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Pag. 1 Tito Puntillo SAN FRANCESCO Di PAOLA E FERRANTE D’ARAGONA POLITICA E RELIGIONE NELLA CALABRIA DEL XV SECOLO riflessioni sopra il saggio di GIUSEPPE CARIDI: Il controverso rapporto fra Francesco di Paola e Ferrante d’Aragona, In: “Mediterranea - Ricerche storiche”, a. XII (apr. 2015) n. 33 UNA INIZIATIVA SOS …. BAGNARA CALABRA A FAVORE DEI GIOVANI CIVILTÁ DELLO STRETTO QUADERNI BAGNARESI NUOVA SERIE Anno I° (2015) nr. 1
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San Francesco da Paola: politica e religione

May 13, 2023

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Page 1: San Francesco da Paola: politica e religione

Tito Puntillo – San Francesco da Paola fra carità e impegno sociale

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Tito Puntillo

SAN FRANCESCO Di PAOLA E FERRANTE D’ARAGONA POLITICA E RELIGIONE NELLA CALABRIA DEL XV SECOLO

riflessioni sopra il saggio di GIUSEPPE CARIDI:

Il controverso rapporto fra Francesco di Paola e Ferrante d’Aragona, In: “Mediterranea - Ricerche storiche”, a. XII (apr. 2015) n. 33

UNA INIZIATIVA

SOS …. BAGNARA CALABRA A FAVORE DEI GIOVANI

CIVILTÁ DELLO STRETTO

QUADERNI BAGNARESI NUOVA SERIE

Anno I° (2015) nr. 1

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Se San Francesco d’Assisi sposò “Monna Povertà”

San Francesco di Paola sposò la Carità

e con essa operò nel mondo.

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Giuseppe Caridi ha pubblicato su “Mediterranea, Ricerche Storiche” nr. 33 (Aprile 2015), un articolato saggio sulla figura di Francesco da Paola, che merita davvero alcune riflessioni utili a chi si interessi di Storia Sociale e Religiosa calabrese. Caridi inizia la presentazione del Santo da quando ancora giovanissimo (era nato nel 1416), decise di ritirarsi in un remoto rifugio e qui dedicarsi alla vita ascetica. Nel 1435 si formò attorno a lui un piccolo nucleo di compagni e il «monastero» che ne sorse, dovette darsi una regola di comportamento per l’osservanza della vita religiosa in comune. Nacque in questo modo la Congregazione Eremitica Paolana di San Francesco d’Assisi, che nel 1471 fu riconosciuta dal Vescovo di Cosenza e nel 1474 dalla Santa Sede. Il riconoscimento definitivo come Regola, fu accordato nel 1506 da Giulio II°. Ancora oggi quella Regola si osserva con esattezza, in memoria di uno dei più noti «santi vivi» del tardo Medioevo. Definisce così Caridi Francesco da Paola.1 Ma a mio avviso, non solo “Santo Vivo” ma anche Santo Ribelle, di quella ribellione verso i Governanti, che fu poi anche difesa verso i deboli e gli umili. Lo stesso Caridi fa notare come tutti gli agiografi dei secoli XVI-XVIII, convergano sulla figura di un Santo fustigatore inflessibile del sovrano aragonese, reo di misfatti a danno degli umili e indifesi. Scrive Nicola Giunta che Ferrante fu odiatissimo dagli stessi signori di Napoli che lo avevano voluto Re per poi invocare l’intervento degli angioini per liberarsi di quella “belva” che trucidava i nemici e li faceva poi conciare sotto sale.2 E dunque un Santo contro un Re “malvagio” che non si pentiva dei propri misfatti e contro il quale Francesco si scagliò, secondo l’agiografia, con sempre maggiore veemenza e con un carisma che gli stessi agiografi hanno enfatizzato oltremodo, attribuendo al Frate miracoli compiuti al cospetto del Sovrano e dei quali, per la verità, non si sono rinvenute tracce documentarie mentre fu chiaro l’intento di narrare gesta che accrescessero la devozione dei fedeli, fino al punto che l’aspetto miracolistico prese il sopravvento su quello edificante. L’Ordine dei Minimi in effetti si prestò molto a incentivare questo culto dei miracoli francescani, per “assecondare la fede ingenua del miracolo” che il Popolo praticava con impeto devozionale.

1 GIUSEPPE CARIDI, Il controverso rapporto fra Francesco di Paola e Ferrante d’Aragona, in

“Mediterranea. Ricerche storiche”, a. XII (apr. 2015) n. 33, pag. 9. Un “santo vivo” si definisce tale quando

oltre a possedere un carisma profetico e taumaturgico che lo eleva alla venerazione delle moltitudini, è

ascoltato dal potere laico-politico e apprezzato dall’Autorità ecclesiastica. 2 NICOLA GIUNTA, Francesco da Paola, Libreria Emiliana Editrice, Venezia 1935, pag. 12

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Agli occhi dei Fedeli, Francesco è fatto dunque apparire come “assetato di giustizia”; uno stereotipo che resisterà nel divenire e bisognerà attendere tempi a noi vicini, per avere finalmente disponibile una reinterpretazione della vita e delle opere di Francesco di Paola. Nel suo saggio teso a presentare la figura del Santo calabrese «dal vero», Caridi inizia delineando l’atteggiamento dell’agente napoletano responsabile del giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana, durante il Regno di Alfonso il Magnanimo. Nel 1447 il Re aragonese, asfissiato dalle spese per il mantenimento dell’esercito in stato di perenne belligeranza, autorizzò il censimento della popolazione, finalizzato a una nuova redistribuzione del carico fiscale. Censimento

che in Calabria assunse aspetti gravemente vessatori verso le classi inferiori, destando malcontento che le guarnigioni aragonesi stentarono a reprimere. In quell’occasione, Francesco pensò di chiedere il sostegno di un suo vecchio benefattore, Simone degli Alimena, al quale indirizzò un’appassionata lettera, sulla quale peraltro sussiste qualche dubbio d’autenticità, per l’uso di termini, quale “provincia” (invece che “giustizierato”) che s’incontrerà solo in epoche ben successive. Caridi ci tiene qui a evidenziare la predisposizione verso l’impegno civile del Santo, circostanza che lo spinse ad abbandonare l’isolamento e schierarsi fattivamente a difesa della popolazione su fatti di amministrazione pubblica non correttamente esercitata. Ma, evidenzia Caridi, se bene si legga la lettera di Francesco al D’Alimena, ci si accorge che egli non cedette a un ribellismo tout-court, e intese invece rivolgersi alla superiore autorità con atteggiamento di fiducia. Un Francesco da Paola insomma, “insofferente delle degenerazioni ma nel contempo pienamente rispettoso delle gerarchie vigenti”. E non è un’osservazione da poco! Il Regno che fu florido e ricco, cadde prima in mano a Giovanna II proclamata Regina di Napoli il 19 ottobre 1419, donna pregna di lascivia, circondata da amanti e perfidi

Giovanna II

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consiglieri e molto influenzata dalla cugina Covella Ruffo di Calabria, duchessa di Sessa e Montalto, moglie di Nicolò Ruffo conte di Catanzaro, anch’ella donna di dubbia moralità e facile a concedersi per opportunità e vantaggio personale. E questo mal governare condusse poi alla contrapposizione fra Angioini, chiamati dal Papa in supporto alle proprie rivendicazioni sul Regno (la “Chinea”), e Aragonesi, ai quali la Regina chiese soccorso promettendo ad Alfonso V d’Aragona, la successione al trono. Una contrapposizione che s’accese e si spense più volte, l’ultima a séguito delle nefandezze di Re Ferrante d’Aragona, non più sopportate dalla Nobiltà Napoletana, che di contra, chiese nuovamente protezione ai D’Angiò. E in quell’occasione, non tutti i Ruffo si schierarono con gli Angioini. L’ultimo fratello del quarto Conte di Sinopoli, Colantonio, ebbe dal matrimonio con Ramondetta Centelles, quattro figli: Guglielmo, Carlo, Esaù e Arrigo. Nessuno di loro seguì il Conte nella ribellione, restando fedeli alla Casa Aragonese. In nome del Re, Guglielmo Ruffo occupò Sinopoli nel momento in cui riceveva l’investitura feudale su Bagnara. Presa Sinopoli, Guglielmo si portò con le sue truppe aspromontane a rinforzare l’esercito reale comandato dal Capitano Mase Barrese ai Piani della Corona.

Sotto le mura di Seminara si svolse lo scontro decisivo contro gli Angioini che di fronte all’impeto degli italiani, sbandò e si dette in rovinosa ritirata verso Nord. Nella sanguinosa battaglia, cadde con la spada in pugno Guglielmo Ruffo. Risoltasi nel 1442 la guerra angioino aragonese, il due giugno Alfonso d’Aragona entrava in Napoli e intanto il movimento di repressione contro gli angioini, iniziava sullo Stretto in grande stile. Nel 1443 cinquecento fra militi e popolo sollevatosi a massa, con in testa don Nicola Melissari, presero il colle di

Marturano a Bagnara, battendo la guarnigione angioina che s’era tutta intorno fortificata (i monumentali resti delle fortificazioni, sono ora in degrado totale fra il disinteresse assoluto dei Bagnaroti) e sul Bastione innalzarono la bandiera d’Aragona. La successiva precarietà del governo aragonese, consentì ai feudatari di rafforzare la loro egemonia sulle periferie del Regno e nel 1466 Ferrante dovette intervenire per regolamentare i diritti di passo. La guerra contro i baroni ribelli fu spietata, determinando l’ostilità incontrovertibile dei Feudatari verso la Corte e a queste circostanze che resero precaria la vita in Calabria, s’aggiunse il terremoto del febbraio 1444, l’eruzione di Vulcano e la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453 con l’interruzione

Ferdinando I (Ferrante) d'Aragona

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susseguente dei commerci con l’Oriente, e il degrado del porto di Messina e del commercio delle anse calabresi verso la Grecia e l’Adriatico. Queste turbolenze, furono sopportate con grande privazione e dolore dalle classi inferiori, soprattutto a causa del prevaricante disprezzo verso la loro condizione, mostrato dai Governanti locali e centrali. Ed è qui che si manifesta fulgente la figura del Santo difensore dei deboli contro il potere prevaricante dei Superiori. Se noi volessimo attualizzare a oggi la figura del Santo, probabilmente l’efficacia che ne sortirebbe sarebbe di molto smorzata, perché oggi sono mutate le condizioni di vita e s’è evoluto il modo di ragionare e affrontare le circostanze che si verificano nella società. Ma all’epoca la figura di un uomo fragile, predicatore contro i vizi di forma e le prevaricazioni e le violazioni alle norme di legge, fatte valere sui più deboli, un uomo che non aveva timore a rimproverare perfino il Re, forte del suo potere miracolistico e profetizzante, di molto enfatizzato dalla sua attivissima struttura monacale, ebbe sul Popolo un impatto traumatizzante che trascinò masse intere verso di lui, prima nella sua Calabria e quindi nel Regno prima di valicarne i confini.

**** E dunque Francesco:

- che si erge a portavoce presso le Autorità, del malcontento popolare; - ma che mostra piena fiducia verso le stesse Autorità e la loro

predisposizione a risolvere positivamente la grave situazione creatasi nel Giustizierato a causa della cattiva amministrazione dei preposti responsabili.

Si tratta di una notazione importante, definitiva: Francesco NON contro lo Stato, le sue Leggi, la sua struttura organizzativa, la sua politica, la sua amministrazione del sociale, ma contro quei soggetti, soprattutto periferici, che forti delle attribuzioni di gestione, le usavano per vessare il popolo. Caridi fa notare l’assenza di una qualche azione di Francesco durante la brutta fase della storia calabrese, ancorché appaia una lettera datata 13 aprile 1459 indirizzata da lui a Simone d’Alimena3 e sulla quale, osserva Caridi, operò una palese strumentalizzazione Nicola Misasi per evidenziare il plauso del Santo verso il suo benefattore, all’epoca reggente della Vicaria, per aver ratificato la condanna a morte di alcuni malfattori, accusati della profanazione di un monastero di monache di clausura. E ciò nonostante che fra i malfattori vi fossero personaggi intimamente legati alla Corona e ben addentrati a Corte.

3 Su Simone d’Alimena, cfr.: ORESTE PARISE, Simone d’Alimena amico e benefattore

di San Francesco di Paola, Mezzoeuro ed., a. XII (aprile 2013) nr. 15

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Brano ripreso anche da Pontieri che però, a differenza di Misasi, non sposò in pieno l’autenticità de Il Postiglione, Epistolario pubblicato nel 1615 quale raccolta di lettere, fra le quali spicca una corrispondenza col Savonarola la cui inattendibilità è dichiaratamente manifesta.

Sono d’accordo con Caridi sulla manipolazione effettuata da Misasi sulla figura del Santo. Egli ha, a mio avviso, letteralmente disintegrato la fisionomia mistica del Santo, riconducendolo a un tribuno, un mero capo-massa popolare, secondo una mentalità a sfondo sociale classica dell’epoca umbertina. Un capo-massa che fu contro le istituzioni? Una rappresentazione sconcertante, che fa il paio coll’agiografia coeva e immediatamente successiva, caldeggiata dai Monaci Minimi, interessati a enfatizzare l’aspetto miracolistico della figura del Santo e così trarre a loro una sempre più consistente massa di fedeli, come ho fatto notare. Il quadro fino a qui disegnato, introduce invece un buon Frate, desideroso di ergersi a difensore dei deboli e combattere contro le ingiustizie e usurpazioni dei prepotenti e dei corrotti; non fu quindi la figura che appare fortemente manipolata dal Partito antiaragonese nella sua azione di opposizione alla successione dinastica e al mantenimento di arcaici privilegi nelle zone periferiche del Regno, controllato da Feudatari che abbiamo già descritto come spesso spietati con i subalterni, pur di mantenere rendite ed esenzioni fiscali. Questa manipolazione avveniva come cennato, in conseguenza se non in sintonia, con un forzato utilizzo della figura del Santo da parte dei religiosi, che gli attribuirono miracoli mai provati, profezie mai pronunziate e soprattutto l’atteggiamento di assoluta intransigenza verso le Autorità.

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Lo scopo, lo ribadisco, fu chiaramente quello di creare attorno al Santo un’aura di eccezionale santità e tale, da richiamare sempre più masse di fedeli attorno ai monasteri paolini. Al contrario, Ferrante nel 1473 firmò un diploma col quale manifestava al Frate calabrese il proprio consenso verso l’azione pastorale da lui intrapresa e assumeva sotto la propria personale protezione, la Chiesa di San Francesco D’Assisi in Paola, che stava accogliendo un numero sempre più in aumento di proseliti e intimava che nessuno osasse molestare o usurpare i beni acquisiti grazie alla generosità dei fedeli. Un privilegio importante, come si nota, ove la condotta irreprensibile del Santo emergeva come fattore determinante.

**** In questa fase di reciproca simpatia fra il Re e il Santo, s’inserisce la missiva che Francesco indirizzò a Ferrante sul pericolo turco: che Ferrante ritirasse dal nord Italia le truppe di Alfonso Duca di Calabria e concentrasse la forza del Regno sulle coste joniche e adriatiche, a difesa della Cristianità. Ferrante in effetti avviò trattative per dissociarsi dalla guerra e negoziare una pace con Firenze.

Ma le lungaggini burocratiche non consentirono una rapida soluzione della posizione aragonese e alla fine ebbe ragione Francesco: Otranto fu attaccata,

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massacrati ottocento nativi, condotti schiavi migliaia di prigionieri e la Città saccheggiata e quindi incendiata. Perché dunque Ferrante mutò drasticamente posizione nei riguardi del Frate? Caridi si pone la domanda e individua la ragione nella montante popolarità di Francesco che si stava concretizzando nella fondazione di numerosi Monasteri in Calabria come se fossero “di sua proprietà”. Il Partito anti aragonese sostenne la tesi (e la diffuse a larghe braccia) che l’entourage del Re fosse riuscito a convincere il Sovrano a “fargli male” per fermare quell’invasione non autorizzata di presunti punti di potere religioso a danno della Monarchia, soprattutto dopo l’inizio dell’edificazione del Monastero di Castellammare di Stabia, quindi alle porte della Capitale. Perfino la lettera con la quale il Frate “supplicava” il re, molto “umilmente e

affettuosamente” di volergli accordare “la stessa grazia che ho ricevuto da Sua Santità e dalla Chiesa” fu interpretata come un insulto alla maestà del Re. Il «falso Eremita», ribadivano i nemici di Ferrante, andava fondando conventi quali “focolai d’agitazione” contro il Governo. I frati, sotto l’influenza religiosa e le attività miracolistiche di Frate Francesco, stavano istigando le popolazioni contro le istituzioni governative. Adesso il contrasto fra Francesco e Ferrante appariva totale e definitivo! In realtà, afferma Caridi, l’iniziativa di Castellamare fu intrapresa per esaudire le pressanti richieste dei fedeli, fin dal 1447, e l’azione antifrancescana di Ferrante,

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fu determinata dalla necessità di porre sotto controllo un’attività che mostrava di sconfinare nel fanatismo religioso e nel chiaro tentativo da parte della gerarchia religiosa di trarne il più vantaggio possibile. E qui uno degli episodi più controversi attribuiti al Santo. Rintracciato il Frate dalla guardia reale inviata a catturarlo per condurlo ai ferri, improvvisamente il capitano si prostrò di fronte al Santo mandandolo libero. Naturalmente l’episodio fu raccontato dagli agiografi come fatto miracoloso, a ribadire come Francesco fosse davvero in totale grazia di Dio e in quanto tale, era assolutamente necessario seguirne i dettami, che venivano predicati dai Frati. In realtà, chiarisce Caridi, il reparto di scherani incaricato di arrestare il Frate, si trovò in mezzo a una manifesta e pericolosa ostilità da parte dei terrazzani, numerosissimi e intenzionati a impedire anche con la forza, che il Frate lasciasse il Convento di Paterno. E fu questa la motivazione colla quale il comandante della missione si giustificò di fronte a Ferrante. Che ascoltò anche la narrazione dell’ennesimo miracolo: per ringraziare i militi della liberazione, Francesco mandò a cercare un boccale di vino dal quale bevvero a ripetizione tutti i militi, ma senza che il vino contenuto nel boccale, si esaurisse. E così avvenne per due focacce, che bastarono per tutta la truppa e anzi alla fine ne restò a josa. Qualche cronista raccontò che il Frate s’era reso invisibile agli occhi di terrorizzati militari e il tutto fu riferito a Ferrante. Il quale decise di ammorbidire la sua posizione non certo per il timore della potenza del Santo, quanto per lasciare raffreddare le circostanze e attendere tempi migliori per decidere il da farsi. Ma a mio avviso l’intera faccenda dell’arresto mancato del Santo, ha anche motivi politici di un certo spessore. La Santa Sede e la Corte di Napoli, vissero quei tempi sotto la minaccia di possibili antipapi e di invasioni militari straniere. La presenza di un uomo che muoveva critiche agli arbitrî e ai soprusi, rischiava davvero:

di spezzare la continuità di potere politico della Corte sulle periferie, indebolendo così il sistema governativo proprio, come dico, in un momento in cui invece occorreva la massima concentrazione e l’assenza di contestazione popolare;

e avvalorare il pericolo che il Movimento Paolano, con il suo Santo taumaturgico e profetizzante, il crescente consenso attorno a lui delle masse adesso non solo calabresi, la solidità del “sistema”, garantito dalla presenza di così numerosi monasteri e chiese di estrazione paolana,

LUIGI XI

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potesse fare passare in secondo piano, fra le comunità religiose periferiche, l’autorità della Chiesa di Roma

e in ambiente così precario, perseguitare Francesco avrebbe potuto innescare una reazione popolare dai contorni imprevedibili!

****

Una scappatoia per uscire dalla complessa situazione, Ferrante pensò di coglierla nella richiesta formulata dall’ambasciatore di Francia a che il Frate si recasse al capezzale di Luigi XI di Valois, “Il Prudente”. Il Re era stato colpito nel 1481 da apoplessia e dopo inutili interventi di medici, guaritori e accostamenti di sante reliquie di tutti i tipi, si decise di chiedere l’intervento di Francesco. La sua fama di Santo Guaritore era oramai universalmente nota. Francesco rifiutò di recarsi in Francia e resistette più volte alle pressioni, financo papali. E qui Caridi invita nel suo saggio, a riflettere. In effetti Francesco era d’accordo nel farsi apparire agli occhi dei fedeli suoi, come deciso a sottomettersi agli ordini pontifici. Ma accanto a questa sceneggiata, la Santa Sede avrebbe dovuto concedere l’approvazione ufficiale al suo nuovo Ordine, senza che ne fosse richiesta modifica rispetto alla sua impostazione originaria. L’accordo fu raggiunto e Francesco partì alla volta della Francia.

Luigi XI e Francesco da Paola, in una rappresentazione del Teatro Stabile di Calabria

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In itinere, giunse a Napoli il 27 febbraio 1483, accolto da un’onda entusiastica di devoti in festa. Andò a stare in contrada San Luigi ove era stata impostata la fabbrica di un suo convento, autorizzata dallo stesso Ferrante. Pare che in questa circostanza Francesco abbia obiettato a chi gli faceva notare che il sito era fuorimano e in posizione troppo isolata, che ben presto esso si

sarebbe trovato in pieno centro cittadino, atteso lo sviluppo impetuoso della Capitale. Obiezione raccolta dagli agiografi seicenteschi come una ennesima profezia del Santo, anche se, fa notare Caridi, non vi sono testimonianze coeve che asseverino questo particolare. E fu a tal punto che, secondo gli agiografi seicenteschi, avvenne il miracolo portentoso della moneta spezzata dalla quale sgorgò sangue.

Ferrante offerse del denaro al Santo, quale contributo per la costruzione di un convento. Egli rifiutò sdegnosamente, gridando che quel denaro era il frutto di spoliazioni perpetrate a danno della povera gente. Cosi dicendo, prese una moneta, la spezzò e immediatamente dal solco spezzato sgorgò impetuoso sangue. Non vi è comunque traccia di questo evento prodigioso negli agiografi coevi a Francesco. Ed è eguale per il miracolo della lievitazione. Secondo l’agiografia seicentesca, Francesco accettò l’invito del sovrano a pernottare a palazzo. In tale maniera Ferrante avrebbe potuto spiarlo da una fessura per capire di che pasta fosse davvero fatto quel religioso. L’agiografia seicentesca narra che da una fessura, Ferrante vide il Frate lievitare fino a metà altezza, circondato da un alone di luce accecante e ne rimase sconcertato prendendo da quel momento a venerare il Sant’uomo. Secondo le cronache coeve invece, il frate rifiutò l’invito e si ritirò presso il costruendo romitorio di San Luigi. La storiografia moderna definire questi come “miracoli-politici” nel senso che dopo la canonizzazione del Santo, i Frati Minimi tentarono tutte le strade per «emozionare» i fedeli, in modo che giungessero a schiera a venerare Francesco e così consolidare la posizione, anche economica, dell’Ordine.

**** Francesco salpò da Ostia con buona e titolata scorta, alla volta della Francia.

Napoli; Piazza del plebiscito. La Real Chiesa di San Francesco da Paola.

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Dopo una sosta per ossequiare il Papa, il Santo da Civitavecchia raggiunse la costa francese e quindi Tours. E qui, secondo Caridi, l’aspetto più significativo che si può riscontrare su questo viaggio: le attese del Papa e di Ferrante sull’efficacia della missione politico-diplomatica di Francesco in Francia, che era poi il vero obiettivo, mascherato dalla missione per miracolare il Re malato. E torna dunque asseverabile la circostanza:

- che l’arresto di Francesco ebbe motivazioni politiche accostate a quelle religiose

- che fu ritenuto indispensabile “levarlo di mezzo” affinché non contribuisse, ancorché indirettamente, all’indebolimento del sistema di governo aragonese in un momento delicato per il Regno

- che la richiesta di un suo intervento in Francia, fu colta come palla al balzo per risolvere la situazione

- che, anzi, in occasione di questo viaggio presso Luigi XI di Valois, Francesco si presentasse anche come ambasciatore reale e pontificio per chiedere al Re francese sostegno politico e militare contro le minacce militari e religiose che fomentavano all’estero.

Dalla Francia, pressato da ripetute richieste di aggiornamento della missione, il Santo rassicurò Ferrante che il Re francese era ben propenso a che l’Italia si incamminasse verso un’era di pace e serenità. Un’operazione che Francesco svolse con dedizione, essendo in lui molto forte il desiderio che in Italia si ponesse fine alle guerre intestine e si formasse un fronte comune italiano orientato alla pace. Il Re di Francia morì nell’agosto 1483 ma Francesco restò in Francia e coi favori della Corte, poté aumentare a presenza del suo Ordine oltralpe. In Francia morì e le esequie furono celebrate con tutti gli onori spettanti a una figura illuminata e di grandissimo rilievo sociale e religioso.

Tra i vari riconoscimenti: S. Francesco fu proclamato da Papa Pio XII il 27 marzo 1943: Celeste Patrono delle genti di mare ed è anche:

Patrono della Calabria Patrono del Regno delle Due Sicilie e successivamente Patrono

principale della Sicilia, insieme alla Vergine Immacolata, come dichiarato da Papa Urbano VII il 23 marzo 1630 e confermato da Papa Clemente XII, il 5 luglio 1739;

Compatrono della Città di Milazzo insieme a S. Stefano Protomartire. Compatrono della Città di Napoli Conventi e Chiese principali in Calabria: Catona, Corigliano Calabro,

Cosenza, Lamezia Terme (ove è custodita la reliquia di un dito). Paola, Paterno Calabro, Pedace, Polistena, Marina Grande di Scilla, Spezzano della Sila, Terranova da Sibari, Sambiase,

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BIBLIOGRAFIA. Quasi tutte le indicazioni bibliografiche qui annotate, sono anche nel saggio di G. Caridi

già evidenziato.

Sull’aspetto carismatico e la marcata attribuzione di Santo Taumaturgo, si discusse nel

III° Convegno Internazionale di Studio, organizzato dalla Curia Generalizia dell’Ordine

dei Minimi (cfr.: Atti, Roma 2006 e in particolare: E. PAOLI, La santità canonizzata di

Francesco di Paola, ivi pp. 65 sgg.);

I rapporti fra il Santo e gli organi d governo del Regno di Napoli, sono stati oggetto del I°

Convegno per la celebrazione del V° centenario della morte di San Francesco di Paola,

cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (Napoli 2008): S.Francesco di Paola fra

esperienza religiosa e riconoscimento canonico (secoli XV-XVII);

Sulla diffusione del culto di Francesco e la sua organizzazione monacale, cfr.: G.

VITOLO (a cura di), Pellegrinaggi e itinerari dei santi nel Mezzogiorno medievale,

Liguori ed., Napoli 1999;

Sui testi di Francesco: F. PRESTE, Centuria di letteredel glorioso oatriarca S. Francesco

di Paola fondatore dell’Ordine dei Minimi, I. de Lazzeri ed., Roma 1655;

La controversa interpretazione di Misasi è in: N. MISASI, La mente e il cuore di

Francesco di Paola, a cura di P. Posteraro, Pellegrini ed., Cosenza 2006, da accostare a:

E. PONTIERI, La storia del Regno di Ferrante I° d’Aragona re di Napoli. Studi e

ricerche, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1969 e anche: Il Postiglione che porta alla

notizia dé desiderosi del cielo l’avvisi inviati dal glorioso patriarca S. Francesco di Paola

à suoi corrispondenti, Ferrer ed., Palermo 1772;

Per le agiografie, valgano per tutte: SECONDO M. SANSEVERINO, Vita, costumi et

miracoli del Glorioso Padre S. Francesco di Paola, G. Pavoni ed., Genova 1638 e B:

MAGGIOLO, Vita del miracoloso patriarca dé Minimi S. Francesco di Paola,

Franchelli, Genova 1703;

Su S. Francesco in Francia, cfr.: B. PIERRE – A. VAUCHEZ (A CURA DI), Saint

François de Paule & les Minimes en France de la fin du XV au XVIII siècle, Presses

Universitaires François-Rabelais, Tours 2010.

Documentazione bibliografica completa in: GIUSEPPE CARIDI, Il contrverso rapporto

tra Francesco d Paola e Ferrante d’Aragona, “Mediterranea – Ricerche Storiche”, A.

XII, nr. 33 (Aprile 2015).