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Anno XVII • n. 4 ITINERARI NASCOSTI DI ROMA ANTICA Aprile
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E.S.S.EDITORIAL
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RIVISTA FONDATA DA LUCIANO PASQUALI
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EDITORIALE
Questo mese parliamo dell’epigrafia del mondo romano. Una
scienza, quella che si occupa delle iscrizioni, dicui, vedremo, è
piuttosto difficile dare una definizione chiara e univoca. Così
come del resto davvero compli-cato è definire l’oggetto stesso di
studio dell’epigrafia, i tituli, le iscrizioni appunto. Secondo il
significato let-terale della parola – dal greco epigraphein =
‘scrivere su’ cui corrisponde perfettamente il latino inscribere –
l’e-pigrafia abbraccia il complesso del materiale scrittorio
dell’antichità trasmesso in maniera diretta, dunque nonattraverso
la mediazione dei copisti medievali. Ma sulla problematica
definizione della disciplina, resa ancorapiù complessa dal rapporto
con scienze quali la papirologia e la numismatica che studiano
rispettivamente idocumenti redatti su papiro e monete e che ne
delimitano e, talvolta per così dire “confondono”, le aree
dicompetenza, torneremo in maniera più esaustiva nell’ampia
intervista d’apertura a Silvio Panciera, Professoreemerito
dell’Università di Roma “La Sapienza” - dove ha insegnato Epigrafia
Latina dal 1963 al 2006 - eSocio Nazionale dell’Accademia dei
Lincei.Quello delle iscrizioni è un patrimonio preziosissimo che,
oltre a rappresentare un’importante fonte per lo stu-dio della
storia e dell’archeologia, consente di entrare in contatto col
mondo antico in maniera immediata for-mandosi un quadro realistico
dei molteplici aspetti della vita pubblica e privata che lo hanno
caratterizzato nel-le più diverse epoche. Disparati sono infatti i
messaggi affidati alla scrittura epigrafica: dal cursus honorum (la
car-riera pubblica) delle persone alle leggi, dal calendario agli
oracoli, dalle opere pubbliche all’instrumentum dome-sticum (gli
oggetti d’uso quotidiano) alle iscrizioni funerarie e onorarie e
così via. Come vedremo addentran-doci nella lettura, ingente è
anche l’apporto dell’epigrafia per la ricostruzione della storia
politica, economica esociale del mondo antico, nonché della vita
quotidiana, della storia dello sport, del diritto e delle
religioni. Le iscrizioni sono poi una preziosa e fedele
testimonianza della lingua in tutte le sue stratificazioni:
nell’evo-luzione cronologica e geografica, a seconda del tempo e
del luogo di provenienza; ad esempio, le epigrafifunerarie o le
iscrizioni graffite o dipinte estemporanee come quelle rinvenute in
abbondanza nelle città vesu-viane costituiscono una fonte unica per
la ricostruzione del sermo cotidianus, la lingua parlata. Proprio
in virtù del fatto che il campo dell’iscrizione è ristretto, il
testo iscritto è sempre piuttosto breve e lo sti-le dei testi
epigrafici risulta perlopiù conciso, sintetico, paratattico,
essenziale e formulare, non presentando gran-di difficoltà
esegetiche dal punto di vista grammaticale: la parte più complessa
è, invece, rappresentata dallo scio-glimento delle abbreviazioni,
sigle o nessi che per economia di spazio venivano assai
frequentemente impiegate.Spetta dunque all’epigrafia spiegare il
valore di certe formule utilizzate, trattare dei caratteri in cui
sono scrit-te le iscrizioni, di come dalla loro forma se ne possa
determinare l’età, dedurre le informazioni sui monumentipiù vari:
dalla datazione alla destinazione, dai committenti a eventuali
restauri, dalle scene rappresentate alladedica…questo e molto altro
compete alla scienza epigrafica come scopriremo sfogliando il nuovo
numero diForma Urbis….che tra l’altro, ci piace ricordare in questa
sede, trae il suo nome dalla Forma Urbis Romae, lacelebre pianta di
età severiana incisa su grandi lastre marmoree sulle quali, grazie
alle iscrizioni, è possibilericonoscere molti edifici
dell’epoca.
Simona SanchiricoDirettore Editoriale di Forma Urbis
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Anno XVII • n. 4 ITINERARI NASCOSTI DI ROMA ANTICA Aprile
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IN COPERTINA: La dedica a Settimio Severo (CIL, XIV 4569) in
unoscatto di Hans Georg Kolbe (Archivio fotografico CIL,
Inv.-Nr.PH0002768, Berlin-Brandenburgische Akademie der
Wissenschaften)IN IV DI COPERTINA: "La mano del maestro". Silvio
Panciera alleprese con il controllo autoptico di un'iscrizione a S.
Alessandro sulla viaNomentana (scatto di Giorgio Crimi)
Mensile Tecnico-Scientifico fondato da Luciano Pasquali
DIRETTORE RESPONSABILESILVIA PASQUALI DIRETTORE
SCIENTIFICOCLAUDIO MOCCHEGIANI CARPANO DIRETTORE EDITORIALE SIMONA
SANCHIRICOCOMITATO SCIENTIFICOLUCA ATTENNI, GIANFRANCO DE ROSSI,
CARLO PAVIA, SIMONA SANCHIRICOSEGRETERIA DI REDAZIONE LAURA
PASQUALI, SIMONA SANCHIRICO. SI RINGRAZIA LAPROF.SSA SILVIA ORLANDI
PER IL PREZIOSO CONTRIBUTO NELLACURATELA DEL NUMERO
DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICAA CURA DEGLI AUTORI E DELLE
ISTITUZIONI COMPETENTI.COMITATO SCIENTIFICO DʼONORE :PAOLA DI
MANZANO Soprintendenza Archeologica di Roma;DARIO GIORGETTI
Università degli Studi di Bologna;EMANUELE GRECO SAIA-Scuola
Archeologica Italiana di Atene;TEN. COL. BRUNO LA CORTE già
Comandante GruppoTutela Patrimonio Archeologico del Nucleo
PoliziaTributaria di Roma della Guardia di Finanza;EUGENIO LA ROCCA
“Sapienza” - Università di RomaTEN. COL. RAFFAELE MANCINO
Comandante del RepartoOperativo del Comando dei Carabinieri Tutela
PatrimonioCulturale;FEDERICO MARAZZI Università degli Studi “Suor
OrsolaBenincasa”, Napoli;PAOLO MORENO Università degli Studi di
Roma III;CAP. MASSIMILIANO QUAGLIARELLA Comandante dellaSezione
Archeologia del Reparto Operativo del Comando deiCarabinieri Tutela
Patrimonio Culturale;SILVANA RIZZO Consigliere Culturale per i
RapportiInternazionali del vicepresidente del Consiglio eMinistro
per i Beni e le Attività Culturali;MAGG. MASSIMO ROSSI Comandante
della II Sezione delGruppo Tutela Patrimonio Archeologico del
NucleoPolizia Tributaria di Roma della Guardia di Finanza;PATRIZIA
SERAFIN PETRILLO II Università degli Studi di RomaTor
Vergata;ELIZABETH J. SHEPHERD Istituto Centrale per il Catalogo e
laDocumentazione-Aerofototeca Nazionale
Referenze fotografiche: foto d’archivio privato e di
Entipubblici e privati (a cura e sotto la responsabilità
degliautori degli articoli pubblicati)
EDITOREE.S.S. - Via di Torre S. Anastasia, 61 - 00134
Romae-mail: [email protected] http//www.editorial.itAMMINISTRAZIONE
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registrata presso il Tribunale di Roma n°548/95 del 13/11/95Una
copia 4,50 euro; arretrata 5,50 euro ABBONAMENTI: L’abbonamento
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vanno richiesti mediante versamentoanticipato sul c.c. 58526005,
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parte della presente pubblicazione può essere riprodotta in alcun
modo senza il consenso scritto dell’EditoreFinito di stampare nel
mese di Aprile 2012© Copyright E.S.S. Editorial Service System
Questo periodico è associatoall’Unione Stampa Periodica
Italiana
QUANDO BASTA UN FRAMMENTOdi Silvia Orlandi
20
UN PARTICOLARE TIPO DI COMUNICAZIONE UMANA
PARLANDO DI EPIGRAFIA CON SILVIO PANCIERA
4
LE EPIGRAFI DELLA CONQUISTAdi Silvia Giorcelli Bersani
15
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LE CARRIERE INTRECCIATE DI UN SENATORE
E DI UN CAVALIERENELLE EPIGRAFI DI BRESCIA, EFESO E ROMA
di Gian Luca Gregori e Alister Filippini
24
I FALSI EPIGRAFICIdi Maria Letizia Caldelli
36
DIOCLES LO SPORTIVO PIÙ PAGATO DELLA STORIA
di Maria Cristina de la Escosura Balbàs
30
LE ISCRIZIONI IN LATINO DI ROMA CAPITALE
di Antonino Nastasi
42
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4
Professor Panciera, volendo introdurre ildiscorso sull’epigrafia
che intendiamosviluppare in questo numero dellanostra rivista, ci è
sembrato che Lei, che ha inse-gnato questa disciplina alla Sapienza
per oltre unquarantennio e la rappresenta nell’AccademiaNazionale
dei Lincei, fosse la persona più adattada interpellare per
raggiungere lo scopo, sempreche sia disponibile a dedicarci un po’
del suotempo
Naturalmente sì. Da dove vogliamo cominciare?
Per esempio, potrebbe dare ai nostri lettori unasemplice
definizione di “epigrafia”?
Questo non è difficile: con tale termine si indica ladisciplina
che si dedica alla raccolta, alla lettura, all’inter-
pretazione, alla pubblicazione e all’utilizzazione storicadi
quei documenti scritti dell’antichità (ma non solo)che denominiamo,
con una parola di origine greca,“epigrafi”, o, usando un
equivalente latino, “iscrizioni”.
E come potremmo definire invece un’epigrafe oun’iscrizione?
Ecco, questa non è, invece, una domanda semplice, tan-to che,
quantunque possa sembrare strano, né gli epigra-fisti, né altri
hanno prodotto sinora una definizione di“epigrafe” o di
“iscrizione” che sia generalmente accol-ta. Questioni del genere
sono spesso considerate steril-mente accademiche. Personalmente
sono di parerediverso, sia perché ritengo che definire il proprio
ogget-to faccia parte dei doveri primari di ogni disciplina,
siaperché l’esperienza insegna che è proprio da un’accura-ta
revisione critica dell’oggetto delle proprie ricerche
UN PARTICOLARE TIPO DI COMUNICAZIONE UMANA
PARLANDO DI EPIGRAFIA CON SILVIO PANCIERA*
A CURA DI SIMONA SANCHIRICO**
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5
che non di rado una disciplina può uscire, anche
meto-dologicamente, profondamente rinnovata.
Lei dice che manca ancora una definizione gene-ralmente accolta.
Dunque tentativi di fornirneuna sono stati fatti, anche se non
hanno ottenutounanime consenso.
È così: si è tentato ad esempio dipervenire a una definizione
di“epigrafe” per via etimologica,ricavandola cioè dal significato
stes-so della parola. Ma il tentativo nonè riuscito per più di una
ragione. Inprimo luogo, è da osservare chetanto il verbo greco
epigrapheinquanto il corrispondente latinoinscribere, che indicano
l’azione di“scrivere su qualcosa”, non aiutanomolto perché è
evidente che ognimanifestazione scrittoria implicache “si scriva su
qualcosa” e ilnostro problema è, se mai, di capirein che cosa lo
scrivere epigrafico sidifferenzi da uno scrivere che epi-grafico
non è.
Quali altri criteri di valutazio-ne sono stati adottati per
distinguere un’epigrafeda un altro prodotto scrittorio?
Tentativi sono stati fatti servendosi di parametri di
varianatura, tra i quali potremmo distinguerne alcuni, per
così dire, materiali e altri che, per opposizione, potrem-mo
definire immateriali, da soli o in combinazione traloro. Ma anche
tutto questo lavorio, pur avendo consen-tito acquisizioni
importanti, non ha portato a risultatisempre condivisi e
condivisibili.
A pag. 4: Silvio Panciera
In basso: Piramide Cestia – veduta generale (Foto di F.V.
Bagnato)
Qui sotto: Piramide Cestia – particolare con epigrafe (Foto di
F.V.Bagnato)
-
Innanzitutto a cosa si riferisce quando parla di“parametri
materiali”?
Ancora in alcuni dei più recenti manuali di epigrafialatina, si
dichiara che oggetto di studio dell’epigrafiasono tutti gli scritti
originali di età romana che ci sonostati trasmessi su materiale
durevole. Lasciamo da parteper il momento la questione degli
scritti originali. Quiinteressa soprattutto l’assunzione della
durata (o anchedurezza, spesso addirittura dell’imponenza) del
suppor-to come elemento caratterizzante e distintivo dell’epi-grafe
(figg. a p. 5). È un tipo di definizione di cui sonoevidenti i
limiti, consistenti, prima di tutto nella rinun-cia a qualsiasi
tentativo d’individuare caratteri interni,specifici della
produzione epigrafica (e quindi neldemandare il compito definitorio
alla sola caratteristicaesterna, per quanto non irrilevante, del
materiale delsupporto), ma anche nell’incoerenza, quando gli
stessiche la propongono si trovano a includere fra le epigrafi
anche scritti su supporti come le tavolette lignee, cerate(fig.
in alto) o no, intonaci o altro (fig. sopra), che dure-voli non
possono certo dirsi.
E questi “parametri materiali” usati a fini defini-tori si
esauriscono qui o ve ne sono anche altri?
Tra questi si può inserire in qualche modo anche quelloricavato
dalla tecnica usata per la scrittura. Si insiste partico-larmente
sulla tecnica sottrattiva (incisione a scalpello [fig. ap. 7, in
alto], a bulino [fig. a p. 7, in basso], a sgraffio [fig. a p.8, in
basso]) con cui in effetti è realizzata la maggior partedelle
manifestazioni scrittorie qualificabili come epigrafiche ci sono
pervenute, ma ancora una volta si tratta di uncriterio esterno, che
nulla dice di specifico sull’epigrafe, eindebitamente ignora tutte
le varie altre tecniche che furo-no usate, come la pittura a
pennello (fig. a p. 8, in alto), la tec-nica musiva (fig. a p. 8,
al centro), l’ageminatura, la scrittura acalamo (fig. a p. 9, in
alto), con carbone o gesso, l’impressio-ne tramite sigillo (fig. a
p. 9, al centro) e varie altre.
6
A sinistra: Tavoletta cerata (Foto tratta da G. Camodeca,
TabulaePompeianae Sulpiciorum. Edizione critica dell’archivio
puteolano deiSulpicii, Roma 1999, p. 528, nr. 45)
In basso: Intonaco con iscrizioni dipinte (Foto tratta da A.
Varone-G. Stefani, Titulorum Pictorum Pompeianorum qui in CIL Vol.
IVcollecti sunt Imagines, Roma 2009, tav. XL, G306)
-
7
Passiamo allora a quegli altri parametri che hadefinito
“immateriali”.
In questo caso, anziché alle qualità fisiche esterne delprodotto
scrittorio, si guarda alle intenzioni che l’hanno
determinato, dunque a suoi caratteriinterni, tra i quali
s’identificano, comeparticolarmente significativi, lavolontà di
perpetuazione dellamemoria, l’intenzione di comunica-zione
pubblica, l’aspirazione alla rap-presentazione di sé.
Perché Lei pensa che anche que-sti parametri non siano del
tuttosoddisfacenti?
Che dietro a gran parte delle epigrafi cisia la volontà di
assicurare lunga durataal messaggio che esse contengono nonc’è
dubbio. Sul punto sono moltochiari già gli antichi. Del resto
quella dicontrapporsi all’effimero dell’oralità,conservando la
parola nel tempo, è in
assoluto una delle funzioni precipue della scrittura. Nelcaso
delle epigrafi, questa volontà di durata può rilevarsi,oltre che
nell’intenzione (talora anche dichiarata) delloscrivente,
nell’associazione della scrittura con materie (il
In alto: Iscrizione sepolcrale in marmo delMausoleo di Cecilia
Metella (Foto ArchivioSoprintendenza Speciale ai Beni
Archeologicidi Roma - S. Castellani)
A sinistra: Legge municipale di Osuna (Fototratta da AA.VV.,
Princeps Urbium. Culturae Vita Sociale dell’Italia Romana,
Milano1991, p. 210, nr. 253)
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8
bronzo, il marmo) e con tecniche (l’in-cisione) particolarmente
idonee al rag-giungimento dello scopo. Ma nonsempre. Ci sono
prodotti scrittorii,comunemente, e credo giustamente,classificati
come epigrafi, come i cartel-li dipinti di affittasi/vendesi di
unappartamento, o gli annunci di spetta-coli e i manifesti di
propaganda eletto-rale (fig. a p. 9, in basso), e altri ancora,che,
destinati ad essere cancellati una
volta assolta la loro funzione, non hanno alcuna aspirazio-ne,
non dico all’eternità, ma neppure a una durata menche effimera.
E come giudica l’intenzione di comunicazionepubblica o
l’aspirazione alla rappresentazione disé come altri caratteri
distintivi di un’epigrafe?
Sono parametri che meritano particolare attenzione, ma
non senza qualche distinguo. I detentoridel potere – che erano
anche i controllo-ri dello spazio pubblico e avevano biso-gno di
uno strumento per comunicarecon la popolazione, portando a sua
cono-scenza i successi e tacendo gli insuccessi,pubblicizzando
decisioni e regolamenti,definendo spazio e tempo, propagandan-do
idee e promuovendo se stessi, conmessaggi visivi oltre che verbali
– nonhanno tardato a individuare nella scrittu-ra esposta in
pubblico il veicolo più ido-neo per tale tipo di comunicazione
(fig. ap. 10, in alto). Ma anche la gente menoimportante, e
tuttavia dotata della possibi-lità economica e sociale di servirsi
di unascrittura di larga accessibilità (comunquecerto una minoranza
della popolazione),se n’è servita per sottolineare la
posizioneconquistata nella comunità d’appartenen-za (figg. a pp. 10
e 11), nelle associazioni,
nella famiglia, per rendere noti suoi rapporti interattivicol
divino (supplica, rendimento di grazie), rivendicareproprietà o
prodotti, o anche soltanto per il piacere diesibirsi. Quella della
“visibilità”, del “mettersi sotto gliocchi di tutti”, è
effettivamente un’esigenza e un’aspira-zione molto sentita nella
cultura romana. Più che nel suocarattere di emanazione pubblica,
individuerei tuttavia lospecifico della comunicazione epigrafica
nel suo essere
In basso: Graffito su intonaco a Pompei (Fototratta da AA.VV.,
Princeps Urbium. Culturae Vita Sociale dell’Italia Romana,
Milano1991, p. 214, nr. 262)
A destra: Trebio Giusto (Foto tratta daAA.VV., Princeps Urbium.
Cultura e VitaSociale dell’Italia romana, Milano 1991, p.186, nr.
233)
Al centro: Iscrizione musiva pavimentale del-la casa degli
Arippi e degli Ulpii Vibii (Foto diF.V. Bagnato)
-
9
rivolta, almeno intenzionalmente,erga omnes, o almeno a un
nume-ro quanto più possibile elevato dipotenziali lettori,
indipendente-mente dal fatto che questa poten-zialità si traducesse
poi effettiva-mente in atto, come mostra ilcaso di lunghe e
importanti iscri-zioni eseguite in caratteri talmen-te minuti e
collocate in luogo eposizione tali che nessuno avreb-be potuto
leggerle.
Mi pare che siano evidenti ledifficoltà che gli
studiosiincontrano a racchiudere lospecifico di un’epigrafe inuna
sola formula che, se puòrisultare soddisfacente peralcuni aspetti,
non lo è pertutti. Ci sono, a Suo giudizio,altre vie percorribili
conprofitto?
Si può in effetti tentare un altroapproccio. Siccome c’è
unanimitànel r itenere che le epigrafi(comunque s’intendano)
costitui-scono una fonte storica di prima-ria importanza, possiamo
verifi-care se qualche chiarimento nonpossa venire da quella
classifica-zione delle fonti, attorno alla qua-le storici e
metodologici dellastoria si affaticano da secoli.
A sinistra: Scrittura a calamosu anfora (Foto di F.V.
Bagna-to)
Al centro: Bollo laterizio(Foto di F.V. Bagnato)
In basso: Manifesto elettorale(Foto tratta da A.
Varone-G.Stefani, Titulorum PictorumPompeianorum qui in CIL Vol.IV
collecti sunt imagines, Roma2009, tav. VIII. D112221)
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A sinistra: Arco di Settimio Severo (Foto diF.V. Bagnato)
In basso: Sepolcro di Eurisace – veduta gene-rale (Foto di F.V.
Bagnato)
A pag. 11: Sepolcro di Eurisace – particolare(Foto di F.V.
Bagnato)
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11
In che modo questo lavoro di classificazione del-le fonti
storiche può essere di qualche aiuto ancheper la definizione di
cosa sia un’epigrafe?
Poiché è indiscutibile, almeno, che non esiste epigrafesenza
scrittura (anche se poi, nel caso dell’epigrafe, loscritto ha la
peculiarità di non poter essere rettamenteinteso se non
considerandolo in unione con il supportosul quale è tracciato e con
il luogo in cui si trova), vorreisoffermarmi un attimo sulla
classificazione che opponescritto a non scritto, una distinzione
che, nella sua appa-rente meccanicità, ha invece il vantaggio di
distingueretra codici comunicativi diversi. Se le epigrafi fanno
par-te dell’universo scrittorio di una cultura, possiamo isola-re,
in esso, dei filoni dei quali si possa dire che esse nonfacciano
parte?
Se ben capisco, Lei propone, in sostanza, di cer-care di
arrivare a una definizione “in negativo”invece che “in
positivo”.
Sì, almeno inizialmente. Le fonti scritte, di cui abbiamodetto,
sono a loro volta divise in documentarie e narrati-ve. Difficile
trovare – a mio avviso – un posto appropria-to per le epigrafi,
tanto in un gruppo quanto nell’altro.Prendiamo il vasto settore che
riunisce la produzioneletteraria: poesia, narrativa, storia,
filosofia, trattatistica ecosì via. Con le epigrafi, siamo
chiaramente su un pianodiverso, e non solo per ragioni quantitative
(brevità delleiscrizioni) e per la modestia delle loro qualità
letterarie,ma anche per ragioni sostanziali, rappresentate
dalladiversità di intenzione, di modo di produzione e di
desti-nazione, essendo la letteratura rivolta a un
pubblicoristretto, suscettibile di circolazione grazie alla
possibilitàdi un’illimitata riproduzione manoscritta e destinata,
inultima analisi, alle biblioteche, caratteristiche nessunadelle
quali è applicabile alle epigrafi. Il fatto che di certeopere
sostanzialmente storico-letterarie, come le Res
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gestae augustee (fig. in alto, a sinistra), possediamo ancheuna
versione epigrafica non elimina una distanza cheresta incolmabile e
prova soltanto che, in alcuni casi, si èritenuto opportuno
aggiungere alla diffusione propriadelle opere letterarie anche
quella epigrafica, implicita-mente riconoscendo, con ciò,
l’importanza di quest’ulti-ma.
Ma le iscrizioni non potrebbero rientrare invecenella categoria
dei documenti?
Qui bisogna considerare prioritariamente la moltepli-cità di
significati assunti dalla parola “documento”, laquale, dal valore
originario di “ciò che è d’insegna-mento” (da doceo), “ciò che
serve alla rappresentazionedi un fatto”, è passata a indicare gli
scritti prodotti perfinalità pratiche o amministrative, le lettere,
le “testi-monianze certe”, le “prove” giudiziarie scritte,
gliattestati d’identità o d’altro, fino a designare – con scel-ta a
mio avviso poco felice perché equivoca – qualsia-si fonte, scritta
o non scritta, utilizzabile dallo storico.Anche le epigrafi sono
indicate spesso come docu-menti (documenti epigrafici), e questo
può andar benese si usa la parola in senso generico. Non credo
inveceche quest’uso sia accettabile nello specifico. Da unpunto di
vista concettuale, non vedo infatti come siaaccomunabile a quello
epigrafico tutto quel materiale,indubbiamente classificabile come
documentario, cheè composto da testamenti, contratti, mandati di
com-parizione, sentenze, ricevute di prestito, registri conta-bili,
lettere di carattere pubblico o privato, ma anche, apiù alto
livello, da senato consulti, leggi, editti, decreti,costituzioni
imperiali, che invece spesso sono conside-
rati epigrafi per eccellenza. Di fatto, alcuni di questi(non
tutti) si trovano riprodotti anche epigraficamen-te (talora li
conosciamo in effetti solo attraverso le lorocopie epigrafiche) e
tutti sono studiati, soprattutto oanche, dagli epigrafisti, ma non
per questo “epigrafi” e“documenti” si identificano. Al contrario,
credo che isecondi, per la loro origine, per la loro funzione, per
icodici espressivi cui debbono adeguarsi e per la lorodestinazione
naturale, che non era nel loro caso, né lastrada, né la biblioteca,
ma l’archivio, siano moltodiversi dalle prime.
Né fonte narrativa né documentaria: non c’è pro-prio modo di
chiarire in che cosa, a livello essen-ziale, la scrittura
epigrafica si differenzi dalle altreforme di scrittura in uso
contemporaneo?
Una dozzina di anni fa, dopo aver criticato altre pro-poste
definitorie, azzardavo al riguardo queste rifles-sioni: “…
comprensivamente potrebbe definirsi epi-grafe, o iscrizione, ogni
scritto realizzato in una deter-minata cultura mediante l’abbandono
degli strumentio dei supporti (ovvero tanto degli uni quanto
deglialtri) di cui essa si serve per la scrittura nell’uso
quoti-diano, e la loro sostituzione con altri”. E così
chiarivoulteriormente il mio punto di vista: “In altre parole
A sinistra: Res Gestae, particolare dell’inizio della copia
latina adAnkara (Foto tratta da Res gestae divi Augusti, a cura di
C. Barini,Roma 1937, tav. 2)
A destra: Statua di Augusto nei Giardini del Molosiglio a Napoli
coniscrizione moderna aggiunta sul retro della base (Foto di Teresa
D.Alberico)
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13
potrebbe dirsi che il carattere distintivo dell’epigraferisieda
in primo luogo nella sua devianza, più o menovoluta, dagli usi
scrittorii per così dire normali’ nel-l’ambiente che l’ha
prodotta”.
E la sua opinione, nel frattempo, è rimasta la stessa?
Oggi, anche alla luce dei ragionamenti svolti sopra, etentando
di passare a una formulazione più in positivo,suggerirei di
considerare “epigrafe” un particolareesempio di comunicazione umana
scritta, del tipo cheoggi diremmo unidirezionale (nel senso che non
preve-de una risposta) che, avendo la caratteristica di non esse-re
rivolta a una persona o a un gruppo, ma alla colletti-vità, sceglie
per questo di volta in volta le collocazioni,le tecniche di
scrittura, le forme grafiche e d’impagina-zione, i codici e i
registri espressivi più idonei al rag-giungimento dello scopo che
si propone, diversifican-dosi in tal modo da altre forme di
comunicazione con-temporanea tramite la parola, come quella orale,
lettera-ria o documentaria. Ribadisco con ciò il concetto
discrittura epigrafica come scrittura deviante (natural-mente
rispetto ai luoghi e ai tempi), in quanto l’adozio-ne di una
scrittura diversa (nei supporti, nelle tecniche,o in entrambe le
componenti) è richiesta per l’appuntodalla sua finalità. Ma, nel
contempo, pongo anchemeglio in evidenza l’altra caratteristica
essenziale dell’e-pigrafe, che è quella del suo indirizzo
collettivo.
Potrebbe farci un esempio?
Ne farò uno banalissimo: se io dico a una ragazza, dipersona o
per telefono, “Francesca ti amo”, faccio unacomunicazione orale
interpersonale; se scrivo una poe-sia in cui manifesto questo mio
sentimento e magari ne
procuro anche una qualche circolazione a stampa o conaltro
mezzo, produco un’opera letteraria, aspirante,come tale, a entrare
a far parte di una biblioteca; se glie-lo scrivo con una lettera,
con un telegramma, o, comeoggi sarebbe più normale, con una e-mail
o un mes-saggino, produco un documento destinato
all’archivioprivato della ragazza; se prendo una bomboletta spray
elo scrivo a caratteri cubitali sulle mura Aureliane, conciò
rendendone partecipe, grazie al luogo e alla moda-lità di scrittura
prescelta, non solo l’interessata, ma lacomunità intera, faccio
certamente una cosa riprovevo-le, ma produco un’epigrafe (fig. a p.
12, in alto a destra).
Dopo tutte le difficoltà che abbiamo passato inrassegna, così
non è troppo semplice?
Non credo. Solo una definizione di epigrafe comequella inglobata
in questo esempio sembra a me capa-ce, da un lato, di tenere
insieme materiali caratterizza-ti da grandissima eterogeneità e,
dall’altro, di metterechiaramente al di fuori dei suoi confini ciò
che non lepertiene, almeno non in maniera esclusiva. Durabilità
edurezza del supporto, sua fissità o mobilità, finalità,contenuto,
durata per sempre o effimera, unicità oripetitività del messaggio,
solennità o modestia discrittura, non è che non contino –
tutt’altro – ma sonosolo una sorta di aspetti accessori, che
possono variareindefinitamente, manifestarsi o anche no, senza che
nerisulti compromesso il proprio “specifico” che consi-ste – a mio
avviso, lo ripeto – nella scelta di realizzareuna comunicazione
che, non essendo diretta a unapersona né a un gruppo, ma a una
comunità intera,richiede l’abbandono degli strumenti o dei
supporti(ovvero tanto degli uni, quanto degli altri) di cui
quel-
Tavoletta di Vindolanda (Foto tratta da AA.VV., Princeps Urbium.
Cultura e Vita Sociale dell’Italia Romana, Milano 1991, p. 212, nr.
255)
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14
la stessa cultura si serve per la scrittura quotidiana,
let-teraria, documentaria, e la loro sostituzione con altri,più
idonei.
In effetti, l’insieme sembra così molto più chiaro.Ma ci sono,
in base a queste considerazioni, deicambiamenti da apportare anche
al quadro chegeneralmente si offre dell’insieme della produzio-ne
epigrafica?
Sì, ritengo che almeno alcuni chiarimenti siano oppor-tuni: per
la loro natura e destinazione, ad esempio, né letavolette del campo
militare di Vindolanda in Britannia,che contengono tutta una serie
di lettere di soldati, perlo più scritte a inchiostro su sottili
sfoglie di legno (fig. ap. 13), né le tavolette cerate di Pompei e
di Ercolano dicarattere giudiziario o finanziario, né una decisione
delSenato nel momento in cui viene verbalizzata per
esseredepositata nell’archivio, né una lettera con cui
l’impera-tore conferisce una promozione a un suo funzionario emolto
altro, credo siano da considerare epigrafi, anche sepossono
diventarlo nel momento in cui qualcuno (ilsenato stesso, per
diffonderere la conoscenza delle pro-prie decisioni, o il
funzionario promosso per vantarsidell’avanzamento ottenuto) decide
di mutarne la natura,trasferendole da un supporto a un altro e da
una scrittu-
ra a un’altra. In altre parole e in conclusione, crederei
che,nell’ambito dell’epigrafia, si debba distinguere tra:
a) epigrafi che sono tali per scelta primaria, cioè perchéfin
dall’inizio sono state concepite per esserlo, adesempio
un’iscrizione sepolcrale, votiva o onoraria,un graffito, un bollo
su instrumentum;
b) epigrafi che sono tali per scelta secondaria; ad esempio:
lalex de imperio Vespasiani non è stata in alcun modo conce-pita
come epigrafe, bensì come sistemazione di normeriguardanti le
prerogative dell’imperatore Vespasiano, esolo dopo è diventata
epigrafe, nel momento in cui si èritenuto importante che, del
documento giuridico archi-viato e perciò divenuto vincolante, fosse
realizzata ancheuna maestosissima copia su bronzo dorato da esporre
insede opportuna (fig. a sinistra);
c) una quantità di prodotti scrittorii come le tavolette
diVindolanda ricordate, i graffiti con conti d’infornata diLa
Graufesenque, gli ostraka amministrativi delle cavedi granito del
Mons Claudianus in Egitto, che, puressendo studiati (spesso
ottimamente) dagli epigrafisti,oltre che dai paleografi o da altri,
né sono nati peressere epigrafi, né mai lo sono diventati, e
vannoquindi analizzati con la coscienza che, essendo dinatura
diversa, richiedono un trattamento specifico.
Resterebbe per l’appunto ancora da stabilire qua-li siano lo
statuto e i compiti dell’epigrafista…
Coinvolgendo i rapporti che l’epigrafe ha con il monu-mento o
l’oggetto su cui è apposta, con l’ambiente, conle altre
testimonianze scritte e anche con quelle nonscritte, e il compito
fondamentale dell’edizione, questesono domande troppo complesse
perché possano riceve-re una risposta in questo contesto. Tra i
compiti dell’epi-grafista vi è anche la raccolta (e
l’organizzazione in unquadro cronologico e territoriale, come per
ogni altroscritto) dei dati relativi a chi scrive, che cosa scrive,
comescrive, dove scrive, per chi scrive, con quali finalità,
rego-le, aspirazioni, creative o anche estetiche, scrive; ma
forseanche altro. Di tutto questo eventualmente in
un’altraconversazione, se lo crederete opportuno.
Caro professore, La ringraziamo per la Sua pre-ziosa
disponibilità e per l’estrema chiarezza concui ci ha illustrato
tematiche complesse, ancoraoggetto di studio e di definizione da
parte diaccademici e studiosi di tutto il mondo. Dun-que
accogliamo, fin da ora, il Suo invito a unprosieguo di questa
piacevole intervista chepotrebbe confluire in uno dei prossimi
numeridel nostro giornale, dedicato alle professionilegate
all’archeologia �
* Silvio Panciera è Professore Emerito di Epigrafia Latinadella
“Sapienza” - Università di Roma
** Simona Sanchirico è direttore editoriale di Forma Urbis
Lex de Imperio Vespasiani (Foto tratta da AA.VV., La Lex de
Impe-rio Vespasiani e la Roma dei Flavi. Atti del Convegno Roma,
20-22novembre 2008, Roma 2009, p. 366)
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15
La civiltà romana fu il frutto del lungo e inar-restabile
processo di espansione di Romadapprima in Italia e poi nel
Mediterraneo,avviato quasi all’indomani della sua fondazione;
taleprocesso ebbe il suo culmine fra il II sec. a.C. e
l’etàaugustea, quando Roma si trovò padrona di un enor-me impero
che conteneva e controllava quasi intera-mente il mondo allora
conosciuto. Questo fenomenodi “romanizzazione” determinò un
grandioso proces-so di integrazione etnica e culturale delle
popolazionivia via conquistate, che furono sollecitate ad
assimilarela lingua latina, il diritto, le istituzioni, lo stile di
vitaromano e a condividere una condizione di identitàculturale e
politica all’interno della quale esse avevanoun comune patrimonio
di valori di riferimento. Ladocumentazione epigrafica si è da tempo
dimostratauno strumento di indagine prezioso per la conoscenza
dei processi di romanizzazione nelle diverse aree del-l’impero,
permettendo in primo luogo di comprende-re il variegato e complesso
meccanismo di estensionedelle istituzioni romane ai territori
conquistati e poi diindagare il dispiegarsi, in contesti
geografici, etnici esociali diversi, di processi di assimilazione o
di manife-stazioni di resistenza. Nelle province occidentali
dell’impero, meno segnatedalla cultura ellenistica, il processo di
integrazione fucondotto con strumenti più radicali che oscillarono
trala violenza degli interventi militari e la strategia
diplo-matica. Prendiamo il caso, emblematico, delle vallialpine
(figg. sopra e a p. 16). Le Alpi furono inseritemolto tardi nel
territorio dell’Italia: ancora Augusto sitrovò nella necessità di
aperire Alpes con una serie dicampagne militari per sottrarle al
controllo dei monta-nari, assicurare la libertà della circolazione
attraverso i
LE EPIGRAFI DELLA CONQUISTA
DI SILVIA GIORCELLI BERSANI*
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16
valichi ed estendere, anche a quelle latitudini, il pro-cesso di
romanizzazione (fig. sopra). Le modalità diintervento furono
diverse a seconda delle situazioni,ora violente e mutuate sulle
regole del più duro impe-rialismo ora morbide e improntate alla
diplomazia. Letribù delle Alpi Cozie, ad esempio, facevano da
temporiferimento all’autorità di dinasti locali con i quali
giàCesare aveva tessuto un’esperienza clientelare permeglio
consentire il necessario transito di truppe lun-go il valico;
quando Augusto decise di promuovere unpiù ambizioso disegno di
espansione verso l’Europa
centrale, reputò essenziale la piena utilizzazione dellestrade
di comunicazione fra i due versanti alpini. Eglisuggellò quindi un
foedus con il re indigeno Cozio,siglato nel 13 a.C. e solennemente
esposto su un arcofatto erigere a Segusio (Susa) pochi anni dopo
(CIL, V7231) (figg. a p. 17): Imp(eratori) Caesari Augusto
divif(ilio) pontifici maxumo, tribunic(ia) potestate XV,
imp(erato-ri) XIII/M. Iulius regis Donni f(ilius) Cottius,
praefectus cei-vitatium quae subscriptae sunt (segue elenco delle
ceivita-tes). La solennità della titolatura di Augusto si
accom-pagna a quella del re Cozio che esibisce una nuova
A pag. 15: Panorama alpino
A sinistra: I distretti alpini
In basso: La Turbie. TropaeumAlpium eretto per celebrare la
conquistaaugustea delle Alpi e inaugurato tra il 7 eil 6 a.C.
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17
onomastica modellata sui tria nomina latini integratidalla
filiazione (regis Donni filius): in sostanza, il suonome indigeno,
Cottius (o Cottos) diventa parte di unsistema onomastico nuovo,
composto dal prenomeMarcus (forse in onore di Agrippa), dal
gentilizio Iulius(lo stesso di Augusto e di Cesare), dalla
filiazione cuisegue il nome indigeno con funzione
cognominale;contemporaneamente, Cozio rinuncia al titolo regaleper
acquisire la nuova qualifica equestre di praefectus. Èevidente che
la trasformazione del nome rappresentauno dei sintomi più vistosi
della volontà di aderire aun modello culturale diverso, mentre la
magistraturaequestre è un chiaro indicatore dell’inserimento
uffi-ciale nelle gerarchie di potere romane. Ben diverso fuil
trattamento che subirono, negli stessi anni, i Salassidella Valle
d’Aosta: contro quella popolazione alpina,riottosa e fiera, i
Romani avviarono alcune violenteoffensive militari che si
tradussero nella sua elimina-zione pressoché totale; i pochi
superstiti furono inseri-ti nella colonia di Augusta Praetoria
(Aosta), come indi-ca una nota iscrizione (ILS 6753) (fig. a
destra):Imp(eratori) Caesa[ri] / divi f(ilio) Augus[to] /
co(n)s(uli)XI imp(eratori) VI[II] / tribunic(ia) pot(estate) /
Salassiincol(ae) / qui initio se / in colon(iam) con[t(ulerunt)]
/patron(o). L’iscrizione, datata al 23 a.C., ricorda la dedi-ca di
una statua ad Augusto eretta dagli incolae salassipoco dopo la
fondazione della colonia, nel 25 a.C.: lascelta dell’incolato,
istituto molto complesso e bendocumentato nelle fonti epigrafiche,
manifesta in que-sta circostanza la volontà dei Salassi, i pochi
che si era-no sottomessi a Roma prima della sconfitta, di
rinun-ciare alla loro autonomia e di risiedere come immigra-ti
nella nuova città. Nelle realtà italiche e provinciali invia di
romanizzazione, l’incolato poteva essere unostrumento che
consentiva a immigrati, indigeni vinti,residenti stranieri di
entrare nel sistema romano e di
prendere parte alla vita cittadina: a Aesernia, colonialatina
del 263 a.C., i discendenti dell’originaria popo-lazione sannitica
si qualificarono come Samnites inquo-lae, quasi a voler rimarcare
la loro specifica identità efisionomia rispetto agli altri incolae,
di diversa estrazio-ne, presenti nella colonia; a Lugdunum, il
gallico S. Ven-cius Iuventianus viene accolto nell’ordo cittadino
nomineincolatu e qui onorato con l’erezione di una statuaofferta in
riconoscenza della sua grande generosità: cheVencius Iuventianus
fosse un voconzio o un notabileoriginario della Narbonese o di
un’altra delle provin-ce alpine, l’avanzamento sociale da una
località perife-rica con l’ingresso come straniero nel senato
dellacolonia, capitale delle tre province galliche, è un inte-
A sinistra: L’arco di Augusto a Susa fu inaugurato nel 9-8 a.C.
persancire il patto tra il principe e il re Cozio
Al centro: Arco di Augusto. Particolare del fregio e
dell’iscrizione,originariamente in lettere bronzee poi
asportate
In basso: Base di statua dedicata ad Augusto eretta dai Salassi
tra il23 e il 21 a.C.
-
18
ressante esempio di avanzamento sociale e di integra-zione.
L’onomastica costituisce uno degli elementi che rive-lano con
straordinaria efficacia i processi di integrazio-ne. Il passaggio
alla romanità implica non soltanto l’ac-quisizione della lingua
latina ma anche della prassiscrittoria, cioè dell’abitudine a usare
la scrittura e, nel-lo specifico dell’epigrafia, a specifici
supporti, ai for-mulari e alle abbreviazioni, all’iconografia, come
d’usonella scrittura esposta latina (fig. in alto, a sinistra).
Talepassaggio implica fasi intermedie che denunciano losforzo
nell’impiego di una nuova lingua e del suo alfa-beto. Nella
necropoli di Cerrione, non lontano daEporedia (colonia romana nel
100 a.C.), accanto a iscri-zioni in lingua leponzia, le iscrizioni
latine di I secolod.C. ancora mostrano evidenti segni di disagio
rispet-to alle regole dell’onomastica latina: il prenome
abbre-viato risulta raramente presente, il nomen sembra deri-vare
per lo più dalla latinizzazione per assonanza oomofonia di una base
indigena, la sequenza canonicadei nomi non è quasi mai rispettata;
ancora abbonda-no, in piena età imperiale, nomi di forte
tradizioneindigena (fig. in alto, a destra). Tuttavia, i
documentiche più vistosamente esprimono il senso dell’apparte-nenza
culturale e contestualmente segnano il trapassoda una lingua
all’altra sono i documenti bilingui,espressione di due culture
linguisticamente distinteche convivono fianco a fianco su un unico
supporto eall’interno della medesima comunità di parlanti.
Essipossono essere considerati l’espressione più esplicitadel
passaggio da una cultura all’altra, fotografato nellafase
immediatamente precedente l’integrazione: non
In alto, a sinistra: Stelefuneraria paleoveneta concompresenza
di elementi loca-li (costume e titolatura delladefunta) e di
elementi romani(veste indossata dal marito),con alfabeto latino. I
secoloa.C.
In basso, a sinistra: Iscri-zione sepolcrale in alfabetolatino e
andamento verticaledalla necropoli di Cerrione(Biella). I secolo
a.C.
In alto, a destra: Stele bilin-gue latino-celtica rinvenutanei
pressi di Vercelli. Fine Isecolo a.C.
A pag. 19: Stele bilinguelatino-celtica: apografo
-
19
c’è dubbio, infatti, che la scelta di offrire alla
reciprocacomprensione un messaggio segnali una situazione dinon
conflittualità, anzi la volontà di coesistenza pacifi-ca, che è
l’anticamera della piena integrazione. Undocumento straordinario
per cogliere questo fenome-no è il cippo bilingue latino-celtico
rinvenuto neipressi di Vercelli, l’antica Vercellae, del popolo dei
Libui(figg. a p. 18 e qui sopra): Finis / campo / quem /
deditAcisius / Argantocomate/recus comunem / deis et homi-nib/us
ita uti lapide(s) / (quattuor) statuti sunt /
AkisiosArkatok/materekos to[-]/kot[tom] teuo/tonioneu. Se i
duetesti appaiono nel complesso facilmente leggibili, ilsignificato
generale del documento appare ancorasostanzialmente irrisolto,
nonostante i numerosi studial riguardo. Il testo allude
all’individuazione di uncampo, di cui non si precisa la
destinazione ma stabili-to ritualmente, da parte di un personaggio
dal nomeAcisius Argantocomaterecus. Che cosa fosse questo cam-pus,
a quale rito di consecratio si alluda, quale ruolo aves-
se l’evergeta nella società romano-indigena della Ver-cellae del
I secolo a.C. non è chiaro: si è pensato a unrecinto ludico-sacrale
riservato a manifestazioni civi-che come parate militari,
spettacoli, assemblee; il per-sonaggio menzionato nell’iscrizione,
un indigeno connome latinizzato, avrebbe dunque fatto dono
allapopolazione di uno spazio per la celebrazione di even-ti
attraverso cui era altresì possibile esprimere devozio-ne verso una
o più divinità. È lecito supporre che inun contesto come quello
vercellese del I secolo a.C.,epoca in cui il centro preromano dei
Libui cominciavaa dotarsi dei principali spazi e edifici in grado
di defi-nirne un livello adeguato di romanitas e di urbanitas,
siprocedesse all’approntamento di spazi comuni convarie
funzionalità. Peraltro, l’uso di destinare spazi pub-blici alla
comune frequentazione per favorire l’integra-zione e la convivenza,
è ben attestato. Da Buie, nel ter-ritorio dell’Istria interna di
pertinenza della colonia diTergeste (Trieste), proviene
un’iscrizione che documen-ta la concessione, da parte dei membri
del senato citta-dino, dell’ingresso gratuito ai bagni pubblici per
diver-se categorie di persone: i cittadini della colonia, coloni,
iresidenti che provenivano da altre regioni dell’impero,incolae, le
popolazioni del contado prive di cittadinanza,peregrini (CIL, V
376): Decuriones / colonis incolis peregri-nis / lavandis gratis /
de pecunia publica / dederunt. È evi-dente la forte vocazione alla
mediazione sociale di que-sta forma di evergetismo pubblico: la
frequentazionedei bagni costituiva un’occasione di interazione
tradiverse fasce sociali della popolazione offrendo soprat-tutto
alla popolazione delle campagne di usufruire diuno dei vantaggi
della vita cittadina.�
* Silvia Giorcelli Bersani è professore associato di
StoriaRomana presso l’Università degli Studi di Torino
Bibliografia essenziale
Annales. Histoire, Sciences sociales 59-2, 2004Finem dare. Il
confine, tra sacro, profano e immaginario.A margine della stele
bilingue del Museo Leone di Ver-celli, a cura di G. CANTINO
WATAGHIN, Vercelli2011E. GABBA, Italia romana, Como 1994S.
GIORCELLI BERSANI, Il laboratorio dell’integra-zione. Bilinguismo e
confronto multiculturale nell’Ita-lia della prima romanità, Torino
2002Mélanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité,MEFRA 118-1,
2006Società indigene e cultura greco-romana, Atti delConvegno
Internazionale (Trento, 7-8 giugno2007), a cura di E. MIGLIARIO, L.
TROIANI, G.ZECCHINI, Roma 2010G. WOOLF, Becoming Roman. The Origins
of Provin-cial Civilization in Gaul, Cambridge 2008
-
20
Il linguaggio delle iscrizioni è caratterizzato dauna spiccata
formularità, cioè dal frequentericorso a “formule”, intese come
sequenze diparole che, nella struttura o nel contenuto, si
ripeteva-no sempre uguali, fino a costituire, in alcuni
casi,espressioni così facilmente riconoscibili da poter esse-re
abbreviate alle sole iniziali. Questa peculiarità dellinguaggio
epigrafico, lungi dal costituire un ostacoloalla comprensione del
testo, rappresenta, al contrario,una delle chiavi del successo di
questo tipo di comu-nicazione, dal momento che, affidando una parte
delmessaggio a elementi non verbali (come, appunto,sequenze di
parole o di lettere facilmente riconoscibi-li per la loro forma e
la loro posizione), metteva in gra-do di comprenderlo anche persone
non completa-mente alfabetizzate, che magari non sapevano
leggerelunghi testi, ma riuscivano a cogliere gli elementi
salienti di un’iscrizione.D’altra parte, la struttura formulare
è anche ciò checonsente agli studiosi moderni di avanzare, in
alcunicasi, delle proposte di ricostruzione per testi
epigraficigiunti fino a noi, come spesso accade, in stato
fram-mentario. A volte anche estremamente frammentario... É il
caso, ad esempio, della dedica del tempio di MarteUltore nel Foro
di Augusto a Roma. Un frammento diquest’iscrizione fu rinvenuto
durante gli scavi condot-ti negli anni ’20 del secolo scorso, ed è
rimasto inedi-to fino a una ventina di anni fa, quando è stato
studia-to da un grande studioso tedesco che da poco ci halasciato,
Géza Alföldy, che per primo ne ha propostouna ricostruzione (CIL,
VI 40311 = EDR081987). Sitratta di un frammento pertinente al
margine superio-re dell’architrave del tempio, su cui si conservano
i restidegli alveoli destinati ad ospitare le lettere di
bronzo,
QUANDO BASTA UN FRAMMENTO
DI SILVIA ORLANDI*
-
21
ora perdute, che originariamente componevano l’i-scrizione. Vi
si riconoscono un tratto verticale che,essendo soprallineato, va
interpretato come un nume-rale e non come una lettera, seguito da
un segno d’in-terpunzione e da una lettera curva, mentre lo
spazioanepigrafe sottostante fa pensare che la seconda
rigadell’iscrizione non occupasse l’intera larghezza
dell’ar-chitrave, ma fosse centrata (fig. a p. 20).Partendo
dall’onomastica ufficiale di Augusto (Impera-tor Caesar Divi filius
Augustus), che doveva essere segui-ta dall’indicazione dei titoli
che possedeva il 12 mag-gio del 2 a.C., giorno dell’inaugurazione
del tempio(pontifex maximus, imperator XIIII, consul XIII,
tribuniciapotestate XXI, pater patriae), Géza Alföldy è riuscito
aricostruire la prima riga dell’iscrizione e a stabilire
lalunghezza approssimativa della parte iscritta dell’archi-trave
(circa 21 metri); per la seconda e la terza riga,invece, ha
utilizzato le notizie fornite dallo stessoAugusto nelle Res Gestae
e il racconto che lo storicoCassio Dione fa dell’inaugurazione del
tempio, che fucostruito utilizzando il bottino della vittoriosa
guerracontro i Parti che aveva permesso ad Augusto di recu-perare
le insegne dell’esercito romano perse da Crasso,e che fu inaugurato
dal primo imperatore insieme ainipoti e figli adottivi Gaio e Lucio
Cesari, allora – eper poco tempo – suoi successori designati.Il
testo così ricostruito (fig. in alto), che può essereagevolmente
inserito sulla facciata ricostruita del tem-pio (fig. sopra), con i
suoi concisi ma precisi riferimen-ti ai poteri straordinari
dell’imperatore, ai suoi succes-si militari e alla sua politica
dinastica, rappresenta unpo’ la summa dell’ideologia di Augusto
che, prima emeglio di ogni altro, comprese le potenzialità
dellacomunicazione epigrafica e le sfruttò abilmente ai finidella
sua propaganda.Alla stessa epoca ci riporta anche un altro
frammento
di iscr izione monumentale, r invenuto all’iniziodell’800 ai
piedi del Campidoglio, in quella che allorasi chiamava Piazza
Montanara, rimasto a lungo neimagazzini dei Musei Vaticani, ora
esposto nel Cortiledelle Corazze, ma di cui solo recentemente si è
com-presa la rilevanza storica e archeologica (CIL, VI30681, 1 =
EDR073860). Anche in questo caso si trat-ta di un frammento
pertinente al margine superiore diun architrave che doveva essere
composto da più bloc-chi giustapposti, come si intuisce dalla
risega chiara-mente visibile lungo il margine destro, che
dovevafacilitare l’accostamento del blocco contiguo a destra,su cui
continuava l’iscrizione (fig. qui in alto). Il testosi disponeva su
almeno 3 righe ed era originariamentecomposto da lettere inserite
in alveoli e di dimensionimonumentali (oltre 40 centimetri), che
fanno di que-sto frammento la terza iscrizione di Roma per
altezzadelle lettere, dopo quella del Pantheon e quella deltempio
dei Castori nel Foro Romano. Con l’avventodel regime augusteo e con
l’intuizione del potere pro-
A pag.20: Roma, Foro di Augusto, frammento dell’iscrizione
dedica-toria del tempio di Marte Ultore (da Alföldy, Studi, p.
175)
In alto: Ricostruzione dell’iscrizione dedicatoria del tempio di
MarteUltore (da CIL)
A sinistra: Ricostruzione della facciata del tempio di Marte
Ultore (daAlföldy, Studi, p. 201)
In basso: Frammento dell’iscrizione dedicatoria del teatro di
Marcel-lo (da Orlandi, p. 209)
-
22
pagandistico insito in alcuni elementi non verbali del-le
iscrizioni come, appunto, l’altezza delle lettere,caratteri di
queste dimensioni non venivano utilizzatise non per testi relativi
a imperatori o a membri dellafamiglia imperiale, che avevano il
diritto e il privilegiodi poter essere riconosciuti come tali anche
solo per-ché il loro nome era scritto più grande di tutti gli
altri.Posto, dunque, che si tratta sicuramente di un’iscrizio-ne
imperiale, la chiave interpretativa del testo è forni-ta dalla
sigla C. f. che si legge nella prima riga: tra ipochi membri della
famiglia imperiale giulio-claudiafigli di un C(aius), infatti, il
candidato più probabile èMarcello, nipote di Augusto in quanto
figlio di suasorella Ottavia e, appunto, di Caius Claudius
Marcellus.Augusto aveva riposto grandi speranze in questo nipo-te,
cui aveva fatto sposare sua figlia Giulia pensandoaddirittura a lui
come suo possibile successore, ed erarimasto profondamente colpito
dalla sua morte pre-matura, dopo la quale aveva deciso di
intitolare a suonome il teatro che stava costruendo nel Campo
Mar-zio e che ancora oggi porta il nome di Teatro di Mar-cello.
Restituendo nella prima riga il nome di Marcel-lo, accompagnato
dalla qualifica di genero dell’impe-ratore, e nella seconda
l’oggetto della dedica (theatrum
dedit dedicavitque), non resta che integrare, nell’ultimariga
conservata, il nome di Augusto, che doveva, anchein questo caso,
essere seguito dalla sua titolatura, di cuinon resta alcun
elemento. Il lungo testo (fig. in alto) così ottenuto (circa
19metri) si inserisce perfettamente nella più recente pro-posta di
ricostruzione avanzata per la fronte della sce-na del teatro (fig.
al centro), davanti alla quale correvaun passaggio che venne
inglobato nel percorso dellasfilata dei generali vittoriosi che
celebravano il trionfo(fig. a sinistra). Anche in questo caso,
dunque, la monu-mentalità dell’iscrizione insieme agli elementi
piùsignificativi e riconoscibili del testo e al contesto in cuiera
esposta, facevano di questo messaggio epigraficoun potente veicolo
di propaganda politica, di cuianche un solo frammento è ancora in
grado di resti-tuirci l’importanza.Ma il sottosuolo di Roma è
sempre generoso di nuovescoperte, e anche i lavori per la
costruzione della nuovalinea C della metropolitana stanno fornendo
agli studio-si sempre nuovi materiali su cui lavorare e riflettere.
Inparticolare, dal cantiere di Piazza Madonna di Loreto chesta
portando alla scoperta di un’interessantissima struttu-ra di età
adrianea, forse identificabile con l’Athenaeum,proviene un
frammento pertinente all’angolo inferioredestro di un architrave
che originariamente ospitavaun’iscrizione in lettere di bronzo, che
era stato lì traspor-tato quando gli ambienti furono trasformati in
un’offici-na metallurgica destinata, appunto, allo
sfruttamentodegli elementi metallici del molto materiale di
spoglioproveniente dai vicini monumenti antichi ormai in rovi-na
(fig. a p. 23, a sinistra). Del testo si conservano solo poche
lettere: l’abbrevia-zione Max., da sciogliere in Max(imus)
verosimilmente
In alto: Ricostruzione dell’iscrizione dedicatoria del teatro di
Marcel-lo (disegno di Sabina Ventura)
A sinistra: Ricostruzione della scena del teatro di Marcello (da
Mon-terroso, p. 49)
In basso: Ricostruzione di una scena di trionfo (da Monterroso,
p. 25)
A pag. 23, in alto, a sinistra: Frammento di iscrizione
monumen-tale da Piazza Madonna di Loreto (foto Silvia Orlandi)
A pag. 23, in alto, a destra: Iscrizione per i Divi Traiano e
Ploti-na in Vaticano (Archivio fotografico presso la cattedra di
EpigrafiaLatina della “Sapienza” - Università di Roma)
A pag. 23, in basso, a destra: Ricostruzione dell’iscrizione per
iDivi Traiano e Plotina (disegno di Stefania Picciola)
-
23
parte di una titolatura imperiale, e la fine di una paro-la in
dativo plurale: [—-]is suis. Troppo poco, a primavista, per
proporre la ricostruzione di un testo com-pleto. Ma una fortunata
circostanza fa sì che questoframmento appartenga, in realtà, a una
famosa iscrizio-ne rinvenuta, priva dei margini destro e sinistro,
oltre300 anni fa sotto la chiesa oggi dedicata al SS. Nomedi Maria,
attualmente esposta nella Galleria LapidariaVaticana (fig. in alto,
a destra) e ricostruita grazie alconfronto con altri due frammenti,
noti solo da undisegno cinquecentesco conservato agli Uffizi e
perti-nenti a una seconda copia della stessa iscrizione (CIL,VI 966
= 31215 = EDR103994). Le integrazioni pro-poste alla fine
dell’Ottocento dal grande storico Theo-dor Mommsen trovano ora
conferma nel nuovo fram-mento che, accostato virtualmente alle
altre parti fino-ra note del testo, ne consente la ricostruzione
illustra-ta nella figura in alto, a destra.Ma la scoperta del nuovo
frammento è stata anchel’occasione per un riesame del testo, finora
interpreta-to come l’iscrizione dedicatoria del tempio di Traianoe
Plotina divinizzati, fatto costruire da Adriano dopo lamorte dei
genitori adottivi, e la cui localizzazione è datempo oggetto di
sempre nuove proposte e discussio-ni. In realtà, il confronto più
stringente per la dedica aidivi parentes è l’iscrizione posta da
Antonino Pio inmemoria dei suoi genitori adottivi, Adriano e
Sabina,in occasione della costruzione della loro tomba: ilmausoleo
di Adriano, meglio noto come Castel S.Angelo. Ma l’unico monumento
del Foro di Traianoche possieda un carattere sepolcrale è la
ColonnaTraiana, dove furono deposte le ceneri dell’imperatoreche
l’aveva fatta costruire e forse anche quelle di suamoglie, e nei
pressi della quale tutti i frammenti dell’i-scrizione sono stati
rinvenuti. Ho pensato, dunque, diproporre, sia pure ipoteticamente,
una diversa inter-pretazione e localizzazione del testo, che –
nondimentichiamolo – era redatto in due copie, e chequindi potremmo
immaginare destinato a monumen-talizzare un passaggio del cortile
porticato che circon-dava la Colonna, e a chiarire la destinazione
funeraria
del monumento che, inaugurato quando Traiano eraancora in vita,
non aveva potuto essere espresso nell’i-scrizione dedicatoria della
colonna stessa.Questi tre esempi, tra i molti possibili, dimostrano
inmodo eloquente come, per fornire nuovi dati e nuovispunti di
riflessione alla ricerca storica e archeologica,a volte basta un
frammento...�
*Silvia Orlandi è professore associato di Epigrafia Latinapresso
la “Sapienza” - Università di Roma
Bibliografia essenziale
Le trascrizioni e le immagini di tutte le epigraficitate nel
testo sono consultabili sul sitowww.edr-edr.itG. ALFÖLDY, “Augusto
e le iscrizioni: tradizioneed innovazione. La nascita
dell’epigrafia imperia-le”, in Scienze dell’Antichità 5, 1991, pp.
573-600G. ALFÖLDY, “L’iscrizione senatoria del tempiodi Mars
Ultor”, in Studi sull’epigrafia augustea etiberiana di Roma, Roma
1992, pp. 17-32A. MONTERROSO, “La scenae frons en los teatrosde
Roma. Entre liturgia, formas y modelos”, inLa scenae frons en la
arquitectura teatral romana, Car-tagena 2009, pp. 15-55S. ORLANDI,
“Un’iscrizione monumentale dal-l’area del Teatro di Marcello”, in
Contributi all’epi-grafia d’età augustea, a cura di G. PACI, Tivoli
2007,pp. 201-216R. EGIDI – S. ORLANDI, “Una nuova
iscrizionemonumentale dagli scavi di piazza Madonna diLoreto”, in
Historikà, 1, 2011, pp. 301-319 (con-sultabile anche on line sul
sito www.historika.it).
-
24
Iscrizioni provenienti da località dell’Imperoassai distanti
permettono a volte di ricostruire lecarriere di senatori e
cavalieri, che su mandatodel governo imperiale svolsero importanti
missioniamministrative e militari nelle più diverse province.Dalla
combinazione dei testi epigrafici riemergono levite di questi
uomini dimenticati e insieme un affrescodell’epoca storica in cui
vissero: un recente ritrova-mento ha consentito di riconsiderare le
carriereintrecciate del senatore Marcus Nonius Macrinus e
delcavaliere Lucius Iulius Iulianus, che si trovarono insiemea
fronteggiare le incursioni barbariche durante il regnotravagliato
di Marco Aurelio (161-180 d.C.).Negli scavi che la Soprintendenza
Speciale per i BeniArcheologici di Roma, sotto la direzione di
DanielaRossi, sta conducendo all’altezza del V/VI miglio
del-l’antica via Flaminia (all’altezza del km 8,5, presso via
Vitorchiano), nell’autunno del 2008 sono venuti inluce parecchi
reperti marmorei, attribuibili a un gran-de monumento funerario e
miracolosamente scampa-ti a una vicina calcara. Tra di essi vi è il
frammento disinistra di un architrave iscritto: il blocco,
nonostante leeccezionali dimensioni (258 x 90 cm), conserva solo
laparte iniziale dell’iscrizione del sepolcro del senatoreMarco
Nonio Macrino. All’estremità destra dell’iscri-zione appartenevano
altri due frammenti minori; perora dall’unione dei pezzi iscritti
si può ricavare untesto parzialmente reintegrato.Ipotizzando che
fossero state ricordate tutte le tappedella sua lunga carriera,
avremmo meno di un terzodell’iscrizione originaria. L’integrazione
delle partimancanti è possibile grazie a quanto già conosciamodel
nostro personaggio: Macrino era di origine bre-sciana ed è
ricordato da una diecina di iscrizioni latine
LE CARRIERE INTRECCIATE DI UNSENATORE E DI UN CAVALIERE
NELLE EPIGRAFI DI BRESCIA, EFESO E ROMA
DI GIAN LUCA GREGORI* E ALISTER FILIPPINI**
-
25
rinvenute a Brescia e nel territorio limitrofo, dove laricca
famiglia dei Nonii possedeva proprietà fondiariee residenze
suburbane (la più famosa è la villa diToscolano Maderno sul lago di
Garda). Quattro sonole epigrafi onorarie più significative: quella
con cuiMacrino fu celebrato, intorno al 161, dai
decurionibresciani, che lo avevano prescelto come patrono
dellacolonia romana di Brixia; un’altra, dedicata al padre
dalfiglio Marco Nonio Arrio Muciano Manlio Carbone,e quelle poste
da due ufficiali dell’esercito, UssioPicentino e Giulio Giuliano,
che avevano prestato ser-vizio sul fronte danubiano,
rispettivamente in Panno-nia Inferiore e Pannonia Superiore
(situate tra Austria,Ungheria, Croazia e Serbia), quando Macrino
era sta-to governatore in quelle province. Il testo più ricco
diinformazioni sul cursus honorum del nostro è
tuttaviaun’iscrizione greca scoperta negli scavi
dell’AgoràCommerciale di Efeso, capitale della provincia
d’Asia(Turchia), dove egli rivestì il prestigioso proconsolato
nel 170/171: l’epigrafe efesina registra tutte le tappedella sua
carriera sino al 171.Sappiamo così che Macrino aveva iniziato il
cursussenatorio negli anni ’30 del II sec. d.C., come membrodella
commissione incaricata di giudicare le causeminori (Xvir stlitibus
iudicandis) e che esercitò due tri-bunati militari in due distinte
legioni; ricoprì quindi lecariche di questore, legato del
proconsole d’Asia, tri-buno della plebe, pretore. Partì poi per il
limes danu-biano come comandante della legione XIV Gemina di
A pag. 24: Iscrizione del sepolcro di Macrino (da Roma, via
Flami-nia), blocco di sinistra (da FILIPPINI – GREGORI)
In alto: Iscrizione del sepolcro di Macrino (da Roma, via
Flaminia),frammento di destra (A) (da FILIPPINI – GREGORI)
In basso: Iscrizione del sepolcro di Macrino (da Roma, via
Flaminia),frammento di destra (B) (da FILIPPINI – GREGORI)
-
26
stanza in Pannonia Superiore (148-151) e governatore(legatus
Augusti pro praetore) della provincia di PannoniaInferiore
(151-153). Finalmente nel 154 Macrinoottenne il consolato suffetto,
subentrando nella carica aLucio Vero, figlio adottivo
dell’imperatore AntoninoPio; negli anni successivi fece parte della
commissionedi sorveglianza sull’alveo e le rive del Tevere e fu
poinominato governatore della Pannonia Superiore (159-161). Con la
morte di Antonino Pio e l’ascesa al tronodei due imperatori Marco
Aurelio e Lucio Vero (161)sembra verificarsi un’interruzione della
sua carriera,che ci resta ignota per quasi un decennio; le
informa-zioni riprendono soltanto nel 169, dopo la morte diLucio
Vero: allora Macrino fu cooptato, insieme adalcuni amici dei due
principi, tra i sodales AntoninianiVeriani, un collegio sacerdotale
votato al culto degliultimi imperatori divinizzati, Antonino e
Vero. Anniprima il senatore era stato ammesso, come già altrimembri
della famiglia, nell’antichissimo collegio checustodiva i Libri
Sibillini (XVviri sacris faciundis). Nel 169 Macrino fu poi
chiamato da Marco Aurelio apartecipare, come suo consigliere e
luogotenente(comes et legatus), alla spedizione contro le
popolazionidei Germani e dei Sarmati, che allora premevano
bel-licosamente sul fronte danubiano, mettendo in seriopericolo la
tenuta delle province frontaliere: in questascelta avrà influito
l’esperienza amministrativa e mili-tare accumulata dal nostro nelle
due Pannonie, sempreesposte agli attacchi barbarici. Nella stessa
guerra ger-manico-sarmatica ritroviamo in prima linea il cavalie-re
Lucio Giulio Giuliano, già autore della dedica bre-sciana a
Macrino, ora preposto al comando di alcunicontingenti distaccati:
della sua carriera equestre,costellata di molti incarichi militari,
rende testimo-
nianza un’importante iscrizione onoraria, conservatanella
collezione epigrafica del Museo NazionaleRomano alle Terme di
Diocleziano. La coincidenzanon deve essere stata casuale:
considerando gli incari-chi che i due avrebbero svolto negli anni
seguenti, pareverosimile che il legato imperiale Macrino
avessevoluto con sé un valido ufficiale come Giuliano, concui aveva
collaborato anni prima nella stessa Pannoniae che poi era stato
prefetto di un’ala di cavalleria nellalimitrofa provincia del
Norico (168).Ma l’anno 170 segnò una grave crisi nella difesa
deiconfini: una confederazione barbarica attaccò simulta-neamente
la frontiera del Danubio in più punti; Mar-comanni e Quadi
irruppero nel Norico (tra Austria eSlovenia) e penetrarono sino
nell’Italia nord-orientale,assediando la città di Aquileia; Germani
e Iazigi mise-ro a ferro e fuoco la provincia di Dacia
(Romania),sbaragliando la resistenza delle legioni romane; ungruppo
misto di genti sarmatico-scitiche (tra cuiCostoboci, Bastarni,
Peucini e Alani) attraversò il bas-so corso del Danubio e si
diresse nei Balcani, saccheg-
A sinistra: Iscrizione onoraria per Macrino, dedicata dal figlio
Car-bone (da Brescia) (da A. Garzetti, I Nonii di Brescia,
«Athenaeum»55, 1977, pp. 175-185)
In basso: Iscrizione onoraria per Macrino, governatore di
PannoniaInferiore, posta da un suo subalterno (da A. Garzetti, I
Nonii di Bre-scia, «Athenaeum» 55, 1977, pp. 175-185)
-
27
giando le province di Mesia Inferiore e Tracia (Bulga-ria).
Molti governatori provinciali e comandanti dilegioni caddero sul
campo nel tentativo di arginarel’ondata barbarica e il Foro di
Traiano cominciò apopolarsi delle statue dei caduti più illustri.
Proprio allora Macrino fu nominato proconsole d’A-sia (170/171), in
sostituzione di Sesto Quintilio ValerioMassimo: costui venne
trasferito in Grecia per fronteg-giare l’incursione dei Costoboci,
che devastavano
Macedonia e Acaia, arrivando a distruggere il veneran-do
santuario di Eleusi e minacciare la stessa Atene.Contro di essi fu
inviato d’urgenza il cavaliere GiulioGiuliano, promosso da Marco
Aurelio al rango di pro-curatore imperiale e, insieme, preposto al
comando diun distaccamento (vexillatio). Intanto Macrino,
dall’al-tra parte dell’Egeo, dovette organizzare una
reazioned’emergenza, chiamando alle armi le città d’Asia
perrespingere i Bastarni, che avevano oltrepassato ilBosforo e
facevano scorrerie nella provincia. La situa-zione pare essersi
riequilibrata nel corso del 171, quan-do Macrino ricevette a Efeso
l’iscrizione onoraria concui il retore Tito Flavio Damiano lo
celebrava con l’e-piteto glorioso di “salvatore della provincia”
(soter teseparcheias).Nel 172 una nuova missione straordinaria
venne asse-gnata al procuratore Giuliano: la sua vexillatio
dovetterecarsi all’altro capo del Mediterraneo per
respingerel’offensiva delle tribù berbere dell’Atlante, quei
Mauriche si erano ribellati e attraverso lo stretto di
Gibilterra
In alto, a sinistra: Iscrizione onoraria per Macrino,
governatore di Panno-nia Superiore, dedicata dall’ufficiale
Giuliano (da Brescia) (da A. Garzetti, INonii di Brescia,
«Athenaeum» 55, 1977, pp. 175-185)
In basso, a sinistra: Iscrizione onoraria per Giuliano, prefetto
delpretorio (Roma, frammenti recuperati dal Tevere) (fonte
EpigraphisceDatenbank Heidelberg (EDH),
http://www.uni-heidelberg.de/insti-tute/sonst/adw/edh)
In alto, a destra: Iscrizione onoraria per Macrino, proconsole
d’Asia,dedicata dal retore Damiano (da Efeso) (da R. Egger, Die
Ämterlaufbahn desM. Nonius Macrinus, «Jahreshefte des
Österreichischen ArchäologischenInstitutes in Wien» IX, 1906,
Beiblatt, pp. 62-76)
-
28
erano sbarcati nella penisola iberica, devastando le dueprovince
di Spagna Ulteriore (Betica) e Citeriore (Tar-raconense). Anche qui
ritroviamo in azione il senatoreMacrino: dalle informazioni fornite
dall’iscrizione dellavia Flaminia sappiamo oggi che egli, dopo il
proconso-lato d’Asia, venne nominato legatus Augusti pro
praetoredelle Spagne (172/173); la Historia Augusta confermache la
rivolta dei Mauri fu domata dall’intervento di
legati imperiali. Anche in questo caso Macrino e Giu-liano
paiono aver collaborato per ristabilire l’ordine nel-le province
sconvolte dalle incursioni barbariche: questasembra però l’ultima
occasione in cui le loro strade siincrociarono sui campi di
battaglia. L’iscrizione funeraria di Macrino non registra
altriincarichi per l’ormai anziano senatore: egli morì primadel suo
imperatore, Marco Aurelio (180). La carriera di
Testo integrato dell’iscrizione funeraria diMacrino (Roma)
[M(arco)] Nonio M(arci) fil(io) Fab(ia tribu) Macrino[consuli,
proconsuli Asiae, XVvir(o) sacris f]ac(iundis),sodali Verian[o
Antoniniano - - -?], | comiti, leg(ato)imp(eratoris) Antonini
Aug(usti) ex[peditionis Ger-manic(ae) et Sarmatic(ae)?, leg(ato)]
Aug(usti) pr(o)pr(aetore) p[rovinciarum Baeticae et? Hispa]niae
|citerioris item Pannoniae sup[erioris item Pannoniaeinferioris,
curato]ri a[lvei Tiberis, leg(ato) leg(ionis)XIIII Gem(inae),
praet(ori), tr(ibuno) pl(ebis), leg]ato| provinciae Asiae,
quaestor[i, tribuno militumleg(ionis) X - - - et leg(ionis) VII
Geminae, Xvir(o)stlitibus iudican]dis | patri optimo et Flavi[ae -
- -] |M. Noniu[s Arrius - - -].
Traduzione
A Marco Nonio Macrino, figlio di Marco, iscrittonella tribù
Fabia, console, proconsole d’Asia, quin-decemviro sacris faciundis,
sodale Veriano Antoninia-no [- - -], consigliere e legato
dell’imperatore (Mar-co Aurelio) Antonino Augusto nella spedizione
ger-manico-sarmatica, governatore delle province diBetica (?) e di
Spagna Citeriore, di Pannonia Supe-riore, di Pannonia Inferiore,
curatore dell’alveo delTevere, comandante della legione XIV Gemina,
pre-tore, tribuno della plebe, legato del proconsole dellaprovincia
d’Asia, questore, tribuno militare dellalegione X [- - -] e della
legione VII Gemina, decem-viro stlitibus iudicandis, ottimo padre,
e a Flavia [- - -](dedicò il sepolcro) Marco Nonio [Arrio - -
-].
Carta dell'Impero Romano con evidenziati i territori nei quali
sono attestati sia Macrino sia Giuliano
-
29
Giuliano proseguì invece sino ai vertici del cursusequestre:
ebbe il comando di altri reparti su vari fron-ti di guerra e
ottenne un avanzamento, capitanando lepiù importanti flotte
militari, finché sotto il figlio diMarco Aurelio, Commodo
(180-192), fu posto a capodell’ufficio centrale
dell’amministrazione finanziaria (arationibus), poi della
prefettura dell’annona e infine diquella del pretorio (189). Giunto
al culmine del pote-re e considerato come un padre dall’imperatore,
Giu-liano cadde però improvvisamente in disgrazia nel 190e fu
mandato a morte dopo un castigo umiliante: nar-ra la Historia
Augusta che Commodo lo fece gettarenella piscina di palazzo al
cospetto dei pretoriani e lo
costrinse a ballare, nudo e truccato, davanti alle sueconcubine.
L’intera parabola degli honores di Giulianoè rappresentata dai
frammenti dell’iscrizione delle Ter-me di Diocleziano: essa venne
infatti divelta e gettatanel Tevere, dalle cui acque fu recuperata,
presso la rivadi Testaccio, soltanto nell’Ottocento.�
*Gian Luca Gregori è professore ordinario di AntichitàRomane
presso la “Sapienza” - Università di Roma
**Alister Filippini è dottore di ricerca in Scienze Storiche
eArcheologiche presso l’Università di Messina
Bibliografia essenziale
G.L. GREGORI, “Marco Nonio Macrino. Scoperto aRoma il sepolcro
di un grande Bresciano”, in Soprin-tendenza per i Beni Archeologici
della Lombardia. Notiziario2007 (2009), pp. 273-280G.L. GREGORI -
D. ROSSI, “Recenti ritrovamenti tra ilV e il VI miglio dell’antica
via Flaminia: un tratto diviabilità e l’adiacente area
necropolare”, in Rendicontidella Pontificia Accademia Romana di
Archeologia 82,
2009-2010, pp. 129-143 A. FILIPPINI - G.L. GREGORI, “Adversus
rebelles. For-me di ribellione e di reazione romana nelle Spagne
ein Asia Minore al tempo di Marco Aurelio, in Mediter-raneo Antico
12, 2009, pp. 55-96 Sulla via Flaminia: il mausoleo di Marco
NonioMacrino, a cura di D. Rossi, Milano 2012Per le vicende
storiche dell’epoca di Marco Aurelio vd.A. FRASCHETTI, Marco
Aurelio. La miseria della filosofia,Roma-Bari 2008
La famosa Biblioteca di Celso (Efeso), forse utilizzata come
archivio giudiziario dei proconsoli d’Asia, foto di Cristina
Genovese (per gentile concessione dell’autrice)
-
30
Lo sportivo più pagato della storia non è il gol-fista americano
Tiger Woods, ma – comeabbiamo letto recentemente su alcuni
gior-nali (fig. in alto) - un auriga (agitator) originario
del-l’antica Lusitania. Ce lo dice l’iscrizione con la storiadi
Caius Appuleius Dioc les (CIL, VI 10048 =EDR102150) (fig. a p. 31,
in alto). Si tratta di una lastramarmorea trovata nelle vicinanze
del circo fattocostruire da Caligola nell’ager Vaticanus e da lì
trasferitanella casa di Domenico Cecchini, vicino a Montecito-rio,
e poi perduta. Le dimensioni (118,3 x 236,6 x 74cm) e la
disposizione del testo ci indicano che dovevaessere fissata sulla
base di un monumento, forse unastatua. Questa iscrizione gli fu
sicuramente dedicatadopo la sua morte dai suoi tifosi, che dovevano
esseremolto numerosi dato che Diocles fu uno degli atletipiù
conosciuti e premiati del suo tempo.
Era nato nella provincia romana della Lusitania intor-no al 104
d.C. e, nel 122, aveva iniziato a correre peruna delle squadre che
si contendevano la vittoria nellecorse del circo, la fazione
albata. In questo periodo lequattro factiones erano già pienamente
sviluppate gra-zie alle disposizioni imperiali di Caligola, Nerone
eVitellio (fig. a p. 31, in basso a sinistra). L’alto costo
del-l’organizzazione dei giochi rendeva necessaria l’esi-stenza di
queste società di capitale che pagavano carri,cavalli e aurighi.
L’importanza dei ludi nella societàromana dava loro un grande
potere perché gli organiz-zatori erano obbligati a negoziare con
queste factionescui facevano capo migliaia di tifosi. Anche se, in
origi-ne, i cittadini gareggiavano nelle corse del circo con
ipropri carri e schiavi, col passare del tempo si forma-rono la
fazione albata o bianca e quella russata o rossa,che furono poi
completate con quella prasina o verde e
DIOCLES LO SPORTIVO PIÙ PAGATO DELLA STORIA
DI MARIA CRISTINA DE LA ESCOSURA BALBÀS*
-
31
quella veneta o blu, che finirono per essere le piùimportanti.
Con le stalle racchiuse in un imponenteedificio in via Giulia, non
lontano dal Circo Flaminio(attuale piazza Navona, fig. a destra),
queste quattro fac-tiones funzionavano sotto la direzione di
funzionariappartenenti all’ordine equestre, ma impiegavano
cen-tinaia di persone di condizione diversa. I tifosi (e
gliimperatori stessi) prendevano parte attiva alla vita del-le
fazioni, schierandosi apertamente in occasione dicontroversie e
litigi, tanto che lo scrittore Giovenale, aitempi di Adriano, era
arrivato a dire che se i verdi aves-sero perso nelle gare del
circo, Roma si sarebbe sentitaabbattuta e costernata come dopo la
sconfitta di Can-ne. Questa importanza delle gare e delle factiones
delcirco nella società romana continuò immutata fino aitempi del re
goto Teoderico, 150 anni dopo la cadutadell’Impero d’Occidente,
quando il circo continuavaad essere scenario delle stesse scatenate
passioni. Que-sto contesto spiega lo stupore degli stranieri che
arri-vavano a Roma intorno alla metà del II secolo d.C. evedevano
l’ingente quantità di statue di aurighi, con lerelative iscrizioni
che raccontavano in dettaglio tutte leimprese di questi atleti, tra
cui il nostro Diocles.All’inizio le gare erano 10 al giorno, ma nel
37 Cali-gola aumentò il loro numero fino a 20 o 24. Infine
Nerone fissò in 24 il numero delle gare, che si prolun-gavano
per tutto il giorno: anche se ognuna non dura-va più di 15 minuti,
in ballo c’erano migliaia di sester-zi. In questo mondo pieno di
passioni, gare e soldi vis-se anche il nostro Diocles, che
conquistò la prima vit-toria per la factio albata nel 124, per
passare poi alla pra-sina nel 128. Ma sarà la factio russata quella
con cui con-quisterà più vittorie: l’auriga ispano arrivò alla
vitto-ria per la prima volta come agitator dei rossi nel 131. Alsuo
ritiro, nel 146, dopo 24 anni di corse, Diocles avevavinto 1.462
delle 4.257 gare cui aveva partecipato,guadagnando l’enorme cifra
di 35.863.120 di sesterzi.L’elenco delle sue vittorie
nell’iscrizione posta in suoonore al momento della morte, quando
Diocles aveva42 anni, 7 mesi e 13 giorni, ci permette di
conosceremolti dettagli delle gare e capire perché fosse
conside-rato “quello che ha superato tutti gli aurighi di tutti
icolori che hanno partecipato mai nei giochi circensi(quo titulo
praecessit omnium factionum agitatores, quiunquam / [certaminibus
ludorum ci]rcensium interfuerunt)”.Fu il primo a vincere più di
cento gare in un soloanno, superando con le sue vittorie molti
aurighifamosi di tutte le factiones. Superò il rosso Thallus
vin-cendo in 134 occasioni, nonostante uno sfortunatoinizio di
stagione. Un avversario della fazione verde, il
A pag. 30: “Smentito il record di TigerWoods, fu Ben Hur lo
sportivo più paga-to” di Cristina Nadotti (Repubblica, 15agosto
2010)
A sinistra: Apografo dell’iscrizione diDiocles (da CIL, VI
10048)
In basso, a sinistra: Aurighi delle quattrofactiones (Centro de
Interpretación CircoRomano, Mérida, Spagna)
In basso, a destra: Arcata del circo Fla-minio (piazza di Tor
Sanguigna, Roma)
-
32
cui nome non ci è rimasto perché l’iscrizione eraframmentaria,
fu superato – anche in questo caso dopoun avvio non eclatante - in
8 gare in cui c’erano inballo premi di 50.000 sesterzi, mentre
vinse sui bluCommunis, Venustus e Pontius Epaphroditus
arrivandoalla vittoria 12 volte con lo stesso premio. Altri
aurighiancora più bravi superati da Diocles furono Flavius
Scor-pus, Pompeius Musclosus o Fortunatus dei verdi. Tuttiquesti
personaggi, incluso C. Appuleius, dovevano esse-re di condizione
umile perché non era ben visto checittadini appartenenti alle
classi elevate partecipasserodirettamente alle gare. Quando i
cittadini mettevanoin gara i propri cavalli e i propri schiavi, era
molto pre-stigioso vincere le corone, ma non gareggiare
perso-nalmente. Ciò nonostante, i giovani aristocratici eranosoliti
guidare carri o occuparsi dei cavalli sotto losguardo benevolo dei
censori che permettevano loroquello che negli adulti era fortemente
criticato. Gli aurighi erano vestiti con una tunica corta senza
A sinistra: L’auriga Marcianus e la sua quadriga (Mosaico
degliAurighi, Museo Nacional de Arte Romano, Mérida, Spagna)
Al centro: Pianta del circo romano di Mérida (Centro de
Interpreta-ción Circo Romano, Mérida, Spagna)
In basso: Pista del Circo Massimo, Roma
-
33
maniche, sicuramente dello stesso colore della fazioneper cui
correvano (fig. a p. 32, in alto). Inoltre avevanoun casco che
proteggeva la testa e copriva la fronte e leguance, una frusta per
incitare i cavalli e un coltello pertagliare, in caso di incidenti,
le briglie che erano legatealla cintura. Come abbiamo detto, gli
aurighi erano individui dicondizione umile, liberti o schiavi che
rischiavano la
vita in ogni gara, dato che durante le corse tutto erapermesso.
Ma Diocles arrivò alla vecchiaia, come ciinforma un’altra
iscrizione, trovata a Palestrina (l’anti-ca Praeneste), incisa su
una base marmorea di statuaeretta nel Santuario della Fortuna
Primigenia (CIL,XIV 2884). Fu dedicata dai suoi figli C.
AppuleiusNymphidianus e Nymphidia quando era già in pensioneo, più
probabilmente, dopo la sua morte.
Circo romano di Mérida, costruito nella prima metà del I sec.
d.C. e rimodellato nel IV d.C.
-
34
Modello del circo di Emerita (Museo Nacional de Arte Romano,
Mérida, Spagna)
Parte destra del Mosaico degli Aurighi (Museo Nacional de Arte
Romano, Mérida, Spagna)
-
35
Le corse in cui Diocles gareggiava erano diverse. Cometutte le
attività pubbliche della società romana, le garedel circo
prevedevano un fastoso e rigido cerimonialeche cercava di ottenere
il favore degli dei ai quali era-no dedicati i giochi. Qualunque
infrazione del ritualecomportava l’invalidazione di tutta la festa
e tanti neapprofittavano per chiedere la ripetizione delle gare
eottenere così risultati più favorevoli. L’imperatoreClaudio pose
fine agli abusi decretando che le garepotevano essere ripetute solo
nell’arco di una giorna-ta. La mattina iniziava con una processione
di immagi-ni degli dei che scendeva dal Campidoglio, attraversa-va
il Foro e percorreva il Velabrum e il Foro Boario finoall’ingresso
principale del Circo Massimo, per fare poiun giro della pista
(figg. a p. 32). Alla testa della sfilatac’era il magistrato
promotore dei giochi ritto su uncarro, seguito da un corteo di
musicisti e clienti che loaccompagnavano a piedi. Il cerimoniale
prevedeva chela prima corsa, quella d’onore, si svolgesse subito
dopola processione: Diocles fu il vincitore di 110 di questegare.
Tutte avevano un percorso di 28.000 piedi (8,3km) divisi in 7 giri
che iniziavano dal lato destro dellaspina centrale del circo. Il
posto di partenza di ognibiga veniva preventivamente deciso per
sorteggio,anche se il percorso era disegnato in modo di com-pensare
con una curva le differenze (figg. a pp. 33-34).Solitamente si
faceva correre un carro per fazione, mapotevano essercene anche due
o tre. Diocles conquistòla vittoria nelle gare con un carro in
1.064 occasioni,347 volte nelle gare con due carri e 51 in quelle
contre. Anche nel modo di ottenere la vittoria c’eranomolte
differenze e alcune sono segnalate nell’iscrizio-ne di Diocles:
andare in vantaggio e vincere (occupavit etvicit), arrivare da
dietro e vincere (succesit et vicit), rima-nere indietro, tornare
primo e vincere ([praemesit etvici]t) o fare un ultimo sforzo e
vincere (eripuit et vicit).Anche i cavalli erano molto importanti e
provenivanosoprattutto dalle province, tra cui la Lusitania di
Dio-cles, e alcune zone della penisola italica, soprattuttol’Apulia
e la Calabria. Il testo dell’iscrizione ci informa, inoltre, che i
carripotevano avere 4 o 6 cavalli, ma arrivavano fino a 7 incasi
speciali (fig. a p. 34, in basso). Solitamente i cavallierano
quattro, due introiugi al centro, uniti da un giogo,e due funales
ai lati, afferrati solo con la briglia. Ilmigliore era messo nella
parte sinistra del quartettoperché la sua velocità era molto
importante per pren-dere la curva prima del traguardo. Tutti i
cavalli men-zionati hanno sempre nomi maschili (Cotynus,
Pom-peianus, Abigeius, Lucidus, Paratus, Tuscus, Afer,
Bubalus,Galata…) e l’epigrafe ci ricorda come Diocles avessefatto
vincere più di cento gare a nove destrieri e più diduecento a
due.In conclusione, la presenza di Diocles a Roma nellaprima metà
del II secolo d.C. coincide con la maggio-re affluenza di Ispanici
nell’Urbe, durante il periododegli imperatori Traiano e Adriano,
anch’essi di origi-ne spagnola. Alcune caratteristiche
dell’iscrizione,
come l’uso di annorum per indicare l’età e il modo dimenzionare
la sua origine, sono propri degli Hispaniche, per la loro forza,
resistenza fisica e capacità, eranoreclutati per le gare del circo
e gli spettacoli dell’anfi-teatro. In questo contesto troviamo
personaggi comeDiocles, che arrivò a essere lo sportivo conosciuto
piùpagato della storia. Oggi, quasi 2.000 anni dopo, i suoiguadagni
sono circa 15 volte più alti dei premi“record” vinti da Tiger
Woods. L’epigrafia non lasciadubbi.�
* Maria Cristina de la Escosura Balbás, già studente Era-smus
presso la “Sapienza” - Università di Roma, è ora
dottoranda in Estudios del Mundo Antiguo presso l’Univer-sidad
Complutense di Madrid
Bibliografia essenziale
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época imperial” in Anuariode Historia Económica y Social 3, 1970,
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2001,pp. 499-511A. GARCÍA Y BELLIDO, “El español Diocles, as delos
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1955, pp. 252-262H. A. HARRIS, Sport in Greece and Rome,
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charioteer inscrip-tions”, in Revue de philologie de littérature et
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“Auriga/agitator: des simplessynonymes?”, in The Classical World
81,3, 1988,pp. 219-221J. M. C. TOYNBEE, Animals in Roman Life and
Art,London 1976
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36
Il diffuso interesse della nostra società se nonpropriamente nei
confronti della falsificazionein senso più generale quanto meno nei
con-fronti della contraffazione a fini commerciali ha pro-dotto il
proliferare di contributi su un tema, quello deifalsi epigrafici,
vecchio quanto gli studi epigrafici stes-si ma rimasto sempre ai
margini e dunque mai indaga-to nel suo complesso. Vero è che si
tratta di un capito-lo all’interno di un fenomeno di più larga
portata –quello dell’arte – e che si presenta in modo tutt’altroche
uniforme.Un primo problema risiede nella definizione stessa di
fal-so epigrafico. Applicando per comodità lo schema sempli-ficato
elaborato da Umberto Eco nel 1988 a propositodelle falsificazione
medievali, considereremo:- gli pseudo-doppi cioè le copie post
classiche di iscrizio-ni latine di età romana;
- le pseudo-identificazioni cioè le iscrizioni post clas-siche
che si asserisce siano identiche ad altre che o nonesistono – di
fatto – più o che non sono mai esistite(trascrizioni da testi
letterari o addirittura epigrafid’invenzione).In entrambi questi
casi si fa riferimento al metodo diproduzione che potrebbe essere
uno dei criteri diinquadramento dei falsi epigrafici. Questo
criterio tut-tavia da solo non basta perché per i primi, che
sonoperaltro sempre falsi lapidei, dovremmo distinguere tracopie
complete, parziali o interpolate realizzate suoggetti antichi, post
antichi o solo parzialmente anti-chi, mentre per le seconde
dovremmo, a monte, distin-guere tra falsi lapidei e falsi cartacei.
In altre parole sidovrà introdurre un secondo criterio che è quello
del-la forma di trasmissione. Ma ancora questo nonbasta, perché è
impossibile sottrarsi alla tentazione di
I FALSI EPIGRAFICI
DI MARIA LETIZIA CALDELLI*
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37
introdurre una categoria storica: la questione dellavolontarietà
/ involontarietà nell