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Per il Comunismo, Brigate Rosseanalisi storica di un fenomeno
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Fontana - La loggia P2La Sinistra ExtraparlamentareIl Nucleo
Storico delle BRLe BR e la propaganda armataGli anni della
svoltaPortare l'attacco al cuore dello StatoDa Via Fani a Via
CaetaniRilettura critica della storia delle BR e del rapimento di
Aldo MoroL'inizio della fine: le BR dal 1978 al 1987Lettera al
Direttore
Brief summary for non italian readers
Rilettura critica della storia delle BR e delrapimento di Aldo
Moro
Robertobartali.it - Rilettura critica della storia delle BR e
del rapimento... http://www.robertobartali.it/cap09.htm
1 di 27 08/10/2013 18:45
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Nel rileggere 18 anni di lotta armata in Italia ci si accorge
che ogni tanto, qua e l, rimangono dei buchineri nel terrorismo
rosso, buchi coperti anche di segreti, spesso inconfessabili, di
chi contro quellastagione di utopie rivoluzionarie e sanguinarie ha
esercitato l'arma della repressione in nome dello Stato,ma anche di
chi a Sinistra ha assistito alla gestazione ed alla nascita del
fenomeno BR. A parzialeconferma di ci e nella stessa direzione del
mio pensiero - per quanto sarebbe comprensibile se aqualcuno
sembrasse inopportuno fare della mera dietrologia con quanto
affermato da un ex terrorista -vanno le parole di Patrizio Peci,
primo "pentito" delle Brigate rosse: "Lo stato allora [agli inizi
dell'attivitbrigatista] - poi non pi - ti lasciava gli spazi per
poter sperare nella vittoria [...] lo stato poteva avereinteresse a
lasciare spazio alla lotta armata. Interessi velati, e magari
contrapposti, ma certamente tesi acreare confusione. Altrimenti la
lotta al terrorismo sarebbe stata pi immediata e aspra. Ci
avrebberostroncato subito, come hanno fatto quando gli parso il
momento". Il fatto che non ritengo ammissibileparlare di
dietrologia quando in ballo ci sono anche dei morti ammazzati, ma
soprattutto quando perfino adistanza di 25-30 anni dagli
accadimenti continuano ad amergere nuovi frammenti di verit fino ad
oranascoste. Analizzando la storia della folle epopea brigatista,
ci si accorge che sono presenti con una certacostanza degli
accadimenti "particolari", delle coincidenze strane, cos
prodigiosamente tempestive, da farsupporre - pur nella scarsit di
prove certe - degli interventi esterni ben mirati in una
determinatadirezione.Non possiamo per esimerci dall'aprire una
finestra su una certa parte della Sinistra italiana, ed in
modoparticolare su quell'area "dura" che dal 25 Aprile 1945 (ma
forse sarebbe meglio far risalire il tutto allac.d. "Svolta di
Salerno") non ha mai smesso di sognare la rivoluzione. Un grigio
alone di mistero e di'indicibilit' avvolge ancora certi aspetti
degli anni immediatamente successivi alla fine della Secondaguerra
mondiale ed in particolare gli avvenimenti che riguardano
l'evoluzione di quella che fu Resistenzauna volta finita la guerra.
Basti pensare alle violente polemiche che il volume scritto da
Pansa (Il sanguedei vinti) ha provocato. Questo ha probabilmente
due ordini di ragioni: il primo concerne il fatto che laResistenza,
in quanto elemento decisivo e fondante della Repubblica, ha assunto
e continua ad avere -percerti aspetti giustamente- un alone di
mito. Il partigiano che combatte per la libert dal nazi-fascismo
faparte della storia, del costume e del sentire comune della
maggior parte degli Italiani. Il mito delpartigiano dunque un
elemento fondamentale dell'Italia post-fascista anche perch aiuta
-se cos si pudire- a "ripulire" gli italiani dalla macchia
costituita dal diffuso sostegno al regime di Mussolini e -perchno-
da quel brusco cambio di alleanze (che per taluni fu un vero
tradimento o, come la chiama Elena AgaRossi, una "morte della
Patria") che fu l'8 Settembre. Il secondo aspetto che non consente
una tranquillatrattazione dell'argomento "Resistenza dopo la fine
della Resistenza" invece decisamente meno nobile, eriguarda
direttamente la storia del PCI, un partito che - bene ricordarlo-
ebbe poi un ruolo fondamentalenella sconfitta del terrorismo
nostrano, ma che dall'immediato dopo-guerra ha mantenuto un
realedualismo al proprio interno: un lato ufficiale fieramente
democratico, l'altro nascosto e con delle maidome velleit
insurrezionali. Detto per inciso, per 50 anni hanno convissuto
all'interno del PCI due animefrontalmente contrapposte, e se vero
che l'ala dura che faceva riferimento a Pietro Secchia venne
pestomessa in minoranza, anche vero che soldi provenienti da Mosca
sono continuati ad arrivare in Via delleBotteghe oscure fino a
tempi relativamente recenti (vedere pubblicazioni di Victor
Zaslavsky), e che unaparte del PCI ha continuato ad avere con il
blocco sovietico un atteggiamento di "vicinanza" nonostante ivari
allontanamenti e strappi che via via il partito ufficialmente
faceva dal PCUS. Non possiamo, inqualit di ricercatori, esimerci
dal sottolineare come almeno 2000 uomini dalla fine della guerra
sonopassati dai campi di addestramento in Cecoslovacchia, e di
questi una buona parte era costituita da ex
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partigiani che si erano macchiati di crimini nel dopoguerra e
che per sfuggire alla giustizia italiana eranostati fatti scappare
in quel paese con l'aiuto del PCI. Non possiamo non notare come gi
nel '52 il Sifaravesse scoperto che questi uomini frequentavano
corsi di addestramento al sabotaggio, psicologiaindividuale e di
massa, preparazione di scioperi e disordini di piazza, l'uso delle
armi; come trasmissioniin lingua italiana provenissero da Praga
(Radio Italia Oggi) con il preciso scopo di fornire
unacontroinformazione comunista e che gli stessi uomini che
gestivano le trasmissioni avevano teorizzatouna insurrezione
rivoluzionaria per il 1951 (abortita per una fuga di notizie che
allarm, e non poco, inostri servizi segreti); come l'addestramento
di giovani comunisti italiani sia proseguito fino a tutti glianni
'70, quindi ben dopo il seppur pesante strappo operato dal PCI dopo
la fine della 'Primavera diPraga'. La domanda che ci si deve porre,
in relazione all'argomento di questa pubblicazione, riguardadunque
i rapporti che le Brigate Rosse possono aver avuto con l'area dei
Secchiani e con l'Stb (serviziosegreto cecoslovacco) nei loro 15
anni di storia, se quel passaggio simbolico di armi dalle mani dei
vecchipartigiani alle nascenti BR di cui parla Franceschini non
nasconda in realt anche un passaggio di contattied aiuti con i
paesi di oltrecortina e con la Cecoslovacchia in primis, se con la
morte di "Osvaldo"Feltrinelli nelle BR siano confluiti solo i
membri dei suoi GAP o anche tutta la rete di contattiinternazionali
che l'editore-guerrigliero aveva. La storia la si scrive leggendo
gli avvenimenti a 360,senza paraocchi politici o ideologici, cos se
corretto considerare l'influenza che gli USA, la CIA, certiambienti
filo-atlantici e l'area neo-fascista hanno avuto nella storia
repubblicana, anche correttoconsiderare la fazione che ad essi era
contrapposta, comprese le eventuali 'macchie'; non per infangare
maper studiare a fondo, per capire.Tutto il percorso evolutivo
delle Br caratterizzato, a cominciare dai suoi albori, dalla
presenza diinfiltrati di varia natura; ci, se non fosse
abbondantemente provato da riscontri e testimonianze,risulterebbe
inoltre perfino facile da ipotizzare alla luce del fatto che forze
di varia natura erano riuscite adinsinuarsi con successo gi negli
ambienti pi "caldi" del periodo storico che della lotta armata fu
un po'la culla: il '68. E' da considerare che gi nell'estate 1967
la CIA aveva promosso la "Chaos Operation" percontrastare il
movimento non violento e pacifista americano che si batteva per i
diritti civili e contro laguerra del Vietnam. Quindi aveva deciso
di estenderla su scala internazionale, in particolare in Europa,per
contrastare anche il movimento studentesco-giovanile del vecchio
continente, inquinandone gliassunti anti-autoritari e non violenti.
L'operazione consisteva anche nell'infiltrazione, a scopo
diprovocazione, nei gruppi di estrema sinistra extraparlamentare
(anarchici, trotzkisti, marxisti-leninisti,operaisti, maoisti,
castristi) in Italia, Francia, Germania Occidentale con
l'obbiettivo di accrescerne lapericolosit inducendo ad esasperare
le tensioni politico-sociali con azioni aggressive, cos da
determinareun rifiuto dell'ideologia comunista e favorire
spostamenti "a destra" (secondo la logica di "destabilizzareper
stabilizzare"). In tale direzione - dunque una conferma di quanto
detto - va anche un rapporto dedicatoalla contestazione studentesca
datato Febbraio 1971 e redatto in forma riservata proprio
nell'ambito della"Operazione Chaos" dall'Ufficio Affari riservati
del Viminale: "almeno all'origine si deve rilevare laspinta di
qualche servizio segreto americano [alludendo alla CIA] che ha
finanziato elementi estremisti incampo studentesco". Un ulteriore
dato interessante lo ritroviamo nella lettura del resoconto sulla
riunionedel coordinamento delle forze di polizia che si tenne a
Colonia il 19 Gennaio 1973 e dedicata al problemadell'infiltrazione
nei gruppi terroristici Br e RAF e nei gruppi della sinistra
extraparlamentare. Risultainfatti evidente che l'intendimento dei
vari servizi segreti non era quello di predisporre semplici
confidentio informatori ma anche veri e propri terroristi, in grado
di arrivare al vertice del gruppo da infiltrare. Eche dire delle
strane "premonizioni" avute dall'allora capo del SID, Miceli, nel
1974? Egli, interrogatoinnanzi al giudice tamburino nel settembre
di quell'anno dichiar con una inquietante lungimiranza: "Oranon
sentirete pi parlare di terrorismo nero, ora sentirete parlare
soltanto di quegli altri".Alla luce di ci, non appare sconvolgente
scoprire che le infiltrazioni all'interno delle Br
cominciaronopiuttosto presto. La prima talpa di cui si hanno
notizie certe fu Marco Pisetta; gi compagno di RenatoCurcio e di
Mara Cagol alla libera universit di Trento, grazie alla sua
testimonianza (il suo memoriale,che sosterr essergli stato ispirato
direttamente da uomini dei servizi segreti, fornir una prima
eimportante fonte, anche cronologica, di dati sulla nascita della
Br) il 2 Maggio 1972 venne individuata laprincipale base milanese
delle Br, in Via Boiardo, ed arrestato un primissimo nucleo di
brigatisti. Ma
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all'interno delle Br l'Ufficio Affari Riservati del Viminale era
riuscito ad infiltrare un altro agente, ed anziera stato proprio
questo - nome di battaglia "Rocco" - a prelevare materialmente il
giudice Sossi insiemead Alfredo Bonavita per portarlo alla cos
detta "Prigione del Popolo". Francesco Marra, questo il nome
dibattesimo di "Rocco", era un paracadutista addestratosi in
Toscana e in Sardegna all'uso delle armi e conuna sorta di
specializzazione nella pratica delle "gambizzazioni" (della quale
faranno ampio ricorso le Brnel corso degli anni) prima di entrare
nelle Brigate Rosse; in seguito, a differenza di Pisetta, la
doppiaidentit di Marra non venuta alla luce, ed il suo nome rimasto
fuori da tutti i processi, stranamentecoperto anche dal brigatista
Alfredo Bonavita dopo il suo pentimento. Per sua stessa ammissione,
Marrasi era infiltrato nelle Br per conto del brigadiere Atzori,
braccio destro del Generale dei CarabinieriFrancesco Delfino. Tra
gli avvenimenti "strani" della vita delle Br impossibile non
menzionare anchel'infiltrazione da parte dei Carabinieri di Silvano
Girotto, la terza infiltrazione all'interno del gruppo neisuoi
primi quattro anni di vita, un'ulteriore defayans della banda di
Curcio e compagni che dimostra comea confronto con l'esperienza ed
il mestiere del servizio di sicurezza dello stato - o quantomeno di
parte diesso - le prime Brigate Rosse possano essere
tranquillamente definite come "Tupamaros all'amatriciana".Reso noto
dai rotocalchi come "Frate Mitra", Girotto era un ex francescano
con dei trascorsi - a dire ilvero poco chiari - di guerrigliero in
Bolivia ma che tra le forze extraparlamentari (Lotta Continua
inprimis) godeva di una fama di tutto rispetto, e che riusc a far
catturare in un sol colpo due capi storicidelle Brigate Rosse del
calibro di Alberto Franceschini e Renato Curcio, l'8 Giugno 1974.
Come raccontalo stesso Franceschini "Frate mitra appena rientrato
in Italia cerc subito di entrare in contatto con le Br[...] si fece
precedere da alcune lettere dei dirigenti del Partito Comunista di
Cuba in cui si attestava diessere addestrato alla guerriglia e vant
rapporti anche con i Tupamaros. La cosa non poteva
noninteressarci".Dopo alcuni tentennamenti i brigatisti si fecero
convincere ad incontrare Girotto, e durante il terzoincontro, a
Pinerolo, la trappola dei Carabinieri scatt inesorabile. I lati
oscuri riscontrabili in merito aquesto arresto sono diversi: anzi
tutto bisogna fare riferimento ad una telefonata ricevuta dalla
mogliedell'avvocato - con note simpatie brigatiste - Arrigo Levati
che mise in preallarme l'organizzazione suirischi di quell'ultimo
appuntamento. Da pi parti, ivi compresi i diretti interessati, si
ipotizza che gli autoridi quella telefonata furono gli agenti del
Mossad, il servizio segreto israeliano, da sempre interessato
alleattivit delle Br per via dell'instabilit che la loro azione
terroristica avrebbe potuto portare ad un governo- quello italiano,
appunto - che da tempo stava seguendo una linea in politica estera
definibile comefilo-araba. A confermare questa ipotesi ci sono i
racconti degli stessi terroristi, (Moretti e Peci) i qualiaffermano
che gi nel 1974 il Mossad si era fatto vivo con l'organizzazione
offrendo armi e denaro, in pi,per rompere la loro iniziale
diffidenza, gli posero - come si suole dire - su di un piatto
d'argento l'indirizzodel nascondiglio del "traditore" Pisetta, che
era stato portato dalla polizia italiana in Germania. Alla lucedi
questi elementi non ritengo impossibile dare credito alla veridicit
di questa ipotesi, una congettura che,tra le altre cose, condivisa
sia da Giorgio Bocca sia - per solo indirettamente - dal Generale
Delfino,ma che non cambia l'interessante realt delle cose: attorno
alle Br ruotavano, fin dall'inizio, tutta una seriedi interessi
particolari, anche molto differenti tra loro. E' un fatto,
comunque, che la telefonata diavvertimento ci fu veramente, e fu lo
stesso Moretti ad essere incaricato di darsi da fare per cercare
dirintracciare Curcio prima dell'appuntamento con Girotto; una
ricerca che per si rivel vana, comealtrettanto vane e poco
convincenti sono - a mio modesto parere - le spiegazioni fornite da
Moretti pergiustificare il suo fallimento in quella occasione. E
poi, come ha scritto Franceschini, pur conoscendo orae luogo
dell'appuntamento arriv con un'ora di ritardo, quando eravamo gi
stati arrestati". Come affermasempre Franceschini: "Quella era la
seconda volta che i servizi di sicurezza avrebbero potuto
arrestaretutti i brigatisti e porre fine all'esperienza delle Br
[...] noi avevamo concordato con Girotto di dare vita auna scuola
di addestramento, da lui diretta, alla cascina Spiotta, dove nel
giro di un mese tutti gliappartenenti all'organizzazione, un po'
alla volta, avrebbero partecipato ad un breve corso
diaddestramento. Se chi lo aveva infiltrato avesse chiesto a
Girotto di continuare a stare al gioco dopo unmese sarebbe stato in
grado di far arrestare non solo me e Curcio, ma tutti i brigatisti.
E il fatto che questonon sia avvenuto la riprova che
l'organizzazione delle Br poteva tornare comoda per qualcuno delle
altesfere dei servizi di sicurezza e del potere". Si deve fare
menzione anche del vertice che i dirigenti delle Br
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avevano avuto giorni prima a Parma, una riunione durante la
quale era stato deciso di estromettere Morettidal "Comitato
Esecutivo" per via dell'intransigenza dimostrata durante la
trattativa per la liberazione diSossi. Questa dato va tenuto
presente allorch alcuni osservatori - e Sergio Flamigni tra tutti -
ritengonoche Mario Moretti non abbia volutamente rintracciato
Curcio e Franceschini il giorno del loro arresto.L'ipotesi si
accredita maggiormente se si considerano altre due (chiamiamole
cos) "stranezze": prima ditutto il fatto che se i Carabinieri
avessero aspettato solamente qualche ora in pi sarebbero stati in
gradodi annientare tutta la dirigenza delle Brigate Rosse
arrestando, appunto, anche Moretti. La seconda cosabizzarra che
nonostante durante le proprie esposizioni davanti alla "Commissione
Moro" il GeneraleCarlo Alberto dalla Chiesa abbia parlato
chiaramente di foto scattate a tutti i brigatisti durante i
primiincontri con Frate Mitra (e Moretti era presente al 2 di
quegli incontri), le foto segnaletiche su Morettinon comparvero mai
al processo di Torino contro il "nucleo storico" delle Br, ed in pi
egli non sarcoinvolto in nessuna inchiesta giudiziaria prima del
caso Moro. Insomma, le sue foto segnaletiche eranonote alle forze
di polizia almeno quanto la sua identit, per - misteriosamente -
non fecero la loroapparizione ufficiale se non molto pi tardi. La
conclusione cui si vuole arrivare, e che appare tantoperfida per
lucidit quanto logica, che per un motivo o per un altro le forze
dell'ordine lasciaronovolutamente in libert Mario Moretti, in modo
che egli potesse riorganizzare le Br a modo suo, seguendocio una
logica di spietata "militarizzazione", base di partenza necessaria
per una svolta sanguinaria delgruppo. Proprio come voleva il
Mossad. Per correttezza vanno menzionate altre ipotesi plausibili
circa ilmancato avvertimento di Curcio da parte di Moretti: la
prima va obbligatoriamente in contro a quantoraccontato dallo
stesso Moretti, e secondo la quale lui avrebbe profuso il massimo
impegno nella ricercadei suoi compagni di avventura, ma solo il
caso avrebbe influito negativamente sulla sua caccia.
L'altraipotesi che mi viene di fare, in vero trascurata dagli altri
osservatori, che Moretti abbia di sua volontevitato di avvertire
della trappola il duo Franceschini-Curcio in virt
dell'estromissione dal ComitatoEsecutivo impostagli nella riunione
di Parma. E' - la mia - un'ipotesi che, volendo considerare
anchel'aspetto umano della storia, collegando quindi il tutto al
risentimento personale ed all'ambizione diMoretti, si pone a
cavallo tra chi sostiene la completa mala fede del futuro leader
del gruppo e chi invecesi dice convinto delle sue buone intenzioni.
In direzione opposta si va invece considerando un altro fatto.Nella
riunione di Parma, infatti, erano state altre le cose interessanti
al vaglio delle Br, e di ci parla lostesso Renato Curcio nel suo
libro-intervista "A viso aperto". Raccontando la storia della sua
primacattura, Curcio dice che Mario Moretti, che doveva avvertirlo
del pericolo che correva, "non ritienenecessario agire subito perch
sa che io e Franceschini stiamo lavorando a un certo libricino in
una casa diParma e che da quel posto non mi sarei mosso fino a
sabato notte o domenica mattina". Alla domanda diScialoja " Di che
libricino si trattava?", Curcio rispose: " Avevamo compiuto
un'incursione negli ufficimilanesi di Edgardo Sogno impadronendoci
di centinaia di lettere e elenchi di nomi di politici,diplomatici,
militari, magistrati, ufficiali di polizia e dei carabinieri [
insomma tutta la rete delle adesionial cosiddetto "Golpe bianco"
preparato dall'ex partigiano liberale con l'appoggio degli
americani ].Giudicavamo quel materiale esplosivo e lo volevamo
raccogliere in un documento da rendere pubblico.Purtroppo avevamo
tutto il malloppo con noi al momento dell'arresto e cos anche
quella documentazionepreziosa fin in mano ai carabinieri. Qualche
anno dopo, al processo di Torino, chiesi al presidenteBarbaro di
rendere noto il contenuto del fascicolo che si trovava nella mia
macchina quando miarrestarono e lui rispose imbarazzato: "Non si
trova pi" [...] Qualcuno deve averlo trafugato dagli
archivigiudiziari ". Sarebbe interessante invece sapere qualcosa di
pi su quella sparizione. Anche in questocaso, l'intervento
provvidenziale dell'infiltrato Girotto, oltre ad arrestare
Franceschini e Curcio, serv arecuperare delle carte "imbarazzanti",
dello stesso tipo dei memoriali e dei resoconti dell'interrogatorio
diMoro nella Prigione del popolo... A questo punto un'altra
supposizione nasce spontanea: l'arresto diPinerolo da parte dei
Carabinieri scatt in quanto essi sapevano della enorme pericolosit
delle cartecadute in mano delle Br e dunque dovevano recuperarle in
ogni modo? In questa ipotesi altri due scenarisi aprono innanzi a
noi: col primo si considera che fu dunque merito di quell'arresto
"urgentementeanticipato" se Moretti ed il resto delle Br si
salvarono dalla cattura. Il secondo considera poi la sicurezzacon
la quale i Carabinieri, arrestando Curcio e Franceschini, agirono
al fine di trovare - assieme a loro - ifogli in questione. In
questo caso chi altro della Direzione Strategica - se non Moretti -
era a conoscenza
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del rapimento... http://www.robertobartali.it/cap09.htm
5 di 27 08/10/2013 18:45
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del fatto che quelle carte erano proprio in viaggio per Pinerolo
(e dunque pu aver fatto una "soffiata")?Quella di Moretti dunque
una figura centrale nell'analisi del fenomeno Br, in primis perch
ha vissutoquasi l'intera avventura del gruppo [girando - tra le
altre cose - impunemente per lo stivale durante ilrapimento Moro
nonostante fosse il nemico pubblico n1], poi perch a lui legata la
gestione delrapimento di Aldo Moro, apoteosi di quelle
"coincidenze" particolari di cui adesso parleremo. E'
dasottolineare come nel 1970 Nel 1970 un gruppo fuoriuscito dal CPM
e composto, oltre che da Moretti, daCorrado Simioni, Prospero
Gallinari, Duccio Berio e Vanni Mulinaris, and a creare una
struttura "chiusae sicura", superclandestina che potesse entrare in
azione, come racconta Curcio, "...quando noi,approssimativi e
disorganizzati, secondo le loro previsioni saremmo stati tutti
catturati". Dopo pocotempo il gruppo (fatti salvi Moretti e
Gallinari) si trasfer a Parigi dove, sotto la copertura della
scuolalingue Hyperion, agiva - secondo alcuni - come una vera
centrale internazionale del terrorismo di sinistra.I contatti tra
Moretti e il Superclan continuarono nel corso degli anni 12, ed
singolare sia il fatto che agestire il rapimento Moro fu proprio il
duo Moretti-Gallinari, lo stesso che rappresent nel corso deglianni
l'ala pi militarista e sanguinaria delle Br, sia che la stessa
scuola apr un ufficio di rappresentanza aRoma in via Nicotera 26
[nello stesso edificio dove avevano sede alcune societ di copertura
del SISMI]poco prima del rapimento del leader DC per poi chiuderla
immediatamente dopo, nell'estate del '78. Sulla"questione Moretti"
Franceschini parla chiaro: " Non ho sempre pensato che Moretti
fosse una spia ", " Laprima persona che mi ha detto questo stato
Renato [Cucio, ndr.]. Era nel 1976 alle Carceri Nuove diTorino e
Curcio era stato da poco arrestato per la seconda volta: Il dubbio
era nato proprio dalla dinamicadel suo arresto. Dai sospetti di
Curcio ebbe origine un'inchiesta interna fatta da Lauro Azzolini e
FrancoBonisoli, i quali aprirono un'istruttoria che per non port ad
alcun risultato", ma un'altra inchiesta era gistata aperta "da
Giorgio Semeria ", che gi dall'esterno aveva avuto il sospetto "che
Mario fosse una spiaper una serie di cose avvenute a Milano".
Franceschini racconta anche, che dopo il suo arresto (nel 1974)fu
interrogato dal giudice Giancarlo Caselli che gli mostr le foto
degli incontri con frate Mitra "Le fotoin cui c'ero io - dice
Franceschini - e una foto con Moretti indicato con un cerchietto.
Mi chiese se loconoscevo e risposi di no. Lui si mise a ridere e mi
disse: "Se non lo conosce, almeno si ponga ilproblema del perch
l'operazione stata fatta quando c'era lei e non quando c'era quella
persona" ".Riporto questa testimonianza perch trovo doveroso
completare il quadro, ad ogni modo non difficileipotizzare che
usando quelle parole il giudice Caselli avesse avuto in mente, in
qual momento, altre mire;resta comunque il fatto che alcune di
quelle foto non sono pi state trovate. Da citare infine una
frasepronunciata dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa di fronte
alla Commissione Moro: "...le Brigaterosse sono una cosa, le
Brigate rosse pi Moretti un'altra ". Prima di passare oltre mi
sembratoquantomeno doveroso citare l'ex capo dell'ufficio "D" del
SID Generale Maletti, ed in particolare una suaintervista
rilasciata al settimanale Tempo nel giugno 1976 in merito alle Br:
"Nell'estate del 1975 [...]avemmo sentore di un tentativo di
riorganizzazione e di rilancio [...] sotto forma di un gruppo
ancora pisegreto e clandestino, e costituito da persone
insospettabili, anche per censo e cultura e con programmipi cruenti
[...] questa nuova organizzazione partiva col proposito esplicito
di sparare, anche se nonancora di uccidere [...] arruolavano
terroristi da tutte le parti, e i mandanti restavano nell'ombra, ma
nondirei che si potessero definire "di sinistra" ". Il culmine
delle "stranezze" inerenti le Brigate rosse loritroviamo per nel
rapimento dell'On. Moro. I 55 drammatici giorni del sequestro dello
statista DCfurono segnati fin dall'inizio da una serie incredibile
di "coincidenze". Iniziamo col dire che quellamattina del 16 Marzo
1978, giunta in via Fani l'auto di Aldo Moro (una normalissima
"auto blu",incredibilmente non blindata se consideriamo il periodo
e l'importanza del personaggio) e quella dellascorta vengono
bloccate da un commando delle Brigate Rosse che apre il fuoco. In
pochi istanti fu lastrage: vengono uccisi gli agenti Iozzino, Ricci
e Rivera, Francesco Zizzi, gravemente ferito, morir pocodopo, il
maresciallo Leonardi viene freddato mentre girato su di un fianco
cerca di far da scudoall'onorevole. Aldo Moro venne prelevato a
forza e trascinato in una FIAT 128 blu scuro targata
"CorpoDiplomatico" che in breve si dilegu. Il trasbordo del
presidente DC - secondo la testimonianza diretta diun'involontaria
spettatrice dell'accaduto - avvenne piuttosto lentamente, una calma
quasi surreale visto ciche era appena accaduto. Intanto al numero
109 di Via Fani, un altro fortuito spettatore - Gherardo Nucci-
scatta dal balcone di casa una dozzina di foto della scena della
strage a pochi secondi dalla fuga del
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del rapimento... http://www.robertobartali.it/cap09.htm
6 di 27 08/10/2013 18:45
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commando; dopo i primi scatti il Nucci sente il rumore delle
sirene e vede arrivare sul posto un auto dellapolizia seguita poi
da altre. Di quelle foto, consegnate quasi subito alla magistratura
inquirente dallamoglie, non si sapr pi nulla; qualche "manina" le
ha fatte sparire. A tale proposito da sottolinearecome quelle foto,
che evidentemente avevano immortalato qualcosa (o meglio qualcuno)
di importante,furono al centro di strani interessamenti da parte di
un certo tipo di malavita, la 'drangheta calabrese, dicui avremo
modo di parlare in seguito e che ad una prima analisi sembrerebbe
un'intrusionecompletamente fuori luogo trattandosi di terrorismo di
sinistra, dunque politico. Ecco, ad esempio, unostralcio delle
intercettazioni telefoniche effettuate sull'apparecchio di Sereno
Freato, "uomo ombra" diMoro, nel caso specifico egli stava parlando
con l'On. Benito Cazora, incaricato dalla DC di tenere irapporti
con la malavita calabrese per cercare di avere notizie sulla
prigione di Moro:Cazora: "Un'altra questione, non so se posso
dirtelo".Freato: "Si, si, capiamo"azora: "Mi servono le foto del
16, del 16 Marzo"Freato: "Quelle del posto, l ?"Cazora: "Si, perch
loro... [nastro parzialmente cancellato]...perch uno stia proprio
l, mi statocomunicato da gi"Freato: "E' che non ci sono... ah, le
foto di quelli, dei nove ?"Cazora: "No, no ! dalla Calabria mi
hanno telefonato per avvertire che in una foto presa sul posto
quellamattina l, si individua un personaggio... noto a loro"Freato:
"Capito. E' un p un problema adesso"Cazora: "Per questo ieri sera
ti avevo telefonato. Come si pu fare ?"Freato: "Bisogna richiedere
un momento, sentire"Cazora: "Dire al ministro"Freato: "Saran tante
!"
Traspare lampante dunque la preoccupazione di certi ambienti
malavitosi calabresi, le foto scattate dallaterrazza di casa Nucci
avrebbero potuto portare gli inquirenti su di un sentiero piuttosto
pericoloso sia perla persona loro "cara", sia per la precisa
ricomposizione dello scenario di quella tragica mattina. Ecco poiun
altro singolare accadimento: lo stesso giorno dell'eccidio di via
Fani alle ore otto di mattina la notiziache stava per essere
compiuta un'azione terroristica ai danni di Moro fu diffusa da
un'emittenteradiofonica, Radio Citt Futura, da parte del suo
animatore Renzo Rossellini. Poich non si pu pensaread una
divinazione, n appare credibile che si trattasse della conclusione
di un ragionamento politicocollegato agli avvenimenti parlamentari
che nella stessa giornata sarebbero avvenuti (l'inizio del
dibattitoalla Camera dei deputati sulla fiducia al governo di
solidariet nazionale), non resta che concludere che,nonostante la
rigida compartimentazione di tipo militare che caratterizzava le Br
(il famoso "cubo diacciaio" di cui ha parlato tra gli altri anche
Prospero Gallinari) da qualche crepa le notizie sullapreparazione
dell'agguato fossero filtrate nell'area magmatica degli ambienti
dell'Autonomia Romana(con cui Rossellini era in contatto), che oggi
sappiamo fossero stati abbondantemente infiltrati da partedelle
forze dell'ordine. Tra l'altro la sede della radio era distante
pochi passi da quella del "Collettivo diVia dei Volsci", sede
storica dell'Autonomia romana. Lo stesso Rossellini il 4 ottobre
'78 dichiar in unaintervista al quotidiano francese Le Matin (ma
successivamente apparve anche su "Lotta Continua") che:"spiegavo
che le Br avrebbero in tempi molto ravvicinati, poteva anche essere
lo stesso giorno, compiutoun'azione spettacolare, e tra le ipotesi
annunciavo anche la possibilit di un attentato contro
Moro".Successivamente Rossellini sment il contenuto
dell'intervista, l'annuncio quel 16 Marzo era per statoascoltato da
diversi testimoni, casualmente non dal Centro di ascolto
dell'Ucigos (che registrava edascoltava tutte le radio private...)
che incredibilmente interruppe la registrazione dalla 8,20 alle
9,33.Un'altra cosa che salta subito agli occhi la particolarit
della data scelta dalle Br per portare a terminel'azione, un giorno
simbolo per tutti i nemici del c.d. Compromesso Storico. Le
testimonianze deibrigatisti dissociati, anche su questa scelta, non
fanno alcuna chiarezza: Valerio Morucci - uno deicomponenti del
gruppo di fuoco - riferendo sull'accaduto ha affermato in pi di
un'occasione che quello inpratica era solo un tentativo, e che nel
caso l'auto di Moro quella mattina non fosse giunta, le Br
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avrebbero aspettato anche il mattino dei giorni seguenti. Di
fatto per la sera prima dell'agguato vennerosquarciate le gomme del
fioraio che ogni mattina sostava in Via Fani, e ci rende sicuro che
l'azione fossestata programmata per il 16 Marzo. Come per le Br
potessero essere sicure del passaggio di Moro e dellasua scorta da
quella via proprio quella mattina, alla luce del fatto che il
percorso veniva cambiato tutte lemattine, resta tutt'oggi un
mistero. Compiuta la strage e sequestrato Moro i terroristi
riuscirono adileguarsi grazie ad una sorprendente coincidenza: una
volante della polizia stazionava come ogni mattinain Via Bitossi
nei pressi del giudice Walter Celentano, luogo dove stavano per
sopraggiungere le auto deibrigatisti in fuga; proprio qualche
istante prima dell'arrivo dei brigatisti, un ordine-allarme del
COT(centro operativo telecomunicazioni) fece muovere la pattuglia.
In via Bitossi era parcheggiato il furgonecon la cassa di legno
sulla quale sarebbe stato fatto salire Moro. Un tempismo perfetto.
I brigatistiavevano la certezza che quella volante si sarebbe
spostata ? L'unica certezza cui possiamo fare appello perquesta
circostanza che tra i reperti sequestrati a Morucci dopo il suo
arresto verr trovato un appuntorecante il numero di telefono del
commissario capo Antonio Esposito (affiliato alla P2...), in
servizioguarda caso proprio la mattina del rapimento. Secondo il
racconto degli esecutori, il commando brigatista,una volta
effettuato un cambio di auto nella gi citata Via Bitossi, con il
sequestrato chiuso in una cassacontenuta in un furgone guidato da
Moretti e seguito da una Dyane al cui volante era Morucci, fa
perderele proprie tracce. Le Br per portare a termine il sequestro
del segretario del maggior partito politicoitaliano e fronteggiare
eventuali posti di blocco fecero uso solamente di due auto,
veramente strano se siconsidera che per rapire Valeriano Gancia le
stesse Br ne avevano usate tre. I dubbi si fanno insistenti sesi
pensa che, sempre secondo il racconto fatto dai terroristi, il
trasbordo dell'On. Moro sul furgone chedoveva portarlo nel
covo-prigione di Via Montalcini avvenne in piazza Madonna del
cenacolo, una dellepi trafficate e per giunta piena zeppa di
esercizi commerciali a quell'ora gi aperti, mentre il furgone
chedoveva ospitare il rapito (e del quale, al contrario delle altre
auto usate, non verr mai ritrovata traccia)era stato lasciato privo
di custodia, in modo tale che se qualcuno avesse parcheggiato in
doppia fila, le Bravrebbero compromesso tutta l'operazione. Adriana
Faranda in merito a questo particolare - anche difronte alla
Commissione stragi - ha risposto che in caso di contrattempi di
questo tipo Moretti avrebbeportato il prigioniero alla prigione del
popolo con l'auto che aveva in quel momento, un'affermazione
allaquale non mi sento di credere visto l'inutile pericolo che i
brigatisti avrebbero corso e considerando che,come hanno pi volte
dimostrato dimostrato, non erano affatto degli sprovveduti. Non per
difficileipotizzare che i brigatisti vogliano coprire qualche altro
compagno che magari non stato ancoraidentificato. Poco dopo la
strage un tempestivo black-out interruppe le comunicazioni
telefoniche in tuttala zona tra via Fani e via Stresa, impedendo
cos le prime fondamentali chiamate di allarme e coprendo difatto la
fuga delle Br. Secondo il procuratore della Repubblica Giovanni de
Matteo - ma anche per glistessi brigatisti - l'interruzione venne
provocata volontariamente, tutto il contrario di quanto
sostenutodall'allora SIP, che attribu il blocco delle linee al "
sovraccarico nelle comunicazioni ". Su questo punto ibrigatisti
hanno affermato che il merito di tale interruzione era da
attribuirsi a dei "compagni" chelavoravano all'interno della
compagnia telefonica. Per coincidenza volle che il giorno prima (il
15 Marzoalle 16:45) la struttura della SIP che era collegata al
servizio segreto militare (SISMI), fosse stata posta instato di
allarme, proprio come doveva accadere in situazioni di emergenza
quali crisi nazionaliinternazionali, eventi bellici e...atti di
terrorismo. Una strana premonizione visto che era giusto il
giornoprima del rapimento di Moro. Un mistero inerente al giorno
del rapimento riguarda poi la sparizione dialcune delle borse di
Moro. Secondo la testimonianza di Eleonora Moro, moglie del defunto
presidente, ilmarito usciva abitualmente di casa portando con se
cinque borse: una contenente documenti riservati, unadi medicinali
ed oggetti personali; nelle altre tre vi erano ritagli di giornale
e tesi di laurea dei suoistudenti. Subito dopo l'agguato sull'auto
di Moro vennero per rinvenute solamente tre borse. La signoraMoro
in proposito ha delle precise convinzioni: " I terroristi dovevano
sapere come e dove cercare, perchin macchina c'era una bella
costellazione di borse ". Nonostante l'enorme quantit di materiale
brigatistasequestrato negli anni successivi all'interno delle
numerose basi scoperte, delle due borse di Moro non mai stata
rinvenuta traccia, un fatto di rilievo se si considera soprattutto
il contenuto dei documenti che ilpresidente portava con se. Corrado
Guerzoni, braccio destro dell'onorevole Moro, ha affermato che
conogni probabilit quelle borse contenevano anche la prova che il
coinvolgimento del presidente DC nello
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scandalo Lockheed era stato frutto di una "imboccata" fatta dal
segretario di stato americano, Kissinger.Un punto, questo, da
tenere molto in considerazione, come suggerito dalle tesi del
Partito OperaioEuropeo. Questo delle borse scomparse (e dei
documenti da esse contenute...) un punto sul quale l'alonedi
mistero tarda a scomparire, tant' che nea relazione del presidente
della Commissione stragi del Luglio'99, il senatore Pellegrino
continua ad indicarlo come di cruciale importanza. Chi era
veramente presentequella mattina in via Fani? Le Commissioni
parlamentari hanno ormai confermato, tanto per riportarealcuni nomi
alquanto "particolari", che quella mattina alle nove, in via
Stresa, a duecento metri da viaFani, c'era un colonnello del SISMI,
il colonnello Guglielmi, il quale faceva parte della VII
divisione(cio di quella divisione del Sismi che controllava
Gladio...).Guglielmi, che dipendeva direttamente dal generale
Musumeci - esponente della P2 implicato in vari idepistaggi e
condannato nel processo sulla strage di Bologna - ha confermato che
quella mattina era in viaStresa, a duecento metri dall'incrocio con
via Fani, perch, com'egli stesso ha detto: " dovevo andare apranzo
da un amico ". Dunque, bench si possa definire quantomeno
"singolare" presentarsi a casa di unamico alle nove di mattina per
pranzare, sembra addirittura incredibile che nonostante a duecento
metri didistanza dal colonnello ci fosse un finimondo di proiettili
degno di un film western, egli non sent nulla dici che era avvenuto
ne tanto meno pot intervenire magari solo per guardare cosa stesse
accadendo. Mail particolare pi inquietante che il Guglielmi non era
un gladiatore qualsiasi, bens colui che nel campodi addestramento
sardo di Capo Marragiu si occupava dell'addestramento delle truppe
per le azioni dicomando... A dire il vero l'incredibile presenza a
pochi metri dal luogo della strage di Guglielmi statarivelata solo
molti anni dopo l'accaduto, nel 1991, da un ex agente del SISMI -
Pierluigi Ravasio - all'On.Cipriani, al quale lo stesso confid
anche che il servizio di sicurezza disponeva in quel periodo di
uninfiltrato nelle Br: uno studente di giurisprudenza
dell'universit di Roma il cui nome di copertura era"Franco" ed il
quale avvert con mezz'ora di anticipo che Moro sarebbe stato
rapito. Ad ogni modo resta ildato di fatto, perch ormai appurato,
che la mattina del rapimento di Aldo Moro un colonnello dei
Servizisegreti si trovava nei pressi di via Fani mentre veniva
uccisa la scorta e rapito il presidente della DC e inpi lo stesso
ha taciuto questo importante fatto per pi di dieci anni. Per la
verit oggi sappiamo anche chealcune precise segnalazioni su di un
possibile attentato a Moro erano pervenute ai Servizi segreti,
peresempio un detenuto della casa circondariale di Matera aveva
segnalato che " possibile il rapimento diMoro"; la soffiata venne
riferita alla locale sezione dei Servizi, ma, secondo quanto
riferito dal generaleSantovito (P2) essa giunse al SISMI centrale
solamente a sequestro gi avvenuto. quantomeno singolareche una
segnalazione cos precisa, e che avrebbe dovuto riguardare una
personalit cos importante per lavita politica del paese, abbia
seguito un iter burocatico cos lento invece di attivare
immediatamente delleefficaci procedure di controllo. Evidentemente,
e la presenza di Guglielmi in Via Fani lo dimostra,all'interno dei
Servizi c' chi aveva dato credito alla soffiata, ma invece di
prevenire era andato acontrollare lo svolgimento dei fatti. Del
resto il collega di Guglielmi, da cui l'agente segreto si
sarebbedovuto recare per pranzo, interrogato, ha confermato che
egli si era effettivamente presentato nella suaabitazione ma ha
anche dichiarato che non era da lui atteso, perch non era affatto
programmato unpranzo. L'ultima clamorosa novit inerente il fatto
che qualcuno, negli apparati dello Stato, sapeva che leBrigate
Rosse volevano rapire Moro emersa - a dire il vero qualche anno fa
- dall'oceano del web, in unsito costruito da un ex agente segreto
del Sid, Antonino Arconte. Nome in codice G.71, Arconte facevaparte
di una struttura riservatissima, la Gladio delle centurie, che
aveva compiti operativi oltre confine:trecento uomini
superaddestrati, che si muovevano all'interno delle strategie della
Nato. Arconte, sardo diCabras, raccont la sua storia di soldato e
di 007 sul suo sito www.geocities.com/Pentagon/4031).Arruolatosi
nel 1970 a soli 17 anni, partecip a una selezione per entrare nei
corpi speciali dell'Esercito.Pass poi al Sid (Servizio informazioni
della Difesa), allora guidato dal generale Vito Miceli. Coscominci
la sua avventura in un mondo sotterraneo e silenzioso, muovendosi
per tutto il mondo con lacopertura di uomo di mare della marineria
mercantile. Intervistato Arconte, l'agente G.71, parl di una
suamissione in Medio Oriente, che si intrecci con la tragedia di
Aldo Moro. Ecco cosa disse: "Partii dalporto della Spezia il 6
marzo 1978, a bordo del mercantile Jumbo Emme. Sulla carta era una
missionemolto semplice: avrei dovuto ricevere da un nostro uomo a
Beirut dei passaporti che avrei poi dovutoconsegnare ad Alessandria
d'Egitto. Dovevo poi aiutare alcune persone a fuggire dal Libano in
fiamme,
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nascondendole a bordo della nave. Ma c'era un livello pi
delicato e pi segreto in quella missione.Dovevo infatti consegnare
un plico a un nostro uomo a Beirut. In quella busta c'era l'ordine
di contattare iterroristi islamici per aprire un canale con le Br,
con l'obiettivo di favorire la liberazione di Aldo Moro". Equi,
ecco il mistero: il documento del 2 marzo '78 e viene consegnato a
Beirut il 13. Moro verr rapitodalle Br il 16. Cio, nel mondo
sotterraneo degli 007 qualcuno si mosse per liberare il presidente
della Dc,prima del rapimento. Quindi, si sapeva che Moro sarebbe
stato sequestrato. Recentemente una perizia haconfermato che il
documento "a distruzione immediata" che stato fornito da Arconte
originale.Insomma, Gladio sapeva, e con buon anticipo, che Moro
stava per essere rapito. Ma torniamo alla mattnadella strage. Come
ormai accertato anche in sede parlamentare, un tiratore scelto
addestratissimo armatodi mitra a canna corta, risolse gli aspetti
pi difficili e delicati della difficile operazione: con una
primaraffica, sparata a distanza ravvicinata, colp i carabinieri
Leonardi e Ricci seduti nei pressi di Moro,lasciando per illeso
l'onorevole DC. Fu un attacco militare di estrema precisione: la
maggioranza deicolpi (49 su di un totale di 93 proiettili ritrovati
dalle forze dell'ordine) sparata da una sola arma, un vero eproprio
"Tex Willer" descritto dai testimoni (tra i quali un esperto di
armi, il Lalli) come freddo e dialtissima professionalit. Gli
esperti hanno sempre concordato sul fatto che non poteva essere
unautodidatta delle Br; nessuno dei membri del commando aveva una
capacit tecnica di sparare comequello che alcuni testimoni hanno
definito appunto "Tex Willer" ed invece, secondo le
perizie,praticamente tutti i colpi letali furono sparati da uno
solo dei membri del commando. A ci si somma ilfatto che, secondo
una perizia depositata in tribunale, in Via Fani non si spar
solamente da un lato dellastrada (quello cio dove si trovavano i
quattro brigatisti i cui nomi sono ormai noti), mentre
talericostruzione sempre stata negata dai diretti interessati.
L'azione, definita degli esperti come "un gioiellodi perfezione,
attuabile solo da due categorie di persone: militari addestrati in
modo perfetto oppure dacivili che si siano sottoposti ad un lungo e
meticoloso addestramento in basi militari specializzate inazioni di
commando", risulta veramente straordinaria se si pensa che, come ha
testimoniato AdrianaFaranda (anch'ella in azione quel giorno): "gli
addestramenti all'uso delle armi da parte dei brigatisti
eranoestremamente rari perch era considerato pericoloso spostarsi
fuori Roma". La stessa Faranda ha perrecentemente aggiunto che: "
...era convinzione delle Brigate rosse che la capacit di usare
un'arma nonera tanto un presupposto tecnico ma piuttosto di volont
soggettiva, di determinazione, di convinzione chesi metteva nel
proprio operato". Insomma, una - poco credibile - apologia del "fai
da te" a dispettodell'estrema difficolt dell'azione. Nata quasi
venti anni fa dal lavoro di Zupo e Recchia autori del
libro"Operazione Moro", la figura di del superkiller stata ripresa,
acriticamente in tutte le successiveinchieste. Zupo e Recchia
affermano: " Il lavoro da manuale stato compiuto essenzialmente da
duepersone una delle quali spara 49 colpi l'altra 22 su un totale
di 91 [...] il superkiller quello dei 49 colpi,quasi tutti a segno,
quello che ha fatto quasi tutto lui, viene descritto con autentica
ammirazione dal testeLalli anche lui esperto di armi". La perizia
balistica identifica sul luogo dell'agguato 91 bossoli sparati da4
armi diverse. Ed effettivamente 49 bossoli si riferiscono ad
un'arma e 22 ad un'altra. Occorre pernotare che pi volte la perizia
mette in evidenza la parzialit delle risultanze data la vastit del
campod'azione e la ressa creatasi subito dopo il fatto: " Non da
scartarsi nella confusione del momento, checuriosi abbiano raccolto
od asportato bossoli, o che essi calpestati o catapultati da colpi
di scarpa od altrosiano rotolati in luoghi ove poi non sono stati
pi trovati (ad esempio un tombino) ed infine che i bossoliproprio
non siano caduti a terra perch trattenuti dentro eventuali borse,
ove era trattenuta l'arma chesparava ". Bisogna quindi precisare
che 91 non sono i colpi sparati, ma soltanto i bossoli ritrovati
sulterreno. Tenendo presente che i colpi sparati potrebbero essere
molti di pi dei 91 bossoli ritrovati, il fattoche 49 colpi sono
stati sparati da un'unica arma acquista un valore del tutto
relativo. Se dai bossoli, poi, sipassa all'analisi dei proiettili,
il dato diventa ancor pi aleatorio. La perizia, infatti, afferma: "
I proiettilied i frammenti di proiettili repertati sono
relativamente molto pochi, un quarto circa dei proiettili che
sisarebbero dovuti trovare in relazione al numero dei bossoli. Non
tutti i proiettili, e forse la maggior parte,nello stato come sono,
abrasi, dilaniati, deformati e scomposti sono utili per definire le
caratteristichedella presumibile arma". Quanto poi all'affermazione
dei 49 colpi quasi tutti a segno le risultanzebalistiche dicono: "
Nei cadaveri in particolare a fronte di almeno 36 ferite da armi
fuoco sono statirepertati soltanto 13 proiettili calibro 9 mm 8 di
cui sparati da un'arma e 5 da un'altra ". Come si pu
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notare quindi cosa certa, ed emerge dalla perizia, la presenza
in Via Fani di un terrorista che esplode unnumero veramente
rilevante di colpi. L'altro elemento che servito per creare la
figura del superkiller l'ormai famosa testimonianza del benzinaio
Lalli che afferma: " Ho notato un giovane che all'incrocio conVia
Fani sparava una raffica di circa 15 colpi poi faceva un passo
indietro per allargare il tiro e sparava indirezione di un'Alfetta
[...] L'uomo che ha sparato con il mitra, dal modo con cui l'ha
fatto mi sembratoun conoscitore dell'arma in quanto con la destra
la impugnava e con la sinistra sopra la canna faceva inmodo che
questa non s'impennasse inoltre ha sparato con freddezza e i suoi
colpi sono stati secchi eprecisi". Lalli parla quindi di una
persona esperta nel maneggiare le armi, nulla pu chiaramente dire
sullaprecisione del killer. Ma veramente indecifrabile questo
personaggio che maneggia cos bene le armi?Nella sua dichiarazione,
Lalli assegna all'esperto sparatore un posto ben preciso: " egli
situatoall'incrocio con Via Stresa ". Secondo le ricostruzioni
quella posizione occupata da Valerio Morucci.Perch allora ci sono
dubbi sull'identit del brigatista? Evidentemente Morucci potrebbe
anche possederele qualit "tecniche" indicate dal Lalli. Per
sincerarcene diamo uno sguardo alla sua "carriera": Moruccientra in
Potere Operaio all'inizio degli anni settanta, come responsabile
del servizio d'ordine ed tra iprimi a sollecitare una
militarizzazione del movimento. Nel febbraio del 1974 arrestato
dalla poliziasvizzera perch in possesso di un fucile mitragliatore
e cartucce di vario calibro. Alla fine del 1976, almomento
dell'entrata nelle Br, devolve all'organizzazione diverse pistole,
munizioni, e la famosamitraglietta skorpion, gi usata nel ferimento
Theodoli, ed in seguito utilizzata per uccidere Moro.
Comecomponente della colonna romana delle Br partecipa a quasi
tutti gli attentati che insanguinano Roma nel1977. Infine, quando
insieme con la Faranda esce dalle Br, pur essendo ormai un isolato
senza concreteprospettive militari, decide di riprendersi le
proprie armi. Un vero arsenale formato da pistole, mitra emunizioni
rinvenuto in casa di Giuliana Conforto al momento del suo arresto,
il 29 Maggio 1979. Aconferma del rapporto quasi maniacale che
Morucci ha con le armi ci sono moltissime testimonianze dicompagni
brigatisti. Carlo Brogi, un militante della colonna romana nel
processo Moro afferma: "Morucci aveva con le armi un rapporto
incredibile, anche perch, come lui stesso mi ha detto, molte
dellearmi che aveva portato via le aveva portate lui
nell'organizzazione provenendo dalle F.A.C. e che questearmi erano
il risultato d'anni di ricerche per modificarle, per trovare i
pezzi di ricambio, insomma eranosue creature. Pertanto per lui
separarsene era un insulto a tutto il suo lavoro". Credo che, viste
lecaratteristiche di Morucci, affermare che fosse in grado di
maneggiare correttamente un fucile sia davveroil minimo. Per
Morucci - ed stato confermato pi volte anche in Commissione stragi
- ha affermato cheil suo mitra si incepp dopo 2 o 3 colpi. Dunque
egli non pu essere il super killer e probabilmente anche sbagliata
la ricostruzione fatta circa la posizione dei vari brigatisti in
Via Fani; se a ci si aggiungeil fatto che nessuno degli altri
membri del commando aveva una preparazione da "commando", ladomanda
sorge spontanea: ma allora chi era il "Tex Willer" ? I "misteri"
sull'azione militare non sono perfiniti. In via Fani, dei 93 colpi
sparati contro la scorta dell'onorevole Moro, furono raccolti
trentanovebossoli sui quali il perito Ugolini, nominato dal giudice
Santiapichi nel primo processo Moro, dissequanto segue: " Furono
rinvenuti colpi ricoperti da una vernice protettiva che veniva
impiegata perassicurare una lunga conservazione al materiale.
Inoltre questi bossoli non recano l'indicazione della datadi
fabbricazione ". In effetti vi era scritto "GFL", Giulio Fiocchi di
Lecco, ma il calibro non venivaindicato - come normalmente fanno
invece le ditte costruttrici - e nemmeno la data di fabbricazione
diquei bossoli. Il perito afferm che " questa procedura di
ricopertura di una vernice protettiva veniva usataper garantire la
lunga conservazione del materiale. Il fatto che non sia indicata la
data di fabbricazione un tipico modo di operare delle ditte che
fabbricano questi prodotti per la fornitura a forze statali
militarinon convenzionali ". Alla luce di tali rilievi, mi chiedo
come sia potuto accadere che in via Fani fosserousati proiettili di
questo tipo. In ogni caso, sarebbe interessante sapere come mai
questo tipo di proiettilifinirono nelle mani delle Brigate rosse e
di quel commando che assassin la scorta di Aldo Moro. Un
altroragionamento poi avvalora la tesi del killer estraneo alle
Brigate rosse. Per quale ragione i terroristi delgruppo di fuoco
indossavano delle divise dell'ALITALIA? Quello fu effettivamente un
accorgimentoabbastanza singolare, talmente strano da richiamare
l'attenzione dei passanti anzich distoglierla. Laspiegazione che
viene da trovare risiede nel fatto che forse non tutti i brigatisti
del commando siconoscevano fra loro, cos la divisa serviva appunto
al reciproco riconoscimento, in pratica per non
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11 di 27 08/10/2013 18:45
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spararsi a vicenda. Una conferma dunque della teoria del Killer
"esterno". Ma chi poteva essere questokiller professionista ? Due
persone piuttosto ben informate, Renato Curcio e Mino Pecorelli, in
merito atale questione hanno parlato di "occasionali alleati" delle
Br; gruppi legati alla delinquenza comune cheavrebbero per
l'occasione "prestato" alcuni uomini per portare a termine quella
strage. E quale luogomigliore delle carceri italiane avrebbe potuto
fungere da punto di incontro da due realt tanto diverse ? E'infatti
al loro interno che si parl molto del sequestro (o comunque di un
attentato) di un'alta personalitpolitica, tanto che il SISMI ne era
stato debitamente informato in tempo utile [un detenuto
comune,Salvatore Senese, inform il 16 febbraio 1978 appunto il
SISMI che le Brigate rosse stavano progettandoun simile sequestro].
Il riferimento che Mino Pecorelli fa sul suo giornale "OP" a Renato
Curcio nonappare quindi casuale, perch proprio lui potrebbe aver
rappresentato il tramite ideale fra i suoi compagniliberi e gli
ambienti malavitosi ai quali chiedere temporaneo soccorso. Certi
indizi puntano direttamentein Calabria. Di questo parere sembra
essere oggi anche Francesco Biscione che afferma: "
probabilmenteallorch Moretti costitu la colonna romana delle
Brigate rosse (fine 1975) aveva gi rapporti (viaggi inSicilia e in
Calabria) o con settori criminali o con compagni dell'area del
partito armato in grado dimetterlo in contatto con segmenti del
crimine organizzato ". E ricorda tre episodi che potrebbero
costituireun serio indizio in tal senso: " La presenza del Moretti
accertata - scrive - a Catania il 12 dicembre 1975(insieme con
Giovanna Curr, probabile copertura di Barbara Balzerani) presso
l'hotel Costa e il 15dicembre presso il Jolly hotel. Il 6 febbraio
1976 Moretti ricomparve nel Mezzogiorno con la sedicenteCurr, a
Reggio Calabria presso l'hotel Excelsior. Oltre al fatto che non
sono mai state chiarite le finalitdei viaggi - prosegue Biscione -
questa circostanza sembra possedere un altro motivo di curiosit:
iviaggi, o almeno il secondo di essi avvennero all'insaputa del
resto dell'organizzazione tant' che quandol'informazione venne
prodotta in sede processuale suscit lo stupore di altri imputati ".
Il terzo statorivelato da Gustavo Selva: dopo la conclusione del
sequestro di Aldo Moro " nel luglio 1978 vennearrestato il
pregiudicato calabrese, Aurelio Aquino, e trovato in possesso di
molte banconote segnate dallapolizia perch parte del riscatto del
sequestro Costa operato dalle Br ". E' ovvio che con quei soldi le
Brpotrebbero aver pagato alla 'ndrangheta qualche partita di armi,
ma anche il "prestito" di un killerprofessionista. Il forte
sospetto resta dunque intatto. Da valutare, infine, con la dovuta
cautela, l'appuntodi Mino Pecorelli ritrovato dopo la sua morte fra
le sue carte: " Come avviene il contatto Mafia-Br-Cia-Kgb-Mafia. I
capi Br risiedono in Calabria. Il capo che ha ordito il rapimento,
che ha scritto i primiproclami B.R., il prof. Franco Piperno, prof.
fis. univ. Cosenza "; anche volendo considerare tutto questouna
mera illazione si pu comunque, in questo caso, concordare con
Francesco Biscione che consideracome l'appunto si riferisce ad
un'ipotesi ricostruttiva che connette gli indizi riguardanti
l'esistenza inCalabria di un terminale decisivo, sebbene di incerta
definizione, dell'intera operazione del sequestroMoro. In questo
modo trova una logica spiegazione la probabile presenza in via Fani
di un killer di "altaprofessionalit", un professionista che il
pentito calabrese Saverio Morabito ha indicato in Antonio
Nirta,detto "due nasi" per la sua capacit di usare la lupara, anche
se alcune testimonianze pi recenti puntanoinvece il dito contro
Agostino De Vuono, anch'egli calabrese ed esperto tiratore
tutt'oggi latitante;l'incorgnita comunque resta. Le teorie e le
supposizioni sul nome del Killer lasciano per il tempo chetrovano
di fronte ai fatti: quella mattina del 16 Marzo 1978 le Brigate
rosse vennero aiutate, e da pi parti,a compiere un'azione troppo pi
grande delle loro capacit. Ed anche Alberto Franceschini continua
adesternare forti dubbi in merito. Ultima particolarit da annotare
riguardo alla tragica giornata del 16Marzo 1978 una deposizione di
Nara Lazzarini, segretaria di Licio Gelli, fatta nel 1985 al
processoPazienza-Musumeci; la Lazzarini ha ricordato infatti che la
mattina della strage di Via Fani il GranMaestro della P2 ricevette
la visita di due persone all'Hotel Excelsior di Roma, e durante il
colloquio aGelli sfuggirono le seguenti parole: " Il pi fatto ". Pu
non voler dire nulla, per una testimonianzaattendibile e come tale
la riporto. E' ormai "verit processuale" (il che non vuol dire che
sia verit) cheAldo Moro sia stato tenuto prigioniero, per tutti i
55 giorni del sequestro, nell'appartamento all'interno 1di via
Montalcini 8, nel quartiere Portuense, a Roma. Un primo accenno ad
una prigione di Moro eracomparsa in un fumetto pubblicato
all'inizio di giugno del 1979 dal primo numero di
"Metropoli",periodico dell'Autonomia operaia. Nel fumetto (disegni
di Beppe Madaudo, sceneggiatura di Melville,pseudonimo usato da
Rosalinda Socrate) la tavola con l'interrogatorio di Moro era
preceduta da una
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didascalia che diceva: " Mentre a via Fani cominciano le
indagini, nella stanza interna di un garage delquartiere Prati
comincia l'interrogatorio di Moro ". Interrogato, Madaudo disse di
aver ricalcato il disegnoda "Grand Hotel". Certo che in quel
fumetto saltavano fuori notizie allora sconosciute, segno
evidenteche gli ambienti dell'Autonomia non erano poi cos male
informati. Dopo la versione disegnata, il primo aparlare della
prigione dello statista DC stato il pentito Patrizio Peci, che ha
raccontato per di averappreso che Moro fu tenuto nascosto nel
retrobottega di un negozio poco fuori Roma. La versione di
Pecivenne in seguito smentita da Antonio Savasta, catturato il 28
gennaio 1982 alla fine del rapimento Dozier.Il Savasta cominci
subito a collaborare e disse di aver saputo che Moro venne tenuto
prigioniero in unappartamento di propriet di Anna Laura Braghetti.
All'inizio l'attenzione degli inquirenti si
concentrsull'appartamento che era stato del padre in via Laurentina
501, ma poco dopo le indagini si orientaronosu via Montalcini, una
casa acquistata nel giugno 1977 per 50 milioni circa, e dove Anna
Laura Braghettisi era trasferita nel dicembre dello stesso anno.
Due anni dopo anche Valerio Morucci e Adriana Farandahanno
confermato che Moro trascorse tutta la sua prigionia
nell'appartamento abitato non solo dallaBraghetti ma anche da
Prospero Gallinari, e frequentato da Mario Moretti e da - ma lo si
saputo moltodopo - Germano Maccari, il fantomatico "Ingegner
Altobelli". Prima cosa bizzarra il fatto che il 5 luglio1980 il
giudice Ferdinando Imposimato apprese che l'UCIGOS, nell'estate
1978, aveva svolto indaginisulla Braghetti e via Montalcini.
L'appunto sulle indagini gli venne consegnato il 30 Luglio, ma era
informa anonima e non conteneva i nomi di chi aveva svolto le
indagini. Sempre a tale proposito, nelfebbraio 1982 sul quotidiano
"La Repubblica" Luca Villoresi scrisse: " Sono passati pochi giorni
dallastrage di via Fani quando alla polizia arriva una prima
segnalazione, forse una voce generica, forse unasoffiata precisa
[...] ma all'interno 1 di via Montalcini 8 gli agenti non bussano
". Nel 1988 si venne poi asapere che verso la met di luglio 1978,
pochi mesi dopo il sequestro, l'avv. Mario Martignetti (chesembra
lo avesse saputo da una coppia di suoi parenti) segnal all'On. Remo
Gaspari che una Renault 4rossa come quella in cui le Br lasciarono
il cadavere di Moro era stata vista in via Montalcini 8 nelperiodo
del rapimento ed era scomparsa dopo la morte di Moro. Gaspari
inform il ministro Rognoni ilquale attiv le indagini subito
affidate all'UCIGOS. In seguito, l'ispettrice dell'UCIGOS
incaricata delcaso ha riferito che dalle indagini era emerso che,
fino al giugno 1978, con la Braghetti abitava un uomoche si faceva
chiamare Ingegner Altobelli. L'ispettrice disse anche che,
ritenendo che una perquisizione adue mesi dalla morte di Moro
avrebbe dato esito negativo e avrebbe insospettito la Braghetti,
prefer farlapedinare per cercare di arrivare ad Altobelli o
scoprire se frequentava gruppi eversivi. I pedinamentidurarono fino
alla met di Ottobre ma ebbero risultati negativi perch la Braghetti
usciva puntualmenteper recarsi al lavoro e al ritorno a casa faceva
cose normali. Il 16 ottobre 1978, un appunto dell'UCIGOSinform la
magistratura che gli inquilini dell'interno 1 non destavano
sospetti. I pedinamenti e le richiestedi informazioni sul suo posto
di lavoro (di cui la Braghetti viene a sapere) spinsero per la
terrorista adentrare in clandestinit e a lasciare (il 4 ottobre
'78) l'appartamento, che nel frattempo aveva venduto aduna signora
(moglie del segretario particolare dell'ex ministro Ruffini).
Nell'agosto 1978 la Braghetti ebbeun'accesa disputa con l'ex
inquilino dell'appartamento, Gianfranco Ottaviani, che aveva
mantenuto ladisponibilit della cantina; la Brigatista scardin la
porta della cantina e l'ex inquilino chiamimmediatamente la
polizia. Per una lite banale la brigatista rischi cos un pericoloso
intervento dellapolizia. Ma invece proprio quella lite venne usata
dall'UCIGOS per spiegare che la Braghetti e Altobelli,che risultava
trasferito in Turchia da qualche mese per motivi di lavoro, non
erano sospettabili, perchaltrimenti avrebbero evitato la lite con
l'intervento del 113. Solo nel 1993 si arrivati alla vera identit
delcos detto "quarto uomo", Germano Maccari, che sembra proprio
essere quell'ing. Altobelli a cui eranointestate le utenze di luce
e gas, come lui stesso ammette nel 1996. Stranamente
l'individuazione diMaccari avvenne proprio lo stesso giorno in cui
trapelarono dalla stampa le dichiarazioni di SaverioMorabito
secondo il quale Antonio Nirta, killer della mafia calabrese e
confidente del generale deicarabinieri Francesco Delfino, era stato
" uno degli esecutori materiali del sequestro dell'on. Aldo Moro ".
Molto interessante mi parsa una circostanza apparsa nel suo recente
libro "Il delitto Moro" daFrancesco Biscione, e riguardante il
fatto che nelle immediate vicinanze di via Montalcini, a pochi
passidal covo delle Br, abitavano numerosi esponenti della Banda
della Magliana. L'elenco molto dettagliato:" In via G. Fuggetta 59
(a 120 passi da via Montalcini) abitavano Danilo Abbruciati, Amelio
Fabiani,
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Luciano Mancini; in via Luparelli 82 (a 230 passi dalla prigione
del popolo) abitavano Danilo Sbarra eFrancesco Picciotto (uomo del
Boss Pippo Cal); in via Vigna due Torri 135 (a 150 passi) abitava
ErnestoDiotallevi, segretario del finanziere P2ista Carboni);
infine in via Montalcini al n1 c'era Villa Bonelli,appartenente a
Danilo Sbarra ". In effetti la "Prigione del Popolo" era situata
proprio nel quartiere romanodella Magliana, una zona notoriamente
controllata in modo capillare da quel particolare tipo di
malavitacollegato, come poi si saputo con certezza, a settori dei
servizi segreti, alla P2 e all'eversione nera. Sedavvero Aldo Moro
stato tenuto nel territorio della Banda della Magliana per tutto il
periodo delsequestro, appare altamente improbabile che la malavita
della zona non ne fosse venuta a conoscenza. Malo Stato si stava
dando da fare per rintracciare la "Prigione del Popolo"? Ad un
osservatore inesperto inumeri sembrerebbero dire di si. Dalla
relazione della Commissione Moro emerge che dal 16 marzo al
10maggio '78 vennero attuati 72.460 posti di blocco di cui 6.296
nella sola Roma; effettuate 37.702perquisizioni domiciliari di cui
6.933 nelle case dei cittadini della capitale; controllate
6.413.713 persone(cio circa un italiano ogni 10) impegnando ogni
giorno 13.000 uomini delle forze dell'ordine con l'ausiliodi 2.600
automezzi. Questa enorme mobilitazione non port apparentemente a
nulla, anzi, nel periodo delrapimento Moro le Br commisero 2
omicidi, 6 ferimenti, 5 incendi di auto ed un attentato contro
unacaserma dei Carabinieri. Come ha affermato il Procuratore
generale di Roma Pascalino: Tante volte sifanno azioni dimostrative
per tranquillizzare la popolazione [...] non posso spiegarlo, non
sta a mespiegare perch si prfer fare operazioni di parata anzich
ricerche. E in quei giorni si fecero operazioni diparata. Per non
ho usato il termine "apparentemente" a caso: nonostante tutto le
forze di polizia il 3aprile '78 era riuscita a fermare o
individuare molti personaggi legati o vicini alle Br. tanto per
fare alcuninomi importanti si potrebbero citare Valerio Morucci,
Adriana Faranda, Bruno Seghetti. Incredibilmenteper queste
operazioni di controllo non ebbero alcun seguito di indagine. Per
quanto riguarda la gestionedel rapimento, il campo si ristringe,
diminuiscono drasticamente le prove e di contro aumenta il numero
diindizi e deduzioni logiche possibili. Due avvenimenti accaduti il
18 aprile segnarono a mio avviso glisviluppi successivi del
rapimento proprio in questa direzione: la misteriosa scoperta del
covo di viaGradoli ed il quasi contemporaneo ritrovamento del falso
comunicato n7. La scoperta di una base delleBr in Via Gradoli
avvenne in un modo casuale ma alquanto strano: i pompieri furono
chiamati dagliinquilini dei piani inferiori per una perdita d'acqua
dall'appartamento dove andava a dormire il leaderdelle Br, Mario
Moretti (colui che interrog Aldo Moro). L'ipotesi che ho cercato di
avvalorare - comesempre tra mille difficolt e poche prove certe -
che quel covo, sia stato "bruciato" da qualcuno [servizisegreti? Un
infiltrato? Oppure dei brigatisti contrari all'uccisione di Moro?]
grazie al trucchetto delladoccia rivolta verso il muro per
permettere a chi di dovere di recuperare le carte di Moro
riguardanti laP2, Gladio e tutto ci che era probabilmente contenuto
nelle sue borse scomparse nonch le confessionifatte dal presidente
alle Br. Un'altra teoria riguarda il fatto che la scoperta del covo
di via Gradoli fu inqualche modo pilotata dallo stesso Moretti per
indurre un certo stato d?animo nell'organizzazione, perforzare la
mano con i propri compagni e farli convincere che non c'era pi
tempo. Comunque sia, il tuttovenne fatto in modo assai rumoroso per
permettere agli inquilini di essere informati per tempo dalla TV
epoter cos continuare a gestire il rapimento. Serviva per un
diversivo, qualcosa che distogliessel'attenzione generale dal covo;
ecco che lo stesso giorno "qualcuno" fece ritrovare il falso
comunicatoN7, quello dove si sosteneva che il cadavere di Aldo Moro
si trovava in fondo al Lago della Duchessa.Allo stesso tempo questa
doppia operazione ha probabilmente segnato in modo decisivo il
rapimento, nelsenso che questo era un chiaro avvertimento rivolto
alle stesse Br: "Guardate che possiamo prenderviquando vogliamo,
che non vi venga in mente di far concludere il sequestro in un modo
differente daquello indicato dal falso comunicato perch potreste
pagarlo caro...". Dunque mentre il comunicatoarrivava al Viminale,
i vigili del fuoco arrivavano in via Gradoli: le due messinscene
che procedettero inperfetta sincronia, due "sollecitazioni" fatte
affinch il sequestro si concludesse rapidamente e nellamaniera pi
idonea. Nello stesso comunicato - oltre a suggerire ai brigatisti
quale fosse l'epilogo piopportuno del rapimento - si trovano
infatti dei precisi "segnali" che dovevano indirizzare le Br in
taledirezione, come l'accenno alla morte di Moro mediante suicidio,
proprio come era accaduto ai capi dellaRAF in Germania nel carcere
di Stammheim. Non affatto credibile poi che l'appartamento di
ViaGradoli 96 sia stato lasciato da Moretti e Barbara Balzerani
nelle condizioni in cui stato descritto nei
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verbali della polizia: bombe a mano sparse sul pavimento, un
cassetto messo in bella mostra sul letto econtenente una pistola
mitragliatrice, documenti e volantini disseminati ovunque [proprio
come sequalcuno avesse messo sottosopra il covo per cercare
qualcosa...]. E pare perfino incredibile che le forzedell'ordine si
siano comportate in un modo cos "rumoroso" (volanti giunsero a
sirene spiegate eimmediatamente si form una piccola folla di
curiosi e giornalisti) subito dopo la scoperta del covo,quando
invece dopo il ritrovamento della base di Robbiano di Mediglia
avevano atteso con la massimadiscrezione il rientro dei terroristi
arrestandoli uno dopo l'altro. A mio avviso, l'occulta regia della
duplicemanovra del 18 Aprile pot procedere liberamente all'interno
del covo predisponendo una messinscena,allo stesso tempo diffuse un
comunicato falso ma "tecnicamente" verosimile, chiaro segnale di
unaperfetta conoscenza dei retroscena del sequestro e di come le Br
e Moretti lo stessero conducendo. Apparecomunque quantomeno
bizzarra anche la scelta (effettuata da Moretti nel 1975) di Via
Gradoli comeluogo adatto a stabilirvi un covo delle Br, e non un
covo qualsiasi, ma il primo e principale punto diriferimento dei
brigatisti a Roma, abitato nell'ordine da Franco Bonisoli, Carla
Brioschi, Valerio Morucci,Adriana Faranda, Mario Moretti e Barbara
Balzerani ma noto anche ad altri brigatisti. La bizzarria
risiedenel fatto che via Gradoli era una strada stretta e
circolare, lunga seicento metri e con un solo accesso-uscita sulla
via cassia; dopo un breve tratto rettilineo di appena cento metri
la strada disegnava un circuitodi mezzo chilometro e ritornava al
breve tratto "obbligatorio", dal quale si poteva agevolmente
controllaregli spostamenti di tutti gli abitanti della via,
l'esatto opposto, dunque, delle normali cautele adottatenormalmente
dai brigatisti. Caso vuole poi che al n 89 di via Gradoli,
nell'edificio che fronteggiava -dalla parte opposta della strada -
il civico 96 con il covo delle Br, abitava il sottufficiale dei
CarabinieriArcangelo Montani, agente del SISMI. Ma i servizi
segreti non si limitavano solamente a controllare lavia, via
avevano addirittura stabilito un proprio ufficio; di questo un ex
militante di Potere operaio avevaavvisato le Br, ma esse, una volta
localizzato con precisione quell'ufficio, decisero incredibilmente
dimantenere ugualmente il covo in quella strada. Tornando ai giorni
del rapimento, una delle possibiliimplicazioni logiche che la
scoperta "accidentale" del covo comport fu quella di far diventare
anche laprigione di via Montalcini piuttosto insicura, dunque
possibile - anzi, assai probabile - che Moro siastato portato
velocemente in un altro covo-prigione. Le carte di Moro all'interno
del covo "bruciato"furono forse ritrovate, ma probabilmente non
nella loro totalit, e la cosa dovette suscitare le ire
degliinteressati, tant' vero che - ma qui forse le mie ipotesi
diventano troppo fantasiose - chi nel corso deglianni ne stato
probabilmente in possesso stato in qualche modo eliminato
(Pecorelli e Dalla Chiesa,tanto per fare due nomi). Con il duplice
messaggio del 18 Aprile, rivolto chiaramente al vertice Br,
lagestione del sequestro entr in una nuova fase; non c'era altro
tempo, le Brigate rosse non avevano pi lapossibilit di proseguire
la "campagna di primavera" da loro progettata ma dovevano piegarsi
a dellevolont indiscutibilmente superiori: apparati "deviati" dello
stato ed il loro occasionale "braccio destro",la "Banda della
Magliana" cui apparteneva Chichiarelli. Come vedremo, molti indizi
ci indirizzanoproprio in questo sentiero. Ma esiste un'altra
ipotesi da valutare. Come sostenuto dal recente volume
'IlMisterioso intermediario' di Fasanella e Rocca: "A lasciare
aperta la doccia potrebbe essere stato lo stessoMoretti. E usando
la logica capovolta, che spiega molti episodi di queste trame
occulte, se ne pucomprendere anche il perch. Il capo brigatista si
era impossessato della gestione del sequestro,esautorando di fatto
i compagni. Forse voleva che ai militanti giungesse il messaggio
che a Roma nonc'era pi nessun nascondiglio sicuro, visto che era
stata scoperta perfino la base del capo; e che diconseguenza,
bisognava affrettarsi a portare Moro fuori citt". Ma se il 18
Aprile '78 fu la data dalla qualecambi materialmente la gestione
del rapimento, il momento in cui venne presa - e da pi parti -
ladecisione di intervenirvi direttamente fu con ogni probabilit
immediatamente successiva, e precisamentequando venne resa nota la
prima lettera di Moro a Cossiga, in cui sollecitava la trattativa
con le Brinvocando la ragion di stato e non motivi umanitari.
Quella lettera doveva restare segreta e nelleintenzioni di Moro
doveva servire ad aprire un canale diretto per la trattativa.
Invece Mario Moretti laalleg al comunicato numero 3 delle Br, in
cui si annunciava che il processo a Moro stava continuando "con la
piena collaborazione del prigioniero ", e la fece recapitare ai
giornali. A quel punto probabilmentesi attivarono molti servizi
segreti: quelli occidentali per proteggere gli eventuali segreti
rivelati da Moro,quelli orientali per carpirli. I primi promettendo
salvacondotti ai brigatisti; i secondi aiuti e appoggi alla
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rivoluzione. Una conferma che la base Br di Via Gradoli 96 -
"centrale operativa" del sequestro Moro -fosse nota a molti si ebbe
pochi giorni dopo il rapimento di Moro, quando cinque agenti
delcommissariato "Flaminio Nuovo", guidati dal maresciallo Domenico
Merola perquisirono appunto gliappartamenti di via Gradoli 96.
Durante il primo processo, Merola racconta che l'ordine era venuto,
lasera prima dell'operazione, dal commissario Guido Costa. " Non mi
fu dato l'ordine di perquisire le case. -dice il maresciallo ai
giudici - era solo un'operazione di controllo durante la quale
furono identificatinumerosi inquilini, mentre molti appartamenti
furono trovati al momento senza abitanti e quindi, nonavendo
l'autorizzazione di forzare le porte, li lasciammo stare,
limitandoci a chiedere informazioni aivicini. L'interno 11 fu uno
degli appartamenti in cui non trovammo alcuno. Una signora che
abitava sullostesso piano ci disse che li' viveva una persona
distinta, forse un rappresentante, che usciva la mattina etornava
la sera tardi ". " Fui io a disporre i controlli dei mini
appartamenti della zona - conferma il vicequestore Guido Costa - in
seguito ad un ordine impartito dal questore, che allora era
Emanuele DeFrancesco. L'esito dell'operazione fu negativo ". La
data della mancata perquisizione del covo il 18marzo 1978, due
giorni dopo il rapimento, almeno secondo la relazione informativa
scritta da Merola econsegnata da De Francesco ai giudici solo nel
1982, perch fino a quel momento non era stato possibiletrovarla.
Nell'estate del 1978, il giornalista Sandro Acciari scrisse sul
"Corriere della sera" che tra il 16 eil 17 marzo, alla segreteria
del ministero dell'Interno era arrivata una segnalazione anonima
dell'esistenzadi un covo delle Br in via Gradoli e che il ministro
Cossiga aveva incaricato il capo della polizia Parlatodi disporre
perquisizioni nella zona. Parlato, interrogato dal giudice Achille
Gallucci aveva smentitoquesto fatto. Nel 1982, al processo, Acciari
disse di aver appreso la notizia, a livello di indiscrezione,negli
ambienti del palazzo di giustizia, e di avere avuto conferma da
Luigi Zanda, all'epoca addettostampa del ministro dell'Interno
Cossiga. Acciari ha precisato per di aver saputo in seguito dallo
stessoZanda che nella loro conversazione telefonica ci fu un
equivoco, perch Zanda credeva che Acciari siriferisse alla vicenda
della seduta spiritica in cui emerse il nome "Gradoli". Anche il
giornalista MinoPecorelli, ucciso un anno dopo in circostanze
ancora oscure, e anche lui presente nelle liste della P2,scrisse
sul numero del 25 aprile 1978 del suo settimanale "OP": " Nei primi
dieci giorni dopo il sequestrodi Moro, in seguito ad una soffiata
preziosa, via Gradoli e in modo speciale lo stabile numero 96
eranostati visitati ben due volte da squadre di polizia. Ma davanti
alle porte degli appartamenti trovatidisabitati, i poliziotti
avevano desistito. Avevano bussato doverosamente anche alla
portedell'appartamentino-covo e non ricevendo l'invito ad entrare
se n'erano andati ". Prima di procedere oltremi preme sottolineare
quanto affermato da Flamigni sulle fonti di Pecorelli (gi affiliato
alla P2 ma aitempi del rapimento 'dissociato'): "la rete
informativa e le fonti di Pecorelli durante i 55 giorni
delsequestro Moro risulteranno documentate dalle agende del
giornalista. Vi erano annotati contatti,telefonate e incontri [...]
soprattutto con appartenenti ai servizi segreti: dal P2ista Umberto
D'Amato(esperto di intelligence, consigliere del ministro
dell'interno e capo della Polizia), a Vito Miceli (ex capodel SID,
affiliato alla P2) dal generale Maletti (P2) al capitano Labruna
(P2) al capitano d'Ovidio (P2)".Ma c'erano anche incotri con i
magistrati Infelisi e DeMatteo, con avvocati, con politici di varie
forzepolitiche, con il venerabile maestro Licio Gelli. Le
informazioni a sua disposizione erano dunque sempredi primissima
mano. Tra le vicende inusuali accadute durante i 55 giorni del
rapimento Moro damenzionare - se non altro per il nome dei presenti
- anche quella del 2 aprile 1978. Nella casa dicampagna di Alberto
Cl a Zappolino, alle porte di Bologna, si riun un gruppo di
professori universitaricon tanto di mogli e bambini. Erano presenti
l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi con la moglieFlavia,
Alberto, Adriana, Carlo e Licia Cl, Mario Baldassarri e la moglie
Gabriella, Francesco Bernardi,Emilia Fanciulli. Secondo i racconti,
per allentare la noia di una giornata di pioggia, a qualcuno
deipartecipanti venne la bizzarra idea di tenere una seduta
spiritica. I partecipanti avrebbero quindi evocatogli spiriti di
don Luigi Sturzo e Giorgio La Pira chiedendo loro dove si trovasse
la prigione di Aldo Moro.Gli spiriti - incredibilmente - formarono
le parole Bolsena-Viterbo-Gradoli e indicarono anche il numero96.
Secondo i racconti dei partecipanti, fu proprio il terzo nome ad
incuriosirli, tanto da prendere unatlante per controllare se
esistesse una localit chiamata Gradoli. Il 4 aprile, a Roma per un
convegno,Prodi parl di questa indicazione a Umberto Cavina, capo
ufficio stampa della DC, che la trasmise a LuigiZanda, addetto
stampa del ministro dell'Interno, il quale fece un appunto per il
capo della polizia,
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Giuseppe Parlato. Parlato ordin di perquisire la zona lungo la
statale 74, nel piccolo tratto in provincia diViterbo, in localit
Gradoli, casa isolata con cantina. Il rastrellamento della zona
viene effettuato il 6aprile, senza risultati. Nel luglio 1982, al
processo, Eleonora Moro, moglie di Aldo Moro, ha raccontatoche,
quando venne a sapere della seduta spiritica (in quell'occasione,
la signora Moro dice per chel'indicazione Gradoli venne fuori " due
o tre giorni dopo il rapimento " e questo contrasta con la
dataindicata per la seduta spiritica), rifer " la cosa all'on.
Cossiga e ad un funzionario che credo fosse il capo,il responsabile
delle indagini, ma non ricordo come si chiamasse. Chiesi loro -
continua la signora Moro -se erano sicuri che a Roma non esistesse
una via Gradoli e perch avessero pensato subito, invece, alpaese
Gradoli. Mi risposero che una tale via non c'era sulle pagine
gialle della citt. Ma quando se neandarono da casa, io stessa volli
controllare l'elenco e trovai l'indicazione della strada. In
seguito midissero che erano stati a vedere in quella zona, ma
avevano trovato solo alcuni appartamenti chiusi. Sigiustificarono
dicendo che non potevano sfondare le porte di ogni casa della
strada ". Il giorno dopoGiovanni Moro, figlio di Aldo, conferma che
fu Cossiga a sostenere che via Gradoli non esisteva nellostradario
di Roma. Cossiga ha per escluso di essere lui la persona che neg
l'esistenza di via Gradoli. Nel1995, la relazione sulle stragi e il
terrorismo presentata dal presidente della commissione
parlamentareGiovanni Pellegrino sostenne che l'indicazione di
Gradoli era filtrato negli ambienti dell'Autonomiabolognese e il
riferimento alla seduta spiritica non era altro che un trasparente
espediente di coperturadella fonte informativa. A parziale conferma
di ci sta anche la testimonianza di Giulio Andreotti che,davanti
alla Commissione, ha detto: " non credo alla storia di Gradoli a
cui si arriv con la sedutaspiritica. Quell'indicazione venne
dall'Autonomia operaia di Bologna. Non lo si disse per non
doveringuaiare qualcuno ". Pochi giorni dopo, Bettino Craxi
intervenne sul caso Moro sostenendo che "nessuno pu credere alla
tesi della seduta spiritica dal momento che le notizie su via
Gradoli si seppero daambienti legati strettamente
all'organizzazione terroristica. Gli stessi che ci diedero notizie
anche di viaMontalcini ". " Gradoli - ha confermato in quei giorni
l'avv. Giancarlo Ghidoni, difensore di moltiesponenti
dell'autonomia bolognese - era una parola che nell'ambiente di
Autonomia Operaia sisussurrava. L'organizzazione all'epoca del
sequestro Moro premeva perch lo statista non fosse ucciso efosse
liberato. L'Autonomia era molto preoccupata, voleva che cessassero
certe attivit, convinta che ilfucile stesse sopravanzando la testa,
e che certe cose andassero a danno della sinistra rivoluzionaria
[...]Una persona, di cui non posso ovviamente rivelare il nome, mi
disse: "Hanno detto che Moro a Gradoli.Intendeva proprio il paesino
del viterbese dove andarono a cercare Moro, non la via romana con
lo stessonome. Evidentemente le informazioni che aveva erano
parziali" ". Infine, da una nota della DIGOS del 19agosto 1978, che
riprende un appunto precedente dell'UCIGOS, risulta che via Gradoli
era sotto controllogi in epoca precedente al sequestro Moro per la
segnalazione nella strada della ripetuta presenza di unfurgone
Volkswagen di propriet di Giulio De Petra, militante di Potere
Operaio, il cui numero telefonicoera nell'agenda di Morucci. Le
cose non devono per sorprendere; in effetti Valerio Morucci era
ritenutoun valido appoggio "militare" da parte di tutte l'ala dura
dell'ormai disciolto Potere Operaio, pochi persanno che egli agiva
d'intesa con Piperno e Pace svolgendo il ruolo di cerniera tra le
Br e l'Autonomianell'ambito della progettata unificazione di tutte
le organizzazioni armate, al fine di rendere praticabile
"l'irlandizzazione della capitale ". Nel 1997 l'on. Enzo Fragal,
chiedendo l'audizione di Prodi incommissione parlamentare
d'inchiesta sulle stragi e il terrorismo, ha detto: " in via
Gradoli vi eranoquattro interni 11, due civici 96 con due scale
ciascuna. Vi furono indicazioni diverse fra DIGOS ecommissariato
Flaminio Nuovo sulle scale da perquisire; vi sono legami di societ
intestatarie di alcuniinterni 11 e altre societ collegate con il
ministero dell'Interno e con il Sisde; all'interno del covo Br
furitrovato il numero di telefono dell'immobiliare Savellia, societ
di copertura del Sisde; perch non si indagato sui mini-appartamenti
di via Gradoli 96 e 75 intestati all'ex capo della polizia Parisi e
suirapporti tra Domenico Catracchia, gi amministratore del palazzo,
e lo stesso Parisi ? ". All'Immobiliare"Savellia" era intestato
anche un palazzo in via di Monte Savello (vicino al ghetto ebraico
e a viaCaetani), di cui c'erano tracce in un appunto di Moretti.
L'8 marzo 1998, l'ex deputato socialista FalcoAccame, criticando la
mancata attuazione del "piano Paters", segnal l'appartamento di via
Gradoli comericonducibile alla societ immobiliare Savellia, societ
di copertura del SISDE. Secondo Accame, comeper Fragal, " i mini
appartamenti di via Gradoli, numeri 96 e 75, erano intestati all'ex
capo di polizia ".
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Attualmente l'Immobiliare Savellia risulta di propriet del
Sovrano Ordine di Malta. In Via Gradoli iservizi segreti italiani
disponevano per anche di un ufficio; la cosa venne riferita alle Br
da un'exmilitante di Potere Operaio, ma nonostante questo, i
brigatisti decisero di mantenere ugualmente il lorocovo in quella
strada, in barba a qualsiasi legge della logica e della sicurezza
(tanto pi che nella stessavia Gradoli c'era anche un covo
frequentato da estremisti di destra) 46. Anche questo fatto risulta
esserepiuttosto strano. C' per un'altra pista da seguire: c'era
qualcuno che all'interno delle Brigate rosseriteneva talmente
sbagliata l'operazione in progetto da tentare di farla fallire
avvertendo in anticipo leforze istituzionali ? Un'ipotesi da fare
che all'interno delle Brigate rosse vi fosse un partito
dellatrattativa che mirava alla salvezza della vita di Moro e che
questo gruppo, oltre a discutere per tentare difar maggioranza
sulla propria opinione, abbia messo addirittura lo Stato sulle
tracce, per esempio, delcovo di via Gradoli. Infatti, scoprire quel
covo avrebbe significato arrivare subito a Moretti. Ed a viaGradoli
fu mandata per ben tre volte la Polizia ed addirittura fu fatta
arrivare a Prodi ed a Cll'indicazione "Gradoli", che poi fu
mistificata con la famosa seduta spiritica di cui tutti sappiamo.
E' veroche vi era questo partito della trattativa (altrimenti detto
"ala Movimentista") all'interno delle Brigaterosse il quale,
ritenendo politicamente disastrosa l'uccisione di Moro, tent in
tutti i modi di far scoprire ilcovo di via Gradoli, alla fine
addirittura col telefono della doccia in cima ad un manico di scopa
messocontro il muro per far allagare l'appartamento di modo che,
visto che non se ne poteva pi di uno Statoche non riusciva a
scoprire il covo, fossero almeno i pompieri ad arrivarvi, trovando
sul muro steso ildrappo delle Brigate rosse e sul tavolo tutte le
armi affinch fosse chiarissima l'indicazione che si trattavaproprio
di un covo dei terroristi? E' bene ricordare che la porta del covo
non era stata scassinata e inoltreche per motivi di sicurezza, era
abitudine dei brigatisti non avere pi di due chiavi di ogni covo,
dunquesiccome Via Gradoli 96 era in quel periodo frequentata solo
da Moretti e da Barbara Balzerani, logicosupporre che solamente
loro avessero le chiavi. Questa spiegazione supportata - ovviamente
- dallaFaranda, cio da colei che (assieme a Morucci) potrebbe
essere l'artefice di un tale piano essendo il duonotoriamente
contro un epilogo tragico del rapimento Moro. Dagli atti del
processo "Metropoli" traspare(a mio avviso perfino in modo un p
eccessivo) che Morucci e Faranda erano pedine in mano a
Piperno,leader dell'Autonomia, e guarda caso proprio dalle file
dell'Autonomia che provenivano tutti i"messaggi" a favore degli
inquirenti (da quello di Radio citt futura a quello emerso nella
seduta spiriticadi Prodi). Dunque Morucci e la Faranda, nel periodo
di circa due mesi in cui lo avevano abitato, avevanofatto delle
copie della chiave che apriva il covo di Via Gradoli ? Furono loro
ad architettare il tutto ? E'una possibilit, in quanto tale la
riporto, per oggettivamente non mi sento di dargli troppo peso,
anche esoprattutto in considerazione della "coincidenza" temporale
con il ritrovamento del falso comunicato n 7,vero punto di svolta
del sequestro. A dire il vero c' un'altra possibilit, cio che
effettivamente il nomeGradoli sia stato fatto saltar fuori proprio
come riferimento al paesino di Gradoli -sito nella zona diBolsena-
e poi effettivamente rastrellato da circa 2000 agenti, perch
l'operazione di polizia in que