un mistico della chiesa universale ed eterna, un uomo diventato, da peccatore qual era, pura preghiera, audace intercessione per tutti gli uomini e tutte le creature, un monaco testimone dell'Amore assoluto di Dio". Così scrivevo più di 15 anni or sono, presentando l'edizione italiana degli scritti di Silvano a 40 anni dalla sua morte (1). Allora Silvano cominciava appena a essere conosciuto in alcuni ambienti legati all'emigrazione ortodossa russa in Europa occidentale, grazie soprattutto all'infaticabile opera di divulgazione del suo discepolo, l'archimandrita Sofronio. Ma i suoi scritti non avevano ancora quella risonanza ecumenica, universale che sono venuti man mano ad assumere: perfino nel suo stesso monastero di San Panteleimon all'Athos - allora nel momento più travagliato della crisi successiva alla perdita di contatti con la Russia divenuta sovietica - la memoria di Silvano era custodita con una discrezione tale da rasentare l'oblìo. Da allora il quadro sociopolitico e anche quello religioso ed ecumenico sono profondamente cambiati: non solo in Russia e in Europa orientale, ma anche all'Athos stesso e in occidente. E questo ha reso possibile che dagli scritti di Silvano emergesse in tutta la sua forza quanto essi già contenevano: t(n autentico messaggio di speranza per ogni uomo. E un volto d'uomo che è apparso poco alla volta da quelle dense pagine, ma un volto dai lineamenti ben precisi, i lineamenti di un santo somigliantissimo al suo Signore, "mite e umile di cuore". La santità di Silvano, percepita da più parti e con sempre maggior consapevolezza nell'ecumene cristiana, è stata infine proclamata dalla chiesa con l'Atto di canonizzazione del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, da cui dipendono i monasteri dell'Athos. La "canonizzazione" infatti consiste proprio in questo: rendere "canone", cioè norma, vincolante per l'insieme della chiesa, un'attestazione di santità che singoli credenti o comunità locali già attribuivano a un discepolo di Cristo. Il clima di maggior apertura e di più facili contatti e scambi ha reso possibile anche l'apparire di testi di Silvano finora sconosciuti. Abbiamo voluto offrirli al pubblico italiano per rendere possibile una conoscenza sempre più profonda di questa figura di ''fratello universale". Li abbiamo accompagnati con la nuova traduzione di altri
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SILVANO DELL'ATHOS NON DISPERARE! - famiglie … · e non disperare mai dell'amore di Dio. Se pensi di andare all'inferno sappi che anche là potrai sempre cantare l'amore di Dio.
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SILVANO DELL'ATHOS
NON DISPERARE!
Scritti inediti e vita
EDIZIONI QIQAJON 1994
COMUNITÀ DI BOSE
PREFAZIONE
"Con profonda gioia, finalmente, dopo un lungo lavoro, offriamo al lettore italiano la possibilità di conoscere Silvano dell'Athos, un santo senza frontiere, un mistico della chiesa universale ed eterna, un uomo diventato, da peccatore qual era, pura
preghiera, audace intercessione per tutti gli uomini e tutte le creature, un monaco testimone dell'Amore assoluto di Dio". Così scrivevo più di 15 anni or sono, presentando l'edizione italiana degli scritti di Silvano a 40 anni dalla sua morte (1).
Allora Silvano cominciava appena a essere conosciuto in alcuni ambienti legati all'emigrazione ortodossa russa in Europa occidentale, grazie soprattutto all'infaticabile opera di divulgazione del suo discepolo, l'archimandrita Sofronio. Ma i suoi scritti non avevano ancora quella risonanza ecumenica, universale che sono venuti man mano ad assumere: perfino nel suo stesso monastero di San Panteleimon all'Athos - allora nel momento più travagliato della crisi successiva alla perdita di contatti con la Russia divenuta sovietica - la memoria di Silvano era custodita con una discrezione tale da rasentare l'oblìo.
Da allora il quadro sociopolitico e anche quello religioso ed ecumenico sono profondamente cambiati: non solo in Russia e in Europa orientale, ma anche all'Athos stesso e in occidente. E questo ha reso possibile che dagli scritti di Silvano emergesse in tutta la sua forza quanto essi già contenevano: t(n autentico messaggio di speranza per ogni uomo. E un volto d'uomo che è apparso poco alla volta da quelle dense pagine, ma un volto dai lineamenti ben precisi, i lineamenti di
un santo somigliantissimo al suo Signore, "mite e umile di cuore".
La santità di Silvano, percepita da più parti e con sempre maggior consapevolezza nell'ecumene cristiana, è stata infine proclamata dalla chiesa con l'Atto di canonizzazione del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, da cui dipendono i monasteri dell'Athos. La "canonizzazione" infatti consiste proprio in questo: rendere "canone", cioè norma, vincolante per l'insieme della chiesa, un'attestazione di santità che singoli credenti o comunità locali già attribuivano a un discepolo di
Cristo.
Il clima di maggior apertura e di più facili contatti e scambi ha reso possibile anche l'apparire di testi di Silvano finora sconosciuti. Abbiamo voluto offrirli al pubblico italiano per rendere possibile una conoscenza sempre più profonda di questa figura di ''fratello universale". Li abbiamo accompagnati con la nuova traduzione di altri
testi significativi di Silvano, contemporanei agli inediti, cioè risalenti agli ultimi anni
e mesi di vita dello starec.
Pur nell'estrema varietà dei generi letterari - si va dalle lettere, a brevi appunti, a
veri e propri poemi, come lo stupendo "Le lacrime di Adamo"
ritorna con impressionante continuità l'incessante preghiera di Silvano: "Che io impari l'umiltà di Cristo, senza la quale perdiamo la grazia dello Spirito santo". Se è vero che "la bocca parla dalla pienezza del cuore" (Mt 12,34), nelle Lettere troviamo ciò che arde nel profondo del cuore di Silvano: il desiderio di acquisire lo Spirito santo e la consapevolezza che solo l'umiltà di Cristo può ottenercelo come dono. "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste
cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai
piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te ... Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime. Il mio giogo infatti. è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11,25-26.28-30). Questo brano evangelico pare sotteso a ogni riga degli scritti di Silvano e, soprattutto, pare presente alla sua mente in ogni istante della sua vita.
Una vita semplice, fatta di lavoro - umile e faticoso - e di preghiera intensa; lavoro e preghiera che trovano una sintesi o, meglio, il loro humus vitale in una grande compassione per tutti gli uomini, in un'opera incessante di invito al pentimento e di annuncio della salvezza che viene dal Signore. Le parole di Silvano sgorgano dal suo cuore come fiumi di acqua viva perché nascono dalla sua estrema docilità allo Spirito e dalla sua grande familiarità con la Scrittura e con i testi della liturgia. Certo, Silvano non cita la Bibbia nel modo che è proprio di noi occidentali, ma un orecchio che abbia qualche consuetudine con la parola di Dio ritroverà in questi scritti un'infinità di citazioni, di allusioni, di rimandi, di echi dell'unica Parola che salva, il Verbo fatto carne. Qua e là ci siamo permessi di indicare tra parentesi le più evidenti citazioni dell'Antico e del Nuovo Testamento, per lasciar intravvedere alcuni sprazzi di questa profonda compenetrazione della parola del Signore nel
cuore di Silvano.
Ma è soprattutto il messaggio centrale della Scrittura che è diventato messaggio rivolto a Silvano e da questi annunciato a tutti gli uomini: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito ... perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (Gv 3,16-17). Questa parola di consolazione Silvano l'ha udita nelle sue tenebre di disperazione, nel suo sapersi peccatore, nel suo sentirsi sprofondato negli inferi. E questa parola di consolazione Silvano l'ha ripetuta a ogni uomo e la ripete anche a noi oggi: "Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi" (1Gv 1,3). "Silvano, tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!". Uomo, fratello mio - chiunque tu sia, per quanto grande sia il tuo peccato, per quanto oscura sia la tua tenebra - tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!
Fratello, se vedi il tuo peccato sei più grande di chi risuscita i morti! Quando guardi gli uomini, di' nel tuo cuore: tutti saranno salvati, io solo sarò dannato.
Se pensi all'inferno, credi che esso esiste ma solo per te che sei peccatore. Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare mai dell'amore di Dio.
Se pensi di andare all'inferno sappi che anche là potrai sempre cantare l'amore di Dio. Se il tuo Signore è asceso in alto egli è pure disceso in basso, agli inferi. Se il tuo Signore ha preso l'ultimo posto tu non potrai mai rubarglielo. Se scenderai agli inferi, troverai il Signore se salirai nei cieli, egli ti attende. Da quel giorno, da quell'alba pasquale il Tabor e il Golgota sono un unico monte!
Enzo Bianchi, priore di Bose
corrispondente per l'Italia Association Internationale Saint Silouane l'Athonite
Monastero di Bose, 30 marzo 1994
memoria di san Giovanni Climaco per la chiesa ortodossa
(1) Archimandrita Sofronio, Silvano del Monte Athos. Vita, dottrina, scritti, Torino
1978, p. 7.
VITA DI SAN SILVANO
narrata dal suo discepolo, l'archimandrita Sofronio
Lo Spirito santo, che santifica e vivifica la chiesa in ogni tempo, suscita in ogni epoca
dei santi che saranno, qualche generazione più tardi, i modelli e gli intercessori proposti
ai fedeli per aiutarli a seguire Cristo sulla via dei comandamenti. Avviene così che
coloro che si lasciano modellare dallo Spirito sono sempre in anticipo rispetto alla loro
epoca e questo spiega, molto spesso, il fatto che la loro santità non sia conosciuta dalla
maggior parte dei contemporanei.
Tutta la vita dello starec Silvano si è svolta nel segno dell' attenzione al soffio dello
Spirito santo e del compimento dei comandamenti di Dio. Ecco perché questo semplice
contadino russo, divenuto monaco sulla Santa Montagna dell'Athos, ci è consegnato oggi
dalla chiesa quale "apostolico e profetico maestro". Se la sua testimonianza ha già
salvato migliaia di persone dalla disperazione, nessun dubbio che la sua intercessione ne
condurrà altre migliaia a fare l'esperienza della misericordia. È la benevolenza divina,
infatti, a volere che sia onorato questo suo servo, la cui vita e i cui scritti rendono gloria
a Dio e sono un esempio per gli uomini di oggi.
Un semplice contadino russo
Simeone, figlio di Ivan Antonov, contadino della provincia di Tambov, nasce nel 1866
nel villaggio di Chovsk. La famiglia è numerosa: oltre al padre e alla madre essa
comprende cinque figli e due figlie. E una famiglia semplice e profondamente religiosa.
Il padre è analfabeta, ma una fede profonda ne rischiara l'intera vita. Così dirà di lui
Silvano:
Da mio padre ho imparato a non affliggermi per la perdita dei beni materiali e a
confidare sempre nel Signore. Quando in casa sopraggiungeva una contrarietà, il suo
cuore non si turbava. Dopo un incendio che gli aveva distrutto ogni cosa, non si disperò,
ma ripeteva con fiducia: "Il Signore farà in modo che tutto si rimetta a posto". Una volta
passavamo vicino al nostro campo e io gli dissi: "Guarda, ci rubano il raccolto!". Ma egli
mi rispose: "Figlio mio, il Signore non ci ha mai fatto mancare il pane. Se quell'uomo
ruba è perché ne ha bisogno". Un' altra volta gli dissi: "Tu fai sempre elemosine, ma
altri, più ricchi di noi, danno molto meno". Ma egli rispose: "Figlio mio, il Signore ci dà
il necessario.
Come molti contadini del suo paese ama offrire ospitalità ai mercanti, ai viandanti, e
soprattutto ai pellegrini che percorrono l'immenso territorio russo. Così, un giorno di
festa, invita a casa sua un venditore ambulante di libri nella speranza di imparare
qualcosa di nuovo. Il piccolo Simeone non ha ancora quattro anni, però segue la
conversazione con attenzione. L'ospite, a cui è stato offerto del tè e qualcosa da
mangiare, cerca di provare che Cristo non è Dio, e addirittura che Dio non esiste. Il
bambino resta colpito, in particolare, da queste parole: "Dov'è dunque questo Dio?", e
pensa: "Quando sarò grande andrò a cercare Dio per tutta la terra". Poi, una volta che
1'ospite è partito, dice a suo padre: "Tu mi insegni a pregare, ma quell'uomo dice che
Dio non esiste!". Il padre tenta di replicare: "Pensavo che fosse un uomo intelligente, ma
vedo ora che è uno sciocco. Non badare a ciò che ha detto"; ma ormai le parole del
mercante hanno insinuato il dubbio nel cuore del bambino.
Passano gli anni e Simeone diventa un giovanotto alto e vigoroso. Ha diciannove anni
quando, in una maniera semplicissima, trova la risposta al dubbio che gli è rimasto così a
lungo annidato nel profondo del cuore. Sta lavorando insieme con un fratello come
carpentiere ad alcune costruzioni nella proprietà del principe Trubetzkoj, non lontano dal
paese. La cuoca del cantiere ritorna da un pellegrinaggio fatto alla tomba di un celebre
asceta e racconta la vita santa di quel recluso e i miracoli che hanno avuto luogo sulla
sua tomba. Le sue parole vengono confermate da alcuni anziani lì presenti e tutti sono
d'accordo nel dire che Giovanni era un santo. Allora Simeone pensa: "Se è santo,
significa che Dio è con noi, e allora io non ho bisogno di percorrere tutta la terra per
trovarlo".
Ed ecco che a questo pensiero il suo giovane cuore si infiamma di amore per Dio.
Simeone ha trovato la fede. Pensa incessantemente a Dio e prega molto versando
lacrime. Avverte in sé un cambiamento interiore e si sente attratto dalla vita monastica.
Ma suo padre gli nega il permesso di recarsi al monastero delle Grotte a Kiev: "Fai
prima il servizio militare, poi sarai libero di andarci". Quello straordinario stato
spirituale dura tre mesi, dopodiché Simeone si rimette a vivere come tutti gli altri
giovani del paese: esce con le ragazze, suona la fisarmonica, beve vodka... Anche se
tutto il villaggio ammira questo bel giovane dal carattere amabile che semina la gioia
attorno a sé, egli è ancora ben lontano dall'essere un santo!
Simeone si innamora di una ragazza e, prima ancora che si arrivi a parlare di
matrimonio, una sera succede tra loro ciò che spesso succede. L'indomani, sul lavoro, il
padre gli dice con dolcezza: "Dov'eri, piccolo mio, ieri sera? Il mio cuore era
addolorato". Quelle parole dolci penetrano nell' anima di Simeone. Un' altra volta,
mentre i! padre lavora nei campi insieme con i figli più grandi, tocca a Simeone
preparare da mangiare; ma, dimenticando che è un venerdì, questi prepara un piatto di
carne di maiale. Tutti mangiano senza dir niente. Sei mesi dopo - si è giàin inverno - un
giorno di festa i! padre, sorridendo con dolcezza, gli dice: "Piccolo mio, ti ricordi come
ci hai dato da mangiare carne di maiale un giorno che eravamo nei campi? Eppure era un
venerdì. Sai, l'ho mangiata come se fosse una carogna". "Perché non mi hai detto niente,
allora?". "Non volevo ferirti, piccolo mio".
Più tardi, divenuto monaco, egli riconoscerà: "Non sono arrivato alla statura di mio
padre. Era un uomo completamente analfabeta. Anche quando recitava i! Padre Nostro -
l'aveva imparato a forza di sentirlo in chiesa - ne pronunciava certe parole in modo
maldestro. Ma era un uomo pieno di dolcezza e di sapienza". E ancora: "Ecco uno starec
come vorrei averlo io. Non andava mai in collera, non aveva mai alti e bassi, era sempre
dolce. Pensate: pazientò sei mesi, attendendo i! momento adatto per correggermi senza
ferirmi".
Già a quest' epoca egli è dotato di quella robustezza e di quella straordinaria forza fisica
che gli permetteranno di compiere certe ascesi fuori del comune sia per qualità che per
quantità.
Questa forza fisica, tuttavia, sarà la causa del suo più grave peccato, per il quale farà una
grande penitenza. E il pomeriggio della festa parrocchiale del paese. Tutti i paesani sono
usciti dalle loro case, in un' atmosfera gioiosa. Simeone passeggia per la strada con un
compagno e suona la fisarmonica. Vengono loro incontro due fratelli, i calzolai del
paese, di cui il maggiore, un tipo grande, forte e attaccabrighe, è un po' sbronzo. Giunto
alla loro altezza, costui tenta di impadronirsi della fisarmonica, ma Simeone riesce a
passarla all'amico e invita il calzolaio a "continuare per la sua strada". Ma questi,
volendo indubbiamente far la figura del più forte dinanzi a tutto il paese (infatti le
ragazze già cominciano a ridere), avanza verso Simeone con tono minaccioso. Simeone
è propenso a cedere, poi d'un tratto è preso dalla vergogna al pensiero che le ragazze lo
prenderanno in giro e colpisce con violenza il suo antagonista al petto. Il calzolaio viene
scagliato lontano e cade pesantemente sulla schiena in mezzo alla strada. Sangue e bava
gli colano dalla bocca. Tutti sono presi dallo spavento, soprattutto Simeone che pensa:
"L'ho ucciso!". E resta là, immobile. Il fratello del ferito raccoglie una grossa pietra e la
lancia con forza,
ma Simeone si gira con prontezza e la pietra lo colpisce alla schiena. Allora si volta e
dice: "Che cerchi? Vuoi anche tu la tua parte?". E si dirige verso di lui, ma l'altro fugge
via. La gente accorre e si prende cura del ferito che resta riverso sulla strada. Dopo
mezz'ora riesce a rialzarsi e, a fatica, è riportato a casa: ne avrà per due mesi, ma
fortunatamente rimarrà in vita. Quanto a Simeone, dovrà stare a lungo in guardia: i
fratelli e gli amici del calzolaio lo aspettano al varco, la sera, nelle viuzze, armati di
randelli e pugnali. Ma, dirà, "Dio mi ha custodito".
Come spesso avviene, la prima chiamata di Dio alla vita monastica si sta affievolendo
nell'anima di Simeone. Il Signore allora lo chiama di nuovo mediante una visione. Dopo
un certo periodo trascorso nell'impurità, mentre se ne sta assopito in un sonno leggero
vede un serpente insinuarglisi in bocca e penetrargli nel corpo. Si risveglia in preda a un
violento disgusto e subito ode una voce di straordinaria bellezza e dolcezza: "Hai
ingoiato un serpente in sogno, e questo ti ripugna. Allo stesso modo, neppure a me piace
vedere quello che tu fai" . Fortemente scosso, Simeone ha subito la profonda
convinzione che quella sia la voce della santa Vergine. Fino alla fine dei suoi giorni egli
renderà grazie alla Madre di Dio per essersi degnata di visi tarlo e di rialzarlo dalla
caduta. "Ora ho visto quanto il Signore e la Madre di Dio hanno pietà degli uomini".
Questa seconda chiamata, che è intervenuta poco prima dell'inizio del servizio militare,
ha un'importanza decisiva nella scelta della via che ormai sta per intraprendere. La sua
vita, che aveva preso una brutta piega, conosce a questo punto un mutamento radicale.
Simeone prova una profonda vergogna per il proprio passato e inizia un cammino di
pentimento pieno di ardore. Un senso acuto del peccato si risveglia in lui. Cambiano
anche i suoi rapporti e le sue conversazioni con gli altri. Un giorno di festa chiede a un
uomo che sta danzando e suonando la fisarmonica: "Ma come puoi, Stefano, suonare e
danzare, quando hai ucciso un uomo?" (Era successo durante una rissa tra ubriachi).
Quell'uomo trascina Simeone in disparte e gli dice: "Vedi, quand' ero in prigione, ho
molto pregato Dio perché mi perdonasse. Ed ecco, un giorno il letto su cui mi trovavo in
ginocchio, con la testa sprofondata nel cuscino, si mise a tremare, e il mio cuore provò
una grande gioia. Capii allora che Dio mi aveva perdonato. Ecco perché ora suono, con
l'anima in pace". E Simeone, che non molto tempo prima è stato sul punto di uccidere un
uomo, capisce che si può chiedere a Dio il perdono dei peccati. E capisce anche la pace
dell'anima di colui cui è stato perdonato.
Un'altra volta, a forza di far opera di persuasione, riesce a convincere un giovane, che
non ci pensava minimamente, a sposare la ragazza che ha reso incinta. Ma perché, allora,
a sua volta non sposa la ragazza che ha amato (ma che non è rimasta incinta)? Il fatto è
che egli prega intensamente Dio di permettergli di realizzare con l'anima in pace il suo
desiderio di vita monastica. Ed ecco che, mentre Simeone sta facendo il servizio
militare, un commerciante di granaglie si innamora della bella giovane e la sposa.
Simeone ringrazia Dio con fervore per aver dato ascolto alle sue preghiere, ma non
dimenticherà mai più il proprio sbaglio.
Simeone viene assegnato al battaglione del genio della guardia imperiale. E un soldato
coscienzioso, dal carattere dolce, irreprensibile nella condotta, molto stimato da tutti. In
questo tempo la sua fede si accresce: egli coltiva il pentimento e custodisce
incessantemente il ricordo di Dio in ogni circostanza. Un giorno -la vigilia di una festa -
egli si trova in città insieme con tre compagni, in un grande ristorante popolare allietato
da luci e musiche. Gli altri mangiano, bevono, conversano allegramente; ma Simeone è
silenzioso. Uno di loro gli chiede: "Ma a cosa pensi?". "Penso che in questo momento
noi siamo comodamente seduti qui, in questo ristorante, e mangiamo, beviamo vodka,
ascoltiamo musica e cidivertiamo, mentre a quest'ora al Monte Athosl si celebrano le
vigilie e i monaci pregheranno tutta la notte. Ebbene, chi di noi, al giudizio finale, darà
una risposta migliore, loro o noi?". Allora un altro dice: "Che tipo, questo Simeone!
Siamo qua che ascoltiamo musica e ci divertiamo, e lui è con la mente al Monte Athos e
al giudizio finale...". Le parole di quel soldato possono dare un'idea di quello che è stato
il periodo del servizio militare di Simeone. Davvero egli pensa molto alla Santa
Montagna.
A quest' epoca mostra già una grande saggezza e gli capita di dare consigli pieni di
sapienza ai propri compagni; ha compreso, in effetti, che la condizione indispensabile
per la pace fra gli uomini è il riconoscimento, da parte di ciascuno, dei propri errori.
Quando sta per giungere alla fine del servizio militare, si reca insieme con il segretario
della sua compagnia dal padre Ivan di Cronstadt per chiedere le sue preghiere e la sua
benedizione. Già ha avuto modo di vedere quel santo arciprete durante la divina liturgia:
è fortemente colpito dalla potenza della sua preghiera e dal suo modo di celebrare.
Scriverà di lui: "Il suo aspetto era quello d'un uomo ordinario, ma la grazia divina
conferiva al suo volto uno splendore simile a quello di un angelo, e si era presi dal
desiderio di guardarlo". Quando il padre I van esce dalla chiesa, la folla gli si stringe
attorno e ciascuno vuole ricevere la sua benedizione. "Anche in una tale ressa la sua
anima dimorava incessantemente in Dio: pur in mezzo a una folla simile, la sua
attenzione non conosceva la dispersione... perché egli amava gli uomini e non cessava di
pregare per loro".
Ma quel giorno essi non trovano il padre I vano E mentre il segretario gli scrive una
lunga lettera in uno stile ricercato, Simeone gli lascia solamente queste poche parole:
"Padre, voglio diventare monaco. Pregate perché il mondo non mi trattenga.
A partire dal giorno in cui il padre Ivan ha pregato per lui, "le fiamme dell'inferno non
cessano di crepitare" attorno a Simeone, ovunque egli sia, ma in modo particolare in
chiesa.
Terminato il servizio militare, egli realizza il suo desiderio e nell'autunno del 1892
giunge al Monte Athos.
Al Monte Athos alla sequela di Cristo
La Santa Montagna (Aghion Oros) è la più orientale delle tre propaggini che formano la
penisola calcidica, a nord della Grecia. Lunga 45 km per una larghezza compresa fra gli
8 e i 12 km, la penisola culmina con il monte Athos a 2033 m. Da più di mille anni essa
è il "giardino della Madre di Dio", il santuario del monachesimo, la roccaforte dell'
ortodossia.
È stata devastata, saccheggiata, conquistata a più riprese; la vita monastica vi ha
conosciuto alti e bassi, ma, sempre, la tradizione vi si è mantenuta. Simeone vi arriva in
un momento di grande splendore. I monaci provengono da tutte le nazioni ortodosse e
sono parecchie migliaia, ripartiti nei venti grandi monasteri e nelle centinaia di loro
dipendenze, skiti, kalive, celle, grotte... C'è un fiorire di tutte le forme della vita
monastica. San Panteleimon, il monastero dei russi (o Russikon) che accoglie Simeone, è
una comunità cenobitica che conta in quel momento due mila monaci su una
popolazione di circa novemila persone: molti operai e innumerevoli pellegrini che
affluiscono incessantemente dalla Russia dopo essersi imbarcati a Odessa.
Subito dopo il suo arrivo, il giovane postulante fa alcuni giorni di ritiro, al fine di
riportare alla memoria tutti i peccati commessi, annotarli e poi confessarli. Gli arde nell'
anima un bruciante pentimento: fa una confessione sincera, senza nessun tentativo di
autogiustificazione. Il padre confessore gli dice: "Hai confessato i tuoi peccati dinanzi a
Dio: sappi che ti sono perdonati tutti... Inizia, da questo momento, una vita nuova... Va'
in pace e sii nella gioia, perché il Signore ti ha condotto in questo porto di salvezza" .
La sua anima semplice e fiduciosa si abbandona alla gioia, ma la tensione interiore
finisce per allentarsi. Lo assalgono allora le tentazioni della carne e con esse i pensieri
che gli suggeriscono di ritornare nel mondo e di sposarsi. A vendo perduto così presto lo
slancio iniziale, prova un grande timore: sperimenta in sé tutta la potenza del peccato che
lo allontana da Dio, anche in quel luogo santificato dove pensava di essere approdato
come in un porto di salvezza. Anche là ci si può perdere! Egli manifesta allora un grande
pentimento e, pur del tutto inesperto com'è ancora, intraprende una dura lotta ascetica
(1).
Viene assegnato al mulino. Tutto il giorno lavora con energia a trasportare sacchi di
farina, e la notte resta in preghiera, sforzandosi di dormire il meno possibile.
La vita sulla Santa Montagna è del tutto diversa da quella del mondo. Ben poco è
cambiato in mille anni di storia, e Simeone si immerge ~ poco a poco in quella
tradizione plurisecolare. E il ritmo stesso della vita che forma i postulanti: preghiera
solitaria in cella, lunghi uffici in chiesa; digiuni e veglie; confessione frequente e
comunione; letture, lavoro, obbedienza. Le istruzioni dell'igumeno e dei padri si limitano
a brevi consigli su ciò che conviene fare in una data situazione.
Simeone scopre con stupore la preghiera di Gesù. L'invocazione ripetuta, con l'ausilio di
un rosario, del Nome santo: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me
peccatore" non solo costituisce l'essenziale della preghiera in cella, ma può essere
recitata sempre e ovunque, e persino sostituire gli uffici. Se, a motivo del lavoro, non è
possibile andare in chiesa, soprattutto all' ora dei vespri, allora, per tutta la durata del
servizio, un fratello la dice a voce alta per quanti lavorano in un medesimo luogo, ed
essa prende il posto dell'ufficio divino.
Dal fondo della sua anima immersa nella tristezza, nel fuoco incrociato delle tentazioni e
delle illusioni, Simeone fa salire questa preghiera con ardore, slanciandosi con forza
verso Colui che può salvarlo. Sono trascorse appena tre settimane quando, una sera,
mentre è in preghiera dinanzi all'icona della Madre di Dio, la preghiera irrompe
improvvisamente nel suo cuore e si fa sorgente zampillante, giorno e notte. Certo, nella
sua inesperienza non comprende allora la rarità del dono ricevuto dalla Madre di Dio,
dono che tanti asceti ottengono solamente dopo anni e anni di lotta. E questo dono della
preghiera del cuore che permette di giungere alla preghiera pura, alla preghiera
spirituale.
Ben presto Simeone è preso da pensieri di vanità, da dubbi sulla propria salvezza, e
l'angoscia si insinua nel suo cuore. Allora cominciano ad apparirgli i demoni, che ora lo
esaltano, ora lo precipitano nell' abisso. Ed egli parla loro con ingenuità, come si parla
agli uomini; e da uno di loro si sente rispondere: "Noi non diciamo mai la verità".
Passano i mesi. Egli continua a lottare, ma le forze psichiche vengono a mancargli e il
coraggio l'abbandona. Sempre più spesso la sua anima è invasa dall' orrore e dalla
disperazione. Come resistere a tutti quegli assalti con le semplici forze umane? E fratello
Simeone crolla.
Apparizione del Cristo vivente
Simeone è nella sua cella, nel tardo pomeriggio, prima dei vespri. Pensa: "Dio è
inesorabile, e non lo si può impietosire". E prova un senso di assoluto abbandono: la sua
anima sprofonda nelle tenebre di un' angoscia infernale. Passa circa un' ora in quello
stato. Ed ecco, in risposta alla disperazione del giovane novizio, il Signore gli appare (2).
Quello stesso giorno, durante i vespri nella cappella del santo profeta Elia, a destra delle
porte regali, là dove si trova l'icona del Salvatore, Simeone vede il Cristo vivente, e tutto
il suo essere, compreso il corpo, si ritrova riempito del fuoco della grazia dello Spirito
santo. Una grande luce allora lo illumina: egli è come strappato a questo mondo e il suo
spirito è rapito in cielo, dove ode parole ineffabili. In quel momento avviene in lui come
una nuova nascita dall'alto (cf. Gv 1,13; 3,3). Lo sguardo dolce del Cristo avvolto di
gioia radiosa, del Cristo che è bontà infinita e tutto perdona, attira a sé l'essere intero di
Simeone. Questi si sente estenuato: non potrebbe sostenere ulteriormente quello sguardo
senza morirne. E il Signore scompare. La visione cessa, ma il suo spirito è trasportato
dalla dolcezza dell' amore divino a una contemplazione della divinità che trascende ogni
immaginazione di questo mondo.
Ma dopo aver conosciuto la gioia della resurrezione e una beatitudine tutta pasquale,
Simeone sente svanire l'azione percettibile della grazia. La pace e la gioia cedono il
passo alla perplessità e al timore di perdere il dono ricevuto. Egli ignora ancora che
talvolta la grazia si ritira perché l'anima languisca di desiderio per il suo Signore.
Assalito da un'incertezza angosciante, va a chiedere consiglio a uno starec, il padre
Anatolio. E l'anziano asceta, che è arrivato a conoscere la misericordia di Dio solamente
dopo quarantacinque anni di vita monastica, non riesce a nascondere il proprio stupore:
"Se sei già ora così, che sarai mai nella vecchiaia?". Mai un asceta dovrebbe rivolgere
delle lodi a un fratello! Eccolo, il nostro fratello Simeone, costretto a lottare contro la
vanità. Ed è una lotta faticosa, complessa, sottile.
Quando sopraggiunge la vanità, la grazia si ritira, il cuore si raffredda, la preghiera viene
meno, lo spirito si disperde e l'anima subisce l'assalto dei pensieri passionali. L'anima di
Simeone è nell'angoscia e lotta per afferrare l'Inafferrabile. Quando la luce ricompare, è
per poco tempo. Hanno così inizio quindici anni di alternanza di grazia e di abbandono.
Nel frattempo egli fa la professione e riceve l'abito monastico e il nome di Silvano. Ogni
parola è inadeguata a descrivere le lotte che il nuovo monaco deve sostenere per intere
notti durante tutti questi anni. Scriverà: "Se il Signore non mi avesse fatto conoscere fin
dall'inizio di quale amore egli ama gli uomini, non avrei sopportato neppure una sola di
quelle notti. E ne ho avuto una moltitudine!" .
"Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!"
Verso il 1906 , nel corso di una di quelle notti terribili, non è in grado, nonostante i suoi
sforzi, di pervenire alla preghiera pura. Si alza per fare alcune prostrazioni: l'immenso
profilo di un demonio si frappone davanti alle icone e attende che egli si inchini dinanzi
a lui. Silvano si siede di nuovo, china la testa, con il cuore addolorato, e fa questa
preghiera: "Signore, vedi che i demoni mi impediscono di pregare con uno spirito puro.
Ispirami ciò che devo fare perché i demoni mi lascino in pace". E nell' anima il Signore
gli risponde: "Le anime orgogliose soffrono sempre a causa dei demoni". "Signore,
insegnami che cosa devo fare perché la mia anima diventi umile". E di nuovo, nel suo
cuore, riceve questa risposta: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!". E subito
comincia a mettere in pratica quella parola. Trova la pace, e lo Spirito gli testimonia la
sua salvezza (3).
Siamo qui condotti al cuore dell'insegnamento che Dio, attraverso san Silvano, comunica
agli uomini della nostra epoca caratterizzata da un diffuso sentimento di disperazione e
da un' angoscia opprimente. Questa parola di Cristo ricevuta da un monaco dell' Athos
all'inizio di questo secolo ha già salvato migliaia di persone dalla disperazione, e non v'è
dubbio che ne salverà altre migliaia ancora. Ecco, da quel momento è un messaggio di
amore che viene consegnato a noi tutti.
L'amore di Dio, l'amore per gli uomini, l'amore per tutta la creazione spinge Silvano ad
annotare un po' alla volta ciò che vive e sperimenta, testimoniando così l'azione dello
Spirito dentro di sé. Questo monaco quasi analfabeta, che è andato a scuola solamente
per due inverni, scrive con parole semplicissime dei brevi testi di una bellezza
sconvolgente. I temi da lui toccati non sono molto vari; sono però essenziali: Dio e tutte
le realtà celesti non possono essere conosciuti se non attraverso lo Spirito santo; il
Signore ha un immenso amore per l'uomo, e ci è dato di conoscerlo nello Spirito santo;
lo Spirito santo èlo spirito di umiltà, di pace e di unificazione interiore; lo Spirito santo è
lo spirito di compassione e di amore per i nemici. I lunghi anni di lotta spirituale
confortata dalle ripetute effusioni dello Spirito santo lo conducono a diventare un
autentico "teologo": il suo essere uomo di preghiera che dialoga con Dio lo rende capace
di parlare di Dio, così quel poco che dice e scrive penetra i cuori e rigenera le anime.
D'ora in poi Silvano concentra tutte le forze dell' anima ad acquisire l'umiltà di Cristo e
si effonde in incessanti preghiere per la salvezza degli uomini. Dice: "La mia anima
conosce la misericordia del Signore per l'uomo peccatore... Tutti noi, peccatori, saremo
salvati e neppure una sola anima andrà perduta, se si converte".
Ma come può un monaco, isolato dal mondo su quella Santa Montagna, avere nella
propria preghiera la sollecitudine per la salvezza di tutti gli uomini? Certi monaci del suo
monastero sostenevano allora - come tanti religiosi al giorno d'oggi - che è necessaria la
lettura dei giornali, che essa alimenta la loro preghiera per gli uomini. Silvano risponde
loro che egli non legge mai i giornali, "che essi offuscano lo spirito e fanno ostacolo alla
preghiera pura". A coloro che vi cercano delle "intenzioni di preghiera" egli ribatte che i
giornali non informano sugli uomini, bensì sui fatti, e che una sola cosa è necessaria a
tutti gli uomini. E prega ardentemente e lungamente, ogni giorno, con le lacrime: "Ti
prego, Signore misericordioso, fa' che tutti i popoli della terra ti conoscano attraverso il
tuo santo Spirito".
Pregare per gli uomini significa versare il proprio sangue
Eppure la vita di Silvano è una vita di monaco all' apparenza assolutamente ordinaria.
Una vita nascosta.
Facciamo un passo indietro per vedere come essa appaia agli occhi di quanti gli vivono
accanto. Dopo l'incarico assegnatogli al mulino viene mandato a Kalamareia, una
dipendenza del monastero, fuori dell' Athos. Si tratta di una tenuta agricola. Il lavoro all'
aria aperta gli mette fame, e il nostro padre Silvano comincia a mangiare a sazietà; ma
due ore dopo è in grado di mangiare di nuovo la stessa quantità. Il fatto lo preoccupa:
capisce che è una tentazione. "Noi monaci - dice - dobbiamo prosciugare il nostro
corpo... Un corpo sazio è un ostacolo alla preghiera pura, e lo Spirito divino non viene
quando il ventre è pieno. Bisogna, però, anche saper digiunare con misura, per non
indebolirsi prima del tempo ed essere in grado di eseguire l'incarico ricevuto".
Fortunatamente viene presto richiamato in monastero, dove l'igumeno gli affida
l'incarico di economo preposto alle costruzioni. Se si eccettua l'intermezzo di un anno e
mezzo passato nel deserto, di cui parleremo poco più avanti, svolgerà questo incarico
fino alla morte. Si ritira nella sua cella e comincia a pregare: "Signore, tu mi affidi la
cura del nostro grande monastero: aiutami ad assolvere bene questo incarico". E nell'
anima riceve questa risposta: "Ricordati della grazia dello Spirito santo e sforzati di
acquisirla". A partire da quel momento vigila a custodire la grazia e fa attenzione che la
preghiera non subisca alcuna interruzione. Ha sotto la sua sorveglianza fino a duecento
operai; ogni mattina fa il giro dei cantieri e dà a grandi linee le istruzioni ai capomastri.
Poi si ritira nella sua cella e piange sul "popolo di Dio". Gli duole il cuore per tutti quegli
operai costretti dalla miseria a lasciare genitori, famiglia, paese, per guadagnare un po' di
soldi. Perciò non è mai assillante con loro, non li sorveglia come fanno gli altri economi
che "fanno gli interessi del monastero". Per lui il vero interesse del monastero sta nell'
osservanza dei comandamenti di Cristo. E con il suo atteggiamento e la sua preghiera
finisce per conquistare l'amore di quella povera gente, a cui lascia libertà e
responsabilità.
Ripete: "Il Signore ama tutti gli uomini e ha pietà di loro". Ripieno dello Spirito di
Cristo, ha per tutti un amore compassionevole. Egli vive la sofferenza degli uomini, del
mondo intero, e la sua preghiera non ha fine. E pronto a versare il proprio sangue per la
pace e la salvezza degli uomini. E realmente lo versa nella preghiera. La sua vita è un
vero martirio. Testimone dell'amore di Dio per l'umanità, ne ha il cuore ferito ed è con
tutta verità che può scrivere:
"Pregare per gli uomini significa versare il proprio sangue".
Gli viene allora la tentazione di vivere nel deserto. Lo chiede con insistenza all'igumeno
e questi gli permette di ritirarsi nel Vecchio Russikon, fra gli eminenti asceti che vivono
là nella più grande austerità, per dedicarsi interamente all'orazione. Ma dopo un anno e
mezzo deve riprendere il suo incarico di economo. Riconosce che in quell' andare nel
deserto ha agito secondo la volontà propria. E Dio, egli dice, l'ha punito: vivendo in una
capanna isolata, nella più grande privazione, ha patito il freddo e sino alla fine soffrirà di
continue emicranie.
I perfetti dicono unicamente ciò che lo Spirito detta loro
È durante quel soggiorno che incontra un celebre asceta del Caucaso, il padre Stratonico.
Da uomo spirituale sperimentato e pieno di discernimento qual è, costui è stato di
grandissimo aiuto ai monaci del suo paese. E tutti gli asceti della Santa Montagna lo
accolgono con calore. La sua parola ispirata lascia un'impressione profonda. E così il suo
discernimento, la sua enorme esperienza, il dono della vera preghiera. Ma dopo due mesi
comincia a rammaricarsi di aver intrapreso invano un pellegrinaggio così lungo e
faticoso, dato che i suoi incontri con i monaci dell' Athos non gli hanno insegnato nulla
di nuovo. Un giorno di festa il padre Dositeo lo invita, insieme con altri monaci, nella
propria cella, presso il Vecchio Russikon. Anche Silvano si trova lì. È il più giovane di
tutti e se ne sta silenzioso in un angolo della cella, attento alle parole dell'asceta del
Caucaso. Ed ecco che il padre Stratonico esprime il desiderio di venire a fargli visita
nella sua cella, l'indomani. Tutta la notte il padre Silvano prega intensamente perché il
Signore benedica il loro incontro e la loro conversazione.
Silvano ha notato che il giorno prima il padre Stratonico ha parlato secondo "la propria
intelligenza" e che il suo discorso sull'incontro fra la volontà umana e la volontà divina
mancava di chiarezza. Pone, allora, al padre Stratonico tre domande: "Come parlano i
perfetti? Che significa abbandonarsi alla volontà di Dio? In che consiste l'obbedienza?".
Stratonico coglie immediatamente l'importanza e la profondità di quelle domande. Dopo
un attimo di riflessione e di silenzio dice: "Non lo so... Dimmelo tu". E Silvano replica:
"Non dicono nulla da se stessi... Dicono unicamente ciò che lo Spirito detta loro". E in
quel medesimo istante, grazie alla preghiera di Silvano, il padre Stratonico sperimenta lo
stato di cui gli parla Silvano. Prende coscienza delle proprie lacune nel passato e si rende
conto di essere ancora così lontano dalla perfezione. Quindi coglie facilmente il senso
delle altre due domande. Parlano anche della preghiera e le parole di Silvano gli rivelano
uno stato che egli ancora non ha conosciuto. Più tardi, dopo averne fatto per grazia
l'esperienza, lo confermerà. Da quel momento, quando lo interrogano, il padre Stratonico
si astiene talora dal rispondere alle domande degli altri padri e dice: "Avete il padre
Silvano: è lui che dovete interrogare". E il loro stupore è grande. Essi amano molto
Silvano, ma non si sono mai fatti di lui un' opinione tanto elevata da pensare di
chiedergli un consiglio. Immaginarsi! E un contadino, un ignorante...
Un'umiltà rara
In realtà Silvano coltiva in modo particolare l'umiltà e ricerca al di sopra di ogni altra
cosa l'umiltà di Cristo. In risposta alla parola del Signore - che non cessa di mettere in
pratica: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!", egli può dire: "E dal Signore
che la mia anima ha imparato l'umiltà... Nessuna parola sarebbe in grado di descrivere
quanto è buono il Signore" .
Non contraddice mai nessuno. Mai giudica. Se gli si fa opposizione, se vede che non
viene capito ciò che vuol dire, subito fa silenzio. Viene criticato un padre davanti a lui?
Egli ne prende le difese e riporta la pace. Possiede la vera libertà di chi dimora
costantemente in Dio. Certo, alcuni padri si inquietano per la libertà con cui parla di Dio
come del Padre suo misericordioso; succede anche che altri nutrano nel loro cuore
sentimenti di invidia nei confronti della santità di Silvano. La rettitudine dei perfetti dà
fastidio ai negligenti e in effetti la sua sobrietà in ogni cosa può ingenerare una cattiva
coscienza in coloro che non praticano la sua astinenza.
Il criterio che Silvano usa per discernere la bontà di un'azione è di una semplicità
disarmante: "Ogni azione che non può essere preceduta da una preghiera, è meglio non
farla!".
Per la verità, Silvano non dice nulla che non abbia prima sperimentato egli stesso. Ha
letto le opere dei padri, certo; ma, più ancora, le vive: ricerca dell'umiltà, prontezza
nell'obbedienza, rinuncia alla volontà propria per compiere quella di Dio; immersione
nella bellezza e nella solidità degli uffici divini; custodia del cuore e dei pensieri; pratica
incessante della preghiera di Gesù; docilità all'azione dello Spirito santo. Sono numerosi,
del resto - al tempo di Silvano come ai nostri giorni - i monaci che rinnovano gli esempi
dei padri. Un giorno un teologo cattolico rimane stupito dal fatto che i monaci di San
Panteleimon leggano Giovanni Climaco, abba Doroteo, Teodoro Studita, Efrem il Siro,
Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio Sinaita, Massimo il Confessore e tutti gli altri
padri della Filocalia, perché, dice, "da noi sono solo i professori che li leggono!"; e il
padre Silvano osserva: "Non solo i nostri monaci leggono quei libri, ma potrebbero essi
stessi scriverne di simili... Se per un motivo o per l'altro quei libri dovessero andare
perduti, allora i monaci ne scriverebbero di nuovi". Tale è la profondità della loro
esperienza nello Spirito santo che li illumina.
Un uomo dall'amore grande
Verso il 1905 egli viene richiamato il:! Russia come soldato della guardia imperiale. E il
momento della guerra russo-giapponese. Ma, in quanto monaco, non viene mandato al
fronte. Per un certo tempo vive nel suo villaggio, in una capanna che la famiglia gli ha
permesso di costruire nei campi. Fa anche dei viaggi per visitare alcuni monasteri. Vive
questo periodo di forzato "esilio" come preziosa occasione di manifestare la sua
solidarietà con tutti gli uomini e per alimentare la sua intercessione per tutte le creature.
L'amore per il prossimo in Silvano si dilata all'umanità intera. Egli adempie in questo il
precetto evangelico: "Ma io vi dico: amate i vostri nemici" (Mt 5,44). Secondo lui, chi
non ha l'amore per i nemici non ha ancora conosciuto Dio nello Spirito santo. In ogni
circostanza, perciò, egli manifesta la propria compassione per gli uomini: prega per i
vivi, per i defuni e anche per quelli che non sono ancora nati. E di una carità piena di
delicatezza. Intercede, e Dio ascolta la sua preghiera. Talora avvengono anche miracoli.
È la propria esperienza che egli racconta; ma lo fa con umiltà, come se si trattasse del
racconto riguardante un altro asceta.
In una notte di tenebra fitta, una tempesta squassa le barche da pesca nel porto. Gli
uomini sono presi dal panico e non sanno più che cosa fare. Silvano prova una tale pena
per loro che prega: "Signore, placa la tempesta, calma le onde. Abbi pietà del tuo popolo
che soffre e salvalo". La tempesta cessa, il mare si calma e gli uomini rendono grazie a
Dio. E Silvano testimonia: "Un tempo pensavo che il Signore compisse miracoli
solamente in risposta alle preghiere dei santi, ma ora ho capito che il Signore opera
miracoli anche per il peccatore, non appena la sua anima si umilia. Molti, per
inesperienza, dicono che il tal santo ha fatto un miracolo, ma io ho compreso che è lo
Spirito santo che dimora nell'uomo a operare i miracoli".
Passano gli anni. Dopo la prima guerra mondiale le autorità greche chiudono l'accesso al
Monte Athos ai russi dell'Unione Sovietica e allora il monastero di San Panteleimon
vede esaurirsi il flusso di vocazioni monastiche. Si portano alla sepoltura dai trenta ai
quaranta monaci ogni anno, cosicché agli inizi degli anni trenta non sono più di seicento.
Ma la vita comune continua, e con essa gli uffici, la preghiera. In quel periodo si
sviluppano ancora di più, nella discrezione, i numerosi carismi dello schimamonaco (4)
Silvano a favore di quanti si rivolgono a lui, anche per lettera: profezia, discernimento,
chiaroveggenza, guarigione. Ma è soprattutto la sua immensa carità ad avvolgere tutti
coloro che vengono da lui. Certo, persino tra i suoi fratelli monaci ci sono alcuni che
continuano a ignorarlo; ma fra i suoi visitatori e fra quanti sono in corrispondenza con
lui si contano teologi, archimandriti, monaci di altri monasteri (soprattutto serbi di
Chilandari e della skit di San Saba), e anche vescovi. Molti gli renderanno
testimonianza, dopo la morte serena avvenuta nell'infermeria del monastero, durante il
mattutino, il 24 settembre 1938.
Qualche giorno prima, quando è evidente che sta soffrendo ma si rifiuta ancora di andare
in infermeria, un suo discepolo gli chiede se sia vicino alla morte ed egli risponde: "Non
ho ancora raggiunto l'umiltà". Viene poi portato in una stanza dell'infermeria, da solo;
ogni giorno riceve la comunione, poiché tale è l'usanza del monastero per i malati gravi.
In tutto questo tempo egli custodisce il silenzio. La sera del 23 settembre il suo
confessore, padre Sergio, viene a leggere il "Canone della Madre di Dio", preghiera di
intercessione per la dipartita dell' anima, detta anche "preghiera degli agonizzanti"; alla
fine, Silvano ringrazia a bassa voce. Verso la mezzanotte chiede al padre infermiere: "Si
sta celebrando il mattutino?". "Sì. Avete bisogno di qualcosa?". "No, grazie; non ho
bisogno di nulla". Questo semplice dialogo e il fatto che egli oda il mattutino - appena
percettibile dal luogo in cui si trova - mostrano la sua serenità e il pieno possesso delle
facoltà. L'infermiere ritorna verso la fine del mattutino ed è estremamente stupito di
trovarlo già morto. Sono all'incirca le due del mattino. Silvano verrà sepolto il giorno
stesso, alle quattro del pomeriggio.
Il vescovo Nicola Velimirovic - che ha dato inizio al grande movimento di rinnovamento
spirituale all'interno della chiesa ortodossa serba in questo nostro secolo - nella sua
rivista missionaria scrisse un necrologio dal titolo: "Un uomo dall' amore grande". Così
annotava: "Di questo monaco meraviglioso si può dire una sola cosa: era un' anima piena
di dolcezza. E non sono il solo ad aver sperimentato quella dolcezza: ogni pellegrino del
Monte Athos che l'aveva incontrato provava la medesima sensazione. Silvano era un
uomo forte, alto di statura; aveva una grande barba nera e, a prima vista, il suo aspetto
esteriore non lo rendeva particolarmente attraente a chi non lo conosceva. Ma bastava
una sola conversazione per amare quell'uomo... Parlava dell'immenso amore di Dio per
gli uomini e portava i peccatori a giudicare se stessi con severità... Quell' asceta mirabile
era un semplice monaco, ma pieno di amore per Dio e per il prossimo. Da ogni parte
della Santa Montagna accorrevano a lui monaci in gran numero per ricevere i suoi
consigli... Tutti sono stati dolorosamente colpiti da questa sua dipartita. A lungo, molto a
lungo si ricorderanno dell' amore del padre Silvano e dei suoi saggi consigli. Anche a me
il padre Silvano è stato di grandissimo aiuto spirituale. Sentivo chiaramente quanto la
sua preghiera mi fortificasse. Ogni volta che mi recavo alla Santa Montagna, mi
affrettavo a fargli visita ... Il libro della sua vita è tutto adorno delle perle della sapienza
e dell' oro dell' amore. È un libro immenso e incorruttibile".
Silvano era totalmente preso dalla visione della divinità di Cristo e dalla "dolcezza" dello
Spirito santo, e faceva passare questa visione nella propria vita. Lo Spirito santo lo rese
davvero somigliante al Cristo che gli era stato concesso di vedere. Di questa somiglianza
egli parlava molto spesso, citando il grande apostolo dell' amore: "Saremo simili a lui,
perché lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2).
NOTE
[1] Cf. infra, p. 75.
[2] Cf. infra, p. 76, il racconto estremamente sobrio che ne fa Silvano stesso.
[3] Cf. infra, p. 78.
[4] Monaco che indossa lo schima, il "grande abito".
CRITTI INEDITI DI SAN SILVANO
NOTA EDITORIALE
Le Lettere, qui tradotte per la prima volta in italiano, sono state pubblicate dall' archimandrita
Viktor Mamontov nel primo numero della rivista russa Christianos (Riga, 1991). Sono indirizzate a
Nadežda Adreevna Soboleva. Madre di famiglia e parrocchiana della chiesa russa "Les Trois
Hiérarques" a Parigi, fu fedele collaboratrice del metropolita Beniamino (1880-1961). Quando
questi fu nominato metropolita di Riga nel 194 7, la Soboleva lo seguì in Lettonia sovietica dove
successivamente entrò nel monastero di Piuštica assumendo il nome di madre Silvana. Lì morì nell'
ottobre 1979. Le Lettere di Silvano risalgono tutte alla fine della vita dello starec: l'ultima è stata
scritta due mesi prima della morte.
Le Note a margine di un catalogo di fiori provengono appunto da un catalogo di fiori trovato tra gli
oggetti di Silvano, che se ne era servito per annotare brevi pensieri. Sono state pubblicate sulla
rivista russa Vestnik (1988, pp. 223-227).
Gli altri scritti di Silvano sono stati ritradotti dalla prima edizione russa (Parigi 1952) curata dall'
archimandrita Sofronio: meno elaborata rispetto alle successive edizioni in inglese, greco e
francese, questa edizione - diffusa anche in centinaia di copie dattiloscritte in pieno regime
sovietico - conserva una maggior fedeltà al linguaggio e allo stile scarno ma profondissimo
dell'umile contadino Silvano.
LETTERE DI SAN SILVANO A NADEŽDA SOBOLEVA
Amata da Cristo Nadežda!
Ho ricevuto il vostro dollaro e prego il Signore per voi e per vostro figlio Boris. Il
Signore ci aspetta in cielo. Pregheremo e renderemo grazie al Signore. E misericordioso.
Ci ama molto, nonostante siamo peccatori, e ci attende presso di sé insieme ai suoi santi.
A motivo del Signore dobbiamo essere umili: allora ameremo i nostri nemici come il
Signore ci ha comandato (cf. Mt 5,44). Sopportiamo le afflizioni a motivo di Dio (cf. 1Pt
2,19-20) e quando l'anima vedrà il Signore e dimenticherà tutte le afflizioni per amore
suo, allora non ci ricorderemo più nemmeno di quel che ha fatto vostro figlio, talmente il
nostro Signore è buono e mite. Vi scrivo queste righe tra le lacrime, conoscendo il vostro
amore per Dio.
Schimamonaco Silvano peccatore, 1937
Il Signore venga in vostro aiuto assieme alla Madre di Dio e ai santi.
II
Rallegrati, cara Speranza (Nadežda) di Cristo! Il Signore misericordioso ama i suoi servi
e concede loro afflizioni sulla terra affinché nelle afflizioni l'anima impari l'umiltà e si
abbandoni alla volontà di Dio e affinché nel dolore possa trovare quel riposo di cui il
Signore ha detto: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per
le vostre anime" (Mt 11,29).
Sono stato al negozio, per mandarvi un'icona della Madre di Dio, ma non ne hanno una
come quella. Pregate la Madre di Dio e il santo martire Minas e la si troverà. Non è
necessario segnalare il fatto, ma affidarsi alla volontà di Dio: è meglio ancora. Dite al
proprietario dell'icona: la Madre di Dio gli manifesterà la sua grande misericordia. Basta
solo che renda grazie a Dio per tutto, al Signore e alla Madre di Dio... Non abbandonate
a se stesso vostro marito, pregate che possa morire nel pentimento. Ditegli che il Signore
ama i peccatori che si pentono, lui che ha sofferto ed è morto per noi sulla croce e che ci
ha preparato un posto nei cieli: "Dove sono io, là sarà anche il mio servo, perché veda la
mia gloria" (Gv 12,26; 17,24). Ah, se sapessimo quanto il Signore ci ama, noi che siamo
peccatori, e come ci dona lo Spirito! Attraverso lo Spirito possiamo conoscere il Signore
e il suo amore, ma con il nostro orgoglio perdiamo la grazia dello Spirito santo. Passioni
e vizi malvagi ci tormentano, ma dobbiamo combatterli, chiedendo giorno e notte l'aiuto
di Dio e della Madre di Dio: allora il Signore ci aiuterà.
Se poi non si riuscirà a trovare l'icona, bisogna affidarsi alla volontà di Dio. Il Signore
misericordioso ci osserva e sa ciò di cui abbiamo bisogno (cf. Mt 6,8). Noi non vediamo
il Signore, ma lui ci vede: dobbiamo imparare a vivere "secondo la volontà di Dio.
Vi scrivo nonostante una grande afflizione, perché vi voglio, bene, ma attraverso anch'io
un' ardua prova. E colpa mia, perché non ho ancora imparato l'umiltà di Cristo senza la
quale perdiamo la grazia dello Spirito santo: allora l'anima soffre nell' attesa della grazia.
In virtù della grazia di Cristo l'anima rimane calma anche nel dolore, ma le vostre
sofferenze sono davvero grandi. Tuttavia sono passeggere. Quando, dopo la morte, uno è
giudicato degno di vedere il Signore, non può ricordarsi dei suoi cari a motivo del
grande amore verso Dio. Ecco com'è nostro Signore. Scrivo, e il mio spirito si rallegra
della misericordia di Dio, della sua gloria.
O Signore, rendici degni di vederti nella gloria della tua bellezza indescrivibile.
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito santo.
Quanto ci ama il Signore, noi che siamo peccatori! E morto per noi sulla croce e ha
donato lo Spirito santo agli apostoli, ma noi lo perdiamo. Tuttavia il Signore fa dono
anche del pentimento e il Signore si rallegra del peccatore che si pente, dice la santa
Scrittura (cf. Lc 15,7).
Potete spaventare vostro marito dicendogli: "Se non ti ravvedi, ti abbandono", ma in
verità Dio non vuole che tu lo abbandoni.
Padre Metodio vi saluta e vi ringrazia per i soldi, che anch'io ho ricevuto. Il Signore ti
ricompensI.
O Santa Montagna dell' Athos, noi vediamo su di te molti miracoli grazie .alle preghiere
della Madre di Dio. Ci manca l'intelligenza per descriverli.
S. S. (1)
(Schimamonaco Silvano)
III
Cristo è risorto, cara Nadežda!
Vi sia concesso, a voi e a vostro figlio Boris, di amare il Signore con tutta la vostra
anima (cf. Mt 22,37). Il Signore ha detto: "Chi mi ama, osserva i miei comandamenti"
(Gv 14,23). Se osserverete i comandamenti, per ciò stesso aiuterete la chiesa. San
Serafino di Sarov ha vissuto nella foresta e ha aiutato la chiesa con la sua preghiera e ha
osservato i comandamenti del Signore. Così i santi del deserto hanno aiutato la chiesa
con la loro preghiera. Il vostro compito è di educare vostro figlio e di presentarlo puro a
Cristo; quando sarà puro, lo Spirito santo prenderà dimora in lui ed egli diventerà un
intercessore per il mondo intero; se poi perderà la grazia, piangerà come Adamo cacciato
dal paradiso. È difficile descrivere l'angoscia di Adamo, ma chi ha conosciuto il Signore
e poi ha perso questo amore capirà l'angoscia di Adamo. Così gridò: "L'anima mia,
Signore, è afflitta a causa tua, perché non ti vedo. Come potrei non essere afflitto? Il tuo
sguardo umile e mite ha attirato la mia anima, Signore. Il mio cuore si è innamorato di
te".
Ti consiglio quindi di restare a casa e di pregare con la preghiera del cuore, secondo le
tue forze. Dio sa quanto vi capisco e come mi auguro che già sulla terra siate con il
Signore e con la sua Madre tutta santa. Anche tutti i santi pregano per noi. Nello Spirito
santo amano il Signore e anche noi peccatori. Così il Signore misericordioso ha concesso
ai santi lo Spirito santo. Amano il Signore nello Spirito santo e anche il Signore li ama.
Se vostro figlio ama gli uomini di chiesa, i santi vescovi, i presbiteri e i monaci, allora
l'amore di Dio si è mostrato grande per lui. E se non li ama, allora sarà un laico. Quanto
ai comandamenti di Dio, per alcuni monaci è più facile osservarli. Vi chiedo di pregare
umilmente per me, affinché impari l'umiltà di Cristo, glorifichi il Creatore e renda grazie
per la sua grande misericordia, perché ha avuto pietà di me peccatore.
Santa Montagna dell' Athos, vediamo su di te molti miracoli e l'abbondanza della
misericordia divina, grazie alle preghiere della Madre di Dio.
Schimamonaco Silvano
Santa Montagna del Monte Athos
Padre Metodio ha detto che, se si mandano i soldi, l'icona è pronta. Cinque dollari con le
spese di spedizione.
IV
Rallegrati, cara Nadežda, di quanto il Signore ci ama, noi che siamo peccatori.
Ho ricevuto il vostro dollaro e l'ho dato affinché si preghi per voi e per i nomi che avete
chiesto di ricordare. Il rosario è stato benedetto con il legno della croce vivificante. L'ho
usato io stesso per pregare. Avrei voluto mandarvene uno nuovo, ma avete preferito uno
vecchio. Dite a Efimia, serva di Dio, che preghi con tutto il cuore per suo marito e che ne
sopporti le debolezze. Credo che si ravvederà. L'anima mia nutre grande affetto per lui.
Scrivetemi come sta, come ha accolto i miei consigli. Il Signore vi illumini in tutto.
Pregate per me, che ottenga l'umiltà e l'amore di Cristo: allora la mia morte sarà dolce.
Schimamonaco Silvano
V
Cristo è risorto!
Cara Nadežda, il Signore e la Madre di Dio consolino la vostra anima e quella di vostro
figlio Boris. Il Signore gli conceda di correggersi, ma bisogna affidarlo alla volontà di
Dio e vivere secondo la volontà di Dio. Da quarant'anni soffro di emicrania e la
sopporto: so che la malattia mi è stata data affinché non mi inorgoglisca (cf. 2Cor 12,7).
E ho capito: bisogna imparare l'umiltà di Cristo giorno e notte, così troveremo riposo (cf.
Mt 11,29). Se gli uomini sapessero cos'è l'umiltà di Cristo, e la mitezza e il riposo, allora
tutti abbandonerebbero ogni scienza e imparerebbero la mitezza e l'umiltà. Chi ha per
maestro lo Spirito santo desidera imparare l'umiltà di Cristo giorno e notte: è quanto io
mi auguro per tutti. Ricordatevi anche di me nella preghiera, affinché impari la mitezza e
l'umiltà di Cristo: è questo ciò cui anela l'anima mia, è questo il dono che desidero. Chi
ha conosciuto il Signore attraverso lo Spirito santo, langue per lui giorno e notte:
"Perché mi hai abbandonato, Signore? L'anima mia ti desidera giorno e notte. Come non
desiderarti? Il tuo sguardo calmo e mite ha attirato la mia anima e ora ti amo con tutto il
cuore". E se perde la grazia, desidererà il Signore come Adamo cacciato dal paradiso.
Adamo piangeva: "Signore, l'anima mia anela a te e in lacrime ti cerco". Similmente io
chiedo a tutti le loro sante preghiere, perché impari l'umiltà di Cristo e non perda la
grazia dello Spirito santo. E attraverso lo Spirito santo, infatti, che conosciamo il
Signore.
Ho ricevuto i vostri due dollari. Il Signore vi ricompensi. Il monastero prega per voi, e
anch'io, peccatore, prego. Non puoi ritirarti in monastero finché non ti sei accertata che
tuo figlio abbia trovato il suo posto. Il Signore accetta le preghiere in ogni luogo e in
ogni tempo.
Cara Nadežda, mantieni i tuoi pensieri in Dio e spera in lui. Ci ama molto, noi che siamo
peccatori, e ci proibisce di vacillare con i pensieri, vagando da uno all'altro senza
motivo. Trovate calma in Dio e dimenticate tutto ciò che è terreno per amore di Dio. Lui
stesso ci ha detto di amarlo con tutta l'anima e con tutto lo spirito (cf. Mt 22,37) fino a
dimenticare ciò che è terreno. State a casa e rendete grazie al Signore con tutta la vostra
anima. Chi rende grazie a Dio per le sue angosce ne avrà poche, perché ha affidato la
propria anima alla volontà di Dio e lo Spirito di Dio rende lieta l'anima mediante la
speranza in Dio. Quanti hanno posto la speranza in Dio trovano ovunque il riposo in Dio,
perché la grazia li rallegra nell'intimo dell'anima. Ma se qualcuno ha perso la grazia,
attraverso il pentimento la cerchi nuovamente e allora il Signore nuovamente la
concederà. Egli ci ama molto. Nell'evangelo dice: "lo salgo al Padre mio e Padre vostro,
al Dio mio e Dio vostro" (Gv 20,17). Vedete quanto ci ama. Queste parole sono colme di
pietà, di amore e di misericordia. Dobbiamo meditare giorno e notte che il Signore ci
ama, noi che siamo peccatori, e che ci chiama a sé. "Venite a me, voi che faticate sotto il
peso del fardello, e io vi darò riposo" (Mt 11,28). E il riposo in Dio vuol dire dimenticare
tutto ciò che è terreno affinché lo spirito non dimentichi l'amore. Anche se le mani
lavorano, l’anima non può dimenticare Dio, perché l'anima si è affezionata a lui e lo
Spirito di Dio rallegra l’anima. L'anima non teme le afflizioni terrene ma, al contrario,
teme di perdere l'amore di Dio perché, quando ne è privata, allora prova disgusto e
afflizione. Rendiamo grazie a Dio e a sua Madre tutta santa che intercede per noi presso
Dio. E invochiamo anche i santi, perché nello Spirito santo ci amano quanto il Signore.
Il Signore concede loro lo Spirito santo affinché preghino per noi. Chi, come me, è
corrotto, legga di più l'evangelo, si penta e il Signore misericordioso lo perdonerà e gli
darà la pace dell'anima.
Gloria a Dio per tutto.
Schimamonaco Silvano, luglio 1938
NOTE A MARGINE DI UN CATALOGO DI FIORI
Un’anima mite e umile è preferibile a questi fiori, e il suo aroma e il suo profumo sono
migliori e più belli. Il Signore ha fatto belli questi fiori, ma ama ancor più l’uomo e gli
ha donato lo Spirito santo che è più soave del mondo intero e gradito all’anima.
Dio ha fatto i fiori per l’uomo, perché l’anima glorifichi il Creatore nella creatura e lo
ami. Non bisogna dimenticare Dio nemmeno per un attimo, né di giorno né di notte,
perché ci ama. Amiamolo anche noi con tutte le nostre forze e chiediamogli la
misericordia e la forza di poter osservare i suoi santi comandamenti.
Io amo i fiori.
Ma ami il Signore e ami i nemici che ti affliggono?
Se li ami, allora sei un uomo di bene.
I santi amavano versare lacrime davanti a Dio, perché erano lieti di spirito; ma si
affliggono a causa nostra, perché viviamo male.
È bene se l’anima è abituata a pregare e a versare lacrime per il mondo intero. Ci sono
molti monaci che piangono per il mondo intero: lo so, lo credo. La Madre di Dio ama i
monaci obbedienti che si confessano spesso e non accolgono i pensieri malvagi. La
Madre di Dio si rattrista molto quando uno conduce una vita disordinata e impura; lo
Spirito santo non verrà in quell’anima. In essa ci sarà afflizione, acedia e irascibilità.
Possiamo conoscere Dio attraverso lo Spirito santo e non con la sola intelligenza.
L’uomo non conosce Dio alla maniera di un animale privo d’intelligenza. I monaci
sanno quanto amano il Signore e quanto il Signore li ama. "Io amo quelli che mi amano"
(cf. Gv 14,21), dice il Signore. "Glorificherò quelli che mi glorificano" (1Sam 2,30). È
cosa buona essere con Dio: l’anima trova in Dio il proprio riposo. È segno di amore
verso Dio mettere in pratica i suoi comandamenti. L’orgoglioso non può amare Dio. Chi
ama mangiare molto non può amare Dio come si deve. Per amare Dio bisogna rinunciare
a tutto ciò che è terreno, non essere attaccati a nulla, ma pensare sempre a Dio, al suo
amore e alla dolcezza dello Spirito santo.
L’obbedienza ci umilia; il digiuno e la preghiera originano a volte pensieri malvagi, che
ci f anno digiunare e pregare in modo orgoglioso. Se un novizio si abitua a pensare: "È il
Signore che guida il mio starec", allora sarà facilmente salvato grazie all’obbedienza. Per
chi obbedisce, tutto è virtù: la preghiera del cuore che gli è concessa per obbedienza, la
commozione e le lacrime. Costui ama il Signore e teme di offenderlo con una
trasgressione; poiché il Signore misericordioso gli concede pensieri santi e umili, egli
ama il mondo intero e innalza per il mondo preghiere accompagnate da lacrime: così la
grazia istruisce l’anima mediante l’obbedienza.
Dobbiamo pensare: il Signore mi ha condotto qui e mi ha affidato a questo starec. Il
Signore ci conceda di essere salvati. Il nemico ci tende numerosi tranelli, ma chi
manifesta i propri pensieri sarà salvato, perché lo Spirito santo è accordato al padre
spirituale per la nostra salvezza.
Il Signore si fa conoscere dai cuori semplici che obbediscono. Il re David era il fratello
minore e faceva il pastore (cf. 1Sam 16,11), e il Signore lo amava per la sua mitezza. I
miti sono sempre obbedienti. David ha scritto per noi il salterio in forza dello Spirito
santo che viveva in lui. Anche il profeta Mosè era pastore, presso suo suocero (cf. Es
3,1): ecco l’obbedienza. Anche la Madre di Dio era obbediente, così come i santi
apostoli. È la via che il Signore stesso ci ha insegnato. Dobbiamo custodirla e
riceveremo sulla terra i frutti dello Spirito santo.
I disobbedienti sono tormentati da pensieri malvagi: così il Signore vuole insegnarci a
essere obbedienti in modo da poter contemplare la sua abbondante misericordia già sulla
terra. La nostra mente sarà sempre occupata in Dio, la nostra anima sarà sempre umile.
Quando ero nel mondo, la gente mi lodava, e io credevo di essere buono. Ma quando
sono venuto in monastero, allora sì che ho incontrato persone veramente buone: io non
valgo quanto il loro mignolo o un laccio dei loro sandali. Ecco come ci si può sbagliare,
cadere nell’orgoglio e perdersi. Chi è veramente buono è raggiante di gioia e di letizia e
non è come me.
Noi viviamo secondo la nostra volontà e tormentiamo noi stessi. Chi vive secondo la
volontà di Dio è buono, gioioso, pacifico. Dimmi, o Adamo, come sfuggire all’afflizione
sulla terra? Non c’è consolazione sulla terra: solo tristezza che rode l’anima.
Abbandonati alla volontà di Dio: l’afflizione diminuirà e sarà più leggera, perché
l’anima sarà in Dio e troverà in lui consolazione. Il Signore infatti ama l’anima che si è
abbandonata alla volontà di Dio e ai padri.
Un’anima chiusa su se stessa non si apre al proprio padre spirituale e cade nell’illusione.
Vuole acquisire le realtà elevate, ma questo è un desiderio satanico, dice san Serafino.
Dobbiamo allontanare le passioni dell’anima e del corpo e fuggire l’illusione. Il Signore
si rivela ai semplici senza malizia (cf. Mt 11,25), non solo ai santi, ma anche ai
peccatori. Ecco come il Signore ci ama.
Siamo costantemente in guerra. Se sei caduto nell’illusione, corri subito dal tuo padre
spirituale e raccontagli tutto, affinché ti ricopra con il suo epitrachelion. Sappi che sei
stato riconfermato e che il demonio, da te accolto con la tua colpa, se n’è andato. Se non
ti penti, non ti correggerai prima della tomba. I demoni entrano ed escono dal nostro
corpo. Quando l’uomo cede all’ira, il demonio entra in lui; quando ritrova la pace, il
demonio lo lascia.
Se ti metti a pregare Dio e il demonio si leva contro di te non permettendoti di prostrarti
in preghiera, allora umiliati e di’: "Nessuno è peggiore di me". Il demonio sparirà
immediatamente. Essi temono enormemente l’umiltà, la contrizione e la confessione
sincera. Se ti accorgi che ci sono dei demoni in te e li senti conversare tra loro, non
scoraggiarti: abitano il tuo corpo, non la tua anima. Umiliati, ama il digiuno e non bere
vodka né vino. Se non hai obbedito al tuo igumeno o al tuo padre spirituale, allora c’è un
demonio in te: così accade dopo ogni peccato.
Se uno si confessa senza avere il cuore puro e segue la volontà propria, allora, anche se
si accosta ai santi misteri, i demoni abitano nel suo corpo e sconvolgono la mente. Se
vuoi che i demoni non abitino in te, allora umiliati, sii obbediente e distaccato, esegui
con amore e precisione i servizi che ti vengono chiesti e confessati con cuore puro. Il
padre spirituale indossa l’epitrachelion nello Spirito santo ed è simile a nostro Signore
Gesù Cristo e risplende in Spirito santo: ecco, quando il padre spirituale parla, lo Spirito
santo scaccia il peccato mediante le sue parole. Il padre spirituale e i presbiteri hanno lo
Spirito santo. Un anziano vedeva il suo padre spirituale nell’icona di Cristo: ecco quanto
il Signore ci ama!
Il Signore ama l’anima coraggiosa perché metta tutta la sua speranza nel Signore.
Dobbiamo imitare Adamo nel suo pentimento e nella sua pazienza. Dobbiamo amare e
venerare i pastori. Se non riusciamo a vedere in quale grazia dello Spirito santo sono i
pastori, è a causa del nostro orgoglio e del fatto che non ci amiamo gli uni gli altri.
All’anima che si converte il Signore concede, in cambio del pentimento, il dono dello
Spirito santo. L’anima ama Dio e nessuno può strapparla da questo amore. Il Signore
vuole che lo amiamo e che, per amore suo, ci umiliamo. Il Signore vuole che ci
rivolgiamo a lui con semplicità, come un bambino a sua madre (cf. Sal 131,2). Se siamo
orgogliosi, dobbiamo chiedere a Dio l’umiltà e il Signore concederà all’umile di
scorgere i tranelli dell’avversario. Il Signore ci ama molto e ci concede di sapere ciò che
avviene in cielo e come vivono i nostri fratelli che ci hanno preceduto e che sono
risultati graditi a Dio per la loro umiltà e il loro amore. Il Signore ha mostrato il paradiso
ai santi umili.
Il regno di Dio è in noi (cf. Lc 17,21). Dobbiamo esaminare se il peccato vive in noi.
Quando il padre spirituale dice una parola, il peccato viene bruciato nell’anima e l’anima
sperimenta la libertà e la pace. Se poi l’anima fa penitenza, allora il Signore le fa
conoscere la gioia e la letizia in Dio. Allora il regno di Dio è in noi.
L’anima deve umiliarsi profondamente, in ogni istante, al punto da umiliarsi persino
durante il sonno. I santi amavano umiliarsi e piangere: per questo il Signore li ha amati e
ha concesso loro di conoscerlo. L’amore di Dio si riconosce grazie allo Spirito santo che
vive nella nostra chiesa ortodossa.
Se fossimo umili, il Signore ci farebbe vedere il paradiso ogni giorno. Ma siccome non
siamo umili, dobbiamo lottare e ingaggiare battaglia contro noi stessi: se vinci te stesso,
il Signore ti darà il suo santo aiuto in ricompensa della tua umiltà e della tua fatica.
ALTRI SCRITTI DI SAN SILVANO
LE LACRIME DI ADAMO
Adamo, padre dell’umanità, in paradiso conobbe la dolcezza dell’amore di Dio; così,
dopo esser stato cacciato dal paradiso a causa del suo peccato e aver perso l’amore di
Dio, soffriva amaramente e levava profondi gemiti.
Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi.
La sua anima era tormentata da un unico pensiero: "Ho amareggiato il Dio che amo".
Non l’Eden, non la sua bellezza rimpiangeva, ma la perdita dell’amore di Dio che a ogni
istante attrae insaziabilmente l’anima a Dio.
Così ogni anima, che ha conosciuto Dio nello Spirito santo e ha poi smarrito la grazia,
prova lo stesso dolore di Adamo.
L’anima soffre e si tormenta per aver amareggiato il Signore che ama.
Adamo gemeva, sperduto su una terra che non gli procurava gioia; aveva nostalgia di
Dio e gridava:
"L’anima mia ha sete del Signore, in lacrime lo cerco. Come potrei non cercarlo?
"Quando ero con Dio, l’anima mia si rallegrava nella pace e l’avversario non poteva
farmi alcun male. Ora invece lo spirito malvagio si è impadronito di me e tormenta
l’anima mia. Ecco perché l’anima mia si strugge per il Signore fino a morire e non
accetta conforto alcuno; il mio spirito anela a Dio e nulla di terreno lo consola; ho
desiderio ardente di rivedere Dio (cf. Sal 42,2 ss.), di goderlo fino a saziarmene.
"Nemmeno per un attimo posso dimenticarmi di lui, l’anima mia langue per lui, gemo
dal grande dolore. Abbi pietà di me, o Dio, pietà della tua creatura caduta".
Così gemeva Adamo, e un fiume di lacrime gli solcava il volto, scorreva sul petto e
cadeva a terra. Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi.
Bestie e uccelli erano ammutoliti di dolore.
E Adamo gemeva: per il suo peccato tutti avevano perduto la pace e l’amore.
Grande fu il dolore di Adamo dopo la cacciata dal paradiso, ma più grande ancora
quando vide il figlio Abele ucciso da Caino. Per l’immane sofferenza piangeva,
pensando: "Allora da me usciranno popoli, si moltiplicheranno sulla terra, ma solo per
soffrire tutti, per vivere nell’inimicizia e uccidersi a vicenda".
Come oceano immenso era il suo dolore: solo le anime che hanno conosciuto il Signore
e il suo ineffabile amore possono capirlo.
Io pure ho perso la grazia, e con Adamo imploro: "Abbi pietà di me, Signore. Donami lo
spirito di umiltà e di amore".
Come è grande l’amore del Signore! Chi ti ha conosciuto non si stanca di cercarti, e
giorno e notte grida: "Desidero te, Signore, in lacrime ti cerco. Come potrei non cercarti?
Sei tu che mi hai permesso di conoscerti nello Spirito santo e ora questa divina
conoscenza attira incessantemente la mia anima a te".
Adamo piangeva:
"Il silenzio del deserto,
non mi rallegra.
La bellezza di boschi e prati,
non mi dà riposo.
Il canto degli uccelli,
non lenisce il mio dolore.
Nulla, più nulla mi dà gioia.
L’anima mia è affranta
da un dolore troppo grande.
Ho offeso Dio, il mio amato.
E se ancora il Signore
mi accogliesse in paradiso,
anche là piangerei e soffrirei.
Perché ho amareggiato il Dio che amo".
Adamo, cacciato dal paradiso, sentiva sgorgare dal cuore trafitto fiumi di lacrime. Così
piange ogni anima che ha conosciuto Dio e gli dice:
"Dove sei, Signore?
Dove sei, mia luce?
Dove si è nascosta la bellezza del tuo volto?
Da troppo tempo l’anima mia
non vede la tua luce,
afflitta ti cerca.
Nell’anima mia non lo vedo. Perché?
In me non dimora. Cosa glielo impedisce?
In me non c’è l’umiltà di Cristo
né l’amore per i nemici".
Sconfinato, indescrivibile amore: questo è Dio.
Adamo andava errando sulla terra: nel cuore lacrime amare, la mente continuamente in
Dio. E quando il corpo esausto non aveva più lacrime da piangere, era lo spirito ad
ardere per Dio, non potendo dimenticare il paradiso e la sua bellezza. Ma l’anima di
Adamo amava Dio più di ogni altra cosa e, forte di questo amore, a lui incessantemente
anelava.
Adamo, di te io scrivo; ma tu vedi che troppo debole è la mia mente per capire l’ardore
del tuo desiderio di Dio e il peso della tua penitenza.
Adamo, tu vedi quanto io, tuo figlio, soffro sulla terra. In me non c’è più fuoco ormai, la
fiamma del mio amore si sta spegnendo.
Adamo, canta per noi il cantico del Signore: l’anima mia esulti di gioia nel Signore (cf.
Lc 1,47), si levi a cantarlo e glorificarlo, come nei cieli lo lodano i cherubini, i serafini e
tutte le potenze celesti.
Adamo, nostro padre, canta per noi il cantico del Signore: tutta la terra lo senta, tutti i
tuoi figli levino i loro cuori a Dio, gioiscano al dolce suono dell’inno del cielo,
dimentichino le sofferenze della terra.
Adamo, nostro padre, narra il Signore a noi, tuoi figli! L’anima tua conosceva Dio,
conosceva la dolcezza e la gioia del paradiso. E ora tu dimori nei cieli e contempli la
gloria del Signore.
Narraci come il Signore nostro è glorificato per la sua passione, come vengono cantati i
cantici in cielo, come sono dolci gli inni proclamati nello Spirito santo.
Narraci la gloria di Dio, quanto è misericordioso, quanto ama la sua creatura.
Narraci della santa Madre di Dio, quanto è esaltata nei cieli, quali inni la proclamano
beata.
Narraci come gioiscono i santi lassù, come risplendono di grazia, come amano il
Signore, con quale santa umiltà stanno davanti al suo trono.
Adamo, consola e rallegra le nostre anime affrante.
Narraci: cosa vedi nei cieli?
Non rispondi?
Perché questo silenzio?
Eppure, la terra intera è avvolta di sofferenza.
Tanto ti assorbe l’amore divino da non poterti ricordare di noi?
Oppure vedi la Madre di Dio nella gloria e non puoi distogliere gli occhi da quella
celeste visione e per questo lasci i tuoi figli nella desolazione, orfani di una parola di
affetto? È per questo che non ci consoli e non ci permetti di scordare le amarezze della
nostra vita terrena?
Adamo, nostro padre, non rispondi?
Il dolore dei tuoi figli sulla terra tu lo vedi.
Perché dunque questo silenzio? Perché?
Adamo risponde:
"Figli miei, amati, non turbate la mia pace. Non posso distogliermi dalla visione di Dio.
L’anima mia, ferita dall’amore del Signore, si delizia della sua bontà. Chi vive nella luce
del volto del Signore non può ricordarsi delle cose terrene".
Adamo, nostro padre, hai forse abbandonato noi, tuoi figli ormai orfani? Ci hai lasciati
immersi nell’abisso dei mali della terra?
Narraci: come piacere a Dio?
Ascolta i tuoi figli dispersi sulla terra: il loro spirito si disperde nei pensieri del loro
cuore (cf. Lc 1,5 1) e non può accogliere la divinità. Molti si sono allontanati da Dio,
vivono nelle tenebre e camminano verso gli abissi dell’inferno.
"Non turbate la mia estasi. Contemplo la Madre di Dio nella gloria e non posso distrarre
la mente da questa visione per parlare con voi. Contemplo anche i santi profeti e apostoli
e sono pervaso di stupore perché li vedo in tutto simili al Signore Gesù Cristo, Figlio di
Dio.
"Cammino nell’Eden e ovunque contemplo la gloria del Signore: egli vive in me e mi ha
reso simile a lui. A tal punto il Signore glorifica l’uomo!".
Adamo, parla con noi! Siamo tuoi figli e qui sulla terra soffriamo.
Narraci come ereditare il paradiso, affinché noi pure, come te, possiamo contemplare la
gloria del Signore. Le anime nostre soffrono per la lontananza dal Signore, mentre tu nei
cieli ti rallegri ed esulti nella gloria divina.
Ti supplichiamo: consolaci!
"Figli miei, perché gridate a me?
"Il Signore vi ama e vi ha dato i comandamenti della salvezza. Osservateli, soprattutto
amatevi gli uni gli altri (cf. Gv 13,34): così troverete riposo in Dio. In ogni istante
pentitevi dei vostri peccati: così sarete ritenuti degni di andarvene incontro a Cristo. Il
Signore ha detto: ‘Amo quelli che mi amano’ (cf. Gv 14,21) e ‘glorificherò quelli che mi
glorificano’ (1Sam 2,30)".
Adamo, prega per noi, tuoi figli!
L’anima nostra è oppressa da molti mali.
Adamo, nostro padre, nei cieli tu contempli il Signore che è seduto nella gloria alla
destra del Padre; vedi i cherubini, i serafini e i santi tutti; ascolti canti celesti e l’anima
tua è rapita da tanta dolcezza. Ma noi, quaggiù, esclusi dalla grazia, siamo costantemente
afflitti e abbiamo sete di Dio.
Si estingue in noi il fuoco dell’amore del Signore, siamo oppressi dal peso delle nostre
colpe. Una tua parola ci sia di conforto; canta a noi un canto che ascolti nei cieli: lo senta
la terra intera e gli uomini tutti dimentichino le loro miserie.
Adamo, la tristezza ci opprime!
"Figli miei, non turbate la mia pace. Passato è il tempo delle mie sofferenze. Nella
dolcezza dello Spirito santo e nelle delizie del paradiso, come ricordarmi della terra?
"Questo solo vi dirò: Il Signore vi ama: vivete nell’amore! ‘Obbedite ai vostri superiori’
(Eb 13,17), umiliate i vostri cuori.
"Lo Spirito di Dio allora porrà la sua tenda in voi (cf . Gv 1,14). Viene nella quiete e
all’anima dona pace; muto (cf. Sal 19,4), testimonia la sua salvezza.
"Cantate a Dio con amore e umiltà di spirito: di questo si rallegra il Signore".
Adamo, nostro padre, che fare?
Cantare, cantiamo. Ma in noi né amore né umiltà.
"Pentitevi davanti al Signore, e pregate. Concederà ogni cosa agli uomini che tanto ama
(cf. Gv 3,16). Anch’io mi sono pentito e ho sofferto per aver amareggiato il Signore,
perché per i miei peccati la pace e la gioia erano state tolte dalla faccia della terra. Un
fiume di lacrime solcava il mio volto, mi scorreva sul petto e cadeva a terra; il deserto
intero riecheggiava dei miei singhiozzi. Non potete penetrare l’abisso della mia
afflizione, né il mio pianto a causa di Dio e del paradiso. In paradiso ero felice: lo Spirito
di Dio mi colmava di gioia, mi preservava libero da sofferenze.
"Ma, cacciato dal paradiso,
fiere e uccelli, che prima mi amavano,
presero a temermi e a fuggire lontano;
pensieri malvagi mi laceravano il cuore;
freddo e fame mi tormentavano;
il sole mi bruciava,
il vento mi sferzava,
la pioggia mi inzuppava:
ero sfinito dalle malattie
e da tutte le disgrazie della terra.
Ma tutto sopportavo, sperando in Dio
contro ogni speranza (cf. Rm 4,18).
"Figli miei, sopportate anche voi le fatiche della penitenza; amate le afflizioni;
sottomettete il corpo con l’ascesi e la sobrietà; umiliatevi e amate i nemici (cf. Mt 5,44):
lo Spirito santo dimorerà in voi. Allora conoscerete e troverete il regno di Dio.
"Ma non turbate la mia pace. Per l’amore di Dio non posso ricordarmi della terra. Ho
dimenticato tutte le cose terrene, persino lo stesso paradiso da me perduto, perché
contemplo la gloria eterna del Signore e la gloria dei santi che risplendono della stessa
luce del volto di Dio".
Adamo, canta per noi, cantaci il canto celeste: la terra intera lo ascolti e goda della pace
di Dio. Sono inni soavi, cantati nello Spirito santo e noi desideriamo ascoltarli.
Adamo aveva perduto il paradiso terrestre. In lacrime lo cercava: