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RITORNO A PRISCILLA Ultimi pensieri sul cubicolo di Lazzaro* a Francesco Marchisano Alla fine del 1975, dopo il Congresso Internazionale di Archeo- logia Cristiana 1 , che si era celebrato a Roma e che, avendo scel- to come tema centrale il periodo delle origini del Cristianesimo, aveva guardato anche e soprattutto alla fase genetica dei cimite- ri paleocristiani, specialmente romani, entrai, per la prima volta, nelle catacombe di Priscilla, per aiutare Danilo Mazzoleni nella ri- cognizione estremamente lunga e complessa della produzione epi- grafica del cimitero della via Salaria nova, in vista dell’allestimen- to del IX volume delle ICVR 2 . Quei miei primi passi nel monumento, che diverrà, nel tempo, la “catacomba del cuore”, furono segnati da un ritmo lento. I miei interessi si rivolgevano, ancora, alla Patristica e alla Letteratura Cristiana Antica, sotto la guida di Antonio Quacquarelli 3 , il qua- le, proprio in quegli anni, inaugurò una serie di studi iconologici 4 che, se guardati nella prospettiva, propongono oggi molte criticità e molti motivi per una sistematica revisione critica, ma che, dal- l’altra parte, mi accompagnarono verso l’avvio dei miei interessi per le Antichità Cristiane, quando tentai di far dialogare, in ma- niera più o meno coerente e con le incertezze di un neolaurea- to, la parola dei Padri della Chiesa e l’immaginario figurativo pa- leocristiano 5 . Ebbene, proprio in quel tempo, nella regione dell’Annuncia- zione in Priscilla, mi imbattei in un marmo inciso, che sembra- va rappresentare la fenice, il mitico uccello, simbolo pagano della palingenesi che, per i primi cristiani – come è noto – alluse alla resurrezione della carne 6 . Questo incontro fortuito mise a contat- to lo studio allestito per la mia tesi di laurea sul De ave Phoenice * Dedico queste note alle centinaia di studenti del Pontificio Istituto di Ar- cheologia Cristiana, che, durante gli ultimi venti anni, hanno dato vita alle atti- vità della Pontificia Commissione di Archeolgia Sacra. 1 ACIAC IX. 2 ICVR IX. 3 QUACQUARELLI 1989. 4 QUACQUARELLI, GIRARDI 1982. 5 BISCONTI 1989, pp. 367-412. 6 BISCONTI 1981, pp. 43-67. RACr 90 (2014), pp. 95-147.
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Ritorno a Priscilla. Ultimi pensieri sul cubicolo di Lazzaro, in Rivista di Archeologia Cristiana 90 (2014), pp. 95-147.

May 09, 2023

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RITORNO A PRISCILLA

Ultimi pensieri sul cubicolo di Lazzaro*

a Francesco Marchisano

Alla fine del 1975, dopo il Congresso Internazionale di Archeo-logia Cristiana1, che si era celebrato a Roma e che, avendo scel-to come tema centrale il periodo delle origini del Cristianesimo, aveva guardato anche e soprattutto alla fase genetica dei cimite-ri paleocristiani, specialmente romani, entrai, per la prima volta, nelle catacombe di Priscilla, per aiutare Danilo Mazzoleni nella ri-cognizione estremamente lunga e complessa della produzione epi-grafica del cimitero della via Salaria nova, in vista dell’allestimen-to del IX volume delle ICVR2.

Quei miei primi passi nel monumento, che diverrà, nel tempo, la “catacomba del cuore”, furono segnati da un ritmo lento. I miei interessi si rivolgevano, ancora, alla Patristica e alla Letteratura Cristiana Antica, sotto la guida di Antonio Quacquarelli3, il qua-le, proprio in quegli anni, inaugurò una serie di studi iconologici4 che, se guardati nella prospettiva, propongono oggi molte criticità e molti motivi per una sistematica revisione critica, ma che, dal-l’altra parte, mi accompagnarono verso l’avvio dei miei interessi per le Antichità Cristiane, quando tentai di far dialogare, in ma-niera più o meno coerente e con le incertezze di un neolaurea-to, la parola dei Padri della Chiesa e l’immaginario figurativo pa-leocristiano5.

Ebbene, proprio in quel tempo, nella regione dell’Annuncia-zione in Priscilla, mi imbattei in un marmo inciso, che sembra-va rappresentare la fenice, il mitico uccello, simbolo pagano della palingenesi che, per i primi cristiani – come è noto – alluse alla resurrezione della carne6. Questo incontro fortuito mise a contat-to lo studio allestito per la mia tesi di laurea sul De ave Phoenice

* Dedico queste note alle centinaia di studenti del Pontificio Istituto di Ar-cheologia Cristiana, che, durante gli ultimi venti anni, hanno dato vita alle atti-vità della Pontificia Commissione di Archeolgia Sacra.

1 ACIAC IX. 2 ICVR IX. 3 QUACQUARELLI 1989.4 QUACQUARELLI, GIRARDI 1982. 5 BISCONTI 1989, pp. 367-412. 6 BISCONTI 1981, pp. 43-67.

RACr 90 (2014), pp. 95-147.

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dello Pseudo Lattanzio con un documento iconografico e mi ac-compagnò, in ordine, verso gli studi di iconografia e di archeo-logia, indicandomi la strada del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana.

Furono anni intensi, di grande fermento. A Roma, oltre ad un gruppo di docenti di grande spessore, come Antonio Ferrua, Umberto Maria Fasola e Victor Saxer, la cattedra di Archeologia Cristiana della Sapienza vedeva Pasquale Testini alla guida di un folto stuolo di studiosi e studenti, tesi verso l’intento di ridefinire la fisionomia dell’Archeologia Cristiana, anche alla luce dei nuo-vi indirizzi topografici suggeriti dalla giovane scuola francese e di quelli iconografici della vecchia scuola tedesca7.

Immerso in questa nuova aria, che si respirava a via Napo-leone III e alla Sapienza, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, tornai per la seconda volta a Priscilla, attratto da quel cu-bicolo dei bottai8 (fig. 1), il cui apparato pittorico, scopertamen-te ispirato all’iconografia del reale, ovvero al vissuto quotidiano della comunità romana dei primi secoli, mi condusse allo studio dei mestieri nelle catacombe romane9, che avrebbe rappresenta-

7 FIOCCHI NICOLAI 2014, pp. 21-31. 8 GIULIANI 2003, pp. 9-18. 9 BISCONTI 2000a.

Fig. 1 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo dei bottai (foto Archivio PCAS).

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to uno dei miei centri di interesse per almeno un decennio, sino alla declinazione attitudinale, più sottile, eppure utile per com-prendere un lato importante del prisma dell’arte delle catacombe, sicuramente meno monolitica e più sfaccettata di quanto si cre-desse un tempo10.

I sopralluoghi a Priscilla, provocati anche dalla presenza del-la comunità custode delle Benedettine, allora “fotografe” e “stam-patrici”, depositarie dell’Archivio Fotografico della Pontificia Com-missione di Archeologia Sacra e creatrici sapienti della Rivista di Archeologia Cristiana e delle pubblicazioni del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, erano quasi quotidiani e la frequentazio-ne delle catacombe sistematica e sempre colma di curiosità. Gli scavi ingenti e imponenti dell’Ottocento avevano lasciato inediti o appena registrati alcuni materiali, che pure risultavano degni di interesse ed approfondimento.

Fu così che, parallelamente all’iconografia del reale, cominciai ad occuparmi, quasi per paradosso, dell’iconografia paradisiaca, ap-prodando alla conclusione che quest’ultima presentava molti pun-ti di contatto con le scene di genere e di vita quotidiana. Ebbene, questo secondo filone di studi prese avvio ancora da un disatte-so documento iconografico priscilliano, ossia da un loculo dipin-to del II piano, già noto al de Rossi e al Wilpert, ma ancora tutto da considerare11 (fig. 2).

* * *

Una piccola rivoluzione successe agli esordi degli anni Novan-ta del secolo scorso, con la scomparsa di Umberto Maria Fasola12 e Mario Santa Maria13, rispettivamente Segretario e Direttore del-l’Ufficio Tecnico della Pontificia Commissione di Archeologia Sa-cra. Proprio in quel tempo, una frana nel sopraterra di Priscilla ed uno scavo sistematico, coordinato da Lucrezia Spera14, mise in luce lo scalone dell’area centrale dell’arenario, di cui sono rimaste inedite le pitture che decorano la volta (fig. 3). Ebbene, questi af-freschi, che sono parte di un progetto iconografico, che comporta uno zoccolo rosso e una trama lineare rosso-verde su fondo bian-co, con campiture cosmiche, nella volta, ricordano, assai da vici-no, gli appartati decorativi degli ambienti più antichi delle cata-

10 BISCONTI 2011b, pp. 1-32. 11 BISCONTI 1990, pp. 25-80 = BISCONTI 2011a, pp. 155-176. 12 PERGOLA, BISCONTI 1989. 13 Ing. Santa Maria 1988. 14 SPERA 2003, pp. 455-468.

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Fig. 2 – Catacombe di Priscilla. Loculo dipinto al II piano (foto Archivio PCAS).

Fig. 3 – Catacombe di Priscilla. Affresco inedito della volta della scala dell’arenario centrale (foto

Archivio PCAS).

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combe romane15, ma anche delle tombe pagane, come l’ipogeo de-gli Aureli16. Nel contesto di questa scala, fu rinvenuto anche il sar-cofago “a grandi pastorali”17 che, dopo aver “viaggiato” per mol-te mostre, è ora approdato al nuovissimo museo della Basilica di San Silvestro18 (fig. 4).

Il cantiere dello scalone provocò un mutamento dell’areazione del primo piano della catacomba, provocando un grave degrado, in corrispondenza dell’affresco della Madonna, di cui si percepi-va, da sempre, l’antichità, ma che, dopo un pionieristico restau-ro, mostrò ben quattro fasi decorative che dall’esordio del III se-colo e, dunque, dall’avvio dello sfruttamento funerario dell’arena-rio, giungeva al maturo secolo IV19 (fig. 5). Tutte le operazioni di restauro furono seguite da chi scrive, su invito dell’allora Segreta-rio della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, padre An-tonio Baruffa che, di lì a poco, avrei affiancato, per poi sostituirlo nell’incarico20.

15 BISCONTI 2006a, pp. 65-89 = BISCONTI 2011a, pp. 33-46. 16 BISCONTI 2011c. 17 SPERA 2000. 18 MAZZEI 2013. 19 BISCONTI 1996, pp. 7-34 = BISCONTI 2011a, pp. 71-84. 20 MAZZOLENI 2011-2012, pp. 5-8.

* * *

Ma la vera rivoluzione, che si consumò nell’organizzazione e nell’attività della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, pre-se avvio con la nomina del nuovo Presidente, il Cardinale France-sco Marchisano che, dal 1991 al 2004 guidò con fermezza, intelli-genza ed equilibrio un’istituzione che sarebbe diventata una vera

Fig. 4 – Catacombe di Priscilla. Basilica di San Silvestro. Sarcofago a grandi pa-storali (foto Archivio PCAS).

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e propria Soprintendenza21. Gli scavi, i restauri, le pubblicazioni, le iniziative culturali intraprese in poco più di un decennio avreb-bero condotto la Commissione verso traguardi di grande visibili-tà, inaugurando un’attività di scoperte, che avrebbe trasformato la concezione e la percezione del “monumento catacomba”.

Se proprio in quegli anni prese avvio il primo scavo stratigra-fico in catacomba22, nello stesso frangente iniziò il restauro dei materiali archeologici, cominciando con il giacimento dei marmi del complesso di Pretestato23 e di tutti quegli affreschi che, fino a quel momento, avevano sofferto di grave o di eccessiva attenzio-ne da parte dei responsabili della Commissione, sino alla mano-missione24 o alla perdita delle decorazioni pittoriche25.

Quest’ultima attività, che avrebbe interessato, in poco più di un ventennio, oltre due terzi dell’intero patrimonio pittorico ipo-geo di Roma26, toccò anche le catacombe siciliane27 e napoleta-

21 Centocinquanta anni di tutela 2002. 22 FIOCCHI NICOLAI et alii 1992, pp. 7-140. 23 MAZZEI, SALVETTI 2000, pp. 217-242. 24 BISCONTI 2000b, pp. 4-20. 25 Cfr. supra alla nota 10. 26 GIULIANI 2002. 27 SGARLATA 2007, pp. 61-98.

Fig. 5 – Catacombe di Priscilla. Volta del nicchione della Madonna con il pro-feta (foto Archivio PCAS).

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ne28, ma ebbe l’avvio ufficiale proprio ed ancora a Priscilla, sotto gli auspici del membro della Commissione Giuseppe Basile del-l’Istituto Centrale del Restauro e tramite una giovane êquipe, che avrebbe operato in catacomba per tutto il lungo periodo della pre-sidenza del Cardinale Marchisano ed oltre. Il cubicolo dell’Annun-ciazione (fig. 6), interessato da “cattivi restauri” del passato, fu il banco di prova29, ma, di lì a poco, vennero recuperati il cubico-lo della Velata30 (fig. 7), la cappella greca31 (fig. 8), il cubicolo dei bottai32, l’arcosolio del pastore con i galli33 (fig. 9), il cubicolo di Crescenzione34 (fig. 10), l’arcosolio di Adamo ed Eva35 (fig. 11) e il criptoportico36 (fig. 12).

Tutti questi restauri sono stati accompagnati da scavi simulta-nei, come quello effettuato nell’area del cubicolo della Velata37, o anche indipendenti. Tra questi, è stato lungo e impegnativo quel-lo eseguito nel secondo piano della catacomba che ha prima inte-ressato l’asse centrale e poi le gallerie trasversali38 (fig. 13). Que-st’ultimo scavo, iniziato già nel 1998 e protrattosi oltre il 2000, ha evidenziato un potente interro, in parte dovuto al riempimen-to dell’area con le terre provenienti dallo “svuotamento” sistema-tico e incessante, per tutto l’Ottocento, per lo più dovuto all’atti-vità di Giovanni Battista de Rossi39.

Lo scavo ha recuperato un certo numero di loculi bassi della rete cimiteriale, talora ancora intatti, ma anche una serie di ma-teriali sfuggiti agli “scavatori” del passato, tra i quali emerse un frammentario fondo di vetro dorato con l’immagine del martire Pietro, presumibilmente riferibile al gruppo agiografico della via Labicana40 (fig. 14). Nel contempo, si riprese contatto con un ar-cosolio mosaicato, già intercettato in antico ed ora meglio leggi-bile, alla luce delle riprese riflettografiche41.

28 CIAVOLINO 2003, pp. 615-664. 29 MAZZEI 1999, pp. 233-280. 30 BISCONTI, NUZZO 2001, pp. 7-95 = BISCONTI 2001a, pp. 113-154. 31 Cfr. supra alla nota 10 e BISCONTI 2006b, pp. 207-214. 32 Cfr. supra alla nota 8. 33 BISCONTI 2000c, pp. 181-216 = BISCONTI 2011a, pp. 221-236. 34 MAZZEI, ORTOLAN 2009, pp. 265-272. 35 Cfr. supra alla nota 10.36 Ibidem.37 Cfr. supra alla nota 30. 38 GOFFREDO 2001-2002, pp. 221-232. 39 Sull’attività archeologica nelle catacombe di Priscilla cfr. il contributo di

Matteo Braconi in questi Atti. 40 Cfr. supra alla nota 38. 41 GIULIANI 1997, pp. 791-806.

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Fig. 6 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo dell’annunciazione (foto Archivio PCAS).

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Fig. 7 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo della Velata (foto Archivio PCAS).

Fig. 8 – Catacombe di Priscilla. Cappella greca (foto Archivio PCAS).

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Fig. 9 – Catacombe di Priscilla. Arcosolio del pastore con i galli (foto Archivio PCAS).

Fig. 10 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo di Crescenzione (foto Archivio PCAS).

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Fig. 11 – Catacombe di Priscilla. Arcosolio di Adamo ed Eva (foto Archivio PCAS).

Fig. 12 – Catacombe di Priscilla. Affreschi del Criptoportico dopo il restauro (foto Archivio PCAS).

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Fig. 13 – Catacombe di Priscilla. Arteria centrale del II piano (foto Archivio PCAS).

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* * *

Ancora di recente, in occasione dell’evento “Priscilla: catacom-be in luce. Nuove pitture, il museo rinnovato, l’ultima documenta-zione”, organizzato dalla Commissione ed effettuato il 19 novem-bre del 2013 nella basilica di San Silvestro42, è stato sistemato il Museo di Priscilla (fig. 15), già in essere, sin dai tempi del Maruc-chi, in uno dei due ambienti della basilica43 ed è stato avviato lo scavo nella regione di Orfeo, di cui si ragiona in questi Atti44.

Lo studio delle regioni di raccordo tra il primo e il secondo piano della catacomba, d’altra parte è stato sempre trascurato o risolto rapidamente, con rare considerazioni topografiche45, spe-cifici affondi iconografici46 o interventi conservativi47. Eppure la comprensione topografica e la valutazione cronologica di questo settore potrebbe gettare nuova luce sul giudizio complessivo della catacomba, ancora fermo, per quanto attiene il passato prossimo,

42 Conferenza stampa ed inaugurazione “Priscilla. Catacombe in luce. Nuove pitture, il museo rinnovato, l’ultima documentazione”. Martedì 19 novembre 2013, Basilica di San Silvestro presso le catacombe di Priscilla.

43 Cfr. supra alla nota 18. 44 Cfr. il contributo di Matteo Braconi in questi Atti, ma anche gli studi di

Licia Capannolo, Gabriele Castiglia ed Erika Pischedda.45 Ibidem. 46 WARBURG 2004, pp. 63-84. 47 Cfr. il contributo di Matteo Braconi in questi Atti.

Fig. 14 – Complesso di Priscilla. Museo nella basilica di San Silvestro (foto Ar-chivio PCAS).

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ai pionieristici e, in parte, discutibili studi del Février48 e di quelli più ponderati, eppure parzialmente revisibili, del Tolotti49.

A mio modo di vedere, il ruolo delle regioni di raccordo, sia-no esse sorte per un mero motivo di collegamento tra i piani o tra aree circonvicine, siano esse espressione di quella devozione, che ispira la nascita di retros sactos, assurge alla funzione di cu-scinetto oppure di zona autonoma, nell’ambito del complesso co-munitario. Tali caratteri emergono dalle peculiarità delle tipologie funerarie, ma anche dello stile delle manifestazioni decorative, che propongono affreschi maturi, che possono essere agevolmente ca-lati nella seconda metà del IV secolo, fino a sfiorarne l’epilogo.

Ci si riferisce al cubicolo di Crescenzione (fig. 16), dove lo sta-tuto megalografico delle scene, la gamma cromatica vivace e la selezione tematica molto prossima a quella adottata dalla produ-zione dei sarcofagi tardocostantiniani ci accompagnano, come si diceva, al frangente del maturo secolo IV50, ma ci si riferisce an-che al cubicolo di Lazzaro, restaurato proprio di recente e salito alla ribalta per le scoperte effettuate con l’uso del laser, rese note, nell’ambito dell’evento a cui si è già fatto cenno51 (fig. 17).

48 FÉVRIER 1959, pp.1-26.49 TOLOTTI 1970; TOLOTTI 1978, pp. 281-314. 50 Cfr. supra alla nota 34. 51 Cfr. supra alla nota 42.

Fig. 15 – Catacombe di Priscilla. Vetro dorato fram-mentario (foto Archivio PCAS).

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Fig. 16 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo di Crescenzione (foto Archivio PCAS).

Fig. 17 – Catacombe di Priscilla. Restauro del cubicolo di Lazzaro (foto Archivio PCAS).

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* * * Le scoperte annunciate in quell’occasione, sotto forma di con-

ferenza stampa52 e per il tramite di una pagina dell’Osservatore Romano53, meritano ora di essere riviste al dettaglio e di libera-re quelle pubblicazioni preliminari dall’urgenza e dalle caratteri-stiche di un’edizione volutamente rapida e sintetica.

La nostra attenzione si concentra verso quell’area di Crescenzio-ne, che ha come polo di interesse quel cubicolo dipinto e restaura-to da pochi anni, come si diceva54, illuminato da un lucernario e considerato sepoltura del martire omonimo e/o di papa Marcellino (296-304)55. Il dibattito, molto vivo in passato ed ora sopito, senza aver risolto la quaestio agiografica in tutti i suoi aspetti, nacque per la chiara individuazione di un iter seguito dai pellegrini, come testimoniano gli innumerevoli graffiti, che lo costellano, nonché dai riferimenti epigrafici, che vanno a dialogare con il cenno del-la Notitia Eccelsiarum, che situa il martire in spelunca56 (fig. 18).

In verità, l’area, al di là della precisa collocazione del sepolcro martiriale ed anche della sistemazione della tomba di papa Mar-cellino, si configura come un ambiente-retrosanctos, che funge da cuscinetto tra la regione di Crescenzione e l’adiacente basilica del sopraterra, che accoglieva le sepolture dei martiri Felice e Filippo, appartenenti al gruppo agiografico di Felicita e dei sette figli57, ma anche di molti pontefici, primo fra tutti papa Silvestro (314-335), che denomina l’edificio di culto58.

Il duplice polo di attrazione di questa regione comportò una serie serrata e prolungata di escavazioni e la creazione di nuove gallerie e sepolture, sino al traguardo del secolo IV o poco oltre. Proprio a questo frangente cronologico, dobbiamo riferire un cubi-colo di piccole dimensioni situato nell’estrema propaggine occiden-tale dell’area, nel senso che esso rappresenta un piccolo ambiente, che si diparte da una galleria, la quale, muovendosi dalla scala che scende dal settore nord-occidentale della basilica, la sottopassa dia-gonalmente nell’area absidale, laddove dovevano trovarsi i sepolcri di Felice e Filippo, che, come si diceva, rappresentano il centro di interesse cultuale privilegiato di tutto il complesso di Priscilla59.

52 Cfr. supra alla nota 42. 53 BISCONTI 2013a, p. 4. 54 Cfr. supra alla nota 42.55 AMORE, BONFIGLIO 2013, pp. 59-71. 56 VALENTINI, ZUCCHETTI 1942, p. 77. 57 AMORE, BONFIGLIO 2013, pp. 39-47. 58 Vd. da ultimo GIULIANI 2006, pp. 163-176 e, più in generale, GIULIANI 2013,

pp. 3-36. 59 Cfr. supra alla nota 57.

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Di questa sorta di “finarello” rialzato rispetto alla galleria di pertinenza interessa, in questa nota, la parete occidentale, scandi-ta da tre loculi e decorata con un fondo in bianco calce che si di-stende nei diaframmi, nella parete di ingresso e in quella di fon-do, ora assai rovinata, per non dire perduta, e in un breve settore della volta, che si configura come una sorta di rettangolo. Tutto questo “mezzo cubicolo” è rinfasciato da pesanti bande di colore rosso cinabro, che interessano anche gli spazi di risulta superiori delle paretine laterali, laddove una fascia scura crea una sorta di cornice interna arcuata nella sommità. Una linea scura – d’altra parte – concorre a ridefinire i campi figurati, sia in volta, sia nei piedritti della parete di fondo. Confrontato con gli elementi vege-tali, pure scuri, questo colore sembra appartenere alla gamma del verde profondo, leggermente mutato dalla carbonatazione.

Tutti questi particolari e l’intero complesso figurativo sono emersi – come si diceva – in seguito al recente restauro eseguito con l’aiuto del laser60 (fig. 19), ma gli affreschi, pur disattesi e non

60 BISCONTI 2013b, pp. 37-61.

Fig. 18 – Catacombe di Priscilla. Regione di Crescenzione (foto Archivio PCAS).

nuove pitture

area dei martiri

cd. cubicolo di Crescenzione

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letti nel dettaglio, sino all’ultimo intervento conservativo, non era-no completamente sconosciuti. Ne fa menzione il Wilpert, in due passaggi del suo fondamentale corpus dedicato a Le pitture nelle ca-tacombe romane61. Conviene riprendere questi due cenni per com-prendere quanto il Wilpert fosse riuscito a decodificare le pitture, nonostante la consistente “patina nera”62 che le ricopriva.

Così recita la prima menzione: “Parete destra d’ingresso nella cripta colla scena d’introduzione in Santa Priscilla. Due strati di stucco. Seconda metà del IV secolo. Tav. 250, I. Inedita (fig. 20). Qui si ha l’esempio unico in tutta la pittura cimiteriale, di Cri-sto che apparisce col nimbo in una scena di miracoli. L’affresco è pieno di macchie e molto svanito qua e là; nella parte inferiore lo stucco è caduto. Il pittore faticò visibilmente per adattare al-lo spazio ristretto il gruppo ideato in proporzioni relativamente grandi”63.

61 Wp. p. 295; p. 430 e tav. 219,1 e 250,1. 62 Sulla questione della “patina nera” cfr. GIULIANI 2002. 63 Wp. p. 295, tav. 250,I.

Fig. 19 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo di Lazzaro dopo il restauro (foto Ar-chivio PCAS).

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Ed ora, la seconda, più articolata considerazione: “Cripta colla scena dell’introduzione in Santa Priscilla. Due strati di stucco. Se-conda metà del IV secolo. Tavola 219, I. Inedita (fig. 21). Le pit-ture sono eseguite in uno stretto e lungo campo nel soffitto so-pra i sepolcri della parete destra, ed erano sì annerite, che ne po-

Fig. 20 – Catacombe di Pri-scilla. Acquarello del Taba-nelli per il Wilpert. Parti-colare della Resurrezione di Lazzaro (foto Archivio

PIAC).

Fig. 21 – Catacombe di Priscilla. Acquarello del Tabanelli per il Wilpert. Particolare della volta del cubicolo di Lazzaro (foto Archivio PIAC).

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tei riconoscere il soggetto solo dopo un forte lavaggio con acido diluito. La scena a sinistra è identica pel contenuto a quella del-l’ipogeo di Santa Tecla. Si vede una orante non velata e vestita di dalmatica, e, accanto, i resti di una figura molto più piccola, della quale non possono determinarsi ora i particolari con piena sicurezza; possiamo però ritenere che anch’essa fosse raffigura-ta in atteggiamento d’orante. Le due oranti stanno tra altrettan-ti Santi, che loro stendono, in atto di dare il benvenuto, una ma-no ciascuno: quello a sinistra la destra, l’altro la sinistra. La sce-na è ripetuta anche nella parete destra del campo, con la diffe-renza che qui i Santi accolgono due defunti maschili. La pittu-ra è in istato di ancor peggiore conservazione; soltanto con l’aiu-to del suo pendant potei decifrarla. Dei due defunti, essi pure di differente grandezza, il maggiore sembra vestito, come i Santi, di tunica e pallio. I quattro defunti rappresentano senza dubbio la famiglia cui apparteneva la cripta, ed i cui membri furono sep-pelliti nei sepolcri. Fra le scene descritte si trova un medaglione con un busto virile, reso quasi irriconoscibile e che secondo ogni apparenza è di Cristo, al quale i Santi hanno condotto i defunti da loro raccomandati”64.

Le due tavole del Tabanelli e le considerazioni del Wilpert ren-dono merito ad un documento figurativo veramente difficile da giudicare, vuoi per lo stato conservativo, vuoi per la particolarità dello sviluppo iconografico del pannello della volta. La confiden-za che lo studioso tedesco aveva acquisito con la produzione pit-torica catacombale gli permetteva di superare le barriere rappre-sentate dalle concrezioni più tenaci65. In questo caso, poi, il Wil-pert riesce anche a circoscrivere l’area cronologica di realizzazio-ne degli affreschi, se li attribuisce, seppure genericamente, alla se-conda metà del secolo IV e se riesce a percepire il doppio strato preparatorio delle pitture. Persino la definizione del tema centra-le del programma decorativo, che egli riferisce ad una scena di introduzione, senza aver riconosciuto perfettamente l’identità del-le singole figure e avendo confuso l’imago clipeata di una defun-ta con quella del Cristo, confusione, peraltro, ben comprensibile per una certa diffusione del busto del Cristo in clipeo; persino ta-le interpretazione, si diceva, non si discosta troppo da quella che oggi possiamo attribuire al complesso iconografico, dopo i sofi-sticati restauri al laser.

* * *

64 Wp. p. 430, tav. 219,I. 65 BISCONTI 2009a, pp. 249-260.

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Ma torniamo alla lettura testuale del programma decorativo per menzionare una piccola porzione superstite dello zoccolo de-corato con l’emulazione del marmo, caratterizzato da una tipolo-gia che imita la breccia in color ocra, con definizioni rosso cina-bro. I due diaframmi tra i loculi, seppure assai provati da pulizie e da energici lavaggi del passato, mostrano ancora teorie di co-lombe affrontate in coppie simmetriche o inverse, mentre i due piedritti di fondo sono percorsi da serti fioriti, secondo una tipo-logia assai attestata in alcuni contesti pittorici catacombali tardi e, segnatamente, a S. Tecla66 e nel cubicolo di Leone a Commo-dilla67 (fig. 22), mentre le teorie di colombe ricordano quelle più composte e riconducibili al repertorio ellenistico del cubicolo B dell’ipogeo di via Dino Compagni68 (fig. 23).

66 BISCONTI 2010a, pp. 185-230. 67 PROVERBIO 2006, pp. 168-174.68 MAZZEI 2006a, pp. 131-135. 69 Cfr. supra alla nota 63.

Fig. 22 – Catacombe di Commodilla. Cubicolo di Leone. Particolare dell’af-fresco con un serto floreale (foto Archi-

vio PCAS).

Lo statuto pittorico si raffina e si organizza in maniera più coerente nella parete di ingresso, dove si sviluppa – come aveva ben intuito il Wilpert69 – la scena della resurrezione di Lazzaro (fig. 24). Anche questa pittura ha subito lavaggi e improprie pu-lizie, per cui ha perduto quella freschezza del disegno e quella

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vivacità della pur limitata gamma cromatica, tutta giocata nello spettro delle terre e delle ocre, che la caratterizzavano. I recenti restauri hanno, comunque, recuperato il bel volto del Cristo (fig. 25) che, contrariamente a quanto aveva rilevato il Wilpert70, non è circondato dal nimbo che, pure, appare in qualche caso, anche nella pittura, sia a Commodilla71 sia a via Dino Compagni72. Il Cristo si staglia, invece, contro un arco, sul quale si intravedono piccoli segni paralleli, forse foglie o, più probabilmente, finestrelle di un muro; questa ultima lettura ci accompagna verso gli sfon-di urbani, molto fortunati nell’ultimo scorcio del IV secolo nella classe di sarcofagi “a porte di città”73, tanto da rimbalzare in al-cuni affreschi catacombali e, segnatamente, nell’arcosolio di Ce-lerina in Pretestato74, nel cubicolo di Leone in Commodilla75, nel cubicolo dell’Esodo del cimitero dei Giordani (fig. 26), dove com-pare proprio la resurrezione di Lazzaro, ambientata in un artico-

70 Ibidem. 71 Cfr. supra alla nota 67. 72 FERRUA 1990. 73 BISCONTI 2007, pp. 456-467. 74 BISCONTI 2005, pp. 21-52 = BISCONTI 2011a, pp. 271-286. 75 Cfr. supra alla nota 67.

Fig. 23 – Ipogeo di via Dino Compagni. Affresco con teoria di colombe (foto Ar-chivio PCAS).

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Fig. 24 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo di Lazzaro. Parete di ingresso (foto Archivio PCAS).

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lato contesto urbano76 e in un affresco del cimitero di S. Ermete, che, però, sembra ambientare la guarigione del paralitico presso la domus di Cafarnao77.

L’interazione tra plastica e pittura nell’arte funeraria cristiana dal momento costantiniano alla fine del secolo IV è un fenome-no piuttosto attestato e ancora poco approfondito. È chiaro che le sequenze bibliche interloculari, come nel caso del cimitero dei Giordani78, ma anche nei grandi cicli di via Dino Compagni79 e nel-le quadrerie delle catacombe dei Ss. Pietro e Marcellino80, echeg-gino i fregi continui, sorti al tempo della tetrarchia e diffusi du-rante la stagione dei Costantinidi. Da questa tipologia tettonica, che approda al doppio registro interrotto dal ritratto dei defun-ti in clipeo, gli affreschi – come vedremo anche nel nostro cubi-

76 BISCONTI 1998a, pp. 81-108 = BISCONTI 2011a, pp. 237-247. 77 FERRI c.s. 78 PERRAYMOND 2002. 79 BISCONTI 2003a. 80 DECKERS 1987.

Fig. 25 – Catacombe di Priscilla. Cubi-colo di Lazzaro. Particolare del volto di

Cristo (foto Archivio PCAS).

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colo – desumono la consuetudine di includere le effigi funerarie, ridotte in busto, entro lo spazio apoteotico circolare, che rappre-senta una sorta di cornice, ma anche un’area di rispetto dell’ima-go del defunto, che così viene iconizzata81.

Ma i rapporti più stretti tra pittura e sarcofagi vanno ricerca-ti – come si diceva – nella produzione figurativa più tarda, che, appunto, interessa l’ultimo scorcio del secolo IV. Il contatto tra affreschi e plastica tocca specialmente la classe dei sarcofagi city gates82, ma si allarga ad interessare quasi tutta la cultura figurati-va di età teodosiana e, segnatamente, i sarcofagi con il passaggio del Mar Rosso83 che, come è noto, trovano un illuminante corri-spettivo pittorico a via Dino Compagni84, quelli a stelle e corone85,

81 SOTIRA 2013. 82 Cfr. supra alla nota 73. 83 RIZZARDI 1970.84 MAZZEI 2006b, pp. 149-153. 85 BOVINI 1960, pp. 221-235.

Fig. 26 – Catacombe dei Giordani. Cubicolo dell’Esodo. Resurrezione di Lazzaro (foto Archivio PCAS).

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86 Cfr. supra alla nota 67. 87 NICOLETTI 1981. 88 AHLQVIST 1995. 89 BISCONTI c.s.a. 90 Cfr. supra alla nota 63.91 PARTYKA 1993. 92 RAMIERI 1997, pp. 341-370. 93 CALCAGNINI 1998, pp. 113-125. 94 BISCONTI 2009b, pp. 7-54. 95 RAMIERI 2013, pp. 247-260.

che ci accompagnano ancora verso il cubicolo di Leone a Com-modilla86 e quelli di Bethesda87, che inviano verso il trionfale in-gresso di Cristo in Gerusalemme nella catacomba siracusana di Vigna Cassia88.

L’attinenza della nostra scena con la plastica del tardo IV se-colo, ma anche con la toreutica dello stesso periodo, si percepisce anche dalla espansione delle immagini sino ad occupare l’intero campo della parete di ingresso, rispondendo, così, a quella “legge figurativa” dell’horror vacui, che riempie completamente gli spazi, amplificando le immagini e articolandole fino ad affidare alle figu-re caratteri informali e quasi innaturali89. Nel nostro caso, infatti, l’immagine del Cristo è talmente maggiorata che lascia poco spa-zio all’edicola che accoglie Lazzaro in fasce, verso il quale viene diretta la piccola virga, dando ragione all’osservazione del Wilpert, che, al riguardo ricorda, appunto, che “il pittore faticò visibilmen-te per adattare allo spazio ristretto il gruppo ideato in proporzio-ni relativamente grandi”90.

La sistemazione del tema della resurrezione, così tagliata, qua-si a definire l’angolo di una fronte di sarcofago, ma anche l’orga-nizzazione della scena, così concepita sin dalle sue origini, proprio nella pittura cimiteriale91, ci parla di una fortuna speciale dell’epi-sodio evangelico nella matura arte delle catacombe: dai sarcofagi92 alle incisioni figurate93 (fig. 27). La rappresentazione, salvo qual-che incertezza iniziale, come quando, nei cubicoli dei Sacramenti, si assiste alla vivace variante del risorto, che, uscito dal sepolcro, si sta liberando dalle fasce94, comporta sempre il “faccia a faccia” del Cristo con Lazzaro, solo in qualche caso e, segnatamente, nei rilievi frontali dei sarcofagi, arricchito dalla presenza delle sorel-le dell’amico di Gesù95.

Nella nostra pittura, emerge, come si diceva, il volto del Cristo, dai tratti giovanili, dal largo ovale, dall’acconciatura corta e ap-pena mossa, dai lineamenti segnati in maniera metallica, special-mente per quanto riguarda il sopracciglio, il naso, il mento sfug-gente, gli occhi appena maggiorati e dal taglio diagonale, il collo ben impostato, la bocca piccola e serrata, le guance ampie. Pro-

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96 Cfr. supra alle note 63 e 64. 97 BISCONTI 2012, pp. 359-368.

prio il viso del Cristo, che propone un’espressione patetica e colma di pathos, accompagna verso l’ultimo segmento del secolo IV, in perfetta sintonia con il disegno del vestiario, che sembra pendere da una “sagoma vuota”, nel senso che la tunica e il pallio scen-dono, in maniera quasi geometrica, secondo panneggi a piombo, appena addolciti dal bordo sigmoide della sopravveste e caratte-rizzati dai clavi della tunica.

* * *

Veniamo, ora, al piccolo “tappeto”, che si distende sulla volta e che riserva – rispetto alle pionieristiche letture del Wilpert96 – le novità più interessanti, specialmente se calate nell’area più avanza-ta della pittura catacombale romana che, liberandosi del linguag-gio rassicurante e prevalente di argomento augurale e di ispirazio-ne biblica, si riaggancia, da un lato, a quel filone popolare, pro-priamente romano, che fa affacciare, di nuovo, alla ribalta le per-sonalità dei defunti, proposti nella loro identità o, addirittura, nel loro ritratto e, dall’altro, a quella nuova materia agiografica, fatta di apostoli e santi, sino a quel momento nascosti da una sorta di riserbo e di rispetto, che obliterava le loro immagini, considerate in maniera autonoma, senza che queste, cioè, fossero inserite in contesti rievocativi di tipo narrativo97.

Fig. 27 – Catacombe di Priscilla. Lastra incisa con resurrezione di Lazzaro (foto Archivio PCAS).

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98 BISCONTI 2003b, pp. 251-270. 99 PENNESI 2006a, pp.191-193. 100 BISCONTI 2011d, pp. 179-195. 101 Cfr. supra alla nota 97.

Questa audacia che, a mio modo di vedere, conosce il suo pro-totipo nei sarcofagi a “porte di città”, quando i defunti partecipa-no dell’atmosfera aulica e mistica della traditio legis98, trova la sua foce figurativa nelle megalografiche rappresentazioni di “ritorno” negli affreschi catacombali di Grottaferrata99 e di Napoli100, do-ve, rispettivamente, il defunto Biator (fig. 28) e i coniugi Marta e Alessandro si accostano, in maniera quasi sfacciata, al manifesto inventato per il martyrium petrino101.

Ma queste ultime manifestazioni – come si diceva – rappre-sentano l’esito estremo di un andirivieni, ma anche di un elettrico cortocircuito tra sopratterra e sottoterra, tra edifici di culto e arte funeraria, tra mondo dei vivi e luogo dei morti, tra programmi di elevatissima committenza e copie, meno ambiziose, eppure volitive, di artisti che lavorano per classi dal ragguardevole potenziale eco-nomico, che guardano con occhi curiosi e con una forte tensione emulativa quei “monumenti ufficiali”, quei manifesti aulici ed in-trisi di esponenti semantici misti, nel senso che intendono far in-teragire e reagire elementi figurativi allogeni, ora estratti dalla più

Fig. 28 – Catacomba di Grottaferrata. Arcosolio di Biator (foto Archivio PCAS).

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102 BISCONTI 2006b, pp. 207-214. 103 BRACONI c.s.104 NESTORI, BISCONTI 2000. 105 BISCONTI 2002, pp. 1633-1658. 106 BISCONTI 2001-2002, pp. 177-193. 107 BISCONTI 2009c, pp. 217-231. 108 Cfr. supra alla nota 105. 109 Cfr. supra alla nota 102. 110 BISCONTI 2000-2001, pp. 3-42 = BISCONTI 2011a, pp. 249-269; PROVERBIO 2005. 111 BISCONTI 2014, pp. 37-50. 112 Cfr. supra alla nota 28. 113 AHLQVIST 1995. 114 BISCONTI 1998b, pp. 253-282.

genuina tradizione classica, aggiornata al più sofisticato cerimo-niale imperiale, ora inventati o reinventati, prendendo spunto dal dibattito teologico, che attraversa la cultura religiosa d’Occidente, tra il IV e il VI secolo, per speculare specialmente ed eminente-mente sulla quaestio cristologica, innescata, con mille sfumature e molte sottoquestioni d’ordine teologico, per deflagrare, da ulti-mo, nell’affaire ariano, nelle ultime sue conseguenze102.

L’onda anomala, che declina il linguaggio figurativo propria-mente funerario in forme più ufficiali e più idonee, per acconten-tare le esigenze degli “architetti” dell’arte monumentale, si abbatte – come si diceva – sulle absidi, sulle navate, sulle controfacciate delle basiliche, prime fra tutte quelle romane, di cui conosciamo solo le manifestazioni del crepuscolo del secolo IV, come nel caso di S. Pudenziana103 o, addirittura, del pieno secolo V, come desu-miamo dai resti dell’apparato sistino di S. Maria Maggiore104 o di quello, parzialmente superstite, eppure estesamente eloquente, di S. Sabina105. Manca all’appello tutto il patrimonio figurativo degli edifici di culto che, dal tempo dei Costantinidi giunge, appunto, alla fine del secolo IV, creando un cono d’ombra oscuro, risarci-bile e rischiarato attraverso le arti minori106, che – come è noto – fotocopiano, con buon margine di probabilità, l’arte monumenta-le dei più celebri edifici di culto – primi fra tutti l’antico S. Pie-tro in Vaticano e la cattedrale lateranense107 –, ma anche, sia pu-re a livello di mera ipotesi, le basiliche circiformi108 ed infine, ma soprattutto, per il tramite delle repliche catacombali, come abbia-mo avuto modo di suggerire109, studiando gli affreschi della regio-ne dell’ex Vigna Chiaraviglio in San Sebastiano110.

Ebbene, tutto questo lento processo, che traghetta temi e sche-mi figurativi tra catacombe e basiliche, va ricercato negli “affre-schi estremi” delle catacombe romane111, ma anche nella produzio-ne pittorica napoletana112 e siciliana113, così come si evolve tra il IV e il VI secolo114. In quest’ambito, anche il nostro affresco pri-

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115 PILLINGER 1980. 116 BISCONTI 2000d, pp. 257-264. 117 BISCONTI 2010a, pp. 185-230.

scilliano ha un suo ruolo, non solo per la megalografia di Lazza-ro, già considerata, che potrebbe pure echeggiare le “quadrerie” che correvano lungo le basiliche dell’ultimo IV secolo, secondo quanto suggeriscono i tituli historiarum di Ambrogio, Prudenzio e le testimonianze di Paolino di Nola115, ma soprattutto, come si annunciava nell’apertura di questo paragrafo, con la “striscia” di-pinta sulla volta del nostro cubicolo.

Ebbene, il rettangolo (fig. 29), definito dalla consueta fascia rosso cupo, propone un fondo bianco, che accoglie al centro un clipeo campito da un busto femminile (fig. 30), ai cui lati si collo-cano sei personaggi, tre per lato, intervallati da paraste grigio-azzurre, disegnate da linee più scure e sormontate da capitelli assai schiacciati, quasi impercettibili. Quest’ultimo dato di ordine tettonico consolida il contatto della nostra pittura con la plastica funeraria del tempo e, segnatamente, con le fronti dei sarcofagi a scansione colonnare o per il più raro tramite di pilastri, nell’ambi-to di una produzione romana, che trova espressione anche in area provenzale, per deflagrare, oltre il IV secolo, a Ravenna116. D’altra parte, gli pseudo-pilastri possono fungere da quinte di scena o da cornici di rispetto dei personaggi, secondo un espediente noto an-che nelle lunette del cubicolo degli apostoli a S. Tecla117.

Al centro del pannello – si diceva – si situa il clipeo, segna-to da una banda azzurra, ridefinita da una linea color oro, men-tre il fondo rosso cupo accoglie il busto di una donna in tunica chiara e velo scuro nell’atteggiamento expansis manibus. L’incar-nato rosaceo è sovraconnotato da zone di colore più scuro, che interessano le guance scavate e gli zigomi ossuti, mentre gli oc-chi, dallo sguardo intenso, reso dalla pupilla maggiorata e fissa, sono segnati da un’arcata sopracciliare larga e bene incisa, come per dare l’idea di un acuto e tagliente elemento metallico, tipico della cultura figurativa della fine del secolo IV. Il mento è impor-tante, la bocca piccola e serrata, le orecchie sporgono dal velo, il collo imponente e ben coperto dalla tunica. Tutti questi elementi e le dita lunghe e affusolate ci accompagnano verso un tipo fisio-nomico maturo, che fotografa una donna di oltre cinquanta anni e ci parla di una resa stilistica che abbiamo già inquadrato, con certo agio, nell’ultimo venticinquennio del secolo IV.

Il ritratto della donna ci immette in una rete di immagini dei defunti, nell’arte delle catacombe estremamente ricca, come ho tentato di mostrare attraverso due articoli recenti, quasi gemelli,

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Fig. 29 – Catacombe di Priscilla. Volta del cubicolo di Laz-zaro (foto Archivio PCAS).

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118 BISCONTI 2013c, pp. 53-84. 119 BISCONTI c.s.b. 120 Cfr. supra alle note 63 e 64. 121 STUDER-KARLEN 2012.

dedicati ai “ritratti e alle fisionomie” della produzione figurativa catacombale: il primo, più disteso e con una intenzione diacroni-ca che, dai “volti vuoti” o “asintomatici” del III secolo giunge alla “geografia delle sembianze” più caratterizzate del secolo IV, ma anche del tempo seguente118; il secondo più attento al ruolo della committenza e all’individuazione di una classe medio-alta che si autorappresenta, da identificare con un livello sociale “aristocrati-co”, nell’ambito della societas christiana dei primi secoli119.

La matura signora di Priscilla trova un confronto diretto, per quanto attiene la fisionomia, l’espressione e l’abbigliamento con la matrona del cubicolo degli apostoli di S. Tecla, a cui già aveva pensato il Wilpert120, anche se quest’ultima è accompagnata dalla figlia pure orante e presenta una acconciatura ed una parure di gioielli più vistosa.

Alla luce di queste ricerche e dopo altre considerazioni formu-late a proposito della produzione plastica, sempre relativamente alla tarda antichità e all’ambito funerario121, la mappa della pre-senza dei ritratti, in quanto identità ben definite, si è molto arric-chita, nell’orizzonte ancora sfuggente dell’ultimo scorcio dell’anti-chità e prima della rivoluzione bizantina, che conosce la nascita, lo sviluppo e la fortuna dell’imago iconica e/o della vera e propria

Fig. 30 – Catacombe di Priscilla. Volta del cubicolo di Lazzaro. Clipeo centrale (foto Archivio PCAS).

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icona che – come è intuitivo – sublima il concetto del ritratto a favore di sembianze costruite e replicate, secondo una tensione solo devozionale.

Ebbene, prima di questo forte cambiamento di voltaggio, che scatta in Oriente e che, da qui, si diffonde nell’ecumene bizantino, mantenendoci ancora in catacomba e nel tempo ultimo del IV se-colo, allorquando venne concepito il nostro affresco, possiamo as-sistere ad un “fenomeno di mezzo”, ossia alla preparazione dei ri-tratti in tavola o su supporti altri, incassati nelle lunette degli ar-cosoli, come pare suggerire un esempio rilevato nelle catacombe dei Ss. Pietro e Marcellino122. Ma questa prassi o fenomeni consi-mili si diffusero, in quegli anni, anche nei loculi dipinti del terri-torio laziale, come nel caso del cimitero di S. Cristina di Bolsena, che ancora conserva il ritratto di una fanciulla (fig. 31), replica-to – secondo disegni d’epoca – anche in altri loculi123. La moda di “marchiare” e/o personalizzare la propria tomba con un ritratto, anche sommario, rapido e disegnato con un’unica linea di pennel-lo giunge anche a Grottaferrata (fig. 32), dove un cubicolo dipinto – da poco restaurato (fig. 33) – mostra, oltre ad un pastore crio-foro, alla scena di Daniele tra i leoni, ad un collegio apostolico e ad una piccola figura di orante, il grande busto femminile di una defunta, il tutto riferibile all’ultimo scorcio del secolo IV124.

122 CORNELI 2014, pp. 237-243. 123 FIOCCHI NICOLAI 1984, p. 109; FIOCCHI NICOLAI 1988, pp. 158-159. 124 RECIO VEGANZONES 1983, pp. 385-387.

Fig. 31 – Catacombe di S. Cristina a Bolsena. Loculo dipinto con busto di defunta (foto Archivio PCAS).

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Fig. 32 – Catacomba di Grottaferrata. Cubicolo del presbiter (foto Archivio PCAS).

Fig. 33 – Catacomba di Grottaferrata. Cu-bicolo del presbiter. Busto femminile (foto

Archivio PCAS)

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Alla destra del clipeo, si snoda il primo gruppo di tre perso-naggi (fig. 34), che sono “sparati” in primo piano, talché debor-dano, con gesti e vesti, oltre lo spazio di campitura loro riserva-to, secondo un tic iconografico assai fortunato nell’arte teodosia-na, che comporta anche un leggero “allungamento” delle figure, che risultano poco naturali negli atteggiamenti, nelle sagome e, più in generale, nell’organizzazione frazionata della dinamica figu-rativa, che tende ad isolare i singoli personaggi, riducendoli qua-si a immagini-icona, difficilmente collegabili tra loro, come fos-sero autoreggenti o statue isolate, che anticipano o già “copiano” i protagonisti delle teorie monumentali degli edifici di culto. In-somma, si avverte la sensazione che queste figurette, apparente-mente innocue dal punto di vista del portato semantico, assuma-no, invece, un ruolo potenziato e volitivo, denso di senso identita-rio, ben riconoscibile e giudicabile, vuoi per il peso che essi pren-dono, nell’ambito della sceneggiatura generale, vuoi per il caratte-re individuale, pregno di particolarità caratterizzanti, che conno-tano la singola persona, anche indipendentemente dall’evento che si verifica all’interno dell’intera rappresentazione. Ogni figura sem-bra una statuina, strategicamente posata in una sorta di “presepe”, di racconto familiare, proiettato oltre la soglia del mondo, dove i

Fig. 34 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo di Lazzaro. Settore destro della volta (foto Archivio PCAS).

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defunti partecipano della stessa condizione dei santi e degli apo-stoli, dove la dimensione contemporanea e quella eternale coinci-dono, producendo un paradosso iconografico ed un cortocircuito temporale, che posa nello stesso palco come attori di una piece teatrale i defunti, i martiri e i principi degli apostoli.

Ma andiamo con ordine e riprendiamo la presentazione dei tre personaggi, che si sistemano sulla destra del clipeo: la prima figu-ra virile, in tunica chiara clavata e pallio svolazzante, mostra con la destra il personaggio centrale e si atteggia, in una posa sfalsata, emulando goffamente l’atteggiamento eroico. Il capo maggiorato, la testa calva, le orecchie sporgenti, la barba appuntita e molto scura, gli occhi pure scuri e fissi, la sembianza generalmente filo-sofica rimandano all’iconografia paolina125 (fig. 35).

Paolo indica, con certa enfasi, un ragazzo rappresentato di pro-spetto, vestito di una tunichetta bianca e corta fin sotto al ginoc-chio, con grandi clavi, orbiculi nell’orlo e doppia fascia sui polsi.

125 BISCONTI 2009d, pp. 163-176.

Fig. 35 – Catacombe di Priscilla. Cubi-colo di Lazzaro. Figura di Paolo (foto

Archivio PCAS).

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L’atteggiamento dell’expansis manibus è largo e sproporzionato, mentre le mani sono esageratamente spalancate. Le gambe, inve-ce, più coerenti per forma e volume, sono appena sfalsate. Il capo è piccolo, le orecchie sporgenti, gli occhi fissi e poco espressivi, il naso lungo e dritto, le guance magre e glabre. Il tutto conduce verso la personalità di un ragazzo neanche ventenne (fig. 36).

Verso il giovane tende la mano destra, sollevata a mezza al-tezza, l’ultima figura virile in tunica bianca clavata e pallio, forse munito, nel lembo, di una gammadia. Questo personaggio, pure atteggiato – seppure in maniera meno naturale – nella posa filoso-fica, propone un volto anonimo e ormai poco giudicabile (fig. 37). Si riconosce, però l’ovale regolare, l’acconciatura corta e aderen-te al capo, le orecchie evidenti, il mento piccolo e sfuggente. La sagoma della figura e i rari panneggi sono segnati da una scura linea di definizione, mentre la sopravveste termina, nel bordo, in forma di sigma, secondo l’uso del tempo di Teodosio.

Fig. 36 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo di Lazzaro. Ragazzo orante (foto Archivio

PCAS).

Fig. 37 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo di Lazzaro. Figura di san-

to (foto Archivio PCAS).

* * *

L’altro gruppo di personaggi, a sinistra del clipeo (fig. 38), esordisce con la figura di Pietro (fig. 39), riconoscibile dal capo squadrato, stereometrico, leggermente calvo, definito da una fol-ta barba candida, il tutto giocato nei toni del rosso e del bianco,

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126 BISCONTI 1998c, pp. 392-397. 127 Cfr. supra alla nota 118.

con nette aree di colore. Gli occhi sono piccoli, il naso affilato, le orecchie sporgenti126. Il volto è leggermente teso verso il clipeo, mentre risulta di prospetto il corpo, un po’ schiacciato, vestito di tunica bianca clavata e ampio pallio, dal bordo sigmoide e tratte-nuto con la sinistra, mentre un largo gesto della destra introduce il personaggio centrale.

Questi ha le sembianze di una fanciulla orante (fig. 40), vesti-ta da una dalmatica chiara dalle ampie maniche, segnata da lar-ghe fasce decorative scure. Anche in questo caso, si assiste ad una posizione “contrapposta”, come succede per la figura di Pietro: se, infatti, il corpo mantiene il pieno prospetto, enfatizzato dalle mani maggiorate, il capo è volto verso il principe degli apostoli, proponendo un viso ritratto quasi di profilo e lasciando intrave-dere la semplice acconciatura scura e raccolta “a melone”, tipica delle fanciulle della tarda antichità e di gran moda dal tempo dei Costantinidi, talché viene assunta, nella ritrattistica, dalla giovane Fausta, sino al traguardo del IV secolo, come dimostrano i con-fronti con la fanciulla di via Dino Compagni127 e con la giovinet-

Fig. 38 – Catacombe di Priscilla. Cubicolo di Lazzaro. Settore sinistro della volta (foto Archivio PCAS).

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Fig. 39 – Catacombe di Priscilla. Cu-bicolo di Lazzaro. Figura di Pietro

(foto Archivio PCAS).

Fig. 40 – Catacombe di Priscilla. Cubico-lo di Lazzaro. Fanciulla orante (foto Ar-

chivio PCAS).

ta recuperata nella catacomba di Villagrazia di Carini128 (fig. 41). Il ritratto è piuttosto caratterizzato: l’ovale è magro e triangolare, gli occhi scuri a mandorla, le sopracciglia segnate in maniera de-cisa e metallica, l’espressione icastica. Tutto rimanda – con tutte le semplificazioni del caso – ai ritratti, sicuramente più definiti, dettagliati ed antichi del Fayyum, come è stato rilevato129, anche se le assonanze sono dovute più all’impatto che ad un vero e pro-prio contatto iconografico o ad un’analogia stilistica o, anche, ad un comune statuto figurativo.

La terna si chiude, all’estrema sinistra, con una figura di pal-liato, che, pure, indica con la destra la fanciulla (fig. 42). L’im-magine, anche per lo spazio e la postazione, soffre di una scarsa definizione e pare rispondere alle istanze di una pittura d’urgen-za che, comunque, pone di profilo il personaggio dal volto vuoto e dall’acconciatura ad elmo, e lo muove verso la giovane defun-ta, accompagnando, con tale tensione, appena percettibile, il ge-sto dell’introductio. Anche questa figura, come quella che chiude il quadro all’estrema destra, propone le sembianze e il vestiario della sancta imago, del filosofo, del sapiente, del saggio, che pre-

128 BONACASA CARRA 2012, pp. 119-127. 129 BONACASA CARRA 2000, pp. 317-322.

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sta la sua antichissima iconografia ai santi, ai martiri, al Cristo, ma anche ai personaggi biblici130.

* * *

Il riquadro mostra, dunque, una scena complessa di introdu-zione dei defunti (la donna matura in clipeo e i due ragazzi oran-ti) che erano sepolti nei tre loculi della parete decorata. In que-sto senso, la lettura del Wilpert – come si anticipava131 – coglie nel segno, in quanto tutte le immagini, ma anche il contesto – un po’ domus per l’opus sectile, un po’ giardino per le presenza dei fiori e dei volatili – ci parla di un gruppo familiare, costituito ap-punto da tre defunti, che accedono all’aldilà, introdotti dai prin-cipi degli apostoli, ma anche da altre due figure sante, che, subi-to, identificherei con i martiri più amati della catacomba, ovve-ro Felice e Filippo, piuttosto che Crescenzione e papa Marcellino, pure venerati nell’area, ma meno collegabili e meno riconducibi-li ad una coppia, secondo un espediente agiografico che abbina

130 BISCONTI 2006c, pp. 13-34. 131 Cfr. supra alle note 63 e 64.

Fig. 41 – Catacombe di Villagrazia di Carini. Affresco con ritratto femminile

(foto Archivio PCAS).

Fig. 42 – Catacombe di Priscilla. Cubi-colo di Lazzaro. Figura di santo (foto

Archivio PCAS).

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Nereo ed Achilleo a Domitilla, Felice ed Adautto a Commodilla, Pietro e Marcellino ad duas lauros.

L’insorgere di una iconografia agiografica di tipo trionfale e non passionale che, come è noto, conosce un percorso più tor-tuoso e denso di questioni ermeneutiche132, si verifica al tempo di papa Damaso, quando più forte diventa il concetto del patro-nato e meno estemporanea si presenta la devozione per i marti-ri133. I nostri tre defunti, come Veneranda a Domitilla134, Leone a Commodilla135, e, presumibilmente, un alto gerarca ecclesiastico ad duas lauros136 sono protetti e introdotti nell’aldilà, rispettivamente da Petronilla, da Felice ed Adautto e da Pietro, Marcellino, Tibu-zio e Gorgonio, sebbene in quest’ultimo caso, più maturo, tanto da superare il IV secolo, sia sparito il defunto o i defunti e tutta la scena si impronti in maniera apocalittica, sollevandosi dal vis-suto quotidiano e assurgendo a manifesto monumentale137.

Quest’ultima evoluzione passa per la confessio dei Ss. Giovanni e Paolo (fig. 43), non tanto per il personaggio orante centrale, ai cui piedi si pongono, in proskinesis, i fedeli, ma per i due santi, forse Pietro e Paolo, ai lati della fenestella confessionis138. Questo passaggio, che comporta l’introduzione da parte dei principi degli apostoli, proveniente dai sarcofagi a fregio continuo, che vedono il gruppo centrale e nodale costituito dalla defunta-orante tra Pietro e Paolo139; questo passaggio – si diceva – comporta esiti in tutto il mondo cristiano: dal mausoleo di Pécs140 a quello ravennate di Galla Placidia141; da un affresco nella parete esterna della cripta di Nepi142 alla sepoltura di Cerula al S. Gennaro di Napoli143.

Ma questi documenti iconografici ci allontanano dal tempo e dalla cultura figurativa in cui si cala il programma iconografico del nostro cubicolo. È più opportuno e più sicuro tornare a Roma, in ambito funerario, nella Platonia di San Sebastiano144, dove un arti-colato programma decorativo organizza una teoria di santi porta-

132 Per un quadro generale vd. BISCONTI 1995, pp. 247-292; BISCONTI 2000e, pp. 399-403; più di recente BRACONI 2011-2012, pp. 27-70.

133 CARLETTI 2000, pp. 349-372. 134 PENNESI 2006b, pp. 163-165. 135 PROVERBIO 2006, pp. 168-174. 136 MAZZEI 2006c, pp. 188-190. 137 Ibidem. 138 RANUCCI 2006, pp. 108-110. 139 SOTOMAYOR 1962, pp. 5-20. 140 HUDÁK 2009, pp. 47-76. 141 RIZZARDI 1996, pp. 138-142. 142 FIOCCHI NICOLAI 1988, p. 213. 143 BISCONTI 2010b, pp. 25-52. 144 NIEDDU 2005-2006, pp. 275-320.

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145 MASTRORILLI 2011-2012, pp. 155-202. 146 CASCIANELLI c.s.

corona, che conducono verso il gruppo ternario dei principi de-gli apostoli che acclamano verso un personaggio centrale. È più cauto guardare a quella calotta dipinta nel cimitero suburbicano di Zotico, al X miglio della via Labicana (fig. 44), dove i quattro santi eponimi o quattro apostoli acclamano tra altrettante cistae di rotoli, mentre nella fronte resta parte della replica zoomorfa, ossia ovini alla cista145, secondo un espediente estremamente dif-fuso dalla metà del secolo IV146.

Fig. 43 – Complesso dei Ss. Giovanni e Paolo. Confessio dipinta (foto Archivio PCAS).

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147 Cfr. supra alla nota 28. 148 FIOCCHI NICOLAI 1994, pp. 763-775. 149 Cfr. supra alla nota 111.

Il cubicolo di Priscilla, insomma, partecipa ancora di una at-mosfera figurativa funeraria, o meglio, non dimentica la lezione della prima grande stagione dell’arte delle catacombe, ma già si muove su quel crinale iconografico, che affianca i defunti ai mar-tiri, ai nuovi “eroi” della devozione, ma anche alla “coppia aposto-lica romana”, che funge da porta o da passaggio obbligato per ac-cedere alla dimensione paradisiaca. Quella confidenza, quell’amici-zia religiosa, quella fratellanza, quel protettorato della prima ora rappresentano una novità per l’habitat catacombale, tanto che an-che nel nostro “siparietto” si avvertono incertezze, novità, intera-zioni imbarazzate e imbarazzanti, tanto quanto, un secolo dopo, succederà nell’arcosolio di Nicatiola e Cominia dinanzi all’imago sancta di S. Gennaro nelle catacombe napoletane di Capodimon-te147 o nell’affresco, questo più ordinato e pensato, delle catacom-be di S. Senatore ad Albano Laziale148 (fig. 45).

* * *

La temperatura artistica segnata dagli affreschi di Priscilla è quella proposta da un giro di esperienze figurative sinora disatte-se o poco percepite e rimesse in circolo dai restauri più recenti. Si tratta id un piccolo manipolo di “affreschi estremi”149, che si

Fig. 44 – Catacombe di Zotico sulla via Labicana. Arcosolio dipinto (foto Archi-vio PCAS).

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150 Cfr. supra alla nota 102. 151 ANDALORO, ROMANO 2000, pp. 93-102.

appostano tra il IV e il V secolo e che denunciano tangenze o ve-ri e propri contatti con l’arte delle chiese150. È questo il momen-to in cui le figure si isolano, diventano simulacri, disegnate e co-me ritagliate per essere applicate contro fondali neutrali o decli-nati in maniera architettonica o ancora appena amena. È questo il tempo in cui queste figure, secondo un assetto paratattico ed una sequenza ritmica, scandiscono uno spazio virtuale, memo-re della plastica funeraria e della pittura catacombale più anti-ca, ma già rinnovato e pronto a proporre il suo carattere double face, nel senso che queste immagini vanno bene per le tombe e per le absidi. È questo il momento in cui la committenza, per il tramite dei suoi defunti, viene a contatto con le figure sante, tra-ghettando l’immaginario devozionale negli scenari dei grandi edi-fici di culto romani151.

Per quanto attiene le peculiarità stilistiche, i nostri affreschi, densi e corposi nel colore, secondo toni decisi e contrastanti, con una gamma povera e tutta giocata nello spettro delle terre, fatta

Fig. 45 – Catacombe di San Senatore ad Albano Laziale. Pittura con teoria di Cristo e santi (foto Archivio PCAS).

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forse eccezione per l’uso diluito dell’azzurro; i nostri affreschi – si diceva – risentono della trepidazione, dell’esperimento, delle incer-tezze delle redazioni prime, delle prove di stampa, dei gesti im-pacciati della mano di un principiante per queste situazioni figu-rative nuove, mai viste, mai fatte.

I gesti sono meccanici, i volti approssimativi nei tratti, le ef-figi appena riconoscibili, le espressioni straniate, deformate, bru-cianti, gli occhi sbarrati e fissi, quasi ipnotizzati, i corpi abbre-viati, schiacciati e geometrici, stereometrici, il vestiario pesante, i panneggi a piombo, le silhouettes fortemente disegnate, l’atmosfe-ra densa e colma di pittura, sino all’horror vacui.

Tutto questo ci parla di un’arte di frontiera e di maestranze in difficoltà, che eseguono progetti nebulosi e inventati per l’occasio-ne, estremamente personalizzati e dunque adattati per le esigenze di famiglie, magari danarose, ma poco consapevoli dell’evoluzio-ne naturale del tracciato figurativo del tardo IV secolo, che vuole esprimere il percorso che, dal mondo della morte, conduce verso quello della devozione, che, dalle catacombe romane e dall’imme-diato hinterland o dal più lontano suburbio, approda alle basili-che romane. A questa cronologia rimanda, da ultimo, un’iscrizione graffita in un arcosolio della galleria che dà adito al nostro cubi-colo, datata al 375, segnalatami cortesemente dal collega Vincenzo Fiocchi Nicolai152.

FABRIZIO BISCONTI

152 ICVR IX 24867.

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Riassunto

Il programma decorativo del cubicolo di Lazzaro, nella regione di Crescen-zione delle catacombe di Priscilla, recentemente restaurato, con l’uso del laser, propone una maestosa scena della resurrezione di Lazaro, in contesto paradisia-co (opus sectile, serti floreali, volatili) e un rettangolo figurato in volta. Qui si ri-conoscono un busto di defunta in clipeo, affiancato da Pietro e Paolo, che intro-ducono un ragazzo e una fanciulla oranti, assieme a due palliati, forse i marti-ri Felice e Filippo. Lo stile e l’organizzazione iconografica accompagnano all’ul-timo venticinquennio del IV secolo e mostrano molti contatti con l’arte monu-mentale romana del IV e del V secolo.

Abstract

The decorative program of the cubiculum of Lazarus, in the region of Cre-scenzione in Priscilla’s catacombs, recently restored with the use of laser tech-nology, proposes a majestic scene of the resurrection of Lazarus, in paradisiac context (opus sectile, flowers garlands, birds) and a figured rectangle in the vault. We can here recognize a bust of a deceased woman in a medallion, flanked by Peter and Paul, which introduce a young boy and a young girl praying, together with two palliati, perhaps the martyrs Felice and Filippo. The style and the icon-ographic organization accompanies to the last quarter of the fourth century and show a lot of contact with the monumental roman art in the fourth and the fifth centuries.