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Scritti d'arte sul francescanesimo meridionale

Jan 25, 2023

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Attilio Spanò

Scritti d’arte sul francescanesimo

meridionale

Rubbettino2010

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© 2010 - Rubbettino Editore88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - Tel. (0968) 6664201

www.rubbettino.it

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I tre saggi pubblicati nel presente volume, concepiti in tempi di-versi ma tutti affrontanti il tema dell’arte e dell’architettura minoriticanella Calabria, si prefiggono di proporre una nuova chiave di letturadell’identità dei frati francescani meridionali rintracciando, conse-guentemente, la ragion d’essere delle loro manifestazioni artistiche earchitettoniche.

Evitando di considerare, quindi, il francescanesimo calabrese co-me un unicum nel panorama culturale minoritico in questo volume sicercherà di mettere in relazione le esperienze dei frati meridionali siacon quelle delle altre regioni d’Italia sia con altre presenze monasticheesistenti sul territorio.

Proprio al fine di individuare questa serie di connessioni, il volumesi apre con una rilettura dei rapporti tra il Liber figurarum di Gioacchi-no da Fiore e lo sviluppo del minoritismo nel Regno di Napoli e in Ca-labria. L’esperienza dell’Abate florense, la cui rilettura del mondo perfigura diventa patrimonio del mondo culturale medievale, viene identi-ficata sia come un momento di mediazione e sintesi tra la mistica orien-tale (in cui è forte la componente antropomorfa per la contemplazionedelle verità invisibili) e ratio cistercense, che come punto di partenzaper una conoscenza, seppur fin troppo spesso travisata, del messaggiogioachimita da parte delle frange più radicali dei frati francescani, chepoi svilupperanno esperienze eterodosse in seno al movimento minori-ta presso la Corte angioina di Napoli.

Strettamente collegato al primo saggio, il secondo studio si prefig-ge lo scopo di rintracciare un filo rosso di collegamento, non solo teori-

Introduzione

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co ma anche architettonico, tra le esperienze spirituali medievali e lanuova fraternità cappuccina che, mossa da un forte spirito pauperisti-co, nasce all’interno della comunità dell’Osservanza francescana. Con-centrando l’attenzione su questo ultimo aspetto, sulla necessità dichia-rata apertamente dai Cappuccini di tornare alle origini del messaggiofrancescano, lo studio si svolge attraverso l’analisi delle forme architet-toniche dei francescani cinque e secenteschi a confronto con le struttu-re delle comunità osservanti e di quelle conventuali. L’ipotesi che siavanza, quindi, è quella che porta alla possibilità di riconoscere nelleforme architettoniche spirituali napoletane e regnicole del XIV secolo,i prototipi delle picciol chiese cappuccine e, conseguentemente, di indi-viduare nel movimento pauperistico francescano cinquecentesco le ul-time propaggini dello spiritualismo medievale sviluppatosi presso laCorte di Napoli.

Quasi a conclusione dell’iter tracciato nei primi due saggi, il terzoscritto propone una lettura parallela della necessità di perseguire lapaupertas nell’ambiente minoritico e di quella di non abbandonare mail’attenzione verso l’Eucarestia. Concentrato essenzialmente sul movi-mento cappuccino, il saggio propone una lettura degli organismi ar-chitettonici calabresi inserendo gli stessi nel novero delle forme edili-zie codificate da P. Antonio da Pordenone agli albori del XVII secolo eindividuando un legame forte con la medesima ossessione verso la pau-pertas e verso il Corpo di Cristo nel francescanesimo delle primissimegenerazioni.

La sintesi perfetta tra paupertas e adorazione del Corpo di Cristotrova compiutezza poi nei Tabernacoli lignei che, posti sull’altare mag-giore, e in stretta connessione col convento totalmente dipendente dal-la struttura ecclesiastica, assumono valore di perno in un edificio mos-so da un profondo dinamismo mistico.

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Lo studio più completo, almeno dal punto di vista storico-artistico,delle immagini del Liber figurarum di Gioacchino da Fiore, appare anco-ra adesso quello svolto da Antonio Cadei nel 1979 al Primo CongressoInternazionale di Studi Gioachimiti1. A prescindere, infatti, dalle indagi-ni volte ad avvalorare ipotesi attributive o datazioni presunte del mano-scritto, l’intuizione dello studioso circa il legame da rintracciare tra i dia-grammi del Liber e le architetture florensi è rimasta un punto fermo pergli studi storico artistici sul tema2.

La giusta distinzione operata, però, da Troncarelli nel 1999, al 5°Congresso Internazionale di Studi Gioachimiti, tra gioachimiti e gioachi-misti, in cui lo studioso identificava i primi come i seguaci fedeli di Gioac-chino, che – citando le testuali parole – «riprendono con scrupolo gli in-segnamenti del maestro, cercando di modificarli il meno possibile oppu-re solo di aggiornarli con interventi limitati e circoscritti» e i secondi co-me «seguaci fedeli solo ad alcune convinzioni generali del grande teologoma pronti a rielaborare in senso creativo il suo messaggio, anche a rischiodi fraintendere o modificarne in senso vistoso molte parti», nonché i rico-

Capitolo primo

Gioachimismo e Francescanesimo:il ruolo del Liber figurarum nella nascita

dell’architettura francescana nel Meridione d’Italia

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1 A. CADEI, La chiesa figura del mondo, in Storia e messaggio in Gioacchino daFiore, Atti del 1° congresso di studi gioachimiti, Abbazia Florense, San Giovanni inFiore, 1978, Centro di Studi Gioachimiti, San Giovanni in Fiore 1980, pp. 301-365.

2 L. TRONCARELLI, Il Liber figurarum tra “gioachimiti” e “gioachimisti”, in, Gioac-chino da Fiore tra Bernardo di Clairvaux e Innocenzo III, Atti del 5° Congresso interna-zionale di studi gioachimiti a cura di R. RUSCONI, San Giovanni in Fiore – 16-21 set-tembre 1999, Roma 2001, pp. 265-286.

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nosciuti larghi contatti tra i florensi e i Frati Minori francescani, portanonon solo a riconoscere eventuali gioachimismi nel mondo minoritico me-ridionale ma, principalmente, a rivisitare le conclusioni cui Cadei stessoarrivava nel suo fondamentale studio prima citato3.

Nonostante, infatti, ritrovasse tracce dell’esperienza florense nellafondazione della chiesa di San Francesco di Cortona – riconoscendo laripresa, almeno dal punto di vista icnografico, della spazialità dell’ab-baziale calabrese nella cruda linearità dell’aula minoritica toscana co-perta a tetto conclusa da scarselle absidali voltate – lo stesso studioso,tendeva a sottolineare – e con ragione – la distanza concettuale tra ilparticolare assembramento delle cappelle absidali di San Giovanni inFiore (Figura 1) e la usuale disposizione in modo parallelo (di tipo ci-stercense) delle absidi di Cortona4 (Figura 2).

Tale distanza risultava evidente proprio nella diversa carica seman-tica identificante le due strutture ecclesiastiche. Infatti, mentre l’abba-ziale calabrese riproponeva in architettura lo schema realizzato per “fi-gura” del nuovo ordine monastico di Gioacchino (esplicato dal Dia-gramma XII) indicando nella struttura della chiesa la struttura delmondo5, ciò che si riconosceva a Cortona era, in realtà, solo una meraripresa tipologica dell’abbazia calabrese, scevra da qualsiasi contami-nazione teologica, in quanto francescanamente semplificata.

Ora però, se tale semplificazione francescana (intendendo con essala presa di distanza da un apparato teologico e teorico volto a glossarela Parola evangelica), si palesa nella chiesa toscana, tanto da riconosce-re in essa il prototipo per le cosiddette “chiese-fienile”, nel centro enord-Italia, l’avanzamento degli studi sul francescanesimo ha sottoli-neato la necessità di riconoscere particolarismi culturali e, necessaria-mente, costruttivi propri dell’Ordine minoritico6. Ciò porta all’estra-

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3 Si sottolinea qui come la permeazione di idee eterodosse, frutto di una cattiva in-terpretazione del messaggio di Gioacchino da Fiore, presso le fila dei minori più radi-cali, fosse fondamentale anche per la concezione dello spazio di culto di questi ultimi enon possa risolversi solo in una più o meno riconosciuta influenza meramente architet-tonica. Cfr. A. SPANÒ, Insediamenti francescani nella Calabria di età angioina. Il para-digma Gerace, Soveria Mannelli 2007.

4 A. CADEI, La chiesa di San Francesco in «Storia della città», n. 9, 1978, pp. 16 e ss.5 Cfr. CADEI, La chiesa figura, cit., pp. 301-365.6 Per un approccio all’architettura francescana dal punto di vista semantico si ri-

manda ai fondamentali studi di A.M. ROMANINI, L’architettura degli ordini mendicanti,

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Figura 1 - Cortona. Chiesa di San Francesco, Interno

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Figura 2 - San Giovanni in Fiore, Chiesa abbaziale, Interno

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polazione della situazione francescana meridionale, gravitante attornoalla Corte angioina di Napoli, dal contesto più ampiamente umbro-marchigiano e toscano7.

Esemplare in questo caso appare la rilettura di Caroline Bruzeliusdella chiesa di Santa Chiara a Napoli, frutto diretto della corte parte-nopea, nel caso specifico di Sancia di Majorca e di Roberto il Saggio8.La studiosa americana, infatti, riconoscendo nel Diagramma XVII delLiber figurarum di Gioacchino, rappresentante le Sette età del mondo ola Clarificatio Spiritus Sancti (Figura 3) il prototipo planimetrico dellachiesa francescana napoletana (Figura 4) e individuando nella stessaCorte la presenza attiva di personalità appartenenti a frange di Frati-celli provenienti dalla Spagna, dimostrava come fosse necessario anda-

nuove prospettive di interpretazione, in «Storia della Città», n. 9, 1978, pp. 5-16; EAD., Iprimi insediamenti francescani: tracce per uno studio, in Il Francescanesimo in Lombar-dia: storia e arte, Milano, 1983, pp. 17 e ss.; EAD., Tracce per una storia dell’architetturagotica a Spoleto, in Atti del 9º congresso internazionale di studi dell’Alto Medioevo,Spoleto, 27 settembre- 2 ottobre 1982, Spoleto, 1983, pp. 713-737; EAD., Il francesca-nesimo nell’arte: l’architettura delle origini, in Francesco, il francescanesimo e la culturadella nuova Europa, Atti del Convegno Internazionale a cura di I. BALDELLI, A.M. RO-MANINI, Roma 1982, (Acta Encyclopedica, 4), Roma 1986, pp. 182 e ss. Per una sottoli-neatura dei linguaggi regionali dell’architettura francescana si rimanda a C, BOZZONI,Le tipologie, in Francesco d’Assisi. Chiese e conventi, a cura di R. BONELLI, Milano1982, pp. 143-149; ID., L’edilizia dei Mendicanti in Europa e nel bacino del Mediterra-neo, in Lo spazio dell’umiltà, Atti del convegno di studi sull’edilizia dell’Ordine dei mi-nori, Fara Sabina, 3-6 Nov. 1982. Centro francescano S. Maria del Castello, 1984, pp.275-326 e ID., Osservazioni sui procedimenti costruttivi e su alcune soluzioni tecniche inedifici mendicanti dell’Umbri, in Gli ordini mendicanti e la città. Aspetti architettonici,sociali e politici, a cura di J. RASPI SERRA, Milano 1990, pp 133-150. Dal punto di vistaconcettuale tale eterogeneità sembra far parte del pensiero forte di Francesco stesso,così come appare dall’esortazione di costruire secundum morae loci patriae, che, in ulti-ma istanza, porterebbe alla possibilità di non riconoscere una vera e propria architet-tura francescana, ma piuttosto “dei francescani”. Cfr. A. CADEI, Architettura mendi-cante: il problema di una definizione tipologica, in «Storia della città», n. 26-27, 1984,pp. 21-32; M. RIGHETTI TOSTI-CROCE (convegno di Gerace 2006).

7 Per questa necessaria distinzione si rimanda a Spanò, Insediamenti francescani, cit.8 Cfr. C. BRUZELIUS, Queen Sancia of Mallorca and the Convent Church of Sta Chia-

ra in Naples, in «Memoirs of the American Academy in Rome», Volume XL, (1995),pp. 69-100, e EAD., Le pietre di Napoli. L’architettura religiosa nell’Italia angioina,1266-1343, Roma 2005, pp. 150-175.

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Figura 3 - Gioacchino da Fiore, Liber figurarum «Clarificatio Spirito Sancto», Tav. XVIII(Reggio Emilia, Biblioteca del Seminario, cod. R1)

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Figura 4 - Napoli. Santa Chiara. Pianta. Tratta da C. Bruzelius, Le pietre di Napoli. L’ar-chitettura religiosa nell’Italia angioina, 1266-1343, Roma 2005, pp. 150-175.

re ben oltre alla constatazione di un semplice contatto “tipologico” trale architetture florensi e quelle francescane9. La presenza di una sortadi vera e propria setta di Fraticelli, legati alla stessa Sancia, presso lacorte napoletana indicava, infatti, una chiara contaminazione teoricatra queste frange estreme del movimento minoritico e i gioachimiti (ogioachimisti?), concretizzantesi proprio nella scelta architettonica diSanta Chiara a Napoli10 (Figura 5).

Tralasciando l’analisi della particolare situazione culturale venuta-si a creare a Napoli all’indomani della canonizzazione di Ludovico di

9 Per una rilettura dei contatti tra gioachimiti (o gioachimisti) e francescani pressola Corte angioina si affianchi all’opera della Bruzelius citata, lo studio di SPANÒ, Inse-diamenti francescani, cit.

10 l rapporto tra la chiesa di Santa Chiara e il diagramma XVIII sembra superare lamera ispirazione risultando, invece, il punto di riferimento principale dei committentidella chiesa partenopea, riconosciuti nei membri della Corte angioina. Il problema scot-tante è affrontato da R. PACIOCCO, Angioini e “spirituali”. I differenti piani cronologici e te-matici di un problema in. L’État Angevin: pouvoir, culture et société entre XIIIe et XIVe siè-cle. Actes du colloque internationale organisé par l’American Academy in Rome, ÉcoleFrançaise de Rome, l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, l’U.M.R. Telemme et l’Uni-versité de Provence, l’Università degli Studi di Napoli, “Federico II”, Rome – Naples, 7-11 novembre 1995, Roma 1998, pp. 253-257, e, dal punto di vista architettonico, come giàvisto da BRUZELIUS, Queen Sancia,, pp. 69-100,EAD., Le pietre di Napoli, cit., pp. 150-175,Per quanto riguarda la distinzione tra gioachimiti e gioachimisti si rimanda a TRONCAREL-LI, Il Liber figurarum, cit, pp. 265-286.

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Figura 5 - Napoli. Santa Chiara. Interno

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Tolosa, è però necessario identificare il francescanesimo cortese parte-nopeo come movimento veramente “al limite” rispetto alla Chiesa Cat-tolica Romana. Esso, raccolto attorno alla figura di Michele da Cesena,si poneva in modo fortemente critico nei riguardi delle scelte di Gio-vanni XXII, che tendevano a screditare la forza della scelta pauperisti-ca francescana e, dovendo necessariamente sottolineare l’aderenza allabolla di Nicolò III – Exit qui seminat – risultavano fin troppo vicini almovimento estremamente pauperistico degli Spirituali. La conseguen-za di questo atteggiamento era la nascita di un movimento assoluta-mente indipendente da quello di ceppo umbro-marchigiano e squisita-mente meridionale, detto “Michelista”11.

Ora proprio questa riconosciuta identità del francescanesimo me-ridionale trecentesco permette di rivedere le conclusioni di AntonioCadei, circa le effettive influenze, non solo architettoniche, sul mondominoritico da parte del movimento gioachimita.

All’origine dei radicalismi spirituali francescani è certamente unacattiva interpretazione del messaggio dell’Abate di Fiore. La concezio-ne ternaria della storia da lui teorizzata e dimostrata nei suoi scritti,volta all’attesa di una quarta età di rinnovamento, che interessasse l’in-tera società e non solo quella dei chierici, sembrava non solo dovesserealizzarsi in un’epoca molto vicina alla sua vita terrena ma, principal-mente, trovare compimentonell’avvento di un novus ordo:un ordine dizoccolanti, invasi di una grande carica spirituale, nel quale si ricono-scevano, senza mezzi termini, i frati minori12.

Pur non essendo questa la sede per analizzare le modalità di pene-trazione delle idee di Gioacchino nelle fila dei Francescani, è necessa-rio, per una giusta comprensione degli effetti di questo incontro, nonsolo riconoscere le tracce del pensiero gioachimita nelle scelte degliSpirituali ma anche intendere il cosiddetto francescanesimo di corte an-gioino come un frutto concreto, anche in senso architettonico, di talecontaminazione e foriero di inaspettati sviluppi all’interno dell’Ordinestesso. Tale esperienza francescana partenopea, infatti, da considerarealla fine del regno di Roberto e Sancia, non più eretica ma eterodossa,

11 Cfr. PACIOCCO, Angioini e “spirituali”, cit., pp. 253-257 e SPANÒ, Insediamentifrancescani, cit.

12 Per questo complesso problema di rapporti si veda G. BARONE, Da frate Eliaagli Spirituali, Milano 1999.

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esaurendo la sua vis polemica nei confronti della Chiesa romana, sem-bra sfociare proprio nel primo dei movimenti minoritici volti al ritornoall’esperienza di Francesco ma pienamente rientranti nell’ortodossiacattolica, ovvero quello dell’Osservanza, della fine del XIV secolo13.

Attraverso un’indagine retrospettiva, partendo proprio da questaevidente forza della scelta pauperistica di origine napoletana nelle filadel francescanesimo regolare, appare chiaro come sia stata proprio l’e-sperienza florense a segnare gli sviluppi eterodossi del francescanesi-mo meridionale. Al di là del palesamento negli eccessi spesso incom-prensibili delle strutture come Santa Chiara a Napoli, la circolazione diidee gioachimiste diventa un punto di riferimento costante per quellearchitetture che pur non sembrando distanti dalle codificazioni mino-ritiche (laddove esse esistessero), centritaliane, ad una più approfondi-ta indagine dichiarano una genesi ed un punto d’arrivo diverso, e spes-so diametralmente opposto, a quello individuabile come direttamentecollegato alla scelta del sine glossa francescano.

Tale asserzione porta ad individuare la genesi di questo mutamen-to semantico proprio nella vicinanza, quasi aderenza, del francescane-simo meridionale al gioachimismo; meglio ancora, nella presenza sot-terranea e sottile ma forte tanto da intervenire nelle manifestazioni mo-numentali, dell’eresia spiritualista nel Regno, divenuta “eterodossiad’opinione” con i Michelisti.

Laddove si afferma la presenza positiva e volitiva dei francescani aCorte, prima nella immensa politica costruttiva di Carlo II d’Angiò epoi nell’esperienza michelista sotto Roberto e Sancia, ecco che è possi-bile avanzare l’ipotesi che tutta l’architettura minoritica meridionaledipenda dall’esperienza florense, diventando, addirittura il veicolo piùforte per la circolazione delle idee dell’abate, in un certo senso annac-quate rispetto alle origini, ma tali da mutare le sorti semantiche dell’ar-chitettura francescana14.

La sovrapponibilità totale riconosciuta tra il diagramma XVII del Li-ber figurarum e la concezione planimetrica della chiesa di Santa Chiara,

13 Sugli eventuali sviluppi, qui solo ipotizzati, dello “spiritualismo di opinione”nelle fila dell’Osservanza francescana si veda: L. PELLEGRINI, «Che sono queste no-vità?». Le religiones novae nell’Italia meridionale (secoli XIII-XIV), Napoli 1999.

14 Cfr. SPANÒ, Insediamenti francescani, cit. e ID., Sulle tracce dei Minori a Gerace.Dai primi insediamenti alla chiesa di San Francesco, in «Bollettino d’Arte», 137-138 –Luglio-Dicembre 2006, pp. 27-62.

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dimostra la portata della circolazione, in ambienti cortesi e francescani,delle idee legate all’attesa dell’avvento dell’Età dello Spirito da parte diGioacchino. Contemporaneamente, però, la svolta in senso più stretta-mente pauperistico-spirituale dell’architettura napoletana, sotto RobertoII, totalmente estranea a sperimentazioni francesi e piuttosto volta, dauna parte, ad una semplificazione delle strutture e da un’altra a dare unasempre maggiore importanza all’elemento luminoso, appare slegata dauna ripresa puntuale di canoni sine glossa di ambienti assisiati proponen-do, invece, un contatto forte con la concezione anagogica della luce e de-gli spazi, assolutamente florense15 (Figure 6-8).

15 Per una analisi approfondita di questa ipotesi si rimanda a Spanò, Insediamentifrancescani, cit.

Figura 6 - Napoli. Duomo. Pianta.

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Figura 7 - Cattedrale di Lucera. Pianta

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Figura 8 - Napoli. Chiesa di S. Pietro a Majella. Pianta

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Proprio su questa falsariga sono, quindi, leggibili le architettureminoritiche meridionali che, impiantandosi su un terreno vicino a di-scussioni teologiche spinte, di cui il movimento florense si poneva co-me una sorta di capofila, sono necessariamente da porre a latere rispet-to alle contemporanee esperienze sia italiane che europee.

Al di là, infatti, della semplice constatazione della sempre più fortetendenza alla semplificazione spaziale e decorativa, propria dell’archi-tettura d’inizio ’300 nel Regno di Napoli, la novità più eclatante dellescelte minoritiche nel medesimo ambiente culturale, quella che por-terà alle prese di distanza dalle medesime scelte centritaliane, è la vo-lontà di riproporre, nelle organizzazioni spaziali e planimetriche, glischemi gioachimiti rivelanti per figura la struttura delle visioni dell’A-bate di Fiore, e quindi atte a rendere visibile la struttura dell’Invisibilee, nel caso specifico, della Trinità e dell’Ordine del creato16.

Le immagini del Liber figurarum di Gioacchino da Fiore rappre-sentano la sintesi del pensiero del grande mistico calabrese, prodottodell’unione tra una cultura ancora fortemente impregnata di religiositàgreco-bizantina e le speculazioni teologiche squisitamente occidentalilegate alla formazione cistercense dello stesso17 (Figure 9, 10).

Affondando nella concezione neoplatonica del mondo, dove è ne-cessario riconoscere nelle immagini visibili le tracce della divinità, al-trimenti inintelligibile, le figure di Gioacchino da Fiore rappresentanoanche l’iter formativo culturale dell’Abate, indirizzato alla vita mona-stica dai monaci cistercensi ma geneticamente legato alla cultura italo-greca certamente calabrese18.

16 Cfr. SPANÒ, Insediamenti francescani, cit.17 Per gli studi su Gioacchino da Fiore, e in particolare sul Liber figurarum, si ri-

manda a F. TRONCARELLI, Il Liber figurarum, cit., pp. 265-286.18 Per la formazione e l’ideale monastico di Gioacchino si veda: S.E. WESSLEY,

Joachim of Fiore and Monastic Reform, New York 1990 (American University Studies,Ser. VII. Theology and religion, 72), ripreso da G. L. POTESTÀ, Gioacchino riformatoremonastico nel «Tractatus de vita sancti Benedicti» e nella coscienza dei primi florensi in«Florensia», 6 (1992), pp. 73 – 93; E. PÁSZTOR, Ideale del monachesimo ed età dello Spi-rito come realtà spirituale e forma di utopia, in L’età dello Spirito e la fine dei tempi inGioacchino da Fiore e nel gioachimismo medievale, Atti del II Congresso internazionaledi studi gioachimiti, a cura di A. CROCCO, San Giovanni in Fiore – Luzzi – Celico, 6-9settembre 1984, San Giovanni in Fiore 1986, pp. 57-124; EAD., Gioacchino da Fiore:un cistercense meridionale, in I cistercensi nel Mezzogiorno medievale, Atti del Conve-gno internazionale di studio in occasione del IX centenario della nascita di Bernardo

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Figura 9 - Gioacchino da Fiore, Liber figurarum, «Contrasto tra Roma e Babilonia», Tav.XVII (Reggio Emilia, Biblioteca del Seminario, cod. R1)

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Figura 10 - Gioacchino da Fiore, Liber figurarum, «I cerchi trinitari», (Reggio Emilia,Biblioteca del Seminario, cod. R1)

Analizzando la produzione filosofica e, quindi, figurativa dell’Aba-te florense, tenendo presenti queste realtà culturali, appare chiaro chele figurae di Gioacchino, non sono la mera illustrazione di un concettoma “sono” il concetto stesso19. Rendono visibile ciò che sarebbe perce-pibile solo con uno scatto mistico, esaltano per figura ciò che potrebbeessere accettato solo per dogma.

Tale modo di rendere visibile l’invisibile è proprio, in realtà, delmondo cristiano, e specificatamente di quello orientale, che afferma lanecessità di riprodurre le sembianze di Dio in forma antropomorfica

di Clairvaux, a cura di H. HOUBEIN e B. VETERE, Martano – Latiano – Lecce, 25-27febbraio, 1991, Galatina 1994, pp. 175-186, con aggiornamento bibliografico sull’ar-gomento; H. GRUNDMANN, Gioacchino da Fiore. Vita e opere, Roma, 1997, pp. 145 ess.; G. PICASSO, Gioacchino e i cistercensi, in Gioacchino da Fiore tra Bernardo di Clair-vaux e Innocenzo III, Atti del Vcongresso internazionale di studi gioachimiti, a cura diR. RUSCONI, San Giovanni in Fiore, 16 – 21 settembre 1999, Roma 2001, pp. 93-104.

19 Si rimanda all’analisi del Liber figurarum di L. TONDELLI, M. REEVES, B. HIR-SCH – REICH, Il Libro delle figure dell’Abate Gioacchino da Fiore,II ed., 2 voll., Torino1953, rist. Torino 1990; CADEI, La chiesa figura del mondo, cit., pp. 301-365; TRONCA-RELLI, Il Liber figurarum, cit., pp. 267-286.

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20 Cfr. CADEI, La chiesa figura del mondo, cit., pp. 301-365.21 Per il rapporto tra le immagini del Liber figurarum e l’architettura florense si ri-

manda al saggio di CADEI, La chiesa figura del mondo, cit., pp. 301-365 e alla ripresadello stesso in A. SPANÒ, L’architettura florense e l’eredità francescana in L’Esperienzamonastica florense e la Puglia, a cura di C.D. FONSECA, Atti del Convegno Nazionale diStudio, Bari, Laterza, Matera, 20-22 maggio 2005, Roma2007, pp. 83-123.Per i contat-ti tra florensi e francescani si rimanda a G. BONDATTI, Gioachimismo e francescanesimonel Dugento, Santa Maria degli Angeli 1924; G. BARONE, Da frate Elia agli Spirituali,Milano 1999. Per quanto riguarda, invece, i rapporti plausibili tra l’architettura floren-

nell’Icona: non una mera illustrazione di un testo ma rappresentante lavera realtà ultraterrena e il vero aspetto del Santo raffigurato. InGioacchino, però, la rappresentazione per figura della realtà invisibilenon è raggiunta attraverso il ricorso all’antropomorfismo ma, con unasorta di sottolineatura dell’identità tra segno e simbolo, tra rimandoanagogico e percezione empirica, l’epifania della realtà divina è resacertamente per figura, ma per figure che dimostrano la struttura intimadell’invisibile in una sintesi geometrica astratta, di chiara matrice ci-stercense20.

In questa scelta è percepibile tutta la novità del pensiero gioachi-mita, volto alla necessità di esporre in forma nuova l’immagine delmondo per figura, attraverso cioè la ricerca di una sintesi tra antropo-morfismo bizantino e geometrismo cistercense. Essa scelta si dispieganon solo nelle decorazioni miniate del Liber figurarum, ma si monu-mentalizza anche nella progettazione degli spazi della vita monastica equindi, e in maniera ancora più eclatante, nella definizione degli spazidel culto.

Così come accadeva per le strutture bizantine, ove lo spazio misu-rabile cessava di esistere per lasciare il posto ad una realtà inintelligibi-le perché propria di Dio, allo stesso modo le chiese florensi concretiz-zano la visione del mondo e dell’umanità che Gioacchino stesso ha. Es-sa si realizza anche attraverso una precisa distribuzione e semantizza-zione degli spazi fruibili dai religiosi e dal popolo; ecco quindi il riaf-fiorare di concezioni anagogiche di chiara origine cistercense, mirabil-mente legate a simbologie e radicalismi pauperistici italo-greci che, inuna sintesi mai raggiunta prima d’ora diventano il punto di riferimentoper le architetture dell’ordine che maggiormente si riconosceva nellastruttura monastica di Gioacchino, ovvero quello francescano21 (Figu-re 11-14).

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Figura 11 - Gioacchino da Fiore, Liber figurarum, «Dispositivo novi ordinis», Tav. XII(Reggio Emilia, Biblioteca del Seminario, cod. R1)

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Figura 12 - San Giovanni in Fiore, Chiesa abbaziale, Pianta tratta da P. Lopetrone, LaChiesa Abbaziale Florense di San Giovanni in Fiore, Cosenza, 2002

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Figura 13 - Altomonte. Chiesa di Santa Maria della Consolazione. Pianta (Tratta da C. A.Willemsen, D. Odenthal, Calabria, destino di una terra di transito, Bari, 1967)

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Riprendendo, per concludere, la prima felicissima intuizione diAntonio Cadei, volta al ritrovamento dello schema del diagramma XIIdel Liber figurarum, rappresentante la Dispositio novi ordinis pertinen-tis ad tercium statum ad instar superne Ierusalem,nell’organizzazionespaziale florense, caratterizzata dal transetto chiuso, e facendo riferi-mento alla straordinaria scoperta della medesima trasposizione monu-mentale florense in ambiente francescano a Napoli della Bruzelius, sipuò affermare che la presenza dei diagrammi gioachimiti si ritrova intutte le architetture francescane meridionali. Essi, differentemente daquanto sembrava configurarsi quasi trenta anni fa, non possono essereintesi solo come schizzi planimetrici da seguire ma si configurano pro-prio come figurae da acquisire e riproporre senza mezzi termini22.

La presa di coscienza di ciò porta al riconoscimento di quel mutamen-to prima accennato circa la concezione spaziale e dinamica dell’architettu-

Figura 14 - Ricostruzione ipotetica della pianta della Chiesa di San Francesco di Geracein età angioina a livello delle finestre

se e quella francescana si veda: CADEI, La chiesa di San Francesco, pp. 16 e ss; BRUZE-LIUS, Queen Sancia, cit., pp. 69-100, e EAD., Le pietre di Napoli, cit., pp. 150-175 eSPANÒ, Insediamenti francescani, cit.

22 Cfr. BRUZELIUS, Queen Sancia, cit., pp. 69-100, e EAD., Le pietre di Napoli, cit,pp. 150-175 e SPANÒ, Insediamenti francescani, cit.

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ra minoritica napoletana, all’affermazione della distanza del francescanesi-mo meridionale dalle direttive di Giovanni XXII e, infine, alla nuova legit-timazione di una sorta di ritorno alle origini con la nascita dell’Osservanza.

Come prima si accennava, al di là dei primi segni di una influenzadelle immagini del Liber nella cultura architettonica (e non solo) men-dicante, ritrovati nella complessa definizione della chiesa di SantaChiara a Napoli, contatti con il diagramma XII si ritroverebbero nellachiesa di San Francesco a Gerace23 che, quasi ad evidenziare il pesodell’influsso gioachimita nel mondo minoritico meridionale, sembraessere il punto di riferimento per le strutture osservanti 400esche cala-bresi e, infine, in altre complesse architetture non propriamente men-dicanti ma certamente derivanti da esse, come la Santa Maria dellaConsolazione di Altomonte24.

23 Cfr. SPANÒ, Insediamenti francescani, cit.24 Ibidem.

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Le vicende storiche relative alla nascita e alla diffusione dell’ordinecappuccino sono oramai abbastanza note. La riforma francescana cin-quecentesca, infatti, ratificata nelle Marche, con bolla di Clemente VIIsu richiesta della contessa Caterina Cybo, è certamente da inserire nelnovero dei numerosi movimenti di ispirazione pauperistica che scuo-tono nuovamente il francescanesimo1.

L’affermazione, però, che sia marchigiana l’origine dei frati minoricappuccini appare, per certi versi, una semplificazione forzata di unprocesso molto più vasto che coinvolge in maniera attiva non solo l’or-dine francescano ma anche quella parte d’Italia e d’Europa dove essoassumeva caratteri spiccatamente pauperistici, cioè il Mezzogiorno an-gioino-aragonese e la Spagna orientale2. Qui l’ordine, infatti, pare ri-

Capitolo secondo

Cappuccini e spirituali.Un’ipotesi di lettura dell’architettura minoritica

cinquecentesca in rapporto alle esperienze eterodosseminoritiche presso la Corte angioina

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1 I ritorni programmatici all’operato e alla figura di Francesco d’Assisi si ripetono,nella famiglia minoritica fin dalle origini del movimento francescano, da quando, cioèil messaggio di Francesco, sembra subire annacquamenti dovuti al forzato inserimentodel gruppo dei frati minori all’interno degli ordini monastici strutturati.

2 Dopo la nascita del movimento dell’Osservanza, dovuto a Bernardino da Sienanel 1368, all’interno di essa muove i primi passi, nel corso del 1400, il movimento dettodi “recollezione” affiancato da altre organizzazioni con tendenze pauperistiche cherendono instabile la famiglia francescana. Per un’attenta disamina della situazione al-l’interno dell’ordine minoritico tra il XIV e il XVI secolo si veda. I Cappuccini. Fontidocumentarie e narrative del primo secolo, a cura di V. CRISCUOLO, Roma 1994; GradoG. MERLO, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati minori e del francescanesimo sinoagli inizi del XVI secolo, Padova 2003, pp. 381 e ss; Per quanto riguarda l’annosa que-stione relativa alla priorità storica della riforma cappuccina, discussa tra la Calabria e

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prendere e ampliare tendenze pseudo ereticali in atto nel Regno di Na-poli e nel Regno di Aragona già dal tardo XIII secolo, circolanti nonsolo tra gli strati più bassi della società ma addirittura legittimate e fat-te proprie dagli stessi regnanti, principalmente da Roberto d’Angiò eSancha di Majorca3.

Rintracciare nella società centro meridionale italiana e catalano-aragonese l’humus atto a dar vita all’ennesima defezione in seno alfrancescanesimo da parte di frati con forti tendenze pauperistiche,spinge a ricercare non solo basi teoriche ma anche evidenze artistiche earchitettoniche probabilmente comuni al minoritisimo eterodosso tre-centesco e a quello riconosciuto nel 1526 da Clemente VII. È infattipresso la Corte napoletana che, già a partire dalla fine del XIII secolo,e poi con forza e organizzazione maggiore, nel XIV, cominciano a cir-colare, inserendosi nel composito tessuto sociale partenopeo e meri-dionale in generale, forti spinte pauperistiche di origine gioachimitache penetrano nel mondo francescano grazie all’azione di un gruppodi frati legati alla Corte di Maiorca e giunti in Italia dopo il matrimoniotra Robertoe Sancha.

Per poter comprendere appieno l’esperienza religiosa cappuccina,quindi, pare necessario tenere presenti queste premesse che, in defini-tiva, sottolineano la virulenza di una sola necessità, fermamente sentitadai frati minori, quella di rifiutare tutte le deroghe apportate al mes-

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le Marche si vedano: G. FIORE DA CROPANI, Della Calabria Illustrata, Tomo secondo;Napoli 1743, pp. 405-413, E. NAVA, Trattato del principio e progresso della ReligioneCappuccina avuto da questa Provincia di Reggio, trascrizione di un manoscritto databileal 1770; G. LEONE, I cappuccini e i loro 37 conventi in provincia di Cosenza, I – II, Co-senza 1986; F. RUSSO, I Minori Cappuccini in Calabria, dalle origini ai nostri giorni, in«Miscellanea Francescana», LVI (1956), 1-2 M. D’ALATRI, Il primo secolo (1525-1619).Quadro storico, in I Cappuccini, cit., pp. 19-73; I. AGUDO DA VILLAPADIERNA, I cappuc-cini e la Santa Sede. Documenti pontifici (1526-1619)¸ in I cappuccini cit, pp. 75-135; G.LEONE, Priorità storica calabrese nella Riforma Cappuccina desunta dalle fonti dell’Or-dine, Cosenza 1998.

3 Per i contatti tra il francescanesimo rigorista e la Corte angioina si veda R. PA-CIOCCO, Angioini e “spirituali”. I differenti piani cronologici e tematici di un problema inL’État Angevin: pouvoir, culture et société entre XIIIe et XIVe siècle. Actes du colloqueinternationale organisé par l’American Academy in Rome, École Française de Rome,l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, l’U.M.R. Telemme et l’Université de Pro-vence, l’Università degli Studi di Napoli, “Federico II”, Rome-Naples, 7-11 novembre1995, Roma, 1998, pp. 253-257.

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saggio di Francesco d’Assisi che si risolvevano sempre in un allontana-mento dal concetto di povertà evangelica4. Se tale affermazione, comesi vedrà in seguito, pare essere confermata anche da studi recenti cheprovano la discendenza diretta del movimento cappuccino dalle defe-zioni che, già nel XV secolo, nascono in seno all’Osservanza, ciò cheappare necessario è tentare di rintracciare anche il legame che inter-corre tra le esperienze architettoniche e artistiche cappuccine e quelledei frati minori osservanti dai quali essi prendono le mosse.

Dal punto di vista teorico, la nascita del movimento riformatorecappuccino, ripete una prassi già notata nel XIV secolo, che vedeval’accettazione e il pieno inserimento nella Chiesa cattolica di queigruppi di dissidenti pauperistici che agitavano l’ordine dei frati minorigià dalla metà del XIII secolo5. Nonostante, infatti, una serie di deci-

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4 Segni di una mancata comprensione del messaggio di Francesco d’Assisi si ritro-vano mentre è ancora vivo il fondatore dell’ordine; si ricordi l’atteggiamento di Fran-cesco nei confronti delle strutture architettoniche costruite o donate ai frati e l’azionedi “rifiuto” dell’architettura codificata e dell’inserimento negli ordini monastici rifor-mati. Per tali questioni si veda almeno: A.M. ROMANINI, L’architettura degli ordinimendicanti, nuove prospettive di interpretazione, in «Storia della Città», 9, 1978, pp. 5-16; EADEM, I primi insediamenti francescani: tracce per uno studio, in Il Francescanesi-mo in Lombardia: storia e arte, Milano, 1983, pp. 17 e ss.; EADEM, Tracce per una storiadell’architettura gotica a Spoleto, a cura di A. M. ROMANINI, in Atti del 9º congresso in-ternazionale di studi dell’Alto Medioevo, Spoleto, 27 settembre- 2 ottobre 1982, Spo-leto, 1983, pp. 713-737; EAD., Il francescanesimo nell’arte: l’architettura delle origini, inFrancesco, il francescanesimo e la cultura della nuova Europa, Atti del Convegno Inter-nazionale, Roma 1982, a cura di I. BALDELLI, A.M. ROMANINI, (Acta Encyclopedica,4), Roma 1986, pp. 182 e ss. Per un’analisi approfondita sulla figura di Francesco si ve-da: R. MANSELLI, San Francesco d’Assisi. Editio maior, Roma 2002.

5 Si avvia qui una serie di speculazioni teoriche sui parallelismi tra le modalità in-sediative dei frati cappuccini e quelle dei Minori duecenteschi. Sia questi ultimi che icappuccini infatti sono mossi da una reale necessità pauperistica, volta alla riscopertadei valori fondanti il vivere evangelico, muovendosi sulla falsariga delle scelte radicalidi Francesco d’Assisi. Circa il valore del cosiddetto rifiuto francescano (di una Chiesaopulenta e di una società ricchissima), gli studi sono, al giorno d’oggi, ancora aperti. Sicitano qui solo i più importanti: Circa il valore culturale del “rifiuto” francescano nelXIII secolo, la nascita e l’espansione dell’Ordine minoritico e le manifestazioni artisti-che ad esso legate, la discussione in merito è ancora totalmente aperta e qui, in partico-lare, si accenna ai problemi relativi anche ai contatti culturali e formali intessuti dal-l’Ordine francescano con la Chiesa Riformata medioevale e con l’ambiente laico deltempo. Per una estesa disamina dello stato degli studi si veda per la parte storica e sto-riografica: Chronica XXIV Generalium Ordinis Minorum, in «Analecta Franciscana»III, 1897; L. LEMMENS, Documenta antiqua franciscana, Ad Claras Aquas, Quaracchi,

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sioni istituzionali e organizzative prese da Leone X nel 1517, circa lastragrande maggioranza dei frati che facevano predicazione, era anco-

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1901; C. Eubel, Bullarii Franciscani Epitomes, Quaracchi 1908; ID., Testimonia Minorasaeculi XIII de S. Francisco Assisiensi, Quaracchi 1926; P. M. D. SPARACIO, Frammentibio-bibliografici di scritti ed autori Minori Conventuali, Assisi 1931; L. WADDING, An-nales Minorum seu trium Ordinum a S. Francisco Institutorum, Quaracchi 1931 e ss.;Directiones et aliae indicationes domorum ordinis fratrum minorum, Quaracchi, ex tip.Collegii S. Bonaventurae, 1956; V. LEMAY, Storia ed evoluzione della bibliografia mino-ritica nell’Ordine di S. Francesco fino ai giorni nostri, in «Studi francescani», Luglio-Settembre, 1934; K. Esser Origini ed inizio del movimento dell’Ordine francescano, Mi-lano 1975. MANSELLI, San Francesco, cit.; P. F. RUSSO, I Francescani Minori Conventualiin Calabria (1217-1982), Catanzaro 1982. Per quanto riguarda invece la discussionesulle modalità insediative dei francescani e le forme architettoniche: AA.VV. Ordresmendiants et urbanisation dans la France Médiévale – Etat e l’Enquete, in «AnnalesESC», 1970; G. BARONE, Federico II di Svevia e gli ordini mendicanti, in «Melange del’Ecole française de Rome, Moyen Age-Temps Modernes», XC, 1973, pp. 607-626; E.GUIDONI, Il ruolo dei conventi nella crescita e nella progettazione urbana del XIII e XIVsec., in «Quaderni medioevali», IV, 1977; Les ordres mendiants et la ville en Italia Cen-trale, 1220-1350, in «Melange de l’Ecole française de Rome, Moyen Age-Temps Mo-dernes», T, LXXXIX, 1977, 2; L. Pellegrini, Gli insediamenti degli Ordini Mendicantie la loro tipologia. Considerazioni metodologiche e piste i ricerca, in «Melange de l’Ecolefrançaise de Rome, Moyen Age-Temps Modernes», T, LXXXIX, 1977; A. CADEI, Lachiesa figura del mondo, in Storia e messaggio in Gioacchino da Fiore, Atti del 1° con-gresso di studi gioachimiti, San Giovanni in Fiore, 1978; IDEM, La chiesa di San France-sco a Cortona, in «Storia della Città», 9, 1978; M. RIGHETTI, Gli esordi dell’architetturafrancescana a Roma, in «Storia della Città», 9, 1978; A.M. ROMANINI L’Architettura de-gli ordini mendicanti: nuove prospettive di interpretazione, in «Storia della Città», 9, C.D’ADAMO, L’Abbazia di San Giovanni in Fiore e l’architettura florense in Calabria, in ICistercensi e il Lazio, Atti delle giornate di studio dell’Istituto di Storia dell’Arte del-l’Università di Roma, Roma, 17-21 Maggio 1977. Roma 1978; L. PELLEGRINI, Gli inse-diamenti francescani nell’evoluzione storiografica degli agglomerati umani dell’Italia delsec. XIII, in Chiesa e società dal sec. IV ai giorni nostri, studi storici in onore del P. Ilari-no da Milano / Istituto di Storia, Perugia 1979 vol. I; A.M. ROMANINI e AA.VV., Fede-rico II e l’arte del ‘200 italiano, a cura di A. M. ROMANINI, Atti della III settimana diStudi dell’Arte Medioevale dell’Università di Roma, 15-20 Maggio 1978, Galatina1980; Francescanesimo e cultura in Sicilia (XIII- XVI), Atti del Convegno internaziona-le nell’VIII centenario della nascita di S. Francesco d’Assisi, Palermo 7-12 Marzo1982; G. VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia, in Lo spazio dell’umiltà, Convegno distudi sull’edilizia dell’Ordine dei Minori, Fara Sabina, 1982; A.M. ROMANINI, I primiinsediamenti francescani, tracce per uno studio, in Il Francescanesimo in Lombardia, Mi-lano, 1983; A. M. ROMANINI, Tracce per uno studio dell’architettura gotica a Spoleto, inAtti del 9° congresso internazionale di studi dell’Alto Medioevo, Spoleto, 1983; A. CA-DEI, Architettura mendicante: il problema di una definizione tipologica, in «Storia dellaCittà»,26-27, 1984; L. PELLEGRINI, Insediamenti francescani nell’Italia del ‘200, Roma

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ra presente all’interno dell’ordine minoritico una minoranza che conti-nuava a vivere il francescanesimo non a stretto contatto con la folla main maniera eremitica6. Anche se in tutti gli ordini monastici era fre-quente la presenza di gruppi di religiosi mossi da un forte afflato pau-peristico, ciò che appare interessante è che esso si sviluppasse anche al-l’interno degli stessi frati minori che la bolla Ites vos ad vineam meam,emanata da Leone X, integrava nella regolare Osservanza7. Accanto afrati che pur essendo indirizzati verso una scelta pauperistica piuttostospinta, come gli Amadeiti o a Colletani, che erano regolarmente rico-nosciuti dal Papa, si trovavano anche congregazioni la cui vocazioneera in prevalenza eremitica come i Clareni (di discussa ortodossia, es-sendo strettamente collegati alla figura di Angelo Clareno, esponentedi spicco dei fraticelli), e i frati del “Santo Evangelo”8.

Questi ultimi, erano raccolti attorno a Giovanni da Puebla contedell’Estremadura che, dopo essersi convertito a vita religiosa si era tra-sferito in Italia centrale divenendo frate minore, soggiornando in romi-tori umbri dove aveva dato vita ad una piccola congregazione di frati

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1984; A.M. ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte, cit., pp 182 e ss.; EAD., “Reliquiae”e documenti: i luoghi del culto francescano nella Basilica di Santa Maria degli Angelipresso Assisi, in La Basilica di Santa Maria degli Angeli, Perugia 1990.

6 La vicinanza a modi monastici di stampo camaldolese e italogreci (almeno in Ca-labria), contribuisce a evidenziare il carattere “monacale” dei proto-cappuccini. Ladenominazione di “frati cappuccini” nasce invece nel a causa della particolare foggiadel cappuccio, appuntito e lungo, che i frati avevano scelto, rifacendosi all’abito diFrancesco d’Assisi stesso (anch’esso ricavato dall’abbigliamento dei monaci viandan-ti). La nuova denominazione si fa avanti a cominciare dal 1531 identificando gli stessidapprima come fratres a scapucino, quindi come Frati cappuccini. cfr. I cappuccini, cit.,p. 27.I questo senso è anche da intendere la scelta di avvicinarsi alla Regula pro eremi-toriis data, che contemplava, all’interno del concetto di fraternitas francescana, anchela necessità della fuga ex saeculo.

7 La Bolla è stata emessa il 29 maggio 1517 e ratifica la definitiva divisione dei fratiminori. Cfr. P. SELLA, Leone X e la definitiva divisione dell’Ordine dei minori: la bollaIte vos (29 maggio 1517), Assisi 2002.

8 Sulla controversa figura di Angelo Clareno si rimanda a Angelo Clareno france-scano, Atti del XXXIV Convegno internazionale, Assisi, 5-7 ottobre 2006, Centro ita-liano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 2007; si veda anche il contributo circa la fi-gura controversa del Clareno e i suoi rapporti con la Corte angioina e maiorchina diC.M. SPADARO, Corte angioina e fraticelli, in via di pubblicazione su Il francescanesimoin Calabria, a cura di A. SPANÒ, Atti del I Convegno Internazionale, Siderno-Gerace,26-27 maggio 2006, Soveria Mannelli 2009.

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che, con approvazione di Innocenzo VIII, cominciavano a vivere inmaniera eremitica e povera, attirando l’attenzione di confratelli italianie spagnoli. La dimensione eremitica, all’interno dei “frati del SantoEvangelo”, viene sottolineata da fra Giovanni da Guadalupe che riescead ottenere dal papato prima due custodie e poi una provincia detta“Del Santo Evangelo” provocando scompiglio all’interno dei frati del-la Regolare Osservanza, i quali continuano a passare da una congrega-zione all’altra. Certamente appare particolarmente interessante l’atteg-giamento anche formale di un gruppo di frati che si raccoglie nel 1515nella custodia di Estremadura, detto dei “frati conventuali riformati”che, nonostante fossero sotto l’obbedienza del ministro generale, rifa-cendosi in pieno alle Regole francescane e al Testamento menavano vi-ta austera e ritirata, vestendo con un abito corto, senza sandali e concorto cappuccio9.

Ma anche tra le file della Regolare Osservanza la necessità di rifarsiall’origine dell’ordine era sentita in maniera forte. Non è un caso chegià nel 1502, frate Marziale Boulier, vicario generale oltremontano, or-dinava alle province spagnole di autorizzare l’apertura di alcune casedi recollezione, in cui senza permesso dei superiori i frati potevano riti-rarsi in preghiera10. La gelida accoglienza che tale ordinanza trovò trale fila degli Osservanti italiani, nonostante l’approvazione, nel 1518,del ministro generale frate Francesco Lichetto da Brescia portava al-l’annullamento momentaneo della stessa, almeno fino a quando il mi-nistro generale Francesco Quinones non emanava una serie di statutiche garantiva l’esistenza delle “case di recollezione”, creando superiori“recolletti” sottoposti a ministri provinciali11.

Il fallimento di tale ennesimo tentativo di ricondurre sotto la asso-luta ortodossia francescana e cattolica le frange più radicali dei frati vi-de, però, non solo un rafforzamento degli atteggiamenti di “fuga” ver-so i luoghi di ritiro ma anche una sempre più ferma opposizione versotale pratica. I problemi all’interno dell’Osservanza, relativamente aquesti atteggiamenti estremi, appaiono molto chiari nel capitolo di As-sisi del 1526, dove si ha la chiara sensazione di assistere ad una ripro-posizione delle defezioni in seno ai conventuali che, nel XIV secolo,

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19 Si rimanda a MERLO, Nel nome di San Francesco, cit.10 Ibidem.11 Ibidem.

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avevano portato alla nascita della stessa, col paradosso, però, che talirimostranze avvenivano adesso proprio all’interno della medesimariforma. In sede capitolare veniva, infatti, presentata una richiesta divivere “alla lettera” la vita di san Francesco in luoghi eremitici, richie-sta volta a riprendere temi cari al primo movimento osservante ma inun contesto oramai totalmente nuovo in quanto, a differenza di circaun secolo e mezzo prima, la parte osservante e riformata era al governodell’Ordine, sulla base di un pontificio riconoscimento della sua asso-luta fedeltà ai caratteri costitutivi del francescanesimo12.

Proprio tale riconoscimento pontificio era, paradossalmente, pocoaccettabile da parte dei francescani che vedevano nell’inserimento delmovimento tra le file della Chiesa cattolica un nuovo tradimento del-l’originario rifiuto francescano di qualsiasi istituzione codificata in no-me della sequela di Madonna Povertà. Accanto a tali titubanze circal’inserimento del francescanesimo tra le file del monachesimo istitu-zionale, una nuova strada percorribile da singoli o gruppi di frati cheintendevano seguire la più stretta osservanza sottraendosi gradata-mente al proprio maestro generale o maestri provinciali, risiedeva nellapersistenza dell’organizzazione dei conventuali e della loro distinzionerispetto agli osservanti. Proprio questa possibilità viene sfruttata dall’i-berico frate Giovanni Pasqual, che da Osservante diventa Discalzato,da Ludovico di Fossombrone e Matteo da Bascio13.

Assolutamente paradigmatica di questa tendenza a istradarsi ver-so scelte eremitiche è l’esperienza di Matteo da Bascio che, nel 1525,ottiene una sorta di conferma alla sua condotta da papa Clemente VIIriguardante sia il modo di vivere che il modo di vestire, con una forte

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12 Si rimanda a MERLO, Nel nome di San Francesco, cit. e, in maniera più generale aK. ELM, Riforme e osservanze nel XIV e XV secolo, in “La questione francescana” dal Sa-batier ad oggi, Atti del I Convegno della Società internazionale di studi francescani, As-sisi 1974, Assisi 1974, pp. 151 e ss.; M. FOIS, I papi e l’osservanza minoritica, in Il rinno-vamento del francescanesimo: l’Osservanza, Università diPerugia, Centro di Studi fran-cescani, 1985, p. 31. Si veda anche la voce Osservanza, Congregazioni di Osservanza, inDizionario degli Istituti di Perfezione, Roma 1977, vol. V, coll. 1163-1212, p. 1036.

13 Per la nascita dell’ordine cappuccino e per i suoi rapporti con i movimenti pau-peristici nati in seno all’Osservanza si veda I cappuccini, cit., pp, 21 e ss,M. D’ALATRI, Ilprimo secolo (1525-1619). Quadro storico, in I cappuccini, cit., 19-73; I. AGUDO DA VIL-LAPADIERNA, I cappuccini e la Santa Sede. Documenti pontifici (1526-1619)¸ in I cappuc-cini, cit., pp. 75-135.

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accentuazione della componente individualistica. L’esempio di Mat-teo da Bascio sta a dimostrare come l’esperienza romitoriale stesseprendendo piede in tutta Italia e in tutto il bacino del Mediterraneooccidentale, sostenuta da predicazioni a soggetto escatologico e apo-calittico.

Il soggetto apocalittico ed escatologico, che non scompare nem-meno nella ratifica dell’ordine del 1526, dimostra come tali frati, detti“minori della vita eremitica”, avessero commisurato e gestito la pro-pria vita sull’esempio degli scritti dell’ordine francescano tra cui unacronaca redatta da Angelo Clareno14. Ora è proprio questa particolareattenzione verso gli scritti del massimo esponente delle frange più radi-cali del francescanesimo, che spinge a riflettere non solo sulla autenticaortodossia delle premesse teoriche della nuova comunità, ma anche aricercare modelli e forme architettoniche e artistiche di riferimentonell’esperienza francescana radicalmente pauperistica che prende pie-de nel Regno di Napoli nel pieno ’300.

I cappuccini, giungono alla conoscenza dell’autentico san France-sco attraverso il “francescanesimo compilativo” del XIV sec., che tra-sformano in “francescanesimo qualitativo” estrapolandolo da quellatendenza tipicamente cinquecentesca tendente all’esteriorizzazione emanifestando una concreta ricerca di una fede intima, di una religio-sità interiore che si alimentava dell’orazione segreta e mentale, incen-trata sulla contemplazione del Cristo crocifisso e si esplicava in dimen-sioni mistico-ascetiche15.

Riconoscendo nel Clareno e nella setta dei Fraticelli le origini diquella tendenza sempre più forte a ritornare all’originalità del messag-gio francescano, ecco che nell’ordine cappuccino è ravvisabile anchequel tipico atteggiamento dualistico tra la necessità di essere alla se-quela di Madonna Povertà e di sottolineare la presenza concreta delCorpo di Cristo nel mondo. Ciò si esplica sia nella ripresa delle moda-lità insediative dei frati (prima presso i centri cittadini in grotte o ca-

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14 Ci si riferisce al Cronicon seu Historia septem tribulationum ordinis minorumscritta trail 1325/1330, e che indica quali siano state le sette «tribolazioni» subìte dagli«spirituali» in lotta con la «comunità», in Liber Chronicarum sive tribulationum ordi-nis minorum di Frate Angelo Clareno, dd. a cura di P. GIOVANNI BOCCALI, Santa Mariadegli Angeli 1999.

15 Si rimanda a MERLO, Nel nome di San Francesco, cit.

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panne, poi lungo le vie d’accesso alla città, infine molto vicini alle mu-ra), sia nell’accentuato pauperismo sia, infine, nell’attenzione versol’Eucarestia16.

Tenendo fede alle parole di Francesco, il rapporto con l’Eucarestiapresso i cappuccini fa sì che la presenza di Cristo sia determinante perl’intera struttura conventuale. La chiesa diventa il punto focale dell’in-tero complesso architettonico e, all’interno, l’altare maggiore e il ta-bernacolo posto su di esso, i perni di un sistema dinamico roteante at-torno al mistero eucaristico.

Così come esiste una somiglianza al limite della sovrapponibilitàtra il movimento cappuccino e quello francescano medioevale perquanto riguarda le modalità insediative, essa esiste anche laddove sitratta la necessaria codificazione delle forme architettoniche (che daiminori duecenteschi fu raggiunta con il capitolo di Narbonne del 1260e le conseguenti Costituzioni bonaventuriane e per i cappuccini, inve-ce, è relativa alle Costituzioni di Roma del 1536, poi ratificata nelle Co-stituzioni generali del 1575)17. Così come le costituzioni bonaventuria-

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16 L’esperienza insediativa dei primi frati cappuccini ripete veramente le “gesta”dei primi francescani che, sia circa la volontà di scegliere luoghi appartati, ove condurrevita pseudo eremitica, sia la necessità di essere contemporaneamente “nel” e “fuori” dalmondo, ricalca la primitiva tipologia della scelta di Francesco. I cappuccini del primis-simo periodo, così come i “minori” delle origini, avevano la necessità di insediarsi inluoghi aspri, dove condurre vita ascetica e di avere, allo stesso tempo,la possibilità esse-re a contatto con la popolazione “borghese”. Questa caratteristica dei Cappuccini li av-vicina veramente, come si afferma in questa sede, alla figura del Santo fondatore del-l’Ordine scavalcando la storia stessa dei Frati Minori. Unita alla decisa volontà di ripor-tare la Chiesa alle origini evangeliche e alla necessità di avvicinarsi alle classi meno ab-bienti, la devozione verso l’Eucarestia è continuamente perseguita da Francesco e costi-tuisce, in certo senso, l’ancora di salvezza dall’accusa di eresia di cui il movimento mino-ritico rischiava di essere tacciato, rientrando nella vastissima compagine dei gruppipauperistici tardomedioevali. La presenza reale di Cristo nell’Eucarestia si lega, infatti,al riconoscimento del valore del prete, come colui in grado di operare il miracolo dellaTransustanziazione e quindi, della Chiesa istituzionalizzata. Per l’analisi di questoaspetto vedi MANSELLI, San Francesco, cit., pp. 292 e ss, A. SPANÒ, I Tabernacoli Cappuc-cini della Calabria, in «Italia Francescana» LXXVI, 1, gennaio – aprile 2001, pp. 11-82.

17 I Cappuccini, cit., e nel caso specifico V. CRISCUOLO, Le ordinazioni di Albacina(1529)¸ 137-162; ID., Le prime costituzioni (Roma – Sant’Eufemia 1536), 163-244;IDEM, Ordinazioni dei capitoli generali (1549-1618), 245-323. Anche in questo caso èpossibile operare un parallelismo tra la realtà conventuale e quella cappuccina princi-palmente attraverso lo studio delle codificazioni delle modalità insediative e, in segui-

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ne ratificavano una oramai presente campagna costruttiva, intervenen-do a sottolineare la necessità di costruire la povertà, allo stesso modo P.Antonio da Pordenone nel: Memoriale su come costruire un nostro pic-ciol e ordinato monasterio18, rientrando nella serie dei trattati che rego-lano l’architettura ecclesiastica post tridentina, codifica la pratica dicostruire le case per i frati, sottolineando quali siano le premesse idealie in che modo le stesse debbano essere rese visibili negli edifici, riallac-ciandosi alla tipologia della “simplex ecclesia”, proposta per gli oratorida San Carlo Borromeo nelle Istructiones fabricae et supellectilis eccle-siasticae del 157719 (foto 1-2).

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to, costruttive, operate al Capitolo di Narbonne (1260), sotto la guida di San Bonaven-tura da Bagnoregio. A San Bonaventura è riferibile, inoltre, la promulgazione delleprime costituzioni in cui si affronta concretamente il problema dell’architettura mino-ritica, con la definizione degli spazi che, pur facendo fronte all’accresciuto numero difedeli frequentanti i frati, mantenessero intatta la primitiva idea di minorità e povertà,alla base del cosiddetto “rifiuto” francescano.

18 Il trattato manoscritto, conservato in tre edizioni nella Biblioteca NazionaleMarciana di Venezia e, in una, nell’Archivio dei frati minori cappuccini di Innsbruckviene pubblicato per la prima volta, forse a Venezia, nel 1603 firmato da Frate Antonioda Pordenone, Sacerdote Cappuccino. A parte l’integrale pubblicazione del testo in Ifrati cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di p. C. CARGNO-NI,Roma, 1992, 1578-1628, numerosissimi studi hanno analizzato, negli ultimi anni,numerosi aspetti del trattato, fra tutti si ricordano qui: F. CALLONI, Architettura cap-puccina nell’antico ducato di Milano, tesi di laurea, Università Cattolica del S. Cuore,1976/77, relatore prof. G. A. Dell’Acqua; IDEM., Interpretazione iconologia dell’archi-tettura cappuccina, in I frati cappuccini, cit., pp. 1469-1548; T. SCALESSE, Note sull’ar-chitettura dei Cappuccini nel Cinquecento, in I Francescani in Europa tra Riforma e Con-troriforma, Atti del III Convegno Internazionale, Assisi 1985; A. COLLI, Un Trattato diarchitettura cappuccina e le “Instructiones fabricae”di San Carlo, in San Carlo e il suotempo, Atti del Convegno internazionale nel IV centenario della morte (Milano, 21 –26 maggio 1984), Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 1986 e in I frati Cappuccini,cit., pp. 1555-1578; S. GIOVANAZZI, La riscoperta di un architetto cappuccino, in Archi-tettura cappuccina. Atti della giornata di studi storici sull’architettura cappuccina,Trento Biblioteca Provinciale dei Cappuccini, 28 maggio 1993, Trento 1995.

19 Istructionum Fabricae et suppellectilis libri duo Caroli S.R.E. Card. Tt. S. PaxedisArchiepiscopi iussu ex provinciali decreto editi ad provinciae Mediolanensis usum /trad.italiana a cura di M. L. Gatti Perer e Z. Grasselli. Milano 1983-1984. Il parallelismo trai due trattati è messo in evidenza dagli studi della Gatti Perer, pertanto si veda: M. L.GATTI PERER, Lo spazio sacro nelle “Istruzioni” di San Carlo e nei nuovi ordini religiosidel Cinquecento, in Architettura cappuccina, cit., pp. 25-65.

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Foto 1 - Morano, Interno della chiesa dei cappuccini

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Foto 2 - Schema tipologico di convento cappuccino tratto dal Memoriale su come co-struire un nostro picciol e ordinato monasterio di P. Antonio da Pordenone

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Nonostante le strutture francescane cinquecentesche siano for-malmente molto distanti da quelle trecentesche, grazie al complessosostrato culturale e teorico che anima il movimento cappuccino, nonsolo è possibile riallacciarsi alle architetture tardo medievali ma, para-dossalmente, è proprio attraverso le riedizioni architettoniche minori-tiche rinascimentali, poter avanzare una ipotesi di discendenza direttadi queste ultime dalle prime e, di conseguenza, tentare di riconoscereveramente una forma architettonica anche per le frange più radicali delfrancescanesimo delle origini.

Intenzionati a riprendere in toto il messaggio evangelico, conosciu-to anche e principalmente attraverso gli scritti di personaggi al limitedell’eresia, come Angelo Clareno, i frati cappuccini nelle loro architet-ture evidenziano sempre almeno due imperativi propri del mondo fran-cescano: la necessità di costruire la povertà e l’attenzione verso il miste-ro eucaristico. Ad essi, però, si aggiunge un elemento che non apparte-neva completamente a Francesco ma era frutto di una sorta di glossa ra-dicalizzante apportata alle sue stesse scelte e che caratterizzava l’atteg-giamento dei fraticelli e, in ultima istanza, degli stessi cappuccini: la vo-lontà, ovvero, di optare per una vita eremitica20. A questo punto pare

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20 Circa il raggiungimento della perfetta letizia nella comunicazione e nello scam-bio il problema rimane ancora aperto, per quanto riguarda almeno i primi passi delmovimento minoritico. La pratica eremitica non viene, infatti, esclusa totalmente daFrancesco ma viene da esso intesa come un momento di passaggio e non come stile divita da raggiungere. A tal fine è legata alla figura dell’Assisiate la Regula pro eremitoriisdata che è atta a codificare, secundum forma Sancti Evangelii, queste nuove esperienzeormai in atto e, decisamente, romitoriali dando, infine, una serie di indicazioni a carat-tere esortativo circa la vita legata ai romitori e sui rapporti tra i frati eremiti e l’esterno.In questo senso tale regula – la cui datazione oscilla tra il 1216/17 e il 1221/22-24, inquanto esso si rivolge non più ad un semplice gruppo di compagni, legati dalla volontàdi compiere un’esperienza eccezionale, ma comunque marginale rispetto alla societàlaica ed ecclesiastica, bensì ad una vera e propria fraternità, seppur appena nata e inuna fase in cui la normativa è in continua e parossistica evoluzione – può essere consi-derata come un tentativo, da parte di Francesco, di regolarizzare l’attitudine a condur-re vita ascetica ed eremitica anche presso i francescani, seguendo la tendenza, già vistain altri movimenti, ad aggregarsi a nuovi Ordini già riconosciuti dalla chiesa.Ciò cheappare di grande importanza è, inoltre, la sottolineatura di quella differenza, già pre-sente nella Regula non bullata, tra i fratres euntes per mundum e quelli morantes in locicui si rivolge, evidenziando tra questi ultimi illi qui volunt religiose stare in eremiis, epresupponendo, quindi, la realtà di insediamenti romitoriali stabili e dotati di una cer-ta strutturazione. Per la Regula pro eremitoriis e i problemi relativi alla corretta lettura

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necessario affiancare a questa scelta di vita, peraltro si ripete, non squi-sitamente francescana perché non obbediente all’esortazione di Fran-cesco circa la necessità dei frati di “conversare”, una vera e propria scel-ta architettonica e per poterla definire non basta fermarsi alle definizio-ni di Padre Antonio da Pordenone (posteriori di circa 70 anni rispettoalla nascita dell’Ordine, legate all’ambiente italiano settentrionale equindi estremamente influenzate, come prima visto, dal trattato di SanCarlo Borromeo e dalle decisioni tridentine), ma occorre risalire alla va-lenza semantica e spaziale delle architetture della Regolare Osservanzae, attraverso esse, a quelle del francescanesimo medievale.

Così come appariva chiaro nelle strutture minoritiche, anche inquelle cappuccine lo spazio assume una valenza dinamica e semanticaeccezionale, proponendosi non come un luogo di mera accoglienza macome la vera casa dell’Altissimo e, come tale, imperniata su di esso,presente nell’Eucarestia (foto 3).

Riprendendo il discorso relativo alle modalità insediative dei fraticappuccini, se si deve necessariamente affermare che esse ripetono pe-dissequamente quelle dei frati duecenteschi, vivendo da “pellegrini”,alloggiando in tuguri, grotte, caverne o addirittura sotto gli alberi, e so-lo molto più avanti cominciando a costruire veri e propri edifici in mu-ratura, appare altresì chiaro che non è possibile ritrovare nelle primis-sime architetture francescane i modelli veri e propri dei frati cinque-centeschi21. Chiaramente estranee alla scelta eremitica, fondamentaleinvece per questi ultimi, le architetture francescane delle origini ap-paiono, oltretutto, ben poco caratterizzate per poter essere associate

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ed inquadramento storico di essa si veda: K. ESSER, Die «Regula pro eremitoriis data»des hl. Franziskus von Assisi, in «Franziskanische Studien» 44 (1962), pp. 383-417, orain «Studien», 165, G. GRUNDMANN, Movimenti religiosi nel Medioevo. Ricerca sui nessistorici tra l’eresia, gli ordini mendicanti e il movimento religioso femminile nel XII eXIII secolo e sulle origini storiche della mistica tedesca, trad. italiana della 2° ed. tede-sca, Damstadt 1961, Bologna 1974, pp. 171-272, e infine, per la versione italiana: FontiFrancescane, cit, p. 135, e PELLEGRINI, L’esperienza eremitica, cit., pp. 293 e ss.

21 Si evidenzia qui che parlare di architettura francescana risulta incongruo, pre-ferendo, piuttosto, il termine di architettura dei francescani, sottolineando l’eteroge-neità delle strutture ecclesiastiche a causa della necessità che i frati hanno di costruiresecondo i modi e le tradizioni dei singoli luoghi ove essi si insediano. Pertanto se è veroche si nota una ripresa puntuale delle modalità insediative dei primi frati minori nelmodo di insediarsi proprio dei cappuccini, allo stesso modo non è possibile affermarela ripresa tout court di una tipologia architettonica estremamente fluttuante e poco co-

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Foto 3 - Morano. Interno della chiesa dei cappuccini, particolare dell’altare maggiore

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dificabile. Per le prime manifestazioni architettoniche minoritiche si rimanda ai testigià citati di Angiola Maria Romanini.

22 Sulla divisione operata da P. Antonio da Pordenone si veda: GATTI PERER,Lospazio sacro, cit., pp. 25-65, in particolare pp. 46-52.

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Foto 4 - Pianta tratta dal Memoriale su come costruire un nostro picciol e ordinato mo-nasterio di P. Antonio da Pordenone

alle esortazioni di Angelo Clareno che, si è visto, ha un ruolo fonda-mentale nella strutturazione della nuova religione minoritica. Tale af-fermazione si palesa quando si va ad analizzare lo spazio cappuccino,decodificato da P. Antonio da Pordenone, dove l’elemento eremiticoappare di importanza fondamentale (foto 4).

La chiesa cappuccina, infatti, accanto alla canonica divisione indue zone, di cui una fruita dai fedeli (la navata sui cui si aprono le cap-pelle e che ospita i contraltari), e una di pertinenza dei sacerdoti e deifrati (il presbiterio), vede l’inserimento di un nuovo ambiente: il coro.Tale spazio, ospitante l’altare, si frammenta ulteriormente in due parti:il c.d. coro per celebrare, o Presbiterio, e il c.d. coro per ufficiare, o Coropropriamente detto, comunicanti attraverso una “parete diaframma”– dove si erge il grande altare ligneo e, su di esso, il tabernacolo – madistinti: il primo aperto verso la comunità dei fedeli, il secondo di solapertinenza della fraternità e quindi in contatto con i luoghi della “clau-sura”22 (foto 5 e vedi foto 1).

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Foto 5 - Pianta della chiesa e del convento dei cappuccini di Gerace. Disegno tratto da V.De Nittis, Il convento dei cappuccini e la Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Gerace, in«Quaderni del dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico», Università degliStudi di Reggio Calabria, 11-12, 1996, pp. 53-70

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L’inserimento del coro all’interno di una chiesa che dovrebbe, perdefinizione, apparire di immediata comprensione e dare forma archi-tettonica alla povertà evangelica di francescana memoria, porta adavanzare una serie di dubbi circa la reale volontà dei frati cappuccini diriallacciarsi al messaggio francescano schietto e semplice. Lo stessocontinuo riferimento ad Angelo Clareno e ai gruppi di radicali minori-tici, cui in realtà i frati cappuccini sembrano appartenere, spinge a do-ver rintracciare la genesi delle chiese dell’ordine non tanto in ambientefrancescano ortodosso ma piuttosto in quella frangia al limite dell’ere-sia che trova spazio e linfa vitale in ambienti vicini a radicalismi spiri-tuali e, nel caso specifico, presso la corte angioina napoletana.

Quest’ultima affermazione appare, a questo punto, di importanzafondamentale per poter ipotizzare il riconoscimento dei modelli dell’ar-chitettura cappuccina nell’esperienza costruttiva legata all’ambiente spi-rituale napoletano e confluita poi nella grande campagna architettonicaosservante. Una analisi attenta delle forme architettoniche e della seman-tica degli spazi in ambiente minoritico italiano, permette, infatti, di ri-scontrare la nascita e sviluppo di un modello di chiesa certamente “pove-ra” ma non “semplice” nei territori del Regno di Napoli, ben diversa dal-l’usuale prototipo minoritico umbro-marchigiano e strettamente legataalla particolare qualità dei frati minori meridionali23.

Senza indugiare sulla ricchissima e complessa serie di aderenze trail francescanesimo di corte angioino e la parte più eterodossa dell’espe-rienza florense, quella volta alla diffusione di idee escatologiche e apo-calittiche, pare importante sottolineare che essa è penetrata nelle filedei minori attraverso l’opera di Pietro di Giovanni Olivi, precettorepresso la Corte di Majorca e ispiratore non solo di Angelo Clareno maanche di Sancha di Majorca, sposa di Roberto d’Angiò e regina del Re-gno di Napoli. Essendo proprio i sovrani angioni (sia Carlo II che prin-cipalmente Roberto) i promotori della diffusione del francescanesimo

23 Per il problema delle tipologie architettoniche francescane si vedano: A. CADEI,Architettura mendicante: il problema di una definizione tipologica, in «Storia dellacittà», 26-27, 1984, pp. 21-32; ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte, cit., pp. 181-195; G. VILLETTI, Quadro generale dell’edilizia mendicante in Italia, in Lo spazio dell’u-miltà, Atti del convegno di studi sull’edilizia dell’Ordine dei minori, Fara Sabina, 3-6Nov. 1982. Centro francescano S. Maria del Castello, 1984, pp. 225-275, C. BOZZONI,Le tipologie, in Francesco d’Assisi. Chiese e conventi, a cura di R. BONELLI, Milano1982, pp. 143-149.

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in tutto il Meridione, ecco che è possibile riconoscere nelle architettu-re minoritiche meridionali i segni di un francescanesimo non total-mente ortodosso e certamente legato a frange estremamente pauperi-stiche non slegate dal messaggio gioachimita24.

La chiesa che maggiormente dimostra la permeazione delle ideegioachimite all’interno delle file del francescanesimo è, senza dubbio,la basilica di Santa Chiara a Napoli che ricalca l’immagine XVIII delLiber figurarum di Gioacchino, corrispondente ad uno dei massimivettori della teologia dell’abate silano25. Ma accanto ad essa, pare ipo-tizzabile una vicinanza tra il diagramma XII dello stesso Liber e la chie-sa francescana trecentesca di San Francesco a Gerace26. Certamente la

24 Per il rapporto tra il francescanesimo meridionale e il messaggio di Gioacchinoda Fiore si rimanda al saggio di A. SPANÒ, L’architettura florense e l’eredità francescanain L’Esperienza monastica florense e la Puglia, a cura di C. D. FONSECA, Atti del Con-vegno Nazionale di Studio, Bari, Laterza, Matera, 20-22 maggio 2005, Roma, Viella,2007, pp. 83-123.

25 Per la Basilica di Santa Chiara a Napoli e i contatti con l’ambiente gioachimitasi rimanda agli studi di C. BRUZELIUS, Queen Sancia of Mallorca and the Convent Chur-ch of Sta Chiara in Naples, in «Memoirs of the American Academy in Rome», VolumeXL, (1995), pp. 69-100, EADEM, Le pietre di Napoli. L’architettura religiosa nell’Italiaangioina, 1266-1343, Roma, Viella, 2005, pp. 57-90.

26 Per la chiesa di San Francesco di Gerace si veda: A. SPANÒ, Sulle tracce dei Mi-nori a Gerace. Dai primi insediamenti alla chiesa di San Francesco, in «Bollettino d’Ar-

Foto 6 - Napoli, Santa Chiara. Pianta tratta da voce Angioini, a cura di C. Bruzelius, M.Righetti Tosti – Croce, F. Bologna, F. Aceto, E. Marosi, in Enciclopedia dell’Arte Medioe-vale I vol., Roma 1991, pp. 657-701

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Foto 7 - Gioacchino da Fiore, Liber figurarum, «Clarificatio Spirito Sancto», Tav. XVIII(Reggio Emilia, Biblioteca del Seminario, cod. R1)

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Foto 8 - Gerace, Pianta ricostruita del San Francesco.

committenza regale e cortese di tali strutture propone di riconoscereaccanto alle influenze gioachimite una chiara impronta catalana e pro-venzale, dove l’elemento pauperistico, non scevro, si è visto, da impo-stazioni teoriche fortemente teologiche e simboliche, era alla base diun rinnovamento dell’architettura gotica (foto 6-9).

I segni di una squisita architettura provenzale sono, infatti, chiariin Italia nelle architetture di Carlo I, ravvisabili in strutture architetto-niche caratterizzate da coperture a volte a crociera costolonata a fortesviluppo verticale, mentre le strutture dovute a Carlo II d’Angiò, e da-tabili tutte agli anni ’90 del XIII secolo (dopo la prigionia a Barcello-na), mostrano non solo una tendenza sempre più forte allo sviluppoorizzontale ma anche una chiara spinta verso la semplificazione dellecoperture, dove la volta a crociera è relegata solo all’area presbiterialee all’abside sempre poligonale27. Una semplificazione ulteriore delle

te», 137-138 – Luglio-Dicembre 2006, pp. 27-62; ID., L’architettura florense, cit.; pp.83-123; ID., Insediamenti francescani nella Calabria angioina. Il paradigma Gerace. So-veria Mannelli 2007.

27 Cfr. A. FALLANCA – A. SPANÒ, La Cattedrale di Rossano. Una fondazione di Car-lo II d’Angiò, in «Bollettino d’Arte», 135-136 – Gennaio-Giugno 2006, pp. 77-96, inpart. pp. 83-96; A. SPANÒ, Insediamenti francescani, cit.; ID., Sulle tracce dei Minori,cit., pp. 27-62; ID., Le Immagini del Liber figurarum di Gioacchino da Fiore e l’architet-tura mendicante in Calabria, in «Arte Medievale». 1, 2007 (In fase di stampa).

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Foto 9 - Gioacchino da Fiore, Liber figurarum, «Dispositivo novi ordinis», Tav. XII(Reggio Emilia, Biblioteca del Seminario, cod. R1)

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strutture si ha, invece, proprio con le architetture nate sotto Roberto eSancha, quasi a conferma del ruolo che ha l’elemento florense nella ge-stione anche degli spazi dell’architettura minoritica meridionale. Sinota la scomparsa dell’abside quadrangolare, l’uso della volta a crocie-ra solo sul vano quadrangolare della tribuna e, quasi in antitesi con lascelta pauperistica ma strettamente legata a interpretazioni (non ne-cessariamente corrette), del messaggio gioachimita, l’aggiunta di spaziarchitettonici estranei al francescanesimo di origine umbro-marchigia-na e, invece, pienamente riconducibili alla struttura dello spazio eccle-siastico di origine florense, dove l’elemento claustrale è estremamentepresente28 (foto 10-13).

Se ciò è solo ipotizzabile nella struttura ricostruita del San France-sco di Gerace, dovela presenza delle cappelle di transetto rimandanoal Progetto del Nuovo ordine monastico, proposto da Gioacchino nelLiber figurarum, è assolutamente certo nella basilica di Santa Chiara aNapoli, il cui impianto planimetrico è letteralmente costruito sulla for-ma del diagramma XVIII del Liber. Sia nell’uno che nell’altro caso, ciòche appare importante è proprio la presenza di ambienti non comuni-canti con l’aula fruita dai fedeli, rimanendo invece di pertinenza dellacomunità dei frati: nel San Francesco geracese le due cappelle di tran-setto e il coro retrostante l’altare, in Santa Chiara a Napoli il coro dellemonache, dietro l’altare maggiore e comunicante col coro dei canoniciattraverso una serie finestre coperte da grate29.

La struttura del San Francesco di Gerace, per quanto complessa,non sembra tradire le premesse francescane quanto, piuttosto, caricar-le di ulteriori significative scelte pauperistiche. Ciò, superando una su-perficiale lettura solo tipologica dell’edificio, diventa di importanzaeccezionale, proprio qualora a tale struttura minoritica si riconoscanoaffinità con le scelte architettoniche e culturali più radicali, proprie del

28 Lo studio più completo sull’architettura florense rimane ancora quello di A.CADEI, La chiesa figura del mondo, in Storia e messaggio in Gioacchino da Fiore, Atti del1° congresso di studi gioachimiti, Abbazia Florense, San Giovanni in Fiore, 1978,Centro di Studi Gioachimiti, San Giovanni in Fiore 1980, pp. 301-365; si veda inoltreanche SPANÒ, L’architettura florense, cit.

29 Per l’architettura francescana con forti caratteri eremitici nel Regno di Napolisi veda: BRUZELIUS, Queen Sancia of Mallorca, cit., pp. 69-100; EADEM, Le pietre di Na-poli, cit.; E. CARELLI, S. CARIELLO, Santa Maria Donnaregina in Napoli, Napoli 1975;SPANÒ, Insediamenti francescani, cit.; ID., Sulle tracce dei Minori, cit., pp. 27-62.

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Foto 10 - Napoli. Santa Maria Donnaregina, Pianta e sezione tratte da voce Angioini, acura di C. Bruzelius, M. Righetti Tosti – Croce, F. Bologna, F. Aceto, E. Marosi, in Enci-clopedia dell’Arte Medioevale I vol., Roma 1991, pp. 657-701

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Foto 11 - Lucera, Duomo. Pianta

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Foto 12 - Napoli, chiesa di San Pietro a Maiella, Pianta

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Foto 13 - Altomonte. Chiesa di Santa Maria della Consolazione. Interno

cosiddetto francescanesimo di corte angioino tanto da realizzare anchein Calabria, le teorie eterodosse circolanti a Napoli. Così inteso il SanFrancesco di Gerace acquista, immediatamente, il valore di edificioparadigmatico per la realizzazione di chiese legate a radicalizzazionidell’elemento pauperistico, proprie del movimento osservante e nonsolo di piena epoca trecentesca o posteriori ad essa, legati alla corte na-poletana, come Santa Maria della Consolazione ad Altomonte e, in ma-niera particolare, per la vasta serie delle chiese dei frati minori osser-vanti in Calabria, tutte databili al pieno XIV sec. o al XV sec., quali ilSan Bernardino di Morano, il San Bernardino di Amantea, il San Ber-nardino di Rossano e l’Annunziata di Tropea (che ripropongono unapianta ad aula con cappelle laterali che si conclude in un presbiterioquadrangolare)30 (foto 14-15).

30 Cfr. SPANÒ,Insediamenti francescani, cit.

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Se è possibile ravvisare una continuità tipologica della chiesa gera-cese nelle strutture osservanti, quasi come se essa fosse il trait-d’uniontra queste ultime e le esperienze eterodosse florense, particolarmenteinteressante appare il caso di Santa Chiara che sembra non avere alcu-na continuità.

La ricchezza, infatti, dell’apparato simbolico realizzato nella basili-ca partenopea, nonché il fatto di configurarsi essa stessa come edificioin cui si concretizzavano le idee spirituali informanti il cosiddetto fran-cescanesimo di corte angioino, faceva dell’edificio una sorta di unicumpraticamente incomprensibile sia in ambiente francescano non corteseche in ambiente papalino, tanto da non avere filiazioni o diffusionenell’Italia proto rinascimentale.

La rilettura che qui si è proposta, però, sia del carisma della religio-ne cappuccina, principalmente alla luce di nuovi studi che provano lavicinanza di essa ai Clareni e ai Discalzati, che delle scelte architettoni-che dell’ordine, induce a vedere, nella scelta dell’introduzione del corodei frati, posto dietro l’altare, una ripresa della organizzazione spazialepropria di ordini monastici in cui l’elemento claustrale aveva un ruolonon secondario. Ora, una lettura degli spazi del culto e del rapportoche, nelle chiese cappuccine, si intesse tra essi vedrebbe, in realtà, unaripresa dell’edificio principe del mondo minoritico più vicino ai clare-ni: Santa Chiara.

Non è, infatti, solo il rapporto che si crea tra il coro delle monachee il presbiterio che avvicina la struttura napoletana a quelle cappuccinema anche il ruolo degli spazi aperti: dalla navata con le cappelle relega-te lungo le pareti, fino alla sistemazione del coro dei chierici in zonapresbiteriale, in piena antitesi al coro per officiare posto dietro l’altare.Questa serie di somiglianze con l’edificio napoletano unite alle pre-messe teoriche prima espresse, non solo permette di riconoscere, attra-verso l’esperienza cappuccina, la concreta esistenza di una chiesa idea-le propria di gruppi eterodossi minoritici, ma anche di inserirla in unaben più vasta serie di eventi architettonici certamente legati a premesseteoriche mistiche e eterodosse, ma presenti non solo in Italia ma in tut-to il bacino occidentale del mediterraneo almeno fin dall’inizio delXIV secolo.

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Foto 14 - Morano Calabro. Chiesa di San Bernardino. Pianta, sezione e prospetto lateraletratti da Paolino F., Le fondazioni dei Francescani Minori Osservanti, in Architetture degliOrdini Mendicanti in Calabria nei secoli XIII-XV, coll. «I Saggi di Opus», Dipartimento diScienze, Storia dell’Architettura e Restauro dell’Università di Chieti, Pescara, Roma, 2002

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Foto 15 - Amantea. Chiesa di San Bernardino. Pianta e sezione tratte da Paolino F., Le fon-dazioni dei Francescani Minori Osservanti, in Architetture degli Ordini Mendicanti in Cala-bria nei secoli XIII-XV, coll. «I Saggi di Opus», Dipartimento di Scienze, Storia dell’Architet-tura e Restauro dell’Università di Chieti, Pescara, Roma, 2002

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Il più comune modo di approcciarsi al mondo francescano è basa-to sulla necessità di riconoscere in esso la concretizzazione di una scel-ta volta al perseguimento della semplicità assoluta e della povertà, conconseguente distacco da tutti i beni mondani, al fine di imitare Cristo.

Certamente, però, considerare il francescanesimo solo sotto que-sto punto di vista, porta a sottovalutare una parte fondamentale delmessaggio minoritico: la volontà, altrettanto forte, di affermare la pre-senza di Cristo all’interno del mondo e della Chiesa, sotto forma di Eu-carestia1.

Rintracciando negli esordi di Francesco una sorta di vicinanza aforme pseudo-ereticali pauperistiche, appare chiaro che egli, nella sua

Capitolo terzo

Culto eucaristico e pauperismo negli ordini mendicantinella Calabria tra medioevo ed età moderna.

I Conventuali e i Cappuccini

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1 La necessità di riportare la Chiesa su una strada corretta, lontana dalle ricchezze,dai nepotismi e dalle corruzioni, è sentita in modo simile in tutto l’Occidente cristianotra la fine dell’XI e per tutto il XII secolo. La volontà di rendere intelligibile ai non ini-ziati (leggi poveri e ignoranti), il messaggio evangelico è comune ai gruppi di poverellichiamati Catari, ai Valdesi, agli Albigesi; così come la necessità di ripulire dall’eccessi-va simbologia le architetture ecclesiastiche è sentita fortemente da S. Bernardo diClairvaux alla fine dell’XI secolo. La devozione verso l’Eucarestia, però, è talmentetanto perseguita da Francesco da costituire, in certo senso, l’ancora di salvezza dall’ac-cusa di eresia di cui il movimento minoritico rischiava di essere tacciato. L’attenzioneverso l’Eucarestia e, conseguentemente, il riconoscimento dei preti come Ministri diCristo e detentori della tradizione evangelica, a prescindere dalla loro personale con-dotta, hanno, nella storia dell’Ordine, così come nella storia della Chiesa, un’impor-tanza fondamentale e spiegano i motivi dell’espansione repentina di esso e dell’uso chedell’Ordine stesso ne fece la Chiesa romana già dal XIII secolo. Per l’analisi di questiaspetti vedi R. MANSELLI, San Francesco, Roma 1980, 292 e ss.

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scelta radicale si allontani da Bernardo di Clairvaux che, mosso dallanecessità di spogliare la Chiesa romana dal superfluo, per aiutare allacomprensione dei Misteri divini ricorreva a una logica matematica ap-plicata alla mistica, difficilmente comprensibile dal popolo fondamen-talmente ignorante2. Per converso, Francesco, indirizzando il suo cam-po d’azione verso una ripresa, senza mezzi termini, della purezza delmessaggio evangelico, scevro da glosse e da interpretazioni, tradotto inun linguaggio comprensibile dalle masse e vissuto da lui stesso attra-verso scelte di vita radicali, mutava diametralmente il campo d’azione,rivolgendosi in modo chiaro alle masse incolte3.

Pur prescindendo dai motivi che spinsero Francesco a scegliere dispogliarsi di tutti i propri beni e di restaurare la Chiesa, in senso figura-le e materiale, certamente è chiaro che ciò che estrapola il pauperismofrancescano da quello valdese, cataro e albigese consiste nell’essere at-tivo non fuori dalla Chiesa romana ma all’interno di essa, operandoviuna mutazione sorprendente e senza ritorno. La volontà di intervenireall’interno della Chiesa si nota in Francesco nella dichiarazione di ob-bedienza che esso fa davanti al Vescovo di Assisi, in totale contrastocon l’azione teatrale di spoliazione di qualsiasi abito e bene di sua ap-partenenza, di rinnegamento del proprio padre terreno. Tali azioni di-cotomiche, contrastanti, teatrali sono l’essenza del francescanesimo ela corretta lettura di esse corrisponde alla chiave di volta per un’altret-tanto corretta interpretazione del reale messaggio.

La teatralità di Francesco passa integra ai propri compagni. I jocu-latores Christi, così come vengono chiamati, essendo associati ai giulla-

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2 Gli studi circa l’azione riformatrice di Bernardo di Clairvaux e dell’Ordine Ci-stercense sono vastissimi. Evitando di scendere nel particolare si rimanda alla voce Ci-stercensi dell’Enciclopedia dell’Arte Medievale,

3 Si afferma qui la scelta di Francesco di utilizzare il volgare come lingua parlata,scritta e artistica. L’utilizzo del volgare, come strumento comunicativo attraverso cuiannunciare il Vangelo, porta il nuovo Ordine ad iniziare una vera e propria rivoluzioneculturale, volta all’esaltazione di una contro-cultura popolare da affiancare alla tradi-zione ecclesiastica. Essa, basata sulla critica delle istituzioni stantie e pronta all’acco-glienza dell’elemento popolare, si imporrà, di colpo e definitivamente, sia in campo re-ligioso che artistico e sociale. Per questi problemi, alla base della nascita e dello svilup-po dell’arte francescana e dei mutamenti della cultura, anche letteraria, nell’Italia si ve-da: MANSELLI, San Francesco, cit.; A. M. ROMANINI, L’architettura degli ordini mendi-canti, nuove prospettive di interpretazione, in «Storia della città», n. 9, 1978, pp. 5-16.

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ri delle corti medioevali – presto compresi dalla Chiesa romana, alpunto da essere usati come vettori del messaggio ortodosso in un’Eu-ropa al limite dell’eresia – si espandono ovunque grazie ad un modoleggero, immediatamente comprensibile (sia dal punto di vista teoricoche pratico che linguistico), da parte di tutti i ceti sociali, di parlare diDio e di Cristo.

Tale teatralità è quella che rimarrà intatta, in tutte le fasi di crescitadell’Ordine, dai primi tempi di mendicanza fino allo splendido perio-do costruttivo, ed è proprio attraverso tali azioni teatrali che le novitàminoritiche vengono palesate, espresse e assorbite.

L’atto di obbedienza al vescovo di Assisi, seguito dalla necessità diincontrare il papa di Roma, palesa immediatamente una sorta di di-stacco da parte del francescanesimo dai più banali fatti del mondo. Sela critica portata avanti dai gruppi pauperistici ereticali era rivolta es-senzialmente agli operatori all’interno della Chiesa – preti, monaci,esponenti della gerarchia cattolica – l’atteggiamento di Francesco èpiuttosto di rifiuto delle istituzioni, un rifiuto che non tocca l’integritàdei carismi che si concretizzano nei sacramenti, non entra a mettere indiscussione la validità dei dogmi fondamentali della Chiesa cattolica, èestraneo al banale giudizio circa le azioni contingenti di ogni singoloprete o del clero nella sua integrità4. Il riconoscere dignità metafisica emetastorica al prete implica uno scatto intellettuale altissimo che, pun-tando la vista verso il sacramento, non considera la condotta di coluiche è solo vettore di questo evento salvifico.

Strettamente legata alla disattenzione verso la condotta dei singolipreti è l’attenzione nei riguardi di tutti i sacramenti e, quindi, dell’Eu-carestia. L’Eucarestia è la più grande forma di amore che Dio ha neiconfronti delle sue creature; la promessa da parte di Cristo di essereper sempre nel mondo, coi propri amici, è superiore a chi è semplice-

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4 Circa il valore semantico e attivo di tale “rifiuto” si rimanda alla lucida e sempreattuale analisi del messaggio francescano nell’arte di Angiola Maria Romanini, in: RO-MANINI, L’architettura degli ordini, cit., pp. 5-16; EAD., I primi insediamenti francescani:tracce per uno studio, in Il Francescanesimo in Lombardia, Milano, 1983, pp. 17 e ss;EAD., Tracce per una storia dell’architettura gotica a Spoleto, in Atti del 9º congresso in-ternazionale di studi dell’Alto Medioevo, Spoleto, 1983, pp. 713-737; EAD., Il france-scanesimo nell’arte: l’architettura delle origini, in Francesco, il francescanesimo e la cul-tura della nuova Europa, Atti del Convegno Internazionale, Roma 1982, a cura di I.BALDELLI, A.M. ROMANINI, (Acta Encyclopedica, 4), Roma 1986, pp. 182 -195

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mente vettore di tale promessa, a colui che ripropone le parole pro-nunciate da Cristo stesso, perché le parole sono atto concreto in sé, es-senza metafisica e metastorica anch’esse.

In tal senso ecco che l’attenzione verso il Pane Eucaristico da partedi Francesco diventa somma e, assieme al riconoscimento di tale Panecome Vero Corpo, ha la meglio sull’atteggiamento pauperistico, ope-rando una nuova azione scenica, cioè teatrale, concreta nelle architet-ture e negli arredi sacri, ove la legge dei contrasti diventa evidente5.

L’assunto teorico imprescindibile di seguire ad litteram il Vangelo,non è solo all’origine della scelta della vita mendicante ma anche diquella architettonica dell’Ordine. Quest’ultima, infatti, appare fonda-ta su una dicotomia che nasce da tale scelta: non il perseguimento dellasola spoliazione dei beni ma la necessità di riconoscere la totale divi-nità di Cristo e la sua presenza concreta, sotto forma di Eucarestia, al-l’interno della Chiesa (e, per estensione, del mondo). Davanti a tale de-vastante realtà, ogni forma di pauperismo scompare e non senza unagiustificazione evangelica, la cui pregnanza non è inferiore a quella re-lativa alla spoliazione. Ci riferisce, in questo caso, al passo evangelicocontenuto in Matteo, 26, 6-13, Marco 14, 3-7 e Giovanni 12, 1-8. dovela necessità non solo di riconoscere la totale divinità di Cristo, ma an-che di dimenticare l’attenzione ai poveri, per rivolgersi totalmente al-l’adorazione di Dio, è fortemente asserita da Cristo stesso6.

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5 Per una lettura, non solo in termini tipologici, dell’architettura francescana si ri-manda ai testi già citati di A.M. ROMANINI e ad A. SPANÒ, Sulle tracce dei Minori a Ge-race. Dai primi insediamenti alla chiesa di San Francesco, in «Bollettino d’Arte», n. 137-138 –luglio-dicembre 2006, pp. 27-62; ID., Insediamenti francescani nella Calabria an-gioina. Il paradigma Gerace, Soveria Mannelli, 2007.

6 Il passo evangelico in questione si riferisce all’unzione di Betania di cui si riportail passo contenuto in Giovanni 12, 1-8: «Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò aBetania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecerouna cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, prese una lib-bra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e liasciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. AlloraGiuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché que-st’olio profumato non si è venduto per trecento danari per poi darli ai poveri?”. Que-sto egli disse non perché gli importasse dei poveri ma perché era ladro e, siccome tene-va la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala fare,perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre conme, ma non sempre avrete me”».

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Ora, proprio questa affermazione viene palesata dalle strutture mi-noritiche mature, e ciò avviene attraverso semplicissimi segni architet-tonici di straordinaria eloquenza, quantunque mai slegati dalla tradi-zione architettonica.

Le strutture francescane, infatti, dal punto di vista della distribu-zione spaziale, sottolineano molto la necessità di differenziare la zonafruita dai fedeli da quella dedicata a Dio e ai celebranti. Il modo cometale differenziazione spaziale venga raggiunta, non è mai univoco eporta ad una palese impossibilità di dare una definizione tipologica al-le chiese minoritiche. Ciononostante, proprio la volontà palesata diperseguire una tale chiarissima definizione icnografica, permette il su-peramento dell’eterogeneità che, tipologicamente, è indubbia.

Nonostante l’architettura minoritica propriamente detta non sialegata alla figura di Francesco, per lungo tempo la storiografia ha ten-tato di riconoscere nelle chiese umbre, marchigiane e toscane della pri-ma metà del ’200, i prototipi delle grandi strutture minoritiche, carat-terizzate da chiese a sala o basiliche a gradoni fino alle chiese cosiddettea fienile (Figura 1). Tali strutture, però, proprio alla luce dell’eteroge-

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Figura 1 - Tipologie di chiese mendicanti: Chiesa-fienile, Cortona, San Domenico. Spac-cato assonometrico tratto da C. Bozzoni, Le tipologie, in Francesco d’Assisi. Chiese econventi, a cura di R. Bonelli, Milano 1982, pp. 143-149

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neità architettonica riconosciuta, non potendo essere considerate solocome il risultato ultimo di una progressiva definizione tipologica, ac-quistano importanza qualora vengano identificate come ultimo atto diuna vera e propria complessa politica insediativa7.

Il mancato riconoscimento di strutture exempla per l’architetturadei francescani, porta a definire la stessa come acefala e sottoposta adinnumerevoli varianti; in realtà, però, tale rischio si riduce al minimonel momento in cui una sorta di specificità pauperistico-minoritica vie-ne ravvisata nella struttura ecclesiastica cosiddetta ad aula o a fienile.

La struttura architettonica ad una sola navata senza partizioni pa-rietali e coperta a tetto, desinente in una o più absidi quadrangolari co-perte da volte a crociera, rappresenta il più compiuto esempio di archi-tettura legata all’Ordine francescano. Essa sottolinea quel dualismo difondo del movimento, volto alla evidenziazione della differenza quali-tativa e, dal punto di vista architettonico, strutturale, tra il luogo pre-posto all’accoglienza dei fedeli e quello legato alla presenza dell’Euca-restia.

Ma, come prima visto, è proprio in questo operare su contrasti cheil francescanesimo appare totalmente ortodosso. I passi evangelici pri-ma citati, non dimostrano forse palesemente che davanti al riconosci-mento della divinità è necessario anche disinteressarsi dei problemipiù prettamente sociali e umani?

Date queste premesse e il continuo ribadire il concetto di teatralitànel francescanesimo, è certamente attraverso l’analisi delle architettu-re e degli arredi sacri che la filosofia dei contrasti si mostra in tutta lasua evidenza. Le chiese francescane due e trecentesche denunciano,infatti, non solo la povertà e la semplicità dell’Ordine, così come usual-mente e grossolanamente si tende a dimostrare, ma esprimono conestrema chiarezza il gioco dei contrasti prima enunciati.

Codificate realmente solo dopo il 1260 (Capitolo Generale di Nar-bonne), le chiese francescane sono parole di Francesco fatte materia.

7 Si sottolinea qui che, eliminando la riduzione dell’architettura francescana a ti-pologie standardizzate, il valore di esse è essenzialmente di tipo cronologico-tempora-le. La maggior parte delle strutture in cui la compiutezza spaziale, distributiva e archi-tettonica è chiara, appartiene alla fase matura degli insediamenti e, nel caso specifico, adopo le disposizioni di Narbonne del 1260.

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8 Per l’analisi puntuale della chiesa geracese si rimanda a SPANÒ, Sulle tracce deiMinori, cit., pp. 27-62 e ID., Insediamenti francescani, cit.

Attraverso la lettura di una delle strutture più tipiche del mondomendicante minoritico meridionale, il S. Francesco di Gerace, e facen-do una serie di confronti con analoghe strutture, più o meno contem-poranee, sparse in tutta Italia, è immediatamente percepibile una dif-ferenza a livello architettonico, decorativo e spaziale tra due differentiparti della struttura: quella relativa all’aula e quella insistente sopral’altare maggiore8 (Figure 2-3).

Se l’aula, di forma rettangolare allungata, non mostra segni di at-tenzione verso una qualificazione formale, configurandosi come unsemplice spazio dilatato coperto da un tetto a capriate, riproponendola tipologia “a fienile” (e il termine è eloquente in sé), tutto muta im-mediatamente dopo l’arco trionfale. Ricostruendo la situazione origi-nale della chiesa in questa zona, ove non esisteva la finestra ora apertaverso Sud e al posto dell’altare barocco si poneva probabilmente un al-tare litico sotto un arco trionfale simile a quello di divisione tra presbi-terio ed aula e in cui, al posto dell’odierno tetto a capanna del coro siergeva una volta a crociera costolonata, ecco che il contrasto con l’auladiventa estremo. Qui lo spazio si comprime, diventa dinamico e rotan-te attorno all’altare, è inondato di luce proveniente dalla gigantescamonofora orientale, luce che non si raggruma nelle unghie delle volte acrociera che coprono gli ambienti relativi al coro e al presbiterio. All’e-sterno, in contrasto con il tetto a due falde posto sull’aula, terrazze pre-sumibilmente merlate contribuivano a rendere manifesta a tutto il po-polo la diversa qualità della struttura: l’aula, povera e semplice, atta adospitare il popolo, il castello, sede naturale del Re, di Cristo.

L’esempio geracese, pur rientrando in questa concezione dicoto-mica, in realtà non accoglie in modo acritico le istanze più profonda-mente minoritiche, inserendosi attivamente in un sostrato culturale as-solutamente differente da quello umbro e marchigiano e le cui radiciaffondano nella complessa realtà culturale normanno-bizantina cala-brese. Il rapporto con la cultura locale, propugnato da Francesco stes-so nell’esortazione di utilizzare, per la spiegazione del Vangelo a tuttele classi sociali, un linguaggio noto e semplificato, nonché figure facil-mente comprensibili, vede l’Ordine minoritico meridionale intrapren-

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Figura 2 - Gerace. Chiesa di San Francesco. Interno dell’Aula

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Figura 3 - Gerace. Chiesa di San Francesco. Volte del Presbiterio

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dere una via diversa rispetto a quella codificata nel centro e nord Italia,volta ad una ossessiva attenzione verso il valore simbolico della luce, ri-mandante immediatamente a Dio, alla Trinità e al misticismo di stam-po gioachimista, posta accanto alla scelta pauperistica e alla devozioneall’Eucarestia9. Esempi di interrelazione tra l’uno e l’altro aspetto dellamistica tardo medioevale si ritrovano in quasi tutte le strutture france-scane del Mezzogiorno, da S. Chiara a Napoli (la cui prima dedicazio-ne era al Corpo di Cristo) (Figura 4), al S. Paolo di Brindisi, al S. Fran-cesco di Gerace fino al S. Francesco di Messina ove il ruolo del presbi-terio come luogo ove si fa concreta la presenza di Cristo Eucarestia èsempre sottolineato non solo dalle architetture ma anche dal dialogoche si intesse tra queste e l’elemento luministico10.

L’atteggiamento dualistico tra povertà e adorazione del Corpo diCristo continua ad essere al centro dell’attenzione di tutte le famiglie esottofamiglie francescane, che dal ’300 in poi, si diramano dal ceppoconventuale. Non è un caso che divisioni spaziali esistano nelle chiesedell’Osservanza, in quelle riformate, nei conventi legati a S. Bernardi-no da Siena (ove probabilmente l’influenza gioachimista è ancora piùforte)11.

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9 La necessità di aderire perfettamente alla struttura pubblica, da parte del popo-lo minoritico, di non farsi notare e di essere vicino ai ceti meno abbienti e meno colti, fasì che l’architettura francescana si strutturi secondo i canoni ben noti e ampiamentestudiati e individuati. Indubbiamente, nel caso geracese, la struttura pubblica, i cetimeno abbienti e gli incolti, erano, da un punto di vista religioso, strettamente legati aduna simbologia che non risultava imposta ma propria, quindi difficilmente sradicabile.Ciò sta alla base, probabilmente, anche dello sviluppo della dottrina teologica floren-se, legata a misticismi orientali e ad un culto della Trinità tipico del mondo greco. La si-tuazione si presenta sotto le stesse vesti anche ai francescani che, almeno in questa fase,mediano il messaggio pauperistico di Francesco con l’opulenza e la simbologia lumini-stica bizantina (e florense).

10 Per lo studio di questi edifici si rimanda a SPANÒ, Insediamenti francescani, cit.11 I ritorni programmatici all’operato e alla figura di Francesco d’Assisi si ripeto-

no, nella famiglia minoritica fin dalle origini del movimento francescano. Dopo la na-scita del movimento dell’Osservanza, dovuto a Bernardino da Siena nel 1368, all’inter-no di essa si nota, nel corso del 1400 la nascita di un movimento pauperistico cosiddet-to di “recollezione” e, assieme ad esso, di una serie di altre tendenze pauperistiche cherendono instabile la famiglia francescana. Se la divisione era uno stato di fatto, l’unio-ne anelata tra i vari sottordini dell’Osservanza (martiniani, amadeiti, collettani, clare-ni, guadalupensi), rimase un mero desiderio infatti i clareni e gli amadeiti continuaro-no a vivere autonomamente mentre solo nel 1568, per volere di San Carlo Borromeo e

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Figura 4 - Napoli, Santa Chiara. Pianta tratta da voce Angioini, a cura di C. Bruzelius, –M. Righetti Tosti – Croce, F. Bologna, F. Aceto, E. Marosi, in Enciclopedia dell’Arte Me-dioevale, I vol., Roma 1991, pp. 657-701

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Nel ’500 però un nuovo afflato pauperistico comincia a circolareall’interno della società e della Chiesa. Come succedeva circa 300 anniprima, si sviluppano tendenze eterodosse, questa volta ben più attiverispetto a quelle medioevali, che porteranno al tragico scisma prote-stante e, contemporaneamente, la figura di Francesco torna ad avereun ruolo importantissimo. Corrotto anche il francescanesimo, oramaiordine ricco di possedimenti, assolutamente rientrato nelle file dellaChiesa cattolica, lo stesso movimento è diviso in molteplici rivoli agita-ti dalla volontà di rinnovarsi e ripulirsi dalla mondanità. Tra questi na-sce, tra la Calabria e le Marche, la riforma cappuccina che, partendodall’Osservanza francescana, propone una radicalizzazione concretadei precetti francescani regolari, ritornando non tanto alle Regolequanto alla figura e all’azione personale di Francesco12.

I cappuccini, proprio in quanto metodicamente volti alla ripresa intoto del messaggio di Francesco, mostrano caratteristiche in tutto simi-li ai primi passi del francescanesimo. Queste si esplicano sia nel mododi insediarsi (prima presso i centri cittadini in grotte o capanne, poilungo le vie d’accesso alla città, infine molto vicini alle mura), sia nel-

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di San Pio V, furono uniti agli Osservanti.Per ovviare ad una ulteriore frammentazio-ne, nel 1517 papa Leone X è costretto ad emanare la bolla Ite vos ad vineam meam cheperò segnando di fatto la divisione tra Conventuali ed Osservanti, permette la coesio-ne tra i movimenti riformatori minori nati in seno all’Osservanza: tra cui quello dei Re-colletti spagnoli; cfr. F. RUSSO, I Minori Cappuccini in Calabria, dalle origini ai nostrigiorni, in Miscellanea Francescana, LVI (1956), pp. 1-2; I Cappuccini. Fonti documenta-rie e narrative del primo secolo, a cura di V. CRISCUOLO, Roma 1994, pp. 21 e ss.; A.SPANÒ, L’arte dell’Ordine Cappuccino. Primi passi per lo studio della riforma pauperisti-ca nell’Italia Meridionale post rinascimentale¸ in Sacre Visioni. Il patrimonio figurativonella provincia di Reggio Calabria.Catalogo della mostra omonima Reggio Calabria,Rotonda Nervi 16 dicembre 1999. 20 febbraio 2000, a cura di R. M. CAGLIOSTRO,C. NOSTRO, M.T. SORRENTI, Roma 1999, pp. 75-82.

12 Per quanto riguarda l’annosa questione relativa alla priorità storica della rifor-ma cappuccina, discussa tra la Calabria e le Marche si vedano: G. FIORE DA CROPANI,Della Calabria Illustrata, Tomo secondo; Napoli 1743, pp 405-413, E. NAVA, Trattatodel principio e progresso della Religione Cappuccina avuto da questa Provincia di Reggio,trascrizione di un manoscritto databile al 1770; G. LEONE, I cappuccini e i loro 37 con-venti in provincia di Cosenza, I-II, Cosenza 1986; F. RUSSO, I Minori Cappuccini in Cala-bria, cit.; M. D’ALATRI, Il primo secolo (1525-1619). Quadro storico, in I Cappuccini,cit., pp. 19-73; I. AGUDO DA VILLAPADIERNA, I cappuccini e la Santa Sede. Documentipontifici (1526-1619)¸ in I Cappuccini, cit., pp. 75-135; G. LEONE, Priorità storica cala-brese nella Riforma Cappuccina desunta dalle fonti dell’Ordine, Cosenza 1998.

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l’accentuato pauperismo sia, infine, nell’ossessiva attenzione versol’Eucarestia.

Tenendo fede alle parole di Francesco, il rapporto con l’Eucarestiapresso i cappuccini fa sì che la presenza di Cristo diventi determinanteper l’intera struttura conventuale. La chiesa diventa il punto focaledell’intero complesso architettonico e, all’interno di essa, l’altare mag-giore e il tabernacolo posto su di esso, i perni di un sistema dinamicoroteante attorno al mistero eucaristico (Figura 5).

Trattare dei tabernacoli cappuccini estrapolandoli dal contesto stori-co e artistico relativo ai frati ed alla Chiesa tardo-rinascimentale, risultaestremamente sterile. Dopo aver evidenziato quali sono le necessità pro-prie dell’Ordine minoritico, in particolar modo quelle legate alla volontàdi perseguire la povertà e di esaltare il Corpo di Cristo, ecco che si puòcomprendere il valore delle meravigliose realizzazioni lignee 600esche e700esche, che vanno ad abbellire le chiese cappuccine.

Come per i frati conventuali anche per i cappuccini il ricorso al se-gno è fondamentale per rendere concreto il messaggio del poverello as-sisiate. E, infatti, anche per i cappuccini, tra i segni tangibili della spiri-tualità francescana, un ruolo fondamentale acquista l’Eucarestia equindi il luogo ove il miracolo eucaristico si compie e quello ove le Sa-cre Specie sono conservate.

Così come esiste una somiglianza al limite della sovrapponibilitàtra il movimento cappuccino e quello francescano medioevale perquanto riguarda le modalità insediative, essa esiste anche laddove sitratta la necessaria codificazione delle forme architettoniche (che daiminori duecenteschi fu raggiunta con il capitolo di Narbonne del 1260e le conseguenti Costituzioni bonaventuriane e per i cappuccini, inve-ce, è relativa alle Costituzioni di Roma del 1536, poi ratificata nelle Co-stituzioni generali del 1575). Essa viene, infatti, trattata dal testo di P.Antonio da Pordenone: Memoriale su come costruire un nostro picciol eordinato monasterio13 (Figura 6).

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13 Il trattato manoscritto, conservato in tre edizioni nella Biblioteca NazionaleMarciana di Venezia e, in una, nell’Archivio dei Frati Minori Cappuccini di Innsbruckviene pubblicato per la prima volta, forse a Venezia, nel 1603 firmato da Frate Antonioda Pordenon, Sacerdote Cappuccino. A parte l’integrale pubblicazione del testo in I fratiCappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, (a cura di p. C. CARGNONI),Roma 1992, pp. 1578-1628, numerosissimi studi hanno analizzato, negli ultimi anni,numerosi aspetti del trattato, fra tutti si ricordano qui: F. CALLONI, Architettura cap-

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Figura 5 - Morano, Interno della chiesa dei cappuccini, particolare dell’altare maggiore

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Figura 6 - Schema tipologico di convento cappuccino tratto dal Memoriale su come co-struire un nostro picciol e ordinato monasterio di P. Antonio da Pordenone

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Rientrando nella vasta compagine della riorganizzazione ecclesia-stica post tridentina, il Memoriale essenzialmente codifica la, altrimen-ti solo usuale, pratica di costruire le case per i frati, sottolineando qualisiano le premesse ideali e in che modo le stesse debbano essere rese vi-sibili negli edifici, costituendo una pietra miliare nello studio dellestrutture conventuali cappuccine.

Ma proprio attraverso un’attenta analisi del trattato si notano ade-renze, da parte dell’Ordine, alla cultura ufficiale, alla chiesa contro-riformata e, quindi, all’azione di San Carlo Borromeo vescovo di Mila-no che, nel 1577, aveva realizzato una sorta di particolarissimo trattatodi architettura – le Istructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae –ove si è voluto vedere, nella descrizione della “simplex ecclesia”, pro-posta per gli oratori, il prototipo per le “picciol chiese” di P. Antonio daPordenone14.

Nel trattato cappuccino l’attenzione verso la povertà è sempresomma, così come è sempre consigliata la distanza dagli ambienti arti-stici mondani. Da quest’ultima esortazione proviene una sorta di ritar-do rispetto all’arte secentesca e settecentesca, all’interno dei conventi ela nascita di un’omogeneità formale e spesso anacronistica, eviden-ziante sempre la necessità di distacco dal mondo e la chiusura monasti-ca. Tale omogeneità interessa in special modo l’atteggiamento da assu-mere nei confronti dei paramenti sacri, degli oggetti d’arredo del con-vento e della chiesa e, principalmente, un riconoscimento immediato

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puccina nell’antico ducato di Milano, tesi di laurea, Università Cattolica del S. Cuore,1976/77, relatore prof. G.A. Dell’Acqua; ID., Interpretazione iconologia dell’architettu-ra cappuccina, in I frati Cappuccini, cit., pp. 1469-1548; T. SCALESSE, Note sull’architet-tura dei Cappuccini nel Cinquecento, in Atti del III Convegno Internazionale “I France-scani in Europa tra Riforma e Controriforma”, Assisi 1985; A. COLLI, Un Trattato di ar-chitettura Cappuccina e le “Instructiones fabricae”di San Carlo, in San Carlo e il suo tem-po, Roma 1986 e in I frati Cappuccini, cit., pp. 1555-1578; S. GIOVANAZZI, La riscopertadi un architetto cappuccino, in Architettura Cappuccina. Atti della giornata di studi stori-ci sull’architettura cappuccina, Trento Biblioteca Provinciale dei Cappuccini, 28 maggio1993, Trento 1995.

14 Istructionum Fabricae et suppellectilis libri duo Caroli S.R.E. Card. Tt. S. PaxedisArchiepiscopi iussu ex provinciali decreto editi ad provinciae Mediolanensis usum/trad.italiana a cura di M. L. GATTI PERER, Z. GRASSELLI, Milano 1983-1984. Il parallelismotra i due trattati è messo in evidenza dagli studi della Gatti Perer, pertanto si veda: M.L. GATTI PERER, Lo spazio sacro nelle “Istruzioni” di San Carlo e nei nuovi ordini religio-si del Cinquecento, in Architettura Cappuccina, cit., pp. 25-65.

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dell’arte cappuccina si ritrova nell’arredamento dello spazio ecclesia-stico, ovunque rispondente a regole indefettibili e sottolineanti, sem-pre, il concetto di povertà evangelica e di minorità. Ci si riferisce all’u-so determinato, assoluto e programmatico del legno per gli altari, i pul-piti, le cantorie, gli armadi da sacrestia, i tabernacoli15.

Unita all’uso del legno è la volontà di denunciare la qualità materi-ca di quest’ultimo. Si esula definitivamente dall’usanza, comune ancheagli ordini minoritici, di mascherare il materiale “povero” con decora-zioni a stucco o pittoriche, imitanti materiali lapidei o decorazioni po-licromatiche a scagliola. La vibrazione pittorica presso i cappuccini èlasciata solo all’accordo tra la luce delle candele e gli intagli, tra le di-verse coloriture delle essenze lignee usate e, solo nel particolarissimocaso del tabernacolo, alla contrapposizione di materiale più nobile:avorio, tartaruga o madreperla, al legno che, comunque, rimane comerealizzante la struttura tettonica di qualsivoglia oggetto di arredo.

Certamente il ’500 e il ’600 vedono realizzazioni formalmente mol-to distanti da quelle di epoca tardo duecentesca o trecentesca, ma aduna distanza formale non corrisponde, in realtà, una distanza teorica,piuttosto, è proprio attraverso l’uso di forme differenti che si denunciala continuità del messaggio francescano circa la povertà e l’Eucarestia.Come si è visto per le organizzazioni spaziali medioevali, dove la mensaeucaristica e il vano presbiteriale e absidale si ponevano come entità

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15 L’uso del legno, inteso come materiale povero, facilmente corruttibile, aborritodagli ambienti ricchi e fastosi, è sempre vivamente proposto dai frati e diventa addirit-tura d’ordinanza nelle costituzioni dei cappuccini e, per quanto riguarda la costruzio-ne di arredamento di grande valenza teologica, come i tabernacoli e gli altari, verrà ri-conosciuto anche dalla Chiesa Romana nel 1646. Circa l’uso tassativo di questo mate-riale si veda: G. SANTARELLI, Opere di ebanisteria presso i Cappuccini delle Marche, inCollectanea Franciscana, 63 (1993); per quanto riguarda l’uso del legno non coloratoper le decorazioni plastiche, relegando l’oro e l’argento solo ai calici e agli ostensori,cfr. C. DA LANGASCO, Cultura materiale in convento. I libretti del Museo di Vita Cappuc-cino, n°1, Genova, 1990. p. S. GIEBEN, L’arredamento sacro e le sculture lignee dei cap-puccini nel periodo della controriforma, in Arte “minore”, in I Frati cappuccini…, pp.1635-1643, in cui si sottolinea il ruolo delle costituzioni relative ai vari capitoli, circal’uso di materiali preziosi per i calici, le patene, gli ostensori; p. S. GIEBEN, La culturamateriale dei cappuccini nel primo secolo (1525- 1619), in «Collectanea Francescana»,69/1-2, 1999; G. SANTARELLI, I Tabernacoli lignei dei Cappuccini delle Marche, in «Ita-lia Francescana», LXXIV, n. 1, gennaio – aprile 1999; F CAROSELLI, I Tabernacoli li-gnei dei cappuccini emiliani, Reggio Emilia 2000.

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estranee all’interno delle strutture architettoniche semplici, anche inepoca rinascimentale o barocca l’altare maggiore si pone come puntod’arrivo di un percorso univoco, che porta il fedele verso la contempla-zione del Corpo di Cristo, su di essa conservato.

La poetica secentesca e settecentesca vede la creazione di macchi-ne sceniche di impressionante impatto. Esse, anche se ad una primalettura sembrano snaturalizzare la semplicità francescana delle mem-brature, con una eccessiva decorazione, alla luce delle riflessioni sullanecessità di distinguere linguisticamente lo spazio degli uomini dallospazio di Dio, ecco che appare, in realtà, assolutamente legata alla figu-ra di Francesco d’Assisi stesso16.

Alla luce di queste precise dichiarazioni ecco che a discapito del-l’atteggiamento pauperistico, sono proprio le materie preziose, la ric-chezza decorativa, l’attenzione formale e artistica ad essere non soltan-to riprese, ma addirittura esaltate (se non altro in contrasto con la po-vertà delle rimanenti parti della chiesa e degli oggetti liturgici), laddo-ve si è in contatto con tale Sacramento. I calici, le patene, le pissidi, i ci-bori e, per estensione, il luogo stesso ove questi si pongono (quindi ilpresbiterio nelle chiese medioevali, le cappelle del SS. Sacramento nel-le chiese rinascimentali, gli altari maggiori nelle chiese cappuccine),sono caratterizzati da una ricchezza inusuale per un Ordine che scegliecome regola fondamentale la povertà estrema; ricchezza spiegabile so-lo attraverso la conoscenza delle reali idee di Francesco.

Il contrasto tra il perseguimento della povertà e la necessità di esal-tare l’elemento eucaristico in ambiente cappuccino è all’inizio pococompreso, tanto da rendere evidente il rischio di superare le intuizionidi Francesco per una sottolineatura dell’elemento pauperistico, spessosuperiore alla necessità dell’esaltazione di Cristo. È dopo il Concilio diTrento che le Costituzioni dell’Ordine del 1575, proprio riguardo l’at-tuazione della “povertà” e l’”esaltazione della Eucarestia”, tornano aproibire qualsivoglia ricchezza, eccezion fatta per il “calice, la Bossola

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16 Esulando dalla ripresa attenta degli scritti di Francesco stesso, basta citare i ti-toli di alcune Epistolae nelle quali il Santo si rivolge ai suoi frati: Epistola ad clericos(datata al 1220-1226, cfr. MANSELLI; Fonti Francescane, cit., pp. 159-160) e le Epistolaead custodes (dat. 1222-1226, cfr. MANSELLI, Fonti Francescane, cit., p. 170), assieme al-la Epistola toto ordini missa, per comprendere la validità della scelta di dare importan-za suprema all’Eucarestia.

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del Santissimo Sacramento, et Tabernacolo, et il velo da tenere sopra il ta-bernacolo”.

Centro e perno della chiesa cappuccina è l’altare, il luogo concretoove il “miracolo” quotidiano della Transustanziazione si compie e ovele “Specie” sono permanentemente conservate.

Operando un parallelismo con le strutture antiche minoritiche èchiaro, a questo punto, come quella cappuccina sia una architettura di-namica, non un luogo di mera accoglienza ma la vera casa dell’Altissi-mo e, come tale, imperniata su di esso, presente nell’Eucarestia. All’in-terno di questo parallelismo, però, non sono solo le forme architettoni-che o la semantica spaziale ad essere riproposte ma appaiono evidentiproprio le concordanze tra le concezioni estetico-teologiche medioe-vali e quelle tardo-rinascimentali cappuccine.

Ma nelle strutture cinquecentesche compare un elemento di grandenovità, rispetto alla antica gestione degli spazi medioevale e quattrocen-tesca minoritica meridionale, che sottolinea l’aderenza dei cappucciniad un aspetto ben poco indagato e, probabilmente, poco vissuto real-mente in ambiente francescano: quello pseudo eremitico. La chiesacappuccina, infatti, pur continuando ad essere suddivisa in due zone(come accadeva nelle strutture francescane antiche), di cui una fruitadai fedeli (la navata sui cui si aprono le cappelle e che ospita i contralta-ri), e una di pertinenza dei sacerdoti e dei frati (il presbiterio), presentauna eclatante novità rispetto alla concezione dello spazio ecclesiasticominoritico. Il coro, ospitante l’altare, si frammenta ulteriormente in dueambienti: il c.d. coro per celebrare, o Presbiterio, e il c.d. coro perufficiare, o Coro propriamente detto, certamente comunicanti ma di-stinti. Il primo è, infatti, aperto verso la comunità dei fedeli, il secondodi sola pertinenza della fraternità è in stretto contatto con i luoghi della“clausura”17. La stessa denominazione data ai due luoghi, distinti sololinguisticamente da un attributo legato alle azioni che in essi si svolgono(il celebrare i Divini Misteri o l’attendere all’Ufficio delle Ore), implicaun concepimento unitario dello “spazio”, diviso in due parti semplice-mente dall’evento decorativo più importante ed imponente della chie-sa: l’altare maggiore e, su di esso, del tabernacolo (Figura 7).

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17 Per la codificazione dell’architettura e la distinzione tra le due parti del presbi-terio, cfr. gli studi sul Memoriale di P. Antonio da Pordenone precedentemente citatiin nota 13.

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Figura 7 - Rombiolo, Interno della chiesa dei cappuccini

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Il tabernacolo, incastonato nella mensa, è l’elemento su cui ruota ilgrande coro, il perno, non solo ideale, dell’intera chiesa e, per estensio-ne, considerando anche il ruolo centralistico che l’edificio ecclesiasticoha nel complesso del convento, dell’intera costruzione monastica18.Pur rientrando nella vasta tipologia del tempietto, il Tabernacolo cap-puccino si distacca da quelli degli altri Ordini proprio per continuare asottolineare l’aderenza a quelle regole pauperistiche sempre presentinel pensiero minoritico. Un decreto della Congregazione del Sacro Ri-to del 7 dicembre 1888 afferma che i Frati Minori Cappuccini, su con-cessione della SCEpReg del 13 luglio 1659, possano avere un taberna-culum ligneum affrabre elaboratum, exterius nudo ligno, rudi colore de-picto et non necesse esse ut deauraretur, aut prezioso depingeretur quamceterae altaris partes19.

Legata alla particolare venerazione che l’Ordine ha per il SS. Sa-cramento è la pratica delle Quarantore, tipica dell’epoca controrifor-mista e di cui i Cappuccini sono protagonisti assoluti. Certamente que-sta forma di devozione sottolineava il rapporto specialissimo che l’Or-dine francescano aveva con l’Eucarestia e, principalmente, contribuivaalla realizzazione di impressionanti scenografie, sull’altare maggiore,per l’esaltazione dell’Ostensorio con l’Ostia Consacrata.

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18 Il luogo preposto alla conservazione delle Sacre Specie, già dal 1500 si avviavaad assumere una figura ben precisa: un tempietto in miniatura troneggiante sull’altare.Tale forma monumentale è sempre presente e pur variando di dimensioni e non essen-do sempre uguale (dalla semplice mostra architravata in mezzo al dossale della mensa,al tempio a pianta centrica), diviene lentamente “la forma” della custodia eucaristica,raccomandata agli artisti del tempo, tramandata in disegni e indicazioni di progetto,esaltata fino alla riproposizione di vere e proprie architetture in miniatura, anche inmateriale prezioso come il bronzo o l’argento dorato. Circa la forma della custodia nonesiste alcuna norma da parte della Santa Sede che lascia libertà di espressione agli arti-sti, come si è visto ampliamente precedentemente. La stessa cosa si nota per quanto ri-guarda gli ornati dei tabernacoli in cui si avalla la tendenza a decorarli con figurazionilegate alla passione di Cristo o volte alla esaltazione del sacrificio eucaristico e, nel casodell’uso del legno, a mascherare quest’ultimo con dipinture a finto marmo o a stucco.

19 P.L. KOSTER OFM, De Custodia Sanctissimae Eucharestiae, cit., 142.Tale asser-zione risulta di estrema importanza, ai fini di questo studio, per sottolineare l’esistenza“a latere” della fraternità francescana, rispetto all’andamento ordinario della Chiesaufficiale. Esistenza, questa, che non fa che evidenziare, ancora una volta, e dopo 400anni, la specificità propria del frate minore, volto, si ripete, a perseguire la povertà e adesaltare il mistero eucaristico.

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Considerando che le sacrestie non sono ammesse dalle Costituzio-ni cappuccine, almeno fino al 1608, e che l’armadio (o Armarium), po-sto nel coro per ufficiare addossato alla parete dell’altare maggiore, fun-gesse da custodia per le suppellettili sacre, bisogna avere ben presenteche l’ambiente, adesso usato principalmente come sacrestia, era origi-nariamente concepito per la preghiera e per permettere ai frati di par-tecipare, non visti, alla celebrazione. Affinché ciò potesse essere attua-bile in toto, era necessario ricorrere ad escamotages caratteristici, chesmaterializzassero il muro divisorio, trasformandolo in una sorta di pa-rete–diaframma. Ciò poteva essere realizzato creando una serie di pic-cole feritoie nell’altare maggiore e delle finestrelle attraverso le quali sipotevano passare le ampolline durante la celebrazione, senza uscire sulpresbiterio e, soprattutto, una finestra sguinciata, che metteva in co-municazione il coro per ufficiare con l’altare maggiore, attraverso il ta-bernacolo20.

Proprio per permettere tale totale permeabilità, dal Memoriale diP. Antonio da Pordenone si legge: Il tabernacolo sii largo un piede etmezzo per quadro et longo piedi 3 et si porrà sopra il secondo grado dellicandelieri et bisognando, davanti siano due colonnette sotto21. Essendo igradini alti circa 11 cm, si può asserire che esso doveva trovarsi a circa22 cm sulla mensa, ciò consentiva ai frati posti nel coro di avere una vi-sione completa del presbiterio e, quindi, di assistere non visti alla cele-brazione. Il tale particolare ruolo che la parete diaframma acquista nelcontesto architettonico e decorativo ecclesiastico in ambiente cappuc-cino, sembrerebbe implicare una progettazione unitaria dell’ambientee degli elementi mobili in esso contenuti. Questo modo di concepire lospazio e l’arredo, nel luogo preposto ad accogliere l’Eucarestia diventaeclatante e denunciato fino a imporsi definitivamente nel contesto spa-ziale e decorativo.

La tipologia più frequente per le custodie cappuccine è quella deltempietto a pianta centrale, pianta che, in ambiente rinascimentale, è

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20 cfr. S. GIEBEN, L’arredamento sacro e le sculture lignee dei Cappuccini nel perio-do della controriforma,in L’immagine di San Francesco nella Controriforma, Roma Cal-cografia 9 dicembre 1982 – 13 febbraio 1983 [catalogo della mostra], Roma 1982, pp.233- 236 e, con stesso titolo in I frati cappuccini, cit., pp. 1635-1643

21 GIEBEN, La cultura materiale dei Cappuccini, cit., p. 153 e in particolare la nota 33.

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ricca di connotazioni simboliche legate alla perfezione riconosciutaal cerchio e, quindi, a tutte le figura geometriche che ad esso si avvici-nano.

A questa serie di speculazioni filosofico–teologiche, tipicamenterinascimentali ed umanistiche, si affianca però una sorta di nuova spe-cificità legata alla “forma” della custodia, per nulla slegata da una di-scussione simbolica di ampio respiro, circa il valore dell’immagine nelXVII secolo. I tabernacoli non sono, infatti, a pianta centrale ma han-no uno schema semicentrico, essendo realizzata solo la parte che è visi-bile dalla navata, rimanendo rozza e piatta quella posteriore, che si in-castra nel dossale dell’altare maggiore.

Questo escamotage, se da un punto di vista funzionalistico può es-sere letto come necessario per un corretto inserimento all’interno del-l’ancona dell’altare, addossato alla parete, da un punto di vista simbo-lico mostra una chiara accettazione, da parte dell’ambiente cappucci-no, di regole teatrali e scenografiche che, esemplificando, possono es-sere definite “barocche”. Il tabernacolo, infatti, pur non essendo real-mente a pianta centrale, così in realtà sembra; i fianchi si sviluppanosecondo uno schema più o meno divergente da quello frontale sugge-rendo una forma che continua al di là dell’incastro tra i gradoni dell’al-tare. Il problema non risiede tanto nel realizzare una forma centrale manel suggerirla, nella necessità di rendere chiara e positiva l’immagina-zione. Ciò che si impone sull’altare maggiore è, di fatto, un tempiettocruciforme, ottagonale, esagonale o circolare in cui non ha più valorela corrispondenza tra ciò che si vede e ciò che è.

Che la realtà apparente sia una figura di quella sostanziale e chetutto ciò che si vede può sembrare altro, si concretizza nel tabernacolo,pur ritornando con la mente alla ricchezza di simboli che la figura cen-trica porta con sé. Se, infatti, il corpo del tempietto è solo un eventoteatrale, la cupola torna ad essere basata su una vera figura centrica. Losviluppo di quest’ultima, infatti, a cipolla, a calotta estradossata, tron-coconica, a pagoda, a falde, realizza in concreto la realtà metafisica chele appartiene, essendo considerata il luogo della presenza delle poten-ze celesti. Ergendosi, inoltre, libera da legami fisici con l’altare, pro-prio la cupola ha la possibilità di denunciare, senza mezzi termini, lascelta dell’impianto centrico per tutto il ciborio, eludendo definitiva-mente, ogni possibile confusione generata dalla eventuale presa di co-scienza dell’inganno perpetrato ai danni dell’osservatore (Figura 8).

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Figura 8 - Morano, Chiesa dei cappuccini, Tabernacolo

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Imponendosi sulla mensa eucaristica, il tabernacolo, col carico diconnotazioni simboliche e geometriche che gli sono riconosciute, par-tecipa, in definitiva, alla realizzazione dello spazio ecclesiastico prece-dentemente definito come “spazio dinamico”. Questo ruolo divieneaddirittura fondamentale nella creazione di una nuova concezionespaziale tardo manierista e barocca, in cui la dinamica, la metamorfosi,l’effetto teatrale e scenografico, diventano evento superante l’architet-tura in sé.

I tabernacoli cappuccini costituiscono un elemento assolutamentetipico della cultura minoritica secentesca e settecentesca. Risponden-do a determinate esigenze liturgiche e cultuali, si pongono a latere nel-la compagine artistica contemporanea, sconfinando nell’alto artigiana-to, spesso totalmente estraneo a veri e propri dibattiti formali. I termi-ni della questione, che verranno più oltre maggiormente chiariti, ri-guardano, innanzitutto, il particolare modo di concepire l’opera, estre-mamente complessa e ricca di un repertorio figurativo legato a neces-sità simboliche e devozionali. Ogni parte della micro architettura (per-ché come tale si può definire un tabernacolo alla cappuccina), rispondenon ad esigenze tettoniche ma decorative. La decorazione è legata, dalsuo canto, alla sottolineatura di alcune parti dell’intero organismo che,in quanto fondamentali per la corretta interpretazione di tutta l’opera,si ha la necessità di esaltare.

Ecco che un ricchissimo apparato decorativo a carattere fitomorfoe/o geometrico, fondato su una finissima tecnica dell’intaglio o su unsapiente intarsio di legni di differente robustezza e colore, evidenzianospecchiature, nicchie ospitanti statuine di santi francescani, trabeazio-ni e archivolti; materiali preziosi come l’avorio, la madreperla, la tarta-ruga, permettono una maggiore vibrazione coloristica delle superfici econcorrono alla creazione di un vero e proprio gioiello gigante, giusti-ficabile solo perché ospitante il vero corpo di Cristo (Figura 9).

Questa specificità affatto unica, pone di colpo il tabernacolo alcentro dell’attenzione non solo dell’osservatore ma anche, e ciò è an-cor più importante, dell’intera dei comunità dei frati.

Dai necrologi è possibile risalire con una certa sicurezza ai nomidei fratelli laici creatori delle custodie nelle varie province dell’Ordine.Spesso persone di umilissima estrazione sociale e di pochissima cultu-ra, non hanno lasciato alcuna traccia scritta di sé, affidandone la me-moria solo alle opere che realizzavano per l’abbellimento della chiesa.

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Figura 9 - Nicastro, Chiesa di Sant’Antonio,Tabernacolo

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Altre volte, è possibile leggere, sul retro dei tabernacoli, i nomi degliautori ma più spesso, solo attraverso l’esame delle committenze (so-vente i provinciali del tempo), si può avere notizia degli intagliatori al-l’interno dei conventi22.

Quali fossero le conoscenze reali, in campo artistico, dei suddettiintagliatori, non è facile capirlo. Certamente, attraverso un confrontocon contemporanee opere scultoree o architettoniche, estranee all’am-biente cappuccino, si ravvisano segni di quella involuzione o cristalliz-zazione della cultura artistica. L’attenzione dei fratelli intagliatori èspesso rivolta alle decorazioni finissime, secondo un gusto tendente aricoprire tutta la superficie disponibile (una sorta di horror vacui), o adefinire minuziosamente le singole parti dell’intera struttura, con unaconseguente perdita di vista dell’insieme armonico. Altre volte succe-de il contrario: la necessità, cioè, di definire interamente l’architetturafantastica, dimenticando ogni regola armonica o prospettica, evitandoogni giusto rapporto tra i singoli elementi architettonici e sottolinean-do solo l’elemento fantastico, prezioso e simbolico.

Nel primo caso si assiste, quindi, ad una minuziosissima cura deiparticolari, con raggiungimento di effetti in cui si nota una perizia noncomune nell’accostamento dei legni di diversa gradazione cromatica,nella giustapposizione di materiali differenti all’interno, però, di unastruttura architettonica poco armonica, in cui l’elemento teatrale e de-strutturante è esaltato a discapito della corretta interpretazione dei ca-noni formali classicisti.

Una distanza da questi ultimi si ritrova anche nelle realizzazioni, in cuipoca attenzione è rivolta ai singoli elementi definenti la struttura architet-tonica della custodia. In questo secondo caso, la poca dimestichezza con ledebite proporzioni tra i capitelli e le colonne, o tra le trabeazioni e i soste-

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22 Non essendoci documentazioni, né firme, in merito ai manufatti dei fratellicappuccini i testi di grande importanza sono i necrologi ove, seppur in poche righe,viene trattata la qualità specifica del frate. Per la Provincia Monastica di Cosenza ci si èavvalso dell’opera di p. G. LEONE¸ Necrologio dei Frati Minori Cappuccini di Cosenza,Milano 1981, mentre per la Provincia Monastica di Reggio Calabria – Catanzaro, ilNecrologio, composto da P. Silvestro da Taurianova, negli anni ’60 del secolo scorso, èmolto frammentario e depositato, in forma di Dattiloscritto, presso l’Archivio Provin-ciale di Catanzaro. Contestualmente alcuni frati intagliatori hanno lasciato la loro fir-ma impressa sul retro delle opere o, come nel particolare caso di Nicastro, su una cartaconservata dal Guardiano del locale Convento.

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gni, porta l’intagliatore a realizzare opere in cui è ravvisabile un’armonianon legata ai singoli elementi ma al rapporto che si viene a creare tra il ta-bernacolo e l’altare che lo ospita, nonché tra questo e la chiesa.

Questi elementi, apparentemente negativi, rendono però le custodiecappuccine espressioni assolutamente tipiche e sottolineanti la scelta di“povertà”, in questo caso “culturale” dell’Ordine. Riallacciandosi un atti-mo alle esortazioni di P. Antonio da Pordenone, circa l’atteggiamento daavere, da parte dei frati, nei confronti del corretto uso degli ordini archi-tettonici, si può asserire con estrema certezza che, almeno per quanto ri-guarda i tabernacoli, l’esortazione è stata seguita pedissequamente. Nulladi più anticlassico è rintracciabile nei cibori in questione. Appartenenticon certezza ad una cultura formale tardo manierista, i tabernacoli, man-tengono inalterato il loro non rapporto con la cultura ufficiale rimanendosempre identici a loro stessi, non cedendo mai in modo eclatante alle sug-gestioni formali in voga ma, piuttosto, seguendo una strada parallela chevede una continua evoluzione all’interno di essi stessi.

Facendo, per concludere, un rapido excursus tra i tabernacoli cap-puccini esistenti in Calabria, è possibile constatare l’estraneità allo svi-luppo di una cultura barocca e, contemporaneamente, relativamentead essi, almeno due tendenze specifiche relative al secolo XVII e al se-colo XVIII23. I tabernacoli secenteschi presentano, infatti, un forte svi-luppo in ampiezza, un allargamento della base a discapito dellaprofondità e dell’altezza, denunciando un poco accentuato sviluppoverticale24 (Figura 10), mentre quelli settecenteschi, al contrario, pre-sentano uno straordinario sviluppo in altezza, con aggiunta di piani ra-stremati verso l’alto, maggior rapporto con l’atmosfera e con la luce,attraverso un sapiente gioco chiaroscurale operato attraverso chiaro-scuri violenti, balaustrate e forti aggetti25 (Figura 11).

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23 Tale classificazione è affiancabile a quella vista per le altre Province cappuccined’Italia; cfr: G. SANTARELLI, Opere di ebanisteria presso i Cappuccini delle Marche, in Col-lectanea Franciscana, 63 (1993); IDEM, I Tabernacoli lignei dei Cappuccini delle Marche,cit.; CAROSELLI, I Tabernacoli lignei, cit.; A. SPANÒ, I Tabernacoli Cappuccini della Cala-bria, in Italia Francescana anno LXXVI, n° 1, gennaio – aprile 2001, pp. 11-82.

24 Non pare esistano in Calabria opere risalenti al XVII secolo. Nonostante ciò siravvisa nel tabernacolo di Reggio Calabria, il più antico della serie, una tendenza alleforme monumentali, in altre parti d’Italia datanti le opere al 1600.

25 La tendenza al verticalismo sempre più pronunciato, all’alleggerimento dei pia-ni in altezza e il gioco chiaroscurale provocato da aggetti, elementi scultorei, balaustra-

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Figura 10 - Reggio Calabria, Eremo della Consolazione – Tabernacolo proveniente dalconvento di Fiumara di Muro. Conservato nella Cappella del SS.mo Sacramento nellachiesa conventuale

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Figura 11 - Gerace, museo diocesano – Tabernacolo frammentario, (fra Ludovico da Per-nocari.- 1720), proveniente dalla chiesa di S. Maria delle Grazie

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All’interno della regione, nonostante il patrimonio figurativo e ar-chitettonico sia stato disperso a causa sia dell’incuria atavica locale edelle soppressioni che, principalmente, per i terremoti frequenti e vio-lentissimi, si conservano circa 24 tabernacoli quasi tutti relativi alXVIII secolo, e catalogabili in almeno quattro tipologie distinte, relati-ve alle differenti aree geografiche in cui si trovano: Area del Pollino;Area del versante medio tirrenico; Area medio cosentina; Area meri-dionale26.

Sia attraverso i necrologi che, a volte grazie a scoperte assoluta-mente fortuite, è possibile ancora riconoscere alcuni maestri intaglia-tori, artefici di alcuni tabernacoli, spesso di straordinaria bellezza, no-nostante sia spesso impossibile isolare l’azione del capo bottega daquello dell’eventuale allievo. Tra essi quelli di maggior rilievo sono, perl’area meridionale: fra Salvatore da Monteleone, fra Giuseppe daChiaravalle e fra Filippo da Badolato (per il XVII sec.)27, e fra Domeni-co da Pernocari, fra Ludovico da Pernocari, fra Francesco da Chiara-valle (operanti nel XVIII sec.)28. Operanti nella parte settentrionaledella Calabria sono: fra Luca da Mormanno, fra Gregorio da Morman-no, fra Giovanni da Belvedere Marittimo, fra Francesco Maria da S.Giovanni in Fiore, fra Felice Maria da S. Giovanni in Fiore, fra Bernar-

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te si nota in tutti i manufatti che si stanno trattando. Proprio su questa base è stato pos-sibile classificare, inoltre, le tipologie cui prima si accennava.

26 La distinzione in aree è stata operata per facilitare il lavoro di classificazione enon tiene conto né degli unica presenti nei territori classificati (i tabernacoli di Cori-gliano e di San Giovanni in Fiore), né della presenza di artisti provenienti da aree di-verse che, spostati altrove, lasciano opere stilisticamente estranee al luogo per il qualefurono realizzate. È il caso del tabernacolo di Oriolo che, nonostante si trovi nell’Areaorientale del Pollino, rientra nel novero delle realizzazioni riscontrabili in area mediotirrenica. Per ulteriori precisazioni vedi oltre nel testo.

27 Dal frammentario Necrologio per la Provincia di Reggio Calabria custoditopresso l’Archivio Provinciale di Catanzaro: 24 gennaio: «Fra Salvatore da Monteleone efra Giuseppe da Chiaravalle. Maestri d’ascia, realizzarono opere in legno nel luogo nuovodi Catanzaro nel 1680. Fra Felice da Badolato, laboriosissimo artigiano, eseguì utilissimilavori: lampadari per la chiesa, cornici per quadri, etc etc.».

28 Dal Necrologio per la Provincia reggina, al 24 Marzo: «Fra Ludovico da Perno-cari (1680) e fra Francesco da Chiaravalle, realizzarono dal 1742 al 1752 preziosi taber-nacoli lignei». Le datazioni, alla luce delle ultime ricerche sui manufatti lignei, appareimprecisa, ritrovandosi la firma di Ludovico da Pernocari sul tabernacolo di ReggioCalabria (1710) e di Gerace (1720).

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do da Sant’Agata, fra Lorenzo da Belmonte Calabro (tutti appartenen-ti al XVIII secolo)29.

Come accennato, la memoria dei suddetti fratelli intagliatori si èperpetrata anche grazie alla firma (o alla citazione), di questi appostasul manufatto. Proprio per quest’ultimo motivo per lungo tempo si èerroneamente attribuito a personaggi di spicco (come, per la Provinciadi Reggio, Ludovico da Pernocari), la maggior parte dei tabernacolidell’intera area, a discapito di una vera e propria analisi dei manufattivolta quindi anche alla evidenziazione non solo dei singoli autori maanche delle più sfaccettate correnti.

In linea di massima infatti, se è vero che i tabernacoli rispondono alinee di gusto ben precise e comuni a tutto il mondo cappuccino (gra-zie anche alla facilità di spostamenti che i frati avevano e alla enormefama acquisita da alcuni di essi, come gli intagliatori trapanesi operantipersino nell’Emilia), è anche vero che la zona di Cosenza presenta unaserie di caratteristiche che le sono proprie. Queste specificità permet-tono una chiara distinzione rispetto alle opere della Calabria meridio-nale, ove si assiste ad una maggiore esuberanza decorativa, maggioreinventiva e maggiore sensibilità cromatica e, soprattutto, si nota un di-verso modo di concepire il rapporto tra tabernacolo – altare maggioree coro retrostante.

I tabernacoli cosentini presentano, tutti, un alto basamento su cuisi apre una finestra incorniciata da volute lignee, in diretto contattocon l’apertura retrostante il dossale dell’altare su cui il ciborio insiste e,quindi, con l’armadio – sacrestia posto nel coro. Tale particolarissimasituazione permetteva una totale permeabilità, tra la chiesa e il coro deifrati, proprio attraverso il tabernacolo30 (Vedi figura 8).

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29 In LEONE, Necrologio, cit.30 Tale particolarità è di grande interesse per la storia dell’architettura cappuccina

in Calabria ove, si è visto, il vecchio coro perde totalmente la sua originaria destinazio-ne d’uso. Per questi problemi vedi: SPANÒ L’arte dell’Ordine Cappuccino, cit., pp. 75-82; IDEM, Arte e architettura Cappuccina in Calabria. Prime tracce per uno studio, in«Studi Calabresi», (anno I, N.1, 2001), Rivista Ufficiale del Circolo di Studi Storici“Le Calabrie”, pp. 107-144; ID., Ortodossia ed eterodossia cappuccina in Calabria. Ma-nifestazioni artistiche e architettoniche, in Atlante del Barocco in Italia: La Calabria, mo-nografia a cura di R.M. CAGLIOSTRO, M. FAGIOLO, Roma 2002, pp. 107-129.

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Questo modo di concepire e realizzare il rapporto tra i due luoghidel coro attraverso il tabernacolo non si ritrova nelle opere della pro-vincia reggina, le quali sembrano seguire linee formali più legate all’e-suberanza di stampo siciliano e, principalmente, ruotano attorno allafigura chiave di fra Ludovico da Pernocari, autore riconosciuto delleopere più alte, da un punto di vista qualitativo, della provincia.

Le notizie riguardo fra Ludovico da Pernocari, sono quanto maiframmentarie e legate solo alla memoria che di esso ci è stata traman-data, tramite i cibori da lui realizzati. Si tratta infatti dei rari casi in cuisi è di fronte ad esempi di opere firmate da un fratello laico dell’Ordinee, già solo questa particolare evenienza basta per far comprendere lafama raggiunta dall’artigiano, all’interno della Provincia. Il nome di fraLudovico è spesso accompagnato da quello di fra Domenico da Perno-cari o da Francesco da Chiaravalle, che compare come “collaborato-re”, e si ritrova nei tabernacoli di Reggio Calabria, Gerace e Nicastro,mentre echi dell’arte di questi sono ravvisabili anche nella custodia diVibo Valentia in quella di Rombiolo e di Tropea31.

A parte le scarne notizie riportate dal Necrologio del’ex Provinciareggina, null’altro si sa del frate intagliatore, e tutto ciò che è possibileasserire, circa il suo excursus artistico, è solo ipotizzabile sulla base diuna lettura critica della opere rimaste.

Cronologicamente i cibori di fra Ludovico da Pernocari, che occu-pano almeno tre quarti dell’intero XVIII secolo, sono da collocarsi se-condo questa sequenza:

1 - Reggio Calabria (1710)2 - Gerace (1720),3 - Nicastro (1742).

Nella lettura stilistica delle quattro custodie sicuramente di manodel frate, si nota una tendenza al continuo affinamento delle forme, al-la verticalità sempre più denunciata e ad una più chiara vibrazione cro-matica della superficie, dovuta alla, sempre maggiore perizia circa l’u-so delle diverse essenze lignee giustapposte. Una sorta di affinamentodel gusto e della manualità è anche ravvisabile nella trattazione dell’in-

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31I tre tabernacoli sono sempre stati tradizionalmente attribuiti a fra Ludovico.La serie di incongruenze stilistiche e decorative però, porta a escludere la diretta pater-nità per accettare, piuttosto, l’attività di aiuti del riconosciuto maestro.

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taglio, in particolar modo nei capitelli e negli imoscapi delle colonne,come anche nelle cornici e negli aggetti, in cui, principalmente nel ta-bernacolo di Nicastro, si assiste a realizzazioni di altissima qualità, conun controllo pressoché totale delle singole parti e del tutto.

Affiancati alla figura di fra Ludovico sono gli altri due artigiani inta-gliatori di cui si è già accennato: fra Francesco da Chiaravalle e fra Dome-nico da Pernocari (la cui unica esistenza è ricavabile solo dall’iscrizione ri-portata dietro il tabernacolo di Reggio Calabria) (Figura 12).

Attraverso una indagine stilistica è possibile ravvisare l’operato difra Francesco di Chiaravalle nel ciborio custoditi nella chiesa di ViboValentia (post 1742). Nell’opera vibonese le distanze dalle opere di fraLudovico sono enormi, circa il diverso modo di intendere le superfici,con il ricorso a listelli colorati e, principalmente, circa le dimensioni inscala molto ridotta, dell’opera nel suo insieme.

La figura di fra Domenico da Pernocari, pur non essendo citata nelframmentario necrologio, si ritrova accanto a fra Ludovico nel taber-nacolo di Reggio Calabria. Poco o nulla si conosce del frate intagliatorela cui presenza è sempre stata offuscata da quella del maestro. Ciò no-nostante attraverso il presente studio si è avanzata l’ipotesi di attribui-re ad esso i cibori di Rombiolo (1734- 39) (Figura 13) e di Tropea. Inessi si nota il perpetuarsi di uno schema compositivo ancora legato allerealizzazioni protosettecentesche e distanti dagli sviluppi in senso at-mosferico e cromatico di Ludovico da Pernocari.

Accanto a questi tre personaggi, le cui opere rimangono comun-que circoscrivibili al XVIII secolo, compaiono altre figura di frati inta-gliatori, i cosiddetti “maestri d’ascia”: fra Salvatore da Monteleone efra Giuseppe da Chiaravalle che, intorno al 1680, realizzarono lavori inlegno a Catanzaro, ma di cui non si ha alcuna memoria32; e fra Felice daBadolato, citato quale “laboriosissimo artigiano” la cui memoria è affi-data a cornici in legno, lampadari e altre opere per la chiesa, ma di cuinon si conosce neanche la data della morte33.

La situazione appare meno frammentaria per quanto riguarda laprovincia monastica di Cosenza. Qui, attraverso il necrologio e ad unavasta serie di notizie, seppur sparse, raccolte da P. Giocondo Leone, è

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32 Vedi nota 27.33 Vedi nota 27.

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Figura 12 - Reggio Calabria, Eremo della Consolazione – Tabernacolo custodito nellacappella del convento dell’Eremo di Reggio C. L’opera è datata e firmata da fra Ludovicoda Pernocari e fra Diego da Pernocari – 1710

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Figura 13 - Rombiolo, chiesa cappuccini -Tabernacolo proveniente dal distrutto conventodi Motta Filocastro, attribuibile a fra Diego da Pernocari e datato 1734

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possibile isolare alcune figure di spicco, tra i fratelli laici intagliatori,cui sono dovute opere lignee ancora in buono stato, conservate neiconventi o in altre chiese o istituzioni laiche, della provincia34.

Dal necrologio si ricavano notizie circa Luca da Mormanno, chenel 1711 con l’aiuto di fra Giovanni da Belvedere Marittimo, costrui-sce la custodia di Morano Calabro35, di fra Gregorio da Mormanno au-tore, entro il 1756, della custodia conservata nella chiesa dei cappucci-ni di Mormanno36, di fra Francesco Maria da S. Giovanni in Fiore alleprese con la custodia di San Giovanni37, quindi di fra Felice Maria daSan Giovanni in Fiore, artefice dell’Armadio della sacrestia della chie-sa cappuccina locale (1762)38. In ambito roglianese-cosentino si evi-denziano le figure di Lorenzo da Belmonte Calabro, autore, entro il1756, del tabernacolo di Rogliano39, e Bernardo da S. Agata, che nel1740 firma la custodia di Paola40.

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34 A padre Leone oltre al già citato Necrologio (vedi nota 51), è dovuta la pubbli-cazione di importanti testi per la storia dei conventi e della Religione Cappuccina inCalabria tra cui I cappuccini e i loro 37 conventi in provincia di Cosenza, I – II, Cosenza1986; Priorità storica calabrese nella Riforma Cappuccina desunta dalle fontidell’Ordine, Cosenza 1998; Storia dell’attuale Convento e Chiesa dei Cappuccini a Co-senza (detto della Riforma), Soveria Mannelli 1998; Biblioteca Cappuccina “SS.mo Cro-cifisso” di Cosenza, Soneria Mannelli 2000; I Cappuccini a Rossano, Soveria Mannelli2000.

35 LEONE, Necrologio… op. cit., al 4 marzo: «Giovanni da Belvedere Marittimo,fratello non chierico. Frate artista, collaborò alla costruzione della custodia dell’altaremaggiore della nostra chiesa di Morano calabro nel (4 marzo) 1711», p. 64; al 13agosto:«Luca da Mormanno, fratello non chierico. Frate artista, costruì il tabernacolodella nostra chiesa di Morano Calabro nel (13 agosto) 1711», p. 231.

36 Ibidem, al 27 gennaio: «Gregorio da Mormanno, fratello non chierico. Frate arti-sta, costruì la custodia dell’altare maggiore della nostra Chiesa di Mormanno ove, poi,finì di vivere il 27 gennaio 1756», p. 27.

37 Ibidem, al 4 maggio: «Francesco – Maria da S. Giovanni in Fiore, fratello nonchierico. Costruttore della Custodia dell’altare maggiore della nostra chiesa si S. Giovan-ni che porta la data (4 maggio) 1762», p. 126.

38 Ibidem, al 28 marzo; «Felice Maria da S. Giovanni in Fiore, fratello non chierico.Costruì l’armadio della sacrestia della nostra chiesa in S. Giovanni in Fiore sul quale, conla firma appose l’anno (28 marzo) 1762», p. 88.

39 Ibidem, al 7 luglio: «Lorenzo da Belmonte Calabro, fratello non chierico. Frateartista, in Rogliano costruì la cappella maggiore ed il tabernacolo della nostra chiesa. Eraancora vivo il 7 luglio 1756», p. 194.

40 Ibidem, al 21 giugno: «Bernardo da S. Agata d’Esaro, fratello non chierico. Messoin evidenza, vivente, nel (21 giugno) 1740», 178.

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Nonostante i nomi tramandati, per la provincia di Cosenza, siano innumero maggiore, non è così per quanto riguarda invece le notizie bio-grafiche dei frati intagliatori. Di questi non si conosce pressoché nulla, aparte l’epoca in cui sono vissuti, e solo attraverso una indagine stilisticaè possibile ritrovare echi formali in opere non datate né firmate.

Infatti alla personalità di Luca da Mormanno non solo si deve l’o-pera che, da documenti, risulta essere realmente creata dallo stesso, maanche la nascita di una tipologia di un tabernacolo affatto tipico, in cuilo schema centrale si sviluppa partendo da un disegno pseudo cru-ciforme di base, sviluppandosi in senso piramidale. Su questa base èpossibile isolare una tipologia ben precisa di tabernacoli collocati nel-l’Area del Pollino cui appartengono il suddetto tabernacolo di Mora-no, quello di Mormanno e quello di Acri.

A una tipologia ben diversa, invece, rispondono i tabernacoli, nonfirmati né datati, dell’Area medio cosentina: Paola, Castrovillari, Ros-sano, Luzzi, Cassano Jonio. Lo schema che si ripete presenta, infatti,uno sviluppo piramidale su base poligonale (pseudo – esagonale), contendenza ad un allargamento della parte basamentale.

Una terza corrente artistica particolarmente interessante per l’at-tenzione per il fatto plastico e la monumentalità accentuata del tem-pietto, è quella cui posso essere ascritti i tabernacoli dell’Area del me-dio Tirreno: Rogliano, Castiglione Cosentino, Orsomarso, Oriolo, Ce-traro. I cibori suddetti non sono datati né firmati (a parte quello di Ro-gliano, dat. 1752), e sono databili al pieno 1700, grazie alla particolareesuberanza plastica decorativa, vicina alle opere dei decoratori roglia-nesi settecentesche41 (Figura 14).

Un gruppo di tabernacoli costituenti un insieme di “unica”, racco-glie i manufatti di San Giovanni in Fiore e di Corigliano.

All’interno di questa classificazione si notano somiglianze a livellodi gusto decorativo che legano le tipologie, or ora evidenziate, concor-rendo alla sottolineatura di una matrice culturale comune e, per esten-sione, a sua volta classificabile come “cappuccina”, per la chiara ade-renza ad un linguaggio oramai chiaramente definito42.

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41 Si rammenta dell’esistenza a Rogliano di rinomatissime botteghe artigiane de-dite all’intaglio e all’intarsio ligneo che hanno abbellito moltissime chiese dell’area co-sentina in tutto il ’700.

42 Per un attento studio dei Tabernacoli cappuccini nella Calabria si rimanda aSPANÒ, I Tabernacoli Cappuccini, cit.

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Figura 14 - Orsomarso – Tabernacolo attribuibile a Fra Lorenzo da Belmonte

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La straordinaria qualità delle testimonianze architettoniche e arti-stiche legate al culto eucaristico e al perseguimento della paupertas ne-gli ambienti francescani calabresi, ha messo in evidenza come la realtàcappuccina sia figlia di quella particolare situazione culturale che svi-luppandosi presso la Corte angioina napoletana, voleva sottolineare lanecessità di tornare all’origine del messaggio francescano delle origini.Solo attraverso una lettura comparata delle manifestazioni artistichemedievali e di quelle tardo rinascimentali cappuccine è possibile dareuna ragion d’essere anche ai tabernacoli, manifestazioni più alte del-l’arte fratesca sei e settecentesca, che è ancora certamente poco studia-ta ma che potrebbe contribuire ad una maggiore e più omogenea co-noscenza non solo del corpus materico ma, principalmente, di quellomnemonico dell’arte e della cultura minoritica 600esca e 700esca nelvastissimo e inesplorato territorio calabrese.

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Indice

Introduzione 5

Capitolo primoGioachimismo e Francescanesimo: il ruolo del Liber figurarum 7nella nascita dell’architettura francescana nel Meridione d’Italia

Capitolo secondoCappuccini e spirituali. Un’ipotesi di lettura dell’architettura 29minoritica cinquecentesca in rapporto alle esperienze eterodosseminoritiche presso la Corte angioina

Capitolo terzoCulto eucaristico e pauperismo negli ordini mendicanti nella 59Calabria tra medioevo ed età moderna. I Conventuali e i Cappuccini

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Finito di stampare nel mese di gennaio 2010dalla Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali

per conto di Rubbettino Editore Srl88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)

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