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Jean-Paul Sartre La äralslçendenza e Egø CHRIS'I `LÀA Ãl.\RIN(fIl'I EDIZIO \ N
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Sartre - La Trascendenza Dell'Ego SCAN

Jan 19, 2016

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Jean-PaulSartre

La äralslçendenzae Egø

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Collanaa cura di Gabriella Farina

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Comitato scientifico:

Gabriella FarinaGiovanni InvittoMario Perniola

Jacqueline RissetRocco Ronchi

Pier Aldo RovattiMichel Sicard

Carlo SiníSandra Teroni

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Iean-PaulSartre

La trascendenzadell°Ego

Una descrizione fenomenologica

Traduzione e cura di Rocco Ronchi

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Titolo originale:La transcendance de l 'EgoEsquisse d'une description phénoménologiquepar Silvye Le Bon

©©

1965, 1985 Librairie Philosophique J. VRIN, Paris2011 Christian Marinotti Edizioni s.r.l., Milano

ISBN 978-88-8273-1.30-4

I diritti di traduzione, di adattamento totale o parziale, di riproduzionecon qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, i film, le fotocopie), non-ché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i Paesi.

Christian Marinotti Edizioni s.r.l.Via Alberto da Giussano, 8 - 20145 MilanoTel. 02 4813434 - Fax 02 481.33.10www.marinotti.come-mail: [email protected]

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IntroduzioneOltre la fenomenologia.

La questione della coscienza assolutanella Transcendance de l'Ego

di Rocco Ronchi

Iniziata nel 1934, durante il soggiorno di studi berlinese, e pub-blicata nel 1936 in <<Recherches philosophiques››, La transcendan-ce de l 'Ego segna di fatto l'esordio filosofico di Jean-Paul Sar-tre.' Non si può immaginare esordio più travolgente. Innanzituttoper un motivo interno all”opera sartriana. Secondo l°autorevole te-

1 Il saggio costituisce lo sfondo teoretico imprescindibile delle quasi coeve ri-cerche sartriane di psicologia fenomenologica: Uimagination (PUF, Paris 1936;trad. it. di N. Pirillo, L'immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, Bom-piani, Milano 2004) e L'imaginaire (Gallimard, Paris 1940; trad. it. di R. Kir-chmayr, L'immaginario, Einaudi, Torino 2007), nonché di quel trattato sistemati-co, lungamente meditato da Sartre, ma mai come tale pubblicato, che doveva in-titolarsi La Psyche'. Di questo studio, ripetutamente annunciato nel corso dellaTranscendance de l'Ego, apparirà, nel 1939, un breve estratto con il titolo Esquis-se d'une théorie phénoménologique des emotions (Hermann, Paris; trad. it. cit.,in J.-P. SARTRE, Uimmaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, cit., pp.153 sgg.). Contemporanea alla stesura della Transcendance de l 'Ego è quella delbrevissimo articolo Une idée fondamentale de la phénoménologie de Husserl: l'in-tentionnalite', pubblicato per la prima volta nella sezione “Chroniques” della «Nou-velle Revue Française» (304, gennaio 1939, pp. 31-35) con il titolo Husserl etl'intentionnalite' (poi raccolto in Situations I, Gallimard, Paris 1947; trad. it. di F.Brioschi, in I.-P. SARTRE, Che cos'ê la letteratura? , Il Saggiatore, Milano 1963,pp. 278 sgg.). L'articolo, per il tono e per lo stile, ricorda le prese di posizionedelle avanguardie artistiche degli anni '20 e '301 “intenzionalità" vi risuona comevera e propria parola d'ordine della nuova generazione intellettuale francese, inesplicita polemica con i propri padri spirituali (Bergson, su tutti).

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stimonianza di Simone de Beauvoir la distinzione tracciata in que-ste pagine tra “coscienza”, intesa come translucidità del cogito pre-riflessivo, e “psichico”, vale a dire l°ego come oggetto trascen-dente e opaco posto dalla coscienza atteggiata riflessivamente, nonsolo non sarà più messa in discussione da Sartre, ma costituiràl'architrave di tutto il suo pensiero? La primordialità della co-scienza iiriflessa o preriflessiva, della coscienza senza ego, la suaSelbstständigkeit, è la chiave della sua ontologia fenomenologica.Gli studi sull'immaginazione e sull'immaginario, di poco succes-sivi, proseguono l”opera di purificazione e svuotamento della co-scienza progettata in queste difficili pagine. Che la coscienza siaun nulla, una «decompressione d°essere››, come scriverà Sartre neL'Étre et le Néant, è un'acquisizione della Transcendance del'Ego.3 Ancora ne L'idiot de la famille, e cioè alla fine della vi-cenda intellettuale di Sartre, l'Io dell`apprendista genio, ma “idio-ta” nella considerazione patema, è solo il designato di una paro-la estranea, una parola anonima che viene da fuori. L'Ego è unatrascendenza per il piccolo Gustave: egli vi si rapporta come a unoggetto alieno, lo manipola e lo recita, nel tentativo di farsi rico-noscere dall°Altro e di integrarsi in quell'ordine simbolico al qua-le è mal-visséf*

Tuttavia non è certo per ragioni di coerenza intema all”operadi Sartre che queste pagine si segnalano per il loro eccezionale

2 SiivioNE DE BEAUVOIR, La force de I 'âge, Gallimard, Paris 1960, p. 189.3 In L'Ètre et le Ne'ant. Essai d'un ontologie phénoménologique, Gallimard,

Paris 1943 (trad. it di G. del Bo, Il Saggiatore, Milano 1985), Sartre fa continuoriferimento alle tesi sostenute nella Transcendance. Si vedano i paragrafi «Il co-gito preriflessivo e l”essere del percipere» (pp. 14 sgg.), «Il me e il circuito del-l'ipseità›› (pp. 150 sgg.), «Temporalità originaria e temporalità psichica: la rifles-sione» (pp. 202 sgg.) e il capitolo «L'esistenza di altri» (pp. 285 sgg.).

4 Si veda, in proposito, il mio saggio Come parlano i mal amati? Letteratu-ra ed estrangement ne L'Idiot de la famille, in G. FARINA e R. KIRCHMAYR (acura di), Soggettivazione e destino. Saggi intorno al Flaubert di Sartre, BrunoMondadori, Milano 2009, pp. 62 sgg.

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interesse. L'esordio del filosofo Sartre non è riducibile all`esordiopur importante della filosofia di Sartre. E non è nemmeno riduci-bile ad una faccenda interna alla scuola fenomenologica sebbeneproprio in questi termini Sartre presenti la questione nella Tran-scendance de l'Ego: bisogna, egli scrive, restituire alla coscienzala purezza che questa, grazie alla riduzione fenomenologica, ave-va guadagnato, e liberarla dal1'ingombrante presenza di que11`Egotrascendentale «che sarebbe dietro a ogni coscienza, struttura ne-cessaria di queste coscienze». La modalizzazione egologica dellacoscienza trascendentale operata da Husserl in Idee I non solo sa-rebbe superflua, ma nociva. «L'Io trascendentale - scrive infatti Sar-tre - è la morte della coscienza.›› Passando dalle Ricerche Logiche- dove l”Io era considerato una produzione sintetica e trascendentela coscienza - alle Idee, le analisi di Husserl avrebbero insommaperso di radicalità, reintroducendo nella dimensione della coscien-za, come suo fondamento, l`Io trascendentale di Kant?

Come sempre accade, l”allievo rimprovera al maestro una man-cata coerenza con quelle tesi che ne hanno fatto agli occhi del-l°allievo, appunto, un maestro. Il tutto, non senza una qualche in-giustizia, dettata forse proprio dall”impazienza tipica dei grandi al-lievi. Basta, a questo proposito, ricordare quanto Husserl dirà, inIdee II, sull'anonimato dell'10 fungente: il rapporto dell°<<esser-di-fronte», vi si afferma infatti, è asirmnetrico e non bilaterale. Se è

5 Per quanto riguarda il riferimento alle Ricerche Logiche, si veda il TomoII, 2** Parte, V, par. 8, «L'io puro e la coscienziosità›› (trad. it. di G. Piana, Il Sag-giatore, Milano 1986, vol. II, pp. 155 sgg.). Per quanto conceme invece le Ideeper una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Libro primo, sivedano i §§ 57 e 80 (trad. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1976, pp. 126 sgg.e pp. 178 sgg.). Secondo Francesco Saverio Trincia «il riassunto offerto da Sar-tre delle Ricerche Logiche di Husserl, con il dire che questi ha interpretato il Moicome “produzione trascendente” della coscienza semplifica non poco la tesi hus-serliana, in quanto la svuota di ogni riferimento alla nozione di “atto”›› (Il gio-vane Sartre e il problema dell'10, in G. FARINA (a cura di), Sartre après Sartre,Nino Aragno Editore, Roma 2008, p. 169).

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un enunciato fenomenologicamente corretto quello che dice che lacasa è di fronte a me, non lo è invece quello reciproco. Io nonsono affatto di fronte alla casa. «Soltanto un io può avere un “difronte” nel senso di cui ci stiamo occupando.››° Solo per un altroo, ed è il caso che nella Transcendance interessa Sartre, solo perme stesso che mi guardo guardare - per la coscienza atteggiata ri-flessivamente o in modo “posizionale” di sé - questa reversibili-tà è possibile e possiamo dare un nome a quella coscienza (chisono io? Io sono colui che è di fronte alla casa). A ripiombarenell'anonimia è però allora questa nuova coscienza che si guardaguardare e che mi istniisce sul mio chi. Iriiflessa è ora la coscien-za riflettente su se stessa nell 'atto della sua riflessione. Il sogget-to di questo nuovo «di-fronte-a›› resta inoggettivabile. Una speciedi anello di Gige assicura così alla coscienza fungente la sua in-violabilità di principio: nel mentre disvela a me stesso, al mondo,agli altri, il mio “chi” - e lo disvela come una qualsiasi “cosa”del mondo, accessibile all”intuizione dell'altro come alla mia, comeoggetto di un”evidenza inadeguata, al pari di qualsiasi oggetto delmondo - la coscienza in atto (che altro significa “fungente” se nonl°attuosità della coscienza?) si ritrae pudicamente allo sguardo. Ilsuo celarsi in una notte infinita è, anzi, la condizione di possibili-tà del presentarsi allo sguardo di qualcosa come un “chi”.

La riflessione, spiega Husserl, ha certamente la «straordinariaprerogativa» di porre di fronte alla coscienza «qualcosa che eragià, prima che lo sguardo gli si rivolgesse››,7 ma questo qualcosa- l'Io - la coscienza lo può avere di fronte nel suo “fungere” at-tuale solo perché essa è sempre un passo oltre, perché, in quantocoscienza riflettente, non è quella coscienza che percepisce rifles-sivamente. Non la è non essendo altrove che là dove, come tale,come coscienza in atto, non è, né mai potrà essere. Rapporto didifferenza e di implicazione che la distinzione gentiliana dell'at-

6 Idee II, trad. it. cit., p. 706.7 Idee I, trad. it. cit., p. 98.

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Introduzione l 1

to e del fatto - ignorata, ovviamente, da Sartre, come dai suoi com-mentatori - aveva già da tempo posto al centro della filosofia spe-culativa.8

Ogni riflessione presuppone per essenza una coscienza irrifles-sa, la quale non può dunque lasciarsi circoscrivere dalla riflessio-ne essendone appunto la condizione? ma meglio sarebbe dire chene è l°evento. La tesi sostenuta dal giovane fenomenologo ne Latranscendance è che questo atto irriflesso di riflessione che si di-rige su di una coscienza non abbia alcun bisogno di modalizzar-si ancora egologicamente, pena una regressione all”infinito del pre-supposto. Se la coscienza di sé, che dobbiamo supporre a fonda-mento della coscienza di qualcosa, fosse infatti ancora modalizza-ta riflessivamente come coscienza posizionale di sé, si dovrebbenecessariamente supporre una nuova coscienza posizionale di sé ecosì via, all'infinito. Bisogna arrestare subito la replicazione tu-morale della cellula riflessiva e porre a fondamento della rifles-sione un irriflesso che non abbia la forma della relazione ogget-tivante a sé. Tale irriflesso non ha perciò la fonna “Io”. Comequalsiasi altro esistente del mondo, l'Io è un oggetto trascenden-te che la coscienza autopercependosi riflessivamente pone di fron-te a sé. L°io lo «abbiamo» a distanza nell'esperienza; dunque,l'esperienza come tale, sul fondamento della quale ogni relazionea (ogni coscienza posizionale di) è possibile, è «un campo tra-

” Basti ricordare, a questo proposito, il seguente passo tratto dalla Teoria ge-nerale dello spirito come atto puro (1916): «Ogni tentativo che si faccia (...) di og-gettivare l'Io, il pensare, l'attività nostra interiore, in cui consiste la nostra spiritua-lità, è un tentativo destinato a fallire, che lascerà sempre fuori di sé quello appun-to che vorrà contenere; poiché nel definire come oggetto determinato di un nostropensiero la nostra stessa attività pensante, dobbiamo sempre ricordare che la defi-iiizione è resa possibile dal rimanere la nostra attività pensante, non come oggetto,ma come soggetto della nostra definizione, in qualunque modo noi si concepiscaquesto concetto della nosl:ra attività pensante: la vera attività non è quella che de-finiamo, ma lo stesso pensiero che definisce›› (Le Lettere, Firenze 2003, pp. 8-9).

9 Idee II, trad. it. cit., p. 639.

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scendentale (...) impersonale o, se si preferisce, “prepersonale”,senza Io››. L'io appare soltanto con l'atto riflessivo e «come cor-relato noematico di una intenzione riflessiva››. Una riduzione fe-nomenologica coerente lo deve investire, spogliandolo di ogni on-tologica dignità. Il maestro sarebbe stato troppo timido a tale pro-posito. Compito dell'allievo fedele al dettato del maestro è, allo-ra, quello di procedere risolutamente in questa direzione.

Per questo s'imbatterà nel fenomeno dell'angoscia, alla cui ana-lisi Sartre dovrà buona parte della sua fama anche nel mondo ex-tra-filosofico. L” angoscia gioca un ruolo di primo piano nella Tran-scendance de l 'Ego dove per la prima volta è ampiamente tema-tizzata. Non è infatti grazie ad un”operazione metodica che la co-scienza assoluta, impersonale, la coscienza fungente al fondo del-la coscienza di qualcosa, può apparire. Perché il campo trascen-dentale si faccia sensibile occorre «un accidente sempre possibiledella nostra vita quotidiana». L'epoche' è un fenomeno naturale,che non dipende da noi, ma che ci cade letteralmente addosso.L”angoscia ci prende. Ciò che nell°angoscia si fa sentire è la «mo-struosa spontaneità›› della coscienza irriflessa. E si mostra senzadiventare oggetto. Non un sapere la rivela, ma un sentimento in-quietante di inappropriatezza, di non padronanza di sé, di estra-neità nei confronti dei propri stati e dei propri atti (Sartre citacome esempio un caso psicopatologico trattato da Pierre Janet).Nell”angoscia mi scopro giocato dalle mie “coscienze”, costrettoa recitare un ruolo che non riconosco come mio. Esse mi prece-dono e sono io, che mi credevo alla loro origine, a dovere anda-re stupefatto, spaventato (e, talvolta, anche affascinato), verso diloro. «Di fatto, il Me non può niente su questa spontaneità›› per-ché «l'ego non è proprietario della coscienza, ne è l'oggetto.›› Perquesta spontaneità Sartre, nella Transcendance de l'Ego, non par-la ancora di libertà come farà negli scritti successivi.'° E la sua

1° Ne La transcendance de l'Ego, ha scritto la curatrice francese dell'opera,Sylvie Le Bon, «la libertà sta alla spontaneità come lo psichico alla coscienza.

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cautela è legittima. Libertà significa infatti autoposizione dellasoggettività, emancipazione dai legami, mentre è proprio questacapacità di iniziare che la spontaneità della coscienza assoluta in-contrata nell°angoscia fa vacillare. Ed è appunto per prevenire que-sta esplosione verso un mondo che ci precede, esplosione che ciassegna ad un «campo›› che l'io non ha contribuito a creare, madi cui, semmai, deve prendere atto, che subentra quella che Sar-tre ne L'Ètre et le Néant chiamerà «riflessione impura»,“ vale adire quella riflessione che rispondendo alla domanda “chi sonoio?”, scambiando il mio sguardo con la cosa che vedo riflessa sul-lo specchio, determina positivamente il mio essere, fissa una ma-schera sociale sul mio volto e risolve senza residui la coscienzain questo essere trascendente. La psicologia, come sapere positi-vo concernente la relazione fra stati, azioni e qualità, può prende-re così avvio. Ora, per quanto orribile possa essere il contenutodi questo sapere psicologico, esso tuttavia preserva dall'angoscia,protegge dall'esposizione senza riserve al mondo, crea un rifugio,un focolare domestico. Il triangolo edipico è pronto ad accoglier-mi. Il mostro della coscienza impersonale è addomesticato.

Lasciamo agli storici del pensiero fenomenologico l'arduocompito di stabilire se il sentiero battuto da Sartre diverga effet-tivamente da quello del maestro. Se la sua nozione di «coscienzadi primo grado 0 irriƒlessa›› o «coscienza non posizionale (di) sé»,attingibile nell”angoscia, ci conduca effettivamente da qualche par-te o non ci lasci nel bel mezzo di un'aporia. A parere di France-sco Saverio Trincia, ad esempio, «risulta molto difficile capire -se non sulla base della presupposizione di una nozione di coscien-za che sfugge in via di principio ad ogni analisi critica _ comepossano convivere la funzione riflettente della coscienza e il suo

Ne L'Étre et le Néant libertà e spontaneità si ricongiungeranno. La libertà è di-venuta coestensiva dell'intera coscienza» (nota a La transcendance de l'Ego, Vrin,Paris 1985, p. 80).

“ L'Étre et le Néant, trad. it. cit., p. 213.

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essere non posizionale››.'2 Ciò che mi preme sottolineare è che laquestione sollevata da Sartre nella sua critica a Husserl è solo il via-tico per un'altra questione, la quale costituisce, a mio giudizio, l°au-tentica posta in gioco nel saggio. È l'emergenza di questa “altra que-stione” a rendere La transcendance de l 'Ego un testo fondamenta-le per il dibattito filosofico contemporaneo, come è testimoniato, delresto, dall'attenzione costante che ad esso hanno rivolto autori comeGilles Deleuze, Jacques Lacan o Renaud Barbaras. Forse, perfino aSartre sfuggiva la portata speculativa della questione che lui stessoponeva quando individuava, come fondamento di possibilità dellacoscieriza-intenzionalità (della coscienza di qualcosa), un campo tra-scendentale impersonale o, se si preferisce, «prepersonale››.

Tuttavia, tale “altra questione” è nominata nel testo di Sartre.È esplicitamente posta nelle ultime pagine del saggio, pagine in-vero abbastanza ignorate dagli studiosi sartriani, ma che, alle orec-chie di un lettore attento, suonano quasi come una vera e propriadedica ex post e come un impegno programmatico. Sartre vi in-dica i propri interlocutori e spiega in modo piano le ragioni pro-fonde che stanno dietro a quello che apparentemente potrebbe sem-brare solo un esercizio di scuola. Di ritomo da una Gennania ap-pena nazificata in una Francia scossa da manifestazioni di segnofascista - sono gli stessi anni, ricordiamolo, in cui l°altro prota-gonista della scena francese, Georges Bataille, meditava di scrive-re un libro sul fascismo in Francia -, il giovane Sartre si rivolgeai «teorici di estrema sinistra›› (Nizan?), i quali hanno spesso li-quidato la nascente fenomenologia come un nuovo idealismo, eribatte loro che «erano anzi secoli che non si era sentita in filo-

" Il giovane Sartre e il problema dell'10, cit., p. 179. Per una dettagliata di-scussione della nozione sartriana di coscienza irriflessa, cfr. V. DE Cooiuaßvren,Sartre face à la phénoménologie. Autour de “L'intentionnalite'” et de “La tran-scendance de l'Ego Editions Ousia, Bruxelles 2000. Si veda anche M. MELET-'ri BERTOLINI, La conversione all 'autenticità. Saggio sulla morale di J.-P. Sartre,Franco Angeli, Milano 2000, pp. 22 sgg.

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sofia una corrente così realista». Perché un simile realismo fossefinalmente possibile era però indispensabile procedere a quell`ope-ra di purificazione della coscienza e di riduzione dello «psichico››che era stata intrapresa nelle pagine precedenti. Il rimprovero dei«teorici di estrema sinistra›› non ha più ragion d'essere, infatti, sel'Ego viene espulso dalla coscienza e proiettato nel fuori del mon-do, tra le altre cose del mondo.

Ciò che resta al termine di questa riduzione - il campo tra-scendentale impersonale o prepersonale, senza Io - è, continuaSartre, quanto basta a fondare «un°ipotesi di lavoro così fecondacome il materialismo storico››. Si noti bene: non è, scrive Sartre,«l°assurdità di un materialismo metafisico» che può fondare il ma-terialismo storico, ma quanto sembrerebbe appartenere all'arma-mentario concettuale del più sfrenato idealismo. Il Mondo e il Me,il Soggetto e l'Oggetto, i poli della relazione intomo ai quali oscil-la il secolare dibattito tra realismo e idealismo, vengono infatti pa-rificati di fronte alla «coscienza assoluta, impersonale››, sono en-trambi per lei che non è nessuna di essi, non essendo altrove chein essi, in quanto di essi è l'evento inoggettivabile. «Questa co-scienza assoluta - sono proprio le ultime righe del saggio -, quan-do è purificata dall'Io, non ha più niente di un soggetto, non ènemmeno una collezione di rappresentazioni: è semplicemente unacondizione prima ed una sorgente assoluta di esistenza (...) Nonoccorre altro per fondare una morale e una politica assolutamen-te positive.›› L'enunciato è limpido: la purificazione del campo tra-scendentale è la premessa del materialismo e di una conseguenteazione politica rivoluzionaria e antifascista.13

'3 Non si può non notare come quello enunciato da Sartre, a conclusione deLa transcendance, sia, in ultima analisi, lo stesso problema -che in quegli stessiterribili anni, segnati, ad ogni latitudine, dall'avanzata irresistibile del fascismo,era stato sollevato da Georges Bataille e dai congiurati di Acèphale: come fon-dare un nuovo materialismo in grado di dare una risposta positiva e possibilmen-te vincente alla macchina mitologica fascista?

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Ciò che resta al termine della riduzione non è un soggetto cor-relato al suo oggetto, un io trascendentale che getta la sua luce sudi un mondo trascendente, ma l°immanenza assoluta di una co-scienza che coincide con l'evento stesso del mondo e dell'10, conl”evento dell'oggetto e del soggetto. Ciò che resta non è affattoun “ciò”: la coscienza assoluta, impersonale e irriflessa, la coscien-za che appare nell”exaiphnes dell”angoscia, disastrando le certez-ze ordinarie del mondo della vita, è purissimo atto, sorgente as-soluta di esistenza, spontaneità mostruosa e preumana, pura gene-ratività di mondo (anzi, di infiniti mondi) che non ha nulla che laprecede. Ciò che appare è un vero Assoluto indecostruibile. Sar-tre, a questo proposito, cita più volte ne La transcendance de l 'Egoquel luogo husserliano, dove il suo maestro è andato più vicino acogliere questo punto-limite, che, probabilmente, porta fuori dal-la stessa fenomenologia. Sono le pagine tormentate delle Lezionisulla coscienza interna del tempo nelle quali il filosofo tedescodeve riconoscere che «non vi sono nomi» per il «presente viven-te», punto sorgente di ogni attualità, e, proprio per questa sua ori-ginarietà, sempre escluso dall`ambito del visibile, non fenomeno-logico per principio dato che ogni obiettivazione ha luogo inesso." In se', la coscienza è quell°«isola ardente e oscura» che, se-condo il filosofo marxista Emst Bloch, pulsa per sempre invisibi-le al fondo di ogni attimo vissutozls prossimità assoluta che si con-verte, per l”Ego che lo voglia cogliere (e a cui appare nella «ri-flessione pura›› dell'angoscia), in separazione assoluta, in oscuri-tà per eccesso di luce. Coscienza, dunque, come macchia cieca,lacuna o interruzione che non vizia la visione, semmai la rendepossibile.

14 E. I-IUSSERL, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, trad.it. di A. Marini, Franco Angeli, Milano 1981, § 36 «Il flusso costitutivo di tem-po come assoluta soggettività», p. 102.

'5 E. BLOCH, Experimentum mundi. La domanda centrale. Le categorie delportar-fizori. La prassi, trad. it. di G. Cunico, Queriniana, Brescia 1980.

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Solo un procedimento apofatico può soccorrerci nel tentativodi descrivere l”immanenza assoluta di una siffatta coscienza im-personale che è evento di mondo ed evento dell'Ego (come pez-zo del mondo tra gli altri), una coscienza che coincide senza re-sidui con l'accadere stesso del mondo, con il suo “che c°è”. Difatto è la strada accidentata che Sartre percorre. Coscienza irrifles-sa, atto irriflesso di riflessione, coscienza non posizionale di sé,coscienza (di) sé, sono tutte espressioni tanto contraddittorie quan-to inevitabili. Devono nominare la relazione della coscienza a séescludendo al tempo stesso che tale relazione diventi rapporto ri-flessivo, devono nominare una mediazione che sia però immedia-ta per non precipitare nella trappola del regresso all'infinito, de-vono nominare un «sorvolo›› che, per dirla con Raymond Ruyer,non sia «dimensionale››, non apra sulla superficie che percorre avelocità infinita una terza dimensione che la ricomprenda perpen-dicolarmente, dall`alto, come oggetto per un soggetto.16 Proceden-do per negazioni (non posizionale, uso della parentesi, irriflesso,non dimensionalità), tali espressioni descrivono nei termini del co-stituito il costituente. Il costituito è la correlazione Io-mondo, ilnesso soggetto-oggetto. Il costituente è l'evento di quella correla-zione, che non ha altra stanza che nella correlazione, ma che nonpuò essere detto come correlazione (di qui appunto l'apofatismo).Facile di fronte a queste costruzioni linguistiche è vestire i pannidel critico severo e smontare il giocattolo sartriano mostrandonetutta la contraddittorietà. Più difficile è accettare la sua sfida e pro-cedere nella direzione di un Assoluto indecostruibile come solofondamento di un materialismo altrettanto assoluto."

1° La nozione di “superficie assoluta” elaborata da Raimond Ruyer per spie-gare il carattere materiale della coscienza deve essere messa in rapporto con lanozione sartriana di “coscienza non posizionale di sé”. La migliore descrizioneruyeriana di tale paradossale superficie, che è l`essere stesso della materia, la sitrova in Neofinalisme, PUF, Paris 1952, Cap. IX, pp. 95 sgg.

17 La nozione di “materialismo assoluto” in riferimento al pensiero di Sartree con particolare riguardo agli esiti della Critica della ragion dialettica, è stata

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Più difficile perché se si segue questa strada si va dove lo stes-so Sartre esitava a inoltrarsi. È la nozione cardine della coscien-za come intenzionalità ad essere infatti messa in questione. GillesDeleuze lo ha compreso benissimo, tant'è che ha messo questepagine sartriane in rapporto con un altro inatteso e poco frequen-tato materialismo, quello del Bergson del fatidico primo capitolodi Matière et mémoire.13 In esso, come è noto, Bergson presentala coscienza come coincidente con la materia stessa. Per farlo deveporre in epoche' il fondamento di tutto il pensiero modemo, alme-no a partire dalla rivoluzione copemicana di Kant, vale a dire ilprincipio della correlazione, l'originaiietà del rapporto coscienza-mondo. Prima di e per poter essere coscienza di qualche cosa (rap-presentazione), la coscienza, secondo Bergson, deve essere «im-magine in sé››. Con tale contraddittoria espressione - come può,infatti, un°immagine sussistere in se' senza essere immagine di eimmagine per? - Bergson intende una coscienza che prescinde dal-l°autocoscienza riflessiva, una coscienza che, se usiamo il lessi-co sartriano, «non fa coppia con sé››: una coscienza senza testi-mone, senza sorvolo dimensionale su di sé, una coscienza-cam-po, senza Io. Allora, tale coscienza la si può estendere ad ogni

introdotta da Florinda Cambria. Ritroviamo a suo fondamento, sebbene non ri-chiamata da Cambria, proprio la nozione di “campo impersonale” tematizzata daSartre nella Transcendance. Scrive, infatti, Cambria: «Unità errante del diverso,la materia assoluta è totalizzazione senza totalizzatore in quanto agisce dall`inter-no del campo e dall'intemo degli agenti (unificandoli). L'agente effettivo dellaunificazione errante non coincide con alcuno degli agenti locali: è pertanto unagente anonimo, indeterminato perché immanente a tutte le determinazione. Lamateria assoluta, la concretezza della prassi è totalizzazione senza totalizzatore inquanto in essa chi agisce non è un agente determinato. Potremmo dire che adagire sia il campo stesso» (La materia della storia. Prassi e conoscenza in Jean-Paul Sartre, ETS, Pisa 2009, pp. 240-241. Corsivo mio).

'8 G. DELEUZE, Cinema I, Minuit, Paris 1983, pp. 83 sgg. Sull'argomento siveda di G. GIOLI, Oltre la fenomenologia: il giovane Sartre e Deleuze, in «Bol-lettino di studi saruiani», anno IV, 2008, Biblink, Roma e il capitolo 5 del mioBergson. Una sintesi, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2011.

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punto della materia, dal virus alle stelle, perché essa della ma-teria è l'atto stesso. L'autocoscienza umana, la coscienza, cioè,riflessiva, che fa coppia con se stessa e che produce l'Ego, èsolo un caso specifico di questa coscienza assoluta, un caso cer-tamente interessante, ma non determinante. L`umano modo d'es-sere non è, insomma, unità di misura del cosmo (noto qui comeil mancato interlocutore di Sartre, Georges Bataille, nell`imme-diato dopoguerra, sviluppando quanto aveva scritto nel 1933 sul-la nozione di dépense, proverà ad elaborare proprio una similecosmologia che prescinde dal ristretto punto di vista riflessivodell'Ego).'9

Sartre, invece, esita a percorrere la strada che lui stesso inau-gura con il suo travolgente esordio filosofico. Contemporaneo allastesura della Transcendance è il manifesto sull'Intentionnalité deHusserl. Di esso si è soliti sottolineare, giustamente, il tono entu-siasta e il valore prograrrirnatico. La fenomenologia husserlianaentra da trionfatrice nella Francia che si appresta ad essere con-quistata anche materialmente dall'esercito tedesco. Peri vecchi pa-dri della patria filosofica, Bergson, Brunschwig ecc., la sorte è se-gnata. L°accusa che viene mossa al bergsonismo è quella di esse-re una filosofia realista, che pensa la coscienza come una cosa eprescinde dal novum introdotto da Husserl: la coscienza come attodel trascendersi esplosivo verso il mondo. «In essa (nella coscien-za-intenzionalità) - scrive Sartre ~ non c'è più niente, eccetto unmovimento per sfuggirsi, uno scivolare fuori di sé: se per assur-do entraste “in” una coscienza, sareste investiti da un turbine e ri-gettati fuori, vicino all”albero, in piena polvere, perché la coscien-za non ha “dentro” alcuno: essa è soltanto il fuori di se stessa edè questa fuga assoluta, questo rifiuto di essere sostanza, che la co-

'° G. BATAILLE, La parte maledetta preceduto da La nozione di dépense, trad.it. di Sema, Bollati Boringhieri, Torino- 2003. Sul mancato rapporto SarlJ'e-Ba-taille, si veda il numero monografico di «Lignes››, Sartre et Bataille, Mars 2000,Editions Leo Scheer, Paris.

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stituiscono come una coscienza.»2° Ma la coscienza-intenzionali-tà di Husserl porta veramente nel Grande Fuori del mondo? Per-mette veramente quella fondazione del materialismo assoluto cheera la posta in gioco della Transcendance e la ragione della suadedica conclusiva ai «teorici di estrema sinistra››? Oppure il Fuo-ri al quale si accede grazie all'intenzionalità è quel dehors clau-stral, stigmatizzato da Quentin Meillassoux nel suo bellissimo li-bro sul superamento del modemo? «La coscienza e il suo linguag-gio - egli scrive - si trascendono certo verso il mondo, ma nonsi dà mondo se non per una coscienza che vi si trascenda.»21

Il fuori cui accediamo grazie al s'eclater vers dell”intenziona-lità è un fuori che io direi claustrofobico ed ossessivo perché nonsi dà mai senza Faccompagnamento di una coscienza-Ego che loillumina con i suoi Ichstrahlen. In ogni nostro esodo intenziona-le siamo sempre accompagnati da noi stessi. Non ci dimentichia-mo mai veramente di noi. E come se non cessassimo mai di scri-vere compulsivamente la nostra autobiografia mentre viviamo.Esercizio sfinente, perché il polo vivente precede sempre di unpasso il polo riflesso, ed esercizio deprimente perché ci impedi-sce di accedere a quella meravigliosa sensazione di libertà che Sar-tre nella Transcendance de l 'Ego (e in tanti altri luoghi della suaopera) descrive quando parla della felice smemoratezza di sé cheprende il lettore che legge appassionatamente (oppure, che è lostesso, che prende l'uomo che ama appassionatamente) e che ètutt°uno con lo spettacolo che gli si apre davanti, senza «fare cop-pia», senza guardarsi leggere, senza guardarsi amare e senza guar-darsi guardare mentre legge, ama e guarda. Il mondo per il feno-menologo - ma, direi, il mondo per i “modenri”- è invece sem-pre per una coscienza. Che cos'è, infatti, per lui il “mondo”? Non

2° Une idée fondamentale de la phénoménologie de Husserl: l'intentionnali-té, cit., p. 33.

2* Q. MEILLASSOUX, Après la finitude. Essai sur la nécessité de la contingen-ce, Seuil, Paris 2006, p. 21.

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quello che si vede nell°atteggiamento naturale - ciò che si dà avedere nell”atteggiamento ingenuo è l°apparente, l'infondato - maciò che appare quando, grazie al rivolgimento riflessivo della co-scienza su di sé, ci si guarda guardare il mondo. Il mondo è il fe-nomeno “mondo”. Il Mondo è l`eidos mondo. Il mondo non è maiin sé, assoluto, emarrcipato dal suo osservatore. Anzi, se c`è unaproposizione che la modemità filosofica nel suo complesso proscri-ve è quella che dell'“in sé” fa l'oggetto stesso della scienza.

Sempre nel saggio sull'intenzionalità Sartre enuncia a chiarelettere il principio della correlazione universale: «La coscienza eil mondo sono dati contemporaneamente: esteriore per essenza allacoscienza, il mondo è per essenza relativo ad essa››.22 È una pro-posizione ortodossa, sostanzialmente inattaccabile senza cadere inintollerabili ingenuità realistiche (le teorie del “rispecchiamento”,i riduzionismi positivistici e delle neuroscienze...). Di fatto ripe-te quanto tutta la filosofia cosiddetta “continentale” del Novecen-to ha detto. Che altro è, dopotutto, l°Ereignis heideggeriano senon, ancora, la correlazione originaria e intrascendibile di essereed esserci? Eppure era proprio quella correlazione universale chela purificazione del campo trascendentale, avviata da Sartre con ilsuo travolgente esordio filosofico, metteva in questione, quandoda essa retrocedeva al suo «mostmoso» fondamento di possibili-tà: alla coscienza assoluta. Che cos`è, infatti, la descrizione, conprocedimento apofatico, della coscienza irriflessa se non una me-ditazione sul mondo prima e/0 dopo l'uomo, sul mondo senzal°uomo come unità di misura ultima? Tale Grande Fuori è vera-mente absolutus (sciolto da): non è per una coscienza, giacché èesso stesso coscienza, ma coscienza senza testimone, spettacolosenza spettatore, «immagine in sé››. Simone Weil, in uno strug-gente passo dei suoi Cahiers, ha scritto che l`utopia della misticaspeculativa (che, va detto, è teologia apofatica) è l'utopia dell'ano-

22 Une idée fondamentale de la phénoménologie de Husserl: l'intentionnali-té, cit., p. 32.

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nimo, della sparizione del nome proprio, «perché le cose che vedo,non essendo più le cose che io vedo, divengano perfettamente bel-le››.23 “Io” è l'ostaco1o. Prima di lei, più laicamente, Robert Mu-sil aveva definito l'arte la raffigurazione della vita al sesto gior-no della creazione: «Quando dio e il mondo erano ancora soli,senza gli uomini». La filosofia quel sesto giomo non vuole raffi-gurarlo, ma pensarlo attraverso concetti. Solo così può restare fe-dele alla propria definizione che è quella - indubbiamente para-dossale, aporetica e logicanrente insostenibile - di scienza specu-lativa dell”assoluto.24

23 S. WEIL, L'ombra e la grazia, trad. it. di F. Fortini, Rusconi, Milano 1985,p. 53.

2" Tale svolta speculativa della filosofia, oltre il principio di correlazione, co-stituisce il programma di ricerca intomo al quale si è raccolto recentemente sul-la rete un gruppo di giovani filosofi di varie nazionalità. Si veda di L. BRYANT,N. SRNICEK and G. HARMAN (cditors), The Speculative Turn. Continental Mate-rialism and Realism, re.press, Melboume 2011.

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LA TRASCENDENZADELL'EGO

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I.L'Io e il Me'

Per la maggior parte dei filosofi l'Ego è un «abitan-te» della coscienza. Alcuni affermano la sua presen-za formale in seno agli Erlebnisse in qualità di unprincipio vuoto di unificazione. Altri - per lo piùpsicologi - pensano di scoprire la sua presenza ma-

* Le note indicate con un asterisco sono di Sartre, quelle indicate conil numero ad esponente sono del curatore.

1 L'«Io›› (Je) e il «Me›› (Moi) costituiscono le due facce dell'Ego, cherappresenta l'essere che sono in quanto unità psichica trascendente deter-minata dalla riflessione «impura›› (si veda L'Étre et le Néant, trad. it. cit.,pp. 215-216). L'«Io›› è la faccia attiva e formale, il «Me›› quella passivae materiale. La tesi sostenuta da Sartre è che la distinzione tra «Io›› e«Me››, sensibile nella lingua francese, sia, in ultima analisi, una distin-zione meramente grammaticale, essendo l'«Io›› formale-attivo (l'Iodell'«Io penso››) una contrazione infinita del «Me›› materiale-passivo. Varicordato che nella maggioranza dei casi l'espressione francese «Moi›› do-vrebbe essere resa in italiano con il pronome «Io››. Per evitare confusio-ni e mantenere intatto il senso della distinzione sartriana tra «Me›› e«Moi››, ho sistematicamente tradotto «Moi›› con «Me›› anche al prezzo diqualche ruvidezza linguistica. Quando ciò non mi è stato possibile (adesempio, quando «Moi›› è usato in francese come rafforzativo del prono-me personale), ho lasciato tra parentesi la formula originale.

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teriale, come centro dei desideri e degli atti, in ognimomento della nostra vita psichica. Noi vorremmomostrare qui che l'Ego non è né fomralmente, nématerialmente nella coscienza: è fuori, nel mondo;è un essere del mondo come l'Ego del1'altro.

A) Teoria della presenza formale dell 'Io

Bisogna concedere a Kant che «l'Io penso deve po-ter accompagnare tutte le nostre rappresentazioni».Dobbiamo però concludeme che un Io abiti effetti-vamente tutti i nostri stati di coscienza ed operi re-almente la sintesi suprema della nostra esperienza?Credo che questo sarebbe snaturare il pensiero kan-tiano. Il problema della critica è un problema di di-ritto. Kant non afferma quindi niente sull”esistenzadi fatto dell°io penso. Dal momento che dice «devepoter accompagnare››, sembra invece che egli abbiaperfettamente visto che c'erano dei momenti di co-scienza senza «Io››. Si tratta, difatti, di detemiinare lecondizioni di possibilità dell°esperienza. Una di que-ste condizioni è che io possa sempre considerare lamia percezione o il mio pensiero come miei: ecco tut-to. È però una tendenza pericolosa della filosofia con-temporanea - di cui si troverebbero le tracce nel neo-kantismo, nell'empiriocriticismo e in un intellettua-

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lismo come quello di Brochardz - quella che consi-ste nel realizzare le condizioni di possibilità deter-minate dalla critica. È una tendenza che porta certiautori a domandarsi, ad esempio, che cosa può esse-re la «coscienza trascendentale». Se si pone la que-stione in questi tenrrini, si è naturalmente costretti aconcepire questa coscienza, che costituisce la nostracoscienza empirica, come un inconscio. Di questeinterpretazioni faceva però già giustizia Boutrouxnelle sue lezioni sulla filosofia di Kant. Kant non siè mai preoccupato del modo in cui si costituisce difatto la coscienza empirica, non l”ha affatto dedot-ta, alla maniera di un processo neo-platonico, da unacoscienza superiore, da una ipercoscienza costi-tuente. Per lui la coscienza trascendentale è soltan-to l°insieme delle condizioni necessarie all°esisten-za di una coscienza empirica. Realizzare l”Io tra-scendentale, fame l'inseparabile compagno di cia-scuna delle nostre coscienze,* è allora giudicare sul

2 Victor Brochard (1848-1907). Storico della filosofia antica. Si ve-da.rro i suoi Etudes de philosophie ancienne et de philosophie moderne(Vrin, Paris 1954).

* Impiegherò qui il termine «coscienza›› per tradurre la parola tede-sca Bewusstsein che significa contemporaneamente la coscienza totale, lamonade, e ogni momento di questa coscienza. L'espressione «stato di co-scienza›› mi sembra inesatta a causa della passività che essa introducenella coscienza.

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fatto e non sul diritto, è assumere un punto di vistaradicalmente differente da quello di Kant. E se tut-tavia si ha la pretesa di addurre a pretesto le consi-derazioni kantiane sull”unità necessaria dell'espe-rienza, si commette lo stesso errore di coloro chefanno della coscienza trascendentale un inconsciopre-empirico.

Se dunque si concede a Kant la questione di di-ritto, la questione di fatto non è tuttavia risolta.Conviene quindi porla qui chiaramente: l'Io pensodeve poter accompagnare tutte le nostre rappresen-tazioni, di fatto, però, le accompagna? Supponiamoinoltre che una certa rappresentazione A passi da uncerto stato in cui l'Io penso non l'accompagna aduno stato in cui l°Io penso Faccompagna, le soprav-verrà allora una modificazione di struttura oppureresterà fondamentalmente immutata? Questa secon-da questione ci conduce a pome una terza: l'Io pen-so deve poter accompagnare tutte le nostre rappre-sentazioni, ma bisogna con ciò intendere che l'uni-tà delle nostre rappresentazioni è, direttamente o in-direttamente, realizzata dall°Io penso, oppure si deveintendere che le rappresentazioni di una coscienzadevono essere unite e articolate in modo tale che un«Io penso›› di constatazione sia sempre possibile aloro proposito? Questa terza questione sembra por-si sul terreno del diritto e, su questo terreno, abban-

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donare 1'ortodossia kantiana. Ma si tratta in realtàdi una questione di fatto che può formularsi così:l'Io che incontriamo nella nostra coscienza è resopossibile dall'unità sintetica delle nostre rappresen-tazioni, oppure è lui che di fatto unifica le rappre-sentazioni fra loro?

Se tralasciamo tutte le rappresentazioni più omeno forzate date dell'«Io penso›› dai post-kantiani,e se tuttavia vogliamo risolvere il problema dellaesistenza di fatto dell'10 nella coscienza, incontria-mo sul nostro cammino la fenomenologia di Husserl.La fenomenologia è uno studio scientifico e non cri-tico della coscienza. Il suo procedimento essenzialeè l'intuizione. L'intuizione, secondo Husserl, ci ponein presenza della cosa. Bisogna dunque rendersiconto che la fenomenologia è una scienza di fatto eche i problemi che essa pone sono problemi di fat-to.* Per questo Husserl la chiama una scienza de-scrittiva. I problemi dei rapporti dell'10 alla coscien-za sono quindi dei problemi esistenziali. Husserl ri-trova e coglie la coscienza trascendentale di Kantattraverso l'šrroXr'|. Questa coscienza non è però piùun insieme di condizioni logiche. È un fatto assolu-

* Husserl direbbe: una scienza d'essenze. Ma questo, per il punto divista in cui ci collochianio, è lo stesso.

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to. Non è nemmeno una ipostasi di diritto, un incon-scio fluttuante tra il reale e l'ideale. È una coscien-za reale accessibile ad ognuno di noi, dopo che ab-biamo operato la «riduzione››. Resta il fatto che èproprio essa che costituisce la nostra coscienza em-pirica, questa coscienza «nel mondo», questa co-scienza con un «me›› psichico e psico-fisico. Per par-te nostra crediamo di buon grado all'esistenza di unacoscienza costituente. Seguiamo Husserl in ciascu-na delle sue mirabili descrizioni dove mostra la co-scienza trascendentale costituente il mondo ches'imprigiona nella coscienza empirica; siamo per-suasi come lui che il nostro me psichico e psico-fi-sico è un oggetto trascendente che deve essere sog-getto all'åJtoX1/|. Tuttavia poniamo la seguente do-manda: questo me psichico e psico-fisico non è, for-se, sufficiente? Occorre accompagnarlo con un lotrascendentale, struttura della coscienza assoluta?Evidenti sono le conseguenze della risposta. Se que-sta è negativa ne risulta che:

1) il campo trascendentale diventa impersonale o, sesi preferisce, «prepersonale››, è senza Io;

2) l'Io non appare che al livello dell'umano e nonè che una faccia del Me, la faccia attiva;

3) l'Io penso può accompagnare le nostre rappre-sentazioni perché compare su un fondo di unità

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che non ha contribuito a creare ed è questa uni-tà preliminare che anzi lo rende possibile;

4) sarà lecito domandarsi se la personalità (anche lapersonalità astratta di un Io) è un accompagna-mento necessario di una coscienza e se si posso-no concepire delle coscienze assolutamente im-personali.

Orbene, Husserl ha risposto al problema. Dopo averconsiderato il Me una produzione sintetica e tra-scendente della coscienza (nelle Ricerche Logiche),è tomato, nelle Idee, alla tesi classica di un Iotrascendentale, che sarebbe dietro a ogni coscienza,struttura necessaria di queste coscienze, i cui rag-gi (Ichstrahlen) cadrebbero su ogni fenomeno chesi presentasse nel campo dell'attenzione. In talmodo la coscienza trascendentale diviene rigorosa-mente personale. Era necessaria questa concezio-ne? È compatibile con la definizione che Husserldà della coscienza?

Si crede, di solito, che l'esistenza di un Io tra-scendentale si giustifichi con il bisogno di unità edi individualità della coscienza. È in virtù del rap-portarsi di tutte le mie percezioni e di tutti i mieipensieri a questo centro permanente che la mia co-scienza è unificata: è in virtù del fatto che possodire mia questa coscienza ed è perché Pietro e Paolo

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possono parlare della loro coscienza, che queste co-scienze si distinguono fra loro. L'Io è produttore diinteriorità. Ora, è certo che la fenomenologia non habisogno di ricorrere a questo Io unificatore e indi-vidualizzante. La coscienza si definisce infatti attra-verso l'intenzionalità. Grazie all'intenzionalità essasi trascende, si unifica sfuggendo a se stessa. L'unitàdelle mille coscienze attive attraverso le quali ho ag-giunto, aggiungo e aggiungerò due a due per farequattro, è l'oggetto trascendente «due più due faquattro». Senza la pemianenza di questa verità eter-na sarebbe impossibile concepire una unità reale evi sarebbero tante operazioni irriducibili quante sonole coscienze operatorie. È possibile che coloro chereputano «due più due fa quattro» il contenuto del-la mia rappresentazione siano poi obbligati a ricor-rere ad un principio trascendentale e soggettivo diunificazione, che sarà allora l'Io. Ma Husserl nonne ha appunto bisogno. L'oggetto è trascendente allecoscienze che lo colgono ed è in esso che si trovala loro unità. Si dirà che occorre tuttavia un princi-pio di unità nella durata affinché il flusso continuodelle coscienze sia suscettibile di porre degli ogget-ti trascendenti fuori di sé. Bisogna che le coscienzesiano delle sintesi incessanti delle coscienze passa-te e della coscienza presente. È vero. È caratteristi-co però che Husserl, il quale ha studiato nella Co-

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scienza interna del tempo questa unificazione sog-gettiva delle coscienze, non abbia mai fatto ricorsoa un potere sintetico dell”Io. È la coscienza che siunifica da sé e in modo concreto attraverso un gio-co di intenzionalità «trasversali», le quali sono del-le ritenzioni concrete e reali delle coscienze passa-te. Così la coscienza rinvia incessantemente a sé; chidice «una coscienza›› dice tutta la coscienza e que-sta proprietà singolare appartiene alla coscienza stes-sa, quali che siano, d'altra parte, i suoi rapporti conl'Io. Si direbbe che Husserl, nelle Meditazioni car-tesiane, abbia conservato interamente questa con-cezione della coscienza unificantesi nel tempo. Perun altro verso l'individualità della coscienza pro-viene evidentemente dalla natura della coscienza.La coscienza può essere limitata (come la sostan-za di Spinoza) soltanto da se stessa. Essa costitui-sce dunque una totalità sintetica e individualecompletamente isolata dalle altre totalità dello stes-so tipo e l'Io non può essere, evidentemente, cheuna espressione (e non una condizione) di questaincomunicabilità e di questa interiorità delle co-scienze. Possiamo quindi rispondere senza esita-zione alcuna: la concezione fenomenologica dellacoscienza rende il ruolo unificante e individualiz-zante dell'Io totalmente inutile. È la coscienza,anzi, che rende possibile l'unità e la personalità del

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mio Io. L'Io trascendentale non ha perciò ragioned'essere.

Questo Io superfluo è, inoltre, anche nocivo. Seesistesse, strapperebbe la coscienza a se stessa, ladividerebbe, penetrerebbe in ogni coscienza comeuna lamina opaca. L' Io trascendentale è la morte del-la coscienza. L'esistenza della coscienza, infatti, èun assoluto, perché la coscienza è coscienza di sestessa. Il che significa che il tipo di esistenza dellacoscienza è di essere coscienza di sé. Ed essa pren-de coscienza di sé in quanto è coscienza di un og-getto trascendente. Tutto dunque è chiaro e lucidonella coscienza: l'oggetto le è di fronte con la suaopacità caratteristica, ma essa è semplicemente co-scienza d'essere coscienza di questo oggetto. Questaè la legge della sua esistenza. Bisogna aggiungereche questa coscienza di coscienza - a parte i casi dicoscienza riflessa sui quali metteremo subito 1'ac-cento - non è posizionale; la coscienza non è cioèoggetto a se stessa. Il suo oggetto è per natura fuo-ri di lei ed è per questo che con un medesimo attoessa lo pone e lo coglie. Essa stessa si conosce sol-tanto come interiorità assoluta. Chiameremo una si-mile coscienza: coscienza di primo grado o irrifles-sa. Chiediamoci allora: c'è posto per un Io in unasiffatta coscienza? La risposta è chiara: evidente-mente no. Infatti questo Io non né l'oggetto (per-Q/

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ché è interiore per definizione) e nemmeno coscien-za, dato che esso è qualcosa per la coscienza, nonuna qualità traslucida della coscienza. Ne è piutto-sto, in qualche modo, un abitante. L”io infatti, conla sua personalità, per quanto formale, per quantoastratta lo si supponga, è come un centro di opaci-tà. Sta al me concreto e psico-fisico come il puntoalle tre dimensioni: è un Me infinitamente contrat-to. Se dunque si introduce questa opacità nella co-scienza, si distrugge in tal modo la definizione cosìfeconda appena data, la si irrigidisce, la si oscura;la coscienza non è più spontaneità, essa ha addirit-tura in se stessa qualcosa come un germe di opaci-tà. Si è inoltre anche costretti ad abbandonare quelpunto di vista originale e profondo che fa della co-scienza un assoluto non sostanziale. Una coscienzapura è un assoluto semplicemente perché è coscien-za di sé. Essa resta quindi un <<fenomeno›› nel sen-so particolarissimo in cui «essere» e «apparire» sonolo stesso. È tutta leggerezza, tutta traslucidità. È inquesto che il Cogito di Husserl è così diverso dalCogito cartesiano. Ma se l'Io è una struttura neces-saria della coscienza, questo Io opaco è allora innal-zato al rango di assoluto. Eccoci dunque in presen-za di una monade. Ed è purtroppo proprio questol'orientamento del nuovo pensiero di Husserl (sivedano le Meditazioni cartesiane). La coscienza si

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è appesantita, ha perso quel carattere che faceva diessa l'esistente assoluto a forza di inesistenza. È pe-sante e ponderabile. Tutti i risultati della fenomeno-logia minacciano di crollare se l'Io non è, allo stes-so titolo del mondo, un esistente relativo, vale a direun oggetto per la coscienza.

B) Il Cogito come coscienza riflessiva

L”«Io penso›› kantiano è una condizione di possibi-lità. Il Cogito di Descartes e di Husserl una costa-tazione di fatto. Si è parlato della «necessità di fat-to›› del Cogito e questa espressione mi sembraappropriata. Ora, è incontestabile che il Cogito siapersonale. Nell”«Io penso›› c'è un Io che pensa.Cogliamo qui l'Io nella sua purezza ed è appuntodal Cogito che una «Egologia» deve partire. Il fat-to che può servire da punto di partenza è dunquequesto: ogni volta che noi cogliamo il nostro pen-siero, attraverso una intuizione immediata o attra-verso una intuizione poggiante sulla memoria, co-gliamo un Io che è l'Io del pensiero colto e che sidà, inoltre, come trascendente questo pensiero e tut-ti gli altri possibili pensieri. Se, ad esempio, voglioricordarmi un certo paesaggio scoito ieri dal treno,mi è possibile fare riemergere il ricordo di questo

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paesaggio come tale, ma posso anche ricordarmi cheio vedevo quel paesaggio. È ciò che Husserl, nellaCoscienza interna del tempo, chiama la possibilitàdi riflettere nel ricordo. In altre parole, posso sem-pre operare una ramrnemorazione qualunque nellamodalità personale e l'Io appare subito. Tale è la ga-ranzia di fatto della affermazione di diritto kantia-na. Diviene così evidente che non c'è una delle miecoscienze che io non colga come provvista di un Io.

Dobbiamo però ricordarci che tutti gli autori chehanno descritto il Cogito, l'hanno rappresentatocome una operazione riflessiva, vale a dire come unaoperazione di secondo grado. Questo Cogito è ope-rato da una coscienza diretta sulla coscienza, la qua-le assume la coscienza come oggetto. Intendiamoci:la certezza del Cogito è assoluta, poiché, come diceHusserl, si dà un'unità indissolubile della coscienzariflettente e della coscienza riflessa (al punto che lacoscienza riflettente non potrebbe esistere senza lacoscienza riflessa). Ciò non toglie però che ci tro-viamo di fronte ad una sintesi di due coscienze dicui l'una è coscienza dell'altra. Il principio essen-ziale della fenomenologia, «ogni coscienza è co-scienza di qualcosa», è così salvaguardato. Orbene,la mia coscienza riflettente non assume se stessa peroggetto quando realizzo il Cogito. Ciò che essa af-ferma riguarda la coscienza riflessa. Nella misura in

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cui la mia coscienza riflettente è coscienza di sé,essa è coscienza non posizionale. Diviene posizio-nale solo intenzionando la coscienza riflessa, la qua-le, anch'essa, non era coscienza posizionale di .séprima di essere riflessa. Così la coscienza che dice«Io penso›› non è a parlare propriamente quella chepensa. O piuttosto non è il suo pensiero che essapone attraverso questo atto tetico. Siamo dunque au-torizzati a domandarci se l'Io che pensa è comunealle due coscienze sovrapposte o se non è piuttostoquello della coscienza riflessa. Ogni coscienza riflet-tente è infatti in se stessa iniflessa e occorre un attonuovo di terzo grado per porla. Non c'è peraltro quiun rinvio all'infinito perché una coscienza non haper nulla bisogno di una coscienza riflettente per es-sere cosciente di se stessa. Semplicemente non sipone a se stessa come il suo oggetto.

Non sarebbe allora proprio l'atto riflessivo chefarebbe nascere il Me nella coscienza riflessa? Sispiegherebbe così il fatto che ogni pensiero coltodall'intuizione possieda un Io senza cadere nelle dif-ficoltà che il nostro precedente capitolo segnalava.Husserl è il primo a riconoscere che un pensiero ir-riflesso subisce una modificazione radicale divenen-do iiflesso. Ma bisogna limitare questa modificazio-ne ad una perdita di «ingenuità››? L'essenziale delcambiamento non sarebbe l'apparizione dell'10?

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Bisogna evidentemente ricorrere all'esperienza con-creta, e questo può sembrare impossibile, dato che,per definizione, un'esperienza di questo genere èriflessiva, cioè provvista di un Io. Ogni coscienzainiflessa, però, essendo coscienza non-tetica di sestessa, lascia un ricordo non-tetico che si può con-sultare. È sufficiente per questo cercare di ricostrui-re il momento completo in cui apparve questa co-scienza irriflessa (cosa che è, per definizione, sem-pre possibile). Ad esempio, poco fa ero assorto nel-la lettura. Cerco ora di ricordarmi le circostanze del-la mia lettura, il mio atteggiamento, le righe che leg-gevo. Risuscito così non soltanto quei dettagli este-riori, ma un certo spessore di coscienza irriflessa,poiché gli oggetti hanno potuto essere percepiti sola-mente grazie a questa coscienza e ad essa sono cor-relati. Non occorre che ponga questa coscienza comeoggetto della mia riflessione, bisogna invece che di-riga la mia attenzione sugli oggetti risuscitati, sen-za però perderla di vista, mantenendo con lei unaspecie di complicità e inventariandone il contenutoin modo non posizionale. Il risultato non è sogget-to a dubbio: mentre leggevo c'era coscienza del li-bro, dei protagonisti del romanzo, ma l'Io non abi-tava questa coscienza, essa era soltanto coscienzadell'oggetto e coscienza non posizionale di sé. Possoora fare di questi risultati colti in modo non tetico

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una tesi e affermare: non c'era un Io nella coscien-za irriflessa. Non si deve considerare questa opera-zione come artificiale e concepita artatamente: è evi-dentemente grazie ad essa che Titchener,3 nel suoTextbook of Psychology, poteva dire che assai spes-so il Me era assente dalla sua coscienza. Egli, peraltro, non andava oltre e non tentava di classificaregli stati di coscienza senza il Me.

Si sarà forse tentati di obiettarmi che questaoperazione, questo coglimento non-riflessivo di unacoscienza ad opera di un'altra coscienza, può evi-dentemente prodursi solo grazie al ricordo e che per-ciò non beneficia della certezza assoluta inerente al-l'atto riflessivo. Saremmo dunque di fronte, da unlato, ad un atto certo che mi permette di affermarela presenza dell'10 nella coscienza riflessa e, dall'al-tro, ad un ricordo incerto che tenderebbe a far cre-dere che l'10 è assente dalla coscienza iniflessa. Sidirebbe che non abbiamo il diritto di opporre que-sto a quello. Si consideri però che il ricordo dellacoscienza iniflessa non si oppone ai dati della co-

3 La riflessione sull'opera di Wundt, di cui fu il traduttore inglese,portò Edward Bradford Titchener (1867-1927) alla elaborazione di un si-stema rigoroso di psicologia scientifica che va sotto il nome di «struttura-lismo›› o «esistenzialismo titcheneriano››, fondato sul metodo della intro-spezione e che trova la sua più matura espressione in A Textbook ofPsychology (Mc Millan, New York 1910).

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scienza riflessiva. Nessuno pensa di negare che l'10appaia in una coscienza riflessa. Si tratta semplice-mente di opporre il ricordo riflessivo della mia let-tura («io leggevo››), che è pure lui di natura incer-ta, a un ricordo non iiflesso. Il diritto della rifles-sione in atto non si estende, infatti, oltre la coscien-za colta attualmente. E il ricordo riflessivo, al qua-le siamo obbligati a ricorrere per restituire le co-scienze passate, oltre al carattere incerto che essodeve alla sua natura di ricordo, resta sospetto per-ché, secondo il parere dello stesso Husserl, la rifles-sione modifica la coscienza spontanea. Poiché dun-que tutti i ricordi non-riflessivi della coscienza irri-flessa mi mostrano una coscienza senza me, poiché,d'altra parte, alcune considerazioni teoriche basatesull'intuizione d'essenza della coscienza ci hanno co-stretto a riconoscere che l'Io non poteva far partedella struttura intema degli Erlebnissen, dobbiamoquindi concludere che non si dà Io sul piano inifles-so. Quando corro dietro a un tram, quando guardol'ora, quando mi immergo nella contemplazione diun ritratto, non c'è Io. C'è coscienza del tram-che-deve-essere-raggiunto ecc., e coscienza non posizio-nale della coscienza. In realtà io sono allora sprofon-dato nel mondo degli oggetti, sono loro checostituiscono l'unità delle mie coscienze, che si pre-sentano con dei valori, delle qualità attrattive e re-

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pulsive, ma quanto a me, io sono sparito, mi sonoannientato. Non c'è posto per me a questo livello equesto non è il frutto del caso, di una momentaneamancanza di attenzione, ma consegue dalla struttu-ra stessa della coscienza.Di ciò una descrizione del Cogito ci renderà an-

cora più sensibili. Si può dire infatti che l'atto ri-flessivo colga nel medesimo grado e nello stessomodo l'10 e la coscienza pensante? Husserl insistesul fatto che la certezza dell'atto riflessivo derivadal fatto che in esso si coglie la coscienza senzasfaccettature, senza profili, interamente (senzaAbschattungen). È evidente. L'oggetto spazio-tem-porale, invece, si dà sempre attraverso una infinitàdi aspetti e non è, in fondo, che l'unità ideale diquesta infinità. Quanto ai significati, alle verità eter-ne, queste manifestano la loro trascendenza perché,nel momento stesso in cui appaiono, esse si dannocome indipendenti dal tempo, mentre la coscienzache le coglie è rigorosamente individualizzata nelladurata. Chiediamoci ora: quando una coscienza ri-flessiva coglie l'Io penso, coglie forse una coscien-za piena e concreta raccolta in un momento realedella durata concreta? La risposta è chiara: l'Io nonsi dà come un momento concreto, come una strut-tura peritura della mia coscienza attuale; esso affer-ma al contrario la sua permanenza al di là di que-

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sta coscienza e di tutte le coscienze e - sebbene nonassomigli certo molto ad una verità matematica - lasua modalità di esistenza si avvicina molto di più aquello delle verità eteme che a quello della coscien-za. È anche evidente che Descartes è passato dalCogito all'idea di sostanza pensante proprio per avercreduto che Io e penso sono sullo stesso piano.Abbiamo visto sopra che Husserl, sebbene più sottil-mente, cade in fondo nel medesimo errore. Vedo beneche egli riconosce all'1o una trascendenza specialeche non è quella dell'0ggetto e che si potrebbe chia-mare una trascendenza «dal di sopra›› (par en des-sus). Ma con quale diritto? E in che modo spiegarequesto trattamento privilegiato dell'10 se non per pre-occupazioni metafisiche o critiche che nulla hanno ache fare con la fenomenologia? Siamo più radicali eaffemriamo senza timori che ogni trascendenza devecadere sotto l'èrroXr'1, questo ci eviterà forse di scri-vere capitoli così imbarazzati come il paragrafo 61delle Idee. L'Io non è della stessa natura della co-scienza trascendentale, dal momento che esso si af-ferma come trascendente nell'«Io penso››.

Notiamo peraltro che esso non appare allariflessione come la coscienza riflessa: esso si dà at-traverso la coscienza riflessa. Esso è certamente col-to dall'intuizione ed è l'oggetto di una evidenza. Siconosce però il servizio che Husserl ha reso alla fi-

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losofia distinguendo diverse specie di evidenza.Ebbene, è fin troppo certo che l'Io dell'10 penso nonè l'oggetto di un'evidenza né apodittica né adegua-ta. Non è apodittica perché dicendo Io noi affermia-mo molto di più di quanto non sappiamo. Nonadeguata perché l'Io si presenta come una realtaopaca di cui si dovrebbe sviluppare il contenuto.Certo, esso si manifesta come l'origine della co-scienza, ma proprio questo dovrebbe farci riflettere:per questo, infatti, appare velato, non ben distinto at-traverso la coscienza, come un ciottolo in fondo al-l'acqua - per questo ci inganna subito. Sappiamo in-fatti che niente al di là della coscienza può esserel'origine della coscienza. Inoltre se l'10 fa parte del-la coscienza ci saranno allora due Io: l'Io della co-scienza riflessiva e l'10 della coscienza riflessa. Fink,il discepolo di Husserl, ne conosce perfino un terzo,l'10 della coscienza trascendentale liberatodall'årro)çr'|.4 Da qui il problema dei tre Io, di cuiegli menziona, non senza compiacimento, le difficol-tà. Per noi questo problema è semplicemente insolu-

/(01

4 Sartre si riferisce qui all'articolo di E. FINK, Die phänomenologi-sche Philosophie E. Husserls in der gegenwärtigen Kritik, pubblicato, perla prima volta, nei «Kant-Studien›› XXXVII (1933), pp. 321-383. Questoarticolo discuteva le obiezioni rivolte alla fenomenologia dalla scuola neo-criticista di Rickert (in particolare le tesi di R. Zocher e di F. Kreis).

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bile, perché non è ammissibile che si stabilisca unacomunicazione tra l'Io riflessivo e l'Io riflesso, se essisono degli elementi reali della coscienza, né soprat-tutto che essi si identifichino infine in un Io unico.Al termine di queste analisi mi pare che si pos-

sano fare le seguenti osservazioni:

1) l'Io è un esistente. Ha un tipo di esistenza concre-ta, differente forse da quello delle verità matema-tiche, dei significati 0 degli esseri spazi0-tempo-rali, ma altrettanto reale. Esso si pone come tra-scendente;

2) esso si dà ad un'intuizione di un genere specialeche lo coglie dietro la coscienza riflessa, in unmodo sempre inadeguato;

3) appare solo in occasione di un atto riflessivo. Inquesto caso la struttura complessa della coscien-za è la seguente: c'è un atto iniflesso di iifles-sione senza Io che si dirige su di una coscienzariflessa. Quest'ultima diviene l'oggetto della co-scienza riflettente, senza cessare tuttavia di affer-mare il suo oggetto (una sedia, una verità matema-tica ecc.). Contemporaneamente appare un nuovooggetto, il quale è l'occasione di un'affennazionedella coscienza riflessiva e che, di conseguenza,non è sullo stesso piano della coscienza inifles-sa (perché quest'ultima è un assoluto che non ha

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bisogno della coscienza riflessiva per esistere), néè sullo stesso piano dell'oggetto della coscienzainiflessa (sedia ecc.). Questo oggetto trascenden-te dell'atto riflessivo è l'Io;

4) l'Io trascendente deve essere soggetto alla ridu-zione fenomenologica. Il Cogito afferma troppo.Il contenuto certo dello pseudo «Cogito›› non è«io ho coscienza di questa sedia», ma «c'è co-scienza di questa sedia». Questo contenuto è suf-ficiente per costituire un campo infinito e asso-luto alle ricerche fenomenologiche.

C) Teoria della presenza materiale del Me

Per Kant e per Husserl 1'-Io è una struttura formaledella coscienza. Abbiamo cercato di mostrare che unIo non è mai meramente formale, che è sempre, an-che astrattamente concepito, una contrazione infini-ta del Me materiale. Prima di procedere oltre, dob-biamo però sbarazzarci di una teoria meramente psi-cologica che afferma, per delle ragioni psicologiche,la presenza materiale del Me in ogni nostra coscien-za. È la teoria dei moralisti dell'«amor pr0prio››.Secondo questi, l'amore di sé - e di conseguenza ilMe - sarebbe dissimulato in tutti i sentimenti sottomille diverse forme. In modo generalissimo, il Me,

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in funzione di questo amore che nutre verso sé, de-sidererebbe per se stesso tutti gli oggetti che desi-dera. La struttura essenziale di ciascuno dei miei attisarebbe un richiamo all'io (rappel à moi). Il «ritor-no all'io›› (retour à moi) sarebbe costitutivo di ognicoscienza.

Obiettare ai sostenitori di questa tesi che questoritomo all'io (moi) non è in alcun modo presentealla coscienza - per esempio, quando ho sete, quan-do vedo un bicchiere d'acqua e mi appare desidera-bile - non significa metterli in difficoltà: essi ce loconcederebbero di buon grado. La Rochefoucauld èuno dei primi ad avere fatto uso, senza nominarlo,dell'inconscio: per lui, l'amor-proprio si dissimulasotto le più svariate forme. Bisogna scovarlo primadi afferrarlo. In seguito, si è ammesso, più general-mente, che il Me, se non è presente alla coscienza,è nascosto dietro ad essa ed è il polo di attrazionedi tutte le nostre rappresentazioni e desideri. Il Mecerca dunque di procurarsi l'oggetto per soddisfareil suo desiderio. In altre parole, è il desiderio (o, sesi vuole, il Me desiderante) che è dato come fine el'oggetto desiderato come mezzo.

Orbene, l'interesse di questa tesi ci sembra esse-re quello di mettere in rilievo un errore assai fre-quente tra gli psicologi che consiste nel confonderela struttura essenziale degli atti riflessivi con quella

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degli atti iniflessi. Si ignora che ci sono sempre dueforme di esistenza possibile per una coscienza; eogni volta che le coscienze osservate si offronocome iniflesse, si sovrappone loro una struttura ri-flessiva che si pretende sconsideratamente che restiinconscia.

Ho pietà di Pietro e gli presto soccorso. In quelmomento una sola cosa esiste per la mia coscienza:Pietro-che-deve-essere-soccorso. Questa qualità del«dover-esser-soccorso›› si trova in Pietro. Essa agi-sce su di me come una forza. Aristotele l'aveva det-to: è il desiderabile che muove il desiderante. A que-sto livello il desiderio si dà alla coscienza come cen-trifugo (trascende se stesso, è coscienza tetica del«che-deve-essere›› e coscienza non-tetica di sé) e im-personale (non c'è qualcosa come un Me: io sonodi fronte al dolore di Pietro come sono di fronte alcolore di questo calamaio. C'è un mondo oggettivodi cose e di azioni, fatte o da fare, e le azioni si ap-plicano come delle qualità sulle cose che le richie-dono). Orbene, questo primo momento del deside-rio - anche aimriesso che non sia del tutto sfuggitoai teorici dell'amor-proprio - non è da loro preso inconsiderazione come un momento completo e auto-nomo. Hanno irmrraginato dietro a quello un altrostato che resta nella penombra: ad esempio, io soc-corro Pietro per fare cessare lo spiacevole stato in

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cui mi ha posto la visione delle sue sofferenze. Maquesto stato spiacevole può essere conosciuto cometale e si può tentare di sopprimerlo solamente in se-guito ad un atto di riflessione. Un'afflizione sul pia-no irriflesso, infatti, si trascende nella medesima ma-niera della coscienza irriflessa di pietà. È il cogli-mento intuitivo di una qualità spiacevole di un og-getto. E, nella misura in cui può essere accompa-gnato da un desiderio, desidera non sopprimere sema sopprimere l'oggetto spiacevole. Non serve dun-que a nulla mettere dietro ad una coscienza irrifles-sa di pietà uno stato spiacevole che si porrà poicome causa profonda dell'atto pietoso: se questa co-scienza di afflizione non ritoma su se stessa per por-si da sé come stato sgradevole, noi resteremo inde-finitamente nell'impersonale e nell'iniflesso. Cosìdunque, senza nemmeno rendersene conto, i teoricidell'amor-proprio immaginano che ciò che è iifles-so sia primo, originale e nascosto nell'inconscio. Èquasi inutile rilevare l'assurdità di una simile ipote-si. Anche se l'inconscio esistesse, a chi si farà cre-dere che esso celi delle spontaneità di forma rifles-sa? La definizione del riflesso non consiste forsenell'esser posto da una coscienza? Come ammette-re inoltre che ciò che è riflesso sia primo rispettoall'irriflesso? Si può forse concepire che, in certicasi, una coscienza appaia immediatamente come ri-

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flessa. Perfino allora, però, l'iniflesso ha la prioritàontologica su ciò che è riflesso perché non ha affat-to bisogno di essere riflesso per esistere e perché lariflessione implica l'intervento di una coscienza disecondo grado.

Giungiamo dunque alla seguente conclusione: lacoscienza irriflessa deve essere considerata comeautonoma. È una totalità che non ha affatto bisognodi essere completata e dobbiamo lirnitarci a ricono-scere che la qualità del desiderio irriflesso è quelladi trascendersi cogliendo sull'oggetto la qualità deldesiderabile. È come se noi vivessimo in un mondoin cui gli oggetti, oltre alle loro qualità di calore, diodore, di fomia ecc., avessero anche quelle di ripu-gnanza, di attrazione, di fascino, di utilità ecc. ed ècome se queste qualità fossero delle forze che eser-citassero su di noi certe azioni. Nel caso della ri-flessione, e in quel caso soltanto, l'affettività è po-sta per se stessa come desiderio, timore ecc., soltan-to nel caso della riflessione posso pensare «Io odioPietro››, «Io ho pietà di Paolo ecc.››. Contrariamentea ciò che si è sostenuto, è dunque su questo pianoche si colloca la vita egoista ed è sul piano inifles-so che si colloca la vita impersonale (il che natural-mente non significa che ogni vita riflessiva sia ne-cessariamente egoista né che ogni vita irriflessiva sianecessariamente altruista). La riflessione «inquina»

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il desiderio. Sul piano irriflesso io presto soccorso aPietro perché Pietro ha la qualità del «dover-essere-soccorso». Se però, improvvisamente, il mio stato sitrasforma in stato riflesso, ecco che sto guardando-mi agire nel senso in cui di qualcuno si dice che sisente parlare. Non è più Pietro che mi attira, è lamia coscienza pietosa che mi appare come qualco-sa che deve essere perpetuato. Anche se penso sol-tanto che devo continuare la mia azione perché«questo è bene», il bene qualifica la mia condotta,la mia pietà ecc. La psicologia di La Rouchefoucauldè di nuovo al proprio posto. E tuttavia essa non èvera: non è colpa mia se la mia vita riflessiva in-quina «per essenza» la mia vita spontanea e, d'al-tronde, la vita riflessiva implica in generale la vitaspontanea. Prima d'essere «inquinati», i miei desi-deri sono stati puri; è il punto di vista che ho as-sunto su di loro che li ha inquinati. La psicologia diLa Rouchefoucauld è vera soltanto per i sentimentiparticolari che traggono la loro origine dalla vita ri-flessiva, che si danno ciò in primo luogo come mieisentimenti, invece di trascendersi immediatamenteverso l'oggetto.

Così l'esame meramente psicologico della co-scienza «intramondana» ci conduce alle stesse con-clusioni del nostro studio fenomenologico: il Me nondeve essere cercato negli stati di coscienza né die-

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tro ad essi. Il Me appare soltanto con l'atto riflessi-vo e come correlato noematico di un'intenzione ri-flessiva. Cominciamo a intravedere che l'Io e il Mesono il medesimo. Cercheremo di mostrare che que-sto Ego, di cui l'Io e il Me non sono che due facce,costituisce l'unità ideale (noematica) e indiretta dellaserie infinita delle nostre coscienze riflesse.L'Io è l'Ego come unità delle azioni. Il Me è

l'Ego come unità degli stati e delle qualità. La di-stinzione che si opera fra questi due aspetti di unastessa realtà ci sembra meramente funzionale, pernon dire grarmnaticale.

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II.La costituzione dell'Ego

L'Ego non è in modo immediato unità dellecoscienze riflesse. Esiste una unità immanente diqueste coscienze: il flusso della Coscienza che siauto-costituisce come unità di se stessa* ed unaunità trascendente: gli stati e le azioni. L'Ego èunità degli stati e delle azioni - facoltativamentedelle qualità. È un'unità di unità trascendenti ed ètrascendente esso stesso. È un'unità sintetica chesi costituisce come polo trascendente al modo delpolo-oggetto dell'atteggiamento irriflesso. Questopolo appare solamente nel mondo della riflessio-ne. Esamineremo l'uno dopo l'altro la costituzio-ne degli stati, delle azioni e delle qualità e il ve-nire alla luce del Me come polo di queste trascen-denze.

* Cfr. Zeitbewusstsein, passim.

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A) Gli stati come unità trascendenti delle coscienze

Lo stato appare alla coscienza riflessiva. Si dà adessa ed è l'oggetto di una intuizione concreta. Se ioodio Pietro, il mio odio per Pietro è uno stato cheposso cogliere attraverso la riflessione. Questo sta-to è presente allo sguardo della coscienza riflessiva,è reale. Dobbiamo da ciò concludere che esso siaimmanente e certo? Nient'affatto. Non dobbiamofare della riflessione un potere misterioso e infalli-bile, né credere che tutto ciò che la riflessione rag-giunge sia indubitabile perché è raggiunto grazie allariflessione. La riflessione ha dei limiti di diritto e difatto. È una coscienza che pone una coscienza. Tuttoquello che essa afferma su questa coscienza è certoed adeguato. Se però degli altri oggetti appaiono adessa attraverso questa coscienza, questi oggetti nonhanno alcuna ragione di condividere i caratteri del-la coscienza. Prendiamo in esame una esperienza ri-flessiva di odio. Io vedo Pietro, provo come un sen-timento profondo e agitato di repulsione e di colle-ra alla sua vista (sono già sul piano riflessivo): ilsentimento agitato è coscienza. Non posso sbagliar-mi quando dico: provo in questo momento una vio-lenta repulsione per Pietro. Ma questa esperienza direpulsione è l'odio? Evidentemente no. Essa peral-tro non si dà come tale. Infatti, io odio Pietro da

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molto tempo e penso che lo odierò sempre. Una co-scienza istantanea di repulsione non potrebbe dun-que essere il rnio odio. Se anzi la limitassi a ciò cheessa è, una istantaneità, non potrei nemmeno parla-re di odio. Direi: <<Ho repulsione per Pietro in que-sto momento» ed in tal modo non mi impegnerei peril futuro. Ma proprio per questo rifiuto di impegna-re il futuro, smetterei di odiare.

Orbene, il mio odio mi appare contemporanea-mente alla mia esperienza di repulsione. Esso appa-re attraverso questa esperienza. Si dà, appunto,come qualcosa che non si limita a questa esperien-za. Esso si dà in eattraverso ogni movimento di di-sgusto, di repulsione e di collera, ma al tempo stes-so non è nessuno di essi, sfugge a tutti affermandola sua permanenza. Esso afferma che appariva giàquando ieri con tanto furore ho pensato a Pietro eche apparirà domani. Esso, peraltro, opera da sé unadistinzione tra essere e apparire poiché si dà comequalcosa che continua ad essere anche quando iosono immerso in altre occupazioni e nessuna co-scienza lo manifesta. Ce ne è a sufficienza, sembra,per poter affermare che l'odio non è coscienza. Essooltrepassa l'istantaneità della coscienza e non si pie-ga alla legge assoluta della coscienza per la qualenon c'è distinzione tra l'apparenza e l'essere. L'odioè dunque un oggetto trascendente. Ogni Erlebnis lo

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manifesta interamente ma, nello stesso tempo, non èche un profilo, una proiezione (una Abschattung).L'odio è un credito per una infinità di coscienze col-leriche o disgustate, nel passato e nel futuro. Èl'unità trascendente di questa infinità di coscienze.Dire perciò «io odio›› o «io amo›› in occasione diuna coscienza singolare di attrazione o di repul-sione significa operare un passaggio all'infinito si-mile per certi versi a quello che operiamo quandopercepiamo un calamaio o il blu della carta assor-bente.

Non c'è bisogno di altro perché i diritti dellariflessione siano di molto ridimensionati: è certo chePietro mi ripugna, ma è e resterà sempre dubbio cheio lo odi. Questa affermazione oltrepassa infatti digran lunga il potere della riflessione. Non se ne devenaturalmente trarre la conclusione che l'odio sia unasemplice ipotesi, un concetto vuoto: è un oggetto af-fatto reale, che io colgo attraverso 1'Erlebnis, maquesto oggetto è fuori dalla mia coscienza e la na-tura stessa della sua esistenza implica la sua «dubi-tabilità››. Anche la riflessione ha un dominio certoed un dominio incerto, una sfera di evidenze ade-guate ed una sfera di evidenze inadeguate. La iifles-sione pura (che non è tuttavia necessariamente la ri-flessione fenomenologica) si attiene al dato senzasollevare delle pretese sul futuro. È ciò che si può

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constatare quando qualcuno, dopo aver detto nellacollera: «Ti detesto››, toma in sé e dice: «Non è vero,non ti detesto, l'ho detto nella collera». Si scorgo-no qui due riflessioni: l'una, impura e complice,che opera un passaggio all'infinito sul campo e checostituisce precipitosamente l'odio attraversol'Erlebnis come il suo oggetto trascendente, - l'al-tra, pura, meramente descrittiva, che rende menosevera la coscienza irriflessa restituendole la suaistantaneità. Queste due riflessioni hanno colto glistessi dati certi, ma la prima ha affermato più diquanto non sapesse e si è diretta attraverso la co-scienza riflessa su di un oggetto situato fuori del-la coscienza.

Dal momento in cui si lascia il dominio dellariflessione pura 0 impura e si medita sui suoi risul-tati, si è tentati di confondere il senso trascendentedell'Erlebnis con la sua sfumatura immanente.Questa confusione porta lo psicologo a commetteredue specie di errori: o, per il fatto che spesso mi in-ganno sui miei sentimenti, per il fatto, ad esempio,che mi capita di credere di amare quando inveceodio, concludo che l'introspezione è ingannevole; inquesto caso, separo definitivamente il mio stato dal-le sue apparizioni; reputo che occorra un'interpreta-zione simbolica di tutte le apparizioni (consideratecome simboli) per determinare il sentimento e sup-

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pongo un rapporto di causalità fra il sentimento ele sue apparizioni; ecco l'inconscio che ricompare,- oppure, siccome so la mia introspezione semprecorretta, siccome non posso dubitare della mia co-scienza di repulsione fintanto che l'ho, mi credo au-torizzato a trasferire questa certezza al sentimento,concludo che il mio odio può essere rinchiuso nel-l'irrnrianenza e nella adeguazione di una coscienzaistantanea.

L'odio è uno stato. E con questo termine ho ten-tato di esprimere il carattere di passività che è co-stitutivo di esso. Si dirà forse che l'odio è una for-za, un impulso irresistibile ecc. Ma anche la corren-te elettrica o la cascata d'acqua sono forze temibi-li: questo toglie forse qualcosa alla passività e al-l'inerzia della loro natura? Forse che non ricevonola loro energia dal di fuori? La passività di una cosaspazio-temporale si costituisce a partire dalla sua re-latività esistenziale. Un'esistenza relativa non puòche essere passiva dal momento che la minima at-tività la libererebbe dal relativo e la costituirebbe inassoluto. Allo stesso modo l'odio, esistenza relativaalla coscienza riflessiva, è inerte. E naturalmente,parlando dell'inerzia dell'odio, vogliamo soltantodire che esso appare così alla coscienza. Non si diceinfatti: «Il mio odio fu risvegliato...», «Il suo odioera combattuto dal violento desiderio di... ecc.››? Le

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lotte dell'odio contro la morale, la censura ecc., nonsono forse raffigurate come conflitti di forze fisicheal punto che Balzac e la maggior parte dei roman-zieri (talvolta lo stesso Proust) applicano agli statiil principio dell'indipendenza delle forze? Tutta lapsicologia degli stati (e la psicologia non fenome-nologica in generale) è una psicologia dell'inerte.

Lo stato è dato in un certo senso come intermedia-rio fra il corpo (la «cosa» immediata) e l'Erlebnis.Tuttavia esso non è dato come agente nella stessamaniera dal lato del corpo e dal lato della coscien-za. Dal lato del corpo, la sua azione è schiettamen-te causale. È causa della mia mimica, dei miei ge-sti: «Perché Lei è stato così maleducato con Pietro?»«Perché lo detesto››. Ma le cose non potrebbero an-dare allo stesso modo (salvo nel caso delle teoriecostruite a priori e con dei concetti vuoti come nelfreudismo) dal lato della coscienza. In nessun caso,infatti, la riflessione può ingannarsi sulla spontanei-tà 'della coscienza riflessa: è il dominio della certez-za riflessiva. Così la relazione tra l'odio e la co-scienza istantanea di disgusto è costruita in modo dacombinare nello stesso tempo le esigenze dell'odio(essere primo, essere origine) e i dati certi della ri-flessione (spontaneità): la coscienza di disgusto ap-pare alla riflessione come una emanazione sponta-nea dell'odio. Notiamo qui, per la prima volta, que-

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sta nozione di emanazione, che è così importantequando si tratta di collegare gli stati psichici inertialla spontaneità della coscienza. In un certo sensola repulsione si dà come qualcosa che si produce inoccasione dell'odio e a carico dell'odio. L'odio ap-pare attraverso essa come ciò da cui essa promana.Concediamo di buon grado che il rapporto dell'odiocon l'Erlebnis particolare di repulsione non è logico.È senza dubbio un legame magico. Ma noi abbiamovoluto soltanto descrivere e, del resto, si vedrà subi-to che è in termini esclusivamente magici che si deveparlare dei rapporti del Me con la coscienza.

B) Costituzione delle azioni

Non tenteremo di stabilire una distinzione tra la co-scienza attiva e la coscienza semplicemente sponta-nea. Questo ci sembra d'altronde uno dei più diffici-li problemi della fenomenologia. Vorremmo sempli-cemente fare notare che l'azione concertata è in pri-mo luogo (e di qualunque genere sia la coscienza at-tiva) un trascendente. Questo è evidente per delle azio-ni come «suonare il pianoforte», «guidare una auto-mobile», «scrivere», perché queste azioni sono «pre-se›› nel «mondo delle cose››. Ma le azioni puramentepsichiche come dubitare, ragionare, meditare, fare

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un'ipotesi, devono anch'esse essere concepite comedelle trascendenze. Ciò che qui inganna è che l'azio-ne non è soltanto l'unità noematica di una corrente dicoscienza: è anche una realizzazione concreta. Nonbisogna però scordare che l'azione richiede tempo percompiersi. Essa ha delle articolazioni, dei momenti. Aquesti momenti conispondono delle coscienze concre-te attive e la riflessione che si dirige sulle coscienzeconcrete coglie intuitivamente l'azione totale comeunità trascendente delle coscienze attive. In questosenso si può dire che il dubbio spontaneo che mi as-sale quando intravedo un oggetto nella penombra èuna coscienza, ma il dubbio metodico di Descartesè un'azione, cioè un oggetto trascendente della co-scienza riflessiva. Si comprende a questo punto ilpericolo: quando Descartes dice «dubito quindisono››, si tratta del dubbio spontaneo che la coscien-za riflessiva coglie nella sua istantaneità -, oppuresi tratta appunto della impresa di dubitare? Questaambiguità, lo abbiamo visto, può essere l'origine digravi errori.

C) Le qualità come unità facoltative degli stati

Come vedremo, l'Ego è direttamente l'unità tra-scendente degli stati e delle azioni. Può tuttavia esi-

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stere un intermediario tra questi e quello: è la qua-lità. Quando abbiamo provato diverse volte odionei confronti di differenti persone o tenaci ranco-ri o lunghe collere, unifichiamo queste diverse ma-nifestazioni intenzionando una disposizione psichi-ca a produrle. Questa disposizione psichica (iosono particolarmente acrimonioso, sono capace diodiare violentemente, sono collerico) è natural-mente di più e altro di un semplice mezzo. È unoggetto trascendente. Essa rappresenta il sostratodegli stati così come gli stati rappresentano il so-strato degli Erlebnisse. Il suo rapporto con i sen-timenti non è tuttavia un rapporto di emanazione.L'emanazione unisce solo le coscienze alle passi-vità psichiche. Il rapporto della qualità allo stato(0 all'azione) è un rapporto di attualizzazione. Laqualità è data come una potenzialità, una virtuali-tà che sotto l'influenza di fattori diversi, può pas-sare all'attualità. La sua attualità è appunto lo sta-to (0 l'azione). Si comprende allora la differenzaessenziale fra la qualità e lo stato. Lo stato è unaunità noematica di spontaneità, la qualitàunità di passività obiettive. Nell'assenza di ognicoscienza di odio, l'odio si dà come esistente inatto. Al contrario, nell'assenza di ogni coscienzadi rancore, la qualità corrispondente resta una po-tenzialità. La potenzialità non è la semplice pos-

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sibilità: essa si presenta come qualcosa che esisterealmente, ma il cui modo di esistenza è di esse-re in potenza. Di questo tipo sono naturalmente idifetti, le virtù, i gusti, i talenti, le tendenze, gliistinti ecc. Queste unificazioni sono sempre possi-bili. L'influenza di idee preconcette e dei fattorisociali è qui preponderante. Per contro, esse nonsono mai indispensabili, perché gli stati e le azio-ni possono trovare direttamente nell'Ego l'unitàche esigono.

D) La costituzione dell 'Ego come polo delle azioni,degli stati e delle qualità

Abbiamo imparato a distinguere lo «psichico›› dal-la coscienza. Lo psichico è l'oggetto trascendentedella coscienza riflessiva,* esso è anche l'oggettodella scienza chiamata psicologia. L'Ego appare alla

* Può però essere colto e raggiunto anche attraverso la percezione deicomportamenti. Contiamo di spiegarci altrove sulla identità di fondo ditutti i metodi psicologici.1

1 Sartre rinvia qui al suo trattato sistematico di psicologia fenomeno-logica La Psyche', lungamente progettato, ma che non vide mai la luce.Di questo progetto, resta il saggio pubblicato, nel 1939, con il titoloEsquisse d'une théorie phénoménologique des emotions (trad. it. di N.Pirillo, Bompiani, Milano 2004).

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riflessione come un oggetto trascendente realizzan-te la sintesi permanente dello psichico. L'Ego è dal-la parte dello psichico. Osserveremo a questo pun-to che l'Ego che consideriamo è psichico e non psi-co-fisico. Non è per via di astrazione che separia-mo questi due aspetti dell'Ego. Il Me psico-fisico èun arricchimento sintetico dell'Ego psichico, chepuò esistere molto bene (e senza riduzione di alcungenere) indipendentemente. È certo, ad esempio, chequando si dice: «Io sono un indeciso››, non si ha dimira direttamente il Me psico-fisico.

Sarebbe seducente costituire l'Ego in «polo-soggetto›› come quel «polo-oggetto›› che Husserlsitua al centro del nocciolo noematico. Questopolo-oggetto è una X che sostiene le determina-zioni.

«Ma i predicati sono predicati di “qualcosa”, edanche questo “qualcosa” appartiene, inseparabilmen-te, al nocciolo in questione: esso è il punto centra-le di unità, di cui abbiamo parlato sopra. È il pun-to di annodamento, o il “portatore” dei predicati, manon può dirsi affatto la loro unità nel senso in cuisarebbe da dire unità un qualunque complesso o unqualunque nesso dei predicati. Sebbene non ne siaseparabile né collocabile accanto ad essi, esso va te-nuto necessariamente distinto dai predicati; cosìcome reciprocamente questi stessi sono i suoi pre-

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dicati: impensabili senza di esso e tuttavia distingui-bili da esso.»*

Con ciò Husserl intende sottolineare che egli con-sidera le cose come delle sintesi analizzabili alme-no in via ideale. Questo albero, questo tavolo sonocertamente dei complessi sintetici e ogni qualità èlegata a tutte le altre. Ma è ad esse legata in quan-to appartiene allo stesso oggetto X. Logicamenteprimi sono i rapporti unilaterali secondo i quali ogniqualità appartiene (direttamente o indirettamente) aquesto X, come un predicato a un soggetto. Ne con-segue che una analisi è sempre possibile. Questaconcezione è molto discutibile. Non è tuttavia que-sto il luogo per esaminarla. Ciò che per noi ha im-portanza è che una totalità sintetica, indissolubile, eche si sostenesse da sola, non avrebbe alcun biso-gno di un supporto X, a condizione naturalmente cheessa sia realmente e concretamente inanalizzabile. Èinutile, ad esempio, se si considera una melodia,supporre un X che servirebbe da sostegno alle dif-ferenti note. L'unità proviene in questo caso dall'as-soluta indissolubilità degli elementi i quali non pos-sono essere concepiti come separati, se non in via

* Idee, 1, § 131, pp. 292-293 (trad. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino1965).

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astrattiva. Il soggetto del predicato sarà qui la tota-lità concreta, e il predicato sarà una qualità astrat-tamente separata dalla totalità e che assume tutto ilsuo significato solo se la si ricollega alla totalità.*

Per queste stesse ragioni ci rifiuteremo di vede-re nell'Ego una specie di polo X che sarebbe il sup-porto dei fenomeni psichici. Un tale X sarebbe perdefinizione indifferente alle qualità psichiche di cuisarebbe il supporto. L'Ego, come vedremo, non èperò mai indifferente ai suoi stati, è «compromes-so›› da loro. Orbene, un supporto può essere cosìcompromesso da ciò che sostiene solo nel caso incui sia una totalità concreta che sostiene e contienele proprie qualità. L'Ego non è niente al di fuori del-la totalità concreta degli stati e delle azioni di cui èsupporto. Indubbiamente è trascendente a tutti glistati che unifica, non però come un X astratto il cuicompito è soltanto quello di unificare: è piuttosto latotalità infinita degli stati e delle azioni che non silascia mai ridurre ad uno stato e ad una azione. Senoi cercassimo un analogo per la coscienza irrifles-sa di ciò che è l'Ego per la coscienza di secondogrado, dovremmo piuttosto pensare al Mondo, con-

* Husserl conosce del resto molto bene questo tipo di totalità sinteti-ca, alla quale ha dedicato uno studio notevole: Ricerche logiche, t. II, TerzaRicerca (trad. it. di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 1968, pp. 19 sg.).

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cepito come la totalità sintetica infinita di tutte lecose. Capita anche, infatti, che il Mondo al di là delnostro ambiente immediato sia da noi colto comeuna vasta esistenza concreta. In questo caso le coseche ci circondano appaiono soltanto come la puntaestrema di questo Mondo che le oltrepassa e le in-globa. L'Ego sta agli oggetti psichici come il Mondoalle cose. L'apparizione del Mondo sullo sfondo del-le cose è tuttavia abbastanza rara: occorrono dellecircostanze particolari (assai ben descritte daHeidegger in Essere e Tempo) perché esso si «di-sveli››. L'Ego, invece, appare sempre all'orizzontedegli stati. Ogni stato, ogni azione si dà infatti cometale da non poter essere, senza astrazione, separatadall'Ego. E se il giudizio separa l'Io dal suo stato(come nella frase: «Io sono innamorato››), questonon può avvenire che per collegarli subito dopo: ilmovimento di separazione condurrebbe ad un vuo-to e falso significato se esso stesso non si desseper incompleto e se non si completasse con un mo-vimento di sintesi.

Questa totalità trascendente condivide il caratte-re incerto di ogni trascendenza; tutto ciò che le no-stre intuizioni ci rivelano dell'Ego può cioè esseresempre contraddetto da intuizioni ulteriori e si ma-nifesta come tale. Ad esempio, io posso avere la cer-tezza di essere incollerito, geloso ecc., e cionono-

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stante posso ingannarmi. In altre parole, posso in-gannarmi pensando di avere un tale Me. L'errore nonsi commette d'altronde solo al livello del giudizioma già al livello dell'evidenza antepredicativa.Questo carattere incerto del mio Ego - 0 anche l'er-rore intuitivo che conrrnetto - non significa che ab-bia un vero Me che ignoro, ma soltanto che l'Egointenzionato ha in se stesso il carattere dell'incertez-za (in alcuni casi della falsità). Non è esclusa l'ipo-tesi metafisica secondo la quale il mio Ego si com-porrebbe non di elementi realmente esistenti (da die-ci anni o da un secondo), ma sarebbe esclusivamen-te costituito di falsi ricordi. Fino a questo punto siestende il potere del Genio Maligno.

Essere un oggetto incerto è caratteristico dellanatura dell'Ego, non ne consegue però che esso siaanche ipotetico. Infatti l'Ego è l'unificazione tra-scendente spontanea dei nostri stati e delle nostreazioni. A questo titolo non è una ipotesi. Io non midico: «Forse ho un Ego›› come posso dirmi: «Forseodio Pietro››. Non cerco qui un senso unificatore deimiei stati. Quando unifico le mie coscienze sotto larubrica «Odio››, aggiungo loro un certo senso, lequalifico. Ma quando incorporo i miei stati alla to-talità concreta Me, non aggiungo loro nulla. Infattiil rapporto dell'Ego con le qualità, con gli stati, conle azioiri, non è un rapporto di emanazione (come il

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rapporto della coscienza col sentimento), né un rap-porto di attualizzazione (come il rapporto dellaqualità con lo stato). È un rapporto di produzionepoetica (nel senso del troteìv), 0, se si preferisce,di creazione.

Ciascuno, rifacendosi ai dati della propriaintuizione, può constatare che l'Ego è dato comeproduttore dei propri stati. Noi cerchiamo qui di de-scrivere questo Ego trascendente così come si rive-la all'intuizione. Partiamo dunque da questo fatto in-contestabile: ogni nuovo stato è unito direttamente(0 indirettamente attraverso la qualità) all'Ego comealla sua origine. Questo genere di creazione è pro-prio una creazione ex nihilo, nel senso che lo statonon è dato come qualcosa di già esistente nel Me.Anche se l'odio si dà come attualizzazione di unacerta potenza di rancore o di odio, esso resta tutta-via qualcosa di nuovo in rapporto alla potenza cheattualizza. L'atto unificatore della riflessione colle-ga perciò ogni nuovo stato in un modo particolaris-simo alla totalità concreta Me. Non si limita a co-glierlo come qualcosa che si congiunge a questa to-talità, che si fonde con quella: la riflessione inten-ziona un rapporto che percorre il tempo alla rove-scia e che dà il Me come l'origine dello stato. E lostesso vale naturalmente per le azioni in rapportoall'Io. Quanto alle qualità, sebbene qualifichino il

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Me, esse non si danno come qualcosa grazie al qua-le quello esisterebbe (come è il caso, ad esempio, diun aggregato: ogni pietra, ogni mattone esistono perse stessi e il loro aggregato esiste grazie a ciascunodi essi). Al contrario l'Ego sostiene le sue qualitàattraverso una vera e propria creazione continua.Eppure noi non cogliamo l'Ego come qualcosa che,in ultima analisi, è una pura origine creatrice, al diqua delle qualità. Non ci sembra che potremmo tro-vare un polo scheletrico se togliessimo una dopol'altra tutte le qualità. Se l'Ego appare come al dilà di ogni qualità e perfino di tutte, è perché è opa-co come un oggetto; dovremmo procedere adun'opera di denudazione infinita per togliere tutte lesue potenze. E, al termine di questa denudazione,l'Ego si sarebbe dileguato, non ne resterebbe nulla.L'Ego è creatore dei suoi stati e sostiene le sue qua-lità nell'esistenza attraverso una specie di spontanei-tà conservatrice. Non bisognerebbe confondere que-sta spontaneità creatrice o conservatrice con laResponsabilità, che è un caso speciale di produzio-ne creatrice a partire dall'Ego. Sarebbe interessantestudiare i diversi modi in cui gli stati procedonodall'Ego. Si tratta, solitamente, di una derivazionemagica. In alcune occasioni essa può essere ra-zionale (nel caso della volontà riflessa, ad esempio),sempre, però, con un fondo di inintelligibilità di cui

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fomiremo subito la ragione. Con le differenti coscien-ze (prelogiche, infantili, schizofreniche, logiche ecc.)la sfumatura della creazione varia, ma rimane sem-pre una creazione poetica. Un caso particolarissimo edi notevole interesse è quello della psicosi di influen-za. Che cosa vuol dire il malato con queste parole:«Mi si fa avere dei pensieri cattivi››? Proveremo a stu-diarlo in un'altra opera? Notiamo qui, però, che laspontaneità dell'Ego non è negata: essa è in qualchemodo stregata (envoütée), ma rimane.

Questa spontaneità non deve però essere confusacon quella della coscienza. L'Ego, essendo oggetto,è infatti passivo. Si tratta perciò di una pseudo-spontaneità che troverebbe dei simboli ad essa ade-guati nello zampillare di una fonte, di un geyser ecc.Il che è come dire che si tratta solo di un'apparen-za. L'autentica spontaneità deve essere perfettamen-te chiara: è ciò che essa produce e non può esserealtro. Legata sinteticamente ad altro che a se stessa,essa conterrebbe infatti una qualche oscurità e, ad-dirittura, una certa passività nel trasfomiarsi.Bisognerebbe infatti anrrnettere un passaggio da sestesso ad altro, cosa che implicherebbe lo sfuggiredella spontaneità a se stessa. La spontaneità dell'Ego

2 Sartre rinvia ancora a La Psyche'.

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sfugge a se stessa poiché l'odio dell'Ego, quan-tunque non possa esistere isolatamente, possiedemalgrado tutto una certa indipendenza in rapportoall'Ego. Di modo che l'Ego è sempre sorpassato daciò che produce, per quanto, da un altro punto di vi-sta, sia ciò che produce. Di qui quegli stupori damanuale: <<Come ho potuto, io, fare questo›› («Moi,j 'ai pu faire ça./››), «Come posso, io, odiare mio pa-dre» («Moi, je puis hair mon père››) ecc. ecc. Inquesto caso, evidentemente, l'insieme concreto delMe intuito fino a quel momento appesantisce que-sto Io produttore e lo trattiene un po' indietro rispet-to a ciò che esso ha prodotto. Il legame dell'Egocon i suoi stati resta dunque una spontaneità inin-telligibile. È questa spontaneità che Bergson ha de-scritto nel Saggio sui dati immediati della coscienzae che confonde con la libertà, senza rendersi contoche descrive un oggetto, e non una coscienza, e cheil legame che pone è perfettamente irrazionale perchéil produttore è passivo rispetto alla cosa creata.Questo legame, per quanto irrazionale, è nondimenoquello che constatiamo nella intuizione dell'Ego. Enoi ne affeniamo il senso: l'Ego è un oggetto nonsolo concepito, ma anche costituito dalla scienza ri-flessiva. È un centro virtuale di unità, e la coscien-za lo costituisce in senso inverso a quello seguitodalla produzione reale: prime realmente sono le co-

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scienze attraverso le quali si costituiscono gli stati,poi, attraverso questi, l'Ego. Siccome però l'ordineè rovesciato da una coscienza che s'imprigiona nelMondo per sfuggire se stessa, le coscienze sono datecome derivanti dagli stati e gli stati come prodottidall'Ego. Ne consegue che la coscienza proietta lapropria spontaneità nell'oggetto per conferirgli il po-tere creatore che gli è assolutamente necessario.Questa spontaneità rappresentata e ipostatizzata inun oggetto diviene però una spontaneità bastarda edegradata che conserva magicamente la sua poten-za creatrice, divenendo al tempo stesso passiva. Daciò l'irrazionalità profonda della nozione di Ego.Conosciamo altri aspetti degradati della spontaneitàcosciente. Ne citerò uno solo: una mimica espressi-va e sottile può comunicarci l'Erlebnis del nostrointerlocutore con tutto il suo senso, tutte le sue sfu-mature, tutta la sua freschezza. Ma ce la comuni-ca degradata, vale a dire passiva. Siamo così cir-condati da oggetti magici che conservano come unricordo della spontaneità della coscienza, essendoal tempo stesso degli oggetti del mondo. Ecco per-ché l'uomo è sempre uno stregone per l'uomo.Infatti questo legame poetico di due passività di cuil'una crea l'altra spontaneamente è la risorsa dellastregoneria, è il senso profondo della «partecipa-zione››. Ecco perché anche noi siamo degli strego-

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ni per noi stessi ogni volta che consideriamo il no-stro Me.In virtù di questa passività l'Ego è suscettibile di

subire aflezioni. Niente può agire sulla coscienzaperché essa è causa di sé. L'Ego che produce, inve-ce, subisce il colpo di rimbalzo da ciò che produce.È «compromesso›› da ciò che produce. C'è quiun'inversione del rapporto: l'azione o lo stato si ro-vescia sull'Ego per qualificarlo. Questo ci riportaancora alla relazione di partecipazione. Ogni nuovostato prodotto dall'Ego colora e dà una sfumaturaall'Ego nel momento in cui l'Ego lo produce. L'Egoè in qualche modo stregato da questa azione, ne par-tecipa. Non è il crimine commesso da Raskolnikoffche s'incorpora all'Ego di questi. O piuttosto, peressere esatti, è il crimine ma sotto una fomia con-densata, sotto la fomia di un livido (meurtissure).Così tutto ciò che l'Ego produce lo colpisce, lo af-fètta; bisogna aggiungere: e soltanto ciò che essoproduce. Si potrebbe obiettare che il Me può esse-re trasformato dagli avvenimenti esterioii (rovina,lutto, delusione, cambiamento di status ecc.), ma so-lamente in quanto questi sono per lui l'occasione distati e di azioni. È come se la sua fantomatica spon-taneità garantisse l'Ego da ogni contatto diretto conl'estemo, come se esso potesse comunicare con ilMondo soltanto attraverso l'intermediario degli sta-

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ti e delle azioni. Si comprende dunque la ragione diquesto isolamento: è, molto semplicemente, perchél'Ego è un oggetto che appare soltanto alla rifles-sione e che perciò è radicalmente separato dalMondo. Non è sul medesimo piano.

Siccome l'Ego è una sintesi irrazionale di attivi-tà e di passività, esso è sintesi di interiorità e ditrascendenza. In un certo senso, è più «interiore››alla coscienza degli stati. È, più esattamente, l'inte-riorità della coscienza riflessa, contemplata dalla co-scienza riflessiva. È però facile scorgere che la ri-flessione, contemplando l'interiorità, ne fa un ogget-to posto davanti ad essa. Cosa intendiamo infatti perinteriorità? Semplicemente questo, che per la co-scienza essere e conoscersi sono una sola e mede-sima cosa. Cosa che può esprimersi in diverse ma-niere: posso dire, ad esempio, che per la coscienzal'apparenza è l'assoluto in quanto essa è apparenzaoppure che la coscienza è un essere la cui essenzaimplica l'esistenza. Queste differenti fomrule ci per-mettono di concludere che l'interiorità si vive (che«si esiste interiormente»), ma che non la si contem-pla; l'interiorità, infatti, è al di là della contempla-zione in quanto sua condizione. A nulla servirebbeobiettare che la riflessione pone la coscienza rifles-sa e, con ciò, la sua interiorità. Il caso è particola-re: come benissimo ha mostrato Husserl, riflessione

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e riflesso sono il medesimo e l'interiorità dell'unasi fonde con quella dell'altro. Porre però davanti asé l'interiorità significa necessariamente appesantir-la in oggetto. È come se questa si richiudesse in sestessa e non ci offrisse che le sue apparenze este-rioii, come se occorresse <<girarle attomo›› per com-prenderla. Ed è appunto in questa guisa che l'Egosi consegna alla riflessione: come una interioritàchiusa in se stessa. È per lei che è interiore, non perla coscienza. Naturalmente, si tratta ancora di uncomplesso contraddittorio: una interiorità assolutanon ha infatti mai un «fuori››. Essa può essere con-cepita soltanto attraverso se stessa ed è per questoche non possiamo cogliere le coscienze dell'altro(esclusivamente per questa ragione e non perché icorpi ci separano). Di fatto questa interiorità degra-data e irrazionale si lascia analizzare in due partico-larissime strutture: l'intimità e l'indistinzione. Inrapporto alla coscienza l'Ego si dà come intimo. Ècome se l'Ego fosse coscienza con questa sola edessenziale differenza che esso è opaco per la co-scienza. E questa opacità è colta come indistinzio-ne. L'indistinzione, di cui in forme differenti si falargo uso in filosofia, è l'interiorità vista dal di fuo-ri o, se si preferisce, la proiezione degradata dell'in-teriorità. E questa indistinzione che, ad esempio, siritroverebbe nella famosa «molteplicità di interpene-

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trazione›› di Bergson. È ancora questa indistinzione,anteriore alle specificazioni della natura naturata,che si ritrova nel Dio di numerose mistiche. La sipuò comprendere sia come una primitiva indifferen-ziazione di tutte le qualità, sia come una forma puradell'essere, anteriore ad ogni qualificazione. Questedue forme di indistinzione appartengono all'Ego, aseconda della maniera in cui lo si considera.Nell'attesa, per esempio - (0 quando Marcel Arlandspiega che occorre un evento straordinario perché siriveli il Me autentico)3 - l'Ego si manifesta comeuna potenza nuda che si preciserà e si determineràa contatto con gli eventi.* Dopo l'azione, invece,sembra che l'Ego riassorba l'atto compiuto in unamolteplicità di interpenetrazione. In entrambi i casisi tratta di totalità concreta, ma la sintesi totalizzan-te è operata secondo intenzioni differenti. Si po-trebbe forse arrivare a dire che l'Ego, rispetto al

3 Marcel Arland, scrittore, critico letterario e saggista. Fondatore conR. Crevel e R. Vitrac della rivista dadaista «Aventure›› e, più tardi, di«Dés››. Dal 1922 collaboratore regolare della «Nouvelle RevueFrançaise››. È forse ad un articolo pubblicato proprio in quella rivista,Sur un nouveau Mal du Siêcle (125, 1° febbraio 1924), che, secondoSylvie Le Bon, si riferirebbe qui Sartre.

* Come nel caso in cui chi è preso da una forte passione, volendofar capire che non sa fino a dove la sua passione lo trascinerà, dice: «Ioho paura di me››.

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passato, è molteplicità di interpenetrazione e, rispet-to al futuro, potenza nuda. Si deve però qui diffida-re di una eccessiva schematizzazione.

Come tale il Me ci resta ignoto. E questo puòspiegarsi facilmente: esso si dà come un oggetto. Ilsolo metodo per conoscerlo è perciò l'osservazione,l'approssimazione, l'attesa e l'esperienza. Ma taliprocedimenti, perfettamente adeguati ad ogni realtàtrascendente non-intima, in questo caso non funzio-nano, a causa dell'intimità stessa del Me. Esso ètroppo presente perché si possa osservarlo da unpunto di vista veramente esteriore. Se ce ne si di-stanzia per procurarsi una prospettiva, ci accompa-gna in questo passo indietro. È infinitamente vicinoed io non posso girargli attomo. Sono pigro 0 labo-rioso? Potrò forse stabilirlo rivolgendomi a chi miconosce e domandando la loro opinione. Oppureposso anche collezionare i fatti che mi concemonoe tentare di interpretarli obiettivamente come se sitrattasse di un altro. Sarebbe però inutile indirizzar-mi direttamente al Me e tentare di approfittare del-la sua intimità per conoscerlo, giacché è proprio que-sta che ci sbarra la strada. «Conoscersi bene» è per-ciò fatalmente assumere su di sé il punto di vistadell'altro, vale a dire un punto di vista inevitabil-mente falso. E, ne converranno tutti coloro che han-no tentato di conoscersi, questo tentativo di intro-

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spezione si presenta, fin dall'inizio, come uno sfor-zo per ricostituire con delle parti staccate, con deiframmenti isolati, ciò che è dato originariamente d 'unsol colpo, di getto. L'intuizione dell'Ego è quindi unmiraggio sempre deludente, perché nello stesso tem-po, rivela tutto e non rivela nulla. D'altronde nonpotrebbe essere diversamente poiché l'Ego non è latotalità reale delle coscienze (questa totalità sarebbecontraddittoria come ogni infinito in atto), ma l'uni-tà ideale di tutti gli stati e di tutte le azioni. In quan-to ideale, questa unità può ovviamente abbracciareuna infinità di stati. E chiaro, però, che ciò che èconsegnato all'intuizione concreta e piena è soltan-to questa unità in quanto si incorpora nello stato pre-sente. Muovendo da questo nocciolo concreto unaquantità più o meno grande di intenzioni vuote (didiritto una infinità) si dirigono verso il passato e ver-so il futuro e intenzionano gli stati e le azioni chenon sono date attualmente. Chi ha una qualche co-noscenza della fenomenologia comprenderà agevol-mente come l'Ego sia nello stesso tempo una unitàideali di stati per la maggior parte assenti ed una to-talità concreta che si dà nella sua interezza all'intui-zione: questo significa semplicemente che l'Ego èuna unità noematica e non noetica. Un albero o unasedia non esistono in modo diverso. Naturalmentele intenzioni vuote possono sempre essere riempite

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e un qualsiasi stato, una qualsiasi azione può sem-pre riapparire alla coscienza come qualcosa che è oè stato prodotto dall'Ego.

Per concludere, ciò che impedisce radicalmentedi acquisire reali conoscenze sull'Ego, è il modo af-fatto singolare in cui esso si dà alla coscienza rifles-siva. L'Ego appare infatti solo quando non lo siguarda. Bisogna che lo sguardo riflessivo si fissisull'Erlebnis, come emanazione dello stato. Allora,dietro allo stato, all'orizzonte appare l'Ego. Esso èdunque sempre visto soltanto «con la coda dell'oc-chio››. Non appena volgo il mio sguardo verso di luie voglio raggiungerlo senza passare attraversol'Erlebnis e lo stato, svanisce. Cercando di coglierel'Ego in se stesso come oggetto diretto della mia co-scienza, ricado infatti sul piano irriflesso e l'Egosparisce con l'atto riflessivo. Da qui deriva quellaimpressione di fastidiosa incertezza, che molti filo-sofi traducono mettendo l'Io al di qua dello stato dicoscienza e affermando che la coscienza deve vol-gere il proprio sguardo su se stessa per percepirel'Io che è dietro di essa. Non per questo, ma pernatura l'Ego è inafferrabile.

È indubbio tuttavia che l'Io appare sul piano ini-flesso. Se mi si domanda «Che sta facendo?» ed io,tutto preso, rispondo «(10) cerco di appendere que-sto quadro›› 0 «(10) riparo la ruota anteriore», que-

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ste frasi non ci trasportano sul piano della riflessio-ne, io le pronuncio senza smettere di lavorare, sen-za smettere di considerare unicamente le azioni, inquanto fatte 0 da fare - non in quanto io le faccio.Questo «Io», che è qui in questione, non è tuttaviauna semplice fomia sintattica. Ha un senso: è, mol-to semplicemente, un concetto vuoto e destinato arestare vuoto. Nello stesso modo in cui, attraversoun semplice concetto, posso pensare ad una sedia inassenza di ogni sedia, così posso pensare l'10 nel-l'assenza dell'10. È quanto rende manifesto l'esamedi frasi come: «Che fa questo pomeriggio?››, «(10)vado in ufficio» 0 «(10) ho incontrato il mio amicoPietro›› o «Bisogna che (Io) gli scriva» ecc. ecc.Cadendo dal piano riflesso a quello iniflesso, l'I0non si vuota però semplicemente. Esso si degrada:perde la sua intimità. Il concetto non potrebbe maiessere riempito dai dati della intuizione perché essointenziona ora un'altra cosa. L'Io che troviamo quiè in qualche modo il supporto di azioni che io fac-cio e devo fare nel mondo in quanto esse sono del-le qualità del mondo e non delle unità di coscienza.Ad esempio: perché il fuoco prenda, la legna deveessere spezzata in piccoli pezzi. Lo deve: è una qua-lità della legna ed è un rapporto oggettivo della le-gna col fuoco che deve essere acceso. Adesso iospezzo la legna, l'azione, cioè, si realizza nel mon-

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do e il sostegno oggettivo e vuoto di questa azioneè l'Io-concetto. Ecco perché il corpo e le immaginidei corpi possono portare a compimento il degradar-si dell'10 concreto della riflessione a Io-concetto, met-tendo a disposizione di questo illusori riempimenti.Dico «Io›› spezzo la legna e vedo e sento l'oggetto«corpo›› nell'atto di spezzare la legna. Il corpo funzio-na allora da simbolo visibile e tangibile per l'Io. Eccodunque la serie di rifrazioni e di degradazioni di cuiuna «egologia›› dovrebbe occuparsi.

Coscienza irriflessa - immanenza ~ interiorità_ Ego intuitivo - trascendenza - intimitànflcsso (dominio dello psichico)

Piano

Io-concetto (facoltativo) - vuoto trascendentePiano - senza «intimità»irriflesso Corpo come riempimento illusorio dell'10-concetto

(dominio dello psico-fisico)

E) L'Io e la coscienza nel Cogito

Ci si potrà domandare perché l'Io appaia in occa-sione del Cogito dal momento che il cogito, se èoperato correttamente, è apprensione di una coscien-za pura, senza costituzione di stato né di azione. Adire il vero l'Io non è necessario qui, dato che esso

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non è mai unità diretta delle coscienze. Si può an-che supporre una coscienza operante un atto rifles-sivo puro che la consegni a se stessa come sponta-neità non-personale. Bisogna però considerare chela riduzione fenomenologica non è mai perfetta.Intervengono qui una ridda di motivazioni psicolo-giche. Quando Descartes effettua il Cogito, lo ef-fettua in relazione con il dubbio metodico, conl'ambizione di «fare avanzare la scienza» ecc., lequali cose sono delle azioni e degli stati. In tal modoil metodo cartesiano, il dubbio, ecc., si presentanoper essenza come le imprese di un Io. È del tuttonaturale che il Cogito, che appare al termine di que-ste imprese e che si dà come logicamente legato aldubbio metodico, veda apparire un Io al suo oriz-zonte. Questo Io è una forma di legame ideale, unmodo di affermare che il Cogito si adatta bene allaforma del dubbio. In una parola, il Cogito è impuro,è una coscienza spontanea, forse, ma che resta le-gata sinteticamente a delle coscienze di stati e diazioni. Lo testimonia il fatto che il Cogito si dà nel-lo stesso tempo come il risultato logico del dubbioe come ciò che vi mette fine. Un coglimento rifles-sivo della coscienza spontanea come spontaneitànon-personale esigerebbe di essere portato a termi-ne senza alcuna motivazione precedente. Essa è didiritto sempre possibile, ma resta molto improbabi-

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le 0, almeno, estremamente rara nella nostra condi-zione d'uomini. Ad ogni modo, come abbiamo det-to più sopra, l'Io che appare all'orizzonte dell°«Iopenso›› non si dà come produttore della spontaneitàcosciente. La coscienza si produce di fronte a lui eva verso di lui, va a raggiungerlo. È tutto quello chesi può dire.

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Conclusione

Per concludere vorremmo semplicemente presenta-re le tre seguenti osservazioni:

1. La concezione dell'Ego da noi suggerita ci sem-bra realizzare la liberazione del Campo trascenden-tale e nello stesso tempo la sua purificazione.Il Campo trascendentale, purificato da ogni

struttura egologica, ritrova la sua originaria traspa-renza. Da un certo punto di vista è un nulla poichétutti gli oggetti fisici, psico-fisici e psichici, tutte leverità, tutti i valori sono fuori di lui, dal momentoche il mio Me ha smesso, lui pure, di fame parte.Questo nulla è però tutto perché è coscienza di tut-ti questi oggetti. Non c'è più «vita interiore›› nel sen-so in cui Brunschvicg oppone «vita interiore›› a «vitaspirituale»,1 perché non c'è più niente che sia og-

1 LEON BRUNSCHVICG, Vie intérieure et vie spirituelle, comunicazioneal Congresso Intemazionale di Filosofia di Napoli (maggio 1924), poi in

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getto e che possa al tempo stesso appartenere allaintimità della coscienza. I dubbi, i rimorsi, le cosid-dette «crisi di coscienza››, ecc., in breve tutto ilmateriale della diaristica diviene semplice rappre-sentazione. E forse si potrebbe ricavare da questoqualche sano precetto di discrezione morale. Ma bi-sogna inoltre osservare che, da questo punto di vi-sta, i miei sentimenti e i miei stati, il mio stesso Egosmettono di essere una mia esclusiva proprietà. Piùprecisamente: fino ad ora si distingueva radicalmen-te fra l'oggettività di una cosa spazio-temporale 0di una verità etema e la soggettività degli «stati»psichici. Si credeva che il soggetto avesse una po-sizione piivilegiata in rapporto ai propri stati. Se-condo questa concezione, quando due uomini parla-no di una stessa sedia parlano proprio di una stessacosa, questa sedia che l'uno prende e solleva è lastessa che l'altro vede, non c'è una semplice corri-spondenza di immagini, c'è un solo oggetto. Si cre-deva però che quando Paolo tentava di comprende-re uno stato psichico di Pietro, non poteva raggiun-gere questo stato, il cui afferramento intuitivo ap-parteneva al solo Pietro. Egli non poteva che consi-derare un equivalente, creare dei concetti vuoti che

«Revue de Métaphysique et de Morale», aprile-giugno 1925 (e in Ecritsphilosophiques, t. II, PUF, Paris 1954).

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Conclusione 87

vanamente tentavano di raggiungere una realtà sot-tratta per essenza alla intuizione. La comprensionepsicologica si faceva per analogia. La fenomenolo-gia è venuta ad insegnarci che gli stati sono deglioggetti, che un sentimento come tale (un amore oun odio) è un oggetto trascendente e non potrebbecontrarsi nella interiore unità di una coscienza.Perciò se Pietro e Paolo, ad esempio, parlano' en-trambi dell'amore di Pietro non è più vero che il se-condo ne parlerebbe ciecamente e per analogia men-tre il primo lo afferrerebbe pienamente. Essi parla-no della stessa cosa: la colgono certamente at-traverso dei procedimenti differenti, ma questi pos-sono essere ugualmente intuitivi. E il sentimento diPietro non è più certo per Pietro che per Paolo. Perentrambi appartiene alla categoria degli oggetti chepossono essere messi in dubbio. Tuttavia questa con-cezione profonda e nuova resta però compromessase il Me di Pietro, questo Me che odia o che ama,rimane una struttura essenziale della coscienza. Ilsentimento, infatti, gli resta attaccato. Questo senti-mento <<si appiccica›› al Me. Se si attira il Me nel-la coscienza con lui si attira il sentimento. Ci è par-so invece che il Me fosse un oggetto trascendentecome lo stato e che, quindi, fosse accessibile a duespecie di intuizione: un coglimento intuitivo da par-te della coscienza di cui esso è il Me, un coglimen-

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to intuitivo meno chiaro, ma non per questo menointuitivo, da parte delle altre coscienze. In breve, ilMe di Pietro è accessibile alla mia intuizione comea quella di Pietro e in entrambi i casi è oggetto diun'evidenza inadeguata. Se le cose stanno così, nien-te resta di «impenetrabile» in Pietro, se non la suastessa coscienza. Ma questa lo è radicalmente.Intendiamo dire che essa non è soltanto refrattaiia al-l'intuizione, ma al pensiero. Io non posso concepirela coscienza di Pietro senza farne un oggetto (poi-ché io non la concepisco come se fosse la mia co-scienza). Non posso concepirla perché bisognerebbepensarla come interiorità pura e trascendenza nellostesso tempo, il che è impossibile. Una coscienza nonpuò concepire altra coscienza che se stessa. Possiamoin tal modo distinguere, grazie alla nostra concezio-ne del Me, una sfera accessibile alla psicologia, nel-la quale il metodo di osservazione estema e il me-todo introspettivo hanno i medesimi diritti e posso-no prestarsi un aiuto reciproco, e una sfera trascen-dentale pura accessibile alla sola fenomenologia.

Questa sfera trascendentale è una sfera di esisten-za assoluta, vale a dire di spontaneità pure, che nonsono mai oggetti e che si determinano da sole al-l'esistenza. Essendo il Me un oggetto, è evidente chenon potrò mai dire: la mia coscienza, cioè la co-scienza del mio Me (salvo in un senso puramente

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Conclusione 89

designativo come si dice per esempio: il giomo delmio battesimo). L'Ego non è proprietario della co-scienza, ne è l'oggetto. Certamente noi costituiamospontaneamente i nostri stati e le nostre azioni comedelle produzioni dell'Ego. Ma i nostri stati e le no-stre azioni sono anche degli oggetti. Non abbiamomai una intuizione diretta della spontaneità di unacoscienza istantantea come prodotta dall'Ego.Questo sarebbe impossibile. È soltanto sul piano deisignificati e delle ipotesi psicologiche che noi pos-siamo concepire una simile produzione, - e questoerrore è possibile perché su questo piano l'Ego e lacoscienza sono vuoti. In questo senso, se si com-prende 1'«Io penso» in maniera tale da fare del pen-siero una produzione dell'10, si è già costituito ilpensiero di passività e in stato, cioè in oggetto; si èabbandonato il piano della riflessione pura, nel qua-le l'Ego certamente appare ma all 'orizzonte dellaspontaneità. L'atteggiamento riflessivo è corretta-mente espresso da questa famosa frase di Rimbaud(nella Lettera di un veggente): «Io è un altro (Je estun autre)››. Il contesto prova che egli ha semplice-mente voluto dire che la spontaneità delle coscien-ze non potrebbe emanare da un Io, essa va versol'Io, lo raggiunge, lo lascia intravedere sotto il suolimpido spessore, ma si dà in primo luogo comespontaneità individuata e impersonale. La tesi co-

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munemente accettata, secondo la quale i nostri pen-sieri scaturirebbero da un inconscio impersonale esi «personalizzerebbero›› divenendo coscienti, cisembra una interpretazione grossolana e materialistadi una intuizione giusta. Essa è stata sostenuta daalcuni psicologi che avevano compreso molto beneche la coscienza non «usciva» dall'Io, ma che nonpotevano accettare l'idea di una spontaneità auto-producentesi. Questi psicologi hanno dunque inge-nuamente pensato che le coscienze spontanee«uscissero›› dall'inconscio dove esse esistevano già,senza rendersi conto che non avevano fatto altro chedifferire il problema dell'esistenza - che prima o poibisogna decidersi a porre - e che l'avevano reso in-comprensibile poiché l'esistenza anteriore dellespontaneità nei limiti preconsci sarebbe necessaria-mente una esistenza passiva.

Possiamo dunque formulare la nostra tesi: la co-scienza trascendentale è una spontaneità impersona-le. Essa si determina all'esistenza in ogni istante,senza che si possa concepire niente prima di essa.Ogni istante della nostra vita cosciente ci rivelaquindi una creazione ex nihilo. Non una combina-zione (arrangement) nuova, ma un'esistenza nuova.C'è qualcosa di angosciante per ciascuno di noi nelcogliere così sul fatto questa infaticabile creazionedi esistenza di cui noi non siamo i creatori. Su que-

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sto piano l'uomo ha l'impressione di sfuggire a sestesso continuamente, di oltrepassarsi, di esserecome sorpreso da una ricchezza sempre inattesa, edè ancora all'inconscio che egli affida il compito dispiegare questo superamento del Me da parte dellacoscienza. Di fatto il Me non può niente su questaspontaneità, poiché la volontà è un oggetto che sicostituisce per e a causa di questa spontaneità. Lavolontà si dirige verso gli stati, verso i sentimenti 0verso le cose ma non si ri-volge (se retourne) maialla coscienza. Ce ne si rende ben conto in quei casiin cui si tenta di volere una coscienza (io voglio ad-dormentarmi, non voglio più pensare a questo ecc.).In questi differenti casi è necessario per essenza chela volontà sia mantenuta e conservata dalla coscien-za radicalmente opposta a quella che essa voleva farnascere (se voglio addormentarmi, resto sveglio - senon voglio pensare a questo 0 a quell'avvenimento,vi penso proprio per questo). Ci sembra che questaspontaneità mostruosa sia all'origine di numerosepsicastenie. La coscienza si spaventa della propriaspontaneità perché la sente al di là della libertà? Lo

2 La libertà cui Sartre qui si riferisce non è affatto quella alla quale,in L'Ètre et le néant, sarà condannata la coscienza in quanto essere-per-sé. La libertà costitutiva della coscienza affermata da Sartre nella suaopera maggiore è piuttosto, nella Transcendance de l'Ego, proprio la

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si può costatare chiaramente a partire da questoesempio di Janet.3 Una giovane sposa aveva il ter-rore, quando suo marito la lasciava sola, di metter-si alla finestra e di interpellare i passanti alla ma-niera delle prostitute. Niente nella sua educazione,nel suo passato, né nel suo carattere può servire aspiegare un simile timore. Crediamo soltanto cheuna circostanza senza importanza (lettura, conversa-zione ecc.) abbia determinato in lei ciò che si po-trebbe chiamare una vertigine della possibilità. Ellasi sentiva mostruosamente libera e questa libertà ver-tiginosa le appariva in occasione di questo gesto cheaveva paura di fare. Questa vertigine è però compren-sibile solo se la coscienza si rivela improvvisamentea se stessa come infinitamente debordante nelle suepossibilità l'Io che di solito le serve da unità.

La funzione essenziale dell'Ego, infatti, è forsenon tanto teorica quanto piuttosto pratica. Abbiamoinfatti dimostrato che esso non racchiude l'unità deifenomeni, che si limita a riflettere una unità ideale,mentre l'unità concreta e reale è operata già da tem-po. ll suo ruolo essenziale è forse quello di masche-

spontaneità creatrice delle coscienze iniflesse che eccede la capacitàdell'Ego di riferirle a sé come propri <<stati».

3 L”esempio è tratto da P. JANET, Les Névroses, Flamrnarion, Paris1909.

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rare alla coscienza la sua propria spontaneità. Unadescrizione fenomenologica della spontaneità mo-strerebbe infatti che questa rende impossibile ognidistinzione fra azione e passione e ogni concezionedi una autonomia della volontà. Queste nozioni as-sumono significato solo quando ogni attività è inte-sa come qualcosa che emana da una passività cheessa trascende, quando insomma l'uomo si conside-ra nello stesso tempo e come soggetto e come og-getto. È però una necessità d”essenza che non si pos-sa distinguere fra spontaneità volontaria e spontanei-tà involontaria.

È come se la coscienza costituisse l'Ego comeuna falsa rappresentazione di se stessa, come se siipnotizzasse su questo Ego che essa ha costituito, visi irnmergesse, come se essa ne facesse la sua difesae la sua legge: è grazie all'Ego, infatti, che potrà ope-rarsi una distinzione fra il possibile e il reale, fra l'ap-parenza e l”essere, fra il voluto e il subito.

Può tuttavia accadere che la coscienza si produ-ca da sola improvvisamente sul piano riflessivopuro. Non senza Ego forse, ma tale da sfuggire daogni parte all”Ego, da dominarlo e sostenerlo fuoridi sé attraverso una continua creazione. Su questopiano non c'è più distinzione tra il possibile e il rea-le dato che l”apparenza è l”assoluto. Non ci sono piùbarriere, limiti, non c”è più niente che dissimuli la

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coscienza a se stessa. Allora la coscienza, renden-dosi conto di ciò che si potrebbe chiamare la fata-lità della sua spontaneità, ad un tratto si angoscia: èquesta angoscia assoluta e senza rimedi, questa pau-ra di sé, che ci sembra costitutiva della coscienzapura ed è essa che ci dà la chiave del disturbo psi-castenico di cui parlavamo. Se l”Io dell”«Io penso››è la struttura prima della coscienza, questa angosciaè impossibile. Se, al contrario, si adotta il nostropunto di vista, non soltanto abbiamo una spiegazio-ne coerente di questo disturbo, ma abbiamo ancheun motivo permanente per effettuare la riduzionefenomenologica. È noto che Fink, nel suo articolonei Kantstudien, confessa non senza malinconiache, finché si rimane nell°atteggiamento «naturale››,non c'è ragione, non c'è «motivo›› per praticarel°èrco)(1r']. Questo atteggiamento naturale è infatti per-fettamente coerente e non vi si saprebbero trovarequelle contraddizioni che, secondo Platone, condur-rebbero il filosofo a fare una conversione filosofica.L'årcoX1/1 appare così nella filosofia di Husserl comeun miracolo. Husserl stesso, nelle Meditazioni car-tesiane, fa un”allusione assai vaga a certi motivi psi-cologici che condurrebbero ad effettuare la riduzio-ne. Ma questi motivi non sembrano affatto sufficien-ti e, soprattutto, la riduzione sembra potersi opera-re solo al termine di un lungo studio: essa appare

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quindi come un”operazione dotta, cosa che le con-ferisce una specie di gratuità. Se invece l°«atteggia-mento naturale» appare nella sua interezza come unosforzo che la coscienza fa per sfuggire a se stessaproiettandosi nel Me e immergendovisi, e se questosforzo non è mai completamente premiato, se bastaun atto di semplice riflessione perché la spontanei-tà cosciente si allontani bruscamente dall'Io e si ma-nifesti come indipendente, allora l”šJtoXr| non è piùun miracolo, non è più un metodo intellettuale, unprocedimento dotto: è un°angoscia che si impone anoi e che non possiamo evitare, è, al tempo stesso,un evento puro di origine trascendentale e un acci-dente sempre possibile della nostra vita quotidiana.

2. Questa concezione dell'Ego ci sembra la sola con-futazione possibile del solipsismo/4 La confutazione

4 La tesi antisolipsistica di Sartre sostenuta in La transcendance del'Ego sarà sottoposta ad una parziale revisione in L'Étre et le néant (trad.it. cit. p. 301). Data la crucialità della questione, ritengo opportuno cita-re interamente il passo in oggetto: «Avevo creduto, tempo fa, di potersfuggire al solipsismo rifiutando a Husserl l'esistenza dell'“Ego”trascendentale. Mi sembrava allora che nella mia coscienza non rimanes-se più niente che fosse privilegiato in rapporto agli altri, quando l'aves-si vuotata del suo soggetto. Ma, di fatto, benché io sia ancora persuasoche l”ipotesi di un soggetto trascendentale sia inutile e nociva, il fatto diabbandonarla, non fa avanzare di un passo la questione dell'esistenza dialtri. Se anche, al di fuori dell'Ego empirico, non ci fosse nienfaltro che

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presentata da Husserl in Logica formale e trascen-dentale e nelle Meditazioni cartesiane non ci sem-bra poter colpire un solipsista determinato e intelli-gente. Finché l'Io resta una struttura della coscien-za, sarà sempre possibile opporre la coscienza colsuo Io a tutti gli altri esistenti. E, in definitiva, ilmondo è prodotto proprio da Me. Poco importa setaluni strati di questo mondo necessitano per la lorostessa natura di una relazione ad altri. Questa rela-zione può essere una semplice qualità del mondoche io creo e non mi obbliga affatto ad accettarel°esistenza reale di altri Io.

Se però l'Io diviene un trascendente, esso parte-cipa di tutte le vicissitudini del mondo. Non è unassoluto, non ha affatto creato l'universo, come lealtre esistenze è soggetto al rigore della ånoxñ; e ilsolipsismo diventa impensabile dal momento chel”Io non ha più una posizione privilegiata. Il solip-sismo, infatti, anziché forrnularsi così: «Solo lo esi-sto, solo, in modo assoluto››, dovrebbe enunciarsi

la coscienza di questo Ego, - cioè un campo trascendentale senza sog-getto - resta sempre il fatto che la mia affermazione dell'altro postula edesige l`esistenza di un simile campo trascendentale al di là del mondo;e, di conseguenza, il solo modo di sfuggire al solipsismo sarebbe anchequi di provare che la mia coscienza trascendentale, nel suo stesso esse-re, subisce lo stimolo dell'esistenza extramondana di altre coscienze del-lo stesso tipo››.

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così: «Solamente la coscienza assoluta esiste, sola, inquanto assoluta››, il che è evidentemente un truismo.Il mio Io infatti non è più certo per la coscienzadell 'Io degli altri uomini. È soltanto più intimo.

3. I teorici di estrema sinistra hanno talvolta rim-proverato alla fenomenologia di essere un idealismoe di annegare la realtà nel flusso delle idee. Se peròl”idealismo è la filosofia senza male di Brunschvicg,se è una filosofia in cui lo sforzo di assimilazionespirituale non incontra mai delle resistenze esterio-ri, dove la sofferenza, la fame, la guerra si diluisco-no in un lento processo di unificazione delle idee,niente è allora più ingiusto che chiamare idealisti ifenomenologi. Erano anzi secoli che non si era sen-tita nella filosofia una corrente così realista. Essihanno rituffato l”uomo nel mondo, hanno restituitotutto il loro peso alle sue angosce e alle sue sof-ferenze, ed anche alle sue rivolte. Purtroppo, finchél'Io resterà una struttura della coscienza assoluta,alla fenomenologia si potrà sempre rimproverare diessere una «dottrina rifugio››, di trarre ancora unaparticella dell'uomo fuori dal mondo e di stomareperciò l'attenzione dai veri problemi. Non crediamoche questo rimprovero abbia più ragion d'essere sesi fa del Me un esistente rigorosamente contempo-raneo del mondo, la cui esistenza ha le stesse carat-

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teristiche essenziali del mondo. Ho sempre ritenutoche un'ipotesi di lavoro così feconda come il mate-rialismo storico non richiedesse affatto come fonda-mento l'assurdità di un materialismo metafisico.Non è infatti necessario che l'oggetto preceda il sog-getto perché svaniscano gli pseudo-valori spiritualie la morale ritrovi le sue basi nella realtà. È suffi-ciente che il Me sia contemporaneo del Mondo e chela dualità, puramente logica, di soggetto-oggetto spa-risca definitivamente dalle preoccupazioni filosofi-che. Il mondo non ha creato il Me, il Me non hacreato il Mondo; il Mondo e il Me sono due ogget-ti per la coscienza assoluta, impersonale ed è graziead essa che essi si trovano connessi. Questa coscien-za assoluta, quando è purificata dall'Io, non ha piùniente di un soggetto, non è nemmeno una collezio-ne di rappresentazioni: è semplicemente una condi-zione prima ed una sorgente assoluta di esistenza. Eil rapporto di interdipendenza che essa stabilisce frail Me e il Mondo basta perché il Me appaia come«in pericolo» davanti al Mondo, perché il Me (indi-rettamente e tramite gli stati) tragga dal Mondo tut-to il suo contenuto. Non occorre altro per fondareuna morale e una politica assolutamente positive.

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INDICE

Introduzione. Oltre la fenomenologia. La questio-ne della coscienza assoluta nella Transcendancede l 'Ego (di Rocco Ronchi) _ . . . . . . . . . . . _ _

I. L'Io E IL ME . _ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ._A) Teoria della presenza formale dell'10. . . . _B) Il Cogito come coscienza riflessiva . . . . _ _C) Teoria della presenza materiale del Me. . _

II. LA cosT1TUz1oNE DELIJEGO _ _ . . . . . . . _ _A) Gli stati come unità trascendenti delle co-' scienze . . _ _ _ . _ . _ _ . . . . . . . . . . . _ _ . . . _ _ _B) Costituzione delle azioni . . . . . . . . . . . . . _ _C) Le qualità come unità facoltative degli

stati . . . . . . _ . . . . . . . . . . _ . . . . . _ . . . . _ _D) La costituzione dell'Ego come polo delle

azioni, degli stati e delle qualità . . _ _ _ _ _ _E) L'Io e la coscienza nel Cogito _ . . . _ _ . . _ _

Conclusione _ . . . . _ . . _ . _ . . . . . . . . . . . . . . _ _

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Copertina di Emanuele Innocenti

Finito di stamparedal Consorzio Artigiano «L.V.G.›› - Azzate (Varese)

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JEAN-PAUL SARTRE (1905-1980)è forse l'esponente più rappresentati-vo delfesistenzialismo ed uno degliintellettuali francesi contemporaneipiù noti nel mondo. Versatile epoliedrico, la sua attività ha attraver-sato vasti campi del sapere: dallafilosofia alla letteratura, dal teatro alcinema, dal giornalismo alla politica.Tra le sue maggiori opere ricordia-mo, per la filosofia, ßessere e il nullae la Critica della ragione dialettica eper la narrativa soprattutto La nau-sea. Nel 1964 fu insignito del premioNobel per la letteratura, che rifiutò.

Titoli di J.-P. Sartre pubblicati in questa collana

l. Bariona o il figlio del tuonoRacconto di Natale per cristiani e non credenti

2. La mia autobiografia in un filmUna confessione

3. Tintorettoo il sequestrato di Venezia

4. Uintelligibilità della StoriaCritica della Ragione dialettica - TOMO II

5. La liberté cartésienneDialogo sul libero arbitrio

6. Novelle e raccontipensieri e progetti dagli Écrits dejeunesse

7. Pensare Parte

8. Orfeo neroUna lettura poetica della negritudine

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critto al suo rientro dal viaggio in Germania, dove aveva studiato lafenomenologia di Husserl, La trascendenza dell'Ego è il saggio chesegna Fesordio filosofico di Jean-Paul Sartre. Questo scritto è di

un”importanza fondamentale: non solo contiene in nuce tutti i temi delfuturo esistenzialismo sartriano, ma costituisce una pietra miliare nellastoria del pensiero filosofico del Novecento. Sartre vi critica il residuoidealistico presente nella filosofia del maestro. Rivolge un attacco defini-tivo alla nozione di Io e a tutta la mitologia dellminteriorità”, così cara aduna certa cultura francese del tempo. L°Io è in realtà una “cosa” come lealtre “cose” del mondo. Esiste fitari dalla coscienza, come falbero e lacasa. Non coincide con la coscienza ma rappresenta un punto di opacitànella coscienza, la quale, in prima battuta, è rigorosamente impersonale.Purificare la coscienza da1l'Io è, per Sartre, Foperazione fondamentale perla creazione di un nuovo materialismo che sia alfaltezza dei tempi. GillesDeleuze farà di queste pagine il fondamento del proprio pensiero eIacques Lacan le utilizzerà per ripensare lo statuto del discorso psicoana-litico e la nozione freudiana di inconscio.Per i nuovi orientamenti materialistici, che caratterizzano il più vitalepensiero filosofico del terzo millennio, questo testo di Sartre è un,operache apre un nuovo e ancora inesplorato orizzonte del pensiero. La curadel testo è di Rocco Ronchi, che, nel saggio introduttivo, ne mette inluce la dirompente attualità e si chiede che cosa possa voler dire oggi farefilosofia speculativa.

ISBN 978-88-8273-130-4

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