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ARCHÄOLOGIE UND GESCHICHTE Band 12 Verlag Archäologie und Geschichte Heidelberg 2007 Römische Bilderwelten Von der Wirklichkeit zum Bild und zurück Kolloquium der Gerda Henkel Stiftung am Deutschen Archäologischen Institut Rom 15. – 17. März 2004 Herausgegeben von Fernande und Tonio Hölscher
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ROMAN SARCOPHAGI / La mandorla centrale dei sarcofagi strigilati. Un campo iconografico ed i suoi simboli, in F. HOELSCHER, T. HOELSCHER (edd.), Römische Bilderwelten. Heidelberg,

Jan 21, 2023

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ARCHÄOLOGIE UND GESCHICHTE

Band 12

Verlag Archäologie und GeschichteHeidelberg

2007

Römische BilderweltenVon der Wirklichkeit zum Bild und zurück

Kolloquium der Gerda Henkel Stiftungam Deutschen Archäologischen Institut Rom

15. – 17. März 2004

Herausgegeben vonFernande und Tonio Hölscher

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Inhalt

Vorwort 9

Paolo Liverani, Tradurre in immagini. 13

Fernande Hölscher, Götterstatuen bei Lectisternien und Th eoxenien? 27

Alexander Heinemann, Eine Archäologie des Störfalls. Die toten Söhne des Kaisers in der Öff entlichkeit des frühen Prinzipats 41

Tonio Hölscher, Fromme Frauen um Augustus. Konvergenzen und Divergenzen zwischen Bilderwelt und Lebenswelt 111

Katja Moede, Der Augustusbogen von Susa. Römische Rituale außerhalb Roms 133

Hannelore Rose, Vom Ruhm des Berufs. Darstellungen von Händlern und Handwerkern auf römischen Grabreliefs in Metz 145

Albrecht Matthaei, Polis und Imperium Romanum. Die Stadtrepräsentantendes sog. Parthermonuments von Ephesos 181

Giulia Baratta, La mandorla centrale dei sarcofagi strigilati. Un campo iconografi co ed i suoi simboli 191

Annette Haug, Spätantike Stadtbilder. Ein Diskurs zwischen Topik und Spezifi k 217

Massimiliano Papini, Decorum antico e moderno. La „Hall des Gladiateurs“ di Casa Rosenberg a Parigi e i mosaici a soggetto anfi teatrale nei triclinia di epoca imperiale 251

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La mandorla centrale dei sarcofagi strigilatiUn campo iconografico ed i suoi simboli

Giulia Baratta

Introduzione�

Il lavoro presentato in questa sede è parte di una ricerca sviluppata nell’ambito del programma „Bilderwelt – Lebenswelt im antiken Rom und im Römischen Reich“ diretto da Tonio Hölscher,

che aveva lo scopo di analizzare alcuni aspetti dell’autorappresentazione, la Selbstdarstellung, di specifiche categorie di lavoratori tramite l’uso di simboli allusivi ai loro mestieri sui monumenti funerari soprattutto di ambito urbano. In questo contributo si è voluto dare particolare risalto alla raffigurazione della botte presente nelle mandorle centrali di un consistente gruppo di sarcofagi strigilati di produzione urbana. Si tratta di un materiale di ricerca particolarmente interessante non solo per la consistenza numerica ma anche per l’omogeneità di provenienza e di cronologia. Inoltre suscita interesse il fatto che questo genere di sarcofagi caratterizzati dalla presenza di una mandorla nel punto di incontro degli strigili contrapposti nell’immaginario comune del medio e tardo impero sembra configurarsi talvolta come il sarcofago tipo come suggeriscono le raffigurazioni di sarcofagi a mandorla centrale, ornati in alcuni casi anche con una botticella, nell’ambito di scene presenti nel programma iconografico di altri sarcofagi cui in questa sede, per ovvi motivi di spazio, può solo essere fatto un breve accenno. Inoltre la raffigurazione della botte colpisce l’attenzione poiché nell’Urbe e nel suo territorio al di fuori di queste testimonianze trova scarsissime attesta-zioni non solo iconografiche ma anche di tipo epigrafico ed archeologico. Per una corretta lettura e dunque interpretazione di questo simbolo è stato necessario contestualizzare i sarcofagi presi in esame nell’ambito della più vasta categoria di quelli strigilati in particolare, ovviamente, delle serie con mandorla centrale. L’analisi comparata delle altre raffigurazioni presenti nelle mandorle e della restante iconografia che caratterizza questi sarcofagi consente di rivedere l’opinio recepta secondo

Abbreviazioni:Arias – Cristiani – Gabba, Camposanto P. E. Arias – E. Cristiani – E. Gabba, Camposanto monumentale di Pisa

(1977).Christern-Briesenick, Repertorium B. Christern-Briesenick, Repertorium der christlich-antiken Sarkophage

III. Frankreich, Algerien, Tunesien (2003).Deichmann, Repertorium F. W. Deichmann (ed.), Repertorium der christlich-antiken Sarkophage I.

Rom und Ostia (1967).Dufour Bozzo, Sarcofagi romani C. Dufour Bozzo, Sarcofagi romani a Genova (1967).Guerrini – Gasparri, Palazzo del Quirinale L. Guerrini – C. Gasparri, Il Palazzo del Quirinale. Catalogo delle sculture

(1993).Herdejürgen, Girlandensarkophage E. Herdejürgen, Stadtrömische und italische Girlandensarkophage. Die

Sarkophage des ersten und zweiten Jahrhunderts. ASR VI, 2, 1 (1996).Koch – Sichtermann, Sarkophage G. Koch – H. Sichtermann, Römische Sarkophage. HdArch (1982).Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage P. Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage. ASR V, 4 (1984).MNR A. Giuliano (ed.), Museo Nazionale Romano. Le sculture (1979-1995) 12

vol.Stroszeck, Löwen-Sarkophage J. Stroszeck, Löwen-Sarkophage. Sarkophage mit Löwenköpfen, schreiten-

den Löwen und Löwen-Kampffiguren. ASR VI, 1 (1991).Wegner, Die Musensarkophage M. Wegner, Die Musensarkophage. ASR V, 3 (1966).Wilpert, Sarcofagi cristiani G. Wilpert, I sarcofagi cristiani antichi I-III (1929-1936).

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la quale la botte costituisce un elemento funzionale all’autorappresentazione del defunto attraverso un simbolo dell’attività lavorativa svolta in vita.

I sarcofagi e i temi iconografici presenti nelle mandorle

I sarcofagi strigilati costituiscono una ben nota produzione che si sviluppa con particolare frequenza a partire dalla fine del II secolo d. C. soprattutto nell’Urbe ma che è attestata anche in altre zone della penisola italiana e dell’impero. In questi pezzi, che appartengono ai gruppi dei „Kastensarkophage“ e dei „lenoi“ o „Wannensarkophage“�, la fronte, e più raramente anche le pareti laterali, sono deco-rate con scanalature ondulate�. Nell’ambito di questa vasta categoria si distingue un gruppo in cui gli strigili hanno un andamento antitetico a partire dalle due estremità della fronte del sarcofago e nel loro punto di incontro, in genere in alto al centro�, creano un piccolo campo vuoto dalla forma di una mandorla�. Questi sarcofagi sono inquadrabili cronologicamente tra la fine del II secolo d. C. ed i primi decenni del IV secolo d. C. con una particolare concentrazione nella seconda metà del III secolo d. C.

I Kastensarkophage oltre a questo spazio centrale presentano altri campi decorati alle due estre-mità della fronte in cui possono ricorrere elementi architettonici o scene figurate di varia natura�, mentre i lati corti sono ornati con grifoni, cesti, scudi incrociati ecc. – o, come accade in molti casi, sono privi di decorazione. Per quanto concerne i „lenoi“, invece, il campo degli strigili è inqua-drato generalmente da protomi leonine, scene di lotta tra leoni ed altri animali o leoni e personale dell’arena�.

La mandorla può assumere diverse forme e variare nella proporzione rispetto agli strigili che la formano a seconda della loro curvatura, della loro altezza e della loro conformazione. I campi che si formano nel punto di incontro degli strigili contrapposti, infatti, possono essere larghi o, al contrario, estremamente stretti, avere un bordo proprio o essere delimitati da quello dello strigile, avere le due estremità, o talvolta solo una, aperte o chiuse. In questa sede non è opportuno insistere sulle numerose varianti tipologiche che il piccolo campo può assumere, poichè esse sono ininfluenti rispetto al programma iconografico che lo caratterizza. Va sottolineato però che mentre alcune mandorle si prestano molto bene ad accogliere un repertorio figurato, perché hanno una superficie relativamente ampia, altre, a prima vista, sembrano del tutto inadatte. Ciononostante il fatto che comunque vi siano inseriti dei motivi iconografici, talvolta solo accennati, denota una precisa volontà

� Sulle teorie circa l’origine ed il significato della decorazione a strigili e sulle varianti di questa classe di sarcofagi vedi Koch – Sichtermann, Sarkophage 73-76 e 241-245. Vedi inoltre M. Gütschow, „Sarkophag-Studien 1“, RM 46 (1931) 114-118. Stroszeck, Löwen-Sarkophage 28. Più in generale circa l’origine e lo sviluppo della produzione di sarcofagi a Roma vedi H. Brandenburg, „Der Beginn der stadtrömischen Sarkophagproduktion der Kaiserzeit“, JdI 93 (1978) 277-327.

� Queste scanalature in italiano sono dette strigili, da cui il termine „sarcofagi strigilati“, perché la forma ricorda quella dello strumento usato dagli atleti per detergersi dopo le gare.

� Fa eccezione un ristretto numero di sarcofagi, cfr. ad esempio G. Pesce, Sarcofagi romani di Sardegna (1957) nr. 48. Herdejürgen, Girlandensarkophage nr. 119. Deichmann, Repertorium 403, oltre ad un frammento conservato in Vaticano, I. Di Stefano Manzella, Inscriptiones Sanctae Sedis I. Index inscriptionum Musei Vaticani 1. Ambulacrum Iulianum sive „Galleria lapidaria“ (1995) fig. 24b, 93; DAI Inst Neg. 31.228.

� Vedi i tipi in Koch – Sichtermann, Sarkophage 74 nr. 3, 4, e 14.� Cfr. a questo proposito un primo catalogo, di prossima pubblicazione, in cui sono raccolti, secondo i soggetti presenti

nelle mandorle, i sarcofagi strigilati a mandorla centrale. Le abbreviazioni di seguito elencate si riferiscono a questo catalogo e per uniformità sono utilizzate anche nel presente contributo: APS = Amore e Psiche; ANF = anfora; BPS = buon pastore; BTT = botte; CRN = corona; CRT = cratere; DFV = defunto / a con volumen; DLF = delfino; DXI = dextrarum iunctio; ERF = erote funerario; FLS = filosofo con musa; GST = genio stagionale; INC = pezzi incerti; ISC = iscritti; LCT = listello; NLG = non leggibili; ORT = orante; PCR = pecora; PLM = palmetta; VNR = Venere che scrive su scudo; VTO = mandorla vuota; VTT = vittoria che scrive su scudo.

� Per questa tipologia di sarcofagi vedi Stroszeck, Löwen-Sarkophage 26-100.

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di occuparne lo spazio, seppure estrema-mente ristretto, con una immagine.

La mandorla, dunque, costituisce una piccola superficie in cui inserire un motivo figurato, un vero e proprio campo iconografico seppure di dimen-sioni estremamente ridotte. Per poterne comprendere l’uso e la funzione è neces-sario prendere in esame i soggetti che vi compaiono, di seguito presentati in un inventario, che qui non può che essere molto sintetico, e cercare di definirne il valore simbolico.

Allo stato attuale in 43 casi le mandorle si presentano vuote�. Alcune di queste sono caratterizzate da una forma piuttosto larga (fig. 1) e hanno una superficie interna lisciata, mentre altre ne hanno una più stretta ed il loro campo può avere una superficie ugualmente liscia oppure concava o convessa (fig. 2). In particolare per quanto riguarda questi ultimi casi è lecito supporre che il committente non abbia voluto utilizzare questo campo, che dunque rimane, per così dire, in bianco. Al contrario, per quanto riguarda le mandorle di forma larga e soprattutto gli esemplari che si caratterizzano per un campo liscio, non si può escludere che in origine fossero corredate da un repertorio iconografico dipinto, oggi perduto. Non si deve infatti dimenticare che i sarcofagi, al pari della restante scultura antica, erano dipinti come è evidente dalle tracce di policromia ancora presenti su alcuni pezzi�.

Il motivo più semplice presente nelle mandorle è costituito da un tratto verticale in rilievo nel punto di incontro degli strigili che divide il campo della mandorla in due metà e corrisponde, di fatto, all’asse centrale della fronte del sarcofago� (fig. 3). Si tratta, dunque, di un elemento tecnico, esclusivamente decorativo e privo di qualsiasi valore simbolico, inserito dall’officina di produzione

� Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage nr. 141, nr. 142. Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 1. nr. 10. nr. 35. nr. 43. nr. 44. nr. 60. nr. 64. nr. 191. nr. 242. nr. 254. nr. 345. nr. 347. nr. 351. G. Pesce, Sarcofagi, op. cit. (a nota 3) nr. 43. nr. 48. Wegner, Die Musensarkophage nr. 25. Dufour Bozzo, Sarcofagi romani nr. 9. nr. 27. V. Tusa, I sarcofagi romani di Sicilia (1995) nr. 72. Arias – Cristiani – Gabba, Camposanto nr. 233. Wilpert, Sarcofagi cristiani II tav. 247, nr. 11. Wilpert, Sarcofagi cristiani III tav. 276, nr. 1. Un frammento conservato nelle catacombe di S. Sebastiano. Un sarcofago conservato nel cortile della sede della Dante Alighieri a Roma. MNR I, 3, p. 96. MNR I, 8, p. 305. Herdejürgen, Girlandensarkophage nr. 119. Un sarcofago con i busti di Sol e Luna conservato nel Museo Nazionale Romano. Un sarcofago conservato al Museo Torlonia. Guerrini – Gasparri, Palazzo del Quirinale nr. 51. nr. 53. Un frammento di sarcofago murato nel chiostro di S. Lorenzo f. l. m. e due sarcofagi conservati nella cripta di S. Pras-sede a Roma. Wegner, Die Musensarkophage nr. 211. P. Zanker – B. Chr. Ewald, Mit Mythen leben. Die Bilderwelt der römischen Sarkophage (2004) 255, fig. 227. DAI Inst. Neg. 82.3287. DAI Inst. Neg. 70.3763. DAI Inst. Neg. 76.2912. DAI Inst. Neg. 69.620. DAI Inst. Neg. 68.468.

� Per il colore utilizzato nella scultura antica vedi ad esempio AA. VV., I colori del bianco. Policromia nella scultura antica (2004); più in particolare per i sarcofagi vedi ad esempio M. Sapelli, „I sarcofagi del Museo Nazionale Romano. Considerazioni su contesti di provenienza e dati tecnici“, in: G. Koch (ed.), Grabeskunst der römischen Kaiserzeit (1993) 224-226.

� Questo motivo ricorre in 12 casi. Vedi H. Sichtermann, „Provinzielles und Gefälschtes“, in: G. Koch (ed.), Akten des Symposiums 125 Jahre Sarkophag-Corpus (1998), tav. 50, 3. V. Tusa, sarcofagi romani, op. cit. (a nota 7) nr. 46. Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 27. nr. 161. nr. 167. nr. 168. nr. 242. nr. 323. Due esemplari conservati rispet-tivamene nelle catacombe di Domitilla e in quelle di S. Sebastiano. W. Amelung, Die Skulpturen des Vatikanischen Museums, I. Galleria lapidaria (1903) 285, nr. 162. DAI Inst. Neg. 31.228.

Fig. 1: Verona, Museo Archeologico

Fig. 2: Vaticano, Museo ex Lateranense

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del sarcofago, per il quale non si deve supporre una precisa scelta del commit-tente, se non quella di rinunciare ad una specifica simbologia.

Il restante repertorio iconografico presente in questo piccolo campo è costituito, invece, da diversi motivi figu-rati che ricorrono con frequenza varia-bile e ripropongono divinità e semidei, raffigurazioni del defunto o comunque di persone, animali ed oggetti (cfr. la tabella a p. 207).

Al gruppo delle divinità appartiene la Vittoria che scrive sullo scudo�0 che riprende il tipo della così detta Vittoria di Brescia a sua volta derivata dall’Afro-dite dell’Acrocorinto cui si ispira la nota replica dell’Afrodite di Capua��, presente nella mandorla di due sarco-fagi�� (fig. 4). Il tema non è infrequente in ambito funerario��, dove secondo un’accezzione comune la Vittoria personifica il trionfo sulla morte. In questo senso essa è garante del Fortleben del defunto assicurato anche dalla memoria delle res gestae, ovvero delle azioni compiute in vita, che la Vittoria scrive sul suo clipeo��. R. Vollkommer interpreta la Vittoria che ricorre in ambiente funerario come un simbolo di pace e felicità�� poiché la dea anche in ambito politico non simboleggia esclusivamente la vittoria in senso stretto, ma tutto quello che ne consegue: pace, clemenza, giustizia e pietas��.

�0 Sulla Vittoria vedi Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines V (1914) soprattutto 850-854 s. v. „Victoria“ (H. Graillot). T. Hölscher, Victoria Romana. Archäologische Untersuchungen zur Geschichte und Wesensart der römischen Siegesgöttin von den Anfängen bis zum Ende des 3. Jhs. n. Chr. (1967) 98-131, in particolare 112-113 nota 703. D. Musti, „Simbologia della Vittoria dall’ellenismo a Costantino“, RFil 128 (2000) 42-53.

�� Sulla Vittoria di Brescia cfr. T. Hölscher, Victoria, op. cit. (a nota 10) 122-126. T. Hölscher, „Die Victoria von Brescia“, AntPl X (1970) 67-80 tavv. 54-58. LIMC VIII 1 (1997) 242 nr. 29 s. v. „Victoria“ e VIII 2 tav. 169 fig. 29 (R. Vollkommer).

�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 19 e H. Stuart Jones, The Sculptures of the Museo Capitolino (1912) 23-24 tav. 1, 18.

�� Cfr. ad esempio F. Poulsen, Catalogue of Ancient Sculpture in the Ny Carlsberg Glyptotek (1951) 554 nr. 784 b. �� Il clipeo in senso di „Ehren-“ o „Ruhmesschild“ deriva dalla propaganda imperiale ed ha origine dal clipeus aureus

(virtutis) esposto nella Curia Iulia dopo l’assunzione del titolo di Augustus da parte di Ottaviano con il quale si volevano onorare la virtus, la clementia, la iustitia e la pietas che avevano caratterizzato la sua condotta. Sul clipeus virtutis e sulla sua evoluzione cfr. con molti riferimenti bibliografici S. Antolini, „L’altare con il clupeus virtutis da Potentia“, Picus 29 (2004) 9-15.

�� R. Vollkommer, Victoria, op. cit. (a nota 11) 269.�� Cfr. T. Hölscher, Victoria, op. cit. (a nota 10) 108.

Fig. 3: Vaticano, Museo ex Lateranense, Galleria Lapidaria

Fig. 4: Roma, Museo Capitolino

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Una variante della Vittoria�� che scrive sullo scudo è costituita da Venere�� (fig. 5) che ugualmente scrive su un clipeo��. La dea è raffigurata di tre quarti, stante, con un drap-peggio che le cinge i fianchi e le scende lungo le gambe, intenta a scrivere su uno scudo che tiene appoggiato sulla gamba sinistra solle-vata e posata su una roccia secondo un tipo che riprende quello della Venere di Capua�0. Venere non è una divinità estranea all’ambito funerario, dove talvolta si assiste ad una raffi-gurazione in formam deorum�� in particolare di defunte, che in questo modo vogliono assi-milarsi alla dea. Nel caso specifico il motivo iconografico va probabilmente letto ed inter-pretato in modo non dissimile dal precedente: anche in questo caso, infatti, sembra trattarsi di una garanzia della memoria e delle res gestae del defunto.

Cinque volte nel repertorio iconografico delle mandorle ricorre il mito di Amore e Psiche (fig. 6), un motivo che compare frequentemente sui sarcofagi romani sia in ambito pagano che in quello cristiano. I due sono raffigurati nell’atto di baciarsi secondo un tipo che risale ad un originale tardo-ellenistico conosciuto in diverse copie��. Nelle mandorle compaiono due varianti del noto gruppo: in una Amore accarezza il volto di Psyche, che a sua volta lo abbraccia cingendone la vita��, mentre nell’altra, in cui manca la carezza��, i due si abbracciano reciprocamente��. Psyche simboleggia l’anima dell’essere umano, la sua parte eterea perché non materiale e dunque immune dalla corru-zione della morte��. In ambito funerario rappresenta l’anima del defunto ed insieme ad Amore la vita originata dall’unione del corpo con l’anima, ovvero il ciclo vitale. La flessibilità nell’interpreta-zione del mito di Amore e Psyche ha permesso che venisse accolto anche in ambiente cristiano dove

�� Sulla sovrapposizione ed ambivalenza tra Venus Victrix e Victoria cfr. RE VIII 1 (1955) 864 s. v. „Venus“ (H. Gundel) e Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines V (1914) 735 s. v. „Venus“ (L. Séchan).

�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 93.�� Per un confronto vedi ad esempio un sarcofago licio conservato al Museo Nazionale di Atene: O. Broneer, The

„Armed“ Aphrodite on Acrocorinth and the Aphrodite of Capua (1930) 78 fig. 4. H. Wiegartz, Kleinasiatische Säulen-sarkophage (1965) 164-165.

�0 O. Broneer, The „Armed“ Aphrodite, op. cit. (a nota 19). Su Venere vedi anche H. Gundel, „Venus“, op. cit. (a nota 17) 828-892.

�� H. Wrede, Consecratio in formam deorum. Vergöttlichte Privatpersonen in der römischen Kaiserzeit (1981). R. Schil-ling, Dans le sillage de Rome. Religion, Poésie, Humanisme (1988) 171-173.

�� Cfr. ad esempio H. Stuart Jones, The Sculptures of the Museo Capitolino (1912) 185-186 nr. 3 tav. 45. �� Cfr. un sarcofago frammentario conservato nella basilica di S. Agnese a Roma. J. Chamay – J.-L. Maier, Art romain.

Sculptures en pierre du Musée de Genève II (1989) 69-79 nr. 86.�� S. De Caro, I Campi Flegrei, Ischia, Vivara. Storia e archeologia (2002) 62. Wegner, Die Musensarkophage, nr. 193.

Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 346.�� Per la presenza di questo tema sui sarcofagi vedi F. Gerke, Die christlichen Sarkophage der vorkonstantinischen Zeit

(1940) 12 nota 5 (con i riferimenti ai pezzi in C. Robert, ASR III, 1-3 [1897-1919]). 28-29 e tav. 42, 3-4. C. Ver-meule, „Roman Sarcophagi in America: A Short Inventory“ in: Festschrift F. Matz (1962) 104. Sul repertorio icono-grafico vedi LIMC VII 2 (1994) 436-461, in particolare 455-458 s. v. „Psyche“ (N. Icard-Gianolio). C. C. Schlam, Cupid and Psyche: Apuleius and the Monuments (1976) tavv. IV-XVI. Per alcuni confronti vedi a titolo di esempio L. Musso, „Frammento di sarcofago con erote musicante“, MNR I 10 (1988) 120-122 nr. 141.

�� Sul valore di Amore e Psiche vedi F. Cumont, Recherches sur le symbolisme funéraire des Romains (1942) 319 nota 8. N. Icard-Gianolio, „Psyche“, op. cit. (a nota 25) 583-585.

Fig. 5: Roma, Palazzo Barberini, perduto

Fig. 6: Roma, via dei Condotti

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simboleggia la salvezza dell’anima che si riscatta dopo dure prove e penitenze grazie all’amore divino e pertanto rappresenta la speranza in una vita futura e nella salvezza finale.

In quattro casi nelle mandorle è raffi-gurato l’erote funerario con la fiaccola abbassata�� (fig. 7), un soggetto di origine ellenistica frequente in ambito funerario seppure non esclusivo di questo��. Nelle mandorle l’erote è raffigurato secondo uno schema molto consueto, cioè stante con le gambe incrociate ed appoggiato alla fiaccola la cui asta termina sotto la sua ascella sinistra. La mano destra è posata sulla spalla opposta e su di essa è reclinata, come per riposarsi o dormire, la testa��. L’erote funerario con la torcia abbassata allude allo spegnersi della luce vitale, al trapasso verso il buio della morte; il suo atteggiamento evoca il sonno che simbo-leggia l’idea della morte stessa�0.

Tra gli elementi iconografici di questo campo sono presenti in cinque casi anche i geni stagionali��. Questi, che compaiono sempre singolarmente, sono rappresentati a figura intera come nel caso dei sarcofagi di Ostia e di Villa Ada�� oppure a mezzo busto emergente dall’acanto�� (fig. 8). I loro attributi non sono costanti. Ad Ostia, ad esempio, il genio ha un cesto di frutta nella mano sinistra e due ghirlande trattenute nella destra abbassata��, secondo un’iconografia che ricalca quella del genio della primavera��; quello di Villa Ada��, invece, tiene nella mano destra abbassata un grappolo di uva, allusivo all’autunno, e con la sinistra regge il suo mantello nelle cui pieghe sono collocati altri frutti��, mentre il genio a mezzo busto di S. Stefano Pieve�� porta nella mano destra

�� Deichmann, Repertorium nr. 646; un frammento di sarcofago conservato nelle catacombe di Domitilla; Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage nr. 144; Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 350.

�� LIMC III 1 (1986) 974 s. v. „Eros, Amor, Cupido“ (N. Blanc – F. Gury).�� G. L. Marchini, „Rilievi con geni funebri di età romana nel territorio veronese“, in: Il territorio veronese in età

romana. Atti (1973) 363. �0 Cfr. R. Stuveras, Le putto dans l’art romain, Latomus 99 (1969) 33. G. L. Marchini, „Rilievi con geni funebri“, op.

cit. (a nota 29) 364. 388-391. N. Blanc – F. Gury, „Eros, Amor, Cuido“, op. cit. (a nota 28) 1047.�� R. Garucci, Storia della arte cristiana nei primi otto secoli della chiesa V (1879) tav. 397, 8. MNR I, 3, 73. Kranz,

Jahreszeiten-Sarkophage nr. 145. Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 193, nr. 235. �� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 193, nr. 235. �� Per questa iconografia cfr. M. Sapelli, „Fianco di sarcofago con genio stagionale“, MNR I 10 (1988) 169-171

fig. 185. Sui ritratti ed i busti emergenti dalle foglie di acanto vedi H. Jucker, Das Bildnis im Blätterkelch. Geschichte und Bedeutung einer römischen Porträtform (1961) 133-178.

�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 235.�� Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage 122.�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 193.�� Per un confronto iconografico vedi ad esempio un sarcofago di Tunisi ed uno di Pisa, in Kranz, Jahreszeiten-

Sarkophage 288 nr. 590 tav. 125, 2 e p. 187 nr. 12 tav. 5, 3.�� Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage nr. 145.

Fig. 7: Roma, catacombe di Pietro e Marcellino

Fig. 8: Roma, Museo Nazionale

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una falce, attributo identificativo dell’estate. Per la corrosione della superficie litica, in un caso, e per lo stato frammentario del pezzo, nell’altro, non sono invece più identificabili gli oggetti caratteriz-zanti i geni raffigurati rispettivamente nelle mandorle del sarcofago conservato al Museo Nazionale Romano�� e in quello dell’ex museo Kircheriano�0. Trattandosi in tutti questi casi di raffigurazioni di singoli eroti, che non sono inserite in un ciclo stagionale vero e proprio, è probabile che vada loro attribuito un valore generico, legato non tanto ad una singola stagione quanto piuttosto al ciclo stagionale nel suo insieme che allude al ciclo vitale con la sua alternanza di vita e di morte, come è frequente nell’iconografia delle stagioni a partire dal II secolo d. C. e soprattutto nel III secolo d. C.

Al gruppo di soggetti legati alla persona del defunto o comunque al mondo degli uomini appartiene la raffigurazione della dextrarum iunctio (fig. 9) che ricorre su due sarcofagi��. Questa è riproposta secondo uno schema piuttosto semplice che prevede solo le due figure di coniugi nell’atto di unire le loro mani. In entrambi i casi il marito è raffigurato sul lato sinistro della mandorla ed indossa una toga mentre la moglie occupa il lato destro dello spazio compositivo ed è abbigliata con un chitone che le copre anche il capo��. Si tratta anche in questo caso di un tema frequente nell’iconografia funeraria che ricorre dall’età repubblicana al tardo impero��. La dextrarum iunctio nel mondo romano costituisce uno dei momenti salienti delle cerimonie nunziali. In ambito funerario, però, il gesto non vuole simboleggiare tanto il matrimonio come istituzione quanto piuttosto l’unione e la fedeltà degli sposi e pertanto costituisce una allegoria della fides, della concordia e dell’omonoia, un valore che può andare anche al di là della sola unione tra uomo e donna come dimostra il fatto che talvolta nell’atto della dextrarum iunctio sono raffigurate persone dello stesso sesso��. Non è escluso, inoltre, che il gesto possa rappresentare un addio, inteso come congedo del vivo dal defunto��.

Uno dei motivi iconografici più complessi presenti nelle mandorle è quello del „filosofo“ con musa�� (fig. 10), attestato in un solo caso��, che costituisce una delle varianti del più ampio tema delle scene di lettura, riconducibili ad almeno tre gruppi principali. Uno caratterizza i sarcofagi infantili sui quali in genere è raffigurato il piccolo defunto intento alla lettura sotto la sorveglianza del padre o del pedagogo, con cui si vuole alludere ad una delle tappe più importanti della crescita e della formazione dell’individuo costituita dall’apprendimento scolare. Negli altri due le scene di

�� Vedi S. A. Dayan, „Piccolo sarcofago a lenos strigilato“, MNR I 3 (1982) 73-74 secondo cui regge una fiaccola.�0 R. Garucci, Storia della arte cristiana op. cit. (a nota 33) tav. 397, 8. MNR I, 3, 73.�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage, nr. 313 e 51.�� Sulla posizione dei coniugi ritratti nell’atto della dextrarum iunctio nell’iconografia funeraria romana vedi R. Stup-

perich, „Zur dextrarum iunctio auf frühen römischen Grabreliefs“, Boreas 6 (1983) 148.�� Per una panoramica sulla diffusione del tema vedi L. Reekmans, „La dextrarum iunctio dans l’iconographie romaine

et paléochrétienne“, Bulletin de l’Institut Historique Belge de Rome 31 (1958) 23-24 e D. Manacorda, „Altorilievo sepolcrale con scena di dextrarum iunctio“, Studi Miscellanei 22 (1976) 121-122. Vedi inoltre A. Rossbach, Römische Hochzeits- und Ehedenkmäler (1871).

�� Per i riferimenti a questi pezzi vedi R. Stupperich, dextrarum iunctio, op. cit. (a nota 42) 150 nota 40.�� Sui valori della dextrarum iunctio vedi V. Macchiorio, Simbolismo nelle figurazioni sepolcrali romane (1909) 69-70.

L. Reekmans, dextrarum iunctio, op. cit. (a nota 43) 23-95, particolarmente 27-28 e 88-91. LIMC V 1 (1990) 495-498 s. v. „Homonoia/Concordia“ (T. Hölscher).

�� Vedi il gruppo C della classificazione di B. C. Ewald, Der Philosoph als Leitbild. Ikonographische Untersuchungen an römischen Sarkophagreliefs (1999) 42-48 e 151-166.

�� DAI Inst. Neg. 40.238.

Fig. 9: Roma, Palazzo Colonna

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lettura sono volte a sottolineare rispetti-vamente l’interesse all’arte e alla lettera-tura e nei casi in cui il defunto è ritratto con l’aspetto di filosofo piuttosto alla filosofia intesa nel senso più ampio della concezione del termine��. Quest’ultimo è un tema frequente nell’ambito del-l’iconografia funeraria profana che trova continuità in ambiente cristiano nelle immagini di Cristo e Pietro docenti��. Anche nella mandorla del sarcofago del-l’Antiquarium comunale è raffigurato un uomo caratterizzato da una lunga barba seduto con le gambe accavallate e vestito con una tunica che gli lascia scoperto il petto e con un volumen nella mano sinistra. Gli sta di fronte una figura femminile appoggiata ad una colonna che per l’atteggiamento può essere identificata con Polimnia. La mandorla è chiusa in alto da una conchiglia, mentre la parte inferiore è caratterizzata dalla presenza di una sorta di capitello cui fa seguito una linea di demarcazione che costituisce il piano su cui poggiano i due personaggi�0. La scelta del motivo iconografico è dunque volta a sottolineare la conoscenza soprattutto filosofica del defunto e la sua sapienza. Meno probabile appare, invece, l’ipotesi sostenuta in passato da Th. Birt�� che si riflette nella concezione degli ultima die fata scribunda advocantur (Tert. an. 39, 2) e trova riscontro anche in un passo di Marziale (10, 46, 6), secondo la quale il volumen rappresenterebbe il libro della vita che viene scritto dalle Parche, una delle quali è rappresentata secondo H. Dütschke�� dalla figura ritratta nell’atteggiamento di Polimnia, e che una volta redatto è consegnato al defunto a simboleggiare, appunto, la fine della sua vita.

Il repertorio iconografico delle mandorle comprende anche la figura del defunto con un volumen in mano. In un caso si tratta di una donna stante�� e negli altri tre di uomini di cui due seduti�� ed uno raffigurato in piedi�� (fig. 11) secondo un’iconografia consueta in ambito funerario. Il volumen in molti casi può essere rappresentativo del mestiere svolto in vita dal defunto, ma si deve ritenere che in determinati contesti assuma un valore più generico, in particolare quando costituisce l’unico attributo della figura, come accade nelle mandorle. In questo caso si può supporre che alluda piut-tosto a specifiche qualità morali ed alla sapienza del defunto, soprattutto quella filosofica, ai suoi

�� Cfr. a questo proposito Th. Klauser, „Studien zur Entstehungsgeschichte der klassischen Kunst III“ JbAC 3 (1960) 112-127. Sulla literacy, sul ruolo della scuola, sulla diffusione dei testi scritti e sulla loro recezione nella Roma antica vedi W. V. Harris, Ancient Literacy (1989) 175-284. Vedi anche B. C. Ewald, Der Philosoph als Leitbild, op. cit. (a nota 46), 66 secondo cui il così detto filosofo è una figura allegorica nella quale confluiscono gli elementi positivi della vita pastorale e dell’ambito filosofico.

�� Per un confronto della scena vedi ad esempio Arias – Cristiani – Gabba, Camposanto (1977) 138, C 10 est, LXXVIII 164, della II metà del III secolo d. C. Wegner, Musensarkophage nr. 53. 79. 81. 115 e p. 133-138. Sul soggetto vedi inoltre L. Faedo, „Un sarcofago con poeta e Musa“, Prospettiva 12 (1978) 43-46.

�0 In molti casi la scena è completata dalla presenza di un orologio solare probabilmente simbolo dello scorrere del tempo e dunque della vita, che nel nostro caso manca a meno che non si voglia interpretare come tale, e non come semplice motivo decorativo, la conchiglia che chiude la mandorla verso l’alto. Per il significato della meridiana vedi H. Dütschke, Ravennatische Studien (1909) 150. B. C. Ewald, Der Philosoph als Leitbild, op. cit. (a nota 46) 66 e, per una panormaica sul soggetto, i numerosi esempi citati.

�� Th. Birt, Die Buchrolle in der Kunst. Archäologisch-antiquarische Untersuchungen zum antiken Buchwesen (1907) 108.

�� H. Dütschke, Ravennatische Studien, op. cit. (a nota 50) 146-149.�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 212.�� Wilpert, Sarcofagi cristiani I tav. 44, 2. Deichmann, Repertorium 629.�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 148.

Fig. 10: Roma, Antiquarium Comunale

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valori etici ed alle sue virtù, aspetti derivati dal lavoro intellettuale e dalla conoscenza delle scritture, in modo analogo al motivo iconografico precedente��.

L’iconografia delle mandorle propone in tre casi anche il soggetto dell’orante�� (fig. 12). L’orante è in genere una figura femminile rappresentata frontalmente, velato capite, con i gomiti piegati e le palme delle mani rivolte in avanti in atteg-giamento di preghiera. Si tratta di un tipo molto frequente in ambiente profano, ampiamente recepito poi in ambito cristiano��, che, come scrive Th. Klauser, allude in genere alle virtù della eusebeia o della pietas. In alcuni casi può anche rappresentare lo stesso defunto, come dimostra il fatto che talora ne riproduce i tratti somatici e che l’orante può anche essere una figura maschile��. Secondo F. Matz, invece, la figura in atteggiamento di preghiera costituisce piuttosto un simbolo di apoteosi�0.

Nel campo formato dall’incontro tra gli strigili contrapposti è attestata nove volte la figura così detta del buon pastore�� (fig. 13). Questo è un tema iconografico molto dibattuto che costituisce, tra l’altro, una delle immagini più significative ed importanti dell’iconografia cristiana. Infatti la figura del pastore derivata dalla tradizione idillico-bucolica di epoca ellenistica ed imperiale, veico-lata da concezioni diffuse nelle comunità cristiane nel II-III secolo d. C., che tendevano ad identi-ficare Cristo con un pastore ed i fedeli con un gregge, viene recepita e diffusa in quello cristiano��.

�� Circa l’interpretazione delle scene di lettura vedi Th. Klauser, „Studien III“, op. cit. (a nota 48) 122-127. Sul volumen vedi Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines V (1914) 965-968 s. v. „volumen“ (A. G. Lafaye).

�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 271. G. Bovini, I sarcofagi paleocristiani della Spagna (1954) 77-82. R. Garucci, Storia della arte cristiana op. cit. (a nota 33) tav. 319, 2.

�� Sulla tendenza ad interpretare l’orante ed in genere i simboli presenti in ambiente cristiano come originali ed indipendenti dalla tradizione iconografica pagana e profana vedi G. Otranto, „Note sul buon pastore e sull’orante nell’arte cristiana antica (II-III secolo)“, Vetera Christianorum 26 (1989) 74-75 e la bibliografia citata nelle note. Per una sintesi sull’iconografia dell’orante vedi di recente G. Koch, Frühchristliche Sarkophage. HdArch (2000) 21-22.

�� Th. Klauser, „Studien zur Entstehungsgeschichte der christlichen Kunst II“, JbAC 1 (1959) 115-145 in particolare p. 130. Klauser, „Studien III“, op. cit. (a nota 48) 125.

�0 F. Matz, „Das Problem der Orans und ein Sarkophag in Cordoba“, MM 9 (1968) 300-310, in particolare 307. Sull’orante vedi inoltre E. Stommel, Beiträge zur Ikonographie der konstantinischen Sarkophagplastik (1954) 32-41. F. Bisconti, „Contributo all’interpretazione dell’atteggiamento di orante“, Vetera Christianorum 17 (1980), in parti-colare 23-25. F. Bisconti, „La rappresentazione dei defunti nelle incisioni sulle lastre funerarie paleocristiane aqui-leiesi e romane“, Antichità Altoadriatiche 30 (1987) 294 e la bibliografia citata a nota 20. M. Pardyová, „L’orante. Quelques réflections sur le plus spécifique symbole de l’art paléochretien“, Sborník prací filozofické faculty brněnské univerzity 36 (1991) 169-182.

�� Stroszek, Löwensarkophage nr. 37. 66. 116. 162. Arias – Cristiani – Gabba, Camposanto fig. 72, fig. 238. G. Pesce, Sarcofagi romani op. cit. (a nota 3) 60. Wilpert, Sarcofagi cristiani I tav. 80, nr. 5. Deichmann, Repertorium nr. 851

�� Sull’interpretazione di questo simbolo e sulla storia degli studi vedi G. Koch, Frühchristliche Sarkophage, op. cit. (a nota 58) 15-20 e la sintesi con ricca bibliografia di G. Otranto, „Note sul buon pastore”, op. cit. (a nota 58) 72-87 e Th. Klauser, „Studien zur Entstehungsgeschichte der christlichen Kunst VIII“, JbAC 8-9 (1965-1966) 129-170.

Fig. 11: Vaticano, Museo, Belvedere

Fig. 12: Roma, catacombe di Domitilla

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Secondo Th. Klauser in ambito profano il buon pastore è l’espressione di un ideale di vita bucolico in cui si riflette anche la virtù stoica della philantropia ovvero dell’humanitas o della pietas erga homines��, mentre per W. N. Schu-macher��, seguito anche da A. Provoost��, il pastore allude piuttosto alla vita pacifica. Più genericamente il buon pastore è, come scrive P. Zanker „Kürzel für eine Glücksvision“��.

Nel gruppo degli animali costituisce un caso unico quello raffigurato nella mandorla del sarcofago di Piazza Capo di Ferro�� che, per il cattivo stato di conservazione, dovuto soprat-tutto al riutilizzo del sarcofago come fontana, non risulta di facile identificazione (fig. 14). Se fosse corretta l’interpretazione tradizionale dell’animale come capra�� si potrebbe avan-zare l’ipotesi che esso sia un simbolo stagionale legato alla primavera o all’autunno le cui perso-nificazioni sono spesso accompagnate da una capra�� o più ancora che sia rappresentativa di uno specifico mese. In questo caso si potrebbe pensare a marzo che, secondo una iconografia tarda, riccamente illustrata nel calendario del 354, è rappresentato per mezzo di un perso-naggio maschile, un pastore vestito di una pelle di capra, che ha tra i suoi attributi proprio questo animale�0. Se, invece, come sembra da un esame autoptico del sarcofago, dovesse trattarsi di una pecora o di un ariete il suo valore simbolico sarebbe differente. La pecora potrebbe rappresentare un animale sacrificale, l’attributo per eccellenza del buon pastore o forse un simbolo che in ambiente cristiano prelude all’agnus dei��.

�� Th. Klauser, „Studien zur Entstehungsgeschichte der christlichen Kunst I“, JbAC 1 (1958) 37-44. Th. Klauser, „Studien III“, op. cit. (a nota 48) 125. Vedi anche J. Quasten, „Der Gute Hirt in frühchristlicher Totenliturgie und Grabeskunst“, in: Miscellanea Giovanni Mercati I. Bibbia – letteratura cristiana antica (1946) 373-406.

�� W. N. Schumacher, Hirt und Guter Hirt. Römische Quartalschrift Suppl. 34 (1977), in particolare 88. Vedi anche W. N. Schumacher, „Zur Frage nach dem Ursprung des Hirtenbildes auf römischen Sarkophagen“, Atti del IX Congresso internazionale di Archeologia Cristiana II (1978) 495-505.

�� A. Provoost, „Il significato delle scene pastorali del terzo secolo d. C.“, in: Atti del IX Congresso internazionale di Archeologia Cristiana I. I monumenti cristiani precostantiniani (1978) 407-431.

�� P. Zanker, Mit Mythen leben (2004) 171.�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 110.�� Cfr. Stroszeck, Löwen-Sarkophage 118 nr. 110. F. Matz – F. v. Duhn, Antike Bildwerke in Rom mit Ausschluss der

grösseren Sammlungen II (1881) 176 nr. 2676.�� Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage 123.�0 Vedi in particolare oltre al calendario del 354 quelli di Ostia del IV secolo ed uno perduto di Cartagine datato al

V secolo, cfr. H. Stern, „Les calendriers romains illustrés“, ANRW II 12, 2 (1981) 457-458. 462. 467. 468-469 tab. I. M. R. Salzman, On Roman Time. The Codex-calendar of 354 and the Rhythms of Urban Life in Late Antiquity (1990).

�� Circa l’agnus dei vedi J. L. Opie, „Agnus dei“, in: Ecclesiae Urbis. Atti del congresso internazionale di Studi sulle chiese di Roma (IV-IX secolo) III (2002).

Fig. 14: Roma, Piazza Capo di Ferro

Fig. 13: Roma, Campo Santo Teutonico

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Più frequente nell’ambito dell’iconografia animale è invece il delfino che può essere raf-figurato di profilo o frontalmente, con la testa rivolta verso il basso�� (fig. 15), oppure con il corpo girato a spirale attorno al tridente, attri-buto di Nettuno��. L’animale, che costituisce un elemento ricorrente nella decorazione di ambito funerario, simboleggia l’acqua e soprat-tutto il mare e, in senso più ampio, allude ad un viaggio felice, sicuro e rapido verso l’isola dei beati. Il delfino, infatti, è un simbolo beneau-gurante e salvifico, poiché, nell’immaginario comune, è colui che indica la via ai marinai e strappa ai pericoli del mare numerosi eroi por-tandoli a riva sulla sua schiena��. Secondo G. Rodenwaldt il delfino incarna anche l’idea di fedeltà e dell’amore coniugale��.

L’immagine del delfino ricorre frequente-mente anche in ambito cristiano su sarcofagi, lastre di loculo ed affreschi nelle catacombe��. Per la sua valenza in questo contesto sono state proposte diverse letture: se non è escluso che il delfino mantenga il significato che aveva in ambiente pagano e profano di simbolo del mare, della fedeltà, della fortuna e dell’amore è stata anche avan-zata l’ipotesi che esso, quale , possa simboleggiare Christo o che le immagini dell’animale che con il corpo gira intorno al tridente costituiscano un occulto richiamo a Gesù in croce��.

In un caso nella mandorla è inserita una protome leonina�� (fig. 16), un soggetto consueto in ambito funerario. La testa di leone compare frequentemente sui lenoi dove sembra abbia una funzione soprattutto decorativa mutuata dalle bocche di uscita del mosto delle vasche di pigiatura dell’uva da cui si ipotizza derivi questa tipologia di sarcofago��. L’animale esprime forza e potere, custodisce e protegge la tomba ed acquista per queste sue caratteristiche un valore apotropaico.

Al gruppo degli oggetti appartiene la corona�0 (fig. 17). Si tratta di un simbolo estremamente frequente nel repertorio iconografico funerario. La corona, dono e simbolo di vittoria, richiama

�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 137, nr. 317, nr. 358 e DAI Inst. Neg. 66.1115.�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 309.�� Sulla simbologia del delfino vedi: Ch. Picard, „Le Génie aux griffons et aux dauphins“, Bull. Arch. Alex. 10 (1938-

1939) 17. F. Cumont, Symbolisme, op. cit. (a nota 26) 157. RAC III (1957) 674-675 s. v. „Delphin“ (E. Diez). Der Neue Pauly 3 (1997) 400-401 s. v. „Delphin“ (Chr. Hünemörder). E. Stebbins Burr, The Dolphin in Literature and Art of Greece and Rome (1929) 81-83. 121. 123. V. Macchiorio, Simbolismo, op. cit. (a nota 45) 72-73. Sulla ripresa del soggetto del delfino in ambito cristiano vedi E. Diez, op. cit. 678-682.

�� G. Rodenwaldt, „Ein Typus römischer Sarkophage“, BJb 147 (1942) 222.�� Vedi Dictionnaire d’Archéologie chrétienne et de liturgie IV (1920) 283-295 s. v. „dauphin“ (H. Leclercq). E. Diez,

„Delphin“, op. cit. (a nota 74) 678-682.�� A. Mercati – A. Pelzer (edd.), Dizionario Ecclesiatico I (1953) 829-830 s. v. „delfino“.�� Il sarcofago è attualmente riutilizzato come fontana all’interno del cortile di un palazzo di via Giulia a Roma.�� Stroszek, Löwen-Sarkophage 26-33.�0 V. Tusa, I sarcofagi romani, op. cit. (a nota 7) nr. 122.

Fig. 15: Roma, Villa della contessa Margarucci presso S. Sabina

Fig. 16: Roma, Via Giulia

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l’idea di immortalità ed allude al trionfo sulla morte e, in ambiente cristiano, più specificatamente alla gloria��.

Anche la palma costituisce un motivo molto frequente del repertorio iconografico funerario che ricorre sia su sarcofagi che su urne cinerarie�� e due volte come riempitivo della mandorla centrale dei sarcofagi strigi-lati. La palmetta del sarcofago di Gaeta�� (fig. 18) è caratterizzata da un bottone centrale con evidenti segni di lavorazione a trapano, da cui si dipartono otto foglie ed un fiore centrale mentre quella che orna la mandorla del sarcofago conservato al Quiri-nale�� risulta decisamente più stilizzata. Nonostante le profonde differenze stili-stiche e di bottega il valore simbolico rimane comunque invariato. La palma è un dono di vittoria di cui costituisce anche l’emblema e, come la corona, simboleggia il trionfo sulla morte��, inteso come sopravvivenza garan-tita dalle azioni compiute in vita dal defunto, dalle sue virtù e dunque dal suo ricordo tra i viventi.

La mandorla del sarcofago strigilato dipinto delle catacombe di villa Torlonia�� è sinora l’unico esemplare decorato con una menorah��, chiaro riferimento alla religione ebraica.

Ai temi iconografici sin qui presentati vanno aggiunte le immagini di contenitori che, peraltro, costituiscono il gruppo più consistente nell’ambito del repertorio presente nelle mandorle.

In molte mandorle è raffigurato un cratere o kantharos, elemento che compare ventuno volte in più varianti tipologiche��. I recipienti, infatti, in genere sono corredati da due lunghe anse ma in

�� F. Cumont, Symbolisme, op. cit. (a nota 26) 154. 220. 336. 341. 434. 458. 483-484. Der Neue Pauly 6 (1999) 805-807 s. v. „Kranz“ (R. Hurschmann). Sulle numerose varietà di corone e sugli impieghi di queste sia in ambito profano che religioso vedi Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines I 2 (1887) 1520-1537 s. v. „corona“ (E. Saglio). Più in generale sull’uso, le tipologie e la realizzazione delle corone vedi G. Guillaume-Coirier, „L’ars coro-naria dans la Rome antique“, RA (1999) 331-370. G. Guillaume-Coirier, „Techniques coronaires romaines: plantes liées et plantes enfilées”, RA (2002) 61-71 e, anche se prevalentemente dedicata al mondo greco, l’importante volume di M. Blech, Studien zum Kranz bei den Griechen (1982) in particolare 81-108.

�� Cfr. per esempio urne di I e II secolo d. C. conservate al Camposanto di Pisa: S. Settis (ed.), Camposanto Monumen-tale di Pisa. Le Antichità II (s. d.) 220. nr. 103. 230 nr. 106. 236 nr. 108. 238 nr. 109.

�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 19.�� Guerrini – Gasparri, Palazzo del Quirinale nr. 48.�� F. Cumont, Symbolisme, op. cit. (a nota 26) 481. Der Neue Pauly 9 (2000) 938-939 s. v. „Phoinix“ (Ch. Hüne-

mörder). RE XX 1 (1941) 386-414 s. v. „Phoinix“ (E. Wüst).�� Circa le catacombe vedi H. W. Beyer – H. Lietzmann, Jüdische Denkmäler I. Die jüdische Katakombe der Villa

Torlonia in Rom (1930). O. Marucchi, Le catacombe romane (1933) 681. C. Vismara, „I cimiteri ebraici di Roma”, in: A. Giardina (ed.), Società romana e impero tardoantico II. Roma, politica, economia, paesaggio urbano (1986) 367-371 e 497-499. Ph. Pergola, Le catacombe romane. Storia e topografia ( 1999) 139-141. Per il sarcofago vedi Stroszeck, Löwen-Sarkophage 114 nr. 80.

�� Sull’origine, la storia ed il significato della menorah vedi R. Hachlili, The Menorah, the Ancient Seven-armed Cande-labrum. Origin, Form and Significance (2001).

�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 53. nr. 102. nr. 211. nr. 233. nr. 234. nr. 235. nr. 271. nr. 332. nr. 340. nr. 388. Wegner, Die Musensarkophage nr. 48. Arias – Cristiani – Gabba, Camposanto nr. 131. Un esemplare frammen-tario conservato nelle catacombe di S. Callisto. L. Spera, Il complesso di Pretestato sulla via Appia. Storia topografica e monumentale di un insediamento funerario paleocristiano nel suburbio di Roma (2004) 140 fig. 131. Wilpert, Sarco-

Fig. 18: Gaeta (LT), Duomo

Fig. 17: Trapani, Museo Pepoli

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alcuni casi, seppure più rari, ne sono sprov-visti; il corpo può essere del tutto liscio o altresì presentare delle baccellature su tutta la superficie o solo sulla pancia o sul collo. Molti crateri sono chiusi da un opercolo tondeggiante con presa a bottone o legger-mente appuntita dalla forma simile a quella di una pigna (fig. 19); in taluni casi assu-mono quasi l’aspetto di una piccola urna��. Da quelli aperti fuoriescono fiori, palme e frutti�0 non meglio identificabili a causa delle loro ridotte dimensioni (fig. 20).

Poco indagato nella storia dell’iconogra-fia sino allo studio dedicato da P. Kranz ai sarcofagi con raffigurazioni delle stagioni questo simbolo è stato considerato solo mar-ginalmente. Secondo R. Turcan�� i quattro crateri in quanto allusivi alle stagioni rap-presentano la fecondità e la ricreazione della terra, mentre A. Eberle�� ne sottolinea il carattere dionisiaco. Kranz��, invece, ritiene che la raffi-gurazione dei crateri sui sarcofagi si ricolleghi più concretamente all’iconografia dei Jahreszeiten-sarkophage di cui costituisce una variante precoce sviluppatasi ancora prima della metà del II secolo d. C. Come le raffigurazioni di ghirlande con i raccolti delle stagioni anche quelli dei crateri pieni di frutti avrebbero origine dalla comune idea di voler rappresentare le offerte che le varie stagioni permettono di portare ai defunti.

Il cratere aperto e pieno di frutti, dunque, sembra simboleggiare in modo non dissimile da quello dei geni stagionali l’alternanza delle stagioni e pertanto il ciclo vitale in cui la vita si alterna alla morte. Più difficile è l’interpretazione dei crateri chiusi che non compaiono nei Jahreszeiten-sarkophage e per i quali, forse, si deve supporre un valore diverso da quelli traboccanti di messi. Per questi e per quelli privi di frutti si può forse ipotizzare un più specifico legame con il vino, che si mesceva e conservava in questi recipienti, e, pertanto, anche con i culti dionisiaci cui i crateri sono associati come si evince anche dalla decorazione di alcuni esemplari marmorei��.

Il cratere costituisce comunque anche un elemento puramente decorativo, un valore che non è escluso possa avere anche sui sarcofagi. In ambito religioso può essere usato per libazioni o essere oggetto di dedica agli dei�� un utilizzo che non esclude nel caso dei sarcofagi un eventuale valore simbolico legato ad una determinata inclinazione di fede, legata in particolare ai culti bacchici.

fagi cristiani II tav. 237. Guerrini – Gasparri, Palazzo del Quirinale nr. 50. B. C. Ewald, Der Philosoph als Leitbild, op. cit. (a nota 46) nr. E 25. Un sarcofago conservato nella chiesa di S. Prassede a Roma ed un’ altro collocato nel cortile dell’edificio della Civiltà Cattolica in via di Porta Pinciana a Roma. DAI Inst. Neg. 71.231. DAI Inst. Neg. 29.7489. DAI. Inst. Neg. 94.731.

�� Cfr. DAI. Inst. Neg. 94.731 e Wilpert, Sarcofagi cristiani II tav. 237.�0 Cfr. ad esempio Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 53. nr. 233. nr. 340. �� R. Turcan, „Les sarcophages romains à représentations dionysiaques. Essai de chronologie et d’histoire religieuse“,

BEFAR 210 (1966) 598.�� A. Eberle, „Un sarcophage romain unique en son genre“, HASB 2 (1976) 22.�� Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage 92-102. �� D. Grassinger, Römische Marmorkratere (1991) 149.�� Sulla funzione e l’uso dei crateri vedi D. Grassinger, Marmorkratere, op. cit (a nota 94) particolarmente 144-151.

Fig. 19: New York, Pierpon Morgan Library

Fig. 20: Mentana (RM), Villa Zeri

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Giulia Baratta204

In ambiente cristiano esso costituisce prevalentemente il bacino con l’acqua lustrale e pertanto simboleggia una fonte di vita ed è segno salvifico e di laetitia��.

Oltre al cratere nelle mandorle dei sarcofagi strigilati è frequentemente atte-stata anche l’anfora (fig. 21) che ricorre in dodici casi��. Il contenitore è gene-ralmente rappresentato con un corpo molto assottigliato ed un piede appun-tito che ben si adattano al profilo della mandorla. In più rari casi esso presenta un fondo piatto�� e talvolta una palmetta che fuoriesce dalla sua apertura��.

Circa l’anfora si possono avanzare diverse ipotesi interpretative tra le quali un legame con i culti dionisiaci�00. Inoltre non è escluso che per le sue reali funzioni il contenitore possa essere un simbolo di ricchezza, prosperità e benes-sere oppure rappresentare una forma di sepoltura o, meglio, uno specifico rituale funerario o collegarsi alla simbologia stagionale. L’an-fora, infatti, in epoca tarda, costituisce anche uno degli attributi della personificazione del mese di Agosto, come si vede nelle copie del „Calendario del 354“, che è personificato da un uomo nudo intento a bere da una grande coppa, circondato da un ventaglio di piume di pavone, da tre meloni e da un’anfora�0�.

In ambiente cristiano o criptocristiano, inoltre, dove Cristo è considerato figulus noster�0� ed il fedele, come testimonia anche un passo di Lattanzio�0�, è visto come il contenitore dell’anima e paragonato, per la sua fragile ed effimera materialità, ad un recipiente di terracotta, non è escluso che l’anfora possa simboleggiare proprio il corpo del defunto ed alludere alla fragilità della sua vita terrena contrapposta alla sicura eternità di quella dell’oltretomba.

�� Sull’interpretazione del cantharus in ambito cristiano vedi la sintesi in F. Bisconti (ed.), Temi di iconografia paleo-cristiana (2000) 143-146 s. v. „cantaro“ (R. Flaminio). Più in generale vedi Dictionnaire des antiquités grecques et romaines I 2 (1887) 893-894 s. v. „cantharus“ (E. Saglio).

�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 21. nr. 69. nr. 90. nr. 189. nr. 208. nr. 305. nr. 367. nr. 372. nr. 373. AA.VV., Catalogue sommaire des Musées de la Ville de Lyon (1900) nr. 5. Un frammento di sarcofago murato nel chiostro di S. Lorenzo f. l. m. a Roma. DAI Inst. Neg. 61.125

�� DAI Inst. Neg. 61.125.�� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 372.�00 R. Turcan, Sarcophages dionysiaques, op. cit. (a nota 91) 321 definisce l’anfora „un motif insignifiant“ che „rappelle

encore ici et là, à la rencontre des strigiles, le symbolisme du vin“.�0� Da questa nelle copie del ms. Romanus 1 e del ms. Bruxellensis fuoriesce un elemento vegetale che nella copia del

ms. Vindobonensis è sostituito da un opercolo con una lunga presa ad ansa. Sulla pancia del recipiente che doveva contenere acqua, o comunque una bevanda rinfrescante e ristoratrice, caratteristica comune anche agli altri attri-buti raffigurati, campeggia l’iscrizione greca () mal trascritta dai copisti in ZLS, cfr. M. R. Salzman, Roman Time, op. cit. (a nota 70) figg. 19. 39. 47.

�0� Su questo tema e per le referenze cfr. M. Mayer, „Figulus noster est Christus. Consideracions sobre la trayectoria del termino figulus en los autores latinos cristianos“, Boletín del Instituto de Estudios Helénicos 7 (1973) 35-51.

�0� Lactantius, Divinae Institutiones II 13: „Corpus […] est enim quasi vasculum, quo tamquam domicilio temporali spiritus hic caelestis utatur.“

Fig. 21: Roma, S. Paolo f. l. m.

Fig. 22: Roma, Palazzo Rondinini

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La mandorla centrale dei sarcofagi strigilati 205

Tra i temi del repertorio iconografico delle mandorle va ricordata, infine, anche la botte. Allo stato attuale della ricerca essa costituisce l’elemento simbolico più frequentemente attestato nelle mandorle dei sarcofagi strigilati, ricorre infatti ben ventidue volte�0�, e, al contempo, insieme alle anfore, quello meno diffuso fuori da questo contesto. Infatti le botti compaiono con analoga funzione simbo-lica, al di fuori, dunque, di un ambito „narrativo“, solo su una serie di lastre sepolcrali provenienti, con una sola ecce-zione, esclusivamente dalle catacombe dell’Urbe�0�. Nelle mandorle dei sarco-fagi i contenitori lignei occupano tutto il campo a disposizione e pertanto ne costi-tuiscono l’unico elemento iconografico, reso, a seconda dei casi, con dovizia di particolari (fig. 22) oppure solo accen-nato nei suoi elementi più caratteristici (fig. 23).

A questi pezzi va aggiunto il sarco-fago cristiano detto della „Trinité“ o „des époux“ rinvenuto a Trinquetaille (Arles) ma di produzione urbana (fig. 24)�0�. Si tratta di un grandioso sarcofago, appa-rentemente in marmo proconnesio, decorato con scene dell’Antico e Nuovo testamento disposte su due registri e da un medaglione centrale in forma di conchiglia con i busti dei due defunti, datato al secondo quarto del IV secolo d. C. Ciascuna delle pareti laterali, invece, presenta due registri di strigili contrapposti nelle cui mandorle sono inserite rispettivamente una botte ed una pigna. Il pezzo, chiaramente, non corrisponde per tipologia ai sarcofagi a mandorla centrale oggetto di questa ricerca e, anche cronologicamente, risulta di poco più tardo. Di questi mantiene però, seppure in posizione secondaria, l’elemento caratterizzante, e ripropone, per ben due volte, oltre alla pigna che non ricorre nei sarcofagi presi in esame, il simbolo più frequente che è la botte.

�0� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 29. nr. 217. nr. 320. nr. 409. B. C. Ewald, Der Philosoph als Leitbild, op. cit. (a nota 46) nr. E 26. Deichmann, Repertorium nr. 223. nr. 392. nr. 403. nr. 823. nr. 825. Due frammenti di sarco-fago conservati nelle catacombe di Domitilla ed uno murato nel chiostro di S. Lorenzo f. l. m. a Roma. Wilpert, Sarcofagi cristiani II tav. 265, 7. MNR I, 8, 342. Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage, nr. 143. Guerrini – Gasparri, Palazzo del Quirinale nr. 49. A. Engen (ed.), Caelius I. Santa Maria in Domnica, San Tommaso in Formis e il Clivus Scauri (2003) 186 nr. 1. DAI Inst. Neg. 72.2317. DAI Inst. Neg. 270. DAI Inst. Neg. 71.31. DAI Inst. Neg. 88.15.

�0� Cfr. G. Baratta, „La cupa nell’ambito femminile: dalla caupona al loculus?“, in: A. Buonopane – F. Cenerini (ed.), Donna e vita cittadina nella documentazione epigrafica (2005) 95-108.

�0� J.-M. Roquette, „Trois nouveaux sarcophages chrétiens de Trinquetaille (Arles)“, Comptes Rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres (1974) 265-273 che non vede la botticella ma solo la pigna in ciascuno dei due registri strigilati inferiori. AA.VV., Musée d’Arles antique (2002) 157 nr. 155. Christern-Briesenick, Repertorium 23-25 nr. 38 che non riconosce la botte (descritta come „kräftig eingekerbte, waagerechte Linien“).

Fig. 23: Roma, Museo Capitolino

Fig. 24: Lato destro del sarcofago detto della “Trinité” o “des époux” rinvenuto a Trinquetaille (Arles)

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Infine va citato il caso di un frammento di sarcofago conservato nella Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani�0� (fig. 25) in cui il campo della mandorla non accoglie un motivo iconografio bensì un testo epigrafico greco distribuito su quattro righe, CVM BIOC ΠOY ΠOY secondo la trascrizione in ICUR 2584. Nelle prime due sembra ravvisarsi il nome del defunto �0� mentre le altre, di più difficile interpretazione a causa del cattivo stato di conservazione delle lettere, potrebbero conte-nere ad esempio un patronimico posto al genitivo, allo stato attuale non meglio precisabile. Il pezzo risulta interessante poiché attesta l’uso del campo creato dall’incontro degli strigili contrapposti anche come supporto epigrafico, una funzione cui erano destinate, forse, anche alcune della mandorle vuote per le quali si può supporre un’originaria iscrizione dipinta.

L’analisi di tutto l’apparato iconografico presente nelle mandorle dei sarcofagi strigilati, permette, come si vedrà in seguito, di avanzare nuove proposte di interpretazione proprio per la botte, sinora generalmente identificata come simbolo di mestiere.

Valutazioni sui sarcofagi e sul corredo iconografico delle mandorle

Lo studio dei 176 sarcofagi strigilati presi in esame rivela che nella mandorla centrale ricorrono almeno 20 temi iconografici differenti, tenendo conto che in 12 casi la lettura della mandorla, e dunque l’identificazione del motivo, risulta incerta�0� e in 8 addirittura impossibile��0 per lo stato frammentario dei pezzi (vedi la tabella a p. 207)���.

La maggioranza delle mandorle, ben 43, corrispondenti al 24 % del totale, è pertinente al gruppo privo di decorazione (VTO). Come già detto in precedenza è fortemente probabile che molte di queste mandorle recassero in origine un soggetto o un’iscrizione dipinti oggi perduti. In 12 casi, pari al 7 %, invece, la mandorla è ornata da un elemento verticale, un listello, che non costituisce un tema iconografico in senso stretto. Tra i motivi iconografici veri e propri il gruppo maggiore è costituito dalle raffigurazioni di contenitori. Infatti nelle mandorle di 12 sarcofagi sono raffigurate anfore, mentre in altri 21 esemplari sono rappresentati crateri ed in 22 pezzi ricorrono delle botti. Nella loro totalità gli esemplari con le immagini dei contenitori nella mandorla centrale raggiun-gono il 32 % dell’insieme analizzato e ne costituiscono, pertanto, il gruppo più consistente.

Gli altri motivi presenti nelle mandorle hanno una frequenza decisamente più ridotta (vedi la tabella a p. 207). Alcuni di essi si riferiscono alle qualità ed alle virtù del defunto senza però richia-

�0� I. Di Stefano Manzella, Inscriptiones Sanctae Sedis 1. Index inscriptionum Musei Vaticani 1. Ambulacrum Iulianum sive „Galleria Lapidaria“ (1995) fig. 51, 15.

�0� Per questo nome vedi H. Solin, Die griechischen Personenamen in Rom (1982) 958.�0� Cfr. un sarcofago conservato ad Albano (RM) ed utilizzato come fontana. G. Pesce, Sarcofagi romani, op. cit. (a

nota 3), nr. 45. nr. 50. Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 104. nr. 108. nr. 128. nr. 245. Due sarcofagi frammentari conservati nelle catacombe di Domitilla. V. Fiocchi Nicolai, „Nuovi frammenti di sarcofagi cristiani dai cimiteri di Pretestato e S. Sebastiano“, Rivista di Archeologia Cristiana 53 (1982) 261-287. B. C. Ewald, Der Philosoph als Leitbild, op. cit. (a nota 46) nr. E 24. DAI Inst. Neg. 78.559. DAI Inst. Neg. 68.1212.

��0 Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 61, nr. 63, nr. 240; due sarcofagi frammentari conservati nelle catacombe di Domitilla ed uno a S. Martino ai Monti; Tusa, I sarcofagi romani, op. cit. (a nota 7) nr. 81.

��� Nella presente raccolta non è stato preso in esame un frammento di sarcofago in cui si può riconoscere una figura femminile seduta con bambino in braccio, identificabile secondo la comune iconografia con Maria, ed attribuito, nella ricostruzione di Wilpert, al campo centrale a forma di mandorla di un sarcofago strigilato. La mandorla, però, non rientra nella tipologia delle mandorle prese in esame: non sembra infatti formata dall’incontro degli stigili contrapposti, ma appare piuttosto un elemento applicato sugli strigili stessi; vedi Wilpert, Sarcofagi cristiani II tav. 221 nr. 5.

Fig. 25: Vaticano, Belvedere

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La mandorla centrale dei sarcofagi strigilati 207

mare mai attività concrete che esso possa aver svolto in vita; altri, invece, alludono alla morte, al Fortleben o costituiscono più genericamente una Glückssymbolik.

Va rilevato che questa simbologia non è caratteristica delle sole mandorle dei sarcofagi strigilati ma è presente in tutto il repertorio iconografico funerario di ambiente profano e, per quanto concerne alcuni motivi, si perpetua anche in quello criptocristiano e cristiano. Ciò non vale però per le anfore e le botti che come elementi simbolici ricorrono oltre che sui sarco-fagi solo ed esclusivamente su lastre di loculi delle catacombe di Roma.

La scelta del motivo inserito nelle mandorle non sembra condizionato, quanto al suo valore simbolico, dal restante repertorio iconogra-fico presente sui sarcofagi che ripropone una tematica perlopiù legata alle qualità spirituali, morali ed intellettuali del defunto, alla morte e, in ambito cristiano, alla nuova vita che succede a quella terrena, o semplicemente motivi decorativi come lo sono gli elementi architet-tonici���. Rispetto a questi soggetti il motivo presente nelle mandorle appare piuttosto come un elemento aggiuntivo, frutto verosimilmente di una precisa scelta del committente che può,

ma non necessariamente deve, essere parte integrante del discorso che nasce dalla sintassi delle altre immagini.

Si può supporre che in mancanza di una specifica richiesta da parte di un committente le officine di produzione proponessero agli acquirenti una serie di pezzi praticamente finiti già corredati del loro apparato iconografico, o la possibilità di sceglierne uno da un campionario di modelli presta-biliti ma non ancora realizzati. In questi sarcofagi, quando la mandorla non era già corredata dal listello verticale risultante dall’incontro degli strigili contrapposti, questa doveva costituire l’unico campo non lavorato nel quale si potevano eventualmente inserire, con poco dispendio di tempo e denaro, i desiderata degli acquirenti. La superficie delle mandorle in attesa di decorazione doveva essere liscia e non troppo sporgente come sembra indicare, oltre a qualche pezzo conservato��� anche il fatto che i motivi iconografici sono ricavati in basso rilievo. Un certa fretta ed al contempo la precisa volontà di apporre un simbolo nella mandorla, e forse non in ultimo anche motivi econo-mici di taluni acquirenti dei sarcofagi, sembrano riflettersi nella decorazione di alcune mandorle in cui l’immagine è appena accennata, graffita più che scolpita, i cui particolari mancanti erano

��� Gli elementi laterali sono costituiti perlopiù da protomi leonine o da leoni che azzannano vari tipi di animali e sono talvolta raffigurati insieme a diversi personaggi riconducibili al mondo circense; figure femminili sedute con strumenti musicali, talvolta accompagnate da altre figure femminili e muse, o intente ad accudire ad esempio un uccellino, figure maschili sedute con volumina tutte generalmente davanti a parapetasma; figure femminili e maschili stanti anche queste perlopiù davanti a parapetasma; busti femminili e maschili; scene di dextraum iunctio; personaggi del mito tra cui Apollo ed Euterpe ed Amore e Psiche; teste di medusa; geni stagionali; eroti funerari stanti o seduti in genere con fiaccola abbassata; buon pastore ed orante; porte dell’ade; pilastri e colonne.

��� Cfr. ad esempio Wilpert, Sarcofagi cristiani II tav. 247, 11. MNR I, 3, p. 96. Herdejürgen, Girlandensarkophage nr. 119. DAI Inst. Neg. 82.3218.

iscritti ISC 1corona CRN 1filosofo e musa FLS 1leone LEO 1pecora PCR 1Venere che scrive su scudo VNR 1dextrarum iunctio DXI 2palmetta PLM 2Vittoria che scrive su scudo VTT 2orante ORT 3defunto con volumen DFV 4delfino DLF 4erote funerario ERF 4Amore e Psiche APS 5genio stagionale GST 5non leggibili NLG 8buon pastore BPS 9anfora ANF 12incerti INC 12listello LCT 12cratere CRT 21botte BTT 22vuota VTO 43TOTALE 176

Tabella relativa ai soggetti presenti nelle mandorle e alla loro frequenza

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forse resi con pittura, ed in quelle che dobbiamo supporre soltanto dipinte.

I sarcofagi strigilati sono estremamente frequenti e costituiscono, rispetto a quelli figurati, un prodotto di più facile e rapida realizza-zione e soprattutto di minore costo. Per queste caratteristiche essi dovevano essere considerati i sarcofagi per antonomasia ed avere un ruolo preminente nell’immaginario collettivo dell’epoca. Ciò in particolare sembra suggerito dal fatto che le immagini di sarcofagi che compaiono in alcuni contesti figurati con un vero e proprio svolgimento narrativo sono o semplici casse senza decorazione��� oppure sarcofagi strigilati del tipo a mandorla centrale, nella quale, in almeno due pezzi, è inserita una botticella. E’ il caso della lastra sepolcrale di Eutropos��� e del così detto sarcofago di Adelfia���, anche esso di produzione urbana ed attribuibile al secondo quarto del IV secolo d. C. circa. Il sarcofago è decorato con scene dell’an-tico e del nuovo testamento, tra le quali la resurrezione del figlio della vedova di Nain che, appunto, è deposto in un sarcofago stri-gilato a mandorla centrale (fig. 26). La stessa scena ricorre su un altro sarcofago urbano, ugualmente ornato con scene dell’antico e del nuovo testamento, tipologicamente simile a quello di Adelfia e di analoga cronologia e sul copercio di un sarcofago del Cimitero di Domitilla (fig. 27)���. In questo caso non è però possibile stabilire se la mandorla del sarcofago in cui giace il fanciullo morto di Nain rechi un simbolo o meno���. Anche le imitazioni dipinte di sarcofagi, in genere strigilati e talvolta corredati da una mandorla, presenti in alcune catacombe di Roma, invitano ad una analoga considerazione. Il successo del sarcofago strigilato va oltre i confini dell’Urbe, come conferma l’esistenza di produzioni extraur-bane��� ed anche provinciali, alcune delle quali riprendono il motivo degli strigili contrapposti con mandorla centrale. E’ il caso di una serie di sarcofagi di produzione attica che sulla fronte e sulle pareti laterali presentano strigili contrapposti disposti sia su uno che su due registri��0. La mandorla che si forma nel loro punto di incontro è generalmente occupata dall’elemento verticale in rilievo come è evidente in un esemplare databile al III secolo d. C. e conservato a Roma al Museo Archeologico Nazionale��� e su un altro pezzo che si trova a Salerno���. Anche a Tiro è attestato

��� Vedi G. Cristina, „Rilevanza dei documenti editi ed inediti nello studio dei sarcofagi del Museo Pio Cristiano in Vaticano“, in: G. Koch (ed.), Akten des Symposiums Frühchristliche Sarkophage (2002) tav. 42, 2 e tav. 47, 3.

��� Vedi infra nota 141.��� S. L. Agnello, Il sarcofago di Adelfia. Collezione amici delle catacombe XXV (1956) 34-37. V. Tusa, I sarcofagi romani,

op. cit. (a nota 7) 87-9 nr. 83. R. J. Wilson, Sicily under the Roman Empire. The Archaeology of a Roman Province 36 BC – AD 535 (1990) 312 nr. 265. J. Dresken-Weiland, Repertorium der christlich-antiken Sarkophage. Italien mit einem Nachtrag, Rom und Ostia, Dalmatien, Museen der Welt (1998) 8-10 nr. 20.

��� Wilpert, Sarcofagi cristiani II tav. 225, 2.��� O. Marucchi, I monumenti del Museo Cristiano Pio Lateranense (1910) 25 tav. XXXIV 1. F. W. Deichmann (ed.),

Repertorium der christlich-antiken Sarkophage I. Rom und Ostia (1967) 35-36 nr. 40, tav. 13.��� Vedi a questo proposito un pezzo conservato a Napoli con eroti stagionali nei campi laterali e mandorla con

bastoncino, H. Sichtermann, „Provinzielles und Gefälschtes“, in: G. Koch (ed.), Akten des Symposiums 125 Jahre Sarkophag-Corpus (1998) 107-108.

��0 Su questi pezzi e sulla discussione circa l’attribuzione ad officine attiche vedi G. Koch, „Stadtrömisch oder östlich? Probleme einiger kaiserzeitlicher Sarkophage in Rom“, BJb 180 (1980) 51-64.

��� Per questo pezzo vedi G. Koch, „Stadrömisch oder östlich?“, op. cit. (a nota 120) 51-64 e M. Sapelli, „Sarcofago strigilato a kline“, MNR I 8 (1985) 194-197.

��� Vedi G. Koch, „Stadrömisch oder östlich?“, op. cit. (a nota 120) 51-64.

Fig. 26: Dettaglio del sarcofago di Adelfia, Museo Archeologico Regio-nale P. Orsi

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La mandorla centrale dei sarcofagi strigilati 209

un sarcofago strigilato di produzione locale la cui mandorla presenta tre volute sovrapposte���. Diversi pezzi di ateliers cartaginesi della fine del IV o dell’inizio del V secolo d. C.���, ripren-dono, seppure con esecuzione più rozza, i tipi urbani. Un pezzo conservato al Museo del Bardo di Tunisi, ad esempio, ha la parte frontale inquadrata da due eroti funerari mentre gli stri-gili danno origine ad una mandorla piuttosto larga e dalla superficie liscia che non reca tracce di decorazione���. Questi sarcofagi, caratteriz-zati da una fronte tripartita, presentano una decorazione a strigili contrapposti, disposta su uno o due registri, che occupa i campi laterali e corre talvolta anche sotto la tabula iscritta. Le mandorle non hanno decorazioni particolari: sono infatti vuote o con il listello centrale. Solo un sarcofago conservato al museo del Bardo ed ugualmente di produzione cartaginese, ornato sulla fronte da un doppio ordine di strigili che formano in totale sei mandorle, ne presenta cinque vuote, ed una, quella centrale, decorata con un cristogramma graffito���. Alla seconda metà del V secolo d. C. appartiene un sarcofago di produ-zione gallica, il cui lato lungo principale è ornato da tre campi di strigili contrapposti. Il pezzo mostra già i segni di una variazione stilistica sia per quanto riguarda la forma degli strigili che quella degli spazi che si creano nel punto del loro incontro. Questi infatti sono circolari e non più a forma di mandorla ed accolgono un cristogramma nel pannello centrale e due fiori a dodici petali in quelli laterali���. Un sarcofago, ugualmente attribuibile alla seconda metà del V secolo d. C., prodotto in un atelier di Tolosa��� si caratterizza invece per la presenza di strigili angolari che formano una mandorla romboidale nella quale ricorre il motivo neutro del listello centrale���.

��� Vedi Koch – Sichtermann, Sarkophage 563 nr. 554. M. H. Chéhab, Fouilles de Tyr. La nécropole II. Bulletin du Musée de Beyrouth 34 (1984) 329-330.

��� Christern-Briesenick, Repertorium 288-289 nr. 628. 289 nr. 629. 289 nr. 630. 290 nr. 632. 290 nr. 633. 290-291 nr. 634. 291 nr. 635. 292 nr. 638. 293 nr. 641. 297-298 nr. 649. Per questi ed altri pezzi di Cartagine, alcuni dei quali esportati a Tarragona, vedi inoltre H. Fournet-Pilipenko, „Sarcophages romains de Tunisie“, Karthago 11 (1961) 77-166 nr. 23. 24. 25. 29. 30. 31. 35. 98. 99. 141. 169. H. Schlunk, „Sarkophage aus christlichen Nekro-polen in Karthago und Tarragona“, MM 8 (1967) 230-258 che, però, ritiene i pezzi rinvenuti a Tarragona prodotti di un atelier locale nel quale verosimilmente erano all’opera gli stessi artigiani delle officine di Cartagine.

��� H. Fournet-Pilipenko, „Sarcophages“, op. cit. (a nota 124) nr. 101. Per questo pezzo vedi anche C. Metzger, „Les sarcophages chrétiens d’Afrique du Nord“, in: G. Koch (ed.), Akten des Symposiums Frühchristliche Sarkophage (2002) 153-155 tav. 56, 5. Vedi anche un altro sarcofago del V secolo d. C. trovato a Damous el Karita con ampia mandorla vuota, H. Fournet-Pilipenko, „Sarcophages“, op. cit. nr. 37.

��� H. Fournet-Pilipenko, „Sarcophages“, op. cit. (a nota 124) nr. 132 e Christern-Briesenick, Repertorium 297 nr. 648.

��� Christern-Briesenick, Repertorium 206-207 nr. 441. Per la forma degli strigili e per la mandorla circolare con cristogramma cfr. due sarcofagi di officina tolosana datati rispettivamente alla seconda metà del V secolo d. C. ed al secondo terzo dello stesso secolo, Christern-Briesenick, Repertorium 226 nr. 486. 253 nr. 529.

��� Christern-Briesenick, Repertorium 254 nr. 533.��� Il successo del sarcofago strigilato perdura nel tempo come mostrano alcuni falsi: vedi ad esempio un esemplare

strigilato con cratere nella mandorla centrale conservato a Villa Malta a Roma, in: H. Sichtermann, „Provinzielles und Gefälschtes“, op. cit. (a nota 119) 109, ed arriva quasi fino ai giorni nostri quando viene ripreso nella archi-tettura funeraria fascista evidentemente come simbolo di romanità.

Fig. 27: Dettaglio del sarcofago delle Catacombe di Domi-tilla

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Considerazioni finali sull’elemento iconografico più frequente: la botte

Le osservazioni generali che si possono fare sul corredo iconografico di questa classe di materiale permettono, dunque, di avanzare nuove interpretazioni sul simbolo che con maggiore frequenza ricorre nelle mandorle, la botte.

La botte, diversamente da quanto ritenuto in passato��0, non sembra essere il simbolo di un mestiere, seppure è innegabile che le forme di autorappresentazione attraverso la documentazione dell’attività lavorativa svolta in vita dal defunto possono avvalersi di diversi livelli di linguaggio figu-rato, tra cui anche quello simbolico nel quale si fa ricorso agli strumenti del mestiere���.

Il messaggio, infatti, può essere affidato a vere e proprie narrazioni con una o più scene, che costituiscono, per così dire, dei fotogrammi o meglio degli „iconogrammi“, ricchi di dettagli volti ad illustrare con precisione ed esattezza il mestiere e le attività lavorative ad esso collegate. La piena intellegibilità di queste scene realistiche è garantita non solo dal fatto che si tratta di una narrazione fedele di eventi e di situazioni ma anche dall’uso frequente di chliché di volta in volta ripetuti ed identificativi di specifiche attività���.

D’altro canto esistono scene in cui dal contesto narrativo vengono estrapolati alcuni oggetti particolarmente significativi per l’attività che si vuole illustrare, che vengono utilizzati con un valore simbolico e pertanto raffigurati fuori scala, in bella evidenza, secondo quello che Rita Amedick definisce una „Bedeutungsperspektive“���. Si creano pertanto due livelli di lettura affidati rispettiva-mente ad un messaggio breve, diretto ed immediato, che è dato dall’oggetto fuori scala, e una narra-zione più descrittiva e complessa legata alla scena realistica. I due livelli si combinano e si integrano a vicenda e difficilmente lasciano adito a dubbi nella lettura dell’immagine, come è evidente, ad esempio, nel noto rilievo aquileiense con scena di fucina��� o in quella di un fabbricante di coltelli ed altri strumenti metallici da Ostia���.

Il caso è invece diverso quando non vi è alcuna narrazione ed il messaggio viene affidato solo a simboli, ovvero a singoli oggetti. Il simbolo non sempre risulta facilmente leggibile poiché il suo significato nasce da una associazione di concetti e conoscenze legati ad un preciso ambiente storico e culturale. Le difficoltà nella sua interpretazione, dovute ad una sua possibile ambiguità che può essere non voluta o al contrario espressamente ricercata, costituiscono al contempo la sua debolezza e la sua forza. Un esempio di questo tipo di linguaggio simbolico è offerto dalla stele di Lucius

��0 Per la botte sui sarcofagi e sulle lastre di loculo cfr. Real-Encyklopädie der christlichen Altertümer I (1882) 479-480 s. v. „Fass“ (N. Scagliosi). F. X. Kraus, Geschichte der christlichen Kunst I (1896) 124-125. H. Marucchi, Éléments d’archéologie chrétienne (1905) 213-214. F. Chabrol (ed.), Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie II (1907) 1703-1704 s. v. „Amphore“ (H. Leclercq). O. Marucchi, Monumenti del Museo Cristiano Pio-Lateranense (1910) 27. 58. F. Bisconti, Mestieri nelle catacombe romane. Appunti sul declino dell’iconografia del reale nei cimiteri cristiani di Roma. Studi e ricerche 2 (2000) 199-205. Il dubbio che la botte possa non essere il simbolo di un mestiere è già in G. B. De Rossi, „Il pavimento di Santa Maria in Castello di Corneto-Tarquinia“, Bullettino di Archeologia Cristiana 6 (1875) 91-92 che scrive: „La botte […] è nota nell’epigrafia cimiteriale del secolo secondo e del quarto; ma di significato non ancor bene definito; ed in molti casi […] è incerto se sia della classe dei simboli religiosi o delle insegne d’arti e di mestieri“. Anche P. Bruun è del parere che la botte solo in alcuni casi sia indi-cativa di una attività lavorativa, P. Bruun, „Symboles, signes et monogrammes“, in: H. Zilliacus (ed.), Sylloge inscriptionum christianarum veterum Musei Vaticani. Acta Instituti Romani Finlandiae I 2 (1963) 99.

��� Sulla comunicazione epigrafica, sull’uso di immagini e simboli e sulla loro interazione con il testo vedi A. Sartori, „Le forme della comunicazione epigrafica“, in: M. Mirabella Roberti (ed.), Monumenti sepolcrali romani in Aqui-leia e nella Cisalpina. Antichità Altoadriatiche 43 (1997) in particolare 58-61.

��� Vedi a solo titolo di esempio le scene di vendita di stoffe: Cfr. G. Zimmer, Römische Berufsdarstellungen (1982) 124-127 e M. Langner, „Szenen aus Handwerk und Handel auf gallo-römischen Grabmälern“, JdI 116 (2001) in particolare 314-321. Vedi anche il contributo di H. Rose, in questo stesso volume.

��� R. Amedick, Die Sarkophage mit Darstellungen aus dem Menschenleben. Vita Privata. ASR I, 4 (1991) 110.��� G. B. Brusin, Inscriptiones Aquileiae I (1991) 333-334 nr. 737.��� G. Zimmer, Römische Berufsdarstellungen, op. cit. (a nota 132) 184-185, nr. 119.

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Cantius Acutus di Aquileia���. Il monumento, infatti, presenta intorno al campo epigrafico una serie di utensili ed arnesi ricollegabili alla lavorazione del legno ed alla cultura della vite: la posizione dominante al centro del frontoncino è occupata da una botte. Per quanto in genere il defunto sia ritenuto un bottaio va detto che l’insieme dei simboli non assicura affatto questa interpretazione ma induce solo a pensare che Lucius Cantius Acutus in vita abbia svolto una attività correlata alla produzione del vino, alla sua vendita o anche alla fabbricazione delle botti.

In astratto, dunque, la botte presente nelle mandorle potrebbe alludere ad un mestiere, ma l’ipotesi non trova sostegno ad una analisi interna al gruppo di sarcofagi. Il valore ed il significato di un simbolo, infatti, e di conseguenza la sua intellegibilità, sono strettamente legati al contesto in cui esso si trova: la contemporanea presenza di ulteriori raffigurazioni ed oggetti-simbolo possono indurne la lettura in un senso piuttosto che in un altro. E’ questa la differenza principale tra una concezione iconografica come può essere, ad esempio, quella della succitata stele di Lucius Cantius Acutus rispetto a quella che caratterizza i sarcofagi di Roma. Se è vero che in entrambi i casi sono raffigurate simbolicamente ed in una posizione privilegiata delle botti, nel primo una serie di simboli interagiscono tra di loro e, al pari degli elementi costitutivi di una frase, contribuiscono a formare un discorso che descrive un mestiere o almeno un’ambito nel quale l’attività del defunto può essersi svolta. Questo invece non accade nei sarcofagi di Roma dove la botte è un simbolo isolato, e pertanto di più difficile ed incerta lettura, e dove il restante apparato iconografico in nessun caso è riferibile ad un mestiere.

L’ipotesi che la botte identifichi un mestiere viene meno anche dall’osservazione degli altri temi iconografici presenti nelle mandorle. Infatti nessuno dei motivi scelti per riempire lo spazio forma-tosi nel punto di incontro degli strigili costituisce un simbolo di mestiere o di qualche attività lavorativa che sarebbe pertanto limitata al solo caso della botte e forse, per analogia, anche a quello dell’anfora.

Neanche le poche iscrizioni riferibili al nostro gruppo di sarcofagi permettono di confermare l’ipotesi tradizionale che la botte sia un simbolo di mestiere. Un sarcofago, infatti, è pertinente ad una donna, Eusebia���, un altro ad un bambino di soli sei anni��� ed altri pezzi per dimensione non possono che essere sepolture infantili���. Se non è possibile escludere che la donna abbia svolto in vita un mestiere che possa essere simboleggiato da una botte, come ad esempio quello di caupa o tabernaria��0, risulta, invece, più difficile immaginare che lo abbiano fatto i bambini o che il padre abbia voluto apporre il simbolo del proprio mestiere sul sarcofago dei figli.

Ad avvalorare ulteriormente l’ipotesi che la botte non rappresenti un simbolo di mestiere è una lastra funeraria di provenienza urbana, oggi conservata ad Urbino, in cui è raffigurata la bottega di un marmorarius���, da identificare verosimilmente con Eutropos, il defunto menzionato nella

��� G. B. Brusin, Inscriptiones, op. cit. (a nota 134) 332 nr. 733.��� Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 409.��� Deichmann, Repertorium nr. 823. Per l’iscrizione vedi infra nota 152.��� Cfr. ad esempio Kranz, Jahreszeiten-Sarkophage nr. 143.��0 Per una documentazione iconografica vedi ad esempio un rilievo da Ostia che raffigura una taberna in cui una

donna serve degli avventori: R. Amedick, Sarkophage mit Darstellungen aus dem Menschenleben, op. cit. (a nota 133) 136 nr. 87. Circa le testimonianze epigrafiche dell’attività di cauponae, vinariae e popinariae vedi ad esempio: CIL IV 1679. 1819. 8442. CIL XIV 3709; per quelle letterarie il poemetto Copa dell’Appendix Virgiliana dedicato a Surisca un’ostessa di origine greca: W. V. Clausen – F. R. D. Goodyear – E. J. Kenney – J. N. A. Richmond (edd.), Appendix Virgiliana (1966) 77-82.

��� CIG IV 9598. R. Fabretti, Inscriptionum antiquarum quae in aedibus paternis asservantur et additamentum una cum aliquot emendationibus gruterianis (1702) 587-588 fig. V. Schultze, Die Katakomben. Die altchristlichen Grab-stätten. Ihre Geschichte und ihre Monumente (1882) 168. L. Serra, L’arte nelle Marche. Dalle origini cristiane alla fine del gotico (1929) 14 fig. 25. A. Rumpf, Die Meerwesen auf den antiken Sarkophagreliefs, ASR V, 1 (1939) 100 fig. 154. M. Luni – G. Gori, Il museo archeologico di Urbino I. Storia e presentazione delle collezioni Fabretti e Stopponi (1986) 55. M. Gabrielli, I sarcofagi paleocristiani e altomedioevali nelle Marche (1961) 144-149. R. Turcan, „Sarco-phages dionisiaques“, op. cit. (a nota 91) 6 nr. 5. Th. Klauser, „Studien zur Entstehungsgeschichte der christlichen

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iscrizione che la correda (fig. 28). L’artigiano è intento alla produzione di un sarcofago stri-gilato del tipo a lenos con protomi leonine e mandorla centrale nella quale è inserita proprio una botte. Se questa fosse effettivamente il simbolo di commercianti o produttori di vino, oppure di fabbricanti di botti, essa non avrebbe senso sulla lastra in questione poichè il mestiere del defunto è già rappresentato dalla scena stessa.

Si deve anche escludere che essa sia un simbolo di bottega come la lastra sepolcrale potrebbe indurre a ritenere. Infatti i sarcofagi nella cui mandorla compare una botte hanno caratte-ristiche stilistiche, che peraltro si riflettono anche nella resa del contenitore, che non ne permettono l’attribuzione ad un unico atelier.

La presenza della botte su numerose lastre di loculo rinvenute in diverse catacombe romane contribuisce ulteriormente a smentire le summenzionate interpretazioni. Anche in questi casi, infatti, la botte, che può essere rappresentata sia sola che in associazione ad altri simboli riconduci-bili non solo ad ambienti profani ma talvolta anche criptocristiani se non addirittura cristiani, non può essere intesa come simbolo di un mestiere e tantomeno è sostenibile che sia indicativa di un atelier���.

Il motivo della botte, inoltre, difficilmente è attribuibile ad un collegium funeraticium���. Infatti i sarcofagi in questione sono stati rinvenuti in contesti diversi ed a troppa distanza l’uno dall’altro.

Rispetto all’interpretazione della botte, dunque, appare necessario andare al di là di una lettura vincolata ai significati più immediati che la presenza di un contenitore tanto legato al mondo mate-riale ed alla vita quotidiana può suscitare, tenendo presente che essa non costituisce un simbolo presente esclusivamente in ambiente profano, ma che ricorre anche in quello cristiano e che il suo significato nei diversi ambienti in cui è utilizzata può modificarsi o variare.

R. Turcan��� a suo tempo ha visto nella botte dei sarcofagi un simbolo dionisiaco. Se è vero che questa lettura conferisce al contenitore ligneo un valore più ideologico collegato al sentimento della morte ed alla concezione del rito funerario non è però certo che nell’antichità l’immagine della botte fosse così strettamente associata al vino, presupposto su cui si basa l’ipotesi dello studioso francese, come accade ai nostri giorni. Analisi condotte su diverse doghe di botti e testimonianze iconogra-fiche, infatti, dimostrano che i contenitori servivano anche per la conservazione e il trasporto di altri

Kunst VIII“, JbAC 8-9 (1965-1966) 131-132. K. Fittschen, Der Meleager-Sarkophag (1975) 11 fig. 7. Koch – Sich-termann, Sarkophage 85. 121 figg. 66-67. Stroszek, Löwensarkophage 19 tav. 94, 8. F. Bisconti, „Introduzione“, in: Temi di iconografia paleocristiana. Sussidi allo Studio delle Antichità Cristiane XIII (2000) 62 fig. 60. F. Bisconti, Mestieri nelle catacombe romane. Appunti sul declino dell’iconografia del reale nei cimiteri cristiani di Roma. Studi e ricerche 2 (2000) 24 figg. 2-3. G. Koch, Frühchristliche Sarkophage, op. cit. (a nota 58) 74. 205. 342. 345. 364. G. Gori, „Lastra sepolcrale di Eutropos con raffigurazione di una officina di marmorarius“, in: I marmi colorati della Roma imperiale (2002) 496 nr. 222.

��� Per l’interpretazione della botte sulle lastre sepolcrali vedi F. Bisconti, Mestieri, op. cit. (a nota 141) 199-205. G. Baratta, „La cupa nell’ambito femminile“, op. cit. (a nota 105) 95-108.

��� Sulle esequie dei membri di collegi professionali e sui collegia tenuiorum vedi J.-P. Waltzing, Étude historique sur les corporations profesionelles chez les romains depuis les origines jusqu’à la chute de l’Empire d’Occident IV (1900) 484-545. Vedi inoltre F. M. De Robertis, Storia delle corporazioni e del regime associativo nel mondo romano (1972) I 34-35, in particolare 301-345; II 41-63. F. Jacques – J. Scheid, Rome et l’intégration de l’empire (44 av. J.-C . – 260 ap. J.-C.) (1990) 333-336.

��� R. Turcan, Sarcophages dionysiaques, op. cit. (a nota 91) 321.

Fig. 28: Particolare della lastra di Eutropos

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prodotti e non solo ed esclusivamente per il vino���. In assenza di dati significativi sulla effettiva diffusione della botte nella vita quotidiana in epoca romana, anche in rapporto agli altri conteni-tori, soprattutto le anfore, non è possibile determinare le caratteristiche peculiari che il contenitore rivestiva nell’immaginario collettivo dell’epoca.

Volendo comunque dare per certa l’associazione diretta tra la botte ed il vino anche in epoca romana è possibile interpretare il contenitore più genericamente come Glückssymbol che meglio si adatterebbe anche alla sua presenza su monumenti funerari di ambienti cristiani o comunque influenzati dal cristianesimo���. Non si può escludere che per la sua natura di contenitore di prodotti anche costosi essa sia un simbolo di ricchezza e di benessere e che per questo alluda anche ad uno status sociale. Ciò si adatterebbe bene sia al caso dei sarcofagi che a quello delle lastre di loculo.

Si può anche ipotizzare, tenendo conto del significato primario della parola che in latino designa la botte e di altri monumenti funerari che hanno una stretta relazione con essa, che il contenitore ligneo costituisca un simbolo di protezione.

La botte in latino viene detta cupa come si desume da un cospicuo numero di passi di autori antichi��� e come risulta evidente anche dall’etimologia della parola stessa���. Cupa, infatti, deriva dalla parola greca che ha il significato di „fossa“, „caverna“, „Höhle“, „Höhlung“, con la quale, non a caso, si designa anche un tipo di nave ed una capanna di paglia o frasche. Cupa, pertanto, non solo è qualche cosa di tondo, arcuato, cavernoso, ma è anche uno spazio ben delimitato e nettamente separato dal mondo circostante, uno spazio protetto e sicuro come può esserlo un antro, un’abitazione o lo scafo di una nave per chi deve affrontare il mare.

Questo è forse il valore che va attribuito ad una tipologia di sepolcri che sia nella forma, talvolta stilizzata e talvolta estremamente realistica, che nel nome si richiamano alla cupa��� e che verosimil-

��� Vedi a questo proposito la testimonianza delle fonti antiche Dig. 19, 2, 31. Palladius, 3, 25, 12. Frontinus, strat., 3, 14, 3. Nonius Marcellus 2, 117. Inoltre cfr. un rilievo di Treviri con scena di bottega ed osteria dove è raffigurata una botte posata a terra su uno dei suoi fondi da cui fuoriesce il manico di un mestolo, o di un altro strumento simile, a dimostrazione del fatto che, almeno in questo caso, il contenuto sembra non essere un liquido che si offrirebbe attingendolo da un rubinetto: H. Cüppers, „Weintransport und Kaufladen“, in: 2000 Jahre Weinkultur an Mosel – Saar – Ruwer (1987) 121 nr. 61. Vedi anche R. Billiard, La vigne dans l’antiquité (1913) 481 in cui è citato il rinvenimento di una botte con residui di pesce.

��� Vedi Stroszeck, Löwen-Sarkophage 95-96.��� Caesar, Gall. 8, 42; civ. 2, 11, 2. Frontinus, strat. 3, 14. Lucanus 4, 417.��� E. Boisacq, Dictionnaire Etymologique de la langue grecque� (1923) 536, s. v. „“. J. B. Hofmann, Etymologisches

Wörterbuch des Griechischen (1950) 166 s. v. „“.��� Per questi monumenti funerari vedi i prezzi raccolti nelle seguenti pubblicazioni: CIL, in particolare i volumi II,

VIII e XIII. S. Gsell, „Inscriptions inédites de l’Algérie“, Bulletin archéologique du Comité des travaux historiques et scientifiques. Afrique du Nord (1896) 156-220. J. Leite de Vasconcelos, Religiões de Lusitania III (1913, rist. anasta-tica 1989) 401-406. E. Espérandieu, Recueil général des bas-reliefs, statues et bustes de la Gaule romaine (1916 ss.). R. Cagnat – A. Merlin – L. Chatelain, Inscriptions latines d’Afrique (1923). A. Merlin, Inscriptions latines de Tunisie (1944). S. Gsell – H.-G. Pflaum, Inscriptions latines de l’Algérie II. Inscriptions de la confédération cirtéenne, de Cuicul et de la tribu Suburbures I-II (1957). D. Julia, Les monuments funéraires en forme de demi-cylindre dans la province romaine de Tarragonaise, Mélanges de la Casa de Velazquez I (1962) 29-54. G. Lugli, „La legione II partica e il suo sepolcreto nell’agro albano“, in: Gli archeologi italiani in onore di Amedeo Maiuri (1965) 221-242. I. Berciu – W. Wolski, „Un nouveau type de tombe mise au jour à Apulum et le problème des sarcophages à voûte de l’Empire romain“, Latomus 29 (1970) 919-965. S. Lancel, „Tipasitana IV. La nécropole romaine occidentale de la porte de Césarée: Rapport préliminaire“, Bulletin d’archéologie algérienne IV (1970) 149-266. M. Bouchenaki, Fouilles de la nécropole occidentale de Tipasa (Matarès) 1968-1972 (1975). S. Modugno, „Nuove iscrizioni dal sepolcro della legione II partica“, Documenta Albana III (1975) 83-89. E. Tortorici, Castra Albana. Forma Italia, Regio I (1975) 135-157. M. P. Caldera de Castro, „Una sepultura de cupa hallada en Mérida. Consideraciones acerca de estos monumentos funerarios“, Habis 9 (1978) 455-463. P.-A. Février – R. Guéry, „Les rites funéraires de la nécropole orientale de Sétif“, Antiquités Africaines 15 (1980) 91-124. J.-N. Bonneville, „Les cupae de Barcelone: les origines du type monumentale“, Mélanges de la Casa de Velazquez 17 (1981) 5-38. M. Khanoussi, „Nouvelles sépoltures d’époque romaine“, in: A. Beschaouch et alii, Recherches archéologiques franco-tunisiennes à Bulla-Regia I. CEFR 28/I (1983) 93-106. A. Balil, „Las cupae de Barcino. Contribución al estudio de un tipo de monumento funerario romano“, Arqueologia e Historia I-II (1984-88) 111-115. Z. Benzina Ben Abdallah, Catalogues des inscripcions latines païennes du Musée du Bardo. CEFR 92 (1986). J. D’Encarnaçaõ, Inscrições romanas do conventus Pacensis.

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mente hanno origine, come a suo tempo proponeva L. Bacchielli��0, dalle più semplici e naturali sepolture a tumulo, intendendosi per questo un montarozzo di terra. Si tratta di monumenti fune-rari diffusi soprattutto nel bacino del Mediterraneo, realizzati sia in blocchi monolitici che in mura-tura ed indistintamente legati all’inumazione o all’incinerazione. Tendenzialmente non compaiono isolati ma formano vere e proprie necropoli o vie sepolcrali e sono da ricondurre ad una precisa classe sociale composta da liberti, schiavi, ex schiavi e militari. La loro epigrafia testimonia che, indipendentemente dal fatto che siano monolitiche o costruite, esse sono dette cupa o cupula���. Questo tipo di monumento funerario, sia per quanto concerne gli esemplari costruiti che quelli in muratura, non ha la funzione di contenere i resti del defunto ma piuttosto quella di proteggerli. La cupa infatti crea uno spazio vuoto intorno alla deposizione che non solo la salvaguarda isolandola dall’intorno ma che di fatto alleggerisce il peso della terra che può incombere su di essa. La cupa sembra quasi garantire il concetto del sit tibi terra levis tante volte espresso negli epitaffi che riflette una preoccupazione ricorrente nella concezione funeraria romana rispetto alla salvaguardia dei resti del defunto.

Non è escluso, dunque, che sui sarcofagi di Roma la botte che ne orna la mandorla centrale esprima un analogo valore protettivo e sia rappresentativa di una concezione funeraria simile a quella delle cupae-monumento da ricondursi forse anche ad un determinato gruppo sociale.

Non è probabilmente un caso che sia le cupae-monumento che i sarcofagi strigilati con botte siano pertinenti allo stesso ambito sociale. I dati epigrafici dei primi, infatti, mostrano che i defunti ed i dedicanti hanno spesso nomi di origine greco-orientale, talvolta africana e che perlopiù si tratta di schiavi, liberti e militari, di persone, dunque, pertinenti in linea di massima ad un ceto medio-basso con forte potenzialità di riscatto. Le poche iscrizioni che corredano i sarcofagi confermano anche per questi la pertinenza a persone di un analogo milieu sociale���.

Subsidio para o estudo da romanização (1984). L. Bacchielli, „Monumenti funerari a forma di cupola: origine e diffusione in Italia meridionale“, in: L’Africa Romana, Atti del III Convegno di studio, Sassari 13-15 dicembre 1985 (1986) 303-319. G. Stefani, „I cippi a botte della Provincia Sardinia“, Nuovo Bullettino archeologico Sardo 3 (1986) 115-160. S. Modugno Tofini, „Le iscrizioni conservate nel parco archeologico del Museo Civico di Albano“, Docu-menta Albana 9 (1987) 51-64. S. Modugno Tofini, „Le iscrizioni di Villa Stozzi Albani Sita“, Documenta Albana 10 (1988) 17-27. G. Stefani, „Cippi a botte nella basilica di S. Saturnino a Cagliari“, Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari e Oristano 5 (1988) 167-175. S. Modugno Tofini, „Osservazioni su alcune iscrizioni edite di Albano“, Documenta Albana 11 (1989) 55-61. A. MA. Bejarano Osorio, „Sepulturas de incenera-ción en la necrópolis oriental de Mérida: las variantes de cupae monolíticas“, Anas 9 (1996) 37-58. I. Baldassarre et alii, Necropoli di Porto. Isola Sacra (1996). Inscriptions romaines de Catalogne IV 26-27 ed i pezzi corrispondenti alla definizione cupa. M. Conceição Lopes – P. C. Carvalho – S. M. Gomes, Arqueologia do Concelho de Serpa (1998) s. v. „cupa funerária“. J. López Vilar, „Consideracions sobre les cupae i altres estructures funeràries afins“, Butllettí Arcqueològic 5, 21-22 (1999-2000) 65-103. I pezzi raccolti in M. Chelotti, Regio II, Apulia et Calabria, Venusta. Supplementa Italica 20 (2003) e H.-G. Pflaum – X. Dupuis, Inscriptions latines de l’Algérie. Inscriptions de la confédération cirtéenne, de Cuicul et de la tribu des Suburbures (2003). O. Rodríguez Gutiérrez – A. Rodríguez Azogue, „Nuevos datos en torno al mundo funerario en la Sevilla romana: La necrópolis de cremación de la puerta del osario“, Romula 2 (2003) 161-179. G. Baratta, „Alcune osservazioni sulla genesi e la diffusione delle cupae“, in: L’Africa Romana. XVI Convegno internazionale di studi Rabat, 15-19 dicembre 2004 (2006) 1669-1681.

��0 L. Bacchielli, „Monumenti funerari“, op. cit. (a nota 149) 303-319.��� Cfr. ad esempio: D(is) M(anibus) / Olus Publicius Polyti/mus tutor Titi Flavi A/gathangeli pupilli sui matri / Sexctae

Fortunatae defu/nctae locum emit mas[sam] / calcavit cupam edificavit de [bon]/is eius omnibus consumat X (denariis) CC[XXV cur]/fac (CIL VI 25144) ed un’altra testimonianza epigrafica di Roma in cui si fa riferimento ad una „cupula structile“ (CIL VI 13236), una cupa monolitica di Barcellona corredata dall’iscrizione: D(is) [M](anibus) / Valerio Melippo / Caelia Quar/tula fecit pat/ri cupa(m) bene / mer(enti) et Caelia / Saturnina / uxor m(arito) o(ptimo) (Inscrip-tions romaines de Catalogne IV 290). Per l’Africa vedi S. Gsell, „Inscriptions inédites“, op. cit. (a nota 149) 183 nr. 217: D(is) M(anibus) S(acrum) / M(arco) Iul(io) Basso / Simplici Fil(io) / Paulus frat(er) ei/us d(e) p(ecunia) s(ua) cupu/lam fecit VI Id(ibus)/Nov(embris) P(edes) CCLX.

��� Il coperchio del sarcofago conservato a Woburn Abbey (Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 409) reca l’iscrizione Eusebiae filiae parentes contra votum; quello del sarcofago del Museo Capitolino di Roma (Deichmann, Reper-torium nr. 823) Sexto Acerre / Urso sancto / qui vixit annis VI menses VIII / filio dul/cissimo Urbanus / et Iustina / parentes / sancto hispirito / Urso in pace; la lastra di Eutropos vedi supra nota 141) recita .

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La mandorla centrale dei sarcofagi strigilati 215

La botte non sembra, pertanto, configurarsi come l’elemento di autorappresentazione di una categoria di lavoratori: si tratta piuttosto di un simbolo dalla natura più complessa che riflette l’espressione di un modo di sentire e di concepire la continuità dopo la morte e sembra identifica-tivo di una specifica ideologia funeraria. Se nella botte si nasconde un elemento di Selbstdarstellung questa consiste nel qualificarsi come appartenente al gruppo di coloro che credono e si identificano in un certo tipo di Fortleben.

Referenze iconografiche:

Fig. 1: DAI Inst. Neg. 82.3287.Fig. 2: PCAS 8320.Fig. 3: DAI Inst. Neg. 94.1226.Fig. 4: Roma, Museo Capitolino, DAI Inst. Neg. 269.Fig. 5: ICCD E 28901.Fig. 6: da Wegner, Die Musensarkophage nr. 193.Fig. 7: PCAS 5121.Fig. 8: DAI Inst. Neg. 63.854.Fig. 9: DAI Inst. Neg. 71.1206.Fig. 10: DAI Inst. Neg. 40.238.Fig. 11: DAI Inst. Neg. 64.778.Fig. 12: DAI Inst. Neg. 59.472.Fig. 13: DAI Inst. Neg. 57.55.Fig. 14: DAI Inst. Neg. 61.98.Fig. 15: DAI Inst. Neg. 66.1115.Fig. 16: foto autore.Fig. 17: da V. Tusa, I sarcofagi romani di Sicilia (1995) nr. 122.Fig. 18: DAI INst Neg. 65.1322.Fig. 19: da Stroszeck, Löwen-Sarkophage nr. 234.Fig. 20: DAI Inst. Neg. 70.2759.Fig. 21: DAI Inst. Neg. 70.2157.Fig. 22: DAI Inst. Neg. 68.145.Fig. 23: DAI Inst. Neg. 71.31.Fig. 24: da Christern – Briesenick, Repertorium, tav. 13,4.Fig. 25: da I. Di Stefano Manzella, Inscriptiones Sanctae Sedis 1. Index inscriptionum Musei Vati-

cani 1. Ambulacrum Iulianum sive “Galleria Lapidaria” (1995) fig. 51, 15.Fig. 26: da V. Tusa, I sarcofagi romani di Sicilia (1995) nr. 83.Fig. 27: da G. Wilpert, I Sarcofagi cristiani antichi II (1932) tav. 225, 2.Fig. 28: DAI Inst. Neg. 75.1102.

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