FANHSN. 0 Rivista di cultura e r eligiosità pagana. Rivista elettronica mensile “Phanes”, num. 0, Luglio 2011, Roma. Tutti i diritti riservati al sito www.phanes.jimdo.it, Roma 22 Agosto 2011. Personaggio del Mese:Mary Teresa Cullen I CELTIEL’OLTRETOMBABRIGHITLECLASSI DRUIDICHEILCULTODI MITRAELIOGABALODEFIXIONESW.B.Yeats Inno a Nettuno Le Odae Adespotae L’ Inno a Venere di Marullo L Obelisco di Antinoo La Genealogia di Bride Surya Kildare Roqueper- tuseElagaba- lium
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Cesare prima, emolti altri poi;hanno postop a r t i c o l a r ea t t e n z i o n e
riguardo allac o n c e z i o n ec e l t i c adell’Oltretomba.Le evidenze chec i p o s s o n oa i u t a r e asintetizzare illoro pensiero provengono dalle fonti
letterarie, dai ritrovamenti archeologici, edai racconti mitologici tramandatioralmente. È inoltre importantepremettere che i reperti archeologici quievidenziati, come tombe e sepolture, sonoda considerarsi relativamente al rangodell’individuo seppellito. Sin dall’iniziodel I millennio a.C., le tombe dell’eliteguerriera hanno assunto due funzioni
fondamentali: dimostrare lo sfarzo deldefunto, e fornire i giusti strumenti esostentamenti per l’”oltrevita” dellostesso(1). Lucano ci aiuta a fare luce sucome i Celti considerassero la morte, ossiacome una pausa fra una vita ed un’altra:durante questa pausa l’anima avrebbecontinuato a controllare lo stesso corpo,seppure in un altro “mondo” o“dimensione”. Diodoro Siculo è dello
stesso avviso: amorte avvenuta,lo spirito deldefunto avrebbeatteso diversi
anni prima dientrare in uncorpo diverso ediniziare unanuova esistenzaterrena. Di quitorna faciler i cordare i
presunti contatti fra Druidi e Pitagorici,
ed è proprio la teoria della Trasmigrazionedelle anime a fungere da collegamento.Un altro sguardo per comprenderel’argomento deve essere dato alletradizioni tramandate oralmente:concezioni di una ciclicità ininterrotta fravita e morte si hanno leggendo i passiriguardanti Manannan (Dio del Marenella letteratura irlandese), egli è
chiamato “Signore della Terra Promessa ”,ed è associato con i poteri della rinascita.L’Oltretomba irlandese è quantomenofelice e sereno per il defunto: privo divecchiaia, malattie e sofferenza, inoltre èconsiderato come un posto realmentepresente per le popolazioni celtiche,infatti un gran numero di eroi, fra cuiConla e Bran, riescono a visitarlo puressendo ancora in vita. Altra tradizione
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interessante collegabile all’argomento è lafesta di Samhain, nella quale i defunti
hanno la possibilità di tornare per unanotte fra i vivi, condividendo con loroquest’unico pasto annuale. Consideriamoora come venivano seppelliti i morti: nellaprima Età del Ferro il metodo più diffusoera la cremazione, dal II millennio a. C.invece si è iniziato ad utilizzarel’inumazione in particolar modo dall’etàdi Halstatt. La credenza in un Oltretomba
inteso come continuazione della vitaterrena è chiara quando lo status delvivente viene riproposto nella sepoltura.Le sepolture più ricche sono costituiteprincipalmente da una camera rivestitacontenente il cadavere, un carro a quattroruote e una spada di ferro. Vediamo nel
particolare l’Hohmichele Barrow,
risalente al VI sec. a. C. nelle vicinanzedel Danubio: la camera funebre principale
conteneva due sottocamere in legno, laprima contenente una donna ed un carro
da guerra; la seconda con un uomo fornitodi un carro e di una imbracatura poggiatisu una pelle di toro, oltre questo c’eranoanche una faretra, due muli e 50 frecce apunta di ferro, ed ancora sete di fatturacinese. Lo sfarzo legato alla sepolturadell’uomo è innegabile, e contempla sia il
suo status sociale che tutto l’occorrente
che sarebbe servito alla sua anima perpoter continuare coerentemente la sua
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permanenza nell’Oltretomba. Altro sitofunebre fondamentale è quello di Býčí
Skála, nella repubblica Ceca: in questosono state trovate pire funebri, carrirituali, una nave di legno, infine grano eanimali offerti in dono alle potenzectonie. I defunti qui rinvenuti sonoparticolarmente interessanti: diversischeletri femminili sono stati seppelliti,ma il dato interessante è un altro, infattiquesti scheletri erano privi di testa, mani
e piedi, e circondati da due carcasse dicavalli smembrati in quarti. Altro oggettoscoperto nella sepoltura è un calderone dibronzo contenente due teschi uno deiquali con apparente funzione di coppa.Questo è un esempio interessantissimoche tuttavia manca di alcuni oggettiimprescindibili per comprendere almeglio la visione celtica dell’oltrevita. Il
Belgio ci soccorre prontamente donandocitombe di epoca pre-Romana di similstruttura a quelle precedentemente viste:queste contengono ceramiche, anfore peril vino, spille, specchi, pugnali, lame, testedi maiale e calderoni muniti di tripode ecatena. Ora finalmente il collegamentocon un benessere nel post-vita risulta
chiarissimo: ricordiamo che questa visionerimarrà fondata ben oltre la conquistaromana. Questo perché Celti e Romaniavevano numerosi punti di contatto nellaconcezione del l ’Oltretomba: lasopravvivenza dell’anima dopo la morte,la presenza di spiriti nelle vicinanze deiluoghi di sepoltura, e le offerte di vino ecibo a questi defunti. Un altro luogo di
sepoltura peculiare si trova a Lonkhills nelWinchester, è un sito con tombe
particolarmente complesse e difficilmenteinterpretabili: gli scheletri di sette uominie donne sono stati ritrovati decapitati econ la testa posta fra le gambe. Il processodella decapitazione era effettuatometicolosamente, da davanti con unpugnale, alcuni ritengono che si trattasse
di un rito per impedire all’anima deldefunto di stazionare nelle vicinanze dellatomba permettendo così che si dirigessedirettamente nell’Oltretomba. Abbiamovisto che assieme al defunto venivanoseppelliti animali ed oggetti di culto(2),fattore che conferma senza dubbiol’usanza di una sorta di “corredo”
necessario dopo la morte. Per averemaggiore certezza riguardo a queste teorieè di indubbia importanza analizzare le“pits”, le buche rituali; queste eranoriempite con grano, manifatturemetalliche, simulacri di divinità, animali(fra cui cani), alberi come cipressi, edaltro, tutto atto palesemente a creare uncollegamento fra il mondo dei vivi e
quello dei morti. Viene logico ora andarea conoscere quali fossero le divinità alle
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quali queste offerte erano dedicate:rimane semplice ricostruire i loro nomi edescrivere le loro aree di appartenenza,tuttavia più ostico è delinearel’atteggiamento che i Celti avevano nei
loro confronti. Innanzitutto premettiamoche non erano solo esseri divini ad esserecultuati in relazione all’Oltretomba:infatti in Val Camonica pitture ruralidimostrano come persino gli stessi spiritidei defunti fossero venerati. Nelle pitturedella tarda Età del Bronzo il morto èraffigurato con a fianco le armi, unsacerdote, i parenti ed un sacrificio. I testi
vernacolari ci parlano di Donn, il Dio
dell’Oltretomba dalla cui stirpediscendono gli uomini; mentre Cesare(3) afferma che alcuni Celti sostengono diappartenere alla discendenza del Dio DisPater(4). Rintracciare questa divinità nei
reperti non è facile, ma per fortuna siamoa conoscenza che due iscrizioni, una nelSud della Germania ed una nei Balcani,recano una dedica a Dis Pater ed Aericura(Ecuba). Un’altra divinità che assumechiari connotati ctonii è Sucellus, che inquesto aspetto è raffigurato affiancato daun corvo ed un cane a tre teste(5). Altroattributo di Sucellus è un martello:
Tertulliano sostiene una similitudine fra
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questa divinità celtica ed il Charonetrusco(6). Lambrechts considera il
martello come possibile arma contro leforze dei defunti con intenzionimalvagie(7). Baucher propone un altroparallelo: secondo questa teoria se sisostituisce il martello con una folgore DisPater risulterà identico a Giove(8). Il Giovegallico nelle descrizioni che abbiamoassume il ruolo di difensore della vita,combattente, ed in particolar modo in
Gallia, prende l’epiteto di Narborenseossia “Dio della Vegetazione”. La cosa chepiù distingue le divinità ctonie del mondoceltico dalla maggior parte delle altre, èche raramente, anzi quasi mai, unadivinità è esclusivamente associata alladimensione dell’Oltretomba. Questoperché l’Oltretomba non era una realtà asé stante, indipendente dalle successioni
della vita mondana, bensì estendeva le suerappresentazioni e le sue influenze in ogniambito della società, sino a penetrareprofondamente nelle più comuni usanze ecostumi dell’intero popolo. [ J.R.]
NOTE:
1. CAES. De bel. Gal. VI, 19.
2. Come nel caso di Verulamium e York dovefra i vari ritrovamenti era presente unastatuina bronzea di un’Afrodite Celtica.
3. CAES. De bel. Gal VI, 18.
4. Ovviamente Dis Pater è una divinità diorigine romana, ed è stata presa in prestito daCesare per poter meglio descrivere divinitàche non conosceva e delle quali
probabilmente non poteva sapere il nome.
5. Questa raffigurazione chiarisce il perchédelle sepolture canine precedentementeesposte.
6. TERTULL. Ad Nat. 1, 10.
7. LAMBRECHTS 1942.
8. BAUCHER 1976.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-LAMBRECHTS 1942: P. LAMBRECHTS,Divinités Equéstres Celtiques on Defunts
Heroisés? , Bruges 1942.
- BAUCHER 1976: S. BOUCHER, Recherches sur
les bronzes figurés de la Gaule pré-romaine et
romaine , Parigi 1976.
Immagini :
p. 6, Ritrovamenti di cranio e mani amputatinelle sepolture di Býčí skála.
p.7, dall’alto verso il basso: il teschio di una
giovane donna le cui vertebre sonogiustapposte con le vertebre di una donna piùanziana, a loro volta adagiate su unamandibola animale, Mary M. Voigt/GordionProject; ritrovamento formato da un insiemedi ossa proveninenti da diversi individui, lamandibola di un individuo è stata appostasulla spina dorsale di un altro. E come è
facilmente notabile, il cranio è stato posto frale gambe dello scheletro principale. Mary M.Voigt / Sondra Jarvis and Carrie Alblinger,Gordion Project.
p.8, esempio di pittura rupestre scoperto inVal Camonica.
p.9, a sinistra: immagine di Sucellus provvisto di martello, cane a tre teste e corvo
ai piedi; a destra: immagine del Charon etrusco.
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La società celtica è stata semprecontraddistinta da una divisione in classiben definita; tuttavia mentre l’insiemedegli artigiani e dei guerrieri può esserericondotto a ben noti paralleli con altreciviltà, la classe sacerdotale presenta
peculiarità uniche. Diodoro Siculo, comemolti altri(1), suddividequesta classe in ulterioritre scomparti: i Bardi, gliOvati ed i Druidi. A suodire i Bardi erano coloroche avevano il compito dicomporre satire ed elogi, imantes (Ovati) coloro che
interpretavano gli esitidei sacrifici ed i presagi(2),ed infine i Druidi checompivano ricerche“riguardo alle cosesublimi e segrete”. IDruidi erano anchecoloro che professavano
l’immortalità dell’anima,e che erano in sintoniacon il pensiero pitagorico.Queste erano le tre suddivisioni principalifra i sacerdoti dei Celti, eppure laletteratura ci offre un dato interessante:esistevano specifiche “professioni” fra gliOvati, ed ognuna di queste assumeva unadenominazione a se stante. Ci vengono
descritti nel libro VIII del De BelloGallico, i gutuater , il cui nome significa
“Maestro”, “Padre delle Invocazioni”, opiù semplicemente, “Invocatore”. È danotare come un sacerdote del DioMoltinus , era definito gutuater martis ,suggerendo un ovvio parallelo fra Marte eMoltinus. Un’altra professione descritta
era quella sei semnotheoi , la cui funzioneè tuttavia più oscura. Iltermine semnotheoi ètraducibile secondo alcunicon “reverenza agli Dei”,o con “Padre della voce”.Stuart Piggott ha descrittoe definito questa triplicedivisione della classe
sacerdotale come incontinuo mutamento,attraverso la storia deiCelti, ed in particolare,poco prima e durante ladominazione Romana:nella sua ricostruzione, iltermine più utilizzato
dagli autori romani e grecip e r d e s c r i v e r eg e n e r i c a m e n t e u n
sacerdote celtico è drui (3). Tuttavia drui contraddistingue solamente l’elite di unpiù ampio raggruppamento sacerdotale,comprendente anche i Vati. Dopol’avvento del Cristianesimo in Irlanda iltermine drui fu svalutato in favore della
parola vate , e furono proprio questi Vati,secondi d’importanza nella gerarchia
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culto. È chiaramenteo s s e r v a b i l e l ’ e n o r m equantità dei terminiutilizzati per designarequeste varie divisioni;facciamo un po’ di chiarezzariassumendo tutte le varietestimonianze degli autoriantichi, e le teorie di quelli
moderni: I sacerdoti sonochiamati comunementeDruidi, tuttavia il termineDruido definisce una sola ditre classi principali degli“addetti al culto ”. Le altredue classi in ordine diimportanza sono quelladegli Ovati e quella dei
Bardi. Vate, Heuages,Ovates, definiscono tuttiuna stessa classe, nella qualei n q u a d r i a m o l e“ s p e c i a l i z z a z i o n i ” d iGutuater , e Semnotheoi . Inoltre è benericordare che tutti questi termini e classidefiniscono gerarchie del Galles, che
trovano la loro controparte, con diversinomi, anche in Irlanda. L’Ovates gallico,corrisponde al File (pl. Filid ) irlandese.Fra i Filid vengono distinte numeroseprofessioni, ognuna adibita ad un diversocompito: il Sencha era lo storico,l’annalista, colui che aveva l’onere diricordare e diffondere la storia del suopopolo e le varie teorie filosofiche. Il
Brithem era colui che assumeva lafunzione di arbitro e giudice nelle dispute,
aveva il ruolo di ambasciatore elegislatore. Lo Scelaige era il compositoredi romanzi epici e mitologici, che offriva i
suoi versi per tramandare la memoria dieroi e guerre. Il Cainte era analogo alGutuater , era maestro del canto magico,una sorta di campione bardico in grado dipronunciare maledizioni, benedizioni,invocazioni ed esecrazioni(4). Il Liaig era ilmedico, l’esperto in piante ed erbemedicinali, in chirurgia e rituali diguarigione. Il Cruitire era un arpista che
possedeva il magico sono dei tre canti:questi avevano il potere di far
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addormentare, ridere o piangere chiunqueli ascoltasse. Il Deogbaire aveva la
funzione di coppiere, ed inoltre conoscevale sostanze allucinogene, inebrianti epsicotrope, nonché il loro uso. Infine ilFaith il divinatore, assimilabile con ilVatis gallico. Per quanto concerne legerarchi irlandesi, e le loro definizioniattraverso la letteratura, anche qui alcuniautori utilizzano i termini Druido e File in t er scambiab i lment e ; t u t t av ia ,
stranamente, la verità ci è testimoniatadallo stesso S. Patrizio che dice di aversfruttato la rivalità esistente fra Druidi eFilid per poter meglio dividere econquistare nonché convertire, tutto ilterritorio irlandese(5). [ J.R.]
NOTE:
1. Posidonio descrive una precisatripartizione: i Druidi, gli Ouateis (Ovati)interpreti di sacrifici e studiosi dei fenomeninaturali, e i Bardoi , cantori e poeti.
2. I Mantes (Ovati), prendono anche il nomedi Heuages .
3. PIGGOTT 1985.
4. Era ritenuto altamente sconveniente e
infamante ricevere un’esecrazione da parte diun esponente della classe bardica. Si rieteneche questi Bardi avessero il potere di farapparire sul volto del loro bersaglio didenigrazione, tre pustole, simbolo dellavergogna che l’individuo avrebbe dovutosopportare. Solitamente queste composizionia scopo offensivo erano composte dopo unrifiuto d’ospitalità, o un trattamento rude;l’ospitalità era fra i Celti, uno dei più grandi einfrangibili doveri di ogni uomo che si
definisse tale.
5. D’ARBOIS 1906.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-S. PIGGOTT 1985: S. Piggott, The Druids ,New York 1985.
- D’ARBOIS 1906: D’Arbois de Joubanville,Les Druides , Parigi 1906.
Immagini :p.11, Sacrifico umano agli Dei , Arthur Boyd.
p.12, Assemblea Druidica , C. Knight.
p.13, A British Druid , Wiltshire & Swindon.History Centre, Chippenham.
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La Gloriosa(1), questo è l’epiteto che piùriassume la figura di Brighit, la piùimportante fra le divinità dei Celti. QuestaDea appare sovente in triplice forma, odescritta accanto alle sue due sorelle,entrambe di nome Brighit; è la divinità
patrona della Guarigione miracolosa,dell’arte, del sole, della famiglia, dellamusica, del focolare, della poesia, delladivinazione, della profezia e del partoumano e animale. InIrlanda era venerata comela Madre del Leinster, figliadel Daghda, e la sua festa
era celebrata il 18 Marzo (ilnostro 2 Febbraio).Spendiamo qualche parolaper descrivere questafestività: ad Imbolc(2),Brighit era, ed è tuttora,usa visitare le case dei suoifedeli, come si dicetestimonino le orme di
cigno trovabili l’indomanim a t t i n a d a v a n t iall’abitazione; se queste sidirigevano dalla porta verso il fuoco delcamino, la primavera sarebbe stataprospera, nel caso opposto, sarebberisultata infausta e poco fruttuosa.Durante la vigilia di questa celebrazionele donne e le giovani fabbricavano
bamboline con gli steli del grano,
rivestendole poi con conchiglie, cristalli,margherite, bucaneve e fiori di campo. Inparticolare al posto del cuore, nellabambola era inserita la Reul-Iuil , ossia uncristallo trasparente simboleggiante laStella di Brighit, la stessa stella del Natale
cristiano. Durante i festeggiamenti venivaformata una processione nella quale eraportata in corteo la bambola principale, alsuono del canto: “Bride bhoidheach
oighnam mile beus!” ossia“Bellissima Bride, verginedei mille prodigi!”. Laprocessione passava per
ogni casa, ed ogni famigliaera usa recare un dono:una candela, del burro, dellatte, foccacce o fiori; allafine terminava nella casanella quale si sarebbetenuta la festa di Brighid,la Fàis Bride , e ivi le donnesi chiudevano dentro al
buio. Gli uomini dovevanoiniziare a chiedere ilpermesso di entrare con
esclamazioni e preghiere ben formulate, esolo dopo un consulto fra le donne, questierano lasciati entrare, ed i festeggiamentisarebbero durati sino al giorno dopo. Almattino in circolo, tutti i partecipanticantavano: “Bride bhoideach muime
chorr chriosda.” ossia “Bellissima Bride ,
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madre adottiva di Cristo .” quindi leofferte erano regalate ai poveri. Secondo il
folklore Brighit era nata dal sole dell’alba,ed il suo respiro donava vita ai morti etramutava l’acqua in vino; era inoltresempre avvolta da una colonna di fuocoed aveva il compito di far tornare laprimavera dopo i duri giorni invernali.Brighit donò il fischio agli uomini, i qualilo appresero dopo che la Dea perse il figlioRuadan, che venne ucciso dal Dio fabbro
Goibniu per aver tentato di rubargli isegreti della fusione; infatti la Deaproruppe in un fischio di dolore, una sortadi lamento funebre, fu così che l’uomo nevenne a conoscenza. I nomicon i quali ritroviamo Brighitnei vari paesi dell’Europa sonomolti: Brigantia (in Britannia),Bride (in Scozia), Brigandu o
Bricta (in Gallia), ed infineBelisama la “molto brillante”(nella Gallia del Nord). Cesareparla di una Minerva celtica,riferendosi probabilmente a Brighit ed ilCath Maige Tuired la dice figlia delDaghda; tuttavia non raramente si osservauna certa confusione fra la sua figura e
quella di altre divinità come Boann, Etaine Tailtiu. La toponomastica la ritrova neinomi di moltissime città e luoghi come:Bregenz, Bribacte, Briançon e Briare inFrancia, Arebrigium in Valle d’Aosta, nelfiume Boune, e nelle Ebridi, le Isole diBride. Secondo la tradizione Brighit ebbetre figli dal Dio Tuireann: Brìan, Iuchar eIucharba(3). Essa è chiamata con diversi
epiteti fra i quali i più utili a descrivere lasua figura sono: brighit bé legis la
guaritrice, Brighit bé goibnechta laprotettrice dei fabbri, Brighit bé filid la
signora della poesia e della fertilità, edancora La Vergine, La Regina del Canto,La Sovrana dei Boschi, Freccia Ardente(4).I primi tre epiteti presentati, come dettosopra, descrivono a pieno la sua funzione:ella infatti riassume e protegge dentro disé le tre principali classi della societàceltica; quella contadina, quella guerrierae quella sacerdotale. È importante
sottolineare la “competenza” di Brighit inun’arte maschile come quella dei fabbri;ebbene anche dalla letteratura apparelampante la sua vicinanza con le figure dei
tre fabbri divini Goibniu,Credne e Luchta (il fabbro, ilfonditore ed il carpentiere),sebbene vi siano enormidifferenze nel ruolo: mentre i
tre fabbri simboleggiano l’artemanuale di realizzazione elavorazione del ferro, Brighitsintetizza in sé l’ispirazione
divina che porta a questa realizzazionemateriale. Un’ invocazione risalente alXVIII sec. recita: “Brighit, donna
eccellente, fiamma improvvisa, possa lo
splendente ed infuocato Sole portarci al regno eterno .” Passiamo ora ad unainformazione ben meno piacevole mafondamentale: Brighit appare sincretizzatanella tradizione cristiano-cattolica comeSanta Brigida, o Brigitta. La storia diquesta Santa è peculiare, e a dirla tutta,anche abbastanza improbabile; questa erala potente Badessa del monastero di Cill-
Dara, l’attuale Kildare(5). L’ordine dellebrigidine che la badessa fondò era custode
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di un fuoco perpetuo (identico a quellopresente nel tempio sopra al quale fu
costruito il monastero), che rimase accesofino all’epoca di Enrico XIII. Si dice che ilfuoco scaturì non appena la Santa vennedeposta nel sepolcro. Le diciannove suorecontinuavano a custodire il fuoco perdiciannove giorni consecutivi, ed ilventesimo lo lasciavano incustoditodicendo: “Brigida, abbi cura del tuo fuoco,
perché questa notte ti appartiene! ”(6).
Tornando alle sue origini, Brigida nacqueil 1 Maggio del 445 d.C a Faughart (stessogiorno e mese della festività pagana diBelatine); e morì a Kildare nel 523 d.C. Invita viaggiò in Scozia, in Galles ed inCornovaglia, fermandosi a Glastonbury;suo padre era un druido (notare lacasualità) di nome Dubhtach, e la nutrìcon il latte di una mucca incantata dalle
orecchie rosse (animale che più volte ècitato come a lei sacro nella letteraturairlandese). Un aneddoto divertente: ilceleberrimo S. Patrizio, nell’apice dellasua piissima opera di conversione, nominòper errore S. Brigida, Sacerdote; grazie aquesto disguido la Santa potè diventareArcivescovo e nominare vescovi a sua
volta. I fedeli si rivolgono a lei comeMaria dei Galli e Madre adottiva di Gesù,in quanto ebbe l’onere/onore di nutrire evestire per prima il neonato Gesù, mentrela madre Maria dormiva dopo le fatichedel parto. [ J.R.]
NOTE:
1. MAC KILLOP 1998.
2. si veda l’articolo “I Celti e l’Astronomia” inPhanes n.0 p. 12 e sgg.
3. MAC KILLOP 1998.4. SMITH 1988.
5. si veda l’articolo “Kildare ” a p.53 e sgg.
6. BROSSE 1991.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-MAC KILLOP 1998: J. Mac Killop, Dictionary
of Celtic Mythology , Oxford 1998.-SMITH 1988: D. Smith, A guide to irish
mythology , Dublin 1988.
-BROSSE 1991: J.Brosse, Mitologia degli
Alberi , Milano 1991.
Immagini:
p.14, busto in Bronzo della Dea Brighit .
p.15, Croce di Brighit , simbolo sia della Santache della Dea, chiaro richiamo alla svastikasolare.
p.16, dipinto raffigurante S. Brigida .
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È molto probabile che lo stesso fascinoche lega e spinge noi moderni adanalizzare e studiare i naufragati cultimisterici fosse proprio lo stesso mordenteche attirò in epoca tardo-antica una molenon trascurabile di fedeli. Fedeli si, masopratutto iniziati, iniziati a culti dei qualispesso ci sfuggono finanche le finalità e le
informazioni cultuali di base. Naufragate
le fonti dirette quello che ci rimane sonosolo le testimonianze di chi, all'epoca, odopo, ebbe modo di ascoltare, sapere,vedere e partecipare talvolta, a pratiche erituali che come regola primaimponevano la segretezza: è quindispiegato presto come chi sapesse nonparlò, e chi non sapeva riportò notizie di
seconda o terza mano, pari spesso, a
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pettegolezzi; se aggiungiamo poi, lapolitica cristiana di contrasto a culti così
potenti e settari, si spiegano presto parolecome quelle che Firmico Materno speseintorno ai culti mitraici: «Chiamano
questo Mitra, e tramandano il suo culto in
oscure caverne, […] immersi
costantemente nello squallore oscuro
delle tenebre »(1) dimenticando forse che lapropagazione della loro fede avvenneproprio all'interno di
c a t a c o m b e , n o nesattamente famoseper la loro luminosità,splendore, visibilità eigiene. L'origine deicult i mitraici ès i c u r a m e n t erintracciabile negliambienti indiani ed
iranici, ma quello chem i i n t e r e s s apuntualizzare nonsono le conoscenze cheora, a posteriori,possiamo avere nellaricostruzione storica diun culto, ma quello che i fedeli romani, e
in minima parte greci, conoscevano ecredevano a proposito delle origini delproprio culto. «E questi, infatti, credono
nell'esistenza di due Dèi che sono tra loro
in competizione: l'uno produce il bene,
l'altro il male. Vi sono quelli che
chiamano Dio il migliore tra i due, e
l'altro dèmone, come fa il mago Zoroastro, […] e questo, allora, dava all'uno il nome
di Horomazes (ÑVromãzhn), all'altro
quello di Arimanios (ÉAreimãnion); e
inoltre dimostrava che l'uno, tra ciò che è
percepibile con i sensi, si apparentava sopratutto alla luce e l'altro, al contrario,
alle tenebre e all'ignoranza; tra i due in
mezzo si collocava Mitra, che per questa
ragione i Persiani chiamavano
“mediatore” (tÚn mes¤thn) [...]».(2) Ilcontenuto del culto mitraico però cisfugge, e solo ipotesi sono state avanzate
sul senso di questa
religione, complessa ediniziatica. La sua strutturaci è piuttosto chiara: settei livelli di iniziazione,proprio come le settesfere celesti platoniche,che l'iniziato dovrebbepercorrere prima dig i u n g e r eall'illuminazione divinaed alla contemplazionedella stessa. Corvo, Ninfo,Soldato, Leone, Persiano,Eliodromo, Padre ( 3):questi i sette gradi di
iniziazione. Le fonti concordanonell'attribuire collegamenti celesti ai vari
gradi di iniziazione: secondo questa teoriaogni grado doveva corrispondere ad unodei pianeti, per cui Ninfo/Venere,S o l d a t o / M a r t e , L e o n e / G i o v e ,Persiano/Mercurio, Eliodromo/Sole,Padre/Saturno(4) (le fonti non concordanosull'accostamento planetario del primogrado, quello del Corvo). Una teoria moltosuggestiva, e che trova riscontri
mitraico nella scoperta da parte di Ipparcodi Nicea della successione degli equinozi,del quale Mitra sarebbe proprio la forzadivina causante(5). Molte delle nostreconoscenze si basano sull'iconografia dellescene sacre ritrovate in gran numeroall'interno dei mitrei: la tauroctonia, una
immagine sacra capace di racchiudere inse l'intero messaggio iniziatico del culto.Sentiamo la spiegazione che ce neconsegna Porfirio: «Pertanto assegnarono
come adatta a Mitra la sede degli
Equinozi; egli porta il pugnale di Ariete,
segno di Ares, e cavalca il toro, simbolo di
Afrodite. Poiché Mitra, come il Toro, è
demiurgo e padrone della generazione, è
collocato nel cerchio equinoziale, avendo alla sua destra le regioni settentrionali,
alla sua sinistra quelle meridionali, e a sud
è collocato Cautes, perchè caldo, e a nord
Cautopates per il fatto che il vento del
nord è freddo »(6). Bisognerà aggiungereche nelle tauroctonie, abitualmente,compaiono anche due figure, sospese nelcielo, a sinistra Helios, al quale Mitra,
nell'atto di uccidere il toro guarda, e adestra Selene. Intorno alla figura del toroatterrato gravitano tre animali, unoscorpione che attacca i testicolidell'animale e un cane ed un serpente chesi nutrono del sangue sgorgante dallaferita. Questi animali rappresenterebbero,assieme a Mitra ed al toro, una sorta dimappa celeste durante l'era del Toro:
serpente/Idra di Lerna, cane/Canis Major(o Minor?), scorpione/Scorpio, il
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teoria, antica, cerca dir i v e d e r e n e l l atauroctonia il mitodella generazione, erigenerazione, delleanime. Partiamoun'altra volta daPorfirio: «Gli antichi
[…] chiamavano
Melissa la Luna, che p r e s i e d e a l l a
generazione, tanto
più in quanto la Luna
è anche Toro, il toro è
l'esaltazione della
Luna, le api nascono
dai buoi e le anime
s c e n d o n o n e l l a
generazione sono
dette nate da un
bue »(8). Il mito dellanascita delle api dalcorpo del bue, e dellagenerazione dellaa n i m e èe c c e l l e n t e m e n t e
spiegato in SCARPI
2008 p. 550: «la nascita delle api dalla
carcassa di un bue appartiene alla
tradizione mitica greca e ha all'origine
una colpa di natura sessuale: Ariste,
immagine dello sposo leale e fedele,
modello dell'apicoltore, vede Euridice, la
giovane sposa di Orfeo, il mitico cantore
di Tracia, e tenta di violentarla; ma
Euridice fugge e nella fuga viene morsa da un serpente e muore; gli dèi allora
puniscono Aristeo
i n v i a n d o u n a
p e s t i l e n z a c h e distrugge le api;
rivoltosi alla madre
Cirene, che lo aveva
generato ad (sic)Apollo, da questa
viene a sapere sia
quale era stata la causa
della pestilenza che
aveva colpito le sue api, sia come far
rinascere le api:
sacrificare quattro
buoi e lasciarli al
chiuso, lontani dalla
luce, sino a che dalle
carcasse putrefatte
fossero nati nuovi
sciami ( Verg. Georg.IV 317-559). Non è
improbabi le che
l'assimilazione della
anime alle api si
fondasse anche sul
fatto che la tradizione
antica, in particolare
greca, vedeva in questo insetto l'animale più puro. La
nascita o ri-nascita dell'ape dalla carcassa
del bue si configura in questo caso come
metafora della ri-nascita dell'anima dalla
carcassa umana rappresentata dal corpo.»Proprio le api ci rimandano ad un aspettodella pratica cultuale: in un mitreo, oltrealla rappresentazione della tauroctonia,
quello che non poteva mancare era ancheun'anfora e sopratutto un cratere: «le api
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fonti, proprio come presso mitra è collocato un cratere al posto di una fonte,
le anfore poi sono simbolo di ciò con cui
si attinge l'acqua dalle fonti »(9). Il mieleinoltre, cosparso sulle mani degli iniziatiche accedevano al grado di Leone, lirendeva puri; per gli altri gradi, a quel chesappiamo, era utilizzata l'acqua comepurificante. Pur nella carenza dei dati
certi a livello pratico e cultuale ilmessaggio religioso, salvifico e filosoficodel culto del “Sole invitto” ci è piuttostochiaro (anche se meno chiara è larelazione tra culti misterici mitraici e cultidi Helios). Giuliano Imperatore, nei suoiscritti su Helios ci ha tramandato questacodificazione: la nascita degli uomini èopera della cooperazione tra la
provvidenza di Helios(10) e la generazionemateriale da un corpo umano. Helios peròè solo la manifestazione palese rispettoall'essenza divina, conoscibile solo grazieall'aiuto di Hermes e di ApolloMusegete(11). Il potere di Helios, secondoGiuliano, è capace di fissare, mantenere epreservare tanto gli equilibri celesti
quanto quelli terreni, e deriverebbedirettamente dal Bene, l'Uno platonico,vero unico genitore del Dio: Helios regnaquindi sugli altri Dei proprio comedomina i l panorama celeste ,manifestandosi al mondo come Sole,palese donatore della vita nell'universo(12).Infondo proprio questa semplicità dimessaggio, accessibile e constatabile da
tutti tramite le manifestazioni quotidianedel Dio, ed una possente impalcatura
filosofico-misterica furono la base dellafortuna di questo culto: le iscrizioni
d'altronde ci attestano come non fosse unapratica religiosa settaria, ma anzi, moltodiffusa tra il popolo, e sopratutto tra lelegioni romane, tanto da trovare evidenzearcheologiche di Mitrei in moltiaccampamenti stabili delle legioniromane. Ma già nella codificazione deisuoi rituali, il mitraismo, possedeva la spiadel rischio della scomparsa: la preclusione
delle pratiche alle donne, le stesse donneche giocheranno invece un ruolo diprim’ordine nella propagazione del cultocristiano. Il messaggio di Mitra è un altrotassello che possiamo, gloriosamente,aggiungere alla ricostruzione di un cultosolare, che vede unite e cooperanti, figuremitologiche di diversissime, e lontaneciviltà: proprio quello della cooperazione,
della mediazione e dell'amicizia era ilmessaggio originario del dio Mitrasecondo la sistemazione di Zoroastro:dalla mediazione alla pacificazione, finoalla vita, il passo è molto breve, tantobreve da sopravvivere, oggi, dopo oltretremiladuecento anni. [L.A.]
NOTE:
1. Firmico Materno, De errore profanarumreligionum, 5, 2.
2. Plutarco, De Iside et Osiride, 369d.
3. vd. ad es. Gerolamo, Ep. 107, 2.
4. Queste corrispondenze sono attestatedall'iscrizione CIMRM I, 480.
5. ULANSEY 2001.6. Porfirio, De antro Nympharum, 24.
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Si è sempre sottolineato come l'epigrafiasia la testimonianza letteraria e scrittoriapiù diretta per ricostruire il vissuto di unaciviltà: iscrizioni civili, pubbliche, votive,sepolcrali e onorarie sono tutte documenti
unici ed originali, un messaggio rimasto(più o meno) intatto, una voce parlantesenza bisogno di intermediari. Perdefinire l'ambito di ricerca dell'epigrafia siè ricorsi a molte definizioni, limitando imateriali e i metodi di fabbricazione, magli unici punti fissi in questo marasma diparole sono rimasti l'unicità deldocumento e la genuinità dello stesso. Se
uniche, quindi, le epigrafi, e sicuramentefabbricate in antico, rappresentano per glistudiosi uno strumento irripetibile per laconoscenza di una civiltà altamente
alfabetizzata come fu quella greca. Manon è nostro intento quello di analizzare ipiù alti e sublimi prodotti dell'epigrafia,tantomeno analizzare le epigrafi cheriportano epitaffi metrici, ma anzi,
rivolgeremo lo sguardo ad una tipologia didocumento diffusa sopratutto nei cetimedio-bassi della società: le tabelle dimaledizione.
Coll'espressione "defixiones" siintendono alcune particolari maledizionidi carattere privato atte a punire personein virtù di un qualcosa commesso o al fine
di arginare le problematiche che unaazione in fieri potrebbe portare almaledicente. Questi documenti, come giàaccennato, furono prodotti in larga
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maggioranza da un ambiente sociale pocoelevato, e oscillano tra religiosità e
superstizione. Le defixiones sonopressoché sempre incise su laminette dipiombo, successivamente piegate, o su
statuette rappresentanti i "maledetti". Lascelta dei materiali non era casuale: ilpiombo, per il suo peso, per il suo esseregelido, per il suo colore grigio era
perfettamente intonato ai funesti auguric h e v e n i v a n o i v i s c r i t t i ( 1 ) .Le modalità di preparazione dellemaledizioni prevedeva, sicuramente, unaritualistica ben precisa, in buona parte pernoi non ricostruibile: è indubbio chespesso il mago incaricato di "maledire"una tale persona, si facesse anche carico discrivere egli stesso l'iscrizione,
s o p p e r e n d o a l l ' i g n o r a n z a d e l"maledicente". La stranezza dei caratteri
non è dovuta ad un particolar modo discrittura, o a chissà quale alfabeto magico,
ma unicamente alle difficoltà di scritturacorrelate all'incisione sul metallo.
Lo scopo essenziale delle defixiones
greche era quello di immobilizzare lapersona odiata in ogni manifestazionedella sua vita, facendo sì che questapotesse morire prima del decorso naturale
della propria vita. Lo scopo venivaraggiunto chiedendone l'attuazione e lapersecuzione allo spirito di un morto. Siprediligevano gli spiriti turbolenti: animedi defunti spirati di morte violenta,persone morte immaturamente, suicidi,anime di feti nati già morti erano una veracalamita per i maghi dell'epoca; bastavascrivere il messaggio, in un formulario
ben preciso, affidarlo alla tomba
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dell'esecutore ritenuto perfetto ed il giocoera fatto. Anche i santuari di divinità
infere, pozzi e sorgenti erano moltogettonati: la vita dell'odiato nemicosarebbe stata falciata dalla divinità o
affogata e trascinata via dalle acqueprescelte. In un primo momento sicredette bastevole il deporre il nome del
"maledetto" nel luogo prescelto, masuccessivamente si pensò più sicuroaggiungere alla formula anchel'invocazione diretta a qualche divinitàinfera, in modo che il messaggio nonpotesse, in alcun modo, andar trascurato.
Ma leggiamo quache testo. Laprima è una defixio databile al V a. C.,ritrovata ad Atene: precisa il nome del
defisso, indicando anche la moglie, ed ha
come intento l'annientare la persona inogni sua attività, rivoltandogli contro
finanche le sostanze colle quali, per lavoroè a contatto continuo: "Lysias, soffiatore
nella zecca, sia lui che la moglie e i suoi
beni, ciò che lavora, le sostanze, le mani, i
piedi, la mente, la testa ed il naso [siano
distrutti] dalla sacra terra "(2).
L'indicazione delle divinità inferealle quali si affida la vita del defisso è inun esemplare databile al I sec. a. C. Eritrovata a Morgantina: "Gea. Ermete, Dei
inferi, accogliete Venusta ,figlia di Rufo,
la serva " (3). Come si può vedere il metodoè molto semplice: l'indicazione del nome,del patronimico, e la raccomandazioneagli dei infernali. Non è da escludere però
che il rituale di maledizione prevedesse
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delle libagioni agli dei inferi, e delleformule rituali non tramandate. In questo
caso l'augurio nefasto consistesemplicemente in una sorta di preghieraaffinchè la donna venga portata e accoltanel regno degli inferi.
Particolarmente più dettagliata èinvece la defixio, molto tarda, ritrovata aRoma, e databile al II o III secolo d. C. Chisi vuole colpire con questa maledizione èun medico, probabilmente colpevole di
aver ucciso il fratello del maledicente:"Opprimi Artemidoros, il medico, figlio di
Artemidoros, quello della terza coorte
pretoria. Compie l'azione il fratello del
defunto Demetrio, il quale vuole ora
partire verso la propria patria. Non
risparmiate dunque lui, ma opprimete la
terra italica; e per di più insabbiate la città
dei Romani. Ma opprimete il medico Artemidoro. Eulamon, Laimeilasion,
Kreiochersophrix, Omelieus, Axeieus,
Areius e Lathos e Tham, opprimete! "(4). Ladefixio è un unicum: accomuna allamaledizione l'intera città di Roma. Ladivinità infera alla quale viene affidata lapersecuzione dell'uomo non è esplicita, sidovrà quindi pensare che la defixio fosse
posta in qualche tomba.I verbi più ricorrentemente
utilizzati nelle tavole di defissione grecasono di due tipi: un primo gruppo per
invocare l'attenzione del morto o delladivinità, ed un secondo finalizzati adesprimere/richiedere il nefasto augurio.Kale›n oppure §pikale›syai o anche
kiklÆskein sono utilizzati nel medesimo
significato di "chiamare"; più accorato ilsignificato di flketeÊein e ırk¤zein
r i spet t ivamente " suppl icare" e"scongiurare". Kat°xein , facente parte
del secondo gruppo di verbi, indicapropriamente l'azione di "sottomettere","tenere sotto", "opprimere" rivolto sempreagli Dei infernali o a Demoni e morti,chiati kãtoixoi. ParadidÒnai invece èun verbo spesso pronunciato dall'autoredella defixio, significa "consegnare",seguito spesso dalla specifica del
destinatario della consegna malefica. De›n,katade›n, sunde›n , s ignif icanopropriamente "legare" il nemico, seguitisp es so da un prÒs segu i t odall'indicazione del nome del demone odel Dio infero. Ma il vero in assoluto piùfamoso ed utilizzato è katagrãfein
"iscrivere": il nome del maledetto veniva"iscritto" nelle liste infernali del morto, o
del Dio, in modo che il suono di quelnome non andasse disperso, ma proprio
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nome non andasse disperso, ma proprioperchè iscritto, sarebbe stato
continuamente sotto gli occhi attentidell'esecutore infernale.
Il panorama delle defixiones,assolutamente curioso e degno di essereesposto e reso maggiormente noto, non èovviamente completo, mancando inquesto articolo le corrispettivemaledizione in ambito romano: mioccuperò nel prossimo numero di fornire
un'ampia carrellata di esempi dimaledizioni in ambito latino, atestimonianza di un altro fattore di vitareligiosa, comune alla civiltà greca ed aquella romana, sempre pronta a recepirele invenzioni, anche le più malefiche, diuna civiltà evolutissima ed originale comequella greca. [L.A.]
NOTE:
1. Plinio, Naturalis Historia, XI, 274.
2. EG. IV, pp. 247 sgg.
3. EG. IV, pp. 250 sgg.
4. EG. IV, pp. 251 sgg.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-EG: M. GUARDUCCI, Epigrafia Greca, vol IV,Roma 1978.
Immagini:
p.28, Defixio greca . Presenta la classica forma"a libretto": la lamina di piombo iscritto èpiegato in due, in modo da includere il lato
inciso. Parigi, Biblioteca Nazionale.
p.29, Defixio latina . È una delle pochedefixiones su due facciate e con un disegno acorredo della scrittura.
p.30, Defixio greca . La lamina di piombo erastata arrotolata su se stessa: l'estrema duttilitàdel materiale ha permesso agli archeologi disrotolarla e leggerne il contenuto.
p.31, Defixio con forma "a libretto". Monaco,Museo Archeologico.
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stendere un contributosull’Inno a Nettuno diGiacomo Leopardirientra in un più ampiop r o g e t t o d is e g n a l a z i o n e ,arricchimento e studiodelle possibili fontiletterario-religiose abeneficio di una fedeantica nel mondocontemporaneo. Èstrano pensare che uno scrittore comeLeopardi, prima del suo distaccamentodalla fede cattolica, potesse concepire,stendere e pubblicare un’opera innologicadedicata ad una divinità antica, proprio
negli anni in cui, già circolavano espadroneggiavano gli Inni Sacri (ovviamente cattolici) di Manzoni.
Il progetto di Leopardi però, nonebbe mai mire religiose, ma solo edunicamente letterarie. Leopardi infattipubblicò l’Inno cercando di spacciarlo perun originale greco, inedito, tradotto:Leopardi non come autore quindi, macome traduttore. La truffa ebbe un certo
seguito, e l’Inno vene
da molti creduto comeoriginale ed autentico;la “truffa letteraria” diLeopardi portava comeprove avvaloranti solodue versi greci, quellod’inizio e quello di finedell’Inno (anche leO d a e A d e s p o t a e vennero pubblicateassieme). Ma la veraprova di “autenticità”,
sarebbe dovuta essere, in mente diLeopardi, l’assoluta corrispondenza diquesto Inno a tutte le caratteristiche degliInni omerici già noti. La vicenda divina diNettuno-Poseidone è ricostruita fin nei
minimi particolari, dalla nascita fino aimiti più noti, una vera enciclopediadivina. La scelta del Dio, a mio avviso,basata su una semplice constatazione: ilcorpus degli Inni omerici presenta un soloinno a Poseidone, di pochissimi versi, chenon avrebbe mai potuto fungere da armaun confronto, per un eventualesventramento della “truffa letteraria”
approntata.
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Pietro Giordani, amico fraterno diLeopardi, nel pubblicare un volume per
Le Monnier nel 1845, contenente tutti glistudi filologici di Leopardi, non ebbedubbi nell’inserirvi l’Inno a Nettuno; asuo dire, la capacità di “ingrecarsi ”(1),ovvero di calarsi nei panni di un grecodell’VIII sec. a. C.d i L eop ard i ,r e n d e v aquest’opera non
sono un’abilefalsificazione, maquasi più degnodi un originalegreco. Leopardinel 1816, a pocopiù di due annidall’inizio del suosolitario studio
del greco, eraperfettamente ing r a d o d ifalsificare un innosacro, dedicato aNettuno.
Tutto inquest ’ Inno è
g r e c o , o g n isingolo mito, ognip aro la , ogn imovimento delle frasi sembra seguire,ricalcare, riprendere un originale greco,esistente solo nella mente nostalgica esognatrice del diciottenne Leopardi. Lasua reverenza per gli antichi, seppure nonsfociando mai in devozione, si basò su un
ossequioso rispetto delle tradizioni e delle
testimonianze di un mondo scomparso.L’inno si apre con solenni parole: “Lui che
la terra scuote, azzurro il crine / A cantar incomincio. Alati preghi / A te, Nettuno
Re […]”(2); come nella prassi innologicaLeopardi dichiara tutte le capacitàprotettive e benefiche del Dio sin
d a l l ’ a p e r t u r a ;Poseidone, diodel mare, è ilp u n t o d i
r i f e r i m e n t op r i m o d e in a v i g a n t i ,quando hanno ac u o r e d is c a m p a r e aorrenda morte inmare: “forza è
che indrizzi / Il
n o c c h i e r
fatichevole che
corre / Su veloce
naviglio il vasto
mare, / Se
campar brama
dai sonanti flutti
/ E la morte
schivar ”. Lag e n e a l o g i ad i v i n a è
specificata subito dopo: “che a te l’impero/
Del pelago toccò, da che nascesti/ Figlio a
Saturno, e al fulminante Giove, / Fratello
e al nero Pluto.” (3) La stirpe di discendenzacompletamente indicata, ad eccezionedella madre, Rea, vero centro del racconto
che segue, quello della nascita del Dio,assolutamente commovente per la
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di ostentarla, vince, in quest’opera, sullasua capacità poetica? Ci si è chiesto molto
spesso questo, e spesso si è detto chel’Inno a Nettuno è affossato sotto lamelma dell’erudizione che stilla da questepagine. Chi sostiene questo, non èchiaramente in grado di inquadrarequest’opera nella sua giusta collocazione:un inno greco, non può rispondere alletipologie poetiche italiane di inizioottocento, ed anzi, il non nseguirle è
sintomo di maggior capacità poetica emimetica di Leopardi. L’operazioneletteraria dello scrittore tende, oltre chead una affermazione nel panoramaletterario italiano, a dotare Poseidone diun componimento innologico simile aquelli maggiori tramandati dal corpusomerico. L’Inno a Nettuno, ad una letturascevra da preconcetti letterari, trasmette
perfettamente la voglia di un ragazzo diaffiancarsi ai mitici cantori omerici,calandosi totalmente in un ambito didevozione a lui estraneo, sperimentandoforme liturgiche antiche. Ma è proprioquando, deposti i panni dell’eruditogrecista, Leopardi si cala nei panni delfedele antico, che, senza bisogno di
nozioni, epiteti e quant’altro, riesce aspiegare e fissare perfettamente lo spiritodevozionale: “O Dio possente/ Soccorri a’
naviganti, e fra le rotte/ Nubi fa che si
vegga il cielo azzurro/ Ne la tempesta, e su
la nave splenda/ Del sole o de la luna un
qualche raggio/ O de le stelle, ed il soffiar
de’ venti/ Cessi; e tu l’onde rumorose
appiana,/ Sì che campin dal rischio i
marinai. O Nume, salve, e con benigna mente/ Proteggi i vati che de gl’inni han
cura!” (13). Poseidone viene dunqueinquadrato come protettore dei poeti, e
proprio in questa ottica è ancor piùpossibile capire il perché di una sceltadivina così inconsueta per un giovane chenon aveva ancora mai toccato quel mare,regno del Dio, che vedeva solo inlontananza dalle finestre della casapaterna. [L.A.]
NOTE:1. GIORDANI 1845, p. XVI-XVII.
2. Inno a Nettuno , vv. 1-3.
3. Inno a Nettuno , vv. 7-10. (in quanto a te
toccò il regno sul mare, da quando nascesti
figlio di Saturno e fratello di Giove tonante e
dell’oscuro Plutone ).
4. Inno a Nettuno , vv. 10 sgg. (E Rea, la dea
da molle crine, ti partorì non in cielo, poiché di Saturno, astuta divinità, temeva gli sguardi.
Ella quindi discese sulla terra piena di selve,
con il cuore addolorato, e colle guance prive
del loro rossore. Nel mentre il sole eccelso
scottava le foreste sui verdi boschi, […] Ella si
sedette all’ombra, e non appena fosti di lei
uscio, ti ripose sulle sue ginocchia, piangendo
e pregando la Terra ed il Cielo popolato di
stelle.) 5. Inno a Nettuno , vv. 75-8.
6. Inno a Nettuno , vv. 78-81.
7. Inno a Nettuno , vv. 81-4.
8. Inno a Nettuno , v. 93.
9. Inno a Nettuno , vv. 103.
10. Inno a Nettuno , vv. 121-3.
11. Inno a Nettuno , v. 153.
12. Inno a Nettuno , v. 93.
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Il più potente fra tutti i Navagrahas èSurya, il Sole; anche chiamato Ravi; egli èconsiderato come la personificazione delpianeta Sole, il globo di luce e calore, ed èraffigurato con una carnagione dorata eraggi luminosi di gloria che circondano ilsuo capo. Talvolta lo si dipinge con duebraccia, altre volte con quattro, regge inmano un fiore di loto e per questo prende
il nome di “signore del loto”(1). Poiché lanatura prima del Sole è luce, Surya èchiamato ā tmak ā raka , ossia colui chepresiede all’ ā tm ā (2). In questi terminigoverna sulla fiducia che ogni persona haverso se stessa, sull’autorità e lo status diogni uomo. È anche la divinità patronadegli occhi e governatore del segno delLeone(3). Il Visnu Purāna (2.8.15), afferma
che il sole non si muove, non sorge e nontramonta, poiché il sorgere ed iltramontare implicherebbero fasi nellequali il sole non sarebbe presente, ocomunque sarebbe “scomparso”. Perconciliarsi con Surya, viene dato il mantrache qui di seguito riportiamo. [ J.R.]
Japa Kusuma Sankasham
Kashyapeyam Mahadyuthim
Thamognam Sarvapapagnam
Pranathosmi Divakaram.
O Distruttore dell’oscurità dell’ignoranza!
O Epuratore di ogni peccato!
Ti porgo il mio omaggio!
NOTE:
1. COLEMAN 1995.
2. Il termine ātmā è traducibile con “il sé”;
indica il vero sé scevro dalle identificazionicon i fenomeni naturali.
3. Si veda l’articolo “Navagrahas” in Phanesn.0 p. 37 e sgg.
SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:
-COLEMAN 1995: C. COLEMAN, The
Mythology of the Hindus , Asian EducationalServices, New Delhi 1995.
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Quest’Inno, facente parte del-
la raccolta degli Hymni Naturales ,
è rielaborazione ed ampliamento di
un’idea desunta da Marullo dalla let-
tura dell’incipit del primo libro di Lu-
crezio: innegabili i debiti, ma ancor
più innegabile l’apporto origina-
le dell’autore, ca- pace di trasforma-
re una invocazione in un inno, lirico,
in strofe saffiche. Marullo nacque a
Costantinopoli nel 1453, greco di na-
scita dunque, si spostò in Italia
dopo il crollo dell’impero bizantino, per entrare nella cerchia degli umanisti medicei (circanel 1486). Antagonista di Poliziano, Marullo utilizzò il latino non come una lingua cristalliz-
zata e stereotipata, bensì come uno strumento linguistico ancora vivo e ancora valido. Le sue
raccolte principali sono quattro libri di epigrammi ed appunto, questi Inni Naturali (editi nel
1497). Il testo che qui riportiamo è solo una sezione dell’intero componimento. Nei primi
quindici versi, che abbiamo tagliato, vi era l’invocazione ad Erato, musa della poesia amoro-
sa. La splendida traduzione che qui presentiamo è tratta dall’esemplare e immancabile rac-
colta Poeti latini del quattrocento di Francesco Arnaldi. e Lucia Gualdo-Rosa (pp. 48 sgg.).
leggendario Bardo scozzese fruttodell’unione fra il condottiero Finn Mac
Cumhail e la poetessa Sadhbh. James
MacPherson scrisse questi Canti di Ossian,
probabilmente inventati interamente, e li
disse essere una fedele raccolta dei lasciti
letterari del grande Ossian. La diatriba è
ancora in corso, eppure risulta indubbia una
ricerca ed analisi di reali ballate ossianiche
scozzesi. Più che di “falso” bisognerebbe
parlare di “massiva rivisitazione”. Sebbene la falsificazione fosse comunque stata appurata,
l’opera ebbe una popolarità immensa; e fu oggetto di ispirazione per grandi autori come
Foscolo e Goethe. I Canti di Ossian furono pubblicati nel 1760, con il titolo “Fragments of
Ancient Poetry collected in the Highlands of Scotland ”. L’anno successivo tutti furono
estremamente incuriositi dall’annuncio di MacPherson: aveva ritrovato un poema epico
riguardante le gesta dell’eroe Fingal, di autore ovviamente noto, Ossian; così nel 1765 prese
corpo la raccolta finale, “The Works of Ossian ”. Fra i vari appassionati a questo libro vi
furono Napoleone e Schubert. L’edizione che vi consigliamo, è frutto dello sforzo diMelchiorre Cesarotti il quale tradusse in termini coerenti alla realtà poetica italiana del
tempo, versi appartenenti ad un retroterra assolutamente avulso. Non disponendo di una
immagine del libro qui consigliato, riportiamo gli estremi dello stesso qui di seguito:
Melchiorre Cesarotti, Le poesie di Ossian , 2 voll., Fabbri Editore, Milano, 2001.
[ J.R.]
Immagini:
p.61, Ossian awakening the spirits on the banks of the Lora, with the sound of his harp , Gérard
François, Kunsthalle, Hamburgo.
Recensioni Tutti i diritti riservati a www.phanes.jimdo.com
-G. LEOPARDI, Poesie e Prose a c. di M. RIGONI, Milano 1998.
-G. LEOPARDI, Studi filologici a c. di P. PELLEGRINI e P. GIORDANI, Firenze 1845.
LE ODAE ADESPOTAE DI G. LEOPARDI
-G. LEOPARDI, Poesie e Prose a c. di M. RIGONI, Milano 1998.
-G. LEOPARDI, Studi filologici a c. di P. PELLEGRINI e P. GIORDANI, Firenze 1845.
SURYA
-S. A., Indian Planetary Images and the Tradition of Astral Magic , Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes, 1989.
L’ INNO A VENERE MARULLO-P. L. CICERI, Michele Marullo e i suoi «Hymni Naturales» , in «Giornale Storico della
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-M. MARULLI, Carmina , ed. A. PEROSA, Zurigo 1951.
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-R. MAMBELLA , Antinoo un dio malinconico , Roma 2008.